INTRODUZIONE 3
DEPURAZIONE DELLE ACQUE REFLUE 4
LE FASI DEL PROCESSO DEPURATIVO 4
I FANGHI 8
LE FASI DI TRATTAMENTO DEL FANGO DI DEPURAZIONE 9
NORMATIVE PER LO SMALTIMENTO DEI FANGHI 12
LA FITOSTABILIZZAZIONE 14
PHRAGMITES AUSTRALIS 16
CARATTERISTICHE GENERALI 16
CLASSIFICAZIONE: 17
RUOLO NELLA FITOMINERALIZZAZIONE 19
DESCRIZIONE DELL’INTERVENTO 21
SCHEMA DI LAVORO 23
AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE 24
MODALITA’ DI CAMPIONAMENTO 28 MATERIALI E METODI 29 MATERIALI 30 MISURE SPETTROFOTOMETRICHE 30 MISURE POTENZIOMETRICHE 30 MISURE CONDUTTOMETRICHE 31 MISURE SPETTROSCOPICHE 31 METODOLOGIE CHIMICHE 33 ESTRATTO ACQUOSO 34
ESTRATTO IN PIROFOSFATO ALCALINO 34
PARAMETRI CHIMICI 35
PH 35
CONDUCIBILITA’ ELETTRICA 35
AZOTO AMMONIACALE 35
AZOTO TOTALE 35
CARBONIO ORGANICO TOTALE 36
CARBONIO IDROSOLUBILE 36
CARBONIO ESTRAIBILE TOTALE 37
ACIDI FULVICI (AF) 37
ACIDI UMICI (AU) 38
FOSFORO TOTALE 38 METALLI PESANTI 39 PARAMETRI BIOCHIMICI 40 DEIDROGENASI 40 β-GLUCOSIDASI 41 FOSFATASI 42 UREASI 43 PROTEASI-BAA 43 NITRATO REDUTTASI 44 PARAMETRI BIOLOGICI 46 TEST DI FITOTOSSICITA’ 46 PARAMETRI CHIMICO-STRUTTURALI 47
ANALISI STATISTICA 49
RISULTATI E DISCUSSIONE 51
PH 52
CONDUCIBILITA’ ELETTRICA (CE) 54
PARAMETRI DELLA MINERALIZZAZIONE 56
AZOTO ORGANICO TOTALE 56
AZOTO AMMONIACALE 59
FOSFORO TOTALE 61
CARBONIO ORGANICO TOTALE 63
CARBONIO IDROSOLUBILE 65 ATTIVITA’ ENZIMATICHE 67 DEIDROGENASI 67 β−GLUCOSIDASI TOTALE 69 FOSFATASI TOTALE 71 UREASI TOTALE 73 PROTEASI-BAA TOTALE 75
PARAMETRI DELL’ UMIFICAZIONE 77
ACIDI FULVICI (AF) E ACIDI UMICI (AU) 77
PIROLISI 80
METALLI PESANTI DEI FANGHI 82
ATTIVITA’ DELLA PIANTA 84
NITRATO REDUTTASI 84
FITOASSORBIMENTO 86
FITOESTRAZIONE 89
TEST DI FITOTOSSICITA’ 98
VANTAGGI ECONOMICI DEL PROCESSO 100
ANALISI DELLE COMPONENTI PRINCIPALI 101
CONCLUSIONI 106
APPENDICE 108
DEPURAZIONE DELLE ACQUE REFLUE
LE FASI DEL PROCESSO DEPURATIVO
La depurazione delle acque è un argomento che ha assunto una certa rilevanza agli inizi degli anni settanta, quando la nostra società ha iniziato a prendere coscienza dei danni che l’inquinamento ambientale poteva causare alla salute dell’uomo. Fu così che, per contenere l’eccessivo sversamento di rifiuti urbani, agricoli e industriali all’interno dei corpi idrici recettori, furono realizzati i primi impianti di depurazione. A cui convogliano le acque reflue raccolte attraverso le reti fognarie. La depurazione delle acque reflue avviene attraverso specifiche fasi che sono finalizzate all’eliminazione di specifiche sostanze ad ogni passaggio.
Innanzitutto è necessario un trattamento preliminare che ha lo scopo di rimuovere sostanze oleose e/o parti grossolane. Queste ultime vengono eliminate mediante una serie di griglie, prima che inizi il vero e proprio ciclo di depurazione, per evitare danni all’impianto stesso. Il liquame a questo punto viene triturato e i residui organici di grosse dimensioni ridotti.
Successivamente viene effettuato un trattamento primario che consiste in un processo fisico oppure chimico per la sedimentazione dei solidi sospesi. A seguito di questo, il BOD51 deve essere ridotto di almeno il 20% prima dello scarico e i
solidi sospesi totali delle acque reflue in arrivo ridotti almeno del 50% (D.Lgs.n.152/06 e s.m.i.). Il trattamento primario a sua volta è suddivisibile in più fasi:
dissabbiatura in questa fase le polveri, le scorie, la sabbia e le ceneri vengono rimosse attraverso la sedimentazione in appositi condotti oppure sfruttando la
1Per BOD si intende il consumo di ossigeno microbiologico. Il BOD
5 è un parametro di
riferimento che viene utilizzato per definire qual’ è il grado di inquinamento derivante da materia biodegradabile. Equivale alla quantità di ossigeno consumata dai batteri decomposti di sostanze organiche contenuti in un campione di liquame incubato per cinque giorni alla temperatura di 20C°, viene espresso in mgO2/L.
forza centrifuga che viene creata all’ interno di vasconi circolari. La separazione avviene in base alla grandezza delle particelle in soluzione: quelle che possiedono un diametro superiore ai 0,2 mm sedimentano sul fondo, mentre quelle che possiedono diametro inferiore e le particelle di origine organica permangono in sospensione. Le sabbie sedimentate sul fondo vengono poi rimosse e smaltite in discarica.
Disoleatura: attraverso la decantazione dei liquami è possibile procedere all’ eliminazione di oli, grassi e saponi essendo sostanze più leggere dell’ acqua. Sedimentazione: questo procedimento consiste nella separazione dei solidi in sospensione (materia organica e inorganica), mediante l’ accumulo delle acque in una o più vasche di sedimentazione. Questo processo consente di rimuovere una quantità di BOD compresa tra il 20% e il 40% e una quantità di materiali solidi in sospensione compresa tra il 40% e il 60%. Contemporaneamente può essere effettuata la chiarificazione-floculazione delle acque; che consiste nella rimozione più o meno spinta di colloidi, cioè sostanze finemente disperse nell’ acqua che non sedimentano e con un grado di dispersione tale da provocare fenomeni di rifrazione della luce (effetto Tyndall). I colloidi presenti nell’ acqua sono particelle caricate elettricamente con lo stesso segno e poiché cariche uguali si respingono la loro agglomerazione e sedimentazione ne risulta ostacolata. L’aggiunta di ioni polivalenti con carica di segno opposto che ne favoriscono la coagulazione. In alternativa a questi prodotti chimici possono essere usati poli-elettroliti in grado di rendere più stabili quelle che sono le cariche superficiali delle particelle in questione cosi da favorirne la precipitazione.
Flottazione: processo per cui vengono portate in superficie le sostanze in sospensione che hanno un peso specifico quasi uguale a quello dell’ acqua. Viene insufflata aria all’ interno del liquame e le particelle inquinanti risalgono in superficie dove vengono rimosse da uno sfioratore.
Essiccamento: i materiali di scarto di questa prima fase della depurazione (fanghi) vengono omogeneizzati, ispessiti e disidratati.
A questo punto incomincia il trattamento secondario che mediante un processo che in genere comporta il trattamento biologico con sedimentazioni secondarie o
un altro processo mediante il quale siano rispettati i requisiti dell’ allegato 5 del D.Lgs.n. 152/06 e s.m.i. (D.L.gs.n.152/06e s.m.i.).
Questo tipo di trattamento è incentrato su processi di ossidazione operati da batteri che possono avvenire in condizioni di aerobiosi oppure di anaerobiosi. L’ idea di base è quella di riprodurre, in ambienti creati artificialmente, spontanei processi di autodepurazione. L’ azione concertata di popolazioni microbiche porta alla degradazione delle sostanze inquinanti presenti nelle acque.
Il passaggio fondamentale del trattamento secondario è la digestione.
I trattamenti successivi hanno lo scopo di accelerarne e migliorarne il processo. digestione per questa fase si utilizzano vasche chiuse, appunto i digestori per ciò che riguarda il processo anaerobico, oppure in vasche aperte per il processo aerobico. La sostanza organica presente nei liquami viene ridotta ad anidride carbonica, metano e fanghi biologici. Il materiale subisce in primo attacco da parte di specifici enzimi che lo preparano per essere fermentato da batteri che lo riducono in acidi organici semplici per poi essere trasformato in composti gassosi per azione di altri ceppi batterici. A questo punto i fanghi vengono inseriti nel digestore in cui rimangono in media venti giorni. Al termine del tempo di permanenza nelle vasche si ha un prodotto decomposto.
filtri percolatori o biofiltro o letto batterico all’ interno di questi filtri vengono riprodotte condizioni analoghe a quelle già esistenti in natura dove l’ acqua percola attraverso gli strati del suolo. Seguendo questa idea sono stati realizzati dei letti con struttura porosa costituiti da materiali grossolani, particolarmente utilizzati sono sassi e carbone Coke. Il liquame viene sversato sopra questi letti dove i batteri, contenuti nel film di sostanza organica, vanno ad agire sul materiale organico. Il percolato che viene filtrato dal letto confluisce in appositi pozzetti. L’ abbattimento del BOD5 con questo tipo di trattamento è dell’ 85%.
fanghi attivi per questo trattamento vengono utilizzate vasche di notevoli dimensioni in cui viene riversato il liquame e in cui è introdotto ossigeno mediante areatori meccanici. Vengono poi aggiunti dei fanghi attivati mediante batteri che vanno ad attaccare la sostanza organica. Si tratta di batteri degradatori riuniti in una sostanza di consistenza gelatinosa. Il risultato di questo processo è un abbattimento del BOD5 tra il 60% e l’ 80%.
vasche di stabilizzazione queste vasche prevedono che la decomposizione avvenga sia in anaerobiosi, negli strati più profondi della vasca dove viene decomposto il fango, sia in aerobiosi nelle zone più superficiali dove avviene la decomposizione della sostanza organica. Qui l’eliminazione del BOD5 oscilla tra
il 75% e l’ 85%.
Può ora avvenire il trattamento terziario (tale trattamento non avviene in tutti gli impianti) è realizzato sull’effluente in uscita dalla sedimentazione secondaria, permette di ottenere un ulteriore affinamento del grado di depurazione. Consiste in una filtrazione, per eliminare quelle particelle sospese sfuggite alla fase di sedimentazione, ed in una disinfezione chimica per abbattere i microrganismi patogeni presenti per inviare il chiarificato al corpo idrico recettore. Questo trattamento può essere diversificato in base alla composizione del corpo idrico recettore. e comprende anche i processi di abbattimento di nutrienti come azoto e fosforo, che vengono rimossi rispettivamente con processi di denitrificazione e precipitazione. Oltre all’immissione in corpi idrici, sia superficiali che sotterranei, è possibile riutilizzare queste acque a scopi irrigui
Al termine del trattamento di depurazione a cui sono state sottoposte le acque reflue si ottengono due prodotti:
le acque i fanghi.
I FANGHI
I fanghi, trattati e non trattati, provenienti dagli impianti di depurazione delle acque reflue urbane ( D.Lgs.n.152/06 e s.m.i.) hanno caratteristiche differenti in base al processo da cui prendono origine:
fanghi provenienti da trattamenti primari con colore grigiastro e molto viscosi. fanghi provenienti da trattamenti secondari distinguibili in:
fanghi derivanti da filtri percolatori: con colore bruno e aspetto granuloso o fioccoso.
fanghi attivi: con colore bruno e aspetto granuloso o fioccoso.
fanghi prodotti con precipitazione chimica: con aspetto variabile in base al reagente usato.
All’ interno del fango i solidi sospesi sono sia volatili (sostanze organiche) che non volatili (sostanze minerali) e la loro somma all’interno del fango è assimilabile alla concentrazione di materie secche (espressa in g/l o %).
Il peso specifico relativo medio di solidi sospesi presenti nel fango è variabile a seconda delle frazioni fisse e volatili.
All’ interno del fango è contenuta dell’ acqua che può essere classificata in base alla sua localizzazione,
acqua particellare che fa parte della struttura stessa delle particelle del fango. acqua interparticellare che è trattenuta fisicamente dalle particelle del fango. acqua interstiziale legata alle singole particelle del fango da forze di attrazione elettrica e molecolare.
LE FASI DI TRATTAMENTO DEL FANGO DI DEPURAZIONE
Le fasi del trattamento di depurazione dei fanghi sono riassumibili in 6 punti: • concentrazione: processo per cui il tenore d’acqua del fango viene ridotto
rispetto alla quantità presente al momento della produzione. Il macchinario utilizzato per questa fase è l’ispessitore, e funziona mediante il semplice sfruttamento della gravità, che in vasche di sedimentazione consente l’ addensamento delle particelle solide. Questa fase è abbastanza lunga e richiede che il fango immesso nelle vasche sia sufficientemente stabilizzato. In questo modo è possibile ridurre sia il volume e il peso del fango che la quantità di batteri e parassiti provenienti dai precedenti trattamenti.
• stabilizzazione: può essere ottenuta seguendo 2 vie:
o via biologica: quando si segue la via biologica si parla di digestione del fango. Ciò che viene realizzato all’interno degli impianti di depurazione è una digestione incompleta che porta alla produzione di un fango privo di organismi patogeni che può essere manipolato dagli addetti all’ impianto. Attraverso la stabilizzazione biologica è inoltre possibile ottenere, la riduzione dei solidi sospesi; infatti il grado di stabilizzazione del fango è tanto più spinto quanto maggiore è la riduzione operata sulla quantità dei solidi sospesi nel fango. Possiamo fare un’ ulteriore distinzione:digestione di tipo aerobico con l’ utilizzo di batteri e microrganismi che utilizzano l’ ossigeno disciolto nel fangodigestione di tipo anaerobico con l’ utilizzo di batteri e microrganismi che non hanno bisogno di ossigeno disciolto perché traggono ossigeno direttamente dal materiale organico presente nel fango.
o via chimica: la stabilizzazione di tipo chimico viene effettuata attraverso l’utilizzo di prodotti chimici che permettono di creare un ambiente non idoneo allo sviluppo di batteri e microrganismi e che
consente, reazioni ossidanti, per la degradazione delle sostanze organiche.
• Condizionamento: può essere:
o condizionamento chimico effettuato allo scopo di facilitare l’ eliminazione dell’acqua legata alle particelle solide del fango. I reaganti chimici maggiormente utilizzati sono i sali minerali a cationi polivalenti e i polielettroliti organici.
o pastorizzazione che consente di eliminare completamente organismi patogeni e inattivare i semi delle piante presenti nel fango.
• disidratazione ed essiccamento: porta alla produzione di fango disidratato e acqua con una concentrazione più o meno alta di sostanze inquinanti; tale processo può avvenire attraverso:
o letti di essiccamento: si tratta del più semplice sistema di essiccamento del fango e anche del più naturale. Attualmente, viene impiegato in impianti di piccola e madia portata perché sono richiesti degli spazi sufficienti nell’ area circostante all impianto stesso. In linea generale, i letti di essiccamento sono strutturati nel seguente modo:
un fondo di ghiaia al di sopra delle tubature di drenaggio con pezzatura di 3 grandezze; partendo dal basso troviamo del ghiaione nella parte bassa, ghiaia in quella centrale e ghiaietto nella zona più alta.
tubazioni di drenaggio oppure canali di raccolta pareti impermeabilizzate
fondo sagomato verso le tubazioni di drenaggio
l’ ingresso del fango avviene attrverso una tubazione posta al di sopra della superficie della sabbia. Sotto il punto di caduta del fango si trovano delle lastre di cemento al fine di evitare il dilavamento della sabbia e della ghiaia.
il fango viene disidratato con un meccanismo di drenaggio in cui l’acqua viene filtrata dal letto e raccolta nelle tubature sottostanti, accoppiato ad un’evaporazione spontanea dell’acqua stessa. Il fango che viene avviato a questo processo deve essere ottimamente stabilizzato per evitare effetti sgradevoli come odori e rischi igienici.
• Centrifugazione:questa tecnica prevede che il fango venga inserito in un macchinario che gli imprime una notevole accelerazione centrifuga portando alla separazione dall’acqua.
o presse a nastro: qui il fango viene fatto passare attraverso due nastri di cui quello inferiore è quello filtrante e consente di allontanare l’acqua.
o filtri-pressa: tecnica che utilizza piastre verticali saldamente pressate le une contro le altre, in cui il fango viene pressato finche l’acqua in esso contenuta non viene eliminata.
• Incenerimento e compostaggio:due trattamenti alternativi:
o incenerimento: sistema attraverso cui è possibile, tramie una combustione, eliminare sia l’ acqua che i batteri patogeni. È particolarmente adatto al fango fresco che non ha subito stabilizzazione.
o compostaggio: consistente in un trattamento di carattere biologico aerobico e termofilo, temperature tra 60°C e 65°C, attraverso cui è possibile ottenere una decomposizione della sostanza organica. • Smaltimento finale: lo smaltimento del fango può seguire 2 strade:
o discarica controllata in cui il fango, mescolato a rifiuti solidi urbani e/o industriali, viene smaltito in discarica; viene disposto su un terreno e ricoperto con uno strato di terra al fine di isolarlo dall’atmosfera.
o smaltimento su terreno a questo scopo possono essere utilizzati sia fanghi liquidi che consentono un immediato utilizzo delle sostanze nutritive da parte del terreno che fanghi disidratati
NORMATIVE PER LO SMALTIMENTO DEI FANGHI
Lo smaltimento dei fanghi derivanti da processi di depurazione dei reflui urbani, è un problema che già da qualche tempo ha assunto rilievo sia a livello europeo che nazionale.
L’attuazione dela Direttiva 91/271/CEE della comunità Europea, riguardante il trattamento delle acque reflue urbane, ha portato ad un aumento dei fanghi prodotti dai processi depurativi; infatti, si passa da 5,5 milioni di tonnellate di sostanza secca per il 1995 a 8,5 milioni di tonnellate per il 2005.
Per quanto riguarda l’Italia, la direttiva Europea è stata recepita dal D.Lgs. 152/99 e attualmente dal D.Lgs. 152/06.
In generale le modalità più frequenti di smaltimento e/o utilizzo dei fanghi sono. incenerimento in discarica singolarmente o co-incenerimento con rifiuti
smaltimento nelle discariche
riutilizzo in agricoltura tal quali o preventivamente compostati utilizzo nella produzione di laterizi, asfalti e calcestruzzi
Nel nostro paese i fanghi di depurazione sono solitamente considerati un rifiuto da smaltire in discarica. Il numero crescente di impianti di depurazione e le crescenti restrizioni applicate allo smaltimento in discarica dalle normative vigenti spingono a ricercare valide alternative per il loro smaltimento.
L’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura è regolato, a livello comunitario, dalla Direttiva 86/278/CEE e interessa il 40% dei fanghi totali prodotti
I dati riguardanti l’utilizzo dei fanghi in agricoltura, a livello nazionale, sono acquisiti dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e vengono trasmessi alla Commissione Europea, secondo gli obblighi derivanti dall’attuazione della Direttiva 86/278/CEE. Dal quadro normativo è chiaro che, da un lato, l'utilizzazione in agricoltura è subordinata al rispetto dei limiti di concentrazione sui metalli pesanti.
A livello nazionale, l’utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura è regolamentato dal D.Lgs.n.99 del 27 gennaio 1992 che recepisce la Direttiva comunitaria 86/278/CEE
Il decreto in particolare fissa:
• i valori limite di concentrazione per alcuni metalli pesanti che devono essere rispettati nei fanghi;
• le caratteristiche agronomiche e microbiologiche dei fanghi (i limiti inferiori di concentrazione di carbonio organico, fosforo e azoto totale, i valori massimi di salmonella);
• le quantità massime dei fanghi che possono essere applicati sui terreni. A livello regionale sono state emanate ulteriori norme che disciplinano sulla materia.
Come già detto precedentemente, il fango derivante dalla depurazione dei reflui civili utilizzato in agricoltura può, oltre ad essere sparso tal quale, essere compostato.
Per ciò che riguarda la preparazione del compost, si fa riferimento alle seguenti tabelle:
• Allegato 1 C. legge 748/84 (come modificati dal decreto del 27 Marzo 1998 e decreto 3 Novembre 2004) Ammendante Compostato Misto. Viene definito Ammendante Compostato Misto il prodotto ottenuto attraverso un processo di trasformazione e stabilizzazione controllato di rifiut organici che possono essere costituiti dalla frazione organica degli RSU proveniente da raccolta differenziata dei rifiuti di origine animale compresi liquami zootecnici, dai rifiuti di attività agroindustriale e da lavorazione del legno e del tessile naturale non trattati, dai reflui e fanghi, nonché dalle matrici previste per l’ Ammendante Compostato Verde
• Allegato 1 C. legge 748/84 (come modificati dal decreto del 27 Marzo 1998 e decreto 3 Novembre 2004) Ammendante Torboso Compostato. Viene definito Ammendante Torboso Compostato il prodotto ottenuto per miscela di torba con Ammendante Compostato Verde e/o Misto.
LA FITOSTABILIZZAZIONE
Un’alternativa per il trattamento dei fanghi può essere rappresenta dalla fitostabilizzazione. Questo processo consiste nella disidratazione e nella digestione dei fanghi biologici in vasche o bacini aperti impermeabilizzati dotati di sistema di raccolta del percolato e muniti di un substrato granulare inerte nel quale vengono impiantati i rizomi delle macrofite radicate emergenti. I fanghi, provenienti direttamente dalla vasca biologica e quindi ancora molto liquidi, sono sparsi a strati, nella maniera più uniforme possibile, sulla superficie dei letti in modo da permettere la percolazione delle acque e l’ispessimento dei fanghi. Le acque di percolazione si riciclano all’impianto di depurazione. Le macrofite radicate, oltre a partecipare attivamente alla disidratazione dei fanghi, stabiliscono le condizioni favorevoli allo svolgimento di un complesso di processi che hanno come risultato la progressiva mineralizzazione della frazione organica ad opera dei batteri adesi alla fitta struttura radicale (rizosfera) e l’igienizzazione della materia secca.
La disidratazione dei fanghi utilizzando piante acquatiche è stata sperimentata inizialmente in Germania alla fine degli anni ‘60. Esistono attualmente un centinaio di impianti in tutto il mondo di cui una cinquantina in Europa. In tutti gli impianti è stata utilizzata la cannuccia di palude (Phragmites). L’interesse per tali impianti si è risvegliato grazie ai risultati pubblicati da Nielsen in Danimarca (1990,1993,1994), Liènard ed Esser in Francia (1990,1995), De Maesseener in Belgio (1993) e da Kim negli Stati Uniti (1994-1997) che hanno fornito risposte positive in termini di inserimento paesaggistico-ambientale, di efficienza depurativa, di capacità di sopportare variazioni quali-quantitative dei reflui, di economicità di realizzazione e di manutenzione. E’interessante, dal punto di vista gestionale, lo studio americano che mostra i vantaggi dei letti di fitostabilizzazione rispetto ad altre tecniche finora usate quali la disidratazione meccanica, i letti con base di sabbia, i wedge-waterbeds e lo spandimento diretto in agricoltura (Kim et al., 1997).
Sulla base dei dati raccolti, quindi, abbiamo cercato di adattare le esperienze europee e d’oltreoceano alla realtà di piccoli comuni italiani.
Per la prima volta nel nostro Paese è stato realizzato un impianto per il trattamento e la disidratazione dei fanghi a “impatto zero”, dove tutti i processi che avvengono sono governati dall’energia solare, dalla forza gravitazionale e dalla capacità vegetativa e mineralizzatrice delle piante.
PHRAGMITES AUSTRALIS
CARATTERISTICHE GENERALI
La pianta utilizzata per il trattamento è la Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steudel.
Si tratta di una pianta erbacea perenne che sviluppa in paludi, aree umide, sulle sponde di laghi, fossi e su terreni incolti bagnati. Contribuisce all’interramento dei laghi, al prosciugamento delle paludi ed è inoltre spesso utilizzata per consolidare suoli soggetti a erosione.
Una caratteristica di questa pianta è la capacità di poter vivere sia con l’apparato radicale e parte del fusto sommersi sia in ambiente non sommerso.
Per quanto riguarda il tipo di terreno in cui cresce si può dire che preferisce terreni argillosi minerali consolidati nei quali il livello d’acqua può variare di ± 15 cm. Il livello di salinità tollerato dalla pianta è abbastanza basso (ambiente d’acqua dolce oppure salmastra).
Andando ad analizzare la struttura della pianta notiamo che possiede robusti rizomi striscianti e spesso sono presenti anche stoloni. Tali radici, molto profonde e robuste, sono in grado di garantire un costante apporto d’ossigeno ai microrganismi presenti nel terreno.
Possiede ampie foglie lanceolate e laminari di colore verde o glauche con guaine sovrapposte, che prendono origine ognuna da un nodo. La loro lunghezza può variare tra i 15 e i 60 cm, mentre la larghezza oscilla tra 1 e 6 cm. I fiori sono riuniti in un’infiorescenza a pannocchia che può assumere colore bruno o violaceo e raggiungere una lunghezza di 40 cm. I rami sono lunghi e nel periodo della fioritura, che si estende da Luglio fino a Settembre, densamente fioriti.
Anche se i luoghi d’origine della pianta sono Europa, Asia e Africa essa è attualmente diffusa in tutto il mondo ad eccezione dell’Antartide.
CLASSIFICAZIONE:
REGNO Plantae
SOTTOREGNO Tracheobionta (piante vascolari) SUPERDIVISIONE Spermatophyta (pianta a seme) DIVISIONE Mgnoliophyta (pianta a fiore)
CLASSE Liliopsida (monocotiledone)
ORDINE Cyperales
FAMIGLIA Poaceae
GENERE Phragmites
SPECIE Australis
CLASSIFICAZIONE (Cav.) Trin. ex Steud.
RUOLO NELLA FITOMINERALIZZAZIONE
Le radici della pianta all’ interno delle vasche sono esposte a condizioni estreme, si trovano in permanente anaerobiosi e incontrano una vasta gamma di tossine organiche e inorganiche.
La Phragmites australis, è in grado di assicurare una distribuzione uniforme del suo apparato radicale nel substrato mediante la formazione di un denso intreccio di radici sia primarie che secondarie, inoltre, possiede come tutte le piante acquatiche, un parenchima aerifero molto sviluppato in grado di fornire ossigeno alla rizosfera, soprattutto durante il periodo vegetativo (Rodewald-Rudescu, 1974). Questo apporto di ossigeno impedisce la formazione di sostanze tossiche che potrebbero formarsi in condizioni anaerobiche (Armstrong, et al.,1988), e promuove una serie di processi degradativi di tipo aerobico.((Hardey, Ozimek, 2001). Inoltre, la Phragmites australis non solo funziona come pompa di ossigeno ma è anche in grado di eliminare elementi estranei, come microrganismi patogeni, grazie alla creazione di un microecosistema intorno ai suoi fusti (Brix, 1994 e Vretare, 2000).
La quantità di ossigeno che viene trasferita alle radicic da parte della macrofita varia da 0,02 g/giorno/m2 a 45 g/giorno/m2 (Reed e Brown, 1992) a seconda della densità delle piante, della richiesta di ossigeno da parte del substrato e dalle caratteristiche delle radici. Le radici possono penetrare fino a 0.7 m ed essendo sommerse risentono poco dei cambiamenti climatici.
Il trasferimento di ossigeno all’ interno della pianta avviene per diffusione passiva secondo il gradiente di concentrazione del gas negli spazi interni della pianta, flusso convettivo guidato da gradiente di pressione che si viene a creare dai diversi processi fisici in atto (differenze di temperatura e di tensione di vapore dell’ acqua attraverso i setti porosi dei tessuti della pianta).
Questa pianta è anche in grado di immobilizzare, al suo interno varie sostanze tossiche, tra cui i metalli pesanti, impedendone la dispersione nell’ambiente; quest’azione fitoestrattiva e svolta grazie alla presenza di particolari sostanze endogene chiamate fitochelatine (Chaney R.L. et al., 1997).
La biomassa vegetale, contenuta all’interno delle vasche è, inoltre, fonte di composti fenolici aromatici e lignina che svolgono un ruolo chiave nella formazione di acidi umici, in quanto costituiscono lo scheletro delle molecole umiche (Duchaufour, 1988).
Un’altra caratteristica importante della Phragmites australis è la capacità di aspirare una notevole quantità d’ acqua. La rete di rizomi, che si sviluppa all’interno delle vasche, può raggiungere una capacità di suzione di circa 16 atm. I letti di fitodisidratazione possono raggiungere e superare le 20 atm di pressione osmotica raddoppiando la capacità di un letto di essiccamento privo di piante (Rodewald-Rudescu, 1974).
Le radici e i rizomi, inoltre, favoriscono la disidratabilità del fango, sia mediante secrezioni che provocano la flocculazione dei colloidi organici con una conseguente polimerizzazione (Kichuth, 1969) sia per azione meccanica, impedendo la formazione di croste superficiali.
DESCRIZIONE DELL’INTERVENTO
Il progetto, in cui si inserisce il presente lavoro di tesi, nasce da una collaborazione tra ACQUE s.p.a. eISE-CNR di Pisa.
Tale progetto ha lo scopo di:
ottenere una notevole diminuzione del volume dei fanghi attraverso i processi di : percolazione: processo che inizia al momento stesso dello sversamento dei fanghi nei letti di essiccamento in forma semiliquida e consente la perdita dei liquidi; evapotraspirazione: processo legato allo sviluppo vegetativo delle piante che favorisce la disidratazione;
ottenere un materiale stabilizzato adatto alla preparazione di compost attraverso un processo di mineralizzazione-umificazione. Tale processo consiste nella trasformazione della sostanza organica in composti minerali, ed è dipendente dall’attività dei microrganismi presenti al livello della rizosfera che trovano le condizioni adatte alla proliferazione grazie alla presenza di nutrienti (essudati radicali, nitrato e fosfato)
Inoltre, grazie alla presenza delle piante, che sono in grado di attivare processi di degradazione della sostanza organica labile, è possibile ridurre gli odori provenienti dagli impianti.
Oltre ai vantaggi ecologici non sono trascurabili quelli economici. Infatti, tale sistema, comporta minori spese di realizzazione e gestione rispetto alla tradizionale linea fanghi e, sempre a causa dei bassi costi, è possibile applicarlo ad impianti di piccole dimensioni, per i quali, solitamente, si ricorre a trattamenti ex situ che contribuiscono all’aumento di costi di gestione. Questo progetto permette di ridurre in maniera considerevole i volumi e il trasporto fuori dall’impianto. All’interno degli impianti di depurazione è stato compiuto un lavoro di riadattamento delle vasche di supero già preesistenti.
Le vasche sono state opportunamente impermeabilizzate e ricoperte da un substrato granulare inerte (ghiaia) che costituisce il mezzo drenante.
È stato previsto, inoltre, un sistema di raccolta delle acque di percolazione attraverso delle tubature forate, che vengono reimmesse in testa all’impianto.
Sopra questa base di ghiaia sono stati impiantati i rizomi di Phragmites australis (Cav.) Trin. ex Steudel.
I fanghi sversati, che provengono direttamente dalla vasca biologica e quindi sono ancora molto liquidi (98% di acqua), vengono distribuiti in maniera uniforme sulla superficie dei letti in modo tale da favorire la percolazione dell’ acqua e l’ispessimento del fango.
SCHEMA DI LAVORO
Il presente lavoro di tesi è stato impostato con l’intento di perseguire i seguenti obiettivi:
• Verificare la fattibilità del processo di fitomineralizzazione dei fanghi biologici.
• Valutare l’efficacia del processo di stabilizzazione mediante parametri chimico-fisici e biologici.
• Stabilire l’azione delle piante nel processo di maturazione dei fanghi che si esplica mediante l’evapotraspirazione e l’attività della rizosfera.
• Considerare gli aspetti ecologici ed economici del processo.
Gli impianti di depurazione utilizzati per questa sperimentazione sono localizzati nella provincia di Pisa (Oratoio e La Fontina) e rappresentano realtà medio-grandi (10.000-30.000 ae).
Le analisi sono state svolte presso i laboratori di ricerca dell’ Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (ISE) del CNR-area di ricerca di Pisa.
CARATTERISTICHE DEGLI IMPIANTIi:
Le caratteristiche dei due impianti sono le seguenti: La Fontina (30.000 ae):
numero dei letti di essiccamento: 12 dimensioni di ciascun letto: 20 x 6 m
I letti convertiti per la fitomineralizzazione sono 11. Una vasca è stata lasciata vuota per eventuali situazioni di emergenza dell’impianto
Oratoio (10.000 ae):
numero dei letti di essiccamento: 5 dimensioni di ciascun letto: 15 x 5 m
In fase preliminare, in entrambi gli impianti, è stato eseguito lo svuotamento dei letti dagli inerti e dal fango essiccato. Successivamente è stata eseguita la posa dei nuovi inerti (ghiaia), con pezzatura di due grandezze, secondo la seguente modalità:
ghiaia 40/70 mm per uno spessore di 25 cm ghiaietto 0.5 mm per uno spessore di 15 cm
AVVIO DELLA SPERIMENTAZIONE
I rizomi di Phragmites australis sono stati piantumati nei letti di essiccamento, situati all’ interno degli impianti, il 4 Agosto 2005 per La Fontina e il 5 Agosto 2005 per l’impianto di Oratoio. Il numero di rizomi impiantati è stato di 6 piante/mq.
Nel periodo successivo alla piantumazione, al fine di favorire l’adattamento delle piante i rizomi sono stati innaffiati con acqua di depurazione, ricca in elementi nutritivi, nel periodo compreso tra il 12 Agosto 2005 e il 22 Agosto 2005.
Successivamente alla fase di adattamento, sono stati sversati i fanghi La quantità di fango sversato nelle vasche è di:
3.063 m3 per l’impianto de La Fontina. 1.186 m3 per l’impianto di Oratoio.
Non devono essere creati degli strati troppo spessi in modo da non accumulare una quantità eccessiva di liquido sul fondo drenante, con una conseguente anaerobiosi spinta. I cicli di carico tengono conto delle condizioni climatiche, per cui, nel periodo primaverile-estivo, il fango viene sversato ogni 7-10 giorni, mentre nel periodo invernale ogni 15-20 giorni.
Figura 2. Fasi di allestimento delle vasche di fitostabilizzazione.
Figura 4. Prime fasi dello sversamento dei fanghi.
MODALITA’ DI CAMPIONAMENTO
I campionamenti sono stati eseguiti nei seguenti periodi: Settembre 2005
Dicembre 2005 Marzo 2006 Luglio 2006 Ottobre 2006 Inoltre, nei mesi di: Giugno 2006 Agosto 2006 Ottobre 2006
sono stare prelevate le piante su cui è stata eseguita la nitrato reduttasi. Inoltre, sulle piante prelevate in Ottobre sono stati analizzati i metalli pesanti.
I campioni sono stati prelevati da tutte le vasche di entrambi gli impianti nel seguente modo: in due punti all’ inizio della vasca ed in fondo alla vasca. In ogni vasca, l’ aliquota di fango è stata prelevata appena sopra lo strato di ghiaia, è stata omogeneizzata ed infine trasferita in un contenitore di plastica e portata in laboratorio.
Per ogni campione di fango raccolto è stata prelevata una parte che è stata messa a seccare in stufa a 105 °C, su cui sono state eseguite le analisi chimiche, il resto del campione è stato messo a seccare all’ aria in contenitori di plastica, su questo sono state eseguite le analisi biochimiche.
MATERIALI
I materiali utilizzati per questa sperimentazione sono stati: • fango presente nei letti di fitostabilizzazione.
• piante della specie Phragmites australis prelevate dalle vasche di fitostabilizzazione.
• piante della specie Phragmites australis cresciute interreno agrario non contaminato
I campioni di fango, prelevati stagionalmente in contenitori di plastica da un litro, sono stati portati in laboratorio, messi a seccare all’aria e in stufa. A causa dell’alto contenuto d’acqua (90% circa), il processo di essiccamento è durato circa 30 giorni e una volta terminato, i fanghi sono stati frantumarli e setacciati.
MISURE SPETTROFOTOMETRICHE
Per le misure spettrofotometriche UV-Vis è stato impiegato uno spettrofotometro monoraggio mod. lambda 11 (Perkin Elmer, Germania) equipaggiato con una lampada a deuterio del voltaggio di 230 V. Tutte le letture sono state eseguite nel campo del visibile impiegando celle in PMMA e celle di quarzo.
MISURE POTENZIOMETRICHE
Elettrodo a vetro: le misure di pH sono state eseguite tramite un Titroproprocessor 672 della Methron (Switzerland), con scala di 0,01 unità, dotato di un elettrodo a vetro combinato Methron AG CH-9100 Herisau. Prima delle misure l’apparecchio è stato tarato con due soluzioni tampone rispettivamente a pH 4 e 7.
Elettrodo ion-selettivo per l’ammoniaca: le letture della concentrazione dello ione ammonio sono state effettuate mediante l’elettrodo selettivo per NH3, Orion
mod.9512, collegato ad un potenziometro (microprocessor ionalyzer-901 ORION RES., Cambridge, Mass., USA). L'elettrodo selettivo permette di misurare, in maniera semplice ed accurata, la concentrazione dello ione ammonio disciolto in una soluzione acquosa. Si tratta di un elettrodo combinato, costituito da un elettrodo di riferimento e uno di misura. L’elettrodo è caratterizzato dalla presenza, sulla sua estremità inferiore, di una membrana idrofobica, permeabile all’NH3 gassosa. L'aggiunta alla soluzione campione di pochi ml di NaOH 10 M (quanto basta per portare il pH a valori alcalini), consente la liberazione di NH3 allo stato di gas che, diffondendo attraverso la membrana, nella soluzione di NH4Cl presente all’interno dell’elettrodo, determina una variazione di forza
elettromotrice registrata dal potenziometro. La concentrazione dell’azoto ammoniacale è stimata comparando la forza elettromotrice della soluzione in esame con quella di soluzioni standard a concentrazione nota nel range 1-10 µg/ml.
MISURE CONDUTTOMETRICHE
Per le analisi conduttometriche è stato utilizzato un conducimetro da campo modello Conmet 2 (Hanna Instruments Italia).
MISURE SPETTROSCOPICHE
Le misure spettroscopiche sono state determinate mediante uno spettrofotometro ad assorbimento atomico utilizzato è il Perkin-Elmer Modello 3030 dotato di: -Sistema di correzione del fondo mediante effetto Zeeman.
-Fornace di atomizzazione con riscaldamento tipo THGA. -Sistema di alimentazione per lampade codificate HCL. -Software di gestione
Questa tecnica consente di determinare, per confronto con curve di taratura, la concentrazione dei metalli presenti in una soluzione. Lo strumento effettua il prelievo di un volume noto di liquido e lo dispensa nella cella di misura costituita da un tubo di grafite dove un successivo ciclo termico consente di far evaporare gli elementi presenti. L'analisi dell'energia assorbita nelle opportune lunghezze d'onda consente di determinarne la concentrazione.
METODOLOGIE CHIMICHE
Durante questo lavoro di tesi sono stati valutati parametri chimici, biologici e biochimici.
Le analisi effettuate nei 5 campionamenti: Chimiche: o pH o Conducibilità elettrica. o Umidità o Ammoniaca o Azoto totale o Fosforo totale o Carbonio totale o Carbonio idrosolubile o Carbonio estraibile totale Biochimiche: o Deidrogenasi o β-glucosidasi totale o Fosfatasi totale o Ureasi totale o Proteasi totale
Le analisi effettuate nel primo, terzo e quinto campionamento: Chimiche:
o Sostanza umica totale o Acidi umici
o Acidi fulvici Biologiche:
o Test di fito-tossicità
Chimico-strutturali:
Durante i mesi Giugno, Agosto e Ottobre è stata eseguita la nitrato reduttasi, inoltre, nell’ultimo campionamento, l’analisi sui metalli pesanti nella Phragmites
australis.
Le analisi sono state eseguite sul fango tal quale, sugli estratti acquosi e sugli estratti in pirofosfato alcalino.
ESTRATTO ACQUOSO
In tubi di plastica da centrifuga sono stati posti materiale organico e acqua bidistillata in rapporto 1:10 peso/volume. I tubi sono stati messi ad agitare in bagno termostatico (tipo Doubnoff) a 37°C o a 60°C per 1 ora. Gli estratti sono stati quindi centrifugati a 9000 rpm per 15 minuti e il supernatante filtrato su membrana batteriologica della porosità di 0,45 µm. Gli estratti a 37°C, sono stati utilizzati per eseguire le analisi di pH, conducibilità elettrica, ammoniaca, fitotest, mentre sull’estratto a 60°C è stato misurato il carbonio idrosolubile
ESTRATTO IN PIROFOSFATO ALCALINO
In tubi di plastica da centrifuga sono stati posti il materiale organico e la soluzione di pirofosfato di sodio alcalino 0,1M (Na-PPi/H3PO4), pH 11, in rapporto 1:10
peso/volume. I tubi sono stati agitati in bagno termostatico a 60°C per 4 ore. Gli estratti sono stati quindi centrifugati a 9000 rpm per 15 minuti e il supernatante filtrato su membrana batteriologica 0,45 µm.
PARAMETRI CHIMICI
pH:
Il pH è stato misurato sugli estratti acquosi dei campioni.
CONDUCIBILITA’ ELETTRICA:
La conducibilità elettrica è stata determinata sugli estratti acquosi dei campioni. I valori sono espressi come µS/cm.
AZOTO AMMONIACALE:
L’ammoniaca è stata determinata sugli estratti acquosi mediante l’elettrodo ion-selettivo. La lettura è stata eseguita su 10 ml di estratto acquoso, ai quali sono stati aggiunti 0,1ml di NaOH (10 M) per liberare l’NH3 gassosa; la soluzione è stata
mantenuta costantemente in agitazione tramite un agitatore magnetico
AZOTO TOTALE:
La determinazione dell’azoto totale è stata effettuata su 60-80 mg di campione setacciato molto fine, attraverso l’utilizzo di un analizzatore elementare FP-528 PROTEIN/NITROGEN DETRMINATOR. Il metodo è fondato sulla completa ed istantanea ossidazione del campione per “flash combustion” (900°C) con conseguente conversione di tutte le sostanze organiche ed inorganiche in prodotti gassosi.
Tutte le forme di azoto vengono convertite (atmosfera ossidativa) in ossidi di azoto (NOx), raccolte e ridotte ad azoto molecolare (N2). Tra i prodotti della
combustione sono presenti anche CO2 e H2O che sono stati eliminati grazie alla
presenza di due trappole che ne consentivano la cattura.
CARBONIO ORGANICO TOTALE:
La determinazione del carbonio totale (frazione organica e frazione inorganica) è stata effettuata su 50-100 mg di materiale organico setacciato molto fine, attraverso l’utilizzo di un analizzatore elementare, RC-412 MULTIPHASE CARBON. Il metodo è fondato sulla completa ed istantanea ossidazione del campione per “flash combustion” con conseguente conversione di tutte le sostanze organiche ed inorganiche in prodotti gassosi. In atmosfera ossidativa, tutte le forme di carbonio (ad eccezione di qualche carburo simile a SiC) sono state convertite in CO2 e H2O.
Il campione è stato introdotto all’interno di una fornace impostata per passare da una temperatura di 300°C a 950°C. Con l’aumentare della temperatura si ha la combustione delle diverse forme del carbonio; per la parte organica il range di temperatura di ossidazione-volatilizzazione è compreso fra i 300°C e i 600°C, mentre per la frazione inorganica tra i 650°C e i 950°C. La CO2 prodotta è stata
trasportata tramite un flusso di ossigeno fino ad una cella IR, dove attraverso un sistema a spettrometria infrarossa lo strumento era in grado di determinare l’identità e la quantità delle molecole residenti all’interno della cella. Il quantitativo di carbonio è stato espresso in percentuale.
L’apparecchio è stato calibrato con EDTA con concentrazioni di carbonio pari a 40,9%.
CARBONIO IDROSOLUBILE:
Il carbonio idrosolubile è stato determinato sugli estratti acquosi, opportunamente diluiti.
Le prove sono state riscaldate a 150°C per 2 ore. Una volta raffreddate si sono effettuate le letture spettrofotometriche alla lunghezza d’onda di 590 nm contro un bianco ottenuto nelle stesse condizioni sperimentali delle prove ma in assenza di campione. Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni, espresse in µgC/g materiale organico, riferite ad una retta standard
ricavata da concentrazioni note di carbonio (come glucosio), trattato nelle stesse condizioni.
CARBONIO ESTRAIBILE TOTALE
Il carbonio estraibile totale è stato determinato sugli estratti in pirofosfato alcalino. A causa dell’alto contenuto di carbonio l’estratto è stato diluito con acqua bidistillata in rapporto 1:10.
Prove: 2ml di estratto + 1ml di K2Cr2O7 2N + 2 ml di H2SO4 concentrato
Le prove sono state riscaldate alla temperatura di 150°C per due ore. Dopo il raffreddamento sono state effettuate le letture spettrofotometriche alla lunghezza d’onda di 590 nm, contro un bianco ottenuto nelle stesse condizioni sperimentali delle prove ma in assenza di campione. Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni, espresse in gC/g di materiale organico mediante una retta standard ricavata da concentrazioni note di carbonio (come glucosio) trattato nelle stesse condizioni.
ACIDI FULVICI (AF).
La determinazione degli acidi fulvici viene eseguita sull’estratto in pirofosfato alcalino a cui viene aggiunto H2SO4 concentrato fino al raggiungimento del valore 2 di pH. A questo pH infatti, gli acidi umici precipitano mentre gli acidi fulvici rimangono in soluzione. A causa dell’ alto contenuto di carbonio, gli estratti, sono stati diluiti 1:10 prima dell’acidificazione.
Le prove sono state scaldate alla temperatura di 150°C per due ore. Dopo raffreddamento sono state effettuate le letture spettrofotometriche alla lunghezza d’onda di 590 nm, contro un bianco preparato nelle stesse condizioni sperimentali, ma in assenza di campione. Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni, espresse in gC/g di materiale organico mediante una retta standard ricavata da concentrazioni note di C-glucosio.
ACIDI UMICI (AU):
Il carbonio umico viene calcolato per differenza tra il carbonio estraibile totale e il carbonio fulvico determinato sullo stesso estratto.
FOSFORO TOTALE:
Il fosforo totale è stato misurato mettendo in tubi da idrolisi 0,5 g di campione secco e 5 ml di acido nitrico (HNO3). Successivamente i tubi sono stati messi nel
Block Digestor per 2 ore a 140°C. In seguito è stato aggiunto a freddo 1 ml di acido perclorico (HClO4) e i campioni sono state sottoposti ad una seconda
digestione a 180°C per circa 2 ore e ½ . Infine sono stati lasciati raffreddare, si sono aggiunti 1 ml HNO3 per completare l’ossidazione della sostanza organica e
si sono tenuti ancora 30 minuti a scaldare a 140°C. Dopo questa terza digestione i campioni sono stati portati a volume (50 ml) con acqua bidistillata, agitati e lasciati decantare. Quindi sono stati prelevati 0,5 ml di soluzione tal quale o opportunamente diluita (1:50) in base al contenuto di fosforo a cui è stata aggiunta una goccia della soluzione di P-nitrofenolo (0,25%) e, goccia a goccia, NaOH 5M fino al viraggio al giallo dell’indicatore. Successivamente sono stati aggiunti 1 ml di reattivo* specifico per il fosforo e H2O bidistillata fino a volume finale di 5.A questo punto è stata effettuata la lettura spettrofotometrica alla lunghezza d’onda di 720 nm. Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in
concentrazioni, espresse in g di P/gss , mediante una retta ottenuta con
concentrazioni note di fosforo, trattato nello stesso modo dei campioni. *Preparazione del reattivo:
Si aggiungono 1,5 g d’acido ascorbico a 100 ml della soluzione C.
Soluzione C: sono state mescolate le soluzioni A e B e poi aggiunti 10 ml di potassio antimonio tartrato allo 0,5%, il tutto è stato portato a un volume di 100 ml con acqua distillata.
Soluzione A: 12,5 ml di H2SO4 in 40 ml di H2O.
Soluzione B: 1 g di molibdato di ammonio in 30 ml di H2O e riscaldato a 60°C.
METALLI PESANTI:
L’analisi dei metalli pesanti è stata effettuata mettendo in tubi da idrolisi 0,5 g di campione secco e 5 ml di acido nitrico (HNO3) che sono poi stati scaldati nel
Block Digestor per 2 ore a 140°C. In seguito è stato aggiunto a freddo 1 ml di acido perclorico (HClO4) e i campioni hanno subito una seconda digestione a
180°C per circa 2 ore e ½. Infine i campioni ancora umidi sono stati lasciati raffreddare e per completare l’ossidazione della materia organica è stato aggiunto un altro ml di HNO3 ed è stata effettuata una terza digestione della durata di 30
minuti alla temperatura di 140°C. Una volta raffreddati, i campioni sono stati portati a volume (50 ml) con acqua bidistillata, agitati e lasciati decantare. In seguito è stata eseguita una filtrazione con membrana ultrarapida (WHATMAN ASHLESS FAST) e prelevata un’aliquota per l’analisi effettuata con la tecnica dell’assorbimento atomico.
PARAMETRI BIOCHIMICI
Le attività enzimatiche sono state determinate sul materiale organico. Parallelamente alle prove sono stati eseguiti dei controlli in cui il campione è stato incubato nelle stesse condizioni delle prove, ma in assenza di substrato, aggiunto dopo l’incubazione. I controlli avevano lo scopo di determinare un’eventuale presenza di prodotto di reazione generato da reazioni non enzimatiche e di correggere, in tal caso, le misure. Nei saggi colorimetrici un ulteriore correzione delle misure è stata ottenuta effettuando la prova del bianco, preparata con tampone e substrato, che permetteva di valutare l’eventuale idrolisi del substrato di reazione durante il periodo di incubazione. Il bianco, così preparato, è stato utilizzato per azzerare lo spettrofotometro.
DEIDROGENASI:
Il substrato della reazione è costituito dalla sostanza organica, mentre il cofattore sintetico utilizzato per la misura dell’attività deidrogenasica è costituito dall’INT (P-Iodio-Nitro-Tetrazolium-chloride) che per riduzione forma un prodotto colorato, INTF (p-Iodo-Nitro-Tetrazolium-Formazano) determinabile per via spettrofotometrica. Questa attività enzimatica è stata determinata secondo il metodo messo a punto da Garcia et al., (1993).
I campioni sono stati preparati in provette di plastica da 10 ml.
Prove: 0,1 g di materiale organico + 0,2 ml di substrato INT allo 0,4% (in H20
bidistillata) + 0,1 ml d’acqua bidistillata (per portare il campione al 60% della capacità di campo).
Controlli: 0,1 g di materiale organico + 0,3 ml d’acqua bidistillata (per portare il
campione al 60% della capacità di campo).
Prove e controlli sono stati lasciati riposare per 20 ore al buio; non è stato necessario tappate, poiché l'INT prevale sull’ossigeno (il naturale substrato della deidrogenasi) nell'accettare gli elettroni. L'INTF, il prodotto della reazione di ossido-riduzione, è insolubile in acqua ed è stato estratto mediante aggiunta di
5ml di una soluzione estraente composta da tetracloroetilene e acetone (1:1,5). Il tutto è stato agitato meccanicamente per circa 1 minuto, e sucessivamente centrifugato a 3500 rpm per 10 minuti. Il sopranatante è stato usato per la lettura spettrofotometrica, previa diluizione con soluzione estraente. Le letture spettrofotometriche sono state effettuate alla lunghezza d'onda di 490 nm, contro un bianco contenente la sola soluzione estraente. Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni, espresse in µgINTF/gss⋅h,
mediante una retta standard ottenuta con concentrazioni note d’INTF.
β β β
β-GLUCOSIDASI
La determinazione dell’attività di questo enzima si basa sul metodo di Masciandaro et al., (1994). Tale metodo consiste nella determinazione per via colorimetrica (lunghezza d’onda di 398 nm) del rilascio del para-nitrofenolo (PNF) dopo incubazione dei campioni con para-nitrofenil-glucoside (PNG) (substrato di reazione).
Nelle provette di plastica da 10 ml sono stati preparati sia le prove che i controlli. Materiale organico
Prove: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5 + 0,5
ml di substrato PNG 0,05 M.
Controlli: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5. Bianco: 2 ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5 + 0,5ml di substrato PNG 0,05 M.
Prove, controlli e bianco sono stati posti in agitazione in un bagno termostatico per 2 ore a 37°C. Una volta terminato il periodo d’incubazione, nei controlli sono stati aggiunti 0,5 ml di substrato (PNG) e tutti i campioni (prove, controlli e bianco) sono stati posti a raffreddare a 4°C per 10 minuti per bloccare la reazione. Si aggiungono poi 0,5 ml CaCl2 0,5 M (per la dispersione dei colloidi che
interferirebbero con la lettura) e 2 ml di NaOH 0,5 M (per salificare il prodotto, conferendogli un colore giallo). Si porta ad un volume finale di 10 ml con acqua bidistillata e in seguito si centrifugava per 10 minuti a 3500 rpm. Il sopranatante è stato letto allo spettrofotometro ad una lunghezza d’onda di 398 nm. Le densità
ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni mediante una retta standard, ottenuta con concentrazioni note di PNF. I risultati sono stati espressi in µgPNF/gss⋅h.
FOSFATASI:
Il metodo è basato sulla determinazione per via colorimetrica del Para-nitrofenolo (PNF), prodotto dall’idrolisi del para-nitrofenil-fosfato-esaidrato (PNP), che è il substrato impiegato in questo saggio enzimatico (Nannipieri et al., 1980).
Sono state utilizzate provette di plastica da 10 ml.
Materiale organico
Prove: 0,1 g di materiale organico + 2ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5 + 0,5
ml di substrato PNP 0,12 M
Controlli: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5. Bianco: 2 ml di tampone maleato 0,1 M pH 6,5 + 0,5 ml di substrato PNP 0,12 M
I campioni sono stati posti in agitazione in un bagno termostatico per 1 ora e 30 minuti a 37°C. Una volta terminato il periodo d’incubazione, sono stati aggiunti anche ai controlli 0,5 ml di substrato (PNP) e posti a raffreddare a 4°C per 10 minuti per bloccare la reazione. A questo punto sono stati aggiunti 0,5 ml di CaCl2
0,5 M e 2 ml di NaOH 0,5 M e portati al volume 10 ml con acqua bidistillata. Successivamente i campioni sono stati centrifugati per 10 minuti a 3500 rpm. Il sopranatante èstato letto allo spettrofotometro contro il bianco ad una lunghezza d’onda di 398 nm.
Le densità ottiche rilevate dallo strumento sono state trasformate in concentrazioni mediante una retta standard ottenuta con soluzioni di PNF a concentrazione nota. I risultati sono espressi in µg PNF/gss⋅h.
UREASI:
La stima dell’attività ureasica si basa sulla determinazione dell’ammoniaca quale prodotto dell’idrolisi enzimatica dell’urea (Nannipieri et al., 1980).
In provette di plastica da 10 ml sono stati preparati sia le prove sia i controlli. Materiale organico
Prove: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone fosfato 0,1 M pH 7 + 0,5 ml
di substrato urea 6,4%
Controlli: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone fosfato 0,1 M pH 7.
Prove e controlli sono stati agitati in un bagno termostatico per 1 ora e 30 minuti alla temperatura di 37°C. In seguito vengono portati ad un volume finale di 10 ml con acqua bidistillata e centrifugati per 10 minuti a 3500 rpm. L’NH3 presente nel
surnatante viene determinata mediante l’uso di un elettrodo ion-selettivo. I risultati sono espressi come µg NH3/gss*h.
PROTEASI-BAA:
L’attività viene misurata dalla concentrazione di NH3 che viene liberata per
deaminazione (Nannipieri et al., 1980).
L'ammoniaca liberata è determinata mediante l'elettrodo specifico per NH3. Sono state utilizzate provette di plastica da 10ml.
Materiale organico
Prove: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone fosfato 0,1 M a pH 7 + 0,5
ml di substrato BAA (N-α-Benzoil-L-α-Arginammide-Hydrochloride) 0,03 M. Controlli: 0,1 g di materiale organico + 2 ml di tampone fosfato 0,1 M a pH 7.
Prove e controlli vengono messi ad agitare in bagno termostatico a 37°C per 1 ora e 30 minuti. Terminata l'incubazione, i campioni sono stati portati ad un volume finale di 10 ml con acqua bidistillata e centrifugati per 10 minuti a 3500 rpm. L’ NH3 presente nel sovranatante è stata determinata con l’elettrodo specifico per
l’ammoniaca NH3.
NITRATO REDUTTASI:
La nitrato reduttasi è un ossidoreduattasi citosolica rappresentativa del ciclo dell’azoto, il suo donatore di elettroni è il NAD(P)H che, attraverso tre centri redox, porta alla riduzione di NO3- a NO2-.
Tale attività enzimatica deve essere effettuata sulle piante entro poche ore dal prelievo, avendo l’enzima una vita media di 4 ore; trascorso questo periodo non viene garantita l’attività.
Il metodo è basato sulla determinazione per via clolorimetrica dei prodotti di reazione.
(Hülya Arslan et al.,2005)
Procedura: Il campione viene prelevato, lavato con acqua deionizzata e sminuzzato finemente
Prove e controlli vengono preparati contemporaneamente utilizzando provette di vetro da 10 ml.
Prove: campione fresco (non è importante il peso) + 5 ml tampone fosfato 0,25 M
contenente KNO3 0,08 M.
Controlli: campione fresco (non è importante il peso) + 5 ml tampone fosfato 0,25
M
All’interno delle provette, precedentemente chiuse con tappi in silicone, viene insufflato azoto per creare un ambiente anossico. Prove e controlli vengono agitati con il vortex per 1 minuto ed incubati al buio per 2 ore ad una temperatura di 30 °C. Terminato il periodo di incubazione si centrifuga per 10 min a 3500 rpm. Si trasferisce 1 ml di surnatante in provette di plastica e si aggiunge 1 ml di H2O
bidistillata, 0,3 ml di sulfanilammide 5 %. e 0,3 ml NED 0,1% (N-naphthyl-ethylene-diamine). Contemporaneamente si prepara un bianco contenente 2 ml H2O bidistillata, 0,3 ml di sulfanilammide e 0,3 ml NED. Trascorsi 20 min si
procede alla lettura spettrofotometrica contro il bianco ad una lunghezza d’onda di 540 nm.
Le provette di vetro contenenti il campione iniziale vengono messe in stufa a 105°C per una notte e la mattina seguente pesate, per determinare peso secco (g). I risultati sono espressi come: µgNO2-/gss*h.
Figura 7. Apparato radicale di Phragmites australis
PARAMETRI BIOLOGICI
TEST DI FITOTOSSICITA’Il testo viene utilizzato per saggiare l’eventuale tossicità dei campioni sulla germinazione di semi di Lepidium sativum.
Le prove, compreso un controllo, sono eseguite in triplo. Sono state utilizzate delle piastre Petri su cui si pone della carta da filtro. Su ciascuna piastra si adagiano 10 semi di Lepidium sativum e si aggiungono 3 ml di estratto acquoso. Per il controllo si hanno le stesse condizioni delle prove ma si utilizza acqua bidistilllata.
L’esperimento viene condotto a temperatura ambiente e al buio per la durata di 72 ore. L’indice di germinazione si determina mediante la seguente formula:
IG= G* L m /Lo
,
dove:G è la percentuale di semi germinati rispetto al controllo: n/nc*100
L m è la lunghezza media delle radici delle prove. L o è la lunghezza media delle radici del controllo. n è il numero di semi germinati.
PARAMETRI CHIMICO-STRUTTURALI
PIROLISI GAS CROMATOGRAFIA (Py-GC):Strumentazione:
E’ stata utilizzata una unità di pirolisi (PIROPROBE 190, Chemical data Sistem U.S.A.), costituita da una unità di programmazione e controllo della temperatura ed una sonda munita di una spirale in platino (2,5 x 1,8 mm) in cui viene inserito un tubicino di quarzo contenente il campione essiccato da analizzare. L’unità di pirolisi è interfacciata con un cromatografo CARLO ERBA 6000 VEGA SERIES 2, equipaggiato con un rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID). La separazione dei frammenti pirolitici è stata effettuata mediante colonna impaccata PORAPAK Q SA 1422 80/100 mesh, 3 m/6mm. La fase mobile è costituita da azoto ad un flusso di 40 ml/min. Le condizioni di analisi possono essere così riassunte: temperatura del filamento del pirolizzatore: 700°C per 10 sec; temperatura dell’iniettore: 250°C. Programmata di temperatura del gas cromatografo: 60°C per 5 minuti, 60°C-225°C a 4°/min per 20 min, 225°C -240°C a 1°C/min per 5 min.
Principi della Pirolisi gas-cromatografia applicata ai suoli:
La tecnica della pirolisi gas-cromatografica (Py-GC) è una tecnica di tipo distruttivo che fornisce un “finger print” del campione analizzato. Questa tecnica permette la caratterizzazione chimico-strutturale della sostanza organica.
La tecnica lavora su 3 livelli contemporaneamente:
1) La pirolisi vera e propria a 700°C in flusso di azoto (assenza di ossigeno), in cui la materia organica strutturata si decompone in frammenti volatili a basso peso molecolare.
2) L’iniezione automatica nel gas cromatografo dei frammenti volatili di pirolisi e la loro separazione in colonna;
3) La rivelazione dei frammenti pirolitici mediante il rivelatore a ionizzazione di fiamma (FID).
Dall’analisi si ottiene un pirogramma specifico per ogni campione (una sorta di impronta digitale), in cui si individuano i picchi di maggiore interesse che
corrispondono ai frammenti prodotti durante la pirolisi del composto organico analizzato:
E1: acetonitrile, proviene principalmente da proteine, aminoacidi e cellule
batteriche;
K: acido acetico, prodotto dalla degradazione di materiale cellulosico e grassi; B: benzene, proviene da più fonti, ma indica lo stato di condensazione
(umificazione) delle molecole umiche;
O: pirrolo, viene prodotto principalmente dai composti azotati presenti
nell’humus e dai tessuti delle cellule batteriche;
E3: toluene, prodotto dai composti umici e dai vegetali, ma nel caso dell’humus
indica la presenza di materiale aromatico con catene alifatiche laterali;
N: furfurolo, deriva dalle sostanze cellulosiche, ma anche da altre sostanze
organiche poco decomposte (mineralizzate) e quindi poco umificate nel terreno;
Y: fenolo, deriva sia da sostanze umiche che da vegetali in decomposizione. La
sua evoluzione è in relazione ai processi idrolitici di decomposizione ed umificazione delle lignine.
I pirogrammi vengono elaborati determinando l’abbondanza relativa di tali frammenti di pirolisi (espressa in %) e calcolando da queste alcuni rapporti fondamentali che forniscono informazioni sul grado di umificazione e di mineralizzazione della sostanza organica (Ceccanti et al., 1986): l’ elaborazione dei frammenti pirolitici permette di calcolare i seguenti indici
- O/N (pirrolo/furfurolo).
- B/E3 (benzene/toluene), indice di umificazione (Ceccanti et al., 1986).
ANALISI STATISTICA
I risultati ottenuti sono stati sottoposti all’Analisi della Varianza (ANOVA) con un livello di significatività inferiore al 5 % (p< 0,05). Lo scopo dell’analisi della varianza è la verifica di differenze significative tra le medie confrontando varianze. In questo modo è possibile confrontare la varianza dovuta alla variabilità tra-gruppi (o trattamenti) con quella dovuta alla variabilità entro-gruppi. Sotto l’ipotesi nulla (che non ci siano differenze in media tra gruppi o trattamenti nella popolazione), la varianza stima entro la variabilità entro-gruppi dovrebbe essere all’incirca uguale alla varianza stimata tramite la variabilità tra-gruppi (trattamenti). Dopo aver ottenuto un test F statisticamente significativo dall’ANOVA, si esegue un test per sapere quali medie contribuiscono all’effetto; cioè, quali gruppi sono particolarmente differenti tra loro.
Inoltre, i risultati sono stati elaborati mediante l’Analisi delle Componenti Principali (PCA). La PCA consiste nel trasformare attraverso complessi calcoli matriciali le variabili originali in nuove variabili ottenute come loro combinazioni lineari, dette appunto componenti principali (PC). Ogni componente principale contiene una parte essenziale dell’ informazione, cioè contribuisce alla varianza totale dell’insieme dei dati. Questo permette di ridurre la dimensionalità dei dati e, nel caso in cui si scelga un numero di componenti principali minori o uguale a 3, di avere una visualizzazione dei risultati statistici in uno spazio bi o tridimensionale. In particolar modo, dall’applicazione di questa tecnica statistica si ottiene:
La tabella dei loadings (visualizzabile anche in forma grafica): consente di valutare il peso di ciascuna variabile iniziale nelle diverse componenti principali. Variabili con un valore prossimo allo 0 non risultano rilevanti per tale componente considerata; variabili che si collocano agli estremi (±1) di una componente sono invece variabili molto importanti per quella componente.
Il grafico degli scores è una rappresentazione dei campioni nello spazio delle prime 2-3 componenti principali che consente di analizzare il
comportamento degli oggetti simili (clusters), la presenza di oggetti isolati (outliers), il manifestarsi di particolari distribuzioni
È stata costruita la matrice di correlazione di Pearson considerando tutti i parametri determinati. La correlazione di Pearson è una misura di relazione tra due variabili e determina fino a che livello le due variabili risultano tra loro “proporzionali”. Proporzionale significa relazionato linearmente; ciè la correlazione è elevata se la relazione può essere “riassunta” da una linea retta (inclinata positivamente o negativamente). Questa linea è chiamata retta di regressione o retta ai minimi quadrati, perché è determinata in modo tale che la somma delle distanze al quadrato di tutti i punti da corrispondenti punti della retta sia minore possibile. I coefficienti di relazione possono assumere valori compresi Tra -1.00 e +1.00. Il valore -1.00 rappresenta una perfetta correlazione negativa, un valore di +1.00 rappresenta una perfetta correlazione positiva, mentre un valore di 0.00 rappresenta una mancanza di correlazione. Sono stati considerati significativi tutti i coefficienti di correlazione aventi un p<0,05.