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Studio del meccanismo di apoptosi indotto dal trattramento con deossicoformicina e deossiadenosina in cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in Biologia applicata

alla Biomedicina

Studio del meccanismo di apoptosi indotto dal

trattamento con deossicoformicina e

deossiadenosina in cellule di neuroblastoma

umano SH-SY5Y

Candidato Relatori

Edoardo Petrotto Prof.ssa Marcella Camici

Dott.ssa Mercedes Garcia Gil

(2)

INDICE

Riassunto

pag. 5

Abstract

pag. 7

Abbreviazioni

pag. 9

CAPITOLO 1

Introduzione

1.1 Immunodeficienza combinata grave causata da

deficit da adenosina deaminasi

pag. 11

1.1.1 Terapie

pag. 16

1.2 Metabolismo delle purine

pag. 18

1.3 Mitocondri e fosforilazione ossidativa

pag. 23

1.4 Le specie reattive dell'ossigeno

pag. 25

1.5 N-acetilcisteina e Melatonina

pag. 27

1.6. Acido nordiidroguaiaretico

pag. 28

1.7 Baicaleina

pag. 28

1.8 L'apoptosi

pag. 29

1.8.1 Ca

2+

e apoptosi

pag. 31

1.9 Rianodina

pag. 32

1.10 Nifedipina

pag. 33

1.11 Chelanti del calcio

1.11.1 BAPTA-AM

pag. 33

(3)

1.12 Le caspasi

pag. 34

1.12.1 La caspasi-8

pag. 35

1.12.2 La caspasi-9

pag. 36

1.12.3 Le caspasi esecutrici

pag. 37

1.13 Modello di deficienza di ADA in cellule ADF

pag. 37

1.14 Neuroblastoma

pag. 43

1.14.1 La linea cellulare SH-SY5Y

pag. 44

1.15 Scopo della tesi

pag. 45

CAPITOLO 2

Materiale e metodi

2.1 Materiali

pag. 46

2.2 Condizioni di coltura cellulare

pag. 46

2.3 Congelamento e scongelamento delle cellule

pag. 47

2.4 Condizioni sperimentali utilizzate per i

trattamenti con dCF e dAdo

pag. 48

2.5 Determinazione dei metaboliti purinici

pag. 49

2.6 Saggio bromuro di

3-[4,5-dimetiltiazol-2-il]-2,5-difenil tetrazolio (MTT)

pag. 49

2.7 Preparazione dell'estratto proteico per la misura

dell’attività delle caspasi

pag. 50

2.8 Caspasi-9

pag. 51

2.9 Caspasi-8

pag. 51

2.10 Caspasi-3

pag. 52

2.11 Analisi statistica

pag. 52

(4)

Risultati

3.1 Effetto del trattamento con dCF e dAdo sulla

vitalità cellulare

pag. 53

3.2 Reversibilità della diminuzione di vitalità cellulare

indotta dal trattamento con dCF e dAdo

pag. 55

3.3 Effetto sulla vitalità di sostanze che alterano

i livelli del calcio

pag. 57

3.4 Effetto di antiossidanti sulla vitalità cellulare

pag. 60

3.5 Effetto dell'NDGA e della baicaleina sulla vitalità

cellulare

pag. 61

3.6 Effetto dell'inibizione della ADA sulla

concentrazione dei metaboliti purinici

pag. 62

3.7 Effetto della 5'ammino-5'dAdo sulla vitalità

cellulare

pag. 63

3.8 Effetto del trattamento con dCF e dAdo

sull'attività delle caspasi-8, -9 e -3

pag. 65

3.8.1 Caspasi-8

pag. 65

3.8.2 Caspasi-9

pag. 67

3.8.3 Caspasi-3

pag. 68

CAPITOLO 4

4.1 Discussione e Conclusioni

pag. 70

(5)

RIASSUNTO

Il dismetabolismo delle purine è frequentemente associato a disfunzioni psicomotorie, ma il legame molecolare tra lo squilibrio metabolico e le manifestazioni neurologiche, nella maggior parte dei casi, è ancora poco chiaro. La deficienza di adenosina deaminasi (ADA), enzima che catalizza la deaminazione dell’adenosina e della deossiadenosina, è associata ad una grave immunodeficienza e ad alterazioni nel funzionamento di molti organi come osso, fegato, reni e sistema nervoso. I disturbi neurologici includono disordini nella coordinazione motoria, disabilità nell’apprendimento, iperattività, epilessia e deficit uditivi. Il trapianto di midollo osseo è in grado di risolvere i problemi del sistema immunitario ma non quelli neurologici. Per lo studio dei possibili meccanismi alla base delle manifestazioni neurologiche associate alla deficienza di ADA è stato utilizzato un modello di cellule neuronali, la linea SH-SY5Y, derivata da un neuroblastoma umano, trattate con un inibitore di questo enzima, la deossicoformicina (dCF), e l’aggiunta di deossiadenosina (dAdo), che si accumula in assenza della suddetta attività enzimatica.

E' stato indagato l'effetto di questo trattamento sulla vitalità cellulare, sui livelli di ATP e dATP e su l'attività delle caspasi iniziatrici -8 e -9 ed effettrici (caspasi-3) e l'effetto sia di antiossidanti che di molecole che alterano i livelli di calcio intracellulare. I risultati indicano che l'inibizione di ADA e l'accumulo di dAdo diminuiscono la vitalità nel modello utilizzato. Nifedipina, rianodina, BAPTA-AM, EDTA, N-acetilcisteina, melatonina, acido nordiidroguaiaretico e baicaleina non determinano un effetto protettivo sulla vitalità nelle cellule trattate. La 5'ammino-5'deossiadenosina, un inbitore della dAdo chinasi, aumenta significativamente la vitalità cellulare, sebbene dopo 15 e 24 ore di trattamento non si sia osservato un aumento di dATP. Le caspasi -9 e -8 si attivano, rispettivamente, dopo 6 e 8 ore

(6)

di trattamento, mentre la caspasi-3 mostra una fase precoce e una più tardiva di attivazione. Se le condizioni sperimentali rispecchiano la deficienza di ADA, è possibile ipotizzare che l'effetto nocivo sui neuroni descritto in questa tesi abbia un ruolo nel malfunzionamento di alcuni circuiti neuronali nei pazienti ADA-SCID.

(7)

ABSTRACT

The purine metabolic disorders are frequently associated with psychomotor disturbances, but the molecular link between the metabolic imbalance and the neurological manifestations, in most cases, is still unclear. The deficiency of adenosine deaminase (ADA), the enzyme which catalyzes the deamination of adenosine and deoxyadenosine, is associated with a severe immunodeficiency and to abnormalities in functioning of many organs such as bone, liver, kidney and nervous system. Neurological disorders include disturbances in motor coordination, learning disabilities, hyperactivity, epilepsy and hearing impairment. The transplantation of bone marrow is able to solve the problems of the immune system but not the neurological ones. For the study of the possible mechanisms underlying the neurological manifestations associated with deficiency of ADA, a model of neuron, the SH-SY5Y line, derived from a human neuroblastoma was used. Cells were treated with an inhibitor of ADA, deoxycoformycin (dCF) and the addition of deoxyadenosine (dAdo), which is known to accumulate intracellulary in the absence of the aforementioned enzymatic activity.

It has been studied the effect of this treatment on cellular viability, on ATP and dATP levels and on the activity of initiator caspases -9 and -8 and effector (caspase-3), and the effect either of antioxidants or molecules altering intracellular calcium levels. The results indicate that ADA inhibition and dAdo accumulation decrease viability in this model. Nifedipine, ryanodine, BAPTA-AM, EDTA, N-acetylcysteine, melatonin, baicalein and nordihydroguaiaretic acid do not determine a protective effect on viability of treated cells. 5'ammino-5'deoxyadenosine, a dAdo kinase inhibitor, significantly increases cell viability although it has not been observed an increase in dATP following 15 or 24 hours of treatment. Caspase-9 and 8 are activated after 6 h and 8 h of treatment respectively, while caspase-3

(8)

shows both an early and a late phase of activation. If these experimental conditions mirror ADA deficiency, it is possible to hypothesize a role of the noxius effect on neurons described in the present Thesis on the malfunctioning of some neuronal circuits in ADA-SCID patients.

(9)

ABBREVIAZIONI

ADA: adenosina deaminasi Ado: adenosina

Apaf-1: “apoptotic protease activating factor 1”, fattore 1 che attiva l'apoptosi

BAPTA-AM: acido 1,2-bis(o-ammino-fenossi)etano-N,N,N',N'-tetracetico-acetossimetilestere CARD: “caspase recruitment domain”, dominio di reclutamento delle caspasi

dAdo: deossiadenosina dCF: deossicoformicina

DD: “death domain”, dominio di morte

DISC: death-inducing signaling complex, complesso di segnalazione induttore di morte DMEM: Dulbecco’s modified Eagle’s medium

DMSO: dimetilsulfossido DTT: ditiotreitolo

EDTA: acido etilendiamminotetraacetico

FADD: “Fas associated death domain”, dominio di morte associato a Fas FBS: siero fetale bovino

GSH: glutatione ridotto GSSG: glutatione ossidato HLA: human leukocyte antigen

HPLC: “high pressure liquid cromatography”, cromatografia liquida ad alta pressione HPRT: ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi

IAP: inibitori di proteine apototiche

MTT: bromuro di 3-(4,5-dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniltetrazolio NAC: N-acetilcisteina

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NH2-dAdo: 5’-ammino-5’-deossiadenosina

PBS: tampone fosfato salino PEG: polietilenglicolo pNA: paranitroanilina

PNP: purina nucleoside fosforilasi PRPP: 5-fosforibosil-1-pirofosfato

ROS: reactive oxygen species, specie reattive dell'ossigeno SAH: S-adenosilomocisteina

SAHH: S-adenosilomocisteina idrolasi

SCID: “severe combined immunodeficiency disease”, sindrome di immunodeficienza combinata grave

SMAC/DIABLO: “second mitochondria-derived activator of caspases/direct inhibitor of apoptosis-binding protein with low pI”, secondo attivatore mitocondriale delle caspasi, inibitore diretto della proteina associata a apoptosi con basso punto isoelettrico

TNF: “tumor necrosis factor”, fattore di necrosi tumorale

TNFR: “tumor necrosis factor receptor”, recettore del fattore di necrosi tumorale

TRADD: “TNFR-associated death domain RIP 1”, proteina con dominio di morte associata al recettore del fattore di necrosi tumorale

(11)

CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

1.1 Immunodeficienza combinata grave causata da

deficit di adenosina deaminasi

L'adenosina deaminasi (ADA) catalizza la deaminazione idrolitica irreversibile dell'adenosina e della deossiadenosina, portando alla formazione di inosina e deossinosina. È un enzima che si trova in batteri, piante, invertebrati, vertebrati e mammiferi, con una sequenza amminoacidica fortemente conservata. Questo suggerisce l'importanza cruciale di questo enzima nel catabolismo e nel recupero dei nucleotidi adenilici (Cristalli et al., 2001). Nell'uomo è ubiquitariamente espresso, con un picco a livello del tessuto linfoide e alti livelli di espressione nell'encefalo e nel tratto gastrointestinale. L'attività minore è stata osservata negli eritrociti (Hirschhorn e Candotti et al., 2007). Man mano che i linfociti T maturano l'espressione dell'enzima diminuisce. L'ADA è una proteina composta da 8 motivi a beta foglietto alternati a 8 alfa elica, ci sono inoltre altri 5 motivi alfa elica: 3 dopo il primo beta foglietto e 2 dopo l'ultimo. I beta foglietto formano una struttura a barile che circonda il sito catalitico che si trova all'estremità carbossilica del barile. Al di sotto del sito di legame del substrato è presente uno ione zinco coordinatamente legato al fondo del barile (Fig. 1.1) (Hirschhorn e Candotti et al., 2007).

(12)

Fig. 1.1. Struttura terziaria dell’ADA bovina. Da RCSB Protein Data Bank

Il gene per ADA è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 20 ed è formato da 12 esoni. Sono state identificate oltre 50 mutazioni in pazienti immunodeficienti per difetti nell'ADA. La maggior parte sono mutazioni missenso, seguite da mutazioni dei siti di splicing, delezioni o inserzioni e infine mutazioni nonsenso. Le mutazioni missenso appaiono concentrate negli esoni 4, 5 e 7, regioni che codificano per aminoacidi che fanno parte del sito catalitico e del sito di legame del substrato (Fig 1.2) (Hirschhorn e Candotti, 2007).

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I difetti genetici di ADA forniscono la base molecolare a circa il 40% dei casi autosomici recessivi di immunodeficienza combinata grave (SCID) e pertanto rappresentano circa il 20% di tutti i casi di SCID (Hirschhorn e Candotti et al., 2007). Nei pazienti affetti da ADA-SCID l'esordio dei sintomi è molto precoce, poche settimane dopo la nascita. Presentano linfopenia, il livello dei linfociti nel sangue è molto basso, e assenza delle risposte immunitarie sia umorali che cellulari. Sono pertanto soggetti a numerose, potenzialmente fatali, infezioni virali, fungine e da parte di agenti opportunisti (Hirschhorn e Candotti et al., 2007). In circa il 50% dei pazienti si riscontrano anomalie ossee soprattutto a carico delle giunzioni costocondrali. Inoltre alcuni pazienti presentano anomalie nel funzionamento renale e lesioni della ghiandola del surrene. Non è semplice distinguere fra quelli che sono gli effetti primari dell'ADA-SCID e gli effetti secondari dovuti alle numerose infezioni.

L' assenza dell'attività di ADA non determina una diminuzione dei prodotti della reazione, inosina e deossinosina, e non altera la concentrazioni di acido urico, il prodotto finale del catabolismo delle purine. Pertanto devono esserci delle vie alternative che determinano la normale concentrazione di questi composti. Come ci si potrebbe aspettare, si accumulano adenosina (Ado) e deossiadenosina (dAdo) a livello di plasma e urine, e inoltre si riversano in vie che in condizioni fisiologiche sono minimamente usate. Ado e dAdo sono normalmente presenti nel plasma con concentrazioni rispettivamente di circa 1 μM e 0,5 μM. In pazienti affetti da ADA-SCID questi valori oscillano fra 1-6 μM per l'adenosina e 1 μM per la deossiadenosina, però è difficile determinare l'effettiva concentrazione nel plasma con le comuni procedure, poiché entrambi i composti sono quasi istantaneamente catturati durante il prelievo di sangue e intrappolati all'interno degli eritrociti tramite fosforilazione. Nelle urine si ha un grande aumento di dAdo, che in condizioni normali non è rilevabile, mentre l'escrezione di Ado è solo minimamente elevata rispetto ai normali livelli. L'aumento di dAdo determina l'inattivazione della S-adenosilomocisteina (SAH) idrolasi (SAHH): nei bambini non curati affetti da ADA-SCID l'attività di questo enzima è marcatamente ridotta. In vitro,

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questo porta a un accumulo di SAH che inibisce, tramite un meccanismo a feedback, la conversione di S-adenosilmetionina in SAH e quindi impedisce il trasferimento dei gruppi metilici, potenzialmente necessario per tutte l'essenziali reazioni di metilazione. Il ruolo dell'inattivazione della SAHH nella patogenesi dell'ADA-SCID rimane da determinare, dato che l'aumento di SAH non è stato ancora dimostrato in vivo e inoltre l'inibizione di SAHH persiste nei pazienti che hanno recuperato le funzioni immunitarie in seguito al trapianto di midollo osseo. É interessante notare che difetti genetici di SAHH non sono associati con alcuna anomalia del sistema immunitario, ma con grave ritardo psicomotorio, ipotonia e difetti della mielinizzazione (Hirschhorn e Candotti et al., 2007).

Fig. 1.3. Conseguenze metaboliche del deficit di ADA. Da Hirschhorn e Candotti, 2007

C'è da sottolineare anche il ruolo dell'adenosina extracellulare nel regolare la risposta infiammatoria, tramite recettori accoppiati a proteine G presenti sulle cellule bersaglio, esercitando funzioni soppressive. Nei pazienti ADA-SCID l'aumento dei livelli extracellulari

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di Ado determina un'eccessiva attivazione dei recettori adenosinici, nella maggior parte dei casi del recettore 2a, e delle vie corrispondenti. Studi funzionali su linfociti T provenienti da topi e pazienti con deficit di ADA mostrano un alterato signaling extra e intracellulare che porta a una compromissione delle funzioni cellulari. L'Ado extracellulare induce un aumento intracellulare dei livelli di AMP ciclico (cAMP) che inibisce sia gli effetti precoci dell'attivazione del recettore delle cellule T sia i cambiamenti più a valle degli effettori del segnale; infatti, si osserva una bassa o non rivelabile fosforilazione di IκBα, che porta a un basso livello di traslocazione di NF-κB nel nucleo e di trascrizione dei geni bersaglio (Sauer et al., 2012 ). Minori informazioni si hanno riguardo all'effetto dell'aumento di Ado extracellulare sui linfociti B. Come nei linfociti T, il legame dell'Ado al suo recettore inibisce la fosforilazione di IκBα e la traslocazione di NF-κB che deriva dall'attivazione del recettore delle cellule B in seguito al legame con l'antigene e alla stimolazione di TLR4. Pertanto l'adenosina potrebbe portare i linfociti B stimolati a una risposta anergica piuttosto che immunogenica.

La più impressionante alterazione nei pazienti è l'accumulo di grandi quantità di deossiATP (dATP) in eritrociti e linfociti. Nei casi dove l'aumento è più marcato i livelli di ATP calano. Generalmente la concentrazione di dATP correla con la gravità della malattia, e va in parallelo con l'aumento di dAdo nelle urine. Il dATP è un inibitore della ribonucleotide reduttasi, enzima necessario per la formazione dei deossiribonucleotidi e quindi per la sintesi del DNA. Pertanto il marcato aumento di dATP potrebbe bloccare la proliferazione dei linfociti, passaggio necessario per la successiva differenziazione in cellule mature. Questa linfotossicità è stata dimostrata in vitro da studi che mostrano come nei linfociti, in particolare nelle cellule T immature, la via per la fosforilazione della dAdo è più attiva della via inversa della defosforilazione (Hirschhorn e Candotti, 2007).

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1.1.1 Terapie

Il trapianto di cellule emopoietiche da un familiare con antigene leucocitario (HLA) identico è attualmente la terapia migliore per i pazienti affetti da ADA-SCID. Determina un recupero a lungo termine delle funzioni immunitarie: crescita, fino a valori nella norma, del numero complessivo di cellule T, e attecchimento delle cellule B del donatore in quasi tutti i casi con conseguente ripristino dell'immunità umorale (Sauer et al., 2012). Secondo i dati disponibili, il recupero metabolico e immunitario è mantenuto bene fino a oltre dieci anni dal trapianto. Ciò nonostante, in una frazione significativa dei pazienti sopravvissuti, si osserva un ritardato e subottimale recupero immunitario come risultato di uno scarso attecchimento iniziale o di un graduale declino delle funzioni immunitarie. Inoltre sono stati descritti casi di malattia del trapianto contro l'ospite, manifestazioni autoimmunitarie e infiammatorie e infezioni persistenti. Solo il 20% dei pazienti ha accesso a un trapianto da un familiare HLA compatibile; pertanto, spesso si utilizzano cellule da un familiare aploidentico o da un donatore estraneo compatibile. In questi casi la sopravvivenza diminuisce molto: il 66% nei casi di un donatore estraneo compatibile e il 43% in quelli da un familiare aploidentico. Nei casi di un fratello o familiare compatibile si arriva all' 86% e all' 81% di pazienti sopravvissuti (Sauer et al., 2012). E' ben documentato che i disturbi neurologici descritti nei pazienti con deficit di ADA non sono risolti dal trapianto di midollo osseo (Sauer et al., 2012).

La somministrazione di ADA bovina è un trattamento sviluppato per cercare di mantenere in vita i pazienti a cui manca un donatore HLA compatibile. L'enzima viene somministrato legato covalentemente, tramite residui di lisina, a numerosi filamenti di polietilenglicolo (PEG) che aumentano notevolmente la permanenza in circolo della molecola fino a diversi giorni, proteggendola da attacchi proteolitici, inibendo l'assorbimento renale, il legame di anticorpi e la presentazioni di antigeni e quindi riducendone l'immunogenicità. Dato che

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l'assorbimento cellulare è poco significativo, una volta somministrato, PEG-ADA, rimane limitato nel plasma e da qui, continuando a circolare, elimina gli accumuli di adenosina e deossiadenosina. In questo modo, indirettamente per diffusione, determina la riduzione dei metaboliti tossici intracellulari. I risultati a lungo termine suggeriscono che il recupero immunitario è spesso incompleto. Nonostante i miglioramenti iniziali, la conta linfocitaria dei pazienti trattati rimane sempre al di sotto dei valori normali. Un graduale declino della proliferazione avviene dopo pochi anni di trattamento e la risposta antigenica rimane bassa. Sono stati osservati diversi effetti collaterali tra cui squilibri nel sistema immunitario, che includono autoimmunità (diabete di tipo I, ipotiroidismo, immuno trombocitopenia, anemia emolitica) e manifestazioni allergiche. Inoltre, dopo 8-10 anni di trattamento, emergono gravi complicazioni come neoplasie linfoidi ed epatiche, e progressione di insufficienze polmonari croniche. Infine il principale problema della terapia è lo sviluppo nel paziente di anticorpi anti PEG-ADA che ne diminuiscono l'efficacia con conseguente declino nei parametri metabolici e nelle funzioni immunitarie. Non esistono studi che testimonino un miglioramento dei deficit neurologici nei pazienti trattati con PEG-ADA (Sauer et al., 2012).

La terapia genica è una promettente opzione terapeutica per i deficit genetici del sistema immunitario. L'ADA-SCID è oggetto di un' intensa indagine preclinica e clinica e ad oggi rappresenta un modello paradigmatico di terapia genica per disfunzioni ereditarie. La terapia si basa sul trasferimento mediante retrovirus del gene normale, funzionante, per l' ADA, in cellule staminali ematopoietiche del paziente stesso, autologhe, che poi verranno trapiantate. Il retrovirus ricombinante utilizzato, incapace di replicarsi, deriva dal virus Moloney della leucemia murina. Le cellule trasdotte trapiantate riescono ad attecchire, determinando un aumento della conta linfocitaria, un miglioramento della risposta immunitaria cellulare e umorale, e un'effettiva detossificazione metabolica. Le cellule ricombinanti sono state rilevate nei sottogruppi mieloidi e linfoidi, in quest'ultimo sono più rappresentate grazie alle loro maggiori capacità di sopravvivenza rispetto alle cellule non trasdotte. Dal 2000 sono stati

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sottoposti a terapia genica 40 pazienti fra Italia, Usa e Regno Unito. Nella maggioranza di essi sono stati raggiunti sostanziali benefici clinici (Brigida et al., 2014). Fino al 2012 tutti erano sopravvissuti e in 26 soggetti non era più necessaria la somministrazione di PEG-ADA (Montiel-Equihua et al., 2012). In nessun paziente sono stati osservati eventi oncogenici o leucemici, indicando che la terapia genica per ADA-SCID ha un rapporto rischi benefici positivo (Sauer et al., 2012).

1.2 Metabolismo delle purine

La sintesi de novo e la via di recupero dei nucleotidi purinici forniscono i precursori essenziali per la sintesi del DNA, RNA, segnali metabolici, trasduttori energetici e coenzimi essenziali. Quale delle due vie contribuisca maggiormente all'aumento delle riserve di nucleotidi purinici è ancora materia di dibattito. Ci sono, però abbondanti prove, sia in vitro che in vivo, a sostegno dell'idea che in certi distretti e tipi cellulari, come encefalo ed ematociti, assuma un ruolo più importante o esclusivo la via di recupero. La degradazione dei nucleotidi purinici (Fig. 1.4) inizia con la rimozione del gruppo fosforico a opera di nucleotidasi citosoliche. I nucleosidi così formati vengono fosforoliticamente scissi nella corrispondente base azotata e in ribosio-1-fosfato dall'enzima purina nucleoside fosforilasi (PNP). L'adenosina e la deossiadenosina prima di questo passaggio vengono deaminate dall'adenosina deaminasi (ADA). La base azotata può essere escreta come acido urico o recuperata dalla ipoxantina-guanina fosforibosil transferasi (HPRT) con la formazione di guanilato (GMP) e inosinato (IMP). Il ribosio-1-fosfato viene convertito in ribosio-5-fosfato, il quale, a sua volta, può essere convertito in 5-fosforibosil-1-pirofosfato (PRPP) ed entrare nella sintesi de novo dei nucleotidi purinici; oppure contribuire al metabolismo energetico attraverso la via del pentosio fosfato, della glicosi e del ciclo di Krebs (Camici et al., 2010).

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Fig. 1.4. Schema del catabolismo e della via di ricupero dei nucleotidi purinici

1: 5’ nucleotidasi; 2: purina nucleoside fosforilasi; 3: adenosina deaminasi; 4: AMP deaminasi;5: guanasi; 6: xantina ossidasi; 7: ipoxantina-guanina fosforibosiltransferasi; 8: adenina fosforibosiltransferasi; 9: adenosina chinasi. Abbreviazioni: PRPP: 5-fosforibosil-1-pirofosfato; AMP: adenosina-5’-monofosfato;GMP: guanosina-5’-monofosfato; IMP: inosina-5’-monofosfato; Ade: adenina; Ado: adenosina; Gua: guanina; Guo: guanosina; Hyp: ipoxantina; Ino: inosina; Xan: xantina; Θ: inibizione. Da Camici et al., 2010.

La sintesi de novo dei nucleotidi purinici (Fig. 1.5) inizia con la sintesi del 5-fosforibosil-1-pirofosfato (PRPP) a partire dal ribosio-5-fosfato. Sul PRPP viene costruito l'anello purinico con l'aggiunta di uno o pochi atomi di C e N, per ogni reazione, donati da glutammina, glicina, formiltetraidrofolato, aspartato e CO2. Il prodotto finale è l'inosinato (IMP) che può

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essere convertito in adenilato (AMP), a seguito di una sostituzione dell'atomo di ossigeno sul carbonio in posizione 6 con un gruppo amminico, o in guanilato (GMP) tramite l'ossidazione dell'inosinato a xantilato (XMP) e successiva aggiunta di un gruppo amminico sul carbonio in posizione 2 (Camici et al., 2010).

Fig. 1.5. Schema della sintesi “de novo” dei nucleotidi purinici e la sua regolazione

1: fosforibosilpirofosfato sintetasi; 2: fosforibosilpirofosfato-amido transferasi; 3: adenilsuccinato

liasi; 4: 5-ammino-4-imidazolocarbossamide ribotide transformilasi/IMP cicloidrolasi; 5: IMP deidrogenasi; 6: adenilsuccinato sintetasi; 7: guanosin monofosfato sintetasi; 8: AMP

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deaminasi; 9: nucleoside monofosfato chinasi; 10: nucleoside difosfato chinasi; 11: ribonucleotide reductasi; Enzimi 6,3, e 8 costituiscono il ciclo dei nucleotidi purinici. Abbreviazioni: AICAR: 5-amino-4-imidazolocarbossamide ribotide; FAICAR: formil-AICAR; PRA: fosforibolsilammine; PRPP: 5-fosforibosil-1-pirofosfato; SAICAR: succinil-AICAR; S-AMP: succinil-AMP. Θ: inibizione. Da Camici et al., 2010.

Gli enzimi sia della sintesi de novo che della via di recupero sono regolati tramite un meccanismo a feedback da parte dei loro prodotti finali. Nella sintesi de novo sono regolate le attività della PRPP sintetasi, della PPRP amidotransferasi, dell' IMP deidrogenasi e dell' adenilsuccinato sintetasi. Nella via di recupero è regolata l'attività dell' HPRT. Il catabolismo delle purine sembra essere principalmente regolato dalla disponibilità dei substrati (Camici et al., 2010). É interessante notare che alterazioni enzimatiche che influenzano il tasso di sintesi e di utilizzo del PRPP e quindi il tasso della sintesi de novo, complessivamente modificano i livelli di acido urico, ma permettono una normale fornitura di nucleotidi. Anche difetti in enzimi intermedi nella via di sintesi de novo causano l'accumulo di prodotti intermedi della via o di loro derivati senza, però alterare i livelli intracellulari di nucleotidi. Queste osservazione possono indicare che la via di recupero permette di mantenere normali i livelli di nucleotidi o che il tasso della sintesi de novo è maggiore di quello necessario per il fabbisogno di nucleotidi della cellula. Pertanto le patologie dovute all'alterazione di questi enzimi sembrano non essere semplicemente dovute a macroscopici sbilanciamenti nelle riserve nucleotidiche, che difatti non sono stati osservati nelle cellule e nei tessuti esaminati. È ragionevole pensare che i disturbi descritti siano dovuti all'effetto nocivo dell'accumulo di metaboliti inusuali.

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Considerando l'importanza delle purine e dei loro derivati non è strano che fluttazioni nella sintesi e nel catabolismo delle purine possano alterare significativamente le funzioni della cellula. Sebbene siano stati raccolti molti dati dai pazienti affetti da disfunzioni nel metabolismo purinico, molti aspetti sul ruolo dei composti purinici nello sviluppo e nelle funzionalità di molti organi rimangono sconosciuti. La maggior parte dei disordini del metabolismo purinico portano a disturbi neurologici, ma solo in pochi casi è stato trovato il collegamento molecolare tra lo squilibrio metabolico e le disfunzioni neurologiche. I disturbi neurologici sono caratterizzati da una grande variabilità individuale, sia a livello di intensità che di età di esordio. Deficit di ADA e PNP sono caratterizzati da disturbi del sistema immunitario accompagnati, nella maggior parte dei casi, da problemi neurologici. Difetti dell'enzima HPRT provocano uno squilibrio nello sviluppo e nella differenziazione dei neuroni dopaminergici, le cui basi molecolari sono ancora sconosciute (Camici et al., 2010). E’ interessante notare che un lieve squilibrio della concentrazione delle purine potrebbe influenzare principalmente il metabolismo dei nucleotidi nei mitocondri piuttosto che nel citosol o nel nucleo. Le riserve di nucleotidi mitocondriali dipendono principalmente dalla via di recupero e le divisioni mitocondriali avvengono anche in cellule postmitotiche come le cellule del sistema nervoso centrale. Inoltre il DNA mitocondriale ha un sistema di riparazione degli errori meno efficiente del DNA nucleare (Druzhyna et al., 2008).

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1.3 Mitocondri e fosforilazione ossidativa

I mitocondri sono formati da due membrane, la membrana interna e la membrana esterna. Lo spazio compreso all'interno della membrana mitocondriale interna è la matrice mitocondriale. La funzione principale della membrana mitocondriale interna è mantenere un gradiente protonico che viene sfruttato prevalentemente per la formazione di ATP.

Molta dell'energia della cellula è generata dalla fosforilazione ossidativa, un processo che richiede il coinvolgimento di 5 complessi enzimatici respiratori presenti nella membrana mitocondriale interna, riuniti nella catena respiratoria mitocondriale (Fig. 1.6) La funzione della catena respiratoria può essere suddivisa in due processi principali, il trasferimento esoergonico di equivalenti elettronici dal NADH e dal FADH2 all'ossigeno molecolare, un processo che è accoppiato al trasferimento di protoni attraverso la membrana interna, e la sintesi di ATP sfruttando l'energia accumulata del gradiente elettrochimico protonico della membrana interna. Il trasferimento elettronico e il pompaggio dei protoni sono svolti dalla catena di trasporto di elettroni che è formata da quattro complessi (I-IV). Il complesso I o NADH-ubichinone ossidoreduttasi catalizza il trasferimento di elettroni del NADH all'ubichinone. Il complesso II o succinato-ubichinone ossidoreduttasi catalizza l'ossidazione del FADH2. Anche in questo caso l'ubichinone è l'accettore di elettroni. Il complesso III o ubichinolo-ferrocitocromo-C ossidoreduttasi è responsabile del passaggio degli elettroni trasferiti sull'ubichinone dai complessi precedenti al citocromo c. Il complesso IV o ferrocitocromo-C-ossigeno ossidoreduttasi trasferisce gli elettroni direttamente sull'ossigeno molecolare. Ad esclusione del complesso II ogni reazione è accoppiata con una pompa protonica per generare il potenziale transmembrana. La sintesi di ATP è la seconda reazione fondamentale della fosforilazione ossidativa a carico del complesso V o ATP sintasi. Il gradiente elettrochimico generato dalla catena di trasporto elettronico mitocondriale è sfruttato per condensare l'ADP e il fosfato inorganico in ATP.

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Fig. 1.6. Fosforilazione ossidativa ed eliminazione dei ROS

Nell’immagine è rappresentata la catena respiratoria mitocondriale, inclusa la via di

eliminazione dei ROS (OH•). Il DNA mitocondriale è disegnato come dei cerchi dentro il

mitocondrio. Lo ione OH• è una specie reattiva dell’ossigeno tossica per le proteine, lipidi,

DNA e i centri Fe-S. Abbreviazioni: ADP, adenosina difosfato; ATP, adenosina 5-trifosfato; FAD/FADH2, flavina adenina dinucleotide ossidata/ridotta; FeS, centri

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ferro-zolfo; GPx, glutatione perossidasi; NAD/NADH, nicotinammide adenina dinucleotide

ossidato/ridotto; OH• , radicale idrossile; Q/QH2 ubiquinone ossidato/ridotto; SOD2,

superossido deidrogenasi mitocondriale; TCA, acido tricarbossilico. Da Di Donato, 2009.

1.4 Le specie reattive dell'ossigeno (ROS)

La fosforilazione ossidativa non è un meccanismo perfetto, dato che circa lo 0,2% dell'ossigeno consumato durante la respirazione non è completamente ridotto ad acqua ma è invece ridotto solo parzialmente a formare ROS quali anione superossido e perossido di idrogeno che possono essere convertite nel radicale idrossile, una molecola altamente reattiva (Di Donato, 2009) (Fig.1.6). A concentrazioni fisiologiche i ROS funzionano come messaggeri e regolatori, ma concentrazioni elevate inducono modificazioni ossidative delle macromolecole (proteine, lipidi, acidi nucleici) e promuovono la morte cellulare (Circu e Aw, 2010). Lo stress ossidativo può essere scatenato da fattori ambientali come radiazioni, tossine ed eventi puramente stocastici quali fluttuazioni metaboliche. La causa dello stress ossidativo è lo squilibrio spaziotemporale tra la produzione e la detossificazione dei ROS. I siti di produzione di ROS nei mitocondri sono molteplici e la quantità di ROS che producono è molto variabile a seconda del tessuto (e della specie), tuttavia i siti principali sono il complesso I e il complesso III. In condizioni normali enzimi mitocondriali come la manganese superossido dismutasi e la glutatione perossidasi sono in grado di mantenere un equilibrio nella concentrazione di ROS nella cellula minimizzando i danni che possono conseguire da queste molecole.

E' stato dimostrato che la disfunzione mitocondriale e lo stress ossidativo giocano un ruolo cruciale nella maggior parte delle malattie neurodegenerative e nell’invecchiamento (Savino

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et al., 2013). I danni ossidativi ai mitocondri ne danneggiano la funzione e possono indurre apoptosi e necrosi. Si instaura un circolo vizioso dove il danno ossidativo mediato dai ROS determina danni mitocondriali che favoriscono la generazione di più ROS. Il tessuto nervoso potrebbe essere particolarmente suscettibile allo stress ossidativo a causa della sua alta velocità metabolica e la ridotta capacità di rigenerazione cellulare dei neuroni. Si pensa che la riduzione dello stress ossidativo mitocondriale potrebbe impedire o rallentare la progressione di molti disturbi neurodegenerativi (Szeto, 2006). Analisi postmortem hanno rivelato elevati livelli di danno ossidativo alle proteine, lipidi e DNA nell’encefalo di pazienti affetti da malattie neurodegenerative quali la malattia di Parkinson e la malattia di Alzheimer. I cambiamenti ossidativi delle proteine come dell’a-sinucleina nella malattia di Parkinson, la β‐ amiloide nella malattia di Alzheimer, e la superossido dismutasi (SOD) nella sclerosi laterale amiotrofica, potrebbero causare alterazioni nel ripiegamento delle proteine (“misfolding”) e formazione di aggregati. Un’associazione diretta tra la produzione di ROS e placche amiloidi è stata dimostrata anche in topi transgenici e nel tessuto cerebrale di pazienti affetti da malattia di Alzheimer (Szeto, 2006; Dumont and Beal, 2011). Il DNA mitocondriale (mDNA) è più vulnerabile del DNA nucleare al danno ossidativo perchè è situato più vicino al sito di generazione dei ROS, manca d’istoni protettivi ed ha limitati meccanismi di riparazione. I mitocondri sono normalmente protetti dal danno ossidativo da sistemi antiossidanti. Ad esempio l’H2O2 può essere rapidamente convertita ad acqua dalla glutatione perossidasi mitocondriale, che utilizza come riducente il glutatione ridotto (GSH) che viene convertito in glutatione ossidato (GSSG). La glutatione riduttasi poi converte il GSSG a GSH. Il GSH viene sintetizzato nel citoplasma a partire dalla cisteina, e poi viene trasportato nei mitocondri da specifici trasportatori (Szeto, 2006). Un risultato dell’ossidazione mitocondriale è il rilascio del citocromo c, normalmente legato alla membrana interna mitocondriale, nel citoplasma. La perossidazione della cardiolipina porta alla dissociazione del citocromo c ad essa legato e il seguente rilascio attraverso la membrana mitocondriale esterna (Ott et al.,

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2007). Il rilascio del citocromo c e di altri fattori rappresenta un evento cruciale nella via intrinseca del processo apoptotico. Il tipo di morte cellulare dipende dalla disponibilità di ATP intracellulare: mentre l’apoptosi è la via di morte predominate in presenza di ATP adeguato, una diminuzione significativa di ATP porta a morte cellulare per necrosi (Szeto, 2006).

1.5 N-acetilcisteina e Melatonina

L' N-acetilcisteina (NAC), la variante acetilata della L-cisteina, è un antiossidante con la capacità di proteggere dai ROS ed è un eccellente fonte di glutatione. Nella cellula, NAC, agisce come fonte di gruppi SH che aumentano l'attività della glutatione-S-transferasi e stimolano la sintesi di glutatione, promuovendo la detossificazione e la pulizia dai radicali liberi dell'ossigeno. NAC, originariamente usato come agente mucolitico efficace nelle malattie respiratorie, si è dimostrato utile nel trattamento di varie condizioni patologiche come HIV, cancro, malattie cardiache e nel contrastare gli effetti del fumo di sigarette, dovuti anche ad alti livelli di radicali liberi dell'ossigeno (De Flora et al., 2001; Akturi et al., 2007). Inoltre è stato dimostrato che NAC previene la morte apoptotica in cellule neuronali (Pawlas e Malecki, 2009) e ha un effetto proliferativo e protettivo in cellule muscolari (Kim et al., 2006).

La melatonina è un ormone che si trova in animali, piante e microbi. Protegge lipidi, proteine e DNA mitocondriale e nucleare dal danno ossidativo. La melatonina realizza questa ampia protezione tramite un'azione diretta come spazzino di radicali liberi e indirettamente attivando diversi enzimi antiossidativi. É noto, inoltre, che incrementa l'efficienza della catena di trasporto degli elettroni diminuendo, pertanto, la formazione di radicali liberi (Reiter et al., 2001). Le caratteristiche della melatonina la rendono una molecola citoprotettiva in molti tipi cellulari, compresi neuroni e glia (Uchida et al., 2004; Das et al., 2008).

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1.6 Acido nordiidroguaiaretico

L’acido nordiidroguaiaretico (NDGA) è un metabolita abbondante nelle oleoresine delle foglie della Larrea tridentata. Dal punto di vista chimico l’NDGA è un diidrossipolifenolo (catecolo). Oltre ad essere un antiossidante, l’NDGA è un inibitore della lipossigenasi-5 e della ciclo ossigenasi 2 (Salari et al., 1984; Cardenas-Rodriguez et al., 2009; Lü et al., 2010; Czapski et al., 2012; Hoobler et al., 2013). Diversi studi hanno suggerito che potrebbe essere utile nel trattamento di molteplici malattie, tra cui quelle di tipo cardiovascolare, disturbi neurologici e tumori (Lü et al., 2010). In esperimenti condotti con le cellule SH-SY5Y è risultato avere un effetto proapoptico tramite l'attivazione della caspasi-3 (Meyer et al., 2007).

1.7 Baicaleina

La baicaleina (5,6,7-triidrossi-2-fenil-cromen-4-one) è un flavonoide originariamente isolato dalle radici di Scutellaria baicalensis. É solubile in metanolo e dimetilsulfossido (DMSO) ed è molto utilizzata nella medicina cinese. Fino ad oggi ha mostrato vari effetti biologici, come proprietà antivirali, antinfiammatorie, antitumorali (Donald et al., 2012 ) e neuroprotettive (Chen et al., 2006 ). Molte delle sue proprietà sono state attribuite alle sue capacità antiossidanti e pro-ossidanti (Chen et al., 2006; Czapsky et al., 2012 ). È noto, inoltre, che la baicaleina è un inibitore delle lipossigenasi-12 e -15 (Deschamps et al., 2006; Mascayano et al., 2013).

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1.8 L’ apoptosi

L'apoptosi, nota anche come morte cellulare programmata, è un fenomeno estremamente ben regolato di suicidio cellulare conservato durante l'evoluzione, necessario per lo sviluppo, la regolazione del sistema immunitario e per l'omeostasi di un organismo multicellulare (Galluzzi et al., 2012). Una cascata di enzimi proteolitici chiamati caspasi sono la componente centrale di questo processo, che risulta nel taglio di substrati proteici, e termina nel disassemblaggio della cellula. Uno squilibrio nel processo apoptotico è la causa di molte malattie dell'uomo come vari tipi di cancro, disordini neurodegenerativi, e malattie autoimmuni, rendendo le caspasi un bersaglio importante per l'intervento terapeutico (Double et al., 2010; Feig and Peter, 2007; Ghavami et al., 2008; Kogel et al., 2010; Olsson e Zhivotovsky, 2011; Park, 2012).

Le caratteristiche apoptotiche principali sono la frammentazione del DNA in segmenti nucleosomiali, l'aggregazione della cromatina, il rigonfiamento delle membrane e la frammentazione della cellula apoptotica in piccole vescicole chiamate corpi apoptotici. In questo modo le cellule apoptotiche possono essere rimosse in maniera rapida e pulita tramite la fagocitosi ad opera delle cellule vicine e dei macrofagi. Tramite il processo apoptotico, i tessuti riescono a recuperare sostanze utili evitando contemporaneamente la risposta infiammatoria.

L’apoptosi puo essere innescata dall’oligomerizzazione dei recettori di membrana attraverso la via estrinseca, che porta all’attivazione della caspasi-8 e conseguentemente delle caspasi esecutrici 3 e 7, o attraverso la via intrinseca innescata dal rilascio di componenti mitocondriali nel citoplasma.

La via apoptotica estrinseca è responsabile dell'eliminazione delle cellule non necessarie durante lo sviluppo, della maturazione del sistema immunitario e della rimozione mediata dal sistema immunitario delle cellule tumorali (Fig. 1.7)

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La via intrinseca elimina cellule danneggiate da radiazioni ionizzanti, farmaci chemioterapici o che hanno subito danni mitocondriali. A seguito del segnale di morte, i mitocondri possono diventare selettivamente permeabili. L'inizio dell'aumento della permeabilità della membrana mitocondriale esterna è regolato da proteine della famiglia Bcl-2. L'oligomerizzazione di Bax è richiesta per la permeabilizzazione, mentre i membri antiapoptotici della famiglia (Bcl-2, Bcl-XL, Mcl-1 e Bcl-w) interagiscono con i membri proapoptotici Bax e Bak impedendo la loro oligomerizzazione. I pori formati da Bax/Bak permettono il rilascio di citocromo c, Smac/Diablo e Omi/ HrTA2 che innescano l'attivazione delle caspasi-9 e -3, e proteine indipendenti dalle caspasi, come il fattore di induzione dell'apoptosi e l'endonucleasi G. Smac/Diablo (second mitochondria-derived activator of caspases/direct inhibitor of apoptosis-binding protein with low pI) è un inibitore delle proteine inibitrici dell'apoptosi. In modo analogo, Omi/HtrA2 promuove l'attivazione delle caspasi legandosi al dominio BIR3 delle proteine inibitrici delle caspasi. Nel caso di Omi/HtrA2 ci sono evidenze che l'interazione con le proteine inibitrici dell'apoptosi (IAP) non sia l'unico meccanismo coinvolto nella morte. L'attività proteasica che possiedono queste proteine una volta rilasciate nel citosol è sufficiente per causare morte indipendente da caspasi (Suzuki et al., 2001).

Lo stress ossidativo favorisce l'uscita del citocromo c che in condizioni normali si trova legato alla cardiolipina, un fosfolipide della membrana interna. L'ossidazione della catena acilica della cardiolipina che è altamente insatura riduce l'affinità per il citocromo c favorendone il rilascio (Nagley et al., 2010).

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Fig. 1.7. Vie apoptotiche estrinseca e intrinseca. Da Olsson e Zhivotovsky, 2011.

1.8.1 Ca

2+

e apoptosi

Il calcio è uno ione essenziale per la vita della cellula, agisce come secondo messaggero in quasi tutte le funzioni cellulari. É noto che il Ca2+ è uno dei principali secondi messaggeri

coinvolti nella morte cellulare apoptotica nei neuroni e in altri tipi cellulari. Un prolungato aumento del Ca2+ citosolico, proveniente o dall'ambiente extracellulare o rilasciato dai depositi

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evidenziare che anche i mitocondri sono coinvolti nell'omeostasi del Ca2+ e possono essere

considerati un esempio paradigmatico del doppio ruolo del calcio nella vita e nella morte cellulare. In condizioni basali la concentrazione mitocondriale di calcio è mantenuta bassa; diversi stimoli, che influenzano l'attività della cellula, possono aumentare la concentrazione del calcio citosolico, determinando un incremento transitorio anche del calcio mitocondriale. Queste variazioni, agendo tramite vari effettori sensibili al calcio (deidrogenasi del ciclo di Krebs, carrier di aspartato/glutammato), permettono una precisa regolazione del metabolismo mitocondriale e quindi un aumento della produzione di ATP necessario per i processi cellulari attivati. Allo stesso tempo i mitocondri sono importanti siti di controllo del processo apoptotico. Aumenti persistenti ed eccessivi del calcio citosolico e mitocondriale facilitano la formazione dei pori mitocondriali (mitochondrial permeability transition pore, mPTP) e determinano un incremento dei ROS mitocondriali, con conseguente rilascio del citocromo c e di altri molecole pro-apoptotiche. Le proteine della famiglia Bcl-2 giocano un ruolo cruciale nella regolazione della concentrazione del calcio nel citoplasma, nel reticolo endoplasmatico e nei mitocondri (Hajnoczky et al., 2003; Pinton et al., 2008).

1.9 Rianodina

La rianodina, un alcaloide estratto dalla pianta del Sud America Ryania speciosa, è un' antagonista dei canali rianodinici presenti sul reticolo endoplasmatico. L'effetto farmacologico della rianodina è stato inizialmente riconosciuto nel tessuto muscolare, nel quale, a seconda del tipo e dell'attività del muscolo, può causare una contrazione o un declino della forza contrattile. La rianodina modifica sia la conduttanza che il comportamento di chiusura dei canali rianodinici (Xu et al., 1998). La rianodina ha effetti protettivi nella morte indotta da tossine mitocondriali in cellule dopaminergiche (Guerreiro et al., 2008).

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1.10 Nifedipina

La nifedipina, utilizzata come farmaco antiipertensivo, è una diidropiridina antogonista dei canali calcio di tipo L, voltaggio dipendenti, presenti sulla membrana plasmatica. Diversi studi evidenziano le sue capacità protettive in molti tipi cellulari: nelle cellule endoteliali, nelle quali risulta avere un effetto antiossidante (Mak et al., 1992; Chen et al. 2010), nei cardiomiociti, nei quali protegge dall'anossia (Cheung et al., 1984) e dall'ipossia (Chen et al., 1998), negli epatociti (Ellouk-Achard et al. 1995), nelle cellule β pancreatiche (Syeda et al., 2013), nelle cellule linfoidi (Negre-Salvayre e Salvayre, 1992), nelle cellule dopaminergiche della substantia nigra, con un'azione anti-apoptotica e antinfiammatoria (Daschil e Humpel, 2014).

1.11 Chelanti del calcio

1.11.1. BAPTA-AM

L'acido 1,2-bis(o-ammino-fenossi)etano-N,N,N',N'-tetracetico–acetossimetilestere (BAPTA-AM) è un composto lipofilico che attraversa facilmente la membrana plasmatica. All'interno della cellula è scisso rapidamente dall'esterasi citosoliche rilasciando BAPTA, un composto idrofilico che rimane intrappolato nella cellula e agisce da chelante del calcio. Il BAPTA-AM viene utilizzato frequentemente per valutare il ruolo del calcio intracellulare in molti processi, ed è risultato avere diversi effetti in vari tipi cellulari: protegge dal danno da radicali liberi, promuove l'apoptosi in cellule non neuronali (Wie et al., 2001), nei neuroni protegge dal danno ischemico ed eccitotossico (Tymianscki et al., 1994).

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1.11.2 EDTA

L'EDTA (acido etilendiamminotetraacetico) è un acido tetracarbossilico in grado di formare complessi stabili con gli ioni calcio e magnesio. Per questa sua caratteristica viene largamente usato in biochimica e in biologia molecolare ed è risultato avere un effetto protettivo in vari

tipi cellulari neuronali, tra cui nelle cellule dei granuli del cervelletto (Al-Gonaiah et al.,

2009) e nei neuroni ippocampali CA1 (Calderone et al., 2004).

1.12 Le caspasi

L'apoptosi procede attraverso cambiamenti morfologici che sono dipendenti dall'attività delle caspasi. Le caspasi sono proteasi che possiedono una cisteina nel sito attivo ed effettuano il taglio dei substrati dopo un residuo aspartato. La specificità di una caspasi è determinata da 4 residui amminoterminali al sito di taglio. Sono sintetizzate come zimogeni a singola catena e richiedono un processo di attivazione altamente regolato (Park, 2012; Salvesen and Riedl, 2008).

Le caspasi sono suddivise in 2 gruppi principali in base alla loro sequenza di attivazione e al loro ruolo nell'apoptosi: le caspasi iniziatrici come la caspasi-2, -8, -9 e -10 e le caspasi esecutrici come la caspasi-3 e -7. Le caspasi iniziatrici hanno un prodominio N-terminale per l'interazione proteina-proteina e sono generalmente monomeriche nella proforma. Sono attivate e auto-processate attraverso la dimerizzazione indotta da complessi specifici conosciuti come DISC (death-inducing signaling complex) per le caspasi-8 e -10, Apoptosoma per la caspasi-9 e PIDDosoma per la caspasi-2. Una volta attivate, le caspasi

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iniziatrici agiscono sulle caspasi esecutrici che hanno il compito di processare i substrati necessari per la morte cellulare programmata.

1.12.1 La caspasi-8

La caspasi-8 è la caspasi responsabile della trasmissione dei segnali apoptotici ad opera di Fas, il recettore per il fattore di necrosi tumorale (TNFR) e dei recettori simili al TNFR. Il legame di Fas con il suo ligando recluta direttamente la proteina adattatrice FADD (Fas associated death domain), la procaspasi-8 o la procaspasi-10 e c-FLIP al complesso DISC (death-inducing signaling complex). Al contrario il legame di TNFR con il suo ligando non recluta direttamente FADD o la procaspasi-8 al recettore ma procede tramite due tappe svolte in complessi differenti. Il complesso I legato alla membrana plasmatica viene formato rapidamente a seguito dell'attivazione del recettore e contiene il recettore stesso, la proteina adattatrice TRADD (TNFR-associated death domain), RIP 1 (una serina/treonina chinasi contenente un dominio di morte) e TRAF-2 che portano all'attivazione del fattore di trascrizione NF-κB. A questo punto il complesso I lascia il recettore e forma un altro complesso stabile, il complesso II che si localizza prevalentemente nel citosol e contiene proteine apoptotiche come FADD, procaspasi-8 o procaspasi-10 ed e questo complesso che porta alla morte cellulare. Come venga attivata la caspasi-8 da DISC o dal complesso II non è ancora completamente chiaro ma si pensa che il processo coinvolga la dimerizzazione indotta dalla vicinanza delle procaspasi e la processazione autocatalitica (Salvesen and Riedl, 2008; Park, 2012). La caspasi-8 oltre ad andare ad agire sulla caspasi-3, è in grado di tagliare RIP, caspasi-7 e -9. La procaspasi-8 si localizza nello spazio mitocondriale intermembrana, nella membrana mitocondriale interna e nella matrice. Si pensa che una volta ricevuto lo stimolo apoptotico la procaspasi-8 immagazzinata nei mitocondri sia rilasciata e diventi disponibile nel citosol (Chandra et al., 2004). La caspasi-8 una volta attivata va a sua volta a processare la

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caspasi-3 e la proteina Bid, generando così la forma troncata t-Bid. Quest'ultima trasloca alla membrana mitocondriale esterna e promuove l'oligomerizzazione di Bax o Bak per facilitare il rilascio dallo spazio intermembrana del citocromo c ed altre proteine proapoptotiche. La formazione di t-Bid lega la via estrinseca con la via mitocondriale o intrinseca, caratterizzata dal rilascio del citocromo c.

1.12.2 La caspasi-9

Il citocromo c rilasciato nel citosol, forma un complesso chiamato apoptosoma insieme alla procaspasi-9 e ad Apaf-1 (apoptotic protease activating factor 1). Apaf-1 possiede tre domini funzionali: il dominio N-terminale responsabile del reclutamento della caspasi (CARD, caspase recruitment domain), il dominio centrale di oligomerizzazione e legame dei nucleotidi, e il dominio C-terminale con funzione regolatoria. La regione regolatoria normalmente mantiene Apaf-1 in uno stato autoinibitorio in una forma compatta ripiegata su se stessa (Kim et al., 2005). Il citocromo c, in presenza di dATP o ATP, dispiega la molecola rendendola in grado di formare un eptamero a forma di ruota con altre molecole di Apaf-1 leganti il citocromo c nel cui anello centrale risiede il sito di legame per le procaspasi-9. In questo modo si ipotizza avvenga un fenomeno di dimerizzazione per le caspasi simile a quello descritto per le caspasi-8. A differenza delle caspasi-8 però questo dimero ha solamente un solo dominio attivo, l'altro mantiene la sua conformazione di zimogeno con l'apparato catalitico e i determinanti per la specificità disattivati (Salvesen and Riedl, 2008).

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1.12.3 Le caspasi esecutrici

In forte contrasto con le caspasi iniziatrici, gli zimogeni delle caspasi esecutrici 3 e 7 si presentano nel citosol come dimeri inattivi. Sono attivati dalla proteolisi dei linker tra i domini, ad opera di una caspasi iniziatrice o da un’ altra proteasi. Anche la caspasi-6, sebbene non sia stata ampiamente studiata, è classificata tra le caspasi esecutrici sia perchè manca di un lungo prodominio sia perchè si presume agisca ad un livello più tardivo rispetto a quelle iniziatrici. Il sito attivo pare sia posizionato su loop flessibili piuttosto che in zone con una struttura secondaria ordinata. Le caspasi esecutrici hanno un N-terminale più corto rispetto a quelle iniziatrici che pur non prendendo parte al meccanismo di attivazione, è tuttavia necessario affinchè esso avvenga in vivo (Boatright and Salvesen, 2003; Salvesen and Riedl, 2008).

La caspasi-3 è la responsabile della maggior parte degli eventi proteolitici che avvengono durante l'apoptosi. Studi recenti hanno evidenziato il suo ruolo in processi non apoptici necessari per il funzionamento del sistema nervoso (Yakovlev and Gulyaeva, 2011).

1.13 Modello di deficienza di ADA in cellule ADF

Le attuali terapie per l’immunodeficienza da deficit dell’adenosina deaminasi (ADA-SCID) sono in grado di contrastare le anomalie del sistema immunitario, ma non hanno effeto sui problemi neurologici dei pazienti. Con lo scopo di capire i meccanismi alla base di questi problemi, in studi precedenti, è stato utilizzato un modello di cellule gliali, la linea ADF, derivata da un astrocitoma umano. Per mimare la deficienza di ADA le cellule sono state

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trattate con deossicoformicina (dCF), un inibitore specifico, aggiungendo inoltre deossiadenosina (dAdo), che si accumula in assenza della suddetta attività enzimatica.

La deossicoformicina è un inibitore non competitivo dell'enzima ADA che mima strutturalmente lo stato di transizione che si ha durante la deaminazione dell'adenosina ad inosina (Agarwal et al., 1977).

Queste ricerche hanno evidenziato nelle cellule trattate con dCF e dAdo una diminuzione del lattato rilasciato nel terreno, della vitalità cellulare (Fig 1.8), dei livelli di ATP e della carica energetica e un accumulo di dATP, un'attivazione della caspasi-3 (Fig 1.9; Garcia-Gil et al., 2012) e della caspasi-8 (Fig. 1.10; Lorenza della Verde, 2013; tesi di laurea).

L'effetto tossico dell'accumulo di dAdo sembra essere dovuto alla sua fosforilazione da parte dell'adenosina chinasi, con formazione di dAMP, che, per successive fosforilazioni determina un aumento del dATP. La 5’-ammino-5’deossiadenosina (NH2-dAdo), un inibitore della

adenosina chinasi, riduce drasticamente la mortalità delle cellule trattate portandola ai livelli delle cellule controllo (Fig. 1.11) e determina un aumento dei livelli di ATP e del rilascio di lattato nel mezzo di coltura, e a una diminuzione dei livelli di dATP (Stefano Varani, 2012; tesi di laurea).

Antiossidanti quali NAC (Fig. 1.12) e melatonina non hanno effetti significativi sulle ADF (Garcia-Gil et al., 2012). La baicaleina e l'NDGA, sostanze antiossidanti e inibitrici rispettivamente delle cicloossigenasi-12 e -15, e della cicloossigenasi-2 e lipoossigenasi-5, invece aumentano la vitalità delle cellule trattate (Fig. 1.13; Lorenza della Verde, 2013; tesi di laurea).

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Fig. 1.8. Effetto del trattamento con dCF e dAdo sulla vitalità di cellule di astrocitoma umano

La vitalità cellulare è espressa come % di riduzione dell'MTT dopo incubazione, rispettivamente, con 1 μM dCF da sola (colonne rigate), 120 μM dAdo da sola (colonne bianche) e con dCF più dAdo (colonne grigie) per i tempi indicati. Da Garcia-Gil et al., 2012.

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1.9. Effetto dell'inibizione dell'ADA sull'attività della caspasi-3 di cellule di astrocitoma umano

Le cellule sono state incubate per i tempi indicati in presenza o assenza di 1 μM dCF e 120 μM dAdo. L'attività della caspasi-3 e stata misurata sugli estratti proteici. Da Garcia-Gil et al., 2012.

1.10. Andamento temporale dell' attivazione della caspasi‐8 in seguito a trattamento con

dCF e dAdo in cellule di astrocitoma umano

Le cellule sono state trattate con dCF 1 μM e dAdo 120 μM per il tempo indicato. I dati sono stati normalizzati rispetto a quelli ottenuti in cellule trattate in assenza di dCF

e dAdo per i tempi indicati. Attivazione significativa a partire dalle 8h (Lorenza Della Verde, 2013)

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Fig. 1.11. Effetto della NH2-dAdo sulla vitalità in cellule ADF

Le cellule sono state preincubate per 30 minuti sia in assenza (colonne blu) che in

presenza (colonne rosse) di 10 μM NH2-dAdo . Se indicato, nella preparazione era anche presente 1 μM dCF. Le cellule sono state poi incubate per 24 ore sia in assenza che in presenza di 120 μM dAdo. La vitalita è misurata come % di riduzione dell'MTT rispetto alle cellule controllo (Stefano Varani, 2012).

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Fig. 1.12. Effetto della NAC sulla vitalità in cellule di astrocitoma umano

Le cellule sono state trattate in presenza (colonne rosse) o assenza (colonne blu) di 1mM NAC per 15 ore in presenza dei composti indicati in figura (Stefano Varani, 2012).

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Fig. 1.13.Effetto della baicaleina sulla vitalità in cellule di astrocitoma umano

Le cellule sono state trattate con dCF e dAdo in presenza o assenza di 10 μM e 25 μM di baicaleina per 24 h (Lorenza della Verde, 2013).

1.14 Neuroblastoma

Con il termine neuroblastoma ci si riferisce ad un gruppo di tumori extracraniali originati da residui del primitivo sistema nervoso autonomo simpatico. Le cellule neuroectodermiche, dalle quali si sviluppano i tumori neuroblastici, hanno origine dalle creste neurali durante lo sviluppo fetale e sono destinate alla zona midollare adrenergica delle ghiandole surrenali e al sistema nervoso autonomo simpatico. La principale caratteristica clinica del neuroblastoma è l'eterogeneità, con la probabilità di recupero che varia ampiamente a seconda dell'età della diagnosi, dell'estensione della malattia e della biologia del tumore, in genere i tumori

caratterizzati dalla presenza di neuroblasti poco differenziati sono i più aggressivi. Si osserva un ampio spettro di decorsi clinici: si va da casi di regressione spontanea, di sviluppo in un ganglioneuroma benigno, fino a casi di diffusione metastatica fatale. Approssimativamente la metà dei casi è classificata come ad alto rischio per la ricaduta della malattia, con una

sopravvivenza complessiva minore del 40%, malgrado la terapia multimodale intensiva (Maris et al., 2007).

Il neuroblastoma è il tumore con la maggiore incidenza nei bambini inferiori all'anno di età. Ogni anno si registrano circa 1500 nuovi casi in Europa e 700 negli Stati Uniti e in Canada e rappresenta il 28% di tutte le diagnosi di cancro in età infantile di questi paesi (Heck et al., 2009).

Nonostante i progressi delle ultime tre decadi, il neuroblastoma è ancora una sfida per i clinici e i ricercatori di base. La comprensione delle precise vie metaboliche coinvolte nella crescita

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e nel differenziamento dei neuroblasti insieme alle alterazioni presenti nel neuroblastoma è necessaria per l'identificazione dei meccanismi molecolari coinvolti allo scopo di indirizzare la terapia su bersagli molecolari più specifici che limitino il rischio di progressione o di recidiva della malattia.

1.14.1 Linea cellulare SH-SY5Y

La linea cellulare SH-SY5Y deriva dalle cellule SK-N-SH, originariamente ottenute dalla biopsia, nei primi anni 70, del midollo osseo di una paziente affetta da un neuroblastoma derivato da cellule gangliari adrenergiche. Le cellule SH-SY5Y possiedono molte

caratteristiche biochimiche e funzionali dei neuroni e sono state ampiamente utilizzata come modello neuronale fin dagli inizi degli anni 80. Presentano marker neuronali quali tirosina e dopamina-β-idrossilasi e proteine dei neurofilamenti; inoltre, esprimono recettori oppioidi, muscarinici e per il fattore di crescita neuronale. Le cellule SH-SY5Y possiedono la capacità di proliferare in cultura per lunghi periodi, prerequisito necessario per lo sviluppo di un modello in vitro. Essendo derivate da cellule neoplastiche immature delle creste neurali, possono essere indotte a differenziare trattandole con vari agenti, tra cui acido retinoico, il forbolo 12-tetradecanoilforbolo-13-acetato, BDNF (brain-derived neurotrophic factor), dibutirril cAMP, purine o staurosporine. Per questo motivo le cellule SH-SY5Y sono state ampiamente utilizzate in studi neurologici sperimentali che riguardano la differenziazione neuronale, il metabolismo e le funzioni neuronali in relazione a processi neurodegenerativi e neuroadattativi, la neurotossicità e la neuroprotezione (Påhlman et al., 1990; Cheung et al., 2009; Xie et al., 2010; Cameron et al., 2014; Kermer et al., 2014;).

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1.15 Scopo della tesi

Con lo scopo di capire i meccanismi alla base dei problemi neurologici dei pazienti con ADA-SCID è stato utilizzato un modello di cellule neuronali, la linea SH-SY5Y, derivata da un neuroblastoma umano. Per mimare la deficienza di ADA le cellule sono state trattate con dCF, un inibitore specifico, aggiungendo inoltre dAdo, che si accumula in assenza della suddetta attività enzimatica. E' stato indagato l'effetto di questo trattamento sulla vitalità cellulare, sui livelli di ATP e dATP e su l'attività delle caspasi iniziatrici -8 e -9 ed effettrici (caspasi-3).

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CAPITOLO 2

MATERIALI E METODI

2.1 Materiali

Acetil-Leu-Glu-His-Asp-pNA (LEHD-pNA) (substrato per la caspasi-9), Ac-IETD-pNa caspasi 8 e Ac-DEVD-pNa caspasi 3, BAPTA-AM acido 1,2-bis(o-ammino-fenossi)etano-N,N,N',N' tetracetico – acetossimetilestere e rianodina da Calbiochem, Merck (Nottingham, UK); Brilliant blu, cocktail di inibitori delle proteasi, deossiadenosina, , bromuro di 3-(4,5-dimetiltiazol-2-il)-2,5-difeniltetrazolio (MTT), lattato deidrogenasi acido etilendiamminotetracetico (EDTA), e nifedipina da Sigma; dimetilsulfossido (DMSO) da Carlo Erba (Milano, Italia); penicillina, streptomicina, tripsina, siero fetale bovino (FBS), Dulbecco’s modified Eagle’s medium (DMEM), RPMI 1640 e glutammina da Euroclone (Pero, Milano, Italia); tampone di lisi per caspasi Biovision, tampone di reazione per caspasi Biovision (Mountain View, USA); cellule SH-SY5Y e cellule ADF gentilmente donate rispettivamente dalla Prof.ssa Arcangeli, Università di Firenze, e dal Dr. Malorni, Istituto Superiore della Sanità, Roma.

2.2 Condizioni di coltura cellulare

Le cellule SH-SY5Y sono coltivate in terreno DMEM a cui viene aggiunto il 10% di FBS, 2 mM di glutammina, 100 UI/ml di penicillina e 100 μg/ml di streptomicina (terreno completo). Le cellule ADF sono coltivate in terreno RPMI 1640 a cui viene aggiunto il 10% di FBS, 2

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mM di glutammina, 100 UI/ml di penicillina e 100 μg/ml di streptomicina (terreno completo). Sia le cellule SH-SY5Y che le cellule ADF vengono tenute in un incubatore a 37°C in atmosfera umidificata con il 5% di CO2. Le cellule vengono fatte crescere in piastre per colture cellulari Sarstedt. Raggiunta circa l'80% di confluenza il terreno è rimosso, eliminando le cellule morte che si sono staccate dal fondo della piastra. La piastra viene lavata con un tampone fosfato 10 mM contenente 150 mM di NaCl a pH 7,4 (PBS) per allontanare residui di terreno di coltura che contiene inibitori della tripsina.

A questo punto è aggiunta tripsina 0,25% - EDTA 0,02% lasciandola agire per 5 minuti , a 37° C in incubatore, in modo che separi le cellule le une dalle altre e dal fondo della piastra. La tripsina è un enzima proteolitico che agisce rompendo i legami peptidici delle proteine extracellulari che costituiscono il substrato su cui le cellule sono ancorate. Al termine dei 5 minuti si osservano le cellule al microscopio ottico per verificare l'effettiva separazione e si risospendono in terreno completo per fermare l'azione della tripsina. Un' aliquota di questa sospensione viene aggiunta a una piastra con terreno sufficiente a ristabilire le condizioni iniziali. Le cellule ADF dopo che è stata fermata l’azione della tripsina vengono centrifugate a 20° C per 6 minuti a 300 g. Si elimina il sopranatante e si risospende il pellet in terreno completo. Un'aliquota viene aggiunta ad una piastra con sufficiente terreno a ristabilire le condizioni iniziali.

2.3 Congelamento e scongelamento delle cellule

Per congelare le cellule si prepara un terreno di congelamento costituito da FBS (50%), DMEM (40%) e DMSO (10%). Raggiunta la confluenza, le cellule vengono staccate dalla piastra con la tripsina e vengono centrifugate a 300 g per 6 minuti a 4°C; si scarta il sopranatante e le cellule vengono risospese nel terreno di congelamento. La sospensione viene aliquotata in fiale da congelamento (una piastra da 10 cm di diametro per ml) che vengono

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poste a -80°C; dopo almeno 24 ore vengono trasferite nel contenitore per l’azoto liquido. Per scongelare le cellule si prelevano le fiale dal congelatore o dal contenitore per l’azoto liquido e vengono incubate in un bagno termostatico a 37°C per qualche minuto per far sì che lo scongelamento avvenga in modo rapido ed uniforme. Subito dopo le cellule, con il loro terreno di congelamento, vengono diluite con 7 ml di DMEM e centrifugate a 300 g per 6 minuti a 20°C. Il sopranatante viene eliminato ed il pellet risospeso in 10 ml di terreno completo descritto nel paragrafo 2.2, viene trasferito a una piastra da 10 centimetri di diametro.

2.4 Condizioni sperimentali utilizzate per i trattamenti

con dCF e dAdo

Le cellule SH-SY5Y sono coltivate partendo da una densità di 2x105 per cm2. Dopo tre giorni

di coltura il terreno viene eliminato e le piastre vengono lavate con PBS. Le cellule sono preincubate per 30 minuti in presenza o assenza di dCF 1 μM in DMEM contenente 10 mM glucosio e incubate con dAdo 60 μM per i tempi indicati negli esperimenti. Il volume finale è 100 μl in piastre da 96 pozzetti, 250 μl in piastre da 24 pozzetti e 7,2 μl in piastre da 100 mm di diametro. Negli esperimenti indicati sono stati aggiunti, fin dalla preincubazione, EDTA, BAPTA-AM, nifedipina, rianodina, NDGA, baicaleina, melatonina, NAC. Baicaleina, BAPTA-AM, NDGA e nifedipina sono stati solubilizzati in dimetilsulfossido e la rianodina in etanolo. I controlli corrispondenti contenevano la stessa quantità di solvente presente nelle cellule trattate (0,1 %).

Gli esperimenti con cellule ADF sono state condotti nelle condizioni descritte in Garcia-Gil et al., (2012). Brevemente, le cellule sono coltivate in presenza o assenza di dCF 1 μM e dAdo

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