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La pari dignita' sociale nella giurisprudenza costituzionale

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Academic year: 2021

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INDICE

Pag.

Premessa 1

Capitolo I: La nozione di dignità

3

1. Evoluzione del concetto 3

1.1 La dignità nel periodo greco e romano 3

1.2 Concezione medioevale della dignità 3

1.3 La dignità nel del XVI, XVII, XVIII secolo 4

1.4 La dignità nel XIX secolo 6

1.5 La dignità nello Stato costituzionale 8

1.6 L’inserimento della dignità nei documenti giuridici 9

2. Significato della dignità 12

3. Dignità ed eguaglianza 13

4. Dignità e libertà 15

4.1 La dignità come limite alla libertà nel rispetto dell’altro 16

4.2 La dignità come limite alla propria libertà 16

5. La dignità come clausola generale 18

6. La dignità come valore supercostituzionale ed elemento di bilanciamento 19

(2)

Pag.

7. Dignità e doveri 22

7.1 La dignità come limite ai doveri imposti dall’ordinamento 22

7.2 La dignità come fondamento dei doveri e doveri come realizzazione della dignità 24

8. La dignità come fondamento di nuovi diritti 25

9. La dignità come diritto 27

10. La dignità nella dimensione costituzionale 30

10.1 La pari dignità sociale 33

10.2 I richiami espliciti al concetto di dignità 35

10.3 La dignità come concetto implicito nella Costituzione 39

Capitolo II: La pari dignità sociale

41

1. La condizione dello straniero 41

1.1 Le differenziazioni in materia di soggiorno 42

1.2 Il riconoscimento del diritto alla libertà personale 44

1.3 Il diritto alla salute 46

1.4 Il diritto alle prestazioni sociali 48

1.5 Conclusioni 49

2. La dignità nella condizione femminile 51

(3)

Pag.

2.2 La tutela della donna lavoratrice 55

2.3 La tutela della donna in politica 57

2.4 Conclusioni 59

3. La tutela delle minoranze linguistiche 63

3.1 L’uso della propria lingua da parte dello straniero 65

3.2 Conclusioni 67

4. Dignità e libertà religiosa 67

4.1 La questione del giuramento 67

4.2 L’obiezione di coscienza 69

4.3 La tutela della confessione e il principio di laicità 71

4.4 Conclusioni 73

5. La dignità degli ammalati 75

5.1 Il diritto di essere curati 75

5.2 La tutela della salute collettiva 78

5.3 Il risarcimento del danno alla salute 79

5.4 Conclusioni 80

6. La dignità dei soggetti portatori di handicap 82

6.1 L’istruzione 83

6.2 L’inserimento nell’ambiente lavorativo 85

(4)

Pag.

6.4 Conclusioni 88

7. La dignità del minore 89

7.1 La tutela dei minori adottati 89

7.2 La tutela dei figli naturali: il problema dei diritti successori 91

7.3 La tutela dei figli incestuosi 93

7.4 La tutela del minore verso le misure restrittive della libertà personale 94

7.5 Conclusioni 97

8. La dignità dei detenuti 98

8.1 La funzione della pena 98

8.2 Il lavoro del detenuto 100

8.3 La condizione del detenuto 103

8.4 Conclusioni 109

9. La dignità dei lavoratori 113

9.1 Il diritto al lavoro 113

9.2 La tutela del lavoratore nei confronti del datore di lavoro: il licenziamento 115

9.3 La tutela del lavoratore nei confronti del datore di lavoro: lo svolgimento del rapporto di lavoro 117

(5)

Pag.

9.4 Tutele sociali del lavoratore 119

9.5 Conclusioni 122

10. Il caso Englaro 124

10.1 Conclusioni 127

11. La dignità post-mortem 128

11.1 I beni tutelati tramite il concetto di dignità 129

11.2 La donazione di organi 130

11.3 La possibilità di indagini genetiche sul corpo del defunto 130

11.4 La dignità del defunto e il trascorrere del tempo 130

Osservazioni conclusive 132

(6)

Premessa

Il concetto di dignità appare essere un concetto che intreccia diversi ambiti, quello filosofico, quello storico e quello giuridico. Questo elaborato propone innanzitutto una brevissima introduzione storica relativa all’evoluzione del concetto nei secoli per osservare come, nelle fasi finali di tale evoluzione, il concetto si inserisca nell’idea di Stato costituzionale come valore fondante i diritti inviolabili e successivamente venga inserito esplicitamente o implicitamente, in documenti giuridici prima internazionali e poi nazionali.

Nel prosieguo si cerca di dare una definizione più oggettiva del concetto, slegata dalla prospettiva storica; emergono dunque due aspetti della dignità: la dignità statica come elemento appartenente ad ogni essere umano e la dignità dinamica che invece consiste in una qualità che può essere perduta con il proprio agire ma anche successivamente riconquistata.

Uno dei punti fondamentali dello studio è quello in cui si cerca di spiegare il legame della dignità con i valori fondamentali dell’eguaglianza e della libertà; in particolare il concetto in esame appare essere fondamento di entrambi i valori e legarsi, nella sua concezione statica, al valore dell’eguaglianza mentre, in quella dinamica, al valore della libertà.

Si passa poi ad esaminare gli usi più prettamente giuridici che coinvolgono il valore oggetto di studio: in primo luogo si vede come la dignità possa essere un valore supercostituzionale e fungere da elemento di bilanciamento fra due diritti; successivamente si osserva come la dignità possa essere fondamento di nuovi diritti. Viene poi esaminato come il concetto si ponga in relazione con i doveri costituzionali costituendo un limite alla loro esigibilità ma anche come elemento che viene realizzato attraverso l’adempimento di questi. Infine viene osservata la qualificazione, in effetti residuale, della dignità come un diritto a se stante con un contenuto proprio, qualifica che si desume dalla possibilità di pretendere un risarcimento del danno arrecato a tale valore. Nella conclusione della prima parte viene poi osservato come il concetto si inserisce nella Costituzione italiana. Si può osservare come esso permei tutto il testo costituzionale anche se i riferimenti

(7)

espliciti sono ridotti. Il più importante di questi si ritrova come già detto nell’articolo 3 comma 1 Cost. ed è il riferimento alla pari dignità sociale.

Nella seconda parte dell’elaborato si esamina la giurisprudenza della Corte costituzionale collegata all’uso esplicito o implicito del concetto di dignità; così per esempio si riporta l’uso che la Corte fa del concetto nella tematica degli stranieri, dei lavoratori, degli ammalati, dei portatori di handicap, dei detenuti e in altre aree tematiche, aggiungendo, per ognuna delle parti, alcune considerazioni conclusive. In questa parte si osserva soprattutto, ma non in modo esclusivo, l’uso che la Corte costituzionale fa della dignità collegata col principio di eguaglianza, valori che si fondono nel concetto di pari dignità sociale.

Infine, si fa un breve cenno a due tematiche collegate con la dignità: il caso Englaro e la tematica della dignità post-mortem.

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Capitolo 1: La nozione di dignità

1. Evoluzione del concetto

1.1 La dignità nel periodo greco e romano

Per il pensiero greco1, ma similmente anche per quello romano, la dignità era una condizione che non apparteneva a tutti gli uomini poiché ne era priva la maggior parte della popolazione, come ad esempio gli schiavi, ed essa era collegata al proprio operato nel contesto sociale; era una qualità acquisita per merito e come tale poteva essere persa se il titolare si comportava in modo contrario alla morale o al bene pubblico.

Successivamente, col pensiero stoico2 , si arriva ad una prima affermazione dell’eguaglianza fra gli uomini in quanto tutti sono partecipanti al logos ossia alla ragione universale, ma è poi col cristianesimo3 che si perviene ad un’affermazione più profonda dell’eguaglianza fra gli uomini sulla base di una intrinseca dignità di ciascuno di essi: l’uomo, secondo la teoria dell’imago dei è creato ad immagine e somiglianza di Dio quindi è portatore di un valore intrinseco per il solo fatto di essere stato creato uomo. In questa fase manca comunque la configurazione di diritti collegati alla condizione di dignità propria dell’uomo.

1.2 Concezione medioevale della dignità

Nel medioevo4 poi si crea, per la prima volta, l’affermazione di un nucleo di

diritti della persona che possono considerarsi fondamentali e quindi possono essere visti come un’estrinsecazione della dignità; come esempio può essere portata l’esperienza inglese della Magna Charta Libertatum la quale assicurava,

1 M. Di Ciommo Dignità umana e stato costituzionale, Passigli editore 2010, pag 20 2 M. Di Ciommo op. cit., pag 20

3 M. Di Ciommo, op. cit., pag 21 4 M. Di Ciommo, op. cit. , pag 22

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se non altro ai baroni e alle città che l’avevano imposta al sovrano, il riconoscimento formale di alcuni diritti contro gli abusi del potere.

L’esperienza medioevale comunque si caratterizza per un riconoscimento dei diritti e della dignità particolaristico e strutturato sulla logica del privilegio; questa configurazione è dovuta alla frammentazione degli ordinamenti medioevali e alla mancanza di una condizione giuridica unica per tutti gli uomini. Siamo quindi ancora ben lontani da un riconoscimento dei diritti e della dignità a livello universale valida per tutti gli uomini.

Nell’umanesimo5, grazie all’Oratio de hominis dignitate di Pico della

Mirandola, la dignità assume un significato nuovo e viene vista come collegata al libero arbitrio: essa consiste nella capacità di ognuno di realizzare la propria persona attraverso il perfezionamento spirituale. La dignità quindi viene collegata alla capacità di autodeterminazione.

1.3 La dignità nel del XVI, XVII, XVIII secolo

Nel Costituzionalismo6, dottrina politica e costituzionale che si colloca fra il XVI e il XVII secolo e che fa dei suoi pilastri la divisione dei poteri e la priorità dei diritti fondamentali come limite al potere statale, il concetto di dignità viene profondamente modificato.

Inizialmente nel XVI secolo la riforma calvinista che tramite l’idea di libera fede e di libera interpretazione delle sacre scritture, contribuisce all’affermazione di una mentalità democratica che propone la centralità dell’uomo e della funzionalizzazione ad esso dell’autorità di governo.

Per quanto riguarda invece il XVII secolo si fa riferimento alla dottrina di Spinoza7, di Pufendorf e di Wolff: secondo il primo un limite al potere statale viene individuato nella libertà religiosa e di coscienza; per Pufendorf 8 l’uomo è portatore di una dignità che lo accomuna agli altri uomini e quindi essa è attributo

5 M. Di Ciommo op. cit., pag 24

6 M. Di Ciommo op. cit., pag 27 e seguenti 7 Trattato teologico - politico 1670 8 De jure naturae et gentium 1672

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naturale di ogni persona e infine Wolff9 afferma che al centro del sistema giuridico c’è l’individuo che è titolare di diritti in funzione della sua humanitas, diritti che possono essere limitati dal sovrano solo per il perseguimento del benessere comune.

Per arrivare alla costituzionalizzazione dei diritti10 che sono esplicazione della dignità umana è necessario attendere la Costituzioni borghesi del XVIII e XIX secolo nate dall’esperienza rivoluzionaria francese e americana; tramite questo processo i diritti divengono un limite per il potere pubblico e si passa quindi da una limitazione del potere basata sul riconoscimento della dignità dell’uomo puramente filosofica ad una limitazione tecnico giuridica fondativa dei rapporti fra cittadino e potere sovrano.

Soprattutto nell’esperienza francese con la Dichiarazione dell’uomo e del cittadino del 1789 si osserva come senza riferirsi al popolo francese essa riconosca i diritti alla libertà, all’eguaglianza e alla proprietà come diritti appartenenti in modo universale all’uomo.

Questo riconoscimento universale e la creazione di una tutela tecnico giuridica dei diritti comunque non erano affatto attuate nella pratica in quanto da una parte rimanevano esclusi tutti coloro che non fossero uomini europei o coloni americani, ossia i pellerossa delle americhe e gli schiavi dell’Africa infatti coloro non avevano dignità in quanto uomini non associati e quindi non perfetti11 ; soprattutto però rimanevano esclusi dal godimento effettivo dei diritti proclamati le classi proletarie dei Paesi europei dando luogo ad un’evidente violazione sostanziale del principio di eguaglianza e libertà affermato nella teoria.

9 Institutiones juris naturae et gentium 1750 10 M. Di Ciommo op. cit., pag 30

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1.4 La dignità nel XIX secolo

Nello Stato liberale 12 il rapporto fra individuo e potere muta: innanzitutto si rivaluta l’individuo in quanto lo Stato non più visto come un potere sovrano che agisce sull’individuo senza limiti, viene limitato da delle libertà dei cittadini che vanno tutelate e vengono tutelate attraverso le Costituzioni.

Detto con altre parole “il liberalismo si affermò come il superamento della concezione organica della società a favore di una concezione individualistica e antropocentrica in virtù della quale all’individuo venivano riconosciuti spazi di libertà invalicabili per lo Stato” 13. C’è quindi un primo riconoscimento del valore

di un soggetto nei confronti del potere sovrano.

In questo filone di pensiero è possibile ricordare il pensiero di Kant come rivalutazione dell’uomo e della sua dignità intrinseca: secondo il pensatore tedesco l’uomo è portatore di una dignità che è valore interiore assoluto la quale costringe tutte le creature ragionevoli al rispetto della sua persona; Kant afferma infatti che “l’uomo non può essere trattato da un altro uomo o da se stesso come un semplice mezzo ma sempre anche come un fine”14 e questo vale pure nei confronti del potere sovrano che non può servirsi dell’uomo unicamente per farlo divenire oggetto della propria azione.

Nel pensiero di Kant non contano solo i diritti fondamentali dell’uomo ma anche i doveri che egli ha verso se stesso per la conservazione della propria dignità; in questo si rintraccia la concezione dignità come limite alla libertà in quanto io stesso devo vedermi anche come un fine e mai come semplice mezzo: tale pensiero per citare solo un esempio si ritrova nella pronuncia del Consiglio di Stato francese in proposito del cosiddetto “caso del nano”15, in cui la Corte

12 M. Di Ciommo op. cit., pag 36 e seguenti 13 M. Di Ciommo op. cit., pag 40

14 I. Kant, Metafisica dei costumi, 1797

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dichiara illegittima, in quanto lesiva della dignità della persona, la pratica del lancio del nano e questo nonostante il soggetto handicappato fosse consenziente a prestare il proprio corpo per questa esibizione.

In Kant si trova inoltre il diritto-dovere di ribellione in modo da affermare la propria dignità per chiunque sia assoggettato all’altrui potere.

Infine si rileva come anche per Kant la dignità sia un valore presente in ogni uomo e permanente in quanto egli afferma che l’uomo perde la propria dignità quando punisce un malvagio con una pena che è contraria al senso di umanità quindi anche la dignità del malvagio deve essere rispettata.

Si propone quindi in definitiva la concezione secondo cui prima nascono gli uomini e poi le organizzazioni statali che, in quanto create dagli uomini, non possono avere come scopo quello di opprimerli e annullarli.

Successivamente però vi fu un cambiamento dovuto allo sviluppo della teoria del positivismo giuridico: essa rifiutò l’idea che i diritti, anche quelli fondamentali, non esistessero a prescindere dallo Stato; “essi divennero elemento disponibile alla volontà del legislatore”16; a seguito delle rivoluzioni del 48-49 che

avevano alla base il riconoscimento di diritti sociali si osserva17 come la borghesia liberale spaventata dall’inserimento delle masse e dal comunismo a guidare una controrivoluzione che ebbe come risultato “l’assolutizzazione dello Stato e l’annientamento dell’individuo”18.

D’altra parte19 questo spinse il proletariato ad acquisire consapevolezza della

necessità di condurre una lotta di classe per evitare di rimanere privi dei fondamentali diritti affermati solo in teoria ma non in pratica; l’elemento di esclusione dal godimento effettivo dei diritti e della condizione di libertà, vanificata dalle condizioni concrete di vita, venne evidenziato dalla riflessione socialista.

Osservando la riflessione socialista20 si vede come con la riflessione di Marx si criticava l’idea che lo Stato avesse il solo compito di conservare i diritti fondamentali come libertà negative dell’individuo tralasciando completamente la

16 M. Di Ciommo op. cit., pag 43 17 M. Di Ciommo op. cit., pag 45 18 M. Di Ciommo op. cit., pag 46 19 M. Di Ciommo op. cit., pag 46 20 M. Di Ciommo op. cit., pag 48

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sua dimensione sociale cioè di essere che per svilupparsi appieno ha bisogno di partecipare alla società. Lassalle come Marx rifiutava completamente l’idea dei diritti fondamentali di matrice liberale e riconosceva allo Stato il compito di permettere ai lavoratori di perseguire nella loro vita obiettivi che, per la limitatezza dei loro mezzi, non avrebbero potuto raggiungere, quindi il compito di assicurare non solo diritti negativi ma anche positivi.

Il cambio di prospettiva rispetto alla concezione liberale dei diritti, oltre che nell’esperienza socialista, si osserva anche in Thomas Hill Green21 il quale

osserva che la libertà non va intesa come la mera assenza di costrizione ma come il potere di fare qualcosa di cui godere in comune con gli altri; da qui si osserva come la concezione di Stato non sia quella meramente estranea alla vita dei cittadini ma al contrario di uno Stato che interviene per garantire le libertà in senso positivo.

1.5 La dignità nello Stato costituzionale

Un’altra evoluzione della tutela dei diritti e della dignità si realizza nello Stato costituzionale del XX secolo22 : tale forma di stato nasce dall’incontro fra le tendenze liberali e quelle socialiste; si realizza infatti una sorta di mediazione per cui per le istanze liberali più progressiste, il socialismo e la partecipazione delle masse alla democrazia, rappresenta non più un pericolo da distruggere ma un elemento da integrare; così per i socialisti democratici lo Stato di diritto, il sistema parlamentare rappresentativo e i diritti fondamentali sono considerati istituti di origine borghese ma da cui si possono prendere le mosse per realizzare gli ideali democratici.

Si realizza una sorta di estensione dei diritti fondamentali alla classe lavoratrice che diviene protagonista del discorso politico e partecipa alla creazione di nuovi diritti fondamentali capaci di garantire e promuovere la solidarietà e l’eguaglianza; importantissimi in questo senso i diritti di associazione e il diritto di voto secondo il sistema del suffragio universale.

21 M. Di Ciommo op. cit., pag 50

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L’eguaglianza e la pari dignità sociale divengono valori da garantire non solo a livello formale ma anche pratico, sostanziale: sotto questo profilo il punto chiave è la creazione dei cosiddetti diritti sociali che mirano fra l’altro ad assicurare un minimo di benessere economico e di assistenza statale che sono condizioni per garantire la dignità dell’uomo.

Si vede come ai diritti di libertà essenzialmente negativi, in quanto presuppongono un’astensione dello Stato nella sfera privata dell’individuo, si vadano a sommare diritti positivi che al contrario presuppongono un intervento dello Stato nella vita del cittadino così da assicurargli le prestazioni sociali di cui necessita per il conseguimento di un’esistenza dignitosa; lo Stato diviene da ente che deve astenersi dall’ingerirsi nella vita dei cittadini a ente che deve essere funzionalizzato alla persona per garantire la sua dignità che è fondamento di tutti i diritti fondamentali di cui essa è titolare.

Si può ricordare in proposito la Costituzione di Weimar che non disciplinava solamente le libertà liberali ma anche altri aspetti sociali della persona come la famiglia, la scuola, le confessioni religiose, i diritti del lavoratore, la tutela della maternità e altri.

Con un cambio di mentalità si passa dunque dalla visione dell’uomo come soggetto titolare di una personalità che si esprime solo nella sua sfera privata ed è garantita solo dalle libertà nei confronti del potere, ad una concezione secondo cui la personalità dell’uomo non si riduce alla sua sfera privata ma si sviluppa anche in molti altri ambiti che devono essere adeguatamente tutelati tramite il riconoscimento di appositi diritti sociali; diciamo quindi che la dignità dell’uomo dello Stato costituzionale viene tutelata con la protezione di tutti gli aspetti della sua personalità e di tutti gli ambiti in cui essa si svolge.

1.6 L’inserimento della dignità nei documenti giuridici

Nonostante la dignità sia fondamento dei diritti fondamentali, quindi obiettivo ultimo che lo Stato deve realizzare, la sua scrittura in testi giuridici, salvo l’eccezione della Costituzione di Weimar che la menziona all’articolo 151,

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avviene solamente dopo il secondo dopoguerra23 ; questo è dovuto alla reazione dei vari Stati alle palesi negazioni della dignità operate dai totalitarismi nel ‘900, secondo cui l’uomo non è più un essere che ha una sua dignità ma è semplicemente un soggetto che deve obbedire alla ragion di Stato ossia, al fine che i gruppi dominanti vogliono realizzare; se si riprende la riflessione di Kant possiamo dire che l’uomo nel totalitarismo è visto solo come un mezzo per la realizzazione dello scopo che si prefiggono gli Stati.

A seguito della barbarie dei totalitarismi l’uomo considerato nella sua interezza della personalità viene nuovamente posto al centro della tutela che deve derivare dagli stati; si fa un passo avanti poiché la dignità viene riconosciuta prima di tutto a livello internazionale. Si possono infatti ricordare24: il Preambolo della Carta delle Nazioni Unite del 1945 dove si legge “ noi popoli delle Nazioni Unite (siamo) decisi a riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana” oppure il Preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 dove vi è “il riconoscimento della dignità immanente a tutti i membri della famiglia umana” e il suo articolo 1 continua dicendo “ tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. Si può ancora ricordare il Preambolo del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966 dove si legge che “ il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo, consapevoli che tali diritti derivano dalla dignità immanente agli uomini”.

Da una parte quindi si avvia la cooperazione fra gli Stati non solo per ragioni economiche ma anche come sinergia che ha il fine della tutela dei diritti umani, dall’altra, nascono, a partire dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, diverse convenzioni che sono poi sfociate in norme internazionali di jus cogens che condannano le più gravi violazioni della dignità umana quali il genocidio, la schiavitù e le discriminazioni razziali; tale tutela diviene anche effettiva a partire dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, con tale documento viene riconosciuta personalità internazionale al cittadino e il diritto di agire di fronte ad una Corte per ottenere la

23 M. Di Ciommo op. cit., pag 65

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condanna dello Stato alla cessazione della violazione del diritto fondamentale nonché, eventualmente, ad accedere ad un risarcimento riparatorio.

Il riconoscimento della dignità oltre che a livello internazionale si ritrova anche nelle Carte costituzionali dei vari Stati; si possono dividere in due categorie: quelle che la menzionano espressamente come la Costituzione tedesca che all’art. 1 stabilisce che “la dignità dell’uomo è intangibile ed è dovere do ogni potere statale rispettarla e proteggerla” quella irlandese che nel Preambolo afferma che “si cerca di promuovere il bene comune nell’osservanza della Prudenza della Giustizia e della Carità in modo che la libertà e la dignità dell’uomo possono essere assicurate” e quella italiana che all’articolo 3 afferma che “ tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge”; vi sono poi quelle che non la menzionano espressamente ma dalle quali evidentemente emerge ad opera della giurisprudenza delle Corti supreme che la utilizzano: esse sono per esempio quella francese; in tale Costituzione infatti, se si esclude il Preambolo, non vi è menzione del concetto di dignità umana ma la dignità penetra comunque nel tessuto costituzionale ad opera delle Corti supreme, basti ricordare che il Consiglio di Stato francese la utilizza come concetto, per motivare la proibizione di uno spettacolo nel quale un nano adulto e consenziente, si faceva lanciare in mezzo agli spettatori esponendosi alla derisione del pubblico25.

Dato il generale riconoscimento del principio personalista e della dignità dell’uomo, l’essenza dello Stato democratico risiede proprio nella tutela di questi in ragione dello sviluppo della persona umana26: come è stato detto27 , la dignità è la premessa antropologica - culturale della democrazia e questa è la conseguenza organizzativa; in altre parole non esiste Stato democratico se esso non si organizza per porre al centro di tutta la sua azione l’uomo, assicurandogli la realizzazione della propria dignità e conseguentemente garantendogli il rispetto e l’attuazione dei suoi diritti fondamentali.

25 sent. Consiglio di Stato francese del 27 ottobre 1995 n. 136727 26 M. Di Ciommo, op. cit., pag.119

27 P. Häberle, voce “Stato costituzionale, V) prospettive future” Enc. giur. Treccani, IX, Roma

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2. Significato della dignità

La dignità, ferma restando la definizione da dizionario, secondo cui essa consiste in una “condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e che egli deve a se stesso” può essere in prima approssimazione definita come il valore intrinseco che ogni uomo ha per il solo fatto di essere uomo; tale caratteristica comporta il rispetto da parte degli altri uomini ma anche il rispetto di un uomo verso se stesso.

La dignità come qui intesa si differenzia da un significato meno comune del termine che indica una carica di alto rango, poiché è qualcosa che appartiene all’uomo e non dipende dai riconoscimenti che possono venire dagli altri soggetti quali, le altre persone, le formazioni sociali o lo Stato; si differenzia anche dal significato del termine che indica la qualità della persona corretta che agisce moralmente, poiché è qualcosa di permanente che non può essere perso nemmeno se colui che ne è titolare si macchia di azioni indegne.

Il concetto di dignità statica emerge dalla riflessione tedesca, in particolare di Kant e di Häberle: il primo afferma che “l’umanità stessa è una dignità: infatti l’uomo non può essere trattato da nessuno meramente come un mezzo ma deve essere sempre trattato allo stesso tempo come un fine e proprio in ciò consiste la sua dignità” 28 per cui se l’uomo anche se attraverso la propria libertà agisce in

modo non conforme alle regole può perdere quella dignità intesa come caratteristica acquisita ma non è possibile privarlo della propria dignità statica in quanto egli dovrà sempre essere trattato come un fine e mai meramente come un mezzo. Tale concezione è ripresa da Dürig secondo cui la dignità viene riconosciuta all’uomo per la sua appartenenza alla specie umana29 Häberle invece

sottolinea come se si considerasse la dignità solo nella sua prospettiva dinamica e quindi collegata alla propria capacità di determinarsi autonomamente, si

28 I. Kant, op.cit., 1797

29 A. Pirozzoli, La dignità dell’uomo geometrie costituzionali, Edizioni scientifiche italiane,

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arriverebbe a sottrarre “al soggetto incapace di agire e di formarsi una propria volontà come per esempio il nascituro, il malato di mente o il deforme” la possibilità stessa di avere una dignità30. Così anche Luhmann31 propone una concezione di dignità che viene guadagnata da ogni uomo tramite il proprio comportamento che riesce così a costruirsi una propria identità.

Vi sono quindi due diverse concezioni di dignità: la prima viene chiamata da Ruotolo32 dignità statica o innata e consiste appunto in una qualità permanente e inalienabile appartenente a tutti gli uomini mentre la seconda, che viene chiamata dignità dinamica o acquisita, deriva dal proprio comportamento, dal modo in cui viene utilizzata la propria libertà di autodeterminazione e può essere perduta nonché riconquistata; non è pensabile osservare la dignità solamente dalla prospettiva dinamica se non si vuole cadere nelle negazioni di essa evidenziate da Häberle e le eventuali limitazione della dignità dinamica, fatte attraverso le limitazioni di diritti fondamentali, sono possibili solo in modo puntuale e devono essere proporzionate alla gravità del comportamento33

Il costituente utilizza entrambe i tipi di dignità: usa il concetto di dignità dinamica quando prevede per esempio la limitazione del diritto al voto in casi di indegnità morale e usa il concetto di dignità statica nel momento in cui riconosce l’esistenza dei diritti fondamentali dell’uomo.

La dignità però può essere vista sotto altri aspetti: innanzitutto come concetto connesso a quello dei principi fondamentali dello Stato costituzionale ossia di libertà e di eguaglianza.

3. Dignità ed eguaglianza

Innanzitutto si osserva34 che il collegamento della dignità con l’eguaglianza verrebbe meno se si considerasse la prima come valore attinente ad un soggetto

30 M. Ruotolo, Dignità e carcere, Editoriale scientifica Napoli 2004, pag. 12 31 A, Pirozzoli, op.cit, pag. 61

32 M. Ruotolo, op. cit. , pag. 13 33 M. Ruotolo, op. cit. , pag. 14 34 A. Pirozzoli, op. cit. pag 17

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singolarmente considerato poiché essendo, da un punto di vista individualistico, tutte le persone diverse, la dignità di ognuna di esse dovrebbe essere garantita in uno specifico modo idoneo per quella persona ma non per le altre, si avrebbero così singole dignità, una per ogni persona. Il legame invece viene recuperato se si considera, come deve essere, la persona come componente di un gruppo omogeneo ossia componente della razza umana poiché in questo caso la dignità verrebbe a configurarsi come un attributo del gruppo spettante a tutti nello stesso modo.

Come seconda considerazione si osserva che da un punto di vista teorico si può affermare sia che gli uomini sono eguali e quindi hanno tutti una dignità oppure che gli uomini sono eguali in quanto hanno la stessa dignità. In altre parole si può fare dell’eguaglianza il presupposto della dignità oppure la sua conseguenza.

A me sembra però che se si fa dell’eguaglianza il presupposto della dignità umana manchi una base per l’eguaglianza stessa, in altre parole, perché gli uomini dovrebbero essere considerati tutti eguali? Sembra più corretto invece fare della dignità il presupposto dell’eguaglianza in quanto essa è un carattere accettato come comune a tutti gli appartenenti alla razza umana nonché, una caratteristica che viene considerata innata nell’uomo e quindi meglio può fungere da presupposto.

Inoltre si osserva35 come il concetto di dignità intersecandosi con quello dell’eguaglianza rafforzi quest’ultimo e ne ampli la portata: si porta l’esempio dell’ordinamento ungherese che da rilevanza costituzionale non solo alle violazioni dei valori fondamentali quali l’eguaglianza ma anche alla violazione della dignità in quanto tale.

Una pronuncia della Corte Costituzionale ungherese del 199536 in tema di unioni fra persone dello stesso sesso dichiara illegittimo il divieto di tali unioni che era applicato sia a uomini che donne: si vede che il principio di eguaglianza non è leso in quanto il divieto lo rispetta ma la norma viene dichiarata incostituzionale in quanto si va a ledere la dignità delle persone omosessuali.

35 C. Piciocchi, La dignità come rappresentazione giuridica della condizione umana CEDAM

2013, pag 122-123

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Un altro esempio37 riguarda l’uso che viene fatto del concetto di dignità dalla giurisprudenza sudafricana; nel caso Harsken v. Lane la Corte costituzionale indica le caratteristiche che una discriminazione deve avere per essere rilevante: innanzitutto non deve trattarsi di mera differenziazione attraverso la quale il legislatore regola situazioni effettivamente differenziate, inoltre la differenziazione non deve fondarsi su criteri dell’articolo 8 della Costituzione sudafricana ossia razza, sesso, colore, orientamento sessuale e altre; ma anche al di fuori di tali criteri è possibile individuare una discriminazione nel caso in cui essa si fondi su caratteristiche che possono avere un impatto negativo sulla dignità; si vede quindi come la dignità amplia il concetto di discriminazione e sul conseguente divieto di discriminazione.

4. Dignità e libertà

Per quanto riguarda invece il collegamento fra dignità e libertà si osserva anche qui un problema relativo all’interrogativo di quale concetto fonda l’altro; se si considera che non necessariamente un uomo libero vive in una condizione di dignità ma che un uomo di cui si afferma la dignità è sicuramente in una condizione di libertà, essendo l’asservimento al potere dello Stato, o ad un altro uomo, lesivo della sua dignità, si può rintracciare come concetto fondante quello di dignità o se non alto come concetto che fa da presupposto.

Anche perché se si sostenesse che la dignità è un attributo della libertà ciascuno sarebbe libero di stabilire quali possono essere i comportamenti che violano la propria dignità correndo il rischio di tornare, come nel caso del rapporto con l’eguaglianza, ad una frammentazione del concetto che varierebbe da uomo a uomo38.

Ma la dignità sta in rapporto alla libertà sotto due diversi profili come limite alla libertà di un soggetto verso gli altri e come limite della libertà di un soggetto verso se stesso.

37 C. Piciocchi, op. cit. pag. 140-141 38 A. Pirozzoli, op. cit. pag. 21

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4.1 La dignità come limite alla libertà nel rispetto dell’altro

Considerando che tutti gli uomini sono dotati della stessa dignità e che questo valore deve essere rispettato da tutti gli altri uomini la dignità diventa non solo fondamento della libertà ma anche limite ad essa: col mio comportamento che si esprime in libertà non posso violare la dignità di un altro essere umano; interessante a questo proposito il dettato costituzionale dell’articolo 41 nel quale la dignità è richiamata espressamente come limite alla libertà d’impresa. In questa prima prospettiva la dignità dell’altro è limite alla libertà di ognuno.

4.2 La dignità come limite alla propria libertà

La dignità arriva inoltre ad essere un limite anche rispetto alla propria dignità; qui rileva l’affermazione di Kant secondo cui “l’uomo non può essere trattato dall’altro uomo o da se stesso come un semplice mezzo ma sempre anche come un fine”.

In tutti i casi successivamente elencati si osserva39 lo scontro fra una visione soggettiva della propria dignità che se accettata porterebbe alla prevalenza della propria libertà ed una visione oggettiva, dell’ordinamento, che se accettata porterebbe alla limitazione della propria libertà.

Questa concezione della dignità come limite alla propria libertà si trova in diverse pronunce: la prima già citata del Consiglio di Stato francese40, nella quale un sindaco vieta, adducendo ragioni di ordine pubblico e con l’esigenza di impedire la violazione della dignità umana, uno spettacolo di cui è protagonista un nano maggiorenne e consenziente che volontariamente si faceva lanciare fra gli spettatori; apparentemente il soggetto trae beneficio dallo spettacolo in termini di guadagno ma a meglio vedere lo fa esponendosi al pubblico come soggetto ridicolo e quindi sacrificando la dignità umana.

39 C. Piciocchi, op. cit., pag. 165 e seguenti

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Altra problematica da ricordare41 è quella dell’utero in affitto che apparentemente consiste in un contratto che porta un beneficio reciproco per le parti: tale contratto però non incontra la generale approvazione del comune sentire in quanto la donna partoriente presta il suo corpo riducendosi a semplice mezzo della coppia che paga il prezzo con, in effetti, una svalutazione della propria dignità; ma forse è più convincente l’osservazione secondo cui il bene giuridico tutelato non è tanto la dignità della donna bensì quella del neonato che verrebbe di fatto comprato.

Un ultimo caso da citare42 è quello della compravendita di organi: vale sempre lo stesso discorso riguardo ai mutui benefici per i contraenti e valgono sempre le stesse osservazioni con riguardo al comune sentire secondo cui tale pratica non è approvata al contrario invece della cessione gratuita che è fonte di ammirazione e percepita come gesto di grande dignità; in questo caso innanzitutto è da escludere che sia reputato violato il valore dell’integrità fisica poiché altrimenti non sarebbero concesse nemmeno le donazioni gratuite, perciò il valore tutelato non può che essere la dignità; colui che vende l’organo dispone di se stesso come un semplice mezzo, come di un corpo una cui parte può essere venduta senza rispetto per la propria persona.

Certo c’è da considerare che l’uso della dignità come limite alla propria libertà sia, in tutti i casi esaminati, un uso che non può avere una risposta univoca; in effetti i casi possono suscitare sia repulsione per la violazione della dignità ma anche approvazione considerandoli come azioni legittime poiché portano al soggetto che si presta grandi benefici economici e gli permettono di vivere una vita per altri aspetti appunto più…dignitosa e libera.

Quindi se sembra che la dignità come limite alla libertà per il rispetto dell’altro sia un concetto più stabile e che solleva meno problemi si vede come la dignità come limite alla propria libertà sia più legato all’opinione personale e quindi sia in definitiva più esposto al mutare del sentimento comune.

41 E. Ceccherini, La tutela della dignità dell’uomo (a cura di), Editoriale scientifica 2008 pag. 36 42 E. Ceccherini, op. cit. , pag. 36

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E’ però vero che come argomento a favore della tesi della dignità oggettiva, che prevale in caso di contrasto sulla propria visione della dignità, ci sono da considerare due profili il rischio di stigmatizzazione del gruppo a cui appartiene la persona di cui è in discussione la dignità e il rapporto fra individuo e contesto43.

Dal primo punto di vista si presuppone che il gruppo a cui appartiene la persona sia un gruppo svantaggiato (come l’handicappato nel caso del lancio del nano oppure il malato nel caso del trattamento di fine vita) e come tale rischi, attraverso le scelte individuali del soggetto, una stigmatizzazione: la persona che pone la disabilità al centro di uno spettacolo pubblico alimenta la derisione verso tutti i soggetti affetti dallo stesso handicap o la decisione del malato di porre fine alla propria vita suggerisce l’idea che quel tipo di vita non sia dignitoso.

Dal secondo punto di vista si farebbe prevalere la dignità oggettiva su quella soggettiva partendo dal presupposto che l’uso della libertà da parte del soggetto svantaggiato non sia una libera scelta; il punto fondamentale è che la scelta avviene in un contesto che sembra privare dell’autonomia di decidere il soggetto.

Si fanno in proposito gli esempi di donne che indossano il burka, oppure di soggetti che si sottopongano a mutilazioni rituali ma anche, secondo me, l’handicappato che per sopravvivere si serve della propria invalidità rendendosi ridicolo di fronte agli altri.

In questi casi la libertà non paga un prezzo alla dignità semplicemente perché essa non è realmente espressa.

5. La dignità come clausola generale

Per evidenziare anche il carattere indefinito e le possibilità di adattamento del concetto di dignità al mutamento del sentire sociale si può anche osservare che essa è usata come clausola generale.

Se infatti è vero che gli ordinamenti giuridici mutano in funzione del mutare del tempo e dell’ambiente sociale, la funzione di concetti indeterminati usati come clausole generali di interpretazione, permettono la corrispondenza, tramite l’operato del giudice, tra il diritto il sentire sociale; si pensi a tale proposito al

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mutamento di giurisprudenza, dovuto al mutamento del sentimento sociale con riguardo al reato di adulterio: inizialmente l’adulterio della donna veniva, in considerazione del maggior danno che apportava alle strutture e ai vitali interessi della famiglia, punito come reato mentre così non era per quello praticato dall’uomo.

Successivamente sempre in ragione del mutamento sociale di pensiero si è ritenuto di parificare la condotta dell’uomo a quella della donna eliminando il reato di adulterio; tale mutamento di interpretazione giurisprudenziale è dovuto alla presenza della clausola generale della dignità che ha permesso di recepire l’evoluzione del sentimento sociale di maggior valore della dignità della donna da parte dell’ordinamento.

6. La dignità come valore supercostituzionale ed elemento di bilanciamento

La dignità quindi non coincide ne con la libertà in quanto è fondamento di essa ma anche suo limite ne con l’eguaglianza sempre perché è suo fondamento; si osserva anche che la dignità è più in generale il fondamento, la matrice di tutti i diritti fondamentali.

I diritti fondamentali sono assicurati dallo Stato al cittadino affinché la sua dignità possa realizzarsi in quanto ognuno di essi è la tutela di un aspetto della persona quindi la loro somma protegge la persona nella sua completezza e la protegge in quanto essa è portatrice del valore base della dignità.

Da questo essere fondamento della libertà, dell’eguaglianza e dei diritti fondamentali in generale si può vedere come la dignità sia un valore diverso da quelli fondamentali, un valore cioè messo alla base di questi o come è stato detto un valore supercostituzionale.

Se si accetta questa impostazione secondo cui la dignità non è uno dei valori fondamentali dell’ordinamento ma quello posto alla base che orienta e da ragion d’essere a tutti gli altri, si deve anche convenire che la dignità stessa è posta fuori dal bilanciamento con gli altri valori ma anzi è l’elemento sulla base del quale si effettua tale bilanciamento; in altre parole quando si fa un bilanciamento fra diritti

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fondamentali lo si fa in modo da tutelare nel modo migliore la dignità che diviene un limite ad uno di essi facendo affermare l’altro che più la tutela. In alcuni casi la dignità orienta le scelte politiche facendo prevalere un diritto su un altro, mentre in altri casi tale concetto è utilizzato dalle Corti per risolvere casi difficili in cui entrambe i diritti sono basati sulla dignità e si da prevalenza a quello che si ritiene essere connesso più strettamente alla tutela della dignità umana.

Come esempio di scelta politica orientata dalla tutela della dignità si può osservare il limite all’esercizio del potere imprenditoriale posto in ragione della tutela della donna lavoratrice: in questo caso la ragione dell’imprenditore vorrebbe che la donna in maternità, non potendo prestare attività lavorativa, non fosse retribuita o addirittura fosse sostituita con un lavoratore produttivo; al contrario la tutela del diritto della donna all’adempimento della sua essenziale funzione familiare impone al datore non solo di non licenziare la lavoratrice ma di corrisponderle anche la retribuzione in modo che la gravidanza non pregiudichi la sua condizione di lavoro e la sua carriera: questa soluzione accolta dalla Costituzione trova appunto la dignità come elemento che giustifica la protezione della donna e la prevalenza del suo interesse su quello dell’impresa.

Un altro esempio nel quale la dignità orienta la scelta di politica legislativa riguarda la tutela del diritto al riconoscimento di minoranze etniche e linguistiche e il diritto fondamentale alla libertà di pensiero. A questo proposito si scontrano due diritti fondamentali: uno che vorrebbe la libera espressione del pensiero e, secondo la teoria del free marketplace of ideas anche l’espressione di pensieri contrari agli ideali democratici come ad esempio quelli razzisti di esclusione delle minoranze, che sono considerati come stimoli per la democrazia e non devono essere vietati bensì esclusi dal circuito democratico tramite il ragionevole confronto con le idee pluraliste; l’altro che vorrebbe invece la limitazione di tali pensieri in ragione della tutela del riconoscimento delle minoranze.

Entrambe basandosi l’uno sulla libertà di pensiero, la cui espressione è componente fondamentale della condizione di dignità dell’uomo, l’altro sul diritto all’identità della minoranza che è parimenti attuazione della dignità del singolo e

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in questo caso anche del gruppo, sono basati sulla dignità umana: in questo caso la scelta politica utilizza il concetto di dignità come porta per far affermare una visione sull’altra.

Nel caso di due diritti basati entrambe sulla protezione e attuazione della dignità umana le Corti utilizzano il concetto di dignità per bilanciare i due diritti in modo da far prevalere quello più strettamente connesso a tale valore.

Un esempio in cui la dignità fonda due diritti in contrapposizione fra loro è il caso tedesco del romanzo Esra : uno scrittore aveva pubblicato un romanzo autobiografico in cui era descritta in modo dettagliato ed esplicito la sua relazione (nel frattempo terminata) con una donna, compresi molti aspetti intimi. La donna (e sua madre, anch’essa riconosciutasi nel libro) avevano querelato lo scrittore chiedendo, in particolare, il ritiro del libro, e avevano avuto successo davanti ai giudici ordinari. Il Tribunale costituzionale federale ha respinto il ricorso della casa editrice che riteneva violata la propria libertà` artistica, stabilendo che la tutela della dignità pone limiti alla libertà di espressione artistica; anche in questo caso il giudice ha bilanciato il diritto alla libertà di espressione e alla riservatezza personale e al rispetto del pudore, aspetti entrambe della dignità ricorrendo al concetto in forma di clausola generale visto che il senso del pudore connesso con la dignità della persona, in un momento storico, può mutare successivamente

Un altro caso emblematico in cui la dignità serve da criterio di bilanciamento per la risoluzione di un caso problematico in quanto entrambe le posizioni vantano dei diritti entrambe basati sulla dignità è quello denominato Port Elizabeth Municipality del 2005; questo caso che vede contrapposti il diritto di proprietà di un proprietario di un’abitazione e il diritto di persone indigenti ad avere un’abitazione è risolto dalla Corte del Sudafrica; nel caso alcuni senzatetto avevano occupato una proprietà privata abbandonata su cui avevano abusivamente realizzato delle baracche; la Corte riconobbe come la dignità fosse sottesa alla pretesa di entrambe le parti ma essa decise a favore dei senzatetto il cui diritto fu ritenuto come più strettamente connesso alla tutela della dignità umana.

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7.Dignità e doveri

7.1 La dignità come limite ai doveri imposti dall’ordinamento

Un altro esempio che riguarda in realtà un bilanciamento fra due esigenze costituzionali più che un bilanciamento fra due diritti fondamentali è il caso del limite al dovere di concorrere alla spesa pubblica; se il concetto di capacità contributiva corrispondesse in pieno con quello di capacità economica il cittadino sarebbe costretto ad adempiere alle obbligazioni tributarie a prescindere dall’entità del reddito da lui posseduto; se, adempiuto l’obbligo tributario, il reddito non fosse sufficiente per garantire la sua sopravvivenza, nulla cambierebbe dato che comunque egli sarebbe tenuto al dovere,previsto dall’articolo 53 della Costituzione; le cose non stanno così infatti il concetto di capacità contributiva non coincide con quello di capacità economica in quanto vi sono redditi che pur rappresentando capacità economica non rappresentano capacità contributiva e sono esenti dalla tassazione: tale esclusione e limite al dovere si motiva proprio sulla dignità infatti tramite l’adempimento dell’obbligo tributario non è possibile ridurre il cittadino in una condizione economica che non gli permetta una vita dignitosa.

Sempre sotto questo aspetto si può portare come rafforzamento alla tesi della dignità come limite ai doveri di solidarietà imposti al cittadino dalla Costituzione, il caso dell’obiezione di coscienza nei confronti del servizio di leva, preliminarmente considerando che si tratta di un argomento apparentemente superato dalle ultime modifiche legislative, che hanno eliminato l’obbligo del servizio militare sospendendolo; tale argomento potrebbe tornare attuale nel momento in cui il legislatore decidesse di ripristinare l’obbligo.

In proposito nella sentenza della Corte costituzionale 467/1991 si legge: “la protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo e nelle formazioni sociali ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione”; la Corte continua dicendo che tale “protezione è commisurata alla necessità che quelle

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libertà e quei diritti non risultino irragionevolmente compressi nelle loro possibilità di manifestazione e di svolgimento a causa di preclusioni o di impedimenti ingiustificatamente posti alle potenzialità di determinazione della coscienza medesima” e che “ la sfera delle potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati come inderogabili dalla Costituzione”.

Come si vede la Corte in questa argomentazione non utilizza esplicitamente il concetto di dignità umana ma quello di coscienza individuale; a me sembra però che tali concetti siano legati indissolubilmente anche se non coincidenti: la libertà di coscienza infatti è un diritto che viene ricompreso nel concetto di dignità o meglio che, come gli altri diritti fondamentali, viene riconosciuto al fine di rendere effettiva la protezione della dignità; tale diritto però a mio modo di vedere è legato in modo particolare alla dignità.

Se per dignità si deve intendere il valore intrinseco che deve essere riconosciuto ad ogni uomo in quanto uomo ci si può chiedere cos’è che a prescindere dalla forma materiale caratterizza un uomo?

La risposta parrebbe essere proprio la sua coscienza, il complesso di convinzioni e credenze che caratterizzano la sua persona e orientano la sua vita, e allora, la libertà di coscienza diventa non solo la possibilità di vivere in coerenza con tale pensiero, ma anche e soprattutto la possibilità di esprimere la sua persona; l’idea sembra trovare conferma nella sentenza riportata quando la Corte fissa la coscienza come la “sfera delle potenzialità giuridiche della coscienza individuale rappresenta un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate all’assolvimento di doveri pubblici…”.

Ricordando la qualifica della dignità umana come principio supercostituzionale si nota il parallelismo che vi è fra la qualificazione di questa con la qualificazione della libertà di coscienza come valore anch’esso in qualche modo posto al di sopra quantomeno dei doveri costituzionali, forse proprio perché l’espressione della propria persona e la non sottomissione ad obblighi contrari al proprio universo di convinzioni è la prima manifestazione della dignità.

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Ed ecco perché imporre un comportamento contrario a tali convinzioni, sebbene motivato dal nobile scopo dell’adempimento di un dovere di solidarietà ponga l’uomo in una condizione di asservimento ad un ideale contrastante con il proprio essere che può rappresentare una violazione o meglio una compressione della dignità.

7.2 Dignità come fondamento dei doveri e doveri come realizzazione della dignità

Non si può però non vedere come la dignità sia anche il fondamento dei doveri perché essi tendono alla lotta contro l’esclusione sociale: basti pensare alla redistribuzione della ricchezza tramite il sistema tributario; l’esistenza e l’adempimento dei doveri mirano a garantire la dignità del maggior numero di persone possibile all’interno della comunità.

Ma il collegamento della dignità con i doveri si arricchisce di un’ulteriore prospettiva44 quella del dovere come realizzazione della dignità: non più quindi

solo un dovere come elemento per realizzare un’esigenza collettiva ma come un dovere tramite il quale si realizza al contempo un’esigenza di dignità del singolo.

Si porta come esempio principale del diritto-dovere del lavoro ossia del dovere di ogni cittadino di contribuire al progresso materiale e spirituale della società tramite la propria attività: non si può non vedere come in effetti tramite l’esplicazione di questo dovere si acquisisca un ruolo nella società si realizzi da questo punto di vista uno sviluppo della personalità quindi una concretizzazione della propria dignità.

Analogo ragionamento vale per il diritto di voto tramite il quale il cittadino non solo contribuisce al funzionamento della democrazia ma realizza la sua dignità esplicando una delle più alte funzioni della libertà di pensiero.

Ancora questo vale per il dovere di istruzione e formazione che realizza la dignità dell’uomo fornendogli una cultura, ossia la chiave per sviluppare e manifestare il proprio pensiero.

44 A. Pirozzoli, op.cit. pag 88

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Infine i doveri verso i figli che permettono ai coniugi di realizzare appieno la loro personalità nella vita familiare esplicando la funzione genitori che mantengono ed educano i propri discendenti.

La dignità è quindi un concetto ambivalente nel riguardo di diritti e doveri: da una parte li fonda entrambe dall’altra parte li limita.

Infatti la dignità diviene elemento su cui si basa il limite che viene imposto ad un diritto fondamentale nel bilanciamento con gli altri diritti ma anche il limite che viene imposto all’esigenze dello Stato – comunità espresse tramite doveri costituzionali; rappresenta infatti l’elemento in ragione del quale deve essere organizzato il rapporto fra soggetti privati (limite al diritto fondamentale) e il rapporto fra comunità e singolo (limite al dovere imposto).

8. La dignità come fondamento di nuovi diritti

Prima di osservare come la dignità possa influire sul riconoscimento di nuovi diritti sembra opportuno esaminare in che modo tali diritti possano entrare nel tessuto costituzionale45; la norma che garantisce i diritti fondamentali è l’articolo 2, e allora si tratta di vedere se tale norma sia una fattispecie aperta cioè consenta di dare tutela ad altri diritti e libertà che non sono espressamente previsti dalla Costituzione o chiusa cioè sia una norma riassuntiva dei diritti fondamentali tutelati in Costituzione.

Secondo i sostenitori della norma come fattispecie chiusa sostengono che i diritti fondamentali sono quelli riconosciuti esplicitamente dalla Costituzione, ossia quelli positivizzati, ma non dichiarano che la Costituzione sia immutabile perché è possibile inserire nuovi diritti o attraverso leggi di modifica costituzionale oppure attraverso l’interpretazione facendoli derivare da quelli già riconosciuti.

Posto che i diritti fondamentali sono riconosciuti per tutelare la persona in tutti i suoi aspetti, e quindi la sua dignità, e dato il carattere mutevole delle esigenze di tutela della persona nonché del concetto di dignità, sembra più appropriata la tesi

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della norma aperta secondo cui è possibile tutelare anche i diritti non esplicitamente menzionati in Costituzione; detto con altre parole46 “Come può un valore come quello della dignità umana (su cui si fonda il riconoscimento dei diritti fondamentali) ontologicamente caratterizzato da un contenuto dinamico e non cristallizzabile, rilevare solo per le specifiche disposizioni successive all’articolo 2?”

La prevalenza della tesi della norma aperta e la idoneità della dignità umana a fondare nuovi diritti si osserva anche esaminando l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale; la Corte, inizialmente a favore del carattere chiuso dell’articolo 2 cambia orientamento con la sentenza 561/1987: la Corte in questa sentenza riconosce il diritto alla libertà sessuale come derivato e necessario per la tutela della dignità umana affermando che “La violenza carnale costituisce invero, nell'ordinamento giuridico penale, la più grave violazione del fondamentale diritto alla libertà sessuale. Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana il diritto di disporne liberamente é senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost. impone di garantire.”

Come si vede qui la Corte inserisce la libertà sessuale, che non è garantita esplicitamente in Costituzione, nel catalogo dei diritti fondamentali partendo dal fatto che anche tale diritto tutela un aspetto rilevante della persona e quindi è elemento della sua dignità.

Un altro esempio di come la dignità fondi nuovi diritti si ritrova nella sentenza

Lawrence v. Texas della Corte suprema degli Stati Uniti47 il rispetto della vita privata e la tutela dell’intimità sessuale di una coppia omosessuale vengono ricondotte all’autonomia individuale e alla dignità umana. Inoltre in questo caso si osserva48 come la dignità umana venga preferita all’eguaglianza come argomento per dichiarare l’incostituzionalità della sodomy law che violava i diritti suddetti;

46 M. Di Ciommo, op. cit., pag. 132 47 Sent. 539 U.S. 558 (2003)

48 A. Sperti, Una riflessione sulle ragioni del recente successo della dignità nell’argomentazione giudiziale, Costituzionalismo.it, Fascicolo I, 2013, pag 16-17

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questo accade perché utilizzando il concetto di discriminazione per dichiarare incostituzionale la legge, gli Stati potevano aggirare l’incostituzionalità “dotandosi di sodomy laws neutrali” che prescindevano dall’orientamento sessuale e comunque avrebbero violato la libertà sessuale dei soggetti.

Dall’uso della dignità deriva quindi una tutela migliore, perché più difficilmente aggirabile, di quella derivante dall’eguaglianza che può essere superata da una legge neutrale che comunque viola un diritto espressione della dignità umana.

9. La dignità come diritto

Infine bisogna osservare se la dignità si possa configurare oltre che come principio supercostituzionale, fondamento dell’eguaglianza, fondamento e limite della libertà, fondamento dei diritti fondamentali e dei doveri nonché limite di entrambe e clausola generale anche come un diritto in se; in altre parole se esiste un diritto soggettivo alla dignità.

In questo caso la dignità dovrebbe consistere in una posizione giuridica dal contenuto pretensivo da cui deriverebbe una pretesa risarcitoria in caso di violazione: secondo Scaccia49 la dignità è qualificabile certamente come principio costituzionale supremo che si traduce in un obbligo per i poteri pubblici e privati di astenersi dal compiere atti lesivi del valore dell’uomo e sul versante positivo nella pretesa giuridica ad ottenere prestazioni pubbliche strumentali alla protezione e alla salvaguardia della dignità della persona, ma non è al contrario possibile qualificarlo come un diritto soggettivo da cui nasce una pretesa direttamente azionabile in via giurisdizionale; secondo l’autore quindi la dignità serve soprattutto come limite al potere dell’Amministrazione e come criterio ultimo di verifica della correttezza dell’operato amministrativo

49 G. Scaccia, La dignità umana e la giurisdizione amministrativa in Italia, intervento al convegno "La dignità dell'uomo e la giurisdizione amministrativa", Strasburgo, 27 novembre 2009

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A livello europeo si registra un orientamento altalenante sulla qualificazione del concetto di dignità è stato qualificato come diritto soggettivo o come principio generale dell’ordinamento comunitario dal quale derivano altri diritti.

A livello testuale si possono osservare le spiegazioni del Praesidium pongono in evidenza un’ambivalenza del concetto giuridico della dignità che si muove fra la connotazione di essa come diritto fondamentale e come principio50.

Per quanto riguarda la pronuncia della corte di Lussemburgo51 si osserva che il caso consisteva nella richiesta dello Stato del Lussemburgo, appoggiato dall’Italia e dalla Norvegia, di eliminare una direttiva comunitaria che imponeva agli Stati membri di rendere brevettabili, a determinate condizioni, le invenzioni che si prestino ad uno sfruttamento industriale e che permettano di produrre, trattare o utilizzare il materiale biologico; la principale argomentazione dei Paesi Bassi si basava sull'idea che la direttiva, permettendo la brevettabilità di elementi isolati dal corpo umano, sia lesiva del carattere inalienabile del materiale umano vivente, che è una componente del diritto fondamentale alla dignità umana e all'integrità della persona.

Nella sentenza Omega52 nella quale si chiede alla Corte di giudicare la compatibilità col diritto comunitario di un provvedimento adottato dal sindaco di Bonn che vietava, perché contraria all’ordine pubblico e alla dignità umana, l’attività di un laserodromo, il concetto di dignità viene qualificato come principio generale dell’ordinamento comunitario infatti si legge che: “Come illustrato dall’avvocato generale ai paragrafi 82-91 delle sue conclusioni, l’ordinamento giuridico comunitario è diretto innegabilmente ad assicurare il rispetto della dignità umana quale principio generale del diritto (dell’ordinamento comunitario)”.

Per quanto riguarda invece l’ordinamento italiano si rileva che nella sentenza 561/1987 della Corte costituzionale si qualifichi la dignità come diritto soggettivo: in questo caso nel 1944 una donna aveva subito violenza carnale da parte di tre soldati marocchini e gli era stato prima concesso un assegno di guerra rinnovabile

50 C. Piciocchi, op. cit. , pag 111

51 Corte di giustizia dell’Unione europea, causa C-377/98 9 ottobre 2001 52 Corte di giustizia dell’Unione europea, causa C-36/02, 14 ottobre 2004

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per infermità conseguita a tale violenza e poi respinta l'istanza di aggravamento sulla base del fatto che non era derivata infermità dalla violenza; le norme sul trattamento pensionistico di guerra stabilivano infatti che "la pensione, assegno o indennità di guerra" siano dovute solo a "coloro che, a causa della guerra, abbiano subìto menomazioni nell'integrità fisica" e anche che “con le norme emanate in materia di pensione di guerra si intende regolato qualsiasi diritto verso lo Stato di tutti coloro che, per causa di servizio di guerra o attinente alla guerra o per fatto di guerra, abbiano riportato ferite o contratto infermità..”; il diritto al trattamento pensionistico sembra quindi collegato ad una menomazione dell’integrità fisica che causi un’invalidità permanente, e il bene giuridico tutelato dalla norma appare solamente l’integrità fisica.

Si chiede alla Corte di decidere se, alla stregua delle disposizioni costituzionali invocate, la violenza carnale in quanto tale - a prescindere cioè dalle lesioni o infermità che ne siano eventualmente conseguite - debba o meno dare titolo al risarcimento dei danni non patrimoniali.

La questione viene dichiarata fondata; il diritto alla libertà sessuale viene riconosciuto come un diritto fondamentale assicurato dalla Costituzione e riconosciuto all’articolo 2, di conseguenza, in accordo con precedenti sentenze che davano tutela al danno non patrimoniale al diritto alla salute; tale danno viene considerato ulteriore rispetto al danno patrimoniale derivato dall’incapacità di produrre reddito e consiste invece in un danno diretto al diritto costituzionalmente protetto. Anche per il valore costituzionale della libertà sessuale viene riconosciuto il danno non patrimoniale.

La Corte però continua sostenendo che “la violenza carnale comporta invero, di per sé, la lesione di fondamentali valori di libertà e dignità della persona, e può inoltre dar luogo a pregiudizi alla vita di relazione”. Tali lesioni hanno

autonomo rilievo sia rispetto alle sofferenze ed ai perturbamenti psichici che la violenza carnale naturalmente comporta (danno non patrimoniale), sia rispetto

agli eventuali danni patrimoniali a questa conseguenti e la loro riparazione é doverosa, in quanto i suddetti valori sono, appunto, oggetto di diretta protezione costituzionale”; quindi non solo la libertà sessuale va tutelata nei suoi aspetti patrimoniali e tramite il riconoscimento del danno non patrimoniale ad essa

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