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Valutazione Della Qualità In Sanità. Un Confronto Tra Le Regioni Toscana Ed Emilia Romagna

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INDICE

Introduzione………..1

Capitolo I

1.

La qualità ……….3

1.1

Origine della qualità……….3

1.2

Definizione di qualità………. ………. 16

1.3

Qualità a livello internazionale ……….17

Capitolo II

2.

La qualità nella sanità ………21

2.1

Origine della qualità in sanità………21

2.2

Definizione di qualità ………26

2.3

La qualità in sanità: Europa ………...30

2.4

La qualità in sanità: Italia ………...36

2.4.1 La qualità del Servizio Sanitario Nazionale………...39

2.4.2 Il Governo clinico………...…..42

2.4.3 Esperienze di governo clinico in Italia ………..50

2.5

La valutazione della Qualità in Sanità………...52

2.5.1 Importanza della Valutazione ………...52

2.6

Il Sistema Nazionale di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria

SiVeAS) ………...59

Capitolo III

3.

La qualità nella sanità Toscana ……….65

3.1

Il sistema di valutazione della performance della Regione Toscana…….67

3.1.1 Storia del sistema ………..67

3.1.2 Struttura del sistema………...70

Capitolo IV

4.

La sanità nella Regione Emilia Romagna ………...90

4.1

Organismo Indipendente Di Valutazione Delle Aziende Ed Enti Del

Servizio Sanitario Regionale Della Regione Emilia-Romagna……….92

4.2

Il sistema di misurazione e gestione della performance ………...93

Capitolo V

5.

Un Confronto tra Regioni: Toscana ed Emilia-Romagna………....107

5.1

Caratteristiche principali ………...107

5.2

Confronto ………...…108

5.2.1 Punti in comune………...108

5.2.2 Differenze………...108

5.2.3 Specificità………...109

5.2.4 Confronto tra indicatori ………...109

5.3

Considerazioni sul confronto ………..111

Conclusioni ………...113

(2)

1

Introduzione

L’obiettivo di questo lavoro di tesi di laurea è quello di fornire un’analisi

della valutazione della Qualità nel Servizio Sanitario delle Regioni Toscana ed

Emilia-Romagna. Per farlo è necessario cominciare lo studio dalle origini del

concetto di qualità.

La Qualità oggi è diventata assolutamente trasversale in quasi tutti i settori, in

tutte le aree e le funzioni aziendali di qualsiasi organizzazione; in pochi decenni il

concetto di qualità è profondamente cambiato e il suo ambito di riferimento si è

andato estendendo in misura sempre maggiore, dal reparto produttivo al sistema

socioeconomico e anche ai Servizi Sanitari. È importante quindi prendere in

considerazione lo sviluppo di questo concetto, la sua nascita e l’interesse per la

sua applicazione nell’ambito della salute.

La tesi è articolata in cinque capitoli:

Nel primo capitolo viene fornita un’introduzione alla definizione del concetto

di qualità e descrive le numerose modifiche che ha subito nel tempo. Nato per

l’industria manifatturiera e applicato in principio esclusivamente al collaudo del

prodotto finale, esso si è evoluto, trasformandosi prima nel concetto di controllo

del processo produttivo, e successivamente nel concetto di qualità come

soddisfazione del cliente, spostando così l’attenzione sulla qualità del servizio

erogato e del rapporto cliente-fornitore, enfatizzando così il principio della

“qualità totale” di tutte le competenze dell’organizzazione. L’utente ha assunto un

ruolo centrale e si è trasformato in cliente. Sicuramente diverse definizioni sono

possibili e legittime, dipendendo dal sistema nel quale si opera e dalla natura e dal

grado di responsabilità di chi opera.

Nel secondo capitolo ci si occupa di fare una rassegna di alcuni delle

principali definizioni di qualità in ambito sanitario che vengono messi a

confronto.

In seguito, viene esaminato come nel contesto europeo

l’affermarsi

dell’interesse per la qualità delle cure

non sia più un accessorio ma come sia

diventato un obbligo e un dovere dei paesi membri dell’unione europea nei

confronti dei cittadini a motivo

del vasto movimento di riforma sociale dopo la

Seconda guerra mondiale. Nello specifico, in Italia la

politica per la qualità è parte

(3)

2

integrante della programmazione sanitaria nazionale. I Piani Sanitari Nazionali

(PSN), elaborati a partire dall’emanazione del D.lgs. 502/1992 e successive

modificazioni, hanno previsto lo sviluppo di forme integrate di attività per il

miglioramento della qualità, quali, ad esempio, l’implementazione del governo

clinico, inizialmente nel servizio sanitario di alcune regioni ed in seguito nel

Servizio Sanitario Nazionale.

Strettamente connessa al concetto di qualità è la valutazione di cui vengono

riportate le principali definizioni di alcuni autori, approcci e metodi.

Il terzo capitolo prende in esame la normativa regionale che regola la qualità

in ambito sanitario e il sistema di Valutazione della performance nella sanità della

Regione Toscana, che nasce dalla collaborazione tra Regione Toscana e Scuola

Superiore di Studi universitari e di perfezionamento Sant'Anna di Pisa, metodo

che verrà poi applicato all’intera regione.

Allo stesso modo, il quarto capitolo prende in considerazione la Regione

Emilia-Romagna, la sua normativa e il suo sistema di valutazione della

performance, il quale si avvale dell’OIV (Organismo Indipendente di

Valutazione) per la misurazione e valutazione della performance.

Infine, nel quinto capitolo i due sistemi di valutazione vengono messi a

confronto riscontrandone le differenze e i punti in comune.

(4)

3

CAPITOLO I

1. La Qualità

1.1

Origine Della Qualità

La definizione del concetto di qualità è un compito molto complesso, questo

perché è un termine il cui significato può essere applicato a contesti molto diversi

tra loro e difficilmente si può collocare all’interno di un quadro teorico di

riferimento

specifico. Per adempiere questo compito si farà riferimento ad alcuni

studi fatti da Molinini (2006) e S. Farnè (2010) che hanno analizzato ed esaminato

il nascere e lo svilupparsi della qualità.

Prima di poter parlare della qualità dell’assistenza sanitaria occorre definire il

concetto stesso di qualità sin dalla sua nascita prendendo in considerazione anche

il suo sviluppo fino al giorno d’oggi. A occuparsi della definizione di qualità

sono

stati diversi studiosi, ad esempio Juran, Crosby e Derby che sono considerati

pionieri della qualità.

Il concetto di qualità ha assunto nel tempo significati diversi a seconda del

contesto e del periodo in cui veniva

applicato come viene dimostrato Stefano

Farnè (2010) nel suo volume “Qualità operativa. Ottimizzare per competere e

raggiungere l’eccellenza” il quale verrà utilizzato nel corso di questo capitolo

.

L’esigenza di operare con i principi di qualità si è sentita sin dall’antichità e

da allora il suo significato ed i suoi principi hanno subito dei cambiamenti

significativi. Farne descrive le origini della qualità in questi termini:

La qualità appare per la prima volta con il lavoro di tipo artigianale in cui l’esecutore è contemporaneamente progettista, produttore e controllore del proprio operato. Nel codice di Hammurabi1 erano descritte in modo meticoloso le modalità di costruzione di una casa e si prescriveva che chi l’avesse realizzata male dovesse essere condannato alla pena di morte.

La più antica "guida alla qualità" risale, probabilmente, al 1450 a.C. ed è stata scoperta in Egitto: illustra come sia

1 Hammurabi, Re di Babilonia (1972- 1750 a.C.) e autore del più antico codice di leggi

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4

possibile verificare, con l'aiuto di una corda, la perpendicolarità di un blocco di pietra…

Nel Medioevo, con la nascita delle Corporazioni che vennero formalizzate per la prima volta le regole e tecniche della produzione e le modalità di lavoro dell’artigiano… (Farne, 2010,pp29-30)

La qualità nella Rivoluzione Industriale

Farne(2010) offre una descrizione dello sviluppo della qualità anche nel

contesto delle rivoluzioni industriali:

Con la prima rivoluzione industriale2, che ebbe luogo in Inghilterra verso la fine del XVIII secolo, per poi estendersi in Francia, nei Paesi di lingua tedesca e nella zona di Praga, ci fu una forte spinta verso un progressivo passaggio dalla produzione artigianale a quella di massa e, di conseguenza, verso concetto di qualità ancora più formalizzato.

La produzione artigianale era molto diversificata, si basava sulle richieste del consumatore, utilizzava manodopera con alta professionalità accentrava al massimo il potere decisionale. La produzione di massa era invece caratterizzata dalla realizzazione in serie di prodotti standardizzati e basata sulla manodopera poco specializzata e meno costosa rispetto alla produzione artigianale.

Le quantità prodotte aumentarono considerevolmente grazie all’utilizzo dell’energia termica ricavata dal carbone, all’introduzione di nuovi macchinari, alla possibilità di trasportare le merci su rotaia e alla suddivisione del lavoro.

In questo tipo di produzione, i risultati qualitativi dipendevano sempre meno dalle capacità dei singoli operatori e sempre di più dalla progettazione e dalla formalizzazione dei processi produttivi.

2La prima rivoluzione industriale riguarda prevalentemente il settore tessile-metallurgico e

comporta l’introduzione della spoletta volante e della macchina a vapore; nel periodo compreso tra il 1760-1780 e il 1830.

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5

Ma con la seconda rivoluzione industriale3,che si è manifestata negli ultimi decenni del XIX secolo, il baricentro dell’industria si spostò nel Nord-America dove erano presenti enormi estensioni di terreno coltivabile, di foreste e dove le ricchezze naturali (carbone, petrolio, giacimenti di ferro e di altri minerali) si presentavano inesauribili. All’inizio di tale periodo, come in tutti i periodi di forte espansione, non si sentiva la necessità di una solida ed efficiente organizzazione. A partire dalla fine dell’Ottocento, la riduzione dell’assorbimento dei volumi di produzione da parte del mercato rese invece prioritaria l’individuazione di tecniche di riduzione dei costi e di controllo dei processi.

Lo sviluppo industriale, dopo la prima crescita impetuosa e incontrollata, richiese una migliore preparazione specifica e la possibilità di fare circolare le conoscenze, come strumento per la risoluzione dei problemi. In tale contesto, negli anni tra il 1890 e il 1910 vennero evidenziati e inquadrati per la prima volta i temi essenziali per la gestione industriale, grazie soprattutto agli studi di Frederick Winslow Taylor (1856-1915). Ingegnere statunitense, pubblicò un’opera fondamentale intitolata Principi di Organizzazione Scientifica del Lavoro. Taylor fu il primo a enunciare il principio dello scientific management. Il termine management abbraccia tutti gli aspetti della gestione: progettazione completa e metodica, organizzazione dettagliata della postazione di lavoro, programmazione della produzione efficace ed efficiente, sviluppo sistematico delle risorse umane a tutti i livelli. Il termine scientific significa “metodico e sistematico”, “compendiato in un sistema operativo di pratico utilizzo”. Taylor ha quindi applicato il metodo scientifico di Bacone, Galileo e Cartesio, basati su dati rilevati in un modo preciso e su studi teorici, all’organizzazione del lavoro. (Farne, 2010,pp.31-32)

3 La seconda rivoluzione industriale viene fatta convenzionalmente partire dal 1870-1880,

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6

Secondo Molinini (2010) nel periodo preindustriale la qualità era

principalmente per i prodotti destinati alle classi sociali più abbienti. La qualità

era strettamente legata all’abilità dell’artigiano per il quale essa era motivo di

orgoglio e di prestigio personale.

Nella prima fase della rivoluzione industriale la meccanizzazione portò non

solo ad un aumento della quantità prodotta, ma anche ad un miglioramento della

qualità dei prodotti:

“L’espansione dei mercati e l’industrializzazione portarono alla produzione in serie, il cui obiettivo era quello di massimizzare la produzione e minimizzare i costi. Il consumatore chiedeva una grande quantità di beni a basso prezzo ed il concetto di qualità venne gradualmente banalizzato, passando da valore generale ad attributo e caratteristica specifici di un prodotto industriale. Il cliente era interessato più alla quantità che alla qualità quindi l’obiettivo delle imprese si ridusse alla produzione di tanti oggetti uguali e il principale problema era di mantenerli nell’ambito delle “tolleranze” ammesse. Il concetto di tolleranza, tipico della produzione in serie, divenne la discriminante fra il “buono” e il “non buono”: la conformità era usata come criterio per giudicare la qualità” (Franco, 2011).

Successivamente venne inserita la funzione di controllo e collaudo, che aveva il compito di ispezionare e valutare le caratteristiche dei prodotti che uscivano dalla linea di produzione al fine di eliminare quelli non conformi alle specifiche del progetto.

Nel 1913 lo statunitense Henry Ford (1863 - 1947), ispiratosi alle teorie proposte dal connazionale Frederick Taylor, introdusse e generalizzò il modello di lavoro “a catena” attraverso il reclutamento massiccio di manodopera generica.

La catena di montaggio rappresenta una rottura della logica intellettuale del lavoro contrariamente al metodo Taylor. Essa implica un tempo uniforme per ogni postazione di lavoro e un’identica lunghezza di “passo”. Da qui nasce un problema del tutto nuovo: per evitare le perdite di tempo, di spazio e le

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7

perturbazioni sulla linea, bisogna che gli operatori debbano svolgere per ogni postazione di lavoro un numero di operazioni il cui tempo e spazio di esecuzione si avvicini più possibile al tempo del ciclo e alla lunghezza del “passo”. A questo fine le operazioni vanno considerate indipendenti l’una dall’altra e distribuite in modo aleatorio tra le postazioni di lavoro. L’operatore è quindi costretto a memorizzare delle operazioni senza nessun legame tra di loro.

Al contrario il taylorismo, nella sua organizzazione del lavoro, scomponeva i compiti in operazioni elementari per trovare la sequenza ritenuta più efficace ed economica e non comprometteva la logica intellettuale della loro realizzazione (Boyer e Freyssinet 2005).

La produzione in grande serie di stampo taylorista/fordista prevedeva che si effettuasse sul prodotto finito un controllo di completezza, per verificare l’eventuale mancanza di componenti sfuggiti in qualche fase di monitoraggio. In certi casi veniva effettuato un collaudo per verificare il corretto funzionamento del prodotto prima della consegna al cliente. Il sistema produttivo prevedeva quindi un’ispezione al termine del processo sul 100% dei prodotti finiti, con le conseguenti problematiche: nessuna prevenzione delle difettosità, elevato numero di scarti, tempi lunghi di controllo, non applicabilità a controlli distruttivi, nessuna garanzia dell’assenza totale di difetti in quanto era comunque possibile un errore da parte degli addetti al controllo.(Molinini,2010)

Come riportato qui di seguito, Farnè prosegue la sua analisi dello sviluppo

della qualità nelle diverse fasi della storia:

Il controllo della qualità

“Nel decennio del 1920-1930 vennero enunciati e applicati con successo principi operativi moderni per l’epoca, relativi tanto alla produzione, quanto alla qualità del prodotto, sviluppando così il cosiddetto “controllo della qualità”

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8

Dalla verifica della qualità del prodotto, condotta attraverso ispezioni finali con lo scopo di separare i prodotti conformi da quelli non conformi, si passò al tentativo di controllare la presenza di difetti nel corso del processo di produzione. Si stabilizzò il principio di scomporre le varie fasi di trasformazione che portavano all’approntamento del prodotto, per individuare i punti critici in cui introdurre attività di verifica in grado di bloccare le eventuali difettosità. Il controllo della qualità è mirato a rilevare le non conformità appena si manifestano in modo da evitare che si estendano agli altri pezzi in produzione e che si continuino a lavorare pezzi difettosi, che sarebbero comunque da riparare o da scartare prima della consegna al cliente.

Un ulteriore impulso al controllo qualità fu dato, a partire dalla seconda metà degli anni Venti del Novecento, dall’introduzione dell’uso di tecniche statistiche per il controllo di processi e per il campionamento, consentendo così di rendere non più indispensabile l’ispezione al 100%.” (Farnè, 2010, p.36)

La qualità dopo la Prima guerra mondiale.

- Il controllo statistico della qualità.

Dopo la Prima guerra mondiale, con l’aumento dei volumi di produzione, le

tecniche di

ispezione e collaudo alla fine della produzione realizzata, iniziavano a

rivelarsi troppo onerosi e difficoltosi.

Venne introdotto intorno agli anni ’30 da Walter A. Shewhart (1890-1974) “il

controllo statistico della qualità” detto

anche controllo statistico di processo (SPC-

statistical process control):

“Shewhart ideò le carte di controllo (control charts), strumento fondamentale per tenere sotto controllo i processi su basi statistiche: esaminando pochi prodotti, estratti dal flusso produttivo, si riusciva a stabilire in tempo reale, se il processo presentava delle irregolarità o meno…

La logica che sta alla base delle carte di Shewhart è la seguente: le cause di variabilità in un processo produttivo

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9

possono essere di natura casuale, dovute a uno o più fattori numerosi, connaturati con quel particolare processo e non facilmente individuabili (variabilità naturale ), o sistematica, dovute a uno o più fattori che, dall’esterno, turbano il regolare svolgimento del processo (variabilità non naturale). Shewhart, in base a considerazioni statistiche, propose di estrarre, in successione, alcuni campioni dalla produzione e di riportare i valori misurati di una certa grandezza in un diagramma, registrandone così l’andamento in uno specifico lasso di tempo. Tracciate opportunamente due linee di controllo (inferiore e superiore), la carta di controllo è in grado di evidenziare quando nel processo intervengono cause sistematiche, la cui individuazione ed eliminazione consente di riportare il processo in condizioni di ‘controllo statistico’”. (Farnè, 2010, p.31)

Garanzia della qualità

Un’altra figura che emerge in questo periodo nell’ambito della qualità è

George DeForest Edwards:

“Edwards enunciò e diffuse con successo alcuni principi essenziali della “quality assurance” termine da lui coniato, che si configura come evoluzione del controllo della qualità e che, in molti testi italiani, si trova tradotta in “assicurazione della qualità”. La traduzione più appropriata sarebbe “garanzia della qualità”, in quanto il principio espresso è quello dell’azienda che garantisce al cliente (o al mercato) che il suo prodotto abbia tutte le caratteristiche richieste e che sia esente da difetti e vizi occulti. Per ottenere questo risultato l’azienda deve innanzitutto tenere sotto controllo una serie di fattori progettuali, tecnologici, produttivi e relativi ai materiali acquistati. Rispetto al controllo della qualità, la garanzia della qualità pone maggiore enfasi alla prevenzione delle non conformità, piuttosto che sulle attività di ispezione e controllo della produzione. Sottolinea, inoltre, la necessità di inserire le azioni, intraprese per garantire la qualità del prodotto, in un contesto

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10

pianificato e sistematico di interventi e di valutazione dei risultati raggiunti.

L’obiettivo primario della quality assurance è quindi il soddisfacimento dei requisiti specifici per il prodotto, mediante una serie di attività e provvedimenti gestionali applicati ai principali processi, quali progettazione, produzione, approvvigionamento e immagazzinamento, vendita, ecc. (Farnè,2010, p.38)

La qualità dopo la seconda guerra mondiale.

Il periodo della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) fu decisamente condizionato dagli eventi bellici. Gli eserciti consumavano quantitativi elevatissimi di armi, munizioni, automezzi, aerei, carburante, vestiario, cibi in scatola ecc. In Europa, le industrie erano sottoposte a bombardamenti, avevano sistematiche carenze di materiali e di semilavorati e una parte rilevante delle maestranze era arruolato negli eserciti. L’industria americana fu sistematicamente sollecitata a produrre di più e, nel 1940, il Ministero della Guerra USA chiese all’American Standard Society di avviare un progetto per l’applicazione dei metodi statistici per il controllo qualità dei prodotti e dei materiali destinati all’Esercito.

Questo progetto diretto da Harold Dodge (membro del gruppo di studio dei Bell laboratories insieme a Shewhart ed Edwards) con la collaborazione di Deming, portò alla pubblicazione delle American War Standard Z1.1 e Z1.2 nel maggio del 1941.

Le teorie statistiche di Dodge, sviluppate insieme a Roming e Schuchard, portarono nel 1950 all’emissione di una Military Standard fondamentalmente per il controllo di accettazione dei prodotti: la MIL-STD-105 Sampling procedures and Tables for Inspection by Attributes. Tale norma venne applicata anche al di fuori dell’ambito militare e divenne rapidamente un punto di riferimento per regolare i rapporti

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cliente-fornitore. Sulla base di queste norme, ritirate nel 1995, vennero sviluppate norme militari (quali la MIL-STD-1916 DoD Preferred Methods for Acceptance of Products) e civili ( quali l’ANSI/ASQ Z1.4 Sampling procedures and Tables for inspection by Attributes).(Farne, 2010, p. 39)

La qualità in Giappone

A contribuire fortemente allo sviluppo della qualità nel corso della storia è

stato il Giappone:

Nel 1946, Deming, uno dei maggiori studiosi di qualità del Novecento, fu chiamato dal Supreme Command for the Allied Powers (SCAP) per contribuire all’organizzazione del censimento del 1951 in Giappone. Fu così che Deming iniziò a lavorare con i docenti giapponesi di statistica, entrando in contatto con la cultura nipponica. Nello stesso anno, Koyanagi costituì la Japanese Union of Scientists and Engeneers (JUSE) con lo scopo di promuovere lo sviluppo e la difusione del controllo della qualità. La JUSE iniziò a studiare le tecniche di controllo statistico sviluppate negli USA prima e durante la guerra e nel 1949 creò il Quality Control Research Group (QCRG) composto, tra gli altri, da Kaoru Ishikawa. Nel 1950 Deming su invito della JUSE tornò in Giappone per un seminario di 30 giorni destinato ai manager delle aziende giapponesi.

Nel 1954 Juran, un altro eminente esperto americano, fu invitato in Giappone a tenere dei seminari mei quali spiegò che il controllo della qualità era lo strumento manageriale, da considerare come una valida strategia di miglioramento.

Nell’arco di 10 anni il Giappone formò quasi 20.000 ingegneri nell’ambito delle metodologie statistiche.

Il Giappone trovò nella qualità, principalmente grazie a Deming e Juran, uno strumento che gli permise di riprendersi dalla profonda crisi economica dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale. La qualità per i Giapponesi diventò così uno

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strumento di rivalsa davanti al mondo in quanto costituì un’eccezionale leva competitiva.

Non si trattava solo della qualità dei prodotti ottenuta secondo i canoni della cultura industriale del tempo, ma di una qualità dei processi e della produzione in grado di generare prodotti migliori a costi inferiori. È proprio in quegli anni che iniziò a maturare il “modello giapponese”, diverso dal modello occidentale, che aveva i suoi limiti nella divisione del lavoro e nell’incapacità di soddisfare la variabilità della domanda. Secondo i giapponesi il rispetto delle specifiche tecniche non bastava più, occorreva pensare anche a specifiche organizzative. Iniziò a farsi strada l’idea che le organizzazioni ben strutturate, che attuavano strategie corrette e che applicavano efficacemente le procedure, fossero in grado di garantire ai propri clienti il rispetto delle specifiche di prodotto. L’approccio ai problemi diventò da passivo a proattivo, ovvero basato non solo sulla rimozione della non qualità ma anche sulla prevenzione mediante una struttura organizzativa in grado di ridurre la possibilità di generare errori. La strada della qualità moderna era stata tracciata.

A partire dalla metà degli anni sessanta del Novecento, Ishikawa favorì lo sviluppo di una nuova cultura che si basò sui seguenti caposaldi:

- Il sostegno del governo, determinante per consentire lo sviluppo d questo tipo di cultura;

- La promozione effettuata da diverse associazioni (JUSE, premio Deming ecc);

- Il grande sviluppo dell’attività di normazione e standardizzazione.

Questa nuova cultura prese il nome di Company-wide Quality Control (CWQC), definito dalla JUSE “un sistema per produrre economicamente bene e servizi che soddisfano le richieste del cliente”. I principi di base del CQWC sono i seguenti:

- L’azienda non è di pochi ma di molti; è necessaria la cooperazione e il coinvolgimento di tutti;

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13

- Si deve puntare prima alla qualità e poi al profitto; - La qualità è connaturata con il costo;

- Bisogna prevenire i difetti e reclami;

- Tutti, all’interno dell’organizzazione, vanno formati;

- Nel processo, l’operatore successivo è nostro cliente, bisogna eliminare le barriere;

- Bisogna basarsi sui dati.

In questi anni inizia a farsi strada il concetto di qualità intesa come soddisfazione del cliente. Il punto di riferimento si sposta da chi produce a chi riceve il prodotto, soppiantando il concetto fordista di prodotto standardizzato e “imposto” al cliente, e tendendo a un prodotto che abbia un contenuto qualitativo sempre più elevato a prezzi competitivi.

L’approccio Company-wide quality control sta a indicare che i concetti e le tecniche del controllo della qualità sono estesi dalla produzione alle altre funzioni aziendali e vengono applicati dal personale di tutti i settori dell’azienda e non soltanto dagli specialisti della qualità. il CWQC è stato certamente uno dei principali fattori che hanno portato alle industrie giapponesi al successo mondiale soppiantando l’egemonia americana e dimostrando che produrre il più possibile senza porre l’accento sugli standard qualitativi non era più la strategia vincente.

Il Total quality Management

Il Giappone, nel 1974, per mantenere la produzione anche in un periodo difficile come quello che seguì la crisi petrolifera del 1973, iniziò ad applicare il concetto del JIT (just in time) e del TQM (total quality management). I lavoratori non si specializzarono più in poche mansioni elementari ma ebbero più mansioni e una capacità di controllo del processo produttivo. I contatti diretti con i clienti assunsero un ruolo preminente, si cercò di venire incontro alle loro esigenze, abbandonando la concezione che il prodotto dovesse essere venduto convincendo il mercato ad acquistarlo. Le scorte di magazzino vennero ridotte il più possibile e venne introdotta la flessibilità dei processi produttivi.

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14

Il total quality management può essere definito come una strategia di direzione che intende guidare il sistema aziendale verso la soddisfazione totale del cliente e la massima razionalizzazione delle risorse interne attraverso il continuo miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione e dei suoi processi. L’approccio del TQM parte dalla costatazione che la qualità è il fattore principale nelle scelte del cliente e quindi costituisce un elemento determinante per la sopravvivenza e il successo dell’azienda. Questa visione richiese che tutto il personale sia consapevole dell’importanza che la qualità riveste per il cliente e quindi per il successo dell’azienda. Ognuno deve applicate i principi del “far le cose bene la prima volta”4 e dell’eliminazione di difetti e sprechi in tutte le attività aziendali.(Farne, 2010, pp.43-46)

Secondo Molinini (2010) La qualità è diventata uno strumento globale

dell’impresa, necessario per mantenersi competitivi nel mercato attraverso

l’evoluzione di prestazioni e risultati misurabili e in corso di continuo

miglioramento nel tempo. Non viene più vista come un punto d’arrivo in un

contesto statico ma come un percorso di crescita continua, strutturata, intenzionale

e misurabile in un contesto dinamico:

Negli anni ’50 alcuni settori, come l’aerospaziale, l’aeronautico, il nucleare si trovarono nella necessità di dover impostare una nuova metodologia per il controllo di qualità: per prodotti di questo ambito si necessitava, infatti, di un controllo durante le varie fasi operative in tempo reale e non posteriore. La risposta fu quella di affiancare alle specifiche tecniche una specifica organizzativa che illustrasse, ad esempio, come qualificare i fornitori e tutto lo scenario operativo. Per la prima volta si riconobbe che la qualità era il risultato di sforzi congiunti di tutte le funzioni e che ciò che contava era la qualità dei processi aziendali e non più solo quella dei prodotti.

La differenza tra i sistemi di “Quality Assurance” e quelli di Total Quality Control sta nel fatto che mentre i primi si

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basano su un concetto statico di qualità, in quanto tendono al soddisfacimento dei requisiti stabiliti e a documentare tale risultato, i secondi costituiscono un sistema dinamico in quanto il miglioramento è un processo continuo ed ha come obiettivo la riduzione dei livelli di difettosità. Il sistema di Total Quality Control ha come obiettivo la produzione a “zero difetti”, per cui viene eseguito il controllo al 100% sia sulle parti e sui componenti utilizzati dal momento in cui giungono all’impianto e lungo tutto il processo, che sui prodotti finiti una volta ottenuti. (Liberatore, 2015, p. 196)

Negli anni ’90 la concorrenza diventa globale e la qualità diventa un elemento sostanziale per la sopravvivenza delle aziende sul mercato. Inoltre, l’internazionalizzazione dei mercati e la spinta per conquistare un vantaggio competitivo crea l’esigenza, da parte delle imprese, di offrire qualcosa di più di semplici prodotti, di associare ad essi dei servizi creati ad hoc per ogni tipo di consumatore per garantirsi la sua fedeltà. Le stesse aziende richiedono servizi sempre più accessibili ed efficacemente utilizzabili per non subire limitazioni nelle proprie strategie di crescita (Franceschini F.)

In questi anni nascono anche le norme ISO 9000 con l’obiettivo di definire delle linee guida per garantire non solo la qualità dei processi produttivi, ma di tutto il sistema di gestione aziendale.

Negli anni 2000, con la sempre crescente competitività dei mercati e con la capacità del consumatore finale di esercitare maggiore influenza sulle aziende, la qualità subisce un’ulteriore evoluzione, e non si riferisce soltanto agli aspetti esteriori e materiali dei prodotti o servizi, ma si estende anche alle percezioni che il cliente prova del prodotto o servizio.

La Costumer Satisfaction

L’attenzione si sposta, quindi, sulle sensazioni, sulle aspettative dei clienti, che vengono misurate con specifici strumenti di customer care e di customer satisfation. Il cliente diviene il nodo centrale della vita dell’azienda, che cerca di attrarlo grazie alla qualità dei suoi prodotti giudicati più interessanti.

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La qualità è il risultato di un insieme di attività interagenti e controllate attraverso le quali si vuole raggiungere l’obiettivo predeterminato; l’azienda interagisce con tutte le funzioni aziendali in un’ottica di sistema, la Total Quality System (TQS). La qualità rappresenta una delle dimensioni strategiche per la sopravvivenza delle imprese. Tuttavia, il significato ad essa attribuito ha subito diverse trasformazioni nel tempo, di pari passo ai cambiamenti e all’evoluzione della realtà ambientale e di contesto(Franceschini, 2001). (Molinini,2016)

1.2

Definizioni di Qualità

Di seguito vengono presentate alcune delle definizioni di qualità più

conosciute e a cui spesso si fa riferimento:

- Juran: Considerava la qualità come “l’idoneità all’uso” intesa sia come assenza di

errori, sia come caratteristiche tali da soddisfare in toto i bisogni del cliente.

- Crosby: La qualità è la conformità ai requisiti”

- Secondo L’American Society for Quality Control (ASQC): “La Qualità è

l’insieme degli aspetti e delle caratteristiche di un prodotto, processo o servizio,

da cui dipendono le sue capacità di soddisfare completamente un dato bisogno:

caratteristiche fisiche, aspetto, durata, utilizzabilità, affidabilità, manutenibilità,

supporto logistico, riparabilità, praticità”.

- Secondo la norma UNI EN ISO 9000:2005 “la qualità è il grado in cui un insieme

di caratteristiche intrinseche di un prodotto/servizio soddisfa dei requisiti”.

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17

1.3 La Qualità a livello internazionale

Le norme sulla qualità, in molti paesi, cominciarono ad essere

istituzionalizzate e documentate, Molinini (2016) descrive come avviene questo

sviluppo in Europa ma anche nel resto del mondo:

Nel 1912 il governo britannico creò un ufficio per garantire la qualità degli aerei della propria aviazione.

Negli Stati Uniti le norme di qualità divennero di fondamentale importanza, durante e dopo la II guerra mondiale, con l’elaborazione delle norme serie MIL STD (Military Standard). Queste norme per la standardizzazione della qualità furono imposte ai fornitori del Dipartimento della Difesa Statunitense.

La normazione, legata ormai indissolubilmente allo sviluppo economico, compì progressi talmente rapidi da evidenziare la necessità di norme valide, non più solo nell’ambito di alcuni costruttori, ma nell’intero ambito nazionale.

Per quanto riguarda gli enti di normazione, nel 1901 venne fondato in Gran Bretagna il primo Ente istituzionalmente preposto all’emanazione di norme “Engineering Standards Committee” che, dopo una serie di evoluzioni, diede origine nel 1919 al British Standards Institution (BSI). A tale Ente di normazione inglese ne seguirono altri, tra cui, nel 1921, “l’UNI”5.

L’ISO (International Organization for Standardization) è la più importante organizzazione a livello mondiale per la definizione di norme tecniche. È stata fondata nel 1947 e ha sede a Ginevra in Svizzera. I membri dell’ISO sono gli organismi nazionali di standardizzazione di 163 Paesi del mondo.

A livello europeo, invece, l’ente normativo che ha lo scopo di armonizzare e produrre norme tecniche in

(19)

18

collaborazione con enti normativi nazionali e sovranazionali, è il CEN (European Committee for Standardization), ovvero il Comitato Europeo di Normazione.

Il CEN, fondato nel 1961, lavora in accordo alle politiche dell’Unione Europea e dell’EFTA (European Free Trade Association) per favorire il libero scambio, la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori e la protezione dell’ambiente. Gli standard europei prodotti dal CEN sono normalmente armonizzati e adattati dai singoli Paesi che li accolgono, come nel caso dell’UNI in Italia.

Per certificazione di qualità deve intendersi l’attestazione, da parte di un organismo indipendente, della conformità di uno specifico oggetto di verifica ai requisiti di una norma di riferimento (Mattana G., 2006).

L’oggetto di certificazione può essere un prodotto, un sistema o una figura professionale.

- La “certificazione di prodotto” attesta direttamente il soddisfacimento dei bisogni dei clienti da parte dell’impresa; - La “certificazione di sistema”, invece assicura la capacità di

un’organizzazione di strutturarsi in relazione a determinati obiettivi.

- La “certificazione delle figure” si riferisce all’attestazione che una persona, valutata secondo regole stabilite, possiede i requisiti per operare, in un determinato settore di attività.(Liberatore, 2012)

Gli organismi di certificazione sono istituzioni private che operano in regime di concorrenza. Per garantire al mercato che un certo Ente abbia le caratteristiche idonee per emettere certificati di qualità, intervengono gli Enti di accreditamento.

Il processo di standardizzazione e regolamentazione in ambito di qualità poggia, dunque, su un sistema complesso che vede coinvolti i seguenti attori: l’Ente normatore, l’organizzazione, l’Ente di certificazione, l’Ente di accreditamento, i clienti. Questo sistema viene generalmente indicato come Sistema per la qualità (Cappelli L., Renzi M.F., 2010).

(20)

19

Per l’Italia, tale compito è assolto da ACCREDIA, ente unico nazionale di accreditamento, nato il 15 luglio 2009 dalla fusione di SINCERT e SINAL, gli organismi di accreditamento che in precedenza avevano l’autorità per accreditare rispettivamente gli Organismi di certificazione e di ispezione e i Laboratori di prova.( Molinini, 2016)

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(22)

21

CAPITOLO II

2. La Qualità Nella Sanità

Il concetto di qualità ha subito numerose modifiche nel tempo. È nato per

l’industria manifatturiera e applicato in principio esclusivamente al collaudo del

prodotto finale, esso si è evoluto, trasformandosi prima nel concetto di controllo

del processo produttivo, e poi, nel concetto di qualità come soddisfazione del

cliente, spostando così l’attenzione sulla qualità del servizio erogato e del rapporto

cliente-fornitore, enfatizzando così il principio della “qualità totale” di tutte le

competenze dell’organizzazione. L’utente ha assunto un ruolo centrale e si è

trasformato in cliente. Sicuramente diverse definizioni sono possibili e legittime,

dipendendo dal sistema nel quale si opera e dalla natura e dal grado di

responsabilità di chi opera.

2.1 L’origine della qualità in sanità

La Qualità oggi è diventata assolutamente trasversale in quasi tutti i settori e,

nel loro interno, in tutte le aree e le funzioni aziendali di qualsiasi organizzazione

pochi decenni il concetto di qualità è profondamente cambiato ed il suo ambito di

riferimento si è andato estendendo in misura sempre maggiore, dal reparto

produttivo al sistema socioeconomico e anche nei Servizi Sanitari. È importante

quindi prendere in considerazione lo sviluppo di questo concetto e come nasce e

l’interesse per la sua applicazione nell’ambito della salute.

Per meglio spiegare la multidimensionalità del concetto di qualità in sanità

possiamo ricorrere al capitolo " Per un concetto di “qualità” capace di senso” " del

volume di Bertin (2007), che ci offre una rassegna degli aspetti più importanti che

riguardano questo argomento:

Il termine qualità è uno dei più utilizzati nella letteratura dei servizi di welfare, ed è presente anche nelle più recenti norme sulla regolazione dei servizi. Molto spesso questo termine è utilizzato senza una chiara ed esplicita definizione. Considerare implicito il significato di un concetto equivale ad

(23)

22

assumere che tutti lo utilizzano nello stesso modo, gli attribuiscono lo stesso significato semantico.

L’unitarietà di questo concetto può non essere considerata implicita, ma deve essere costruita attraverso la condivisione della comunità scientifica e professionale che utilizza quel concetto nell’attività di ricerca e nella pratica operativa.

Ma il concetto deve essere condiviso anche dagli attori che lo utilizzano (utenti, politici, attori significativi della comunità) partecipando al processo di erogazione del servizio. Analizzando la letteratura e le esperienze concrete, si osserva che molto spesso il termine viene utilizzato in modo autodefinitorio In altre parole, dire che un servizio è di qualità corrisponde ad affermare che lo si considera positivamente, ma non si specifica quali siano gli elementi che portano alla costruzione del giudizio.

Questa indefinitezza rischia di creare una situazione di incomunicabilità del concetto, perché chi scambia l’informazione (il servizio è di qualità) può non utilizzare gli stessi codici semantici nel trasmetterla e nel riceverla.

Queste osservazioni richiedono una esplicitazione del concetto, per arrivare a chiarirne la natura e per definire le caratteristiche che consentono di utilizzarlo all’interno di processi di valutazione e regolazione dei servizi.(Bertin,2007, p.46)

Bertin inoltre ci spiega come la definizione di qualità possa variare in base al

soggetto che la definisce:

“In assenza di una chiara e condivisa definizione del concetto ogni attore finisce per operazionalizzarlo utilizzando gli aspetti più aderenti ai propri fabbisogni informativi, alla natura delle decisioni che deve prendere, ed ai fattori che influenzano il proprio agire all'interno del sistema rete.

Un manager punterà la sua attenzione prevalentemente sull'efficienza nell'uso delle risorse, sulle dinamiche di resistenza che si possono attivare con la realizzazione degli

(24)

23

interventi (accettabilità sociale), e sul soddisfacimento dei requisiti di equità che i servizi di welfare devono avere.

Il professionista riconoscerà la qualità di un intervento dalla coerenza con le indicazioni che vengono dal dibattito scientifico, e dalla capacità di risolvere il problema o soddisfare il bisogno che ha attivato la domanda del su intervento.

Il cittadino, infine, ha una situazione molto particolare perché si trova spesso ad avere una forte asimmetria informativa. Gli elementi utilizzati per la sua valutazione della qualità sono riconducibili agli aspetti che riconosce e sui quali è in grado di formulare un giudizio. Solitamente focalizzerà la sua attenzione sugli aspetti percepibili, e giudicabili, anche senza il possesso di competenze specifiche, e che appartengono alle sue esperienze di vita quotidiana.” (Bertin,2007, p.47-48)

Secondo Bertin (2007), queste prospettive di analisi della qualità danno vita a

specificazioni del concetto ed approcci alla valutazione della qualità che siano

coerenti con il bisogno di informazione degli attori. Da una parte, il mondo del

management pubblico, alla ricerca di nuovi modelli capaci di superare le logiche

burocratiche e sempre più attratto dai concetti e dalla strumentazione propria delle

esperienze che provengono dal mondo delle imprese private. Dall'altra,

l'evoluzione dell'identità e del sapere delle professioni più forti, che hanno cercato

di darsi delle regole e dei modelli per migliorare il proprio modo di lavorare, ed

aumentare la propria legittimazione sociale. In questa prospettiva l'orientamento

alla qualità del proprio lavoro, e la definizione di norme e standard alle quali i

singoli professionisti possano rifarsi per confrontare la loro pratica quotidiana, è

diventato un elemento costitutivo dell'identità di molte figure professionali del

sistema sociosanitario. (p.48)

Nella rassegna di Bertin (2007), appena presentata, relativa alle diverse

prospettive che hanno alimentato lo sviluppo del dibattito sulla qualità, si può

evidenziare la presenza di tre diversi punti di vista, dai quali è possibile affrontare

il problema, ovvero:

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24

- Quello manageriale (Conti,1992; Negro,1992), si preoccupa del funzionamento della macchina organizzativa, della sua capacità di rispondere alla domanda proveniente dal suo ambiente pertinente, cercando di combinare le dinamiche interne, la professionalità delle sue risorse e le tecnologie che la ricerca scientifica mette continuamente a disposizione. L'approccio manageriale riprende il dibattito sviluppatosi nel mondo della produzione di beni o servizi rivolto alle imprese. La Qualità è identificata con la capacità di rispettare alcuni standard organizzativi definiti e con i risultati prodotti dall'impresa, osservati ed interpretati attraverso l'analisi del grado di soddisfare del cliente. L'organizzazione deve sviluppare le sue capacità nel rispondere, nel miglior modo possibile, alle aspettative del cliente, che diventa il giudice della qualità prodotta dalle imprese. Dal punto di vista metodologico si sollevano due ordini di problemi, relativi: alla definizione degli standard organizzativi e gestionali di riferimento ed alla attivazione di processi di verifica del loro rispetto (Verifica di conformità); alla progettazione, costruzione e realizzazione di processi informativi capaci di render conto del livello di soddisfazione dei clienti;

- Quello professionale (Donabedian, 1990; Bonaldi, Ficarolo, Torreggiani, 1994), alla continua ricerca di definire modalità e procedure di lavoro al passo con il dibattito tecnico-scientifico interni alle singole professioni. L'approccio scientifico intende considerare la qualità di un intervento in funzione della corrispondenza con standard predefiniti ed accettati dalla comunità scientifica dei professionisti. Il giudizio sulla qualità di un servizio si sviluppa, quindi, a partire da valutazioni tecniche fatte da esperti, attraverso la definizione di comportamenti ritenuti teoricamente capaci di risolvere un problema, di soddisfare un bisogno.

- Quello partecipativo (Balducci, Ielesi, Ortigosa, 1995; G. Quinti, 2001), teso a conquistare un ruolo per il cittadino nel processo di progettazione ed erogazione del servizio. Il cittadino cerca di giocare un ruolo attivo nel processo di erogazione del servizio proponendosi come interlocutore forte

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25

nella valutazione della qualità prodotta. Questa prospettiva di valutazione della qualità è stata caratterizzata da un interessante dibattito, che ha mostrato, negli ultimi anni, una forte evoluzione dei modelli e degli strumenti di operazionalizzazione del concetto. Il problema più importante, sul quale si è dovuto confrontare questo approccio, è legato al rapporto esistente fra il ruolo del cittadino nel processo di produzione e la natura stessa del servizio erogato.

Due sono gli elementi di criticità da considerare che caratterizzano il legame fra cui eroga e ci riceve il servizio. Tali elementi sono ascrivibili all'asimmetria informativa. Questa carenza di informazioni mette l'utente in difficoltà nella comprensione e nel giudizio delle caratteristiche del servizi fruito e sancisce una condizione di squilibrio nei rapporti di potere fra utente e operatore, e introducono dinamiche psicologiche (Olivetti Manukian, 1998) che rendono complessa e non facilmente interpretabile la definizione delle aspettative e la percezione dei risultati.

Queste tre prospettive rischiano di confondere il concetto. Parlare di qualità alta o bassa di un bene o di un servizio significa, infatti, usare un termine che sottende un giudizio positivo o negativo di un bene o di un servizio. (Bertin,2007)

Come già evidenziato, usando questo termine si evita di connotare i criteri attraverso i quali viene formulato il giudizio. Questa è un’operazione che semplifica la comunicazione solo in modo apparente, ma, in realtà, la complica nascondendo i codici attraverso i quali il ricevente dovrebbe decodificare il messaggio ricevuto. (pp.48-50)

Da questo si può dedurre che la definizione di qualità in ambito sanitario può

variare molto in base alle opinioni di ognuno dei soggetti coinvolti, ad esempio,

per il paziente le caratteristiche come la prontezza e la cordialità nell’accoglienza,

i tempi d’attesa, la struttura dell’ospedale o clinica, la reputazione dei medici e

dell’ospedale stesso, possono essere caratteristiche che determinano la qualità.

(27)

26

Colui che eroga il servizio, invece, si baserà sugli aspetti più scientifici,

tecnici e tecnologici coinvolti nel processo, come l’esperienza dei professionisti e

la tecnologia disponibile.

Infine, per colui che finanzia il rapporto tra il costo di qualsiasi servizio e la

sua efficacia nell’evitare la malattia o nel recuperare la salute, potrebbe essere la

caratteristica cui attribuisce maggior valore.

Questi esempi ci aiutano a capire come il concetto di qualità nella sanità non

dipende da una caratteristica unica, ma dipende da molteplici aspetti che

emergono dal punto di vista di ogni soggetto e sono valutati in maniera diversa a

seconda del ruolo che hanno nel processo.

2.2

Definizioni di qualità

In seguito, alcune delle definizioni di qualità a cui frequentemente si fa

riferimento:

- La prima definizione di qualità in ambito sanitario compare nel 1933 ad

opera di Lee e Jones, i quali definiscono la qualità dell'assistenza come

l'applicazione di tutti i servizi necessari della moderna medicina scientifica ai

bisogni della popolazione". (TQM-RRVF, 2002)

- Per l’Istituto di Medicina statunitense la qualità consiste nel grado con il

quale il servizio sanitario aumenta la probabilità del risultato di salute atteso ed è

coerente con le conoscenze mediche correnti. (Institute of Medicine, Washington,

1974)

- Palmer propone una definizione più esaustiva: "la qualità dell'assistenza

consiste nella sua capacità di migliorare lo stato di salute e di soddisfazione di una

popolazione nei limiti concessi dalle tecnologie, dalle risorse disponibili e dalle

caratteristiche dell'utenza". (Palmer, 1990)

- Per Sackett (1980): è la frequenza con cui si compiono interventi sanitari

di dimostrata efficacia (più utili che dannosi) e con cui si evitano interventi più

dannosi che utili.

- Per Ahannu Vuori(1984): “La capacità di un prodotto di rispondere

completamente agli scopi per i quali è stato progettato e costruito, al più basso

costo possibile”.

(28)

27

- Secondo Brook e Lohr è la misura in cui i servizi sanitari prestati

aumentano la probabilità di ottenere risultati sperati a livello individuale o di

popolazione, secondo le possibilità offerte dalle conoscenze disponibili, entro i

vincoli imposti dalle risorse presenti.

- Per Donabedian : L’assistenza sanitaria è di qualità adeguata se: gli

operatori che erogano, effettuando gli interventi che il progresso delle conoscenze

scientifiche indica come capaci di produrre gli effetti desiderati e appropriati,

interventi che devono essere congruenti con i valori morali della società, e devono

essere realizzati in modo tale da generare soddisfazione in coloro che li ricevono;

sono in grado di massimizzare i benefici espressi in termini di salute aggiunta a

fronte dei rischi corsi per produrla.

- La Norma ISO definisce la Qualità come “l’insieme delle proprietà e

delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio che conferiscono ad esso la

capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite.” (UNI EN ISO 8402:1995)

- L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la qualità

dell'assistenza come "la disponibilità di un mix di servizi sanitari diagnostici e

terapeutici tali da produrre con la maggior probabilità l'esito di un'assistenza

sanitaria ottimale, compatibilmente con le conoscenze raggiunte dalla scienza

medica ed il rapporto con i fattori biologici quali l'età del paziente, la malattia di

cui è affetto, le diagnosi secondarie concomitanti, le risposte al regime

terapeutico, ed altri fattori connessi con :

a) il minimo dispendio di risorse per raggiungere questo risultato;

b) il minor rischio possibile di ulteriori danni o disabilità in conseguenza di

tale terapia;

c) la massima soddisfazione possibile del paziente riguardo al processo di

assistenza, alla sua personale interazione con il sistema sanitario ed i risultati

ottenuti. (W.H.O 1988)

- Ovretveit (1996) definisce la qualità in Sanità come: “la piena

soddisfazione di coloro che hanno maggiormente bisogno del servizio, al costo

più basso per l’organizzazione, entro i limiti e le direttive imposte dalle autorità

preposte e dagli acquirenti”.

Dalle definizioni si evidenzia come l’enfasi generale venga posta nei seguenti

aspetti:

(29)

28

- la finalità, che nelle più recenti formulazioni viene posta sulla salute

piuttosto che sulla qualità prodotti

- la perseguita efficacia degli interventi

- risposta ai bisogni di salute della popolazione

- le risorse a disposizione, ed in particolare tecnologie e conoscenza

tecnicoscientifica

- alcune pongono enfasi anche nei limiti che possono essere dati dalle

caratteristiche dei pazienti.

- l’attenzione al criterio costo-efficacia

Vi sono diversi autori che includono nelle loro definizioni, in linea di

massima, i medesimi aspetti; altri autori, pur mantenendo la stessa base di

partenza, pongono la loro enfasi su aspetti più specifici. In seguito, si analizzano e

si mettono a confronto gli aspetti sopra elencati.

- L’enfasi che viene posto sulla “soddisfazione dei bisogni degli utenti” è

l’aspetto in comune o un punto d’incontro che caratterizza i concetti di qualità

introdotti da Lee e Jones, dalla Palmer, da Donabedian, da Ovretveit, la Norma

ISO e infine quello dalla OMS.

- “Migliorare lo stato di salute della popolazione”, è uno dei

fondamentali aspetti evidenziati nella definizione di qualità della Palmer. Ma

nella sua definizione sottolinea anche il ruolo che giocano, nel garantire la qualità

del servizio, “le risorse a disposizione, la tecnologia e le caratteristiche

dell’utenza”. A tal proposito, anche l’OMS, l’Istituto di Medicina Statunitense e

Donabedian hanno preso in considerazione “il ruolo che giocano le risorse che si

hanno a disposizione”, sottolineando oltre a quelle sopranominate: “le

conoscenze mediche e scientifiche che si hanno riguardo a una determinata

malattia, anche le risposte del soggetto al regime terapeutico”, che come

sappiamo possono variare da soggetto a soggetto.

- L’OMS però aggiunge al concetto di qualità in sanità il seguente fattore: “il

minor rischio possibile di ulteriori danni in conseguenza della terapia utilizzata”.

Si tratta di idee che ritroviamo anche nei concetti di Sackett e di Donabedian.

- La definizione di Vuori e Ovretveit è collegata a quelle nominate in

precedenza ovvero “Rispondere completamente agli scopi per i quali è stato

(30)

29

progettato l’intervento” ma vi aggiunge un’enfasi nel costo dell’intervento e

quindi sostiene che deve essere garantito “al più basso costo possibile”.

Alcuni di questi concetti sono stati un punto di riferimento per alcuni studiosi

ispirando i loro lavori, altri invece per l’importanza che hanno vengono applicate

nei Servizi sanitari di alcuni paesi, come nel caso dell’Unione Europea come si

vedrà successivamente.

Ripercorrendo il concetto di qualità, non si può non menzionare Avedis

Donabedian, uno dei primi studiosi ad averlo attentamente esaminato e che ha

influenzato profondamente le riflessioni successive sulla qualità dei servizi

sanitari. Il suo lavoro nell’ambito della qualità dell’assistenza sanitaria ha

rappresentato un punto di svolta nello sviluppo di una scienza.

Corposanto (2006) nel suo articolo “La valutazione della qualità in sanità.

Alcune riflessioni teoriche” espone uno dei principali studi di Donabedian:

Uno dei contributi principali del dottore Avedis Donabedian è una tripartizione, conosciuta come il paradigma di Donabedian, che serve per valutare la qualità dell’assistenza sanitaria nella quale gli assi della qualità sono indirizzati a: - la struttura (qualità organizzativa),

- il processo (qualità professionale) - l’esito (qualità percepita).

- Quando si parla di struttura (qualità organizzativa) si fa riferimento alle risorse disponibili, personale, attrezzature, edifici, ecc., ed alle modalità organizzative delle stesse.

- Quando si parla di processo si intende il prodotto, le prestazioni, la loro tempestività e la loro appropriatezza in merito alle decisioni di intervento, al livello di effettuazione ed all’uso delle risorse. Quindi la dimensione della qualità di processo fa riferimento alla correttezza tecnica, al coordinamento ed integrazione delle stesse, nonché alla continuità dell’assistenza. Pertanto, è l’asse che si riferisce al comportamento degli operatori.

In qualità totale indica una sequenza finalizzata ed interconnessa di attività con lo scopo di fornire un prodotto al

(31)

30

cliente. Sequenza che quasi sempre coinvolge più di una unità organizzativa e più di una figura professionale.

I processi sono tanto più importanti quanto più, in base alle evidenze scientifiche ed al consenso di esperti, aumentano le probabilità che si verifichino esiti favorevoli.

Nel mondo della qualità industriale, ma anche nella sanità, si da molto peso all’analisi dei processi come mezzo di miglioramento, soprattutto se ci si pone il problema dell’appropriatezza delle prestazioni.

- Quando si parla di esito si intendono le modificazioni delle condizioni di salute dovute agli interventi sanitari. In senso positivo sono da intendersi il prolungamento della vita, la riduzione della sofferenza e della disabilità. In senso negativo sono rappresentati dalle complicazioni e dagli effetti iatrogeni. Nel campo della prevenzione l’esito è la riduzione dell’incidenza delle malattie.

Un esito particolare è rappresentato dalla soddisfazione dei pazienti, dei familiari e della popolazione.

È necessario distinguere l’esito dal risultato ed usare il risultato per indicare il grado di raggiungimento di un obiettivo. (C.Corposanto, 2006,pp. 12-13)

2.3 La qualità in Sanità nel contesto Europeo

Nel primo Capitolo del libro “Valutare la Qualità in Sanità” a cura di

Costantino Cipolla, Guido Giarelli e Leonardo Altieri (2002), troviamo una

descrizione dello sviluppo della qualità nell’ambito sanitario:

Nell’Europa occidentale più sviluppata, dapprima nei Paesi di essa che sono usciti vincitori o comunque non sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, l’affermarsi dell’interesse per la qualità delle cure si è espresso come parte di un più vasto movimento di riforma sociale. La riforma per migliori cure sanitarie è stata avviata nel quadro di una presa di coscienza civile e politica che i pazienti sono anche cittadini, fruenti di diritti di cittadinanza. Possiamo perciò anticipare una differenza

(32)

31

profonda che l’avvento del welfare state ha, dapprima solo implicitamente, prodotto nella valutazione dei servizi per le cure sanitarie e sociosanitarie. La qualità delle cure per la salute, nel welfare state, deve essere centrata sulla relazione positiva tra l’efficienza delle prestazioni dei servizi e i bisogni umani dell’utenza. È una valutazione di beni e servizi che non piò essere condotta solo su basi di razionalità gestionali comuni ad ogni azienda industriale. Ciò va detto ora in cui il mondo delle strutture sanitarie specie ospedali pubblici è destinatario di un’enorme ondata pubblicitari di chi ha da vendere modelli di valutazioni gestionali general-generiche di tipo industriale (in primis quelle delle norme ISO 9000). Il tutto quasi a preparare indiscriminate logiche di privatizzazione capitalistica anche nelle nazioni di consolidato Stato sociale.

È dall’impianto per un organico Stato per il benessere che promana una riforma sanitaria organizzante le cure mediche essenziali quale garanzia storica per tutti i cittadini (universalismo) in stato di bisogno- siano essi occupati o non, ricchi e poveri. Il tutto sotto l’impulso di una solidarietà oltre le separazioni e le dialettiche tra classi sociali, che si era maturata nelle popolazioni, durante la seconda guerra mondiale, per la condivisione di diffuse sofferenze e di tremendi guasti sofferti insieme da tutti gli abitanti.

Un tratto saliente della qualità delle cure per la salute riconosciuto a questo modello di welfare state (introdotto da lord Beveridge) viene qualificato come universalismo anzitutto come superamento dell’assistenzialismo, e cioè superamento della netta separazione tra ricchi e poveri.

Tale riorganizzazione istituzionale postbellica è partita dalla Gran Bretagna, sulla scorta di uno storico compromesso tra Stato e mercato, per l’impulso di forze sociali e politiche democratiche e riformiste. Essa è apparsa come l’ultima tappa dell’espansione dei diritti di cittadinanza, quella dei diritti sociali dopo i diritti sociali dopo i diritti civili e politici; secondo una teorizzazione svolta dal sociologo inglese TH. Marshall a partire dal 1950.

(33)

32

Oltre all’universalismo delle cure, con prelievo tributario e contributivo da tutti i cittadini contribuenti in proporzione alla capacità contributiva di ciascuno, l’esperienza del primo welfare state si è caratterizzata anche per il monopolio statale nella produzione e gestione spesso diretta dei beni e servizi erogati per il benessere di tutti i cittadini.

Tale welfare state ha assicurato, fino alla fine deli anni Settanta, un’espansione lineare crescente di impegni e di spese pubbliche. Poi si è cominciato a parlare di crisi del modello e solo con gli anni Novanta di questo secolo l’Europa occidentale ha cominciato a sperimentare correzioni al modello ritenuto in crisi.

Tra i paesi che sono arrivati tardi all’attuazione del modello vi è stato anche l’Italia in cui il welfare state sanitario vero e proprio è definitivamente entrato della legislazione con la fine del dicembre 1978 (legge 833/78).

La prima critica al modello postbellico di welfare state si è concentrata nella denuncia del centralismo burocratico gestionale pubblico, nella persistente asimmetria dei rapporti fra chi dà e chi riceve, nella non applicazione del principio di sussidiarietà e tali disfunzioni sono apparse come carenze di qualità delle cure, cui riparare appunto con revisioni anche qualitative della gestione delle garanzie sociali.

L’emergere del problema della qualità delle cure, dalla metà degli anni Ottanta in Occidente, ha avuto come primo esito quello di spingere a bilanciare i diritti sociali del welfare state con la tutela e auto-tutela dei diritti civili e politici dei cittadini utenti. Ciò specie in riferimento alla rivendicazione di maggiore libertà di scelta degli utenti di tali servizi e alla difesa dei contribuenti. Non a caso, in tema di servizi socio-sanitari, la revisione del welfare state si è accompagnata, in numerosi paesi europei alla diffusione delle mutue spesso su basi di contratti collettivi di lavoro dipendente e di assicurazioni provate, anche in paesi a forte Stato sociale.

Due sono apparse le più diffuse revisioni del promo welfare state:

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33

- Quella in termini di più gestione economica di mercato, per più efficienza;

- Quella in termini di più solidarietà e sussidiarietà, con la comparsa di nuovi attori sociali di welfare, di tipo associativo e partecipativo, nella forma di gruppi di volontariato, di gruppi di famiglie, di cooperative, di altre forme non profit e di associazione di tutela dei diritti del malato.

Chi ha seguito la correzione dello Stato sociale più dalla parte del mercato e delle sue logiche concorrenziali, ha puntato a ricercare la qualità come misurabile in termini aziendali, secondo metodologie e pratiche gestionali e organizzative già affermatesi a livello industriale.

Altri ha puntato a misurare la qualità o meno delle cure come connessa o meno a soddisfazione dei consumatori (costumer’s satisfaction). In questo secondo caso gli accertamenti si sono non di rado semplificati nella forma di sondaggi su campioni di consumatori singoli, spesso attraverso telefonate anonime, aggreganti sole risposte individuali a domande precodificate.

Infine, vi è chi ha seguito con maggiore penetrazione la linea della partecipazione degli utenti come cittadini puntando a cercare forme consultive di controlli, anche dall’interno delle strutture di welfare sanitario. Il tutto per allargare la relazionalità sociale, per accrescere comunicazione e integrazione sociale tra operatori e pazienti, pure a contenimento degli eccessi di specializzazione del mondo clinico ospedaliero separanti la malattia dal malato. (pp. 35-38)

Normative Europee sulla qualità

Nel contesto europeo ci sono alcuni trattati che fanno enfasi su sulla qualità e

che hanno richiesto ai paesi membri di rispettare e applicare determinati principi

nelle proprie normative:

a- Il 18 giugno del 1996, nella Conferenza Europea dell'Organizzazione Mondiale

della Sanità sulle riforme della Sanità ", è stata approvata La Carta di Lubiana

che elencò i principi o direttive su cui devono poggiare i sistemi sanitari dei paesi

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