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Contenuto di acqua libera in pollini di diversa origine botanica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA` DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE AGRARIE, ALIMENTARI E AGRO-AMBIENTALI

Corso di Laurea Magistrale in


Biosicurezza e Qualità degli Alimenti

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

Contenuto di acqua libera in pollini di diversa origine botanica

RELATORI:


Chiar.mo Prof. Angelo CANALE Chiar.mo Prof. Carlo D’ASCENZI

CORRELATORE:


Chiar.mo Prof. Andrea SERRA

ANNO ACCADEMICO 2016/17

CANDIDATO: Lucia FIORETTI

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INDICE

RIASSUNTO ...3

1. INTRODUZIONE ...5

1.1 Il polline dal punto di vista botanico...5

1.1.1 Il granulo pollinico ...5

1.1.2 Come riconoscere un polline ...6

1.2 Composizione chimica ...8

1.3 Il polline come alimento ...9

1.4 Potere antiossidante ... 11

1.4.1 Proprietà antiossidanti nel polline ... 11

1.4.2 Capacità antiossidante del polline ... 13

1.4.2.1 Saggio DPPH ... 14

1.5 Produzione del polline ... 15

1.5.1 Bottinatura: il polline per le api ... 15

1.5.2 Principali fasi di produzione ... 17

1.5.2.1 Raccolta mediante trappole ... 17

1.5.2.2 Prima pulizia in campo... 19

1.5.2.3 Risanamento ... 19

1.5.2.4 Disidratazione polline “secco”... 20

1.5.2.6 Disidratazione polline “deumidificato fresco” ... 21

1.5.2.7 Confezionamento ... 21

1.6 Contenuto UR e aw ... 22

1.7 Metodi di conservazione polline ... 24

1.7.1 Conservazione del polline fresco a bassa temperatura ... 25

1.7.2 Liofilizzazione ... 25

1.7.3 Microonde ... 26

2. SCOPO DELLA TESI ... 27

3. MATERIALI E METODI ... 28

3.1 Campioni analizzati ... 28

3.2 Analisi palinologica ... 29

3.2.1 Metodo microscopico ... 29

3.2.2 Metodo della separazione per colore dei granuli... 30

3.2.3 Conteggio e identificazione dei granuli pollinici ... 31

3.3 Analisi bromatologica ... 33

(3)

3.3.2 Determinazione delle proteine grezze ... 34

3.3.3 Determinazione dei carboidrati ... 35

3.3.4 Determinazione delle ceneri ... 35

3.3.5 Determinazione dell’estratto etereo (grassi) ... 35

3.4 Essiccazione del polline fresco ... 37

3.5 Contenuto di acqua libera ... 38

3.6 Estrazione ... 38

3.7 Determinazione capacità antiossidante... 39

3.8 Modello statistico ... 40

4. RISULTATI... 41

4.1 Analisi palinologica ... 41

4.1.1 Metodo microscopico ... 41

4.1.2 Metodo separazione dei granuli per colore ... 45

4.2 Analisi bromatologica ... 47

4.3 Umidità, attività dell’acqua e capacità antiossidante ... 49

5. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI ... 54

5.1 Analisi palinologica ... 54

5.2 Umidità e aw... 54

5.3 Capacità antiossidante ... 54

(4)

RIASSUNTO

Il polline raccolto dalle api è un integratore alimentare ben bilanciato per l'alimentazione umana. Infatti, se comparato con altri alimenti, dimostra di avere un notevole valore nutritivo e funzionale, essendo ricco in proteine, grassi, fosforo, ferro, calcio, magnesio, vitamine e aminoacidi liberi.

Il polline fresco tal quale, raccolto dall'apicoltore con apposite trappole collocate all'ingresso dell'alveare, è altamente deperibile e deve essere disidratato in azienda con l’uso del calore per aumentarne la conservabilità.

Il polline d’api infatti, in relazione al suo contenuto in nutrienti, all’elevato tenore idrico e ai vari fattori di contaminazione microbica a cui è esposto, è una matrice in cui è possibile il verificarsi della proliferazione di microrganismi indesiderati, anche potenzialmente pericolosi per la salute umana.

Nel polline, la relazione tra umidità relativa (UR) e contenuto di acqua libera (aw) dipende

dalla origine botanica: pollini di diversa origine manifestano, infatti, differenti valori di aw

agli stessi valori di UR. Per l’apicoltore è quindi molto importante conoscere come vari il contenuto di acqua libera dei pollini in funzione della variazione di umidità relativa, in maniera da condurre il processo di disidratazione, per la specifica tipologia di polline, solo fino al raggiungimento di quei valori di aw in grado di garantire sicurezza microbiologica

(aw di circa 0,6) e minimizzando in tal modo le perdite del suo valore funzionale.

Obiettivo di questa tesi è stato quello di valutare la relazione tra il contenuto di umidità relativa e acqua libera in tre pollini toscani di diversa origine botanica, sottoposti a differenti tempi di disidratazione alla temperatura controllata di 40 °C. Questo ha permesso di simulare, in laboratorio, le condizioni di processo che più comunemente sono adottate nelle aziende apistiche italiane per il condizionamento del contenuto di acqua del polline. Ha permesso, inoltre, di definire delle curve che mettessero in relazione le variazioni di UR con quelle di aw, al variare di tempi di essiccazione in stufa.

L’analisi palinologica sui tre pollini ha evidenziato che essi erano riconducibili alle seguenti categorie: (a) millefiori con prevalenza di frassino, (b) polline uniflorale di castagno e (c) millefiori. Questi pollini sono prevalenti negli areali apistici toscani e molto diffusi nel mercato regionale.

Per i tre pollini sopra menzionati, l’umidità al momento della raccolta superava il 20%; tuttavia, tempi di disidratazione di sole 5 ore hanno permesso di ridurre la loro UR all’incirca del 50%, limite al sotto del quale è garantita la loro sicurezza microbiologica. Si è visto inoltre che, ai vari tempi di trattamento in stufa, la riduzione del contenuto di acqua libera

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decorreva in modo pressoché proporzionale alla diminuzione dell’umidità relativa, raggiungendo ai valori più bassi di UR dei valori di aw pari a 0,3 - 0,2 (acqua di monostrato,

insufficiente per la crescita di microrganismi). Non sono state osservate differenze sostanziali nelle variazioni di UR e aw tra i tre pollini ai differenti trattamenti di disidratazione. Per valutare eventuali effetti negativi sul valore funzionale dei pollini ai differenti trattamenti di disidratazione, gli stessi sono stati sottoposti ad analisi mirate a misurarne il loro potere antiossidante. Al meglio delle nostre conoscenze, questo è il primo studio che ha valutato il potere antiossidante del polline mediante il saggio DPPH.

I risultati scaturiti da questo saggio hanno messo in evidenza che il polline di castagno, in particolare, presenta una rilevante attività antiossidante e che il trattamento in stufa ne determina un leggero aumento, a differenza del polline millefiori che è risultato avere una bassa attività antiossidante, che viceversa decade aumentando il tempo di trattamento in stufa.

(6)

1.

INTRODUZIONE

1.1 Il polline dal punto di vista botanico

1.1.1 Il granulo pollinico

La parola polline deriva dal termine latino “pollen – pollinis”, che significa “fior di farina” ed era usato per descrivere la polvere finissima che durante la setacciatura si staccava dalla crusca. Questo termine fu utilizzato per la prima volta dal botanico tedesco Valerius Cordus (1515 – 1544), che aveva osservato una polvere finissima sulle antere di un giglio, ovvero il polline (Bortolotti, et al., 2017).

Il polline è una microspora prodotta negli organi riproduttivi maschili delle piante (Palmieri, et al., 2017). La sua formazione avviene all’interno delle antere che sono formate da due teche unite da tessuto connettivo; da ogni teca origina una o più sacche polliniche entro le quali si differenziano le microspore o gametofiti maschili o granuli pollinici. All’interno delle sacche polliniche inizia il processo di maturazione che si conclude dopo l’impollinazione degli organi femminili. Quando il polline è giunto a maturazione le antere si aprono (deiscenza) esponendolo all’ambiente circostante (Pasqua, et al., 2015).

Si disperde per mezzo di acqua, vento, insetti, etc. e, tramite emissione del tubetto pollinico, può fecondare l’ovulo contenuto nei fiori di piante della stessa specie (Palmieri, et al., 2017). Le piante spermatofite si dividono in Angiosperme, i cui semi sono protetti dal frutto (melo e pero), e in Gimnosperme, dette così perché il loro seme non è protetto dal frutto (pini e abeti) (Erdtman, 1986).

Il polline è formato da tre strati concentrici (Figura 1): uno esterno, esina, uno intermedio, intina e uno più interno denominato citoplasma. L’esina è composta da sporopollenina, sostanza che conferisce al polline notevole resistenza (Gonzalez Paramas, et al., 2006), e l’intina è uno strato di cellulosa che circonda il citoplasma. Insieme, vanno a costituire la parete del granulo, detta sporoderma.

L’esina è la parte durevole del polline che ne permette la conservazione in matrici differenti, incluso il miele. Ci sono pollini in cui questi due strati sono sempre presenti, altri in cui

Figura 1 - Morfologia di un granulo pollinico Hedera helix

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invece l’esina è assente e, in questo caso, l’intina è più spessa e strutturata (Roulston, et al., 2000).

1.1.2 Come riconoscere un polline

Visti al microscopio i granuli pollinici non sono tutti uguali, anzi differiscono tra loro con differenze tanto maggiori quanto le specie delle piante produttrici sono distanti sistematicamente (Bortolotti, et al., 2017).

Per riconoscere un granulo pollinico è fondamentale valutare delle caratteristiche come la forma, le dimensioni, le aperture, la superficie, lo spessore dell’esina, la natura del citoplasma e il colore.

Nell’andare a valutare la forma del granulo pollinico, si osserva il polline in due diverse posizioni: la prima viene definita visione polare, quando l’asse ottico dell’osservatore è perpendicolare all’asse equatoriale del polline; la seconda, definita visione equatoriale, quanto l’asse ottico è perpendicolare all’asse polare. Nelle due visioni posso vedere forme diverse dello stesso polline che mi consentono di riconoscerne la forma finale.

Si possono osservare pollini circolari, di forma ellittica, ovoidali, triangolari, quadrangolari, pentagonali, esagonali, ecc. (Palmieri, et al., 2017).

Le dimensioni del granulo pollinico maturo sono molto variabili: si va dai 5-6 µm fino ai 180 µm.

Generalmente i pollini sono provvisti di una o più “aperture”, ovvero delle zone in cui la superficie del granulo è assottigliata per consentirne la germinazione con la fuoriuscita del tubo pollinico. Si possono evidenziare tre principali tipi di aperture: colpo, poro, colpo con poro.

La superficie esterna del granulo pollinico è caratterizzata dalla presenza di sculture di forma e dimensioni diverse tipiche di ciascun polline. Ogni tipo di scultura viene classificata utilizzando un nome specifico, ad esempio psilata, a superficie liscia o gemmata con elementi a forma di gemma, ecc. (Erdtman, 1986). Anche la natura del citoplasma può contribuire alla corretta determinazione di una specie pollinica: il citoplasma al microscopio

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ruvido o granuloso. Infine, anche il colore può essere utile per il loro riconoscimento (vedi Figura 3). Ad esempio la colorazione rosacea di alcune specie di Carduus, o il colore violaceo di alcune Campanulaceae, o la colorazione giallastra della Rosa canina (Palmieri, et al., 2017).

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1.2 Composizione chimica

La composizione del polline varia notevolmente a seconda della tipologia di fiori visitati: esistono infatti notevoli differenze quali/quantitative nel polline a seconda dell’origine botanica. La composizione nutrizionale del polline può variare anche, quando destinato all’ alimentazione umana, sulla base del trattamento termico cui è stato sottoposto (Human, et al., 2006).

Ogni granulo pollinico è un’entità biologica che contiene il necessario alla vita.
 Composizione del polline:

Componenti Contenuto min/max

g/100g su peso secco Umidità 4 - 30 Carboidrati 13 - 55 Proteine 10 - 40 Lipidi 1 - 13 Ceneri 2 - 6

Tabella 1 - composizione chimica polline (Campos, et al., 2008)

L’evoluzione del proprio ruolo biologico ha condotto il polline ad acquisire una composizione nutrizionale particolarmente ricca (D’Ascenzi, et al., 2018). Oltre all’elevata componente proteica e alla presenza di aminoacidi essenziali, esso contiene anche una quota importante di minerali (specialmente potassio, calcio, magnesio, fosforo, ferro e sodio), enzimi (inclusi catalasi, amilasi e sucrasi), materiali antibatterici, vitamine, acidi grassi, acidi organici, lipidi, flavonoidi e carboidrati (glucosio, fruttosio, saccarosio, trealosio, isomaltosio, maltosio, ramnosio e melezitosio), per un totale di circa 250 sostanze.

Inoltre, alcuni composti trovati in questo alimento, come i polifenoli, flavonoidi, carotenoidi, e le vitamine A, C ed E, gli conferiscono un elevato potenziale antiossidante (dos Santos Vasconcelos, et al., 2017).

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1.3 Il polline come alimento

Il polline d’ api è un integratore alimentare ben bilanciato per l'alimentazione umana. Un effetto benefico dell'integrazione alimentare con il polline è stato riportato sia negli animali che nell'uomo.

Uno dei possibili meccanismi con cui il polline agisce a livello molecolare è associato alla regolazione e al potenziamento del metabolismo delle proteine, quindi risulta utile nel recupero da malnutrizione ed è particolarmente favorevole per gli individui anziani ospedalizzati dove la malnutrizione è uno stato responsabile di morbilità e mortalità. È stato dimostrato che una dieta arricchita in polline ricco di proteine è adatto per i bambini con una mancanza di appetito; è particolarmente vantaggioso per i pazienti dopo l'intervento chirurgico.

Il polline ricco di sostanze nutritive può ridurre gli effetti collaterali delle chemioterapie o radioterapie e migliora le condizioni dei pazienti.

L'assunzione regolare di polline d'api fresco è benefico per le persone che svolgono un duro lavoro fisico e mentale.

L'integrazione dietetica con polline d'api ha come risultato il rafforzamento della funzione muscolare e l'aumento della massa corporea (Denisow, et al., 2016).

Nel microbiota intestinale delle api sono stati individuati batteri lattici (LAB) e batteri acetici (AAB). I primi sono noti probiotici ampiamente utilizzati per migliorare le difese immunitarie di molti organismi, uomo compreso (Ilari, et al., 2014).

Inoltre, la grande varietà di metaboliti primari e secondari contenuti in questo prodotto determina una vasta gamma di proprietà e bioattività, vale a dire antiossidante, antinfiammatorio, anticarcinogeno, antibatterico, antifungicida, epatoprotettivo, attività anti-aterosclerotica (Figura 4) (Feás, et al., 2012). Date le proprietà nutrizionali dei composti di polline d'api, è dunque raccomandato come prezioso integratore alimentare.

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Figura 4 - Potenziali proprietà terapeutiche del polline d'api e meccanismi biologici correlati alle componenti chimiche presenti nel polline (Denisow, et al., 2016)

Le benefiche proprietà del polline, potrebbero essere sfruttate per fini terapeutici, in particolare potrebbe essere utile nella prevenzione di malattie nelle quali sono coinvolti i radicali liberi (Pascoal, et al., 2014).

La principale difficoltà per le applicazioni del polline d'api nella fitomedicina moderna è legata all'ampia variazione dell'origine dei fiori, della temperatura dell'aria e della composizione chimica del suolo vegetale, poiché queste oscillazioni possono contribuire in modo diverso alle proprietà, all'attività biologica e agli effetti terapeutici del polline d' api. Anche il polline d'api delle stesse specie di piante raccolte in aree distinte conterrà differenze nella loro qualità chimica e sono necessarie ricerche approfondite prima che il polline d'api possa essere usato in terapia, sebbene possa essere inequivocabilmente raccomandato come un prezioso integratore alimentare (dos Santos Vasconcelos, et al., 2017 e Graikou, et al., 2011).

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1.4 Potere antiossidante

1.4.1 Proprietà antiossidanti nel polline

L'ossidazione dei lipidi negli alimenti è responsabile della formazione di aromi indesiderati e composti chimici indesiderabili che possono essere dannosi per la salute. Gli antiossidanti sono usati dall'industria alimentare per ritardare il processo di ossidazione (Brand-Williams, et al., 1995).

Gli antiossidanti sono sostanze chimiche (molecole, ioni, radicali) che, in basse concentrazioni rispetto al substrato ossidabile, sono in grado di rallentare o prevenire l’ossidazione del substrato stesso. L'antiossidante si oppone all'ossidazione o inibisce le reazioni indotte dall'ossigeno o dai perossidi, quindi la presenza di antiossidanti nel polline riduce gli effetti dannosi dei radicali liberi nella cellula e può rallentare le reazioni di ossidazione negli alimenti (Aličić, et al., 2014).

Tra gli antiossidanti più diffusi ci sono gli antociani e i flavonoidi, che sono responsabili della colorazione di fiori e foglie, in grado di attirare gli insetti impollinatori; inoltre sono presenti lignina e tannini che danno un supporto strutturale. I flavonoidi e altre sostanze fenoliche semplici funzionano da regolatori e sono fitormoni.

Esistono numerosi studi che hanno messo in evidenza sostanze bioattive nel polline come fenoli, flavonoidi, antociani, fosfolipidi e proteine.

I principali flavonoidi e composti fenolici bioattivi, i quali sono uno degli elementi più critici legati all'attività antiossidante nel polline, sono naringenina, isoramnetina3-O-rutinoside, ramnetina-3-O-neoesperidoside, isoramnetina, rutinoside, quercetina3-O-neoesperidoside, kaempferolo e quercetina e la loro quantità totale è compresa tra 0,3-1,1 % p / w (Han, et al., 2012). Di solito contiene anche acido vanillico, acido protocatecuico, acido gallico, acido p-cumarico, esperidina, apigenina, luteolina, e la rutina che ne rappresenta il miglior identificatore (Bonvehí, et al., 2001).

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L'abilità antiossidante è stata generalmente attribuita all'attività degli enzimi antiossidanti (principalmente superossido dismutasi, perossidasi e catalasi) e al contenuto di antiossidanti a basso peso molecolare come carotenoidi, tocoferoli, acido ascorbico, sostanze fenoliche (Leja, et al., 2007).

Gli antiossidanti sono considerati come possibili agenti di protezione che riducono il danno ossidativo a importanti biomolecole, tra cui la lipoproteina e il DNA (acido desossiribonucleico) da ROS (specie reattive dell'ossigeno). Lo stress ossidativo, conseguenza di uno squilibrio tra la generazione di ROS e gli antiossidanti nell'organismo, avvia una serie di eventi biochimici dannosi associati a diversi processi patologici che possono portare a vari danni e malattie cellulari (Aličić, et al., 2014).

Si ritiene che i prodotti delle api siano grandi fonti di antiossidanti. Secondo Nagai et al., 2001 esiste una significativa attività antiossidante nei pollini e in altri prodotti delle api. Tuttavia, un polline differisce da un altro sia qualitativamente che quantitativamente in contenuto di antiossidanti, perché come già abbiamo detto dipendono dalle specie botaniche da cui originano. Allo stesso tempo il polline d'api, come altri prodotti delle api (miele, propoli) rappresentano fonti preziose di questi costituenti salutari caratterizzati da un'elevata attività antiossidante (de Arruda, et al., 2013). Questi vari meccanismi dell'attività antiossidante consentono un'ampia gamma di test di scavenging e di lipossidazione dei

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Molti degli studi attuali si occupano di determinare l'attività antiossidante di campioni di polline di diversa origine geografica e stabilire una correlazione con il contenuto di composti fenolici e di altri composti (Aličić, et al., 2014).

1.4.2 Capacità antiossidante del polline

La misura dell'attività antiossidante può essere espressa dalla capacità antiossidante. Sono stati sviluppati diversi metodi per determinare la capacità antiossidante, come la rimozione o l'inibizione di radicali liberi o ioni metallici chelanti, che altrimenti potrebbero portare alla formazione di radicali liberi. Le proprietà antiossidanti degli estratti di polline non possono essere valutate con un solo metodo a causa della complessa natura dei loro costituenti i quali si basano su diversi meccanismi di difesa antiossidante.

Esistono vari metodi disponibili nella valutazione della capacità antiossidante del polline. Questi metodi differiscono in termini di principi del saggio e condizioni sperimentali: ci sono i metodi enzimatici e quelli non enzimatici.

I metodi non enzimatici sono metodi indiretti (DPPH, ABTS +, FRAP), quelli enzimatici sono invece metodi diretti (metodo ORAC) (Aličić, et al., 2014).

Nel saggio DPPH, le molecole antiossidanti presenti nel campione in analisi reagiscono con il DPPH (2,2-difenil-1-picrylhydrazil), un radicale libero, che si riduce, in quanto accetta un elettrone o un idrogeno radicale, e diventa una molecola stabile. Il radicale DPPH è ampiamente utilizzato per lo screening preliminare di composti in grado di eliminare specie di ossigeno attivato poiché sono molto più stabili e più facili da gestire rispetto ai radicali liberi dell'ossigeno (Tominaga, et al., 2005). Il cambiamento di assorbanza è monitorato a 517 nm (Campos, et al., 2003 ).

Il saggio ABTS, molto utilizzato per la sua relativa semplicità, si basa sull’inibizione dell’assorbanza del catione radicale ABST+ (2,2’-azino bis-3- etilbenzotiazoline-6-solfonico) a carico degli antiossidanti. La capacità antiossidante si misura in TEAC (Trolox Equivalent Antioxidant Capacity), ovvero si ricorre all’acido ascorbico come standard di riferimento.

Il saggio FRAP, che trova largo impiego per la sua semplicità, misura la riduzione dello ione ferroso a ione ferrico determinata dagli antiossidanti presenti (Aličić, et al., 2014).

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1.4.2.1 Saggio DPPH

Il saggio DPPH viene impiegato nello studio dell’attività antiradicalica in vitro e comunemente utilizzato per la valutazione dell’attività scavenger verso i radicali liberi. Si tratta di un metodo riproducibile ed accurato che si basa sulla decolorazione di una soluzione del radicale 1,1-difenil-2-picrilidrazile (DPPH.), come descritto Brand-Williams, et al.

Il DPPH. è una molecola radicalica stabile, grazie ad un esteso sistema di delocalizzazione dell’elettrone spaiato. L’assetto elettronico delocalizzato previene infatti la dimerizzazione della molecola (come invece accade per molte altre specie radicaliche) ed è responsabile dell’intensa colorazione viola, dotata di assorbanza massima a 515 - 520 nm.

Quando una soluzione di DPPH. viene posta a contatto con un substrato donatore di elettroni o di idrogeno si passa ad una forma non-radicalica stabile, con viraggio della soluzione a giallo tenue; l’entità della decolorazione è proporzionale all’attività antiradicalica evidenziata nei confronti del DPPH. e può essere monitorata per analisi spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di 517 nm.

Figura 9 – Formazione della specie non radicalica

I risultati possono venire espressi come EC50, ovvero la concentrazione di prodotto che causa

una diminuzione del DPPH● iniziale del 50%, oppure in mol Trolox® equivalenti, utilizzando il Trolox® come standard

.

(16)

1.5 Produzione del polline

1.5.1 Bottinatura: il polline per le api

È l’attività svolta dalle api, che utilizzando piccole quantità di miele prelevato dai favi, impastano il polline dei fiori visitati.



Il polline, oltre a servire all’impollinazione entomofila (da parte di insetti) è oggetto di importante interesse alimentare da parte delle api. Infatti, se il nettare viene utilizzato come alimento energetico dalle api adulte, il polline viene attivamente raccolto in quanto necessario al loro sostentamento ed in particolare a quello della prole, poiché rappresenta la prima fonte di proteine della loro dieta e contiene tutti gli amminoacidi indispensabili ad un corretto sviluppo biologico, e anche minerali, lipidi e vitamine (Palmieri, et al., 2017). La raccolta del polline è dunque pressoché coincidente con la deposizione della covata, e sarà quindi la necessità di soddisfare il fabbisogno in polline delle giovani larve a regolarne la raccolta (dos Santos Vasconcelos, et al., 2017).

La raccolta del polline è affidata a bottinatrici specializzate. La raccolta avviene attraverso due fasi distinte:

a) raccolta del polline dal fiore che può avvenire con modalità differenti: da piante anemogame avviene per lacerazione delle antere, mentre nei fiori di piante entomogame la raccolta è più immediata in quanto il polline viene liberato con una leggera oscillazione delle antere, tendenzialmente sono quindi preferite rispetto alle anemogame (Contessi, 2010);

b) formazione della pallottola o curbiculetta. Dopo essersi ricoperte di polline le api si rialzano in volo per raggiungere un altro fiore o tornare all’alveare. Durante il volo eseguono una serie di movimenti con le zampe che le ripuliscono dal polline e portano alla formazione delle curbiculette.

Durante queste operazioni mischiano al polline il contenuto della borsa melaria, nettare o miele questa operazione rende il colore delle pallottole differente da quello dello stesso polline presente sulle antere (Bortolotti, et al., 2017).

L’attività riproduttiva dell’ape regina e la longevità della colonia sono influenzati sia della quantità, sia dalla qualità del polline, del quale è rilevante non solo l’apporto proteico, ma

(17)

anche il profilo amminoacidico, che soddisfa i fabbisogni quotidiani in amminoacidi essenziali, e il contenuto in acidi grassi, alcuni dei quali hanno infatti un’azione antimicrobica (dos Santos Vasconcelos, et al., 2017). La ricerca del polline da parte delle api avviene nel raggio di bottinamento, corrispondente a una distanza di 3 km dall’alveare. I parametri di scelta da parte delle api riguardano il contenuto proteico, quello lipidico e la presenza di alcuni steroli, che sono per loro attrattivi. Individuato quindi il pascolo migliore tra quelli disponibili, la raccolta del polline avverrà quasi esclusivamente a carico di quella particolare specie botanica. Infatti, dall’analisi palinologica emerge che molto frequentemente il polline è monoflorale, ovvero il 45% del polline proviene da un’unica specie (de Arruda, et al., 2013).

Nel momento in cui l’ape entra a contatto con il fiore si imbratta e si cosparge di polline. Con il primo paio di zampe inizia a ripulirsi il capo, con il secondo rimuove il polline aderente alla superficie ventrale del torace e con il terzo paio, infine, si ripulisce l’addome. Il polline così recuperato viene agglomerato con la saliva e il nettare attraverso la pressa (meccanismo presente tra tibia e tarso del III paio di

zampe dell’ape che permette di compattare il polline raccolto), in modo da costituire delle piccole curbiculette che vengono poi trasferite e accumulate nella cestella assumendo la caratteristica forma della pallottola (Palmieri, et al., 2017 e Contessi, 2010). Cambia quindi anche la sua composizione chimica, poiché aumenta il contenuto in carboidrati, principalmente il glucosio e il fruttosio presenti nel nettare. Un’ape può raccogliere mediamente 300 mg di polline al giorno (Bortolotti, et al., 2017 e Contessi 2015).

Ogni cestella potrà contenere
una quantità massima pari a 7,5 g, a
questo punto l’ape non potrà
raccogliere altro polline per cui dovrà
tornare nell’alveare e libererà la
cestella grazie a una spina presente sul
secondo paio di zampe, il polline quindi
sarà immagazzinato in due punti
diversi, ovvero nei telaini di covata, con
una disposizione tipica a corona tra le celle di covata e quella contenente il miele, oppure nei telaini adiacenti, cosiddetti di scorta, dove troviamo
esclusivamente polline e miele (Contessi 2015).

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Gli apicoltori catturano il polline prima che questo sia immagazzinato all’interno dell’alveare, non quando si trova nelle celle, attraverso l’utilizzo di trappole che intercettano il polline trasportato dalle api di ritorno dall’attività di bottinamento (Bortolotti, et al., 2017).

1.5.2 Principali fasi di produzione

Tabella 2 – Layout del processo di produzione del polline (Metalori, 2017)

1.5.2.1 Raccolta mediante trappole

Il polline viene raccolto per mezzo di trappole, il cui principio di funzionamento si basa sull’intercettare, per mezzo di una griglia calibrata, le api di ritorno dall’attività di bottinamento.

Nella griglia sono presenti delle aperture laterali per l’ingresso dei fuchi, denominate sfucatori, e fori di minore grandezza (4 mm di diametro), che consentono l’ingresso dell’ape operaia. Il diametro del torace dell’ape è proprio di 4 mm, quindi l’ape attraverserà la griglia con difficoltà e perderà parte del polline presente nelle cestelle del terzo paio di zampe. La pallottola di polline cade dunque attraverso la rete in acciaio inox del cassetto sottostante e da lì potrà essere raccolto dall’apicoltore (Palmieri, et al., 2017).

La scelta della trappola viene fatta in base al tipo di arnia che si ha a disposizione; molti apicoltori italiani preferiscono utilizzare il cassettino raccogli polline mobile, perché permette il raccolto giornaliero con il solo spostamento del cassettino e non di tutta la trappola. Questo deve avere una capienza di almeno 1,5 kg di polline che è il quantitativo massimo che in uno - tre giorni si può raccogliere.

Raccolta del polline dalle trappole applicate agli alveari ed interventi preliminari (Polline grezzo)

Vagliatura per eliminare le impurezze

Risanamento (-18° C per 24h) e deposito a basse temperature Asciugatura/Disidratazione

Tipologia “fresco” (T < -10°C): UR:9-15%

aw:£ 0,60

Tipologia “disidratato” (T ambiente): UR:4-8%

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In commercio sono attualmente disponibili numerose trappole, che tuttavia possono essere ricondotte a tre tipologie:trappole da entrata, sono poste davanti all’apertura di volo abituale delle api; trappole inferiori, poste sotto il nido, al posto del fondo dell’arnia. Infine, sono presenti in commercio le trappole da soffitta, inserite al posto della soffitta sul nido o sul melario.

Per effettuare una buona raccolta del polline, l’apicoltore deve sapere in quale momento posizionare le trappole e quanto a lungo lasciarle, ovvero deve conoscere i periodi di fioritura delle singole piante pollinifere.

Le api iniziano la raccolta del polline con le prime fioriture durante la stagione primaverile, quando, con la ripresa della deposizione della covata da parte dell’ape regina, si manifesta un fabbisogno in polline per il nutrimento delle giovani larve.

Il momento più opportuno per inserire le trappole nell’apiario è dunque a primavera inoltrata, non appena cioè la covata avrà raggiunto un certo grado di estensione.

Inoltre, va eseguita possibilmente la sera, allo scopo di evitare un ulteriore assorbimento di umidità dell’ambiente durante la notte. Nei periodi asciutti la raccolta può essere eseguita ogni due giorni, mentre nei periodi piovosi o con elevata umidità ambientale è consigliabile effettuarla giornalmente.

Le trappole vanno applicate a tutte le arnie presenti nell’apiario, ma dopo due giorni dalla prima raccolta di polline, nelle famiglie che non ne hanno prodotto un quantitativo “mediamente” rilevante, dovranno essere tolte (Metalori, 2017).

L’efficienza delle trappole deve essere mantenuta intorno al 10%, così da non rompere l’equilibrio nutrizionale all’interno della colonia.

Le api, tuttavia, riuscendo a trovare ingressi alternativi (aperture naturali, sfucatori o gli stessi fori), tendono ad aggirare la trappola determinando una minore efficienza.

Risulta quindi opportuno variare il tipo di griglia cribrata (per forma e/o diametro), alternare l’apertura degli sfucatori e provvedere tempestivamente alla riparazione di eventuali aperture presenti (Contessi 2015).

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1.5.2.2 Prima pulizia in campo

Una volta che il polline viene raccolto, è importante, già in campo, effettuare una prima pulizia per rimuovere il materiale grossolano utilizzando un piccolo vagliatore con maglie da 4 mm.

Tale pulizia è essenziale per eliminare le impurità più grossolane, come le parti del corpo delle api o corpi estranei presenti nel cassettino, i quali, se messi in congelatore insieme al polline, frantumandosi in piccole parti, andrebbero a finire sul prodotto rendendo difficoltosa la seconda pulizia che viene effettuata nei locali di lavorazione successivamente.

La seconda pulizia o vagliatura avviene a seguito delle fasi di deumidificazione del polline ed avviene attraverso macchinari che si basano sul principio del peso specifico del polline e che permette di separarlo da altre impurità eventualmente presenti.

1.5.2.3 Risanamento

Una volta trasportato ai locali di lavorazione nel più breve tempo possibile, deve essere racchiuso in contenitori e posto in cella frigorifera a -18°C.

E’ importante che il polline fino alla fase di lavorazione/deumidificazione venga conservato all’interno dello stesso contenitore, in quanto ogni travaso può esporlo a contaminazioni o alterarne le caratteristiche (Metalori, 2017).

In uno studio riportato da Giusti, et al., 2011, e pubblicato su www.apitalia.net, è stata allestita una prova per valutare la carica batterica e la quantità di muffe e di lieviti di una partita di polline allo stato congelato e dopo lo scongelamento in due modalità di confezionamento diverso: uno lasciato a temperatura ambiente per 48 ore in una vaschetta da alimenti, chiusa, e l’altro messo sottovuoto e lasciato nella busta sigillata del sottovuoto per 48 ore (sempre a temperatura ambiente).

I risultati delle analisi microbiologiche mostrano che il polline rimane sostanzialmente stabile dopo 48 ore dallo scongelamento sia dal punto di vista della carica batterica che della

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quantità di muffe e lieviti presenti. Uno scongelamento anche accidentale di poche ore risulterebbe, quindi, innocuo per il prodotto, almeno per quanto riguarda la sua stabilità microbiologica; per quanto in generale è sempre sconsigliabile congelare e scongelare gli alimenti. Dal lavoro emerge che, limitatamente alle condizioni sperimentali impiegate, il polline congelato è microbiologicamente stabile dopo uno scongelamento di 48 ore. In base a tali risultati la modalità di conservazione e di confezionamento sottovuoto risulta essere superflua. Ciò significa che tali risultati sono validi solo per un polline congelato e perfettamente pulito, stoccato con un’umidità opportuna e ben conservato. È bene sempre ricordare che il polline troppo umido può fermentare e ammuffire, con un deterioramento irreversibile del prodotto, che può anche essere pericoloso per il consumo umano (Contessi, 2010 e Pistoia, 2015). In generale, il polline congelato, se e solo se, opportunamente pulito e stoccato al giusto grado di umidità, è un prodotto tendenzialmente stabile da un punto di vista microbiologico.

1.5.2.4 Disidratazione polline “secco”

Il polline come prodotto in commercio viene classificato in due gruppi: polline secco e polline deumidificato fresco.

Il primo è ottenuto mediante il processo di deumidificazione mirato a far sì che il prodotto finito mantenga un grado di umidità compreso tra il 4-8%. L’apicoltore prima di procedere con la deumidificazione, verifica il grado di umidità di partenza del polline attraverso uno strumento, l’igrometro. Conoscere questo parametro è fondamentale per ottenere una corretta deumidificazione attraverso le macchine deumidificatrici che sono dotate di una termobilancia attraverso cui impostare il valore dell’umidità in eccesso da rimuovere. Per evitare l’acidificazione del prodotto, dovuta ad un elevato contenuto di grassi insaturi, è bene effettuarla in tempi brevi ed è importante che avvenga ad una temperatura costante, non superiore ai 38 °C.

La termobilancia verrà impostata sulla base della quantità di acqua da sottrarre al campione per arrivare ad una umidità dello stesso del 4-8%.

La durata del processo varia in base a tre parametri: tipo di macchinario, grado di umidità di partenza del polline e tipologia di polline.

Il polline secco verrà poi conservato in sacchi alimentari dove resterà fino a vagliatura finale e collocato in cella frigo a -18°C.

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1.5.2.6 Disidratazione polline “deumidificato fresco”

Tale tipologia di polline deve presentare un’umidità massima del prodotto finito e pronto per la commercializzazione compreso tra il 15-17 %, ad eccezione del polline di castagno che invece dovrà avere un’umidità inferiore rispetto agli altri, in quanto in esso ci sono maggiori probabilità che si verifichino processi di acidificazione del prodotto, quindi la percentuale di umidità per il castagno non deve superare il 5-6%.

Per questa tipologia di prodotto commerciale viene quindi effettuata una deumidificazione più blanda, visto che la quantità di acqua da togliere è inferiore.

Il polline deumidificato fresco viene immediatamente pulito e confezionato e stoccato a -18°C.

1.5.2.7 Confezionamento

Il polline secco può essere conservato a temperatura ambiente, ma in luogo asciutto, al riparo dalla luce e da fonti di calore (meglio se in un contenitore di vetro). Il polline deumidificato fresco deve essere conservato in freezer fino al consumo, e per questa ragione è opportuno utilizzare delle vaschette per alimenti richiudibili.

Per quanto riguarda la data di scadenza del polline è consigliabile indicare la data dei 18 mesi, sia per il polline secco che per il deumidificato fresco, a patto che, quest’ultimo sia conservato in freezer a -18°C.

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1.6 Contenuto UR e a

w

L’attività dell’acqua (aw) è la misura del grado di libertà dell’acqua presente nell’alimento e

che è quindi in grado di partecipare alle reazioni biochimiche, fisiche ed enzimatiche. Rappresenta il parametro termodinamico espresso come rapporto tra la tensione di vapore sulla superficie del prodotto alimentare e la tensione di vapore sulla superficie del solvente puro (acqua distillata) alla stessa temperatura (20°C). La scala di valori, compresa tra 0 e 1, è riferita non alla quantità ma alla mobilità dell’acqua. Il parametro è strettamente correlato con lo sviluppo microbico e con molte reazioni chimiche e biochimiche, per cui ha grande rilevanza ai fini della sicurezza e della conservabilità dei prodotti alimentari (Cappelli, et al., 2005).

Il polline fresco tal quale è in genere molto umido e altamente deperibile a temperatura ambiente, quindi deve essere disidratato, almeno in parte, per ridurne il deterioramento e aumentarne la conservabilità oppure, in alternativa, va conservato a basse temperature (-18%) e commercializzato nel rispetto della catena del freddo.

Il polline secco deidratato con l’uso del calore, potrebbe avere un ridotto valore biologico, oltre che sensoriale, per la perdita di nutrienti termolabili, già durante il processo di condizionamento.

Il polline d’api in relazione al suo contenuto in nutrienti, all’elevato contenuto idrico e ai vari fattori di contaminazione microbica a cui è esposto, è una matrice in cui è possibile il verificarsi della proliferazione di microrganismi indesiderati. E’ stato evidenziato che nel polline non condizionato si possono rilevare microrganismi indicatori di qualità microbiologica quali batteri mesofili aerobi, enterobatteri, muffe e lieviti. Al di là delle specie microbiche rilevabili, è importante sottolineare che il contenuto idrico del polline è il fattore più importante per lo sviluppo dei microrganismi e quindi la disidratazione ha come scopo quello di raggiungere valori di contenuto idrico incompatibili con lo sviluppo di microrganismi patogeni o indesiderati.

Al fine di garantire sicurezza microbiologica è quindi fondamentale ridurne il contenuto idrico in modo da abbassare il livello di aw ad un valore tale per cui i microrganismi

indesiderati vengano eliminati.

Come riportato da Campos, et al., 2008, alcuni Paesi hanno fissato dei limiti massimi di contenuto idrico (g H2O/100g di prodotto) del polline disidratato, ad esmpio la Polonia e la

Svizzera (6%), Uruguay (8%), e Bulgaria (10%).

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Collin, et al., 1995 hanno dimostrato che la relazione tra UR e aw (isoterma di adsorbimento)

varia in relazione all’origine botanica del polline considerato. Ciò significa che, se i campioni di polline considerati appartengono a specie botaniche differenti, ad uno stesso valore di UR corrisponde un diverso valore di aw. In questo lavoro è stato dimostrato che ad

un UR di 5-8% corrisponde un valore di aw dicirca 0,3, corrispondente all’acqua di

monostrato.

Tra gli agenti biologici alteranti più resistenti a bassi valori di aw siritrovano quelli

appartenenti al Saccaromyces, come il Saccaromyces rouxii. L’ aw limite per questo lievito

è di 0,6, compatibile nel polline a valori di UR di circa il 14,5%.

Il valore di aw di 0,7 (a cui corrisponde UR di circa il 20%) rapprenta il limite massimo per

i lieviti tossinogeni del gruppo Aspergillus, e superiori sono i valori soglia per lo sviluppo di pericolosi batteri patogeni come lo Staphylococcus aueus (aw = 0,8; UR=30%).

Risulta quindi evidente che conoscere la relazione che intercorre tra UR e aw è un parametro

fondamentale per stabilire il livello minimo di disidratazione che deve raggiungere un determinato tipo di polline.

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1.7 Metodi di conservazione polline

Le metodologie analitiche per determinare il contenuto di umidità sono molteplici e possono portare a risultati diversi.

I metodi, essicazione ad infrarossi, in stufa ventilato, e la liofilizzazione, si basano su metodo gravimetrico, che prevede una perdita di peso del campione durante l’essicazione fino al raggiungimento di un peso costante. Altre, come il metodo Karl Fischer, utilizzano il metodo volumetrico (Pereira de Melo, et al., 2010).

Nella scelta del metodo deve essere considerata l’eterogeneità dei risultati che saranno ottenuti. I valori più bassi, comunque, sono stati rilevati quando l’umidità è stata analizzata con il metodo a liofilizzazione e con quello a infrarossi.

Il metodo a infrarossi deve la sua elevata efficienza alla capacità delle radiazioni a infrarossi di penetrare l’alimento riducendo i tempi di analisi, e questo risulta essere vantaggioso per laboratori che devono gestire numerosi campioni.

In alcuni Stati esistono regolamenti specifici che stabiliscono gli standard qualitativi del polline, tuttavia, in tali regolamenti non è indicata una procedura specifica, ma si fa solo riferimento alle metodologie analitiche ufficiali per le matrici alimentari di origine animale. Durante l’essiccamento in stufa a 105°C (metodo più utilizzato per la determinazione dell’umidità nelle analisi bromatologiche degli alimenti), si osserva un imbrunimento maggiore del campione dovuto alla formazione di melanoidine, rispetto ad altri metodi diversi utilizzati. La formazione di melanoidine è dovuto alla reazione di Maillard, che modifica la composizione stessa del campione, riducendone il suo contenuto in amminoacidi liberi e in zuccheri riducenti, soprattutto il glucosio e il fruttosio (Pereira de Melo, et al., 2011).

Il metodo con essiccamento in stufa sottovuoto a 70°C è ritenuto, insieme al metodo Karl Fischer, il procedimento analitico più appropriato per il polline (Serra Bonvehi, et al., 1987). Al momento della raccolta il polline destinato all’ alimentazione umana potrebbe avere un contenuto idrico tale da favorire lo sviluppo di microrganismi indesiderati, quindi si rende necessario diminuire il tenore in acqua (di conseguenza l’attività libera dell’acqua) limitando però il danno all’alimento.

La surgelazione determina un abbassamento di temperatura che rallenta sia le reazioni chimiche sia il metabolismo microbico, pur non disattivando tuttavia il corredo enzimatico, perciò un incremento di temperatura coincide con la ripresa dell’attività metabolica ed enzimatica.

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La diminuzione della temperatura oltre il punto crioscopico determina il passaggio dell’acqua dallo stato liquido allo stato solido, che non sarà più disponibile per le reazioni endogene e per quelle microbiche.

Altre tecniche, come l’essiccamento con corrente d’aria calda e le microonde, si basano sull’impiego del calore, che determina una perdita di acqua per evaporazione.

Il calore è tuttavia responsabile anche delle reazioni di degradazione di alcuni importanti nutrienti, è perciò opportuno valutare la coppia tempo-temperatura così da limitare il danno termico.

Con la liofilizzazione è possibile ridurre la perdita di nutrienti, in quanto si associa al controllo della temperatura anche una variazione di pressione, con perdita per sublimazione di acqua precedentemente congelata (Cappelli, et al., 2005).

Attualmente la disidratazione in stufa, la conservazione a basse temperature o l’essiccamento in corrente d’aria calda sono i metodi più diffusi per ridurne il contenuto idrico.

1.7.1 Conservazione del polline fresco a bassa temperatura

Gli studi di Szcsesna, et al., 1995 hanno valutato gli effetti dei vari metodi di conservazione sul polline , evidenziando che la conservazione a -18°C non comporta evidenti cambiamenti sulla composizione nutrizionale del polline e che questo sistema risulta essere il più efficace per la conservazione del suo valore biologico (Ranieri, et al., 2017). Tuttavia è bene sottoporlo ai metodi di disidratazione descritti precedentemente, con luso di moderate temeperature e tempi ridotti. Il sistema maggiormente utizzato prevede l’uso di appositi essiccatoi in cui corrente d’aria calda generata da una resistenza elettrica abbinata a un ventilatore, attraversa il polline disposto in strati sottili su vari piani. La corrente d’aria non deve superare i 34-36°C e un essiccatore standard riesce in 2-4 ore a portare l’umidità prossima al 16-18%. Inoltre il polline deve poi essere conservato a -18°C in contenitori scuri e chiusi ermeticamente.

1.7.2 Liofilizzazione

La liofilizzazione, o crio-essiccamento, è un processo tecnologico finalizzato all’eliminazione dell’acqua da una sostanza organica con lo scopo di ridurre al minimo un

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possibile danneggiamento della sua struttura e dei suoi componenti essenziali, consentendone una conservazione a temperatura ambiente e per tempi lunghi.

Questo processo si basa sul ridurre, in un alimento fresco, la temperatura e la pressione circostante, per permettere ai piccoli cristalli di ghiaccio che si formano di sublimare passando direttamente dalla fase solida alla fase gassosa. Si verifica quindi, un primo congelamento dell’acqua presente all’interno del campione, poi viene rimossa per sublimazione (primary drying) e poi per desorbimento (secondary drying).

Dato che il processo di congelamento è veloce, si formano solo piccoli cristalli di ghiaccio, che non possono danneggiare la struttura del prodotto penetrando attraverso le strutture cellulari; e la sublimazione del ghiaccio assicura che la struttura del prodotto rimanga pressochè intatta.

Sono stati messi a punto prototipi di liofilizzatori che consentano di portare l’ UR del polline fresco a valori paragonabili a quelli del polline secco minimizzando le perdite di valore nutrizionale (Canale, et al., 2016; Conte, et al., 2017).

1.7.3 Microonde

Le microonde sono radiazioni elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa tra le onde radio e la radiazione infrarossa.

Il meccanismo principale che permette il riscaldamento di un alimento sottoposto a irraggiamento con le microonde è di tipo dielettrico.

Diversamente da altre tecniche che prevedono il riscaldamento della superficie per irraggiamento o contatto, e quindi la trasmissione del calore all’interno dell’alimento, le microonde quando sono molto selettive penetrano all’interno solo infatti le componenti dell’alimento in grado di assorbirle, quali ad esempio l’acqua, saranno interessate, inoltre sono direttamente convertite in calore, abbreviando così il tempo di trattamento (Cappelli, et al., 2005).

Nel caso del polline, recenti ricerche (Canale, et al., 2016), hanno dimostrato che il rapido riscaldamento ottenibile in sistemi a microonde già a bassa potenza (150 W) e l’efficiente trasferimento di energia operato da tali onde, permette di ridurre il contenuto di acqua a valori di sicurezza (6-8%), operando in condizioni di vuoto (50mbar), con temperature moderatamente basse (26°C) e tempi brevi (30 minuti), mitigando sensibilmente le perdite di valore nutrizionale.

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2.

SCOPO DELLA TESI

Lo studio condotto da Collin, et al., 1995 su alcune tipologie di polline (prevalentemente compositae e cucifere) ha evidenziato che 20 ore di trattamento termico in stufa condotto a 30°C riducono l’acqua libera a valori di circa 0,6, senza modificarne in maniera sostanziale il contenuto in aminoacidi liberi, preservando anche il rischio di composti indesiderati che ne modificherebbero il contenuto nutrizionale. Tuttavia, è sufficiente aumentare la temperatura (40 – 60 °C) o i tempi di trattamento per determinare la formazione dei composti indesiderati rendendo il polline non idoneo al consumo.

Obiettivo di questa tesi è stato quello di valutare la relazione tra il contenuto di umidità relativa e acqua libera in tre pollini toscani di diversa origine botanica, sottoposti a differenti tempi di disidratazione alla temperatura controllata di 40 °C.

Questo ci ha permesso di simulare, in laboratorio, le condizioni di processo che più comunemente sono adottate nelle aziende apistiche italiane per il condizionamento del contenuto di acqua del polline. Ha permesso, inoltre, di definire delle curve che mettessero in relazione le variazioni di UR con quelle di aw, al variare di tempi di essiccazione in stufa.

Inoltre, sebbene sia ormai nota l’importanza nutraceutica del polline d’api, tuttavia non esiste a livello aziendale per le diverse tipologie di polline, una standardizzazione del processo di disidratazione; processo che invece, rappresenta un requisito necessario per minimizzare le perdite di valore biologico del prodotto secco commercializzato, del quale ancora non si conoscono gli effetti dei trattamenti di disidratazione con l’uso del calore, sul valore nutrizionale del polline secco.

Per questa ragione, altro scopo di questa tesi, è stato quello di valutare l’effetto del trattamento termico sulla capacità antiossidante di ogni tipologia di polline.

(29)

3.

MATERIALI E METODI

3.1 Campioni analizzati

I campioni di polline da sottoporre a trattamenti di disidratazione in stufa a 40°C sono stati raccolti nel 2016 dall’apicoltore Aldo Metalori, titolare di un’azienda apistica situata a Massa Macinaia, (LU).

Il polline fornito era “fresco d’api”, ovvero raccolto dalle trappole e non sottoposto ad alcun trattamento di disidratazione, e conservato a -20°C.

I campioni avevano un’origine botanica distinta in quanto sono stati raccolti in stagioni apistiche diverse, in particolare sono tre le specie botaniche oggetto del presente lavoro: (a) frassino, (b) castagno e (c) millefiori.

Una volta trasportati presso il Dipartimento di Scienze Agrarie-Alimentari e Agroambientali (Università di Pisa) è stato conservato a -20°C.

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3.2 Analisi palinologica

Come analisi preliminare, è stata effettuata l’analisi palinologica per accertarci che i tre campioni da sottoporre al trattamento termico appartenessero all’origine botanica sopra menzionata.

L’analisi palinologica è stata eseguita presso il Centro Agrochimico Regionale – A.S.S.A.M. (Regione Marche, sede di Jesi).

L’analisi palinologica è utile per determinare l’origine botanica e geografica del polline (BARTH, et al., 2010).

Sono state utilizzate due metodiche: a) Metodo microscopico;

b) Metodo della separazione dei granuli per colore .

3.2.1 Metodo microscopico

Abbiamo pesato un grammo (1 g) di campione nella falcon a cui si è aggiunta acqua fino a circa 10 ml. Abbiamo agitato vigorosamente con vortex e si è lasciato idratare per 30 minuti, agitando di tanto in tanto.

Prima di preparare il vetrino abbiamo di nuovo agitato la falcon con vortex e abbiamo subito prelevato 10 microlitri (0,01 mL) di soluzione, onde evitare che il polline ridepositasse. Sono state poste tre piccole gocce sul vetrino portaoggetto e distese su tutta la superficie utile del vetrino. Poi è stata aggiunta una goccia di gelatina glicerinata calda sul vetrino coprioggetto (24x50) (è bene ricordare che la glicerina non va mai applicata direttamente sul sedimento), dopodichè il vetrino coprioggetto è stato appoggiato sul vetrino portaggetto molto lentamente per evitare l’inclusione di bolle d’aria (Dimou, et al., 2007).

Durante tutta la procedura è necessario prestare attenzione affinchè non vi siano contaminazioni di pollini estranei provenienti da altre preparazioni o dall’esterno.

Infine abbiamo osservato al microscopio ottico, e differenziando i granuli pollinici presenti nel vetrino, abbiamo eseguito il conteggio. Sono stati identificati almeno 600 granuli pollinici (se il vetrino è ricco di pollini di Castanea se ne contano circa 1000); i pollini abortiti e indeterminati si contano separatamente; inoltre si contano anche le spore e si segnala la presenza di mixomiceti, ruggine o altro.

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3.2.2 Metodo della separazione per colore dei granuli

Il metodo della separazione dei granuli per colore è un metodo alternativo che prevede la separazione per colore delle diverse frazioni. Si è presa una quantità rappresentativa di ogni campione e si è iniziato a dividere le pallottole per colore come nella figura sotto illustrata (Figura 15).

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Per ogni gruppo di colore sono stati allestiti dei vetrini prendendo piccole porzioni di una pallottola e miscelandola con una goccia di acqua posta sul vetrino, si è distesa la goccia su tutta la superficie utile del vetrino e si è fatto asciugare nella piastra riscaldante. Poi si è coperto con il vetrino coprioggetto (dopo aggiunta di glicerina), e poi si è osservato e contato i granuli pollinici al microscopio (come descritto da Nogueira, et al., 2012).

3.2.3 Conteggio e identificazione dei granuli pollinici

Si esegue l’osservazione al microscopio utilizzando l’ingrandimento più idoneo. Per esaminare uniformemente l’intera superficie del coprioggetto si deve procedere lungo delle linee parallele ed equidistanti mediante l’ausilio di un tavolino traslatore con scala graduata mediante la quale l'operatore può tenere traccia degli spostamenti di traslazione del piano xy, evitando così di tornare sul campo visivo già osservato.

Il conteggio dei diversi granuli pollinici per quanto riguarda questo metodo è stato effettuato mediante uno strumento chiamato contacellule illustrato in figura (Figura 16) accanto al microscopio.

Questo strumento calcola, per ogni tipo pollinico, la percentuale rispetto al totale dei granuli contati, basandosi sulla seguente formula: %p = (np * 100)/N. Dove: np è il numero di granuli

contati per quel tipo pollinico; N è il numero totale dei granuli pollinici contati (Palmieri, et al., 2017).

Per quanto riguarda il conteggio con il metodo microscopico, attraverso l’utilizzo di un software specifico, il volume di ciascun tipo di granulo pollinico è stato stimato misurando le dimensioni di venti grani in vista polare ed equatoriale e calcolando il loro volume approssimativo in base a formule matematiche (4/3 π r3), che corrispondevano alla loro forma come sfera o ellisse (Silveira, 1991).

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Quindi abbiamo moltiplicato il numero di granuli di polline di ogni specie di piante che abbiamo contato per il loro volume. Alla fine, i risultati sono stati calcolati in percentuale. Il risultato deve essere espresso in numeri interi. I valori minori dell’1% e i taxa identificati al di fuori della conta si indicano come “presenza”.

I tipi pollinici rilevati devono essere indicati con il nome scientifico del gruppo botanico di appartenenza (specie, genere o famiglia) solo nel caso in cui l’identificazione possa essere fatta con un sufficiente grado di sicurezza (Palmieri, et al., 2017).

La corretta identificazione del polline è in alcuni casi molto difficile, per cui spesso è possibile arrivare a identificare solo il genere e persino solo la famiglia. In questi casi secondo la nomenclatura melissopalinologica si fa uso di termini: gruppo (gr.), quando è certa solo l’appartenenza a un determinato genere botanico o a uno affine; forma (f.), quando è certa l’appartenenza alla famiglia botanica; tipo (t.), quando non si è in grado di affermare con certezza la famiglia botanica di appartenenza. A seconda della forma e del tipo di spine osservate sulla superficie esterna del polline, la famiglia delle Compositae si può suddividere in forme A, C, H, J, S, T ed altre forme non raggruppabili in queste (Metalori, 2017). Inoltre, esistono dei veri e propri atlanti che ci consentono di risalire all’identificazione in maniera più semplice.

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3.3 Analisi bromatologica

L’analisi bromatologia è stata effettuata presso il Dipartimento di Scienze Agrarie-Alimentari e Agroambientali (Università di Pisa).

Sono stati presi in considerazione i campioni di polline di frassino, castagno e millefiori freschi, non sottoposti ad alcun trattamento termico.

3.3.1 Determinazione della sostanza secca e dell’umidità

La sostanza secca è stata determinata con metodo gravimetrico, come indicato nella Gazzetta Ufficiale (GU CEE L 279/8 del 20/12/71), attraverso la stima per pesata

della perdita in peso del campione, precedentemente sottoposto a essiccamento in stufa termostatata.

Per determinare la sostanza secca è stato prima tarato il contenitore con precisione di 0,5 mg, poi è stata pesata la capsula in ceramica tarata contenente 5 g di campione, che sono stati pesati con un’approssimazione massima di ± 0,1 mg.

La capsula è stata quindi posta nella stufa pre-riscaldata a 80-85°C, il campione è stato lasciato essiccare ad una temperatura di 103°C per 16 ore (una notte) in corrente d’aria calda. Poi, il campione è stato prelevato e posto a raffreddare in un essiccatore a piastra in porcellana, avente come disidratanti un gel di silice e Sali di cobalto, che essendo fortemente igroscopici, hanno assorbito parte dell’acqua presente nell’alimento.

Dopo circa 30-45 minuti il campione è stato quindi prelevato e pesato.

La determinazione della sostanza secca è stata quindi stimata per differenza di peso prima e dopo essiccamento in stufa.

Il valore della sostanza secca espresso in percentuale, ci ha permesso di ricavare per differenza il contenuto di umidità presente.

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3.3.2 Determinazione delle proteine grezze

Il contenuto in proteine grezze si determina con il metodo Kjedahl quantificando l’azoto presente nel campione e utilizzando come fattore di conversione dell’azoto in proteine 5,6 (AAVV 1991).

Tale metodo si basa sulla quantificazione per titolazione del contenuto in azoto presente nel distillato, ottenuto dal campione sottoposto a mineralizzazione.

La prima fase del metodo consiste quindi nella mineralizzazione di tutta la sostanza organica, la quale è attaccata a caldo dall’acido solforico e dal perossido di idrogeno.

In un tubo da mineralizzazione sono stati prima trasferiti 200 mg di campione, essiccato a 65°C e macinato, poi sotto cappa sono stati aggiunti 3 ml di acido solforico (96%) e 1,5 ml di perossido d’idrogeno (30% m/m).

I tubi sono quindi stati sistemati nel digestore e coperti con il raccoglitore di fumo, la temperatura di 370°C e la presenza dell’acido solforico e del perossido d’idrogeno hanno determinato dopo 30 minuti la mineralizzazione della sostanza organica, inoltre allo scadere del tempo sono stati aggiunti 1,5 ml di perossido d’idrogeno necessari per una seconda ossidazione.

L’avvenuta mineralizzazione era osservabile per la completa decolorazione del liquido ottenuto.

Una volta mineralizzata tutta la sostanza organica, l’azoto proteico era presente come solfato d’ammonio, perciò l’aggiunta di basi durante la distillazione ha creato una condizione di alcalinità che ha separato lo ione solfato da quello ammonio.

Il tubo di mineralizzazione è stato inserito in un distillatore automatizzato (distillatore Kjeltek 2200), alla fine del processo durato circa 3 minuti, il distillato si è raccolto nella beuta, e, per aggiunta della soluzione di acido borico, il colore ha virato da rosso a verde. La soluzione di acido borico è stata preparata versando 6 L di acqua deionizzata in un pallone da 10 L, è stata quindi portata a ebollizione in 30 minuti, sono stati poi aggiunti 400 g di acido borico, infine una volta raffreddata la soluzione, sono stati aggiunti 3 L di acqua deionizzata.

Sono stati poi aggiunti al pallone contenente l’acido borico 100 ml di Verde di Bromocresolo 0,1% (soluzione alcolica) e 70 ml di Rosso di Metile 0,1% (soluzione alcolica); la soluzione borica è stata quindi portata a volume di 10 L.

Per distillazione della sostanza organica mineralizzata è stata ottenuta ammoniaca, che raccolta in una beuta contenente la soluzione borica ha virato da rosso a verde.

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La quantificazione dell’ammoniaca è stata eseguita per titolazione acido-base con acido cloridrico 0,1 N, fino a viraggio a colorazione grigia.

3.3.3 Determinazione dei carboidrati

La determinazione dei carboidrati è stata effettuata per differenza, come proposto da Campos secondo la seguente formula (Campos, et al. 2008):

%𝐶𝑎𝑟𝑏𝑜𝑖𝑑𝑟𝑎𝑡𝑖= 100−(%𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎+ %𝑃𝐺+ %𝐸𝐸+%𝐶𝑒𝑛.).

Dove: % acqua, umidità del campione; % PG, proteine grezze su tal quale; % EE, estratto etereo su tal quale; % Cen., ceneri su tal quale.

3.3.4 Determinazione delle ceneri

Il contenuto in ceneri, che un indice della componente inorganica nell’alimento, è stato determinato con il metodo analitico proposto in Gazzetta Ufficiale (GU CEE L 54/50 del 26/02/2009).

Il metodo prevede la taratura dei crogioli da incenerimento in porcellana e la pesata del campione, pari a 5 g, con un’approssimazione massima di 1 mg.

La capsula è quindi stata posta in forno a muffola, dove ha raggiunto per scala termica, la temperatura di 550°C determinando quindi l’incenerimento del campione.

Il campione è stato raffreddato in un essiccatore con piastra in ceramica, avente come materiale igroscopico un gel di silice e Sali di cobalto, e, dopo circa 30-45 minuti, è stato pesato.

Il peso del residuo in cenere è stato calcolato deducendone la tara del contenitore, rilevata nelle prime fase del procedimento, è stata poi determinata la quantità in ceneri esprimendola in percentuale del campione.

3.3.5 Determinazione dell’estratto etereo (grassi)

La determinazione dell’estratto etereo si esegue determinando la perdita in peso del campione essiccato e sottoposto a estrazione della componente di lipidica per mezzo dell’estrattore Ankom XT10.

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La procedura analitica eseguita è quella proposta dall’Ankom technology, relativa all’estrazione con solvente ad alta temperatura per alimenti solidi.

Per la determinazione dell’estratto etereo è stato necessario procedere con la polverizzazione mediante pestello e mortaio degli agglomerati di polline, in seguito è stato pesato 1 g e trasferito all’interno di un piccolo sacchetto in nylon.

Con una termosaldatrice (5-6°C) il sacchetto è stato sigillato e quindi posto prima in stufa a 103 °C per 3 ore, poi in essiccatore per 30 minuti e in seguito pesato.

Il campione, una volta raffreddato, è stato inserito all’interno della camera d’estrazione dell’Ankom insieme a 350 ml di etere di petrolio, che funge da solvente d’estrazione della frazione lipidica.

Dopo un ciclo d’estrazione dalla durata di 1 ora, è stata prelevato il sacchetto e posto in stufa a 103°C per 30 minuti; il campione è stato infine pesato.

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3.4 Essiccazione del polline fresco

L’essiccazione del polline fresco è stata effettuata presso il Dipartimento di Scienze Agrarie-Alimentari e Agroambientali (Università di Pisa).

E’ stato effettuato un trattamento termico dei tre campioni di polline fresco in stufa pre-riscaldata a 40°C.

In un piattino di alluminio sono stati pesati, dopo taratura del piattino, 20 grammi di polline, e sono stati messi in stufa per i seguenti tempi: 1, 5, 7, 10, 24, 34, 48 ore.

Trascorso il tempo di trattamento, è stato prelevato il piattino dalla stufa ed è stato pesato. Dopodichè, il campione di polline disidratato è stato suddiviso in aliquote destinate ai successivi test di ossidazione e calcolo dell’ acqua libera, e conservato in carta argentata ben sigillata per evitare ogni esposizione del campione alla luce e poi sottovuoto per evitare ogni contatto con l’aria, in attesa delle successive analisi.

L’umidità persa dal campione dopo l’essiccamento in stufa è stata calcolata per differenza della percentuale di sostanza secca ottenuta con metodo gravimetrico, come indicato nella Gazzetta Ufficiale (GU CEE L 279/8 del 20/12/71), attraverso la stima per pesata della perdita in peso del campione, precedentemente sottoposto a essiccamento in stufa termostatata. Per ricavare l’umidità residuale presente nel campione abbiamo sottratto dall’umidità iniziale ricavata precedentemente sul campione fresco (vedi cap. 3.3.1), per ogni punto di trattamento termico, l’ umidità persa dal campione.

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3.5 Contenuto di acqua libera

L’attività dell’acqua è stata calcolata presso il Dipartimento di Scienze Veterinarie (Università di Pisa) .

E’ stata misurata in ogni campione per tutti i tempi di trattamento termico a cui è stato sottoposto, quindi a 0, 1, 5, 7, 10, 24, 34, 48 ore.

Come nel lavoro di Estevinho, et al., 2012 il contenuto di acqua libera è stato valutato mediante lo strumento HygroPalm23-AW (Rotronic) impostato a modalità standard (AwE), la cui misurazione avviene non appena l’oggetto da misurare e la sonda di misurazione abbiano la stessa temperatura. Quindi, non appena si raggiunge lo stato di equilibrio (temperatura ed umidità) si conclude la misurazione. Tale fase, che ha una durata di 30-60 minuti, viene indicata sul display. Vista la dipendenza dalla temperatura è bene non posizionare lo strumento vicino a fonti di calore, ma solo in locali a temperatura stabile. Prima della misurazione, lo strumento è stato calibrato sulla base dei risultati di umidità ottenuti con il procedimento visto al capitolo 3.4.

Sono stati posti all’incirca 5 grammi di campione in capsule apposite, posizionate all’interno di una camera presente nello strumento. Tale camera è stata poi sigillata con la sonda ed è stato azionato l’Aw-metro.

3.6 Estrazione

L’estrazione dei campioni è stata effettuata presso il Dipartimento di Scienze Agrarie-Alimentari e Agroambientali (Università di Pisa).

Sono stati estratte i tre diversi campioni di polline fresco e per tutte le tre diverse specie botaniche, le aliquote di polline sottoposto a trattamento di essiccazione in stufa per 7 e 24 ore.

Sono stati pesati 2 grammi di campione nelle falcon, sono stati aggiunti 15 mL di EtOH/H2O

(70:30). Sono stati miscelati al vortex per 1 minuti e successivamente centrifugati per 5 minuti a 3500 rpm a 4°C.

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