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INDICE
PREMESSA
Oggetto e periodo esaminato: i rapporti tra la Chiesa di Pisa e l’antipapa Niccolò V. ... 12
Metodo e fonti impiegate. ... 13
Struttura del lavoro. ... 14
Ulteriori considerazioni... 15
INTRODUZIONE
Parte prima: le principali vicende della Chiesa di Pisa dagli inizi del Trecento. ... 17
L’affermazione della centralità papale: crisi e ripresa nei rapporti tra l’arcivescovo e la sua Chiesa
(1295- 1312). ... 17
Oddone della Sala: l’arcivescovo fuoriuscito e i chierici «figli del Comune» (1312- 1323). ... 20
L’arrivo di Simone Saltarelli e la ricerca di nuovi equilibri. ... 23
Il ristabilimento dell’autorità arcivescovile dopo la parentesi del Bavaro. ... 25
Parte seconda: la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro (1327- 1330). ... 26
Dalla dieta di Trento all’incoronazione a re d’Italia. ... 26
Assedio e conquista di Pisa (settembre- ottobre 1327). ... 29
Sulla strada per Roma. ... 32
Il Bavaro nella Città Eterna. ... 33
La nomina dell’antipapa. ... 36
L’imperatore tra Lazio e Umbria (estate 1328). ... 39
La morte di Castruccio e il ritorno a Pisa. ... 41
Il secondo soggiorno di Ludovico il Bavaro in città (settembre 1328- aprile 1329). ... 43
ANTEFATTO
La Chiesa cittadina in mano a Ludovico il Bavaro e al suo amministratore... 49
La nomina di Gherardo Orlandi ad amministratore della diocesi pisana. ... 52
CAPITOLO PRIMO
I Cardinali di Niccolò V e la Chiesa di Pisa ... 58
Jacopo Albertini. ... 58
6
Giovanni Arlotti. ... 66
Pietro Henrici. ... 67
CAPITOLO SECONDO
I vescovi: dall’amministratore Gherardo all’arcivescovo scismatico Giovanni e a Vincenzo
di Sagona ... 69
Gherardo Orlandi, vescovo di Aleria ed amministratore della Chiesa pisana. ... 69
Giovanni di Bettino Nazari Lanfranchi, l’arcivescovo scismatico. ... 74
Vincenzo di Francesco, vescovo di Sagona. ... 79
CAPITOLO TERZO
Le vicende del Capitolo del Duomo e gli altri canonici a Pisa durante lo scisma. ... 81
Parte prima: il Capitolo del Duomo. ... 82
Per una breve storia del Capitolo prima e dopo Niccolò V. ... 82
L’arciprete Jacopo Maccaione Gualandi. ... 91
Filippo Galli... 96
Enrico Gaddubbi. ... 101
Benvenuto da Artimino. ... 106
Corrado da Spoleto. ... 109
Federico da Fosdinovo. ... 113
Ottobono Fieschi... 115
Pietro di Bartolomeo Buzzaccarini Sismondi. ... 118
Pietro di Jacopo da Casole... 118
Parte seconda: gli altri canonici attestati nella Chiesa cittadina. ... 121
La questione del canonicato del cardinale Albertini e Francesco da Prato. ... 122
Giovanni, cappellano di Niccolò V. ... 123
Il romano Francesco de Rainulphis. ... 123
Nicola di Martino da Mortano. ... 125
Giovanni di Gualtiero. ... 126
I fratelli Enrico e Ranieri Frenetti. ... 126
7
Buonavoglia, canonico nelle Chiese di Pisa e Pistoia. ... 128
Luca di Sigenio Malpilii. ... 127
Benvenuto di Jacopo. ... 127
L’anonimo canonico Giovanni. ... 128
CAPITOLO QUARTO
I priori di canoniche menzionati nei registri dell'antipapa e i loro rapporti con gli ambienti
scismatici. ... 130
Priore di S. Pietro in Vincoli. ... 130
Priore di S. Sisto. ... 133
Priore di S. Agostino di Nicosia a Rezzano e di S. Paolo all’Orto. ... 136
Il caso della canonica di S. Martino in Chinzica... 141
CAPITOLO QUINTO
Lo scisma di Niccolò V e i monasteri e conventi della città di Pisa. ... 146
Parte prima: monasteri cittadini e suburbani nei registri di Niccolò V. ... 148
Monastero di S. Frediano. ... 148
Monastero di S. Michele in Borgo. ... 151
Monastero di S. Zeno. ... 156
Monastero di S. Paolo a ripa d’Arno. ... 163
Monastero di S. Vito. ... 179
Monastero di S. Michele degli Scalzi. ... 182
Monastero di S. Michele alla Verruca e di S. Ermete di Orticaia. ... 187
Monastero di S. Savino di Montione. ... 190
Monastero dei SS. Apostoli. ... 201
Parte seconda: le attestazioni del priore dei Domenicani e l’assenza dei Francescani. .. 206
I Domenicani di S. Caterina ed il loro priore Bartolomeo Cinquina. ... 206
I grandi assenti: i Francescani di Pisa e l’antipapa Niccolò V. ... 209
I casi di S. Stefano ultra Auserem, S. Cataldo e di S. Nicola. ... 211
CAPITOLO SESTO
Gli ospedali e i relativi rettori e lo scisma di Niccolò V. ... 216
8
L’ospedale di S. Frediano. ... 217
L’ospedale Nuovo del S. Spirito della Misericordia. ... 219
Beneficiari di concessioni dell’antipapa per la guida di istituti assistenziali... 225
Il caso dell’ospedale di S. Lazzaro e di Bonaggiunta da Calcinaia. ... 225
Il prete Giusto e l’ospedale di S. Andrea in Barattularia. ... 227
Puccino di Duccio da S. Gimignano, hospitalarius della succursale pisana dell’ospedale di
Altopascio. ... 228
Guido, nuovo rettore dell’ospedale di Vico. ... 228
CAPITOLO SETTIMO
Le vicende delle pievi della diocesi di Pisa e dei rispettivi pievani durante lo scisma. ... 230
Pievano di Ardenza. ... 231
La figura di Giovanni Gualandi, pievano di Asciano. ... 235
Pievano di Buti. ... 239
Pievano di Calcinaia. ... 240
Pievano di Camaiano. ... 243
Pievano di S. Casciano. ... 243
Pievano di Cascina. ... 246
Pievano di S. Lorenzo alle Corti. ... 248
Pievano di Pugnano. ... 252
Pievano di S. Giovanni a Vallaneto (Riparbella). ... 253
Jacopo Gualandi, rettore della pieve di S. Giovanni alla Vena e canonico del Duomo. 255
Pievano di S. Maria di Vico (Vicopisano). ... 258
CAPITOLO OTTAVO
I rettori di chiese cittadine attestati nei registri dell’antipapa... 260
Alessandro da Bientina, rettore di S. Salvatore di Ponte. ... 261
Cino di Andrea da Vico, rettore di S. Andrea di Barattularia. ... 262
La figura di Jacopo, rettore della chiesa di S. Cecilia. ... 265
CAPITOLO NONO
Extravagantes: gli altri pisani destinatari di concessioni da parte di Niccolò V. ... 267
9
Colo Vantis di Marzucco Sismondi. ... 267
Giovanni di Cecco Mattonis... 268
Giovanni di Enrico. ... 268
Il prete Giovanni da Pisa. ... 269
I tesorieri di Niccolò V Nerio da S. Casciano e Bernardo de Curtibus. ... 269
Fazio Venturae e Puccio ‘Magogo’ ... 270
Il canonico Francesco. ... 270
Il miles Gherardo di Guido de Pellario. ... 271
Il chierico Lupo di Banco. ... 271
Pietro di Rodolfo Theotonicus. ... 272
Il miles Ranieri. ... 272
Ugolino di Bando Bonconti. ... 273
EPILOGO ... 274
L’attività del futuro vescovo di Lucca Guglielmo Dulcini. ... 275
L’atto di assoluzione e gli altri provvedimenti delle autorità ecclesiastiche sulla Chiesa
di Pisa. ... 288
Gli interventi delle autorità comunali. ... 293
CONCLUSIONI ... 297
APPENDICE ... 303
Avvertenza. ... 304
Cardinali scismatici ... 306
Vescovi e amministratori diocesani ... 325
Canonici del Duomo e destinatari di provvisioni per canonicati ... 330
Priori di canoniche ... 363
Monasteri e conventi ... 370
Ospedali e rettori di istituti assistenziali ... 416
Pievi e relativi titolari ... 424
Rettori di chiese cittadine ... 441
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11
Abbreviazioni ed avvertenze:
ASDP- Archivio Storico Diocesano di Pisa.
ASF- Archivio di Stato di Firenze.
ASP- Archivio di Stato di Pisa.
Tutte le date dei documenti sono state ricondotte allo stile comune.
Le tesi di laurea qui citate sono state oggetto di discussione presso la Facoltà di
Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Pisa.
Gli atti di Niccolò V, in quanto editi in appendice a quelli di Giovanni XXII e
secondo la numerazione di questi ultimi, sono indicati in nota facendo riferimento
al titolo dell’edizione in generale e non della singola appendice; inoltre nelle
citazioni dei regesti e dei documenti pubblicati ho voluto mantenere le grafie e le
convenzioni adottate dai singoli editori.
I rimandi in nota al Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele
Repetti fanno riferimento all’edizione digitalizzata disponibile sul sito <http:
//stats-1.archeogr.unisi.it/repetti/>.
12
PREMESSA
Oggetto e periodo esaminato: i rapporti tra la Chiesa di Pisa e l’antipapa Niccolò V.
La presente tesi è dedicata allo studio degli eventi e dei rapporti intercorsi tra la
Chiesa pisana e l’antipapa Niccolò V (1328-1330) in occasione della discesa in Italia
di Ludovico il Bavaro (1327-1330). L’esposizione tuttavia non si concentra solo
sull’analisi dei singoli benefici concessi dall’antipapa e delle figure dei relativi
detentori per il periodo dello scisma vero e proprio, ma si propone anche di
delineare seppur brevemente le vicende della Chiesa pisana già a partire dall’11
ottobre 1327 (ovvero il giorno dell’ingresso in città di Ludovico il Bavaro e della
fuga dell’arcivescovo Simone Saltarelli), per proseguire poi negli anni successivi
con l’esame a posteriori delle sue ripercussioni all’interno della compagine
ecclesiastica cittadina.
Nel corso della ricerca è emerso come la vicenda possa essere suddivisa in tre
periodi ben distinti: un primo, compreso tra l’11 ottobre del 1327 e la nomina
imperiale dell’antipapa Niccolò V a Roma il 12 maggio del 1328, in cui la Chiesa
pisana dopo la fuga del suo arcivescovo fu gestita principalmente attraverso un
amministratore di nomina regia, il vescovo di Aleria Gherardo Orlandi, e vide
anche dei precisi interventi ad opera dello stesso Ludovico il Bavaro; un secondo
periodo coincidente con il pontificato di Niccolò V (peraltro residente proprio a
Pisa a partire dal 3 gennaio 1329), al quale è dedicata la maggior parte del lavoro;
ed infine un terzo che possiamo individuare a partire dalla cacciata del vicario
imperiale Tarlatino Tarlati (il 18 giugno 1329) e dal progressivo riavvicinamento
della città al papa Giovanni XXII, in cui sono esaminati in base alle varie
testimonianze i contraccolpi dello scisma e le sue conseguenze nella Chiesa
cittadina.
13
Metodo e fonti impiegate.
Lo studio dei rapporti tra l’Ecclesia pisana e Niccolò V è stato condotto
essenzialmente attraverso la compilazione di schede sui personaggi e gli enti
religiosi (monasteri, pievi e così via) relativi alla città di Pisa per il periodo preso in
esame; e a questa prima fase sono seguite indagini mirate nella documentazione
conservata presso l’Archivio di Stato di Pisa e l’Archivio Storico Diocesano.
Per capire l’entità di questi legami il punto di partenza obbligatorio sono stati i
resti del registro dello stesso antipapa, pubblicati nelle Appendici ai volumi VII e
VIII dei registri di Giovanni XXII editi dalla Bibliothèque des Écoles Françaises
d’Athènes et de Rome
1: e da qui, per ciascun personaggio e per ciascun istituto
oggetto di concessioni a vario titolo da parte dell’antipapa, è stata redatta una
scheda che poi è stata ulteriormente sviluppata attraverso la consultazione dei
registri dello stesso Giovanni XXII, di Clemente V
2e di Benedetto XII
3(questi
ultimi sempre pubblicati all’interno della Bibliothèque des Écoles Françaises
d’Athènes et de Rome) . Per quanto riguarda poi le modalità specifiche con cui ho
compilato le singole schede rimando direttamente all’Avvertenza all’inizio
dell’Appendice.
Un passo ulteriore, come è già stato detto prima, ha riguardato la consultazione del
materiale documentario superstite relativo al periodo e all’oggetto della ricerca
principalmente presso l’Archivio di Stato e l’Archivio Storico Diocesano di Pisa, al
1 Nicolai V, antipapae, vulgo dicti Petri de Corbaria, litterae ex unico regestro Vaticano desumptae in G.
MOLLAT, Jean XXII (1316- 1334). Lettres Communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et du
Vatican par G. Mollat, Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 3° serie, Parigi,
1904- 1947, vol. VII, app. VI e vol. VIII, app. VII.
2 Regestum Clementis Papae V ex vaticanis archetypis sanctissimi domini nostri Leonis XIII Pontificis
Maximis iussu et munificentia nunc primum editum cura et studio monachorum ordinis s. Benedicti, Roma,
1885-1888.
3 J. M. VIDAL, Benoit XII (1334-1342). Lettres Communes analysées d’après les registres dits d’Avignon et
du Vatican par J. M. Vidal, Bibliothèque des Écoles Françaises d’Athènes et de Rome, 3° serie, Parigi,
14
fine di chiarire e completare il lavoro di schedatura da me inizialmente condotto
sulle edizioni dei registri papali. L’indagine ha interessato soprattutto per
l’Archivio Diocesano i fondi della Mensa e gli Atti straordinari- ove in particolare si
sono rivelate utili le citazioni in giudizio al fine di dare un nome a tutti quei
personaggi che comparivano in forma puramente anonima negli atti di Niccolò V-
ed ampia attenzione è stata data anche ai registri degli Atti del Capitolo, mentre per
l’Archivio di Stato di Pisa mi sono limitato alla consultazione dei registri delle
provvisioni del collegio degli Anziani disponibili per gli anni dal 1327 fino al 1332.
Struttura del lavoro.
La tesi inizia con un’introduzione organizzata in due parti al fine di inquadrare il
contesto politico e religioso in cui si svolse lo scisma di Niccolò V e la situazione
della stessa Chiesa pisana: nella prima si ripercorrono brevemente le vicende
principali della Chiesa cittadina a partire dagli inizi del ‘300, mentre nella seconda
vengono riepilogati gli eventi relativi alla discesa in Italia di Ludovico il Bavaro e
alle vicende della stessa città di Pisa.
Dopo una breve sezione in cui sono descritti gli interventi principali fatti dallo
stesso Bavaro e dal suo amministratore sulla compagine ecclesiastica cittadina
anteriormente alla nomina dell’antipapa, segue l’analisi vera e propria dei rapporti
della Chiesa di Pisa con Niccolò V. Ho deciso di organizzare l’esposizione in modo
da valorizzare il più possibile tanto l’aspetto cronologico sopra evidenziato- e
soprattutto la scansione in tre momenti distinti- quanto i singoli beneficiari delle
concessioni: questi ultimi sono pertanto esaminati secondo un criterio basato sulle
diverse tipologie di uffici ed istituzioni ecclesiastiche a partire dai cardinali della
curia di Niccolò V, per proseguire quindi coi vescovi, i canonici ed i membri del
Capitolo del Duomo di Pisa, i priori di canoniche, gli abati e i monasteri posti in
città e nel contado, gli ospedali ed i rispettivi rettori, le pievi, i rettori di chiese
cittadine, oltre a tutti quei personaggi più o meno legati a Pisa che furono
variamente beneficiati dall’antipapa.
15
L’ultima parte del lavoro è poi dedicata agli eventi successivi alla partenza del
Bavaro e alla cacciata del suo vicario, così come al processo di riconciliazione con il
pontefice Giovanni XXII, con attenzione particolare alla figura del procuratore
dell’Ordine domenicano ed in seguito vescovo di Lucca Guglielmo Dulcini e alla
sua attività a Pisa; sono descritti quindi gli altri interventi che interessarono la
Chiesa cittadina e nello specifico quelli attuati dalle autorità comunali.
Seguono le conclusioni finali, nelle quali viene ricapitolato quanto emerso nel corso
dell’analisi e ne vengono mostrati gli aspetti principali.
La tesi è infine completata dall’Appendice costituita dallo schedario da me
compilato nel corso della ricerca: ho scelto per comodità di organizzare le varie
schede secondo la scansione da me sopra ricordata, cercando di ricalcare il più
possibile l’ordine già impiegato durante l’esposizione.
Ulteriori considerazioni.
Ho deciso di dedicarmi allo studio di questo evento particolare nella vicende della
Pisa trecentesca non esclusivamente dietro proposta del mio relatore, quanto
piuttosto perché desideravo nel concludere il mio percorso universitario mettere
alla prova le mie capacità di analisi e sintesi storica, nonché confrontarmi
direttamente con le fonti su un tema assai intricato e sul quale nel panorama delle
ricerche dedicate alla Pisa della prima metà del Trecento e alla sua Chiesa mancano
tuttora degli studi di carattere complessivo
4.
4 Tra gli studi sul tema al momento disponibili segnalo due lavori di Ronzani di sintesi sulla Chiesa
cittadina nei primi decenni del Trecento: M. RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’ nella lotta
per l’egemonia sulla Chiesa cittadina a Pisa tra Due e Trecento, in AA.VV., I ceti dirigenti nella Toscana tardo comunale, Atti del III Convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana (Firenze, 5-7
dicembre 1980), 1983, pp. 117- 134 e M. RONZANI, «Figli del Comune» o fuoriusciti? Gli arcivescovi di
Pisa di fronte alla città-stato fra la fine del Duecento e il 1406, in Vescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo, Atti del VII Convegno di storia della Chiesa in Italia (Brescia, 21-25 settembre 1987), a
cura di G. DE SANDRE GASPARINI, A. RIGON, F. TROLESE, G. M. VARANINI, Roma, II («Italia Sacra», n. 44), 1990, pp. 773- 835 ed in particolare le pp. 808-811; si veda anche E. CRISTIANI, Alcune
osservazioni sui vescovi intervenuti all’incoronazione romana di Ludovico il Bavaro (17 gennaio 1328), in
16
Questo mio lavoro, ne sono consapevole, non può certo colmare il vuoto dovuto
all’assenza di trattazioni specifiche di ampio respiro sui rapporti tra la Chiesa
cittadina e l’antipapa Niccolò V e sulle loro conseguenze; e tuttavia, nonostante
questo, esso vuole porsi come un tentativo di chiarire per grandi linee un momento
della storia di Pisa rimasto alquanto sfuocato e quasi in secondo piano nell’ambito
della ricerca storica. Sono altresì fermamente convinto che un’indagine più attenta
e scrupolosa del materiale da me raccolto e delle fonti disponibili, insieme ad un
occhio più allenato nel saper interpretare criticamente la documentazione, possa
spingere ulteriormente avanti i limiti della mia analisi. Il mio augurio comunque è
che questa tesi, pur nei difetti e nelle mancanze che inevitabilmente presenterà- la
cui responsabilità va ascritta soltanto a me e per i quali voglio scusarmi-, possa
costituire almeno un’umile base di partenza per successivi studi e ricerche sullo
scisma di Niccolò V e sulla storia di Pisa e della sua Chiesa nel Trecento.
17
INTRODUZIONE
Parte prima: le principali vicende della Chiesa di Pisa dagli inizi del Trecento.
L’affermazione della centralità papale: crisi e ripresa nei rapporti tra l’arcivescovo e la sua
Chiesa (1295- 1312).
Gli anni a cavallo tra il Due e Trecento rappresentarono per la Chiesa di Pisa un
momento di profondo cambiamento e trasformazione: da un lato la morte
dell’arcivescovo Ruggieri Ubaldini nel settembre del 1295 e la sua sostituzione con
l’orvietano Teodorico di Giovanni di Bonaspeme, e dall’altro la forte volontà di
accentramento di papa Bonifacio VIII, di cui lo stesso Teodorico- che nei tre anni
del suo ufficio non ricevette mai la consacrazione né si allontanò dalla curia- era
una creatura, segnarono la rottura definitiva del ruolo sino ad allora
tradizionalmente rivestito dal titolare della cattedra pisana come costante
mediatore tra gli interessi politici ed economici della propria città e gli ambienti
della corte pontificia
5.
Lo stretto controllo che il pontefice ottenne sulla Chiesa pisana
6, sia recidendo i
legami dell’ordinario con la città e il clero locale sia attraverso il conseguente
ridimensionamento della sua autorità ecclesiastica, fece sì che fossero investiti dei
benefici più importanti soltanto coloro che potessero disporre di vie di accesso
speciali al favore dello stesso Bonifacio VIII.
A tal fine si rivelarono decisivi i rapporti che alcuni chierici pisani seppero
instaurare con il loro potente concittadino Oddone Gaetani, titolare di quella
societas Benedicta che godette sempre di grandissima influenza presso la corte di
5 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 773- 781.
6 Al punto che, come è stato osservato da Ronzani, fosse proprio Bonifacio VIII, se non di nome
18
Bonifacio VIII, grazie anche ad una supposta parentela con lo stesso pontefice
7.
Non stupisce pertanto che a beneficiare di questi rapporti privilegiati sia stato in
primo luogo il figlio dello stesso Oddone, quel Benedetto Gaetani che fu insignito il
1 dicembre 1295 della prepositura dell’importante basilica suburbana di S. Piero a
Grado
8. Accanto a lui troviamo anche un chierico proveniente da una delle più
potenti ed antiche consorterie della nobiltà cittadina, Jacopo di Giovanni
Maccaione Gualandi, il quale ricevette una grazia in aspettativa con dispensa «in
etate et ordinibus» il 31 ottobre 1297, grazia di cui in seguito, una volta entrato nel
Capitolo del Duomo, poté avvalersi nei primissimi anni del Trecento per
conseguirvi l’importante dignità di arciprete
9. Sempre al favore di Bonifacio VIII
dovette il suo ingresso tra i canonici del Capitolo anche Guido Fagioli nel 1295
10.
Oltre alla già citata societas dei Gaetani pure la compagnia bancaria legata alla
famiglia Cavallozari seppe sfruttare i suoi rapporti con la corte bonifaciana, come
7 Vedi RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., p. 122. Pare inoltre che anche la famiglia
dei della Sala, cui apparteneva il futuro arcivescovo di Pisa Oddone, avesse intrattenuto stretti rapporti con la societas Benedicta; vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 787, nota 40.
8 Dopo la morte dell’arcivescovo Ruggieri, e forse dietro sua precedente nomina, si era installato
come priore in S. Piero un chierico del Mugello, tale Bencivenni o Cenni, che era poi riuscito a mantenere il controllo sulla basilica sino almeno all’anno 1300. Sulla nomina di Benedetto si vedano RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 782, nota 29, RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., p. 124 e M. RONZANI, San Piero a Grado nelle vicende della Chiesa pisana dei secoli XIII e XIV, in
Nel segno di Pietro. La basilica di San Piero a Grado da luogo della prima evangelizzazione a meta di pellegrinaggio medievale, a cura di M. L. CECCARELLI LEMUT e S. SODI, Pisa, 2003, pp. 47-49.
Sull’ostilità di certi ambienti laici ed ecclesiastici al crescente controllo papale sulla Chiesa cittadina si veda RONZANI, San Piero a Grado, cit., ivi, p. 48. Infine sui benefici ottenuti da Benedetto grazie al favore di Bonifacio VIII vedi RONZANI, San Piero a Grado, cit., p. 51 e la nota 117.
9 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., ibidem e RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’,
cit., pp. 123-124; va inoltre segnalato il fatto che tra gli executores delle concessioni per Benedetto Gaetani e Jacopo Maccaione Gualandi è presente un’altra figura chiave nelle vicende della Chiesa cittadina, il canonico Filippo Galli Casalei, vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., ivi, nota 30.
19
quando un suo membro, Pietro, riuscì nel 1298 ad ottenere dal papa il priorato
della chiesa di S. Sisto
11.
L’ingresso nella compagine ecclesiastica cittadina di questi chierici ‘bonifaciani’
12,
destinatari privilegiati delle concessioni papali, introdusse un elemento nuovo e di
potenziale disturbo, soprattutto perché la loro consapevolezza di essere debitori
delle rispettive carriere ecclesiastiche alle decisioni della curia di Roma e
all’influenza che loro stessi e le rispettive famiglie erano in grado di esercitare li
esentava da qualsiasi forma di lealtà verso il titolare della cattedra pisana
13.
L’arrivo nel 1299 del nuovo arcivescovo, il romano Giovanni dei Conti di Poli
14, se
in un primo momento segnò una sostanziale continuità rispetto al suo
predecessore nel segno dell’assoluto rispetto della volontà del pontefice, dopo la
morte di Bonifacio VIII portò a dei tentativi per riequilibrare la situazione:
Giovanni infatti da un lato seppe guadagnarsi il favore di quei chierici estranei o
esclusi dal circolo dei ‘bonifaciani’, senza peraltro inimicarsi questi ultimi, e
dall’altro tra il 1309 e il 1310 si schierò apertamente al fianco di Pisa dalla parte di
Enrico VII che si accingeva a scendere in Italia per farsi incoronare imperatore
15.
11 Sui rapporti tra i Cavallozari e S. Sisto occorre ricordare che la loro società aveva concesso in
precedenza dei forti prestiti a Tedice, precedente priore di S. Sisto poi elevato da Bonifacio VIII ad arcivescovo di Torres. Vedi RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., pp. 121- 122 ed in particolare p. 122, nota 18.
12 Così sono stati efficacemente definiti in RONZANI, «Figli del comune», cit., passim.
13 Si veda RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., p. 123 e RONZANI, «Figli del comune»,
cit., pp. 782-783.
14 Giovanni dei Conti di Poli divenne arcivescovo di Pisa dopo la promozione a cardinale del suo
predecessore Teodorico il 10 febbraio 1299; a differenza di quest’ultimo però Giovanni fu regolarmente consacrato e decise di governare direttamente sul posto la Chiesa cittadina. Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 781.
15 Su tutto questo si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 784-785 ed in particolare le note 33
e 34. Per i quanto riguarda i rapporti con Enrico VII, Giovanni aveva partecipato al giuramento dei rappresentanti del Comune al re, il 19 marzo 1311; vedi ivi, p. 785.
20
Oddone della Sala: l’arcivescovo fuoriuscito e i chierici «figli del Comune» (1312- 1323).
In concomitanza con il trasferimento di Giovanni all’arcivescovato di Nicosia a
Cipro, il 10 maggio 1312 il pisano Oddone della Sala, già metropolita di Arborea, fu
nominato da Clemente V nuovo arcivescovo di Pisa
16.
Nei primi anni del suo ufficio Oddone proseguì nel solco del suo predecessore nel
sostegno ad Enrico VII, al punto che durante il secondo soggiorno di questi in città
tra il marzo e l’agosto 1313 ne divenne princeps et secretarius; così come, dopo la
morte del sovrano a Buonconvento (24 agosto 1313), seppe intrattenere stretti
rapporti con Uguccione della Faggiola
17. Sul piano strettamente ecclesiastico
l’attività del nuovo arcivescovo si caratterizzò per iniziative di restaurazione della
disciplina ecclesiastica e per il recupero sia del monastero di S. Rossore, sottratto
agli Umiliati nel 1311, sia soprattutto della basilica di S. Piero a Grado, dove nel
frattempo era morto il priore Benedetto Gaetani
18.
Tuttavia un elemento gravido di conseguenze per gli anni seguenti, oltre che
sintomo della rottura creatasi all’interno della compagine ecclesiastica cittadina, fu
la reazione di molti chierici davanti alla preferenza dello stesso Oddone per suoi
congiunti o personaggi non pisani nel reclutare i suoi collaboratori
19, nonché
l’irritazione che provocò tra i canonici del Capitolo la riesumazione della dignità
16 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 785- 787. Sulla carriera ecclesiastica di Oddone
prima della sua nomina ad arcivescovo di Pisa si veda ivi, p. 786, nota 39: il 14 marzo 1300 Oddone, già priore del convento di S. Caterina di Pisa dal 1299, era stato nominato da Bonifacio VIII vescovo di Terralba, una diocesi suffraganea di Arborea; due anni dopo fu trasferito al vescovato di Pola in Istria e nel 1308 divenne arcivescovo di Arborea-Oristano in virtù di uno scambio di sedi predisposto da Clemente V.
17 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., ivi, p. 787; per i rapporti tra l’arcivescovo e Uguccione si
veda in particolare ibidem, nota 42.
18 Per l’attività svolta da Oddone in quel frangente vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 788,
nota 44; per le vicende legate al recupero di S. Piero alla mensa arcivescovile per il momento si veda RONZANI, San Piero a Grado, cit., pp. 54-57.
19 Caso emblematico quello di suo nipote Chianni Falconi che fu il suo primo vicario e poi ricoprì la
21
primiceriale, ottenuta con l’alterazione del numero e della ripartizione delle
prebende
20. A questi gravi elementi di tensione si aggiunse poi l’incapacità
dell’arcivescovo nel saper risarcire quei chierici che più si ritenevano danneggiati
dalle sue azioni e nell’attutire la crescente ostilità verso la nuova figura del
primicerio
21.
La sua situazione peggiorò ulteriormente dopo la cacciata di Uguccione da Pisa
nell’aprile 1316
22ed il connesso indebolimento dei Lanfranchi- che del Faggiolano
erano stati i grandi sostenitori- negli ambiti del governo cittadino e in quelli
ecclesiastici, cosicché il della Sala (la cui autorità ne risultò così definitivamente
compromessa) prima si vide costretto a trasferirsi nel castello di Montevaso, di
pertinenza della stessa mensa arcivescovile, e quindi agli inizi del 1318 a salpare
per Avignone per difendersi dalle accuse che i canonici del Capitolo ed altri
chierici frattanto avevano fatto pervenire al pontefice
23.
Fu anzi proprio nell’opposizione all’arcivescovo fuoriuscito che la Chiesa di Pisa
parve trovare un unico, forte elemento di coesione tra tutte le sue componenti e un
nuovo motivo di vicinanza con il Comune cittadino: si giunse così il 27 marzo 1320
alla convocazione di una riunione di tutto il clero diocesano nel palazzo
arcivescovile. La congregatio, riunita su richiesta del conte Gherardo di Donoratico,
allora personaggio di primissimo piano sulla scena politica pisana, fu aperta da un
20 Della dignità di primicerio sarebbe poi stato investito un nipote dello stesso arcivescovo,
Andreotto della Sala (a partire dal 18 gennaio 1313). La creazione della nuova dignità venne giustificata con un aumento dei beni del Capitolo grazie all’unione provvisoria dello stesso con il monastero di S. Rossore. Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 789- 790, nota 47.
21 Tra i canonici ostili all’istituzione del primiceriato si segnalarono in modo particolare tanto
l’arciprete Jacopo quanto Filippo Galli, il quale inoltre sin dalla morte di Benedetto Gaetani rivendicava per sé la prepositura di S. Piero a Grado. Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., ivi, nota 40.
22 Sui particolari del governo di Uguccione a Pisa e sulla sua cacciata si veda G. ROSSI SABATINI,
Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347). Studio sulla crisi istituzionale del Comune, Firenze, 1938, pp.
77-80.
22
breve discorso introduttivo di un suo stretto collaboratore, Lemmo Guinizzelli
Sismondi, e si concluse con l’investitura di un organo collegiale costituito dai
rappresentanti delle cinque principali tipologie di uffici ecclesiastici. Fu così che
vennero nominati Filippo Galli (che nel frattempo aveva approfittato della
situazione per far occupare la chiesa di S. Piero a Grado
24), in rappresentanza dei
canonici del Duomo; per gli abati Bartolomeo Sambaco, abate di San Paolo a ripa
d’Arno; per i priori di canoniche Ugolino, priore di San Martino in Chinzica; per i
pievani Ranieri Cappone Lanfranchi, pievano di San Casciano; infine per i rettori
di chiese parrocchiali cittadine il giurista Bonaggiunta da Calcinaia, rettore di San
Donato
25. Questo organo collegiale rimase in carica verosimilmente fino alla metà
dell’anno seguente
26, allorché si raggiunse un qualche forma di accordo tra il
Comune ed il clero da una parte e dall’altra l’arcivescovo Oddone (che però non
rientrò mai più in sede ma rimase a Montevaso). Tuttavia gli eventi successivi
27e
un nuovo riaprirsi dei dissidi tra Pisa ed il della Sala, il quale da parte sua non solo
24 Sull’occupazione di S. Piero a Grado si veda RONZANI, San Piero a Grado, cit., pp. 59-60.
25 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 794-797; su Bartolomeo abate di San Paolo a ripa
d’Arno vedi ivi, pp. 794-795, nota 59; su Ranieri Cappone Lanfranchi divenuto pievano di S. Casciano prima del dicembre 1308 vedi ibidem; su Ugolino, priore di S. Martino dal 1303, si veda invece RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., pp. 120-121 e 124-125; sulla figura di Bonaggiunta da Calcinaia si veda M. RONZANI, Chiesa e clero nella Pisa del Trecento attraverso la
biografia di un protagonista. Attività ecclesiastica, affari finanziari e vita privata di Bonaggiunta da Calcinaia (1297- 1362), in Mediterraneo, Mezzogiorno, Europa. Studi in onore di Cosimo Damiano Fonseca, a cura di
G. ARDENNA e H. HOUBEN, Bari, II, 2004, pp. 895-959 ed in particolare sull’episodio sopra ricordato le pp. 906-909. Fu proprio nel corso di questa assemblea che vennero lanciati gli slogans, sintomo della sostanziale sintonia tra i chierici ed il Comune contro l’arcivescovo Oddone, «nos clerici sumus et esse debemus filii comunis, et ideo non debemus nos separare a voluntate comunis, sed debemus esse una secum» e «oportet sic facere, quod nos simus unum cum comuni, et ipsi una nobiscum contra archiepiscopum»; si veda al riguardo e RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 796.
26 Vedi RONZANI, Chiesa e clero nella Pisa del Trecento, cit., p. 909 e RONZANI, «Figli del comune»,
cit., p. 797.
27 Per le varie vicende che coinvolsero Pisa in quegli anni rimando a ROSSI SABATINI, cit., pp. 108-
23
non aveva ancora ritirato l’interdetto lanciato sulla città ai primi del 1319
28ma si
era anche trasferito a Firenze, da dove sperava di poter condurre un gigantesco
procedimento giudiziario contro il governo comunale ed il clero cittadino
29,
dimostrarono come l’unica via possibile per risolvere la situazione risiedesse ormai
solamente nelle mani del pontefice.
L’arrivo di Simone Saltarelli e la ricerca di nuovi equilibri.
La soluzione adottata da Giovanni XXII tra il maggio e il giugno del 1323
consistette nella traslazione di Oddone della Sala al patriarcato di Alessandria e
nella sua sostituzione a Pisa con il domenicano fiorentino Simone Saltarelli, già
vescovo di Parma dal 1316
30: se da un lato la scelta di quest’ultimo voleva premiare
un esponente dell’influente Ordine domenicano, dall’altro andava incontro
all’esigenza dello stesso pontefice di scegliere un personaggio di sua stretta fiducia
e vicino agli ambienti della curia, proprio mentre stavano maturando gli eventi che
avrebbero portato alla conquista aragonese della Sardegna
31.
Dopo la sua consacrazione il 6 luglio 1323 per mano dei cardinali Napoleone Orsini
e Luca Fieschi
32e pur continuando inizialmente a risiedere in Avignone
33,
l’arcivescovo Simone attraverso i propri vicari, il nipote Tommaso ed il fidato
Taddeo de Costola, cercò in primo luogo di attenuare quelle tensioni che avevano sì
28 Rimando anche qui alle pagine dedicate ai dissidi tra la città ed il suo arcivescovo in ROSSI
SABATINI, cit., ivi, pp. 123-126. Per gli sviluppi iniziali della contesa si veda RONZANI, «Figli del
comune», cit., pp. 828-835.
29 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 799-800.
30 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 800-801; in particolare sul trasferimento di Oddone si
veda ibidem, nota 71, mentre per la nomina del Saltarelli si veda ibidem, note 73 e 74.
31 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., ibidem. Sulla guerra tra Pisa e l’Aragona per il controllo
della Sardegna rimando a ROSSI SABATINI, cit., pp. 127- 142.
32 Per la consacrazione del nuovo arcivescovo vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., ibidem, nota
75.
33 Il Saltarelli sarebbe venuto a Pisa solo in seguito, alla fine dell’ottobre 1324. Vedi RONZANI, San
24
gravemente pregiudicato il governo del suo predecessore. A tal fine si rivelò
decisivo l’atteggiamento conciliante sia riguardo la questione del primiceriato,
attraverso garanzie più sicure sulla dotazione della nuova dignità (e conclusasi per
il momento con l’attribuzione della stessa al nipote Tommaso Saltarelli
34), sia
cercando una soluzione alle principali questioni beneficiali rimaste in sospeso; e
proprio in quest’ultimo ambito gli riuscì di risolvere provvisoriamente l’annoso
problema della prepositura su S. Piero a Grado grazie ad un accordo con Filippo
Galli, al quale fu riconosciuto il titolo di priore mentre in cambio veniva garantita
all’arcivescovo la facoltà di incamerare le oblazioni fatte alla basilica in determinate
solennità
35.
Sul piano più strettamente politico l’arcivescovo Simone, dopo la morte del conte
Ranieri nel dicembre del 1325
36e la definitiva perdita della Sardegna nel giugno
dell’anno successivo, divenne la figura principale di riferimento ed un importante
fattore di stabilità per la sua stessa città, riproponendo ancora una volta quel
rapporto di stretta solidarietà tra arcivescovo e governo cittadino
37. Un rapporto
che solo l’entrata in scena di un fattore esterno, la discesa in Italia di Ludovico il
34 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 802-803 ed in particolare le note 80 e 81. Un altro
elemento che giocò a favore dell’arcivescovo fu nel 1327 la riammissione tra i canonici dell’arciprete Jacopo il quale in precedenza era stato costretto ad allontanarsi da Pisa (come pure il collega Guido Fagioli) per le sue posizioni filo-castrucciane. Si veda al riguardo ivi, pp. 804-805, nota 86 e p. 806, nota 90. Sui rapporti tra i Gualandi Maccaione e Castruccio va osservata inoltre la presenza tra i testimoni convenuti a Lucca per la redazione del testamento di quest’ultimo (20 dicembre 1327) del «nobili viro Benedicto Maccaionis de Gualandis, milite fideli et vaxallo nostro»: si veda E. LAZZARESCHI, Documenti della Signoria di Castruccio conservati nel R. Archivio di Stato di Lucca, in AA.VV., Castruccio Castracani degli Antelminelli. Miscellanea di studi storici e letterari edita dalla Reale
Accademia Lucchese, Firenze, 1934, doc. XLVIII, p. 402.
35 Per l’intera vicenda rimando a RONZANI, «Figli del comune», cit., ibidem e più ampiamente a
RONZANI, San Piero a Grado, cit., pp. 60-61.
36 Sugli ultimi anni di Ranieri di Donoratico, succeduto al nipote Gherardo dopo la morte di questi
nel maggio del 1320, si veda ROSSI SABATINI, cit., pp. 143- 155.
25
Bavaro, ebbe la forza di spezzare quando, il giorno steso in cui il re fece il suo
ingresso in città, l’arcivescovo si vide costretto a fuggire da Pisa
38.
Il ristabilimento dell’autorità arcivescovile dopo la parentesi del Bavaro.
Dopo la conclusione della parentesi del Bavaro ed il ritorno all’obbedienza
avignonese, in concomitanza con la cacciata del vicario imperiale, promossa dal
conte Fazio di Donoratico e da Ceo Maccaione Gualandi, e la consegna a Giovanni
XXII dell’antipapa imperiale Niccolò V nell’agosto del 1330 (operazione questa
congegnata dallo stesso Fazio e che aveva poi visto il coinvolgimento
dell’arcivescovo Simone e del vescovo di Lucca Guglielmo Dulcini
39), il Saltarelli
dovette fare i conti con la crescente preponderanza degli stessi Gualandi all’interno
della compagine ecclesiastica cittadina. Questi, capeggiati dall’arciprete Jacopo,
erano riusciti grazie ad accorte operazioni di acquisizione e scambio di benefici
40ad
ottenere una posizione via via più forte all’interno della Chiesa di Pisa, al punto
che a partire dal 1329 la dualità arcivescovo-arciprete parve quasi rispecchiare sul
piano ecclesiastico quel dualismo che si era instaurato sul piano politico tra il conte
Fazio e Ceo Maccaione
41.
Fu anzi sintomatico di questo stato di cose il fatto che entrambi questi dualismi,
ecclesiastico e politico, trovarono la medesima fine nella sommossa dei Gualandi
38 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 808 ed in particolare la nota 93. Sulla fuga
dell’arcivescovo e sulla sua successiva destituzione da parte di Ludovico il Bavaro rimando a R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, Firenze, 1960, vol. IV, pp. 1106-1107.
39 L’intera faccenda sarà da me ripresa più avanti; per il momento mi limito a rimandare a
RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 813, nota 108.
40 Su tutte queste operazioni, che portarono all’acquisizione del pievanato di S. Lorenzo in Piazza
nella Val di Tora e di un ulteriore canonicato nel Capitolo della Cattedrale, oltre a quelli già detenuti dall’arciprete e dal pievano di S. Giovanni alla Vena, si veda soprattutto il resoconto dettagliato in RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., pp. 128- 129.
41 Vedi RONZANI, «Figli del comune», cit., pp. 813-815. La posizione di eminenza raggiunta da
Jacopo in quegli anni è ben sintetizzata dalla formula (riferita al suo ufficio di arciprete) «post archiepiscopalem dignitatem in civitate pisana maior dignitas», citata in RONZANI, «Figli del
26
tra il 10 e l’11 novembre 1335, durante la quale scesero in campo anche l’arciprete e
numerosi chierici del Duomo
42, che si concluse con la vittoria di Fazio- che così fu
in grado di consolidare il suo governo sulla città
43- e l’imprigionamento degli
sconfitti, fra i quali lo stesso arciprete Jacopo
44. Fu allora sancita la definitiva
disgrazia di colui che era stato il più eminente tra i chierici ‘bonifaciani’, sebbene al
tramontare della sua stella un altro ‘bonifaciano’, Filippo Galli, riuscisse a
prenderne il posto; e questi, anche se non gli succedette nella dignità di arciprete,
seppe comunque acquisire per sé una posizione di sostanziale primato entro il
Capitolo
45.
Si venne così a creare una situazione di pacifica convivenza tra l’arcivescovo, la sua
Chiesa e il governo cittadino che avrebbe caratterizzato tutti i restanti anni di
governo del Saltarelli fino alla sua morte nel 1342
46.
Parte seconda: la discesa in Italia di Ludovico il Bavaro (1327- 1330).
Dalla dieta di Trento all’incoronazione a re d’Italia.
La decisione di Ludovico il Bavaro, già re dei Romani ed unico pretendente alle
corone d’Italia e a quella imperiale, di varcare le Alpi agli inizi del 1327 rese assai
concrete le possibilità di una sua ulteriore discesa verso Roma
47.
Alla fine dell’estate del 1326 il re si era diretto verso il sud della Germania e ad
Innsbruck si erano svolte delle trattative con gli Asburgo
48; quindi da lì ai primi del
42 Si veda RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di ‘popolo’, cit., p. 130. Per la descrizione della
sommossa e dei motivi che la scatenarono rimando a ROSSI SABATINI, cit., pp. 203-209.
43 Si veda ROSSI SABATINI, cit., p. 209 e ss.
44 Sull’imprigionamento di Jacopo si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., p. 815. 45 Si veda RONZANI, «Figli del comune», cit., ibidem ed in particolare la nota 111. 46 Vedi ivi, p. 816.
47 Vedi M. BERG, Der Italienzug Ludwigs des Bayern. Das Itinerar der Jahre 1327-1330, in «Quellen und
Forschungen aus Italienische Archiven und Bibliotheken», Deutschen Historischen Institut in Rom, Band LXVII, 1987, p. 142.
27
1327 il Bavaro aveva convocato un parlamento a Trento di tutti i suoi sostenitori
italiani. Là lo raggiunsero rappresentanti del signore di Lucca Castruccio
Castracani, il vescovo di Arezzo Guido Tarlati, gli Este signori di Ferrara, Galeazzo
Visconti di Milano, Cangrande di Verona, Passerino Bonaccolsi di Mantova, il
signore di Como Franchino Rusca nonché un’ambasceria pisana
49.
Pare che allora il Bavaro non intendesse ancora discendere verso Roma (sembra
anzi che il suo proposito originario fosse di tornare subito dopo in Germania), né
avesse fatto grandi preparativi al riguardo durante l’estate del 1326 forse, come ha
supposto il Davidsohn
50, per non dover dipendere troppo dai potenti Asburgo; e
tuttavia il risultato della dieta fu proprio la decisione di venire in Italia per
restaurarvi la sovranità dell’Impero
51.
Sempre a Trento Ludovico fece condannare il pontefice Giovanni XXII accusandolo
tra i vari capi d’imputazione di aver perseguitato la dottrina della povertà
spirituale del Cristo
52.
48 Ricordo che dopo la morte di Enrico VII nel 1313 il principale rivale per il titolo regio di Ludovico
era stato proprio Federico III d’Asburgo; il Bavaro riuscì a prevalere solo dopo averlo sconfitto nella battaglia di Muhldorf del 28 settembre 1322.
49 Sull’intera vicenda si veda DAVIDSOHN, cit., pp. 1088- 1090 e brevemente anche H. THOMAS,
Ludwig der Bayer. Kaiser und Ketzer, Ratisbona, 1993, pp. 193-195. Il 4 gennaio fu spedito da
Innsbruck l’invito per Castruccio. Vi sono però delle incertezze sulla data dell’effettivo arrivo di Ludovico a Trento: la date più probabili sono tra il 4 ed il 10 gennaio, ma forse anche uno dei giorni successivi. In ogni caso Cangrande della Scala era arrivato in città il 15 gennaio, quindi il 12 potrebbe essere il giorno del possibile ingresso del re; seguirono il 31 gennaio Passerino, il 5 febbraio Marco e Azzone Visconti (in rappresentanza di Galeazzo, signore di Milano), il 24 febbraio Obizzo d’Este. Per i particolari della dieta di Trento rimando a M. BERG, cit., pp. 145-149.
50 Vedi DAVIDSOHN, cit., ivi, p. 1088; si veda anche BERG, cit., pp. 144-145.
51 Aspetto questo che viene sottolineato in DAVIDSOHN, cit., ivi, p. 1090 e anche in BERG, cit., ivi,
p. 144.
52 Vedi DAVIDSOHN, cit., ibidem; il Bavaro aveva già in precedenza accusato di eresia il pontefice
nell’appello di Sachsenhausen del 1324, si veda A. CADILI, I frati Minori dell’antipapa Niccolò V, in «Franciscana. Bollettino della Società internazionale di studi francescani», Fondazione Centro Italiano di studi sull’alto Medioevo, Spoleto, VI, 2004, p. 95 e ss. ed in particolare le note 2 e 3. Sulla disputa relativa alla povertà evangelica si vedano B. SCHIMMELPFENNIG, Il Papato. Antichità,
28
La dieta si concluse definitivamente il 14 marzo 1327 con la partenza del sovrano il
quale, dopo un viaggio di poco più di due mesi
53, il 17 maggio fece il suo ingresso
trionfale a Milano, dove fu presto raggiunto dai contingenti dei capi del partito
imperiale di tutta la penisola
54. Il 31 maggio, giorno di Pentecoste, il Bavaro fu
solennemente incoronato e consacrato re d’Italia nella basilica di S. Ambrogio dal
vescovo di Arezzo, lo scomunicato Guido Tarlati, e da Federico de’ Maggi, già
vescovo di Brescia. Ludovico si trattenne quindi a Milano per buona parte
dell’estate, durante la quale però gli riuscì assestare un durissimo colpo ai suoi più
potenti alleati lombardi: il 6 luglio fece convocare tutti i Visconti presenti in città ed
arrestò Galeazzo insieme al figlio Azzone ed al fratello Luchino. Sembra che una
simile azione fosse dovuta alle discordie e divisioni interne alla stessa casata dei
Visconti, e alle denunce che alcuni di loro avevano presentato al Wittelsbach sui
rapporti segreti tra Galeazzo ed il legato papale in Lombardia Bertrando del
Poggetto
55.
Medioevo, Rinascimento, Roma, 2006, p. 237 e ss. e G.L. POTESTA’, G. VIAN, Storia del cristianesimo,
Bologna, 2010, pp. 264-265.
53 Vedi BERG, cit., ivi, p. 149. Anziché proseguire verso sud, lungo la strada che passando per
l’antica chiusa di Volargne portava a Verona, il Bavaro si diresse verso nord. Qui svoltò ad ovest per la strada che passa per la Val di Sole e che conduce attraverso il passo del Tonale alla Val Camonica; da lì raggiunse Lovere sul lago d’Iseo, dove una parte del suo contingente fu traghettato fino ad Iseo. Il re invece proseguì lungo la via terrestre per la Val Cavallina ed il 18 marzo raggiunse la località di Trescore, allo sbocco della stessa, per entrare poi a Bergamo il giorno successivo. Il 22 marzo lasciò Bergamo e si diresse verso Como, dove pare che sia stato costretto ad attendere fino a maggio l’arrivo della regina Margherita e del suo seguito (il 3 maggio); Ludovico partì quindi da Como il 16 maggio con una scorta di 4000 cavalieri e verso sera raggiunse Monza. Per i dettagli dell’itinerario in Lombardia rimando a BERG, cit., pp. 150-155.
54 Vedi DAVIDSOHN, cit., p. 1094.
55 Azzone e Luchino furono liberati dietro pagamento di un riscatto di 25000 fiorini d’oro, mentre
altri 50000 fiorini giunsero al Wittelsbach dai Milanesi o per paura o perché lieti della caduta dei propri signori. Sull’incoronazione a re d’Italia e sulla caduta dei Visconti rimando a quanto riferito in DAVIDSOHN, cit., pp. 1094-1096 e in BERG, cit., pp. 155-158; si veda anche THOMAS, cit., p. 195 e ss.
29
Il Bavaro lasciò Milano il 13 agosto e convocò una nuova riunione presso il castello
di Orzinuovo
56, durante la quale non solo vennero decisi i piani per l’avanzata in
Toscana ma furono anche nominati, secondo quanto enunciava la dottrina del
Defensor pacis, vescovi per Cremona, Como e Città di Castello
57. Da qui proseguì la
sua marcia verso la Toscana
58senza incontrare alcuna resistenza da parte delle
truppe del legato Bertrando e il 1 settembre giunse a Pontremoli, dove fu
solennemente accolto da Castruccio
59; da lì il re fu accompagnato dal signore di
Lucca fino a Pietrasanta
60.
Assedio e conquista di Pisa (settembre- ottobre 1327).
Da Pietrasanta Ludovico mandò ambasciatori ai Pisani ma per tutta risposta questi
gli negarono l’ingresso nella loro città, provocando (così il Davidsohn
61) la sua ira,
56 Vedi DAVIDSOHN, cit., p. 1101 e BERG, cit., p. 158; pare che all’assemblea parteciparono oltre al
vescovo Tarlati e ai rappresentanti di Castruccio (allora impegnato in Toscana contro i Fiorentini che gli avevano sottratto i castelli di Santa Maria a Monte e di Artimino: vedi DAVIDSOHN, cit., pp. 1099-1100) anche Cangrande, Passerino Bonaccolsi e Rinaldo d’Este. Si veda BERG, cit., p. 159.
57 Si veda DAVIDSOHN, cit., p. 1101 e BERG, cit., ibidem; sull’influsso delle teorie del Defensor pacis
si veda DAVIDSOHN, cit., pp. 1085-1088 e THOMAS, cit., pp. 197-200. Sulla designazione dei vescovi per Como e Cremona (in questo caso il cappellano imperiale Dondino) si veda A. CADILI, cit., pp. 101-102 ed in particolare la nota 16.
58 Tra il 20 ed il 23 agosto il Bavaro è attestato presso Sonzino; il 23 agosto raggiunse Cremona e da
qui proseguì in direzione di Parma. Si veda BERG, cit., pp. 159-160.
59 Vedi soprattutto DAVIDSOHN, cit., p. 1101 si vedano anche BERG, cit., pp. 160-161 e THOMAS,
cit., p. 201.
60 Si veda DAVIDSOHN, cit., pp. 1101-1102 e BERG, cit. ibidem.
61 Vedi DAVIDSOHN, cit., ivi, p. 1102. Già durante l’incontro di Trento la delegazione pisana aveva
pregato il Bavaro di non mettere piede in città (si veda al riguardo ancora ivi, p 1090). Un simile atteggiamento era dovuto sia alla crescente vicinanza tra la figura del sovrano e quella del loro temutissimo vicino Castruccio sia dalla volontà di non pregiudicare i propri rapporti con la guelfa Firenze e il re di Napoli: si arrivò persino a congedare le masnade tedesche, perché non si unissero al contingente del Wittelsbach, e a chiedere aiuto e consiglio a Firenze, al re di Napoli e al pontefice, al punto che, per dirla con il Villani, «quasi si teneano più a reggimento di parte della Chiesa che ghibellina» (G. VILLANI, Nuova Cronica, a cura di G. PORTA, Fondazione Pietro Bembo, Parma, 1990-1991, vol. II, libro XI, 25, p. 549). Si veda ROSSI SABATINI, cit., pp. 161-162.
30
tanto più che Pisa era nota sia per la sua tradizione schiettamente ghibellina sia per
il grandissimo sostegno che aveva riservato al suo predecessore Enrico VII.
Si cercò allora di raggiungere un accordo grazie alla mediazione del vescovo di
Arezzo Guido Tarlati che si incontrò con tre rappresentanti della cittadinanza
presso Ripafratta; le trattative ebbero però un esito negativo, soprattutto perché i
Pisani si erano limitati a rinnovare la loro offerta di 60000 fiorini a patto che il
sovrano non mettesse piede in città
62. Fu allora che Castruccio fece la sua mossa e
con un’imboscata presso il Serchio catturò gli ambasciatori
63.
Fallita ogni via diplomatica, il 6 settembre 1327 iniziò l’assedio di Pisa. Ludovico,
accampatosi in un primo momento presso il monastero extraurbano di San Michele
degli Scalzi, fece circondare la città così da chiudere qualunque contatto tra Pisa e
l’esterno, mentre le sue truppe procedevano alla rapida occupazione di Porto
Pisano e dei principali centri del contado. Si gettarono poi due ponti sull’Arno, uno
in legno e uno di barche, così da facilitare i movimenti degli assedianti sulle due
sponde del fiume e rendere più efficace l’accerchiamento
64.
62 Si vedano DAVIDSOHN, cit., p. 1103 e ROSSI SABATINI, cit., p. 164. L’ambasceria era composta
da Lemmo Guinizzelli Sismondi (lo stesso personaggio, stretto collaboratore del conte Gherardo, che aveva aperto la riunione del clero cittadino del 27 marzo 1320 sopra ricordata), Albizzo da Vico e Jacopo da Calci; si veda VILLANI, cit., libro XI, 34, pp. 561-562.
63 Per l’episodio si veda DAVIDSOHN, cit., pp. 1103-1104, ROSSI SABATINI, cit., p. 164 e ss. e
BERG, cit., pp. 161-162. L’esito più significativo fu la lite che scoppiò in seguito tra Castruccio e il Tarlati: quest’ultimo alla fine lasciò l’accampamento del re per far ritorno nella sua Arezzo (in quel momento gli Aretini e gli abitanti di Città di Castello stavano assediando Monte Santa Maria) ma morì durante il viaggio il 21 ottobre 1327 presso il castello di Montenero in Val d’Orcia. Pare che in punto di morte si fosse pentito e avesse riconosciuto Giovanni XXII vero e legittimo papa ed eretico il Bavaro: vedi DAVIDSOHN, cit., pp. 1109-1111 ed anche BERG, cit., ivi, p. 162 e nota 71.
64 Per la descrizione dell’assedio si veda DAVIDSOHN, cit., p. 1104 e ROSSI SABATINI, cit., p. 164 e
ss. Sembra che il giorno dopo essersi accampato presso San Michele Ludovico si fosse trasferito nel sobborgo cittadino di San Marco, mentre Castruccio aveva concentrato le sue forze tra la porta di S. Donnino e quella della Legazia. Vedi BERG, ibidem; l’assedio è minuziosamente descritto anche in VILLANI, cit., libro XI, 35, pp. 562-565.
31
L’8 ottobre fu concordata la capitolazione e l’11 il Bavaro poté entrare con il suo
seguito in città: gli accordi prevedevano che quest’ultimo si sarebbe impegnato a
vietare l’ingresso a Castruccio e ai suoi sostenitori, mentre al Comune fu garantita
l’indipendenza in cambio dei 60000 fiorini d’oro già promessi
65. Tuttavia tre giorni
dopo i Pisani trasferirono al re la signoria sulla loro città e fu concesso di entrare
sia al temuto signore di Lucca sia ai fuoriusciti ghibellini; Ludovico a sua volta
approfittò della situazione e pretese subito dal Comune il versamento di altri
100000 fiorini d’oro, oltre ad imporre in seguito una tassa per 20000 fiorini al clero
cittadino
66.
Il Bavaro si trattenne a Pisa fino al 29 ottobre, prima di partire il 30 per la vicina
Lucca
67, e nel frattempo nominò suo vicario Baverio de’ Salinguerri da Gubbio, già
podestà della città, oltre ad insediarvi dei nuovi Anziani di sua scelta
68.
Il 4 novembre il re fu trionfalmente accolto a Lucca; da qui Castruccio lo condusse
a Pistoia ed insieme ispezionarono i castelli e le fortificazioni poste sui confini con
la nemica Firenze
69. Dopo che furono tornati insieme a Lucca in occasione della
festa di san Martino (11 novembre), il 17 novembre Ludovico nominò il Castracani
duca e gonfaloniere dell’Impero e lo investì del ducato ereditario di Lucca, Pistoia,
65 Vedi DAVIDSOHN, cit., pp. 1101-1102 e ROSSI SABATINI, cit., p. 166. Pare che durante l’assedio
il conte Fazio e Vanni, figlio di Banduccio Bonconti, avessero avviato delle trattative segrete con Castruccio per la resa della città; si veda DAVIDSOHN, cit., ivi, p. 1101 e BERG, cit., p. 163 e nota 78.
66 Vedi BERG, cit., p. 163, DAVIDSOHN, cit., pp. 1105-1106 e ROSSI SABATINI, cit., pp. 168-169. 67 Si veda BERG, cit., p. 164. Durante questo suo primo soggiorno in città il Bavaro si insediò presso
la Canonica del Duomo; vedi ROSSI SABATINI, cit., ivi, p. 168, nota 5.
68 Per il vicario fu creato il nuovo titolo di «potestas et gubernator generalis Pisanae civitatis et
Comunis pro regia maiestate»; pare tuttavia che Baverio in un primo momento abbia mantenuto il titolo podestarile, almeno fino a quando il re non lasciò la città per dirigersi verso Roma (metà dicembre 1327). Si veda M. RONZANI, L’imperatore come signore della città: l’esperienza pisana da
Arrigo VII a Carlo IV, in Le Signorie cittadine in Toscana. Esperienze di potere e forme di governo personale (secoli XIII- XV), a cura di A. ZORZI, Roma, 2013, pp. 125-126.
32
Luni e Volterra; inoltre a Castruccio- che pare avesse ricambiato la generosità del
sovrano con una altrettanto generosa offerta di 50000 fiorini d’oro- furono
assegnati alcuni castelli pisani e la città di Sarzana, oltre all’onore di ornare lo
stemma degli Antelminelli con i rombi azzurri di casa Wittelsbach
70.
Il 23 novembre il Bavaro e Castruccio tornarono a Pisa per ultimare i preparativi
per la spedizione verso Roma
71che però, malgrado la fretta, si trascinarono avanti
fino alla metà del mese successivo, cosicché la partenza fu possibile solo il 15
dicembre
72.
Sulla strada per Roma.
Lasciata la città alle spalle, Ludovico spedì le proprie avanguardie in ricognizione
per assicurarsi le vie di passaggio attraverso la Maremma
73. Il giorno di Natale
aveva raggiunto Castiglione della Pescaia e da lì il 29 dicembre era arrivato a
Grosseto
74: lo separava ora da Roma il fiume Ombrone in piena. L’attraversamento
si rivelò molto difficoltoso, al punto che un ponte di legno che era stato
70 Ovvero i castelli di Rotina in Versilia, di Montecalvoli in Val d’Arno e di Pietracassa in Val d’Era.
Per mettere a tacere i malumori che una simile operazione poteva procurare, nonché per rafforzare la sua posizione a Pisa, Castruccio fece sposare sua figlia Bertecca al conte Fazio di Donoratico. Si veda DAVIDSOHN, cit., p. 1109 e ROSSI SABATINI, cit., p. 170; sulla nomina del Castracani a duca vedi BERG, cit., ibidem, DAVIDSOHN, cit., pp. 1108-1109, ROSSI SABATINI, cit., ibidem (ma qui la nomina è anticipata all’11 novembre, sulla scia di quanto riferito dal Villani) e THOMAS, cit., p. 203. L’atto con cui il re costituiva il ducato di Lucca si legge in LAZZARESCHI, cit., doc. XLIII, pp. 372-376: tra i presenti figurarono fra gli altri Jacopo, vescovo di Castello, il vescovo di Aleria Gherardo Orlandi e lo stesso conte Fazio.
71 Vedi BERG, cit., p. 165.
72 Si vedano BERG, cit., ibidem e DAVIDSOHN, cit., p. 1111. Dopo aver lasciato Pisa il Bavaro si
accampò inizialmente presso il monastero di S. Remedio (ovvero S. Ermete di Orticaia), a tre miglia dalla città, in attesa dei rinforzi provenienti da Lucca; Castruccio però non raggiunse il re immediatamente ma solo tre settimane più tardi a Viterbo, preferendo prima provvedere alla sicurezza dei suoi possedimenti in vista della sua assenza. Vedi DAVIDSOHN, cit., pp. 1111- 1112. Ludovico nel frattempo lo aveva aspettato inutilmente fino al 21 dicembre prima di incamminarsi verso la Maremma; si veda BERG, cit., p. 166.
73 Vedi BERG, cit., ibidem. 74 Si veda ivi, pp. 166-167.