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Le infezioni delle ferite in Cardiochirurgia: fattori di rischio, terapia, prognosi.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia Direttore Prof. Gaetano Pierpaolo Privitera

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare dell’area critica Direttore Prof. Riccardo Zucchi

Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale Direttore Prof. Corrado Blandizzi

CORSO DI LAUREA IN MEDICINA E CHIRURGIA

“Le infezioni delle ferite in Cardiochirurgia:

fattori di rischio, terapia, prognosi.”

RELATORE

CANDIDATA

Prof. Uberto Bortolotti

Chiara Catelli

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INDICE

1. Introduzione

2. Gli accessi chirurgici in Cardiochirurgia 2.1 Sternotomia mediana 2.1.1 Tecnica chirurgica 2.1.2 Richiusura sternale 2.2 Mini-sternotomia 2.2.1 Mini-sternotomia Superiore 2.2.2 Mini-sternotomia Inferiore 2.3 Toracotomia

2.3.1 Toracotomia antero-laterale destra (RALT) 2.4 Mini-toracotomia destra e sinistra

2.4.1 Mini-toracotomia destra nella chirurgia valvolare mitralica 2.4.2 Mini-toracotomia destra nella sostituzione valvolare aortica 2.4.3 Mini-toracotomia sinistra

2.5 Safenectomia

2.5.1 Open Vein Harvesting (OVH) 2.5.2 Endoscopic Vein Harvesting (EVH)

2.5.3 Safenectomia mini-invasiva non-endoscopica 2.6 Accessi inguinali

2.7 Radialectomia

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3 3. Infezioni in Cardiochirurgia

3.1 Definizione e classificazione 3.2 Frequenza e incidenza nei siti 3.3 Cause e fattori di rischio 3.4 Complicanze 3.4.1 Osteomielite 3.4.2 Mediastinite 3.4.3 Sepsi 4. Trattamento 4.1 Medicamenti

4.2 Vacuum-Assisted Closure (VAC) Therapy 4.2.1 Tecnica

4.3 Terapia antibiotica 4.4 Trattamento chirurgico

4.4.1 Debridement, irrigazione e richiusura 4.4.2 Open dressing

4.4.3 Irrigazione chiusa

4.4.4 Flaps muscolari e muscolocutanei

5. Esperienza Pisana 5.1 Background 5.2 Materiali e metodi 5.3 Risultati

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Capitolo 1

INTRODUZIONE

Le infezioni in Cardiochirurgia rientrano tra le complicanze non frequenti, ma potenzialmente letali che si possono riscontrare nel breve o nel lungo termine della degenza post-operatoria. Oltre a rappresentare una delle cause dell’aumento dei tempi di degenza e della spesa ospedaliera, costituiscono un fattore determinante di morbilità e mortalità correlate alla chirurgia.

Nonostante l’ottimizzazione della tecnica chirurgica e della profilassi antibiotica peri-operatoria, al giorno d’oggi si stima che l’incidenza della sola infezione sternotomica in seguito a interventi cardiochirurgici sia tra l’1-5%, e che la mortalità sia addirittura doppia in presenza di infezioni sternali profonde (DSWIs: Deep Sternal Wound Infections).

Numerosi studi hanno identificato fattori di rischio correlati al paziente, quali obesità, età, arteriopatia periferica, ed alla procedura chirurgica che predisporrebbero all’insorgenza di infezioni post-cardiochirurgiche.[1]

Le infezioni si suddividono in superficiali (SSWI) e profonde (DSWI). Mentre le prime sono stimabili intorno al 3-8%, quelle profonde, corrispondenti a una mediastinite, si verificano solo nel 1-3% dei casi, grazie alle norme igieniche moderne ed alla profilassi perioperatoria, ma sono ancora associate ad un’alta mortalità (10-35%). [2]

Il trattamento convenzionale delle DSWI post-sternotomiche include solitamente la revisione chirurgica, l’irrigazione chiusa, il rifissaggio sternale. Recentemente, l’introduzione della Vacuum-Assisted Closure (VAC) therapy ha permesso di ottenere risultati migliori in termini di sopravvivenza e prevenzione di morbidità, sia come terapia singola, sia come metodica per raggiungere le condizioni ottimali per una richiusura sternale tramite plastica pettorale. Lo scopo di questo studio è comparare il tasso di insuccessi e di sopravvivenza in seguito ad

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5 esecuzione di VAC-therapy o trattamento tradizionale in pazienti che presentano deiscenza della ferita sternotomica.

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Capitolo 2

Gli accessi chirurgici in cardiochirurgia

La sternotomia mediana fu proposta per la prima volta da Milton nel 1897, ma bisognerà attendere altri 60 anni (precisamene l’anno 1957) affinchè sia affermata la sua superiorità rispetto alla toracotomia anteriore bilaterale, fino a quel momento utilizzata come incisione Gold Standard. A partire dagli anni ’90, però, la cardiochirurgia mini-invasiva (MICS: Minimally Invasive Cardiac Surgery) ha guadagnato un posto rilevante, principalmente in seguito alla crescente domanda da parte dei pazienti ed alla necessità di ridurre la spesa sanitaria. Tra le tecniche mini-invasive maggiormente eseguite meritano sicuramente una menzione la Mini-sternotomia (superiore o inferiore) e la Mini-toracotomia (destra o sinistra).

2.1

La Sternotomia mediana

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7 La sternotomia mediana è tutt’oggi considerata il Gold standard tra le incisioni in Cardiochirurgia, grazie alla bassa percentuale di insuccessi ed agli ottimi esiti a lungo termine. Può inoltre essere utilizzata anche in chirurgia toracica per aver accesso al mediastino, in caso di intervento bilaterale ai polmoni, alla bassa trachea o ai bronchi principali.

Attraverso questo approccio, i chirurghi possono facilmente avere accesso visivo e tattile alle strutture contenute nel mediastino, tra cui il cuore nella sua interezza.

La sternotomia necessita di essere eseguita in modo appropriato, in modo da evitare le possibili complicanze post-operatorie a breve e lungo termine: deve essere posta la massima attenzione a partire dall’identificazione dei punti di repere, all’osteotomia, per evitare di lesionare le strutture sottostanti, quali la pleura, i polmoni, il pericardio. Non meno importante è la corretta chiusura della ferita, per evitare complicanze come la deiscenza e l’infezione sternotomica. Se la sternotomia e la chiusura sono eseguite correttamente, le complicanze intervento-correlate possono essere evitate e dipendono, perciò, solo da fattori paziente-correlati, quali obesità, diabete, osteoporosi.

1.1.1 Tecnica chirurgica[2]

Lo sterno è parte integrante della cassa toracica e, insieme alle coste ed ai muscoli intercostali, provvede alla stabilità del torace e ad una corretta respirazione, e per questo è importante che a fine intervento sia ben stabilizzato, in modo da permettere la sua resistenza sotto il continuo stress indotto dai movimenti respiratori.

La tecnica chirurgica è standard, sebbene ci possano essere minime variazioni nell’esecuzione in base al chirurgo operante.

In caso di intervento in elezione, è prevista una preparazione pre-operatoria del paziente, che consiste in una depilazione completa del corpo, nel digiuno nelle ore che precedono

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8 l’intervento, ed in una profilassi antibiotica endovenosa da eseguire entro un’ora dall’inizio dell’intervento, fondamentale per ridurre il rischio di infezione.

In sala operatoria il paziente viene disposto supino con le braccia allineate e, in base ai protocolli intraospedalieri, viene eseguita una disinfezione dell’intera superficie corporea prima di apporre il film trasparente aderente alla cute.

Prima di eseguire l’incisione, è fondamentale individuare correttamente i punti di repere (xifoide e giugulo), che sono necessari per poter praticare un’incisione rettilinea e che suddivida lo sterno in due porzioni congruenti in senso longitudinale. È importante che l’incisione sia mediana e verticale dal giugulo fino alla coda del processo xifoideo, per evitare di lesionare le cartilagini costo-condrali e rendere così più difficoltosa la fase di richiusura, soprattutto nel caso di pazienti obesi (in cui l’identificazione dei reperi è oltretutto più insidiosa) o donne anziane con osteoporosi. Se l’intervento lo richiede è possibile estendere l’incisione fino alla parte craniale della linea alba, in modo da ottenere un’esposizione migliore.

L’incisione dei tessuti cutanei, sottocutanei e della sottostante fascia dei muscoli pettorali può essere facilmente eseguita con l’utilizzo di bisturi manuale o elettrobisturi, seguendo il tragitto tra i due punti di repere. Una volta raggiunto il periostio, si procede palpando gli spazi intercostali, per verificare di trovarsi esattamente sulla linea mediana dello sterno, e la si marca per completo con l’elettrobisturi.

Prima di sezionare lo sterno è importante preparare il giugulo e lo xifoide. Al giugulo la maggior parte dei pazienti possiede un arco venoso trasverso, che è necessario occludere tramite clips al fine di evitare sanguinamenti importanti in caso di recisione accidentale. In seguito al clippaggio, il legamento sternoclavicolare deve essere separato dallo sterno sovrastante tramite digitopressione, in modo tale da permettere una sezione dello sterno più sicura.

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9 Lo xifoide viene separato dal muscolo diaframmatico sottostante tramite digitopressione e inoltre è raccomandata la cauterizzazione di una vena che decorre cranialmente ad esso, al fine di evitare un sanguinamento eccessivo.

A questo punto è possibile procedere con la sezione dello sterno con la sega, eseguibile sia in direzione cranio-caudale (metodo prediletto dalla scuola Pisana) che caudo-craniale, ma questo solamente dopo aver interrotto la ventilazione artificiale, per evitare di danneggiare involontariamente le pleure durante l’operazione. Il sanguinamento copioso derivante dalla sezione delle arterie periostee è tamponato inizialmente con l’aiuto di garze e successivamente con l’elettrobisturi, evitando l’eccessiva cauterizzazione che può condurre a osteonecrosi, o eventualmente tramite l’utilizzo di cera che viene posta lungo la sezione sternale; è preferibile rimuovere la cera prima della chiusura, in modo da ridurre il rischio, a essa correlato, di infezione della ferita sternotomica.

I due monconi sternali sono allontanati con un divaricatore in modo delicato, per evitare eventuali fratture che potrebbero causare un dolore post-operatorio intenso e prolungato.

1.1.2 Richiusura sternale

Una volta eseguito l’intervento a livello cardiaco, segue il posizionamento dei drenaggi toracici (in numero variabile a seconda dell’esecuzione dell’intervento e dell’apertura delle pleure), tramite incisioni a livello epigastrico.

L’intervento termina con la richiusura dello sterno a livello mediano. Si possono utilizzare dai 4 agli 8 punti in acciaio, in base alla lunghezza dell’osso sternale e della superficie corporea del paziente, posizionati a livello parasternale, attraverso l’osso sternale o a livello degli spazi intercostali, con maggior rischio però in quest’ultimo caso di sanguinamento abbondante.

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10 Figura 2: Tecniche di richiusura dello sterno. In alto da sinistra: punti singoli transsternali, singoli peristernali,

punti singoli alternati trans- e peristernali. In basso da sinistra: figure-eight peristernali, figure-eight pericostali, tecnica di Robicsek.

È importante evitare di avvicinare eccessivamente i due monconi sternali, ponendo i punti ad una corretta distanza, a causa del rischio di una non corretta perfusione e quindi di sviluppo di osteonecrosi.

Oltretutto, è necessario evitare di esercitare una trazione eccessiva nell’accostamento dei monconi, per evitare fratture orizzontali nello sterno. Dopo l’avvicinamento, i punti sono avvitati, per garantire una stabilità maggiore, e l’estremità viene recisa e accostata ben aderentemente al tessuto sottocutaneo, per evitare in seguito lo sviluppo di deiscenza della ferita con perforazione cutanea. A questo punto segue la sutura in doppio strato della fascia e del tessuto sottocutaneo e infine la sutura dei piani cutanei tramite sutura intradermica o clips metalliche. Nelle donne con seno prominente o pazienti obesi è importante accostare bene i margini cutanei per evitare la deiscenza della ferita.

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2.2 La Mini-sternotomia

La Mini-sternotomia rientra tra le tecniche di incisione definite mini-invasive (MICS). I vantaggi di questa tecnica sono numerosi e giustificano il suo impiego crescente a partire dagli anni ’90; tra di essi si possono elencare il trauma di minore entità, il minor sanguinamento, una degenza più breve, il minor rischio infettivo e quindi anche una minore spesa sanitaria.

Studi retrospettivi hanno dimostrato che in interventi come la sostituzione valvolare aortica, l’utilizzo della mini-sternotomia è responsabile della minor incidenza di comorbidità, tra cui il sanguinamento copioso, che si correla quindi ad una diminuita necessità di trasfusioni ematiche: quest’ultime infatti sono preferibilmente da evitare, in quanto correlate ad effetti clinici avversi, quali danno polmonare, disfunzione d’organo, immunosoppressione ed aumento del rischio infettivo, forse connessi ad una differente risposta infiammatoria sistemica e produzione di citochine, e perciò diminuire la loro necessità comporta una migliore e rapida guarigione del paziente. [3]

La Mini-sternotomia si può distinguere in: - Superiore;

- Inferiore;

e la scelta tra le due incisioni si basa sul tipo di intervento da eseguire.

1.1.3 Mini-sternotomia Superiore

Grazie alla somiglianza con la sternotomia mediana, l’approccio mini-sternotomico superiore è diventato il più utilizzato a discapito della mini-toracotomia. È una tecnica semplice e, se ben eseguita, conduce a risultati a lungo termine molto soddisfacenti, anche in pazienti anziani, se comparata con la sternotomia tradizionale.

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12 Il suo utilizzo crescente è riconducibile alla domanda degli stessi pazienti, i quali si trovano ad affrontare una degenza più breve e meno impegnativa, con possibilità di ritornare alle usuali attività quotidiane in breve tempo, ed allo sviluppo di nuove strumentazioni che rendono la procedura più sicura e semplice.

Quando eseguita correttamente le complicanze sono rare, comparabili a quelle della sternotomia classica.

Inoltre, è stato dimostrato che questo approccio chirurgico è più facilmente eseguibile rispetto ad una toracotomia, in quanto conduce a meno eventi avversi peri-operatori.

I vantaggi correlati all’impiego di questa procedura sono numerosi, e tra di essi, i fondamentali sono:

- Il minor dolore post-operatorio;

- Il minore trauma, con conseguente maggiore mantenimento della stabilità della cassa toracica e miglioramento degli scambi respiratori con estubazione anticipata;

- Il minor sanguinamento e conseguente diminuita necessità di trasfusioni, con minor rischio di infezioni;

tutti fattori che conducono ad una degenza abbreviata e ad una spesa ospedaliera ridotta. Le indicazioni per la Mini-sternotomia superiore sono:

1) Sostituzione/riparazione valvolare aortica isolata;

2) Sostituzione valvolare aortica con associata chirurgia aortica;

Controindicazioni assolute a questo tipo di incisione sono invece: 1) Aorta a porcellana;

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13 Tecnica chirurgica

La mini-sternotomia superiore può essere eseguita tramite diversi approcci, definiti, a seconda della forma dell’incisione, in a J, a L, a S e a T. Ad oggi, comunque, le due tecniche maggiormente utilizzate sono la J e la L inversa, poiché garantiscono una visibilità maggiore e quindi una crescente facilità nell’approccio alle strutture di interesse.

Figura 3: mini-sternotomia superiore a "J"

Figura 4: incisione a “T inversa”

La preparazione del paziente e la ricerca dei punti di repere non si differenziano dalla sternotomia tradizionale. Prima dell’intervento è però mandatoria una Radiografia del torace, per ottenere informazioni dettagliate sulla posizione esatta del cuore, sulle condizioni dell’aorta (per escludere la presenza di calcificazioni estese o di aorta a porcellana), o in alternativa una TC.

Differentemente dalla sternotomia mediana, dopo aver identificato i punti di repere, si esegue una incisione mediana di circa 5 cm, che dal giugulo si estende attraverso il manubrio dello sterno fino a raggiungere la parte alta del corpo sternale, per poi terminare lateralmente a livello dello spazio intercostale, che nel caso dell’incisione a J corrisponde al terzo spazio di

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14 destra. Nel caso di esposizione insufficiente è possibile estendere l’incisione anche verso il terzo spazio intercostale sinistro, ottenendo così un’incisione detta a T inversa, mentre è rara la conversione a sternotomia tradizionale. L’esposizione è fondamentale in questo tipo di procedura a causa della ristrettezza dell’incisione, e spesso si richiede anche la recisione del timo per migliorare la visibilità. Dopo l’incisione, si utilizzano 3 o 4 punti di sospensione pericardica per innalzare e rendere più facilmente aggredibili l’aorta, la base del cuore e l’atrio destro. A volte, per permettere un accesso ed una visibilità migliori ai chirurghi, è possibile rimuovere qualche cannula dal sito dell’incisione, utilizzando:

- una cannula ovale intravenosa a due stadi, elaborata appositamente per interventi MICS;

- una cannula femorale arteriosa destra (solo quando l’accesso alle strutture anatomiche è difficile tramite cannulazione centrale);

- una cannula femorale venosa destra; - un clamp aortico con manico flessibile.

Un difetto di questa procedura MICS è la difficoltà nella rimozione completa dell’aria all’interno delle strutture vascolari, perciò, per evitare il rischio di embolizzazione gassosa, si applica una continua insufflazione di CO₂ tramite un tubo flessibile posto nel campo operatorio, oltre alle normali metodiche utilizzate per tutti gli altri tipi di intervento.

Il controllo dell’emostasi e la richiusura non differiscono dalla procedura utilizzata per la sternotomia classica. [4]

2.1.4 La Mini-sternotomia inferiore

Questa tecnica MICS permette di eseguire molti tipi di intervento, dai by-pass multipli, alle sostituzioni valvolari aortiche e mitraliche.

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15 È una tecnica che prevede un’incisione a T della lunghezza di 10 cm, delineandosi dall’alto, a partire dal terzo spazio intercostale, fino al raggiungimento dell’apice del processo xifoideo. L’incisione può essere facilmente convertita in una sternotomia tradizionale se l’esposizione non è considerata adeguata, e la conversione è più facilmente eseguibile rispetto, ad esempio, alle incisioni paramediana o intercostale. Il muscolo grande pettorale ed il muscolo intercostale sono separati in questa operazione dallo sterno a livello del terzo spazio.

Figura 5: esecuzione di una mini-sternotomia inferiore

Il primo vantaggio di questa tecnica è quindi facilmente individuabile: l’integrità della parte superiore dello sterno permette una stabilità maggiore della cassa toracica e quindi una migliore e rapida ripresa degli scambi respiratori in seguito all’intervento, anche grazie al minore dolore provocato.

Il divaricatore utilizzato, così come nella Mini-sternotomia superiore, oltre a separare i monconi sternali, li pone su due piani diversi, lasciando la parte di sterno intatta a circa 2,5 cm sotto i monconi recisi, e ciò comporta un’esposizione insufficiente sul campo operatorio, soprattutto a livello dell’aorta ascendente. Per questo viene utilizzato un divaricatore particolare (divaricatore di Cheanvechai-Favaloro) che innalza e anteriorizza la parte intatta superiore dello sterno, così da realizzare un’esposizione totalmente paragonabile a quella

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16 ottenibile con una sternotomia classica, ma con un’incisione ridotta. L’esposizione viene anche migliorata rimuovendo il lobo destro del timo, aprendo la pleura destra, e fissando il pericardio al divaricatore in modo da innalzare il cuore.

L’aorta viene clampata con un clamp lungo detto di Pilling-Weck, che viene inserito attraverso un’incisione eseguita subito al di sotto della clavicola; questa operazione permette di raggiungere l’aorta che non è accessibile attraverso l’incisione primaria.

La cannulazione dell’aorta ascendente deve essere eseguita più in alto possibile e di solito è possibile posizionarla agilmente attraverso l’incisione primitiva anche nel caso in cui si trovi al di sotto della parte superiore dello sterno; questo è reso possibile dall’utilizzo di una cannula femorale 24F, più sottile e flessibile rispetto alla cannula tradizionale.

La cannulazione venosa può, invece, essere eseguita sia tramite una singola cannula doppio-stadio, sia tramite una doppia cannula bicavale. In caso di intervento di bypass, si preferisce allestire il drenaggio venoso tramite la vena giugulare interna, inserendo una cannula sottile 24F con tecnica percutanea tramite guida metallica.

L’aorta viene clampata in senso antero-posteriore, il più vicino possibile alla cannula di perfusione, lasciando una buona parte di aorta ascendente libera al di sotto del clamp.

Un vent standard può essere introdotto attraverso la vena polmonare superiore destra e fatto uscire attraverso l’incisione primaria.

Infine, le cannule utilizzate per la cardioplegia retrograda e anterograda sono sufficientemente piccole da poter essere introdotte attraverso l’incisione mini-sternotomica.

Gli strumenti chirurgici utilizzati devono essere di una lunghezza superiore di 2,5cm rispetto a quelli tradizionali; le suture è possibile eseguirle manualmente. Non sono richiesti elettrodi per defibrillazione particolari, sebbene in caso di incisione molto ridotta sia possibile utilizzare i paddle pediatrici.

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17 Al termine dell’intervento, l’aria è rimossa più agilmente rispetto alla Mini-sternotomia superiore, attraverso i metodi standard utilizzati per la chirurgia tradizionale.

Il rifissaggio sternale viene realizzato tramite l’utilizzo di punti di acciaio, posti tra la porzione integra ed il moncone sternale, prima di un lato e poi del controlaterale; a questo punto i punti vengono incrociati anteriormente e tirati fino alla sutura controlaterale, per garantire una buona fissità; infine, per assicurare i due monconi inferiori, si pongono 3 o 4 punti in acciaio a livello parasternale.

L’esposizione ridotta garantita da questa tecnica incisiva costituisce la causale della tediosità dell’intervento, da cui origina un aumento del tempo chirurgico e la necessità di disporre di un team di chirurghi esperti.

Tuttavia, questa tecnica rende possibile l’esecuzione di diversi tipi di intervento, dal bypass alle sostituzioni valvolari.

La rivascolarizzazione coronarica è eseguita senza difficoltà in pazienti con cuore normale, non dilatato in seguito all’insulto ischemico o all’ipertensione cronica.

La sostituzione valvolare aortica può essere facilmente attuabile, accedendo tramite la recisione dell’aorta ascendente, che in seguito è facilmente suturabile grazie al clampaggio aortico eseguito precedentemente.

La valvola mitralica può essere anch’essa raggiunta e trattata senza difficoltà; in caso di contemporaneo intervento su valvola tricuspide, l’accesso avviene tramite recisione del setto interatriale.

Addirittura possono essere eseguiti interventi contemporanei trivalvolari, e questo giustifica il largo utilizzo di questa metodica incisiva.

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2.3 La Toracotomia

La Toracotomia è un’incisione molto diffusa, non solo in ambito cardiochirurgico, ma anche in chirurgia toracica, d’urgenza, vascolare, in quanto è un’incisione estremamente versatile e permette l’accesso e l’esposizione di tutte le strutture presenti nell’emitorace ipsilaterale: cuore, mediastino, polmone, pleura, esofago.

Il più fastidioso inconveniente di questa tecnica consiste nella necessità di dover recidere diversi gruppi muscolari, con conseguente importante dolore post-operatorio e difficoltà respiratoria associata. Inoltre, due possibili complicazioni possono consistere nella scarsa esposizione, in caso di errore nella selezione dello spazio intercostale da incidere, o nell’impossibilità di anestetizzare un singolo polmone anziché entrambi.

Spesso è necessario l’utilizzo di un ecocardiogramma trans-esofageo (ETE) più sofisticato di quello utilizzato nella sternotomia classica, almeno per la cannulazione periferica, e in alcuni casi per l’inserimento periferico di cateteri per la cardioplegia retrograda o di vents per la vena polmonare.

Di incisioni toracotomiche ne esistono diverse, in modo da permettere l’accesso a strutture differenti:

1) Toracotomia postero-laterale; 2) Toracotomia antero-laterale; 3) Toracotomia ascellare.

Tra di esse, quella utilizzata maggiormente in Cardiochirurgia è la antero-laterale, mentre la postero-laterale e la ascellare vengono utilizzate solitamente in campo toraco-polmonare. Addirittura, attualmente la toracotomia postero-laterale è stata messa in secondo piano, grazie all’introduzione di metodiche mini-invasive che determinano una riduzione della degenza post-operatoria.

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19 2.3.1 Toracotomia antero-laterale destra (RALT)

Negli ultimi anni la toracotomia antero-laterale ha riacquistato un largo consenso in Cardiochirurgia, grazie alla spinta verso le tecniche incisive mini-invasive. In emergenza, come in caso di emotorace, emoperitoneo, dissezione aortica, consente un rapido accesso all’emitorace destro, al pericardio e all’aorta. È anche l’incisione di scelta per la biopsia polmonare in open, soprattutto in pazienti magri, che non tollererebbero l’anestesia sul singolo polmone.

Questa procedura è comunemente utilizzata in interventi a carico della valvola mitralica, ma può esserlo anche per interventi sull’aortica, sebbene questa incisione non sempre permetta di visualizzare e raggiungere la radice e la valvola aortica a causa dell’insufficiente esposizione. Inoltre questa incisione può costituire un’alternativa valida alla sternotomia mediana nella riparazione dei difetti del setto interatriale: consente, infatti, di ottenere un risultato estetico ed un comfort maggiore per il paziente, e minori costi ospedalieri, ma dall’altro lato non ci sono ancora pareri concordanti sugli esiti riguardo al sanguinamento ed al dolore post-operatorio. Inoltre, data la maggior frequenza di questo difetto a carico di pazienti giovani di sesso femminile, questo tipo di incisione potrebbe condurre ad un incompleto sviluppo della mammella omolaterale, od anche a scoliosi. [5]

Tecnica operatoria

Il paziente viene disposto supino sul tavolo operatorio, con le braccia lungo i fianchi. L’incisione, di circa 4-6 cm, viene eseguita partendo subito lateralmente al margine sternale, e segue la piega infra-mammaria fino alla linea ascellare anteriore, a livello del terzo spazio intercostale. Successivamente l’incisione viene approfondita per raggiungere la cassa toracica, dividendo i muscoli grande e piccolo pettorale ed il margine mediale dei muscoli serrati anteriori. Per evitare l’abbondante sanguinamento nel tentativo di raggiungere gli spazi

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20 intercostali, è necessario prestare attenzione e cauterizzare i vasi perforanti, che dalle arterie intercostali si portano al grande pettorale. A questo punto viene incisa la pleura sottostante. Per ottenere un’esposizione mediale maggiore, è possibile estendere l’incisione a livello trans-sternale, prestando attenzione a controllare e separare i vasi toracici interni. A causa dell’incisione molto mediale, è necessario spesso legare l’arteria mammaria interna di destra durante questo passaggio, e la terza o quarta costa a volte devono essere disarticolate dallo sterno a livello delle cartilagini costo-condrali, per garantire un’esposizione migliore.

Segue, a questo punto, la pericardiotomia, che si porta inferiormente fino al diaframma, e dall’incisione primaria viene inserita la cannula per la cardioplegia anterograda, mentre il clamp aortico è inserito attraverso un’ulteriore incisione intercostale.

A fine intervento, se le coste sono state disarticolate dallo sterno, vengono riunite grazie all’apposizione di suture metalliche, ma è proprio la frequente periodicità con cui si presenta l’evenienza di fratture costali successive a rendere questo tipo di intervento meno utilizzato rispetto a una mini-sternotomia, che comporta una maggiore stabilità e quindi un minor dolore post-operatorio. [6]

La separazione o la deiscenza della ferita toracotomica non è comune, e non esistono linee guida di trattamento standard. La qualità e la natura dei materiali di sutura sono fondamentali, ed il fallimento della tenuta di quest’ultima può essere il fattore determinante nell’instaurarsi di una deiscenza: materiali poco costosi o potenzialmente allergogenici posso portare, infatti, a questa complicazione. Ad ogni modo, è stato riscontrato che l’incidenza della deiscenza è maggiore negli interventi in urgenza che in elezione, e che il trauma è il principale fattore causale, in ragione del copioso sanguinamento interno che si può instaurare. [7]

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2.3 La Mini-toracotomia

Negli anni ’60, gli interventi a livello della valvola mitralica si eseguivano tramite mini-toracotomia laterale, con cannulazione femorale per l’allestimento del bypass cardiopolmonare. Questo tipo di accesso, comunque, fu presto abbandonato e sostituito dalla sternotomia mediana, che comportava un’esposizione migliore e ottimi risultati a lungo termine. Alla fine degli anni ’90, però, aumentò la richiesta, sia da parte dei pazienti che dell’Istituto di Sanità, di ritornare alla procedura mini-invasiva, così da ridurre non solo l’invasività dell’intervento, ma anche i costi legati a questo tipo di accesso. Questo è stato reso oltretutto possibile dall’entrata in uso di nuove strumentazioni che hanno reso migliore sia l’esposizione, nonostante la piccola incisione, sia il monitoraggio e le tecniche di cannulazione.

Nel 1996 fu Carpentier a sviluppare il primo intervento video-guidato di sostituzione valvolare mitralica mini-invasivo attraverso una mini-toracotomia e Chitwood a introdurre il clamp aortico trans-toracico; successivamente, nel 1998, Mohr sviluppò un port video-assistito per migliorare la visualizzazione della valvola e ridurre la durata del bypass cardio-polmonare. [8]

Sono ancora aperti dibattiti riguardo ai benefici legati a questo tipo di procedura rispetto a quelli apportati dalle incisioni tradizionali, e diversi trials hanno determinato risultati discordanti. Nel 2014, uno studio comparativo dei risultati ottenuti mediante sternotomia classica e mini-toracotomia in interventi di chirurgia mitralica hanno rilevato che la mortalità a 30-giorni si attestava sul 1,6%, con una differenza non significativa tra i due tipi di intervento; allo stesso modo la mortalità legata a stroke era totalmente sovrapponibile (1,7%). La mortalità a 5 anni e la durata della riparazione della valvola mitralica sono sovrapponibili. Gli svantaggi nell’accesso mini-invasivo sarebbero legati alla durata dell’intervento, al tempo di bypass cardio-polmonare, al tempo di clampaggio aortico. I vantaggi consistono invece nel

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22 minor sanguinamento e nella minor necessità di trasfusioni di sangue, ed anche nell’inferiore durata della degenza in terapia intensiva, della necessità di respiratore artificiale e della permanenza in ospedale, nonchè al minor dolore post-operatorio ed alla riduzione del rischio infettivo a livello della ferita. Quest’ultimi sono anche i motivi per cui gli stessi pazienti hanno preferito in molti casi l’accesso mini-invasivo a quello tradizionale. [9]

Infine, i pazienti con accesso mini-invasivo sviluppano meno frequentemente episodi di fibrillazione atriale post-chirurgici.

Ad ogni modo, i risultati ottenuti nelle ultimissime meta-analisi suggeriscono un esito migliore in termini di strokes nell’utilizzo della mini-toracotomia, e questo può essere giustificato dalle nuove strategie e strumentazioni chirurgiche ad oggi disponibili. [10]

Negli Stati Uniti i pazienti operati tramite chirurgia mitralica mini-invasiva sono passati dal 11,9% del 2004 al 20,1% del 2008, mentre in Germania dal 13,1% del 2004 al 45,2% del 2013. [11]

Ad oggi è fondamentale una corretta individuazione dei pazienti che potrebbero godere dei vantaggi legati all’intervento mini-invasivo, a differenza di quelli a maggior rischio intervento-correlato, che ancora è preferibile trattare tramite intervento classico di sternotomia mediana, vale a dire coloro con età più avanzata, disfunzione del ventricolo sinistro, maggiore BMI, aterosclerosi carotidea e rigurgito tricuspidalico. [12] In ultima analisi, è stato osservato in studi retrospettivi che i soggetti che vanno incontro più frequentemente a sternotomia mediana sono pazienti anziani di sesso femminile, con una frazione di eiezione (FE) scarsa e rigurgito mitralico associato ad ischemia, e sono maggiormente associati a morte tardiva. [13] Una valutazione preoperatoria dettagliata è fondamentale per l’individuazione dell’estensione e della localizzazione esatta della lesione, in modo da pianificare precisamente lo svolgimento dell’intervento chirurgico ed evitare così di allungare i tempi operatori, che nelle tecniche mini-invasive sono già dilazionati. A questo proposito, è fondamentale eseguire nel

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23 preoperatorio un ETE e, in caso di paziente giovane, una TC senza mezzo di contrasto, mentre nell’anziano con mezzo di contrasto, per valutare l’eventuale aterosclerosi. Nel caso di sospetto di coronaropatia, può essere eseguita un’angiografia. Pazienti con aterosclerosi severa delle arterie periferiche o calcificazioni dell’aorta ascendente non sono candidabili a questo tipo di intervento, in quanto la cannulazione delle femorali o il clampaggio aortico possono risultare problematici. [14]

Figura 6: Mini-toracotomia destra nella chirurgia valvolare aortica e mitralica

2.4.1. Mini-toracotomia destra nella chirurgia valvolare mitralica

Il paziente è posto in decubito laterale e ruotato di circa 30° dalla posizione retta, con un cuscino posto al di sotto dell’emitorace destro. Prima di eseguire l’incisione, è fondamentale individuare correttamente i punti di repere (giugulo, sterno, xifoide e 5° spazio intercostale). L’incisione di 6-7 cm, sufficiente per ottenere una buona visualizzazione delle strutture sottostanti, viene protratta dalla linea ascellare anteriore alla linea ascellare media, a livello del 5° spazio intercostale. I tessuti sottocutaneo e muscolare sono recisi con l’elettrobisturi fino al raggiungimento del margine superiore della costa sottostante. È importante separare i

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24 muscoli intercostali esterni ed interni per una lunghezza di circa 10 cm (più lunga dell’incisione primaria) per facilitare la retrazione e ridurre la tensione esercitata a livello costale. A questo punto, l’anestesista interrompe la ventilazione del polmone destro e si può così procedere con l’incisione della pleura. Per ampliare l’incisione primaria si può utilizzare un divaricatore per tessuti molli, in modo da ridurre ulteriormente la tensione a livello costale, ed un ulteriore divaricatore costale è utilizzato quando gli spazi intercostali sono così stretti da impedire l’inserimento degli strumenti, così da evitare un eccessivo dolore post-operatorio o fratture costali. Solitamente il diaframma è localizzato più inferiormente rispetto al 5° spazio intercostale, perciò non dovrebbe costituire una limitazione all’esposizione; nel caso di elevazione del diaframma può essere utilizzata una spatola per abbassarlo, inserita insieme al divaricatore costale.

Il pericardio viene inciso circa 2 cm anteriormente al nervo frenico, e può essere raggiunto sia tramite l’incisione primaria, sia tramite altra incisione transtoracica a livello costale. L’incisione per il port con video-camera è eseguita a livello del 3° spazio intercostale sulla linea ascellare anteriore destra, mentre quella per il clamp artico sempre a livello del 3° spazio, ma sulla linea ascellare posteriore destra. Il clampaggio viene eseguito tramite l’utilizzo di un clamp di tipo Chitwood o un clamp flessibile. La cardioplegia viene inserita attraverso l’incisione primaria, con una puntura diretta sulla radice aortica, e solitamente è sufficiente quella di tipo anterogrado, sebbene si consideri l’eventualità di aggiungere la retrograda in caso di rigurgito aortico più che moderato. Il retrattore sternale viene posto attraverso un’incisione parasternale. Per impedire la sovradistensione dell’atrio sinistro, viene inserito al suo interno un vent tramite un’atriotomia sinistra; solitamente per questo tipo di intervento è sufficiente una cannula singola multi-forata.

La chirurgia mitralica è eseguita con procedura standard, con video assistenza tramite il port ascellare.

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25 Oltre all’intervento sulla valvola mitralica, possono essere eseguiti contemporaneamente interventi sulla valvola tricuspide e sul setto interatriale, se necessari.

Dopo la chiusura dell’atriotomia, un pacemaker temporaneo è sistemato nel ventricolo destro, prima di declampare l’aorta, poiché, altrimenti, è impossibile raggiungere tale ventricolo attraverso la piccola incisione primaria. Un drenaggio toracico è inserito dall’incisione per il clampaggio, prima della richiusura. Il pericardio viene suturato per impedire erniazioni. Dopo un controllo ecocardiografico del risultato chirurgico, il paziente viene tolto dalla Circolazione Extracorporea (CEC) e decannulato.

Le incisioni costali sono controllate tramite tamponamento e cauterizzazione, al fine di correggere gli eventuali sanguinamenti eccessivi. Il sanguinamento originato da questo tipo di incisione è più difficile da gestire di quello di una toracotomia ordinaria, pertanto ogni incisione deve essere eseguita al centro dello spazio intercostale per evitare di ledere le arterie intercostali che si trovano sul margine inferiore delle coste.[15]

Le coste vengono apposte grazie ad una sutura a Z, ponendo la massima attenzione a non recidere i vasi sottocostali; a questo punto, può essere ristabilita nuovamente la ventilazione del polmone destro, fino a questo momento sospesa. È importante apporre in modo corretto le coste, in modo da evitare il prolungamento della degenza a causa della difficoltà respiratoria conseguente all’intervento.

La richiusura dei tessuti molli prevede un primo strato di punti per riapporre la muscolatura sui piani profondi e due ulteriori strati sovrastanti di suture a livello del tessuto sottocutaneo. La cute infine è chiusa tramite sutura intradermica o clips metalliche, ed è importante eseguirla in modo serrato, soprattutto in pazienti obesi o con seno prominente. [8]

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26 2.4.2 La mini-toracotomia destra nella sostituzione valvolare aortica

Nella chirurgia valvolare aortica, come nella mitralica, sono state introdotte nuove tecniche incisive al fine di ridurre l’invasività dell’intervento. Oltre alla mini-sternotomia mediana, anche la toracotomia parasternale, la toracotomia anteriore intercostale e soprattutto la mini-toracotomia infra-ascellare destra sono tecniche mini-invasive che hanno reso possibile con l’evoluzione delle strumentazioni mediche l’ottenimento di una buona esposizione tramite una minima incisione. [16]

Nella mini-toracotomia infra-ascellare, il paziente viene posto in decubito laterale sinistro con un cuscino sotto il fianco. Dopo aver individuato l’arteria e la vena femorale destra per il bypass cardio-polmonare, viene eseguita un’incisione verticale di 7 cm lungo la linea ascellare anteriore. Il tessuto adiposo sottocutaneo viene reciso lungo il margine laterale del muscolo grande pettorale e quest’ultimo sezionato anteriormente. A livello del 3° o 4° spazio intercostale viene eseguita una toracotomia antero-laterale e inserito all’interno un divaricatore costale. L’incisione viene effettuata a livello dello spazio che permette di eseguire l’aortotomia esattamente al centro dell’incisione, e la scelta è guidata dalle immagini TC acquisite prima dell’intervento.

Per l’inserimento dell’endoscopio, viene introdotto un trocar, tramite una piccola incisione di 1-2 cm a livello del 6° spazio intercostale, attraverso il quale è possibile ottenere una visualizzazione migliore della valvola aortica.

A questo punto, vengono cannulate la vena e l’arteria polmonare e può avere inizio il bypass cardio-polmonare.

Il pericardio viene aperto longitudinalmente a 3 cm dal nervo frenico; la parete dell’aorta è sezionata subito distalmente all’emergenza dell’arteria polmonare in modo da piazzare il clamp aortico. Un vent è inserito nel ventricolo sinistro, mentre a livello della radice aortica è

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27 posta una cannula, e successivamente l’aorta ascendente viene clampata per eseguire la cardioplegia anterograda.

L’approccio tramite chirurgia mini-invasiva gode di diversi vantaggi, e, differentemente da quanto pensato fino a pochi anni fa, l’esposizione dell’aorta ascendente non è difficile da ottenere, poiché gli spazi intercostali diventano stretti solo cranialmente. Ad ogni modo, la piccola incisione non permette la manipolazione diretta dell’aorta e della valvola aortica, perciò è mandatorio l’utilizzo di strumenti lunghi specifici per questo tipo di intervento. [17]

2.4.3 La Mini-toracotomia sinistra

Figura 7: incisione sternotomica tradizionale vs mini-toracotomia sinistra

La Mini-toracotomia sinistra in campo cardiochirurgico viene solitamente utilizzata per intervenire a livello della valvola polmonare, come nel caso di endocardite isolata, evento raro se non associato ad anomalie cardiache congenite; l’indicazione all’intervento chirurgico sussiste in presenza di febbre elevata persistente, embolia polmonare ricorrente e vegetazione maggiore di 2 cm di diametro. [18]

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28 Sebbene l’approccio tradizionale a questa valvola consista nella sternotomia mediana, l’evolversi delle tecniche mini-invasive ha permesso alla mini-toracotomia sinistra di occupare un posto rilevante in questa chirurgia.

All’inizio della procedura, il paziente è intubato attraverso un tubo endotracheale a doppio lume, ed è eseguita una ETE. Si effettua un’incisione inguinale di 2 cm ed i vasi femorali sono esposti per la cannulazione. A questo punto, viene eseguita la mini-toracotomia, di 5 cm di lunghezza, a livello del 2° spazio intercostale, mantenendo l’integrità delle coste. Dopo aver eseguito il bypass cardio-polmonare ed aver avviato la CEC, si procede con l’arteriotomia polmonare, tramite la quale avrà luogo la sostituzione valvolare. [19]

La mini-toracotomia sinistra a livello del 2° spazio intercostale garantisce un’adeguata esposizione della valvola polmonare ed una minima sezione dei tessuti. Questi fattori la rendono una tecnica essenziale sia per gli interventi di prima, che per i re-interventi, a causa della minor formazione di aderenze, e garantisce una minore degenza ed un ridotto bisogno di trasfusioni ematiche a causa del minor sanguinamento. Inoltre, la tecnica a cuore battente permette di non traumatizzare l’aorta e quindi di minimizzare il rischio di stroke peri-operatorio. [20]

Nel 2013 è stata inoltre introdotta la Mini-toracotomia sinistra come tecnica incisiva alternativa per l’isolamento della arteria mammaria interna destra, senza necessità di assistenza robotica o toracoscopica: la tecnica di Nambiar. Questa tecnica permette l’isolamento delle due arterie mammarie interne bilaterali attraverso una mini-toracotomia sinistra di 2 cm, e di utilizzare le arterie così ottenute per realizzare una rivascolarizzazione miocardica in modalità off-pump.

Il paziente è posizionato in modo supino con una modesta elevazione della parte sinistra del torace, di circa 30°. Il braccio non dominante è disposto a 90° su un supporto, nel caso fosse

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29 necessario intervenirvi per isolare l’arteria radiale. Il paziente è intubato con un tubo endotracheale a doppio lume per la ventilazione di un singolo polmone. A livello toracico sono individuate le due arterie mammarie con l’utilizzo di un ecodoppler. A questo punto, si procede con l’incisione di 2 cm a livello della linea infra-mammaria di sinistra, due dita lateralmente alla linea che indica in superficie il decorso della mammaria sinistra, e la cavità toracica è aperta a livello del 5° spazio intercostale. Le coste sono separate delicatamente con l’utilizzo di un divaricatore costale, ed il pericardio è inciso a T rovesciata, al fine di ispezionare le arterie coronarie. Un divaricatore, utilizzato in tandem rispetto al precedente, viene disposto a livello del 5° spazio intercostale, in modo da innalzare la gabbia toracica: viene ispezionato l’emitorace sinistro ed è studiato il flusso della LITA (Left Internal Thoracic Artery) con un Doppler vascolare. Sezionando il grasso tra pericardio e sterno è possibile anche visualizzare la RITA (Right Internal Thoracic Artery). Per migliorare la visualizzazione delle porzioni distali delle arterie è eseguita un’incisione sub-xifoidea, ed un divaricatore di Langenbeck è insinuato al di sotto dello sterno. In seguito, si procede con l’isolamento tradizionale delle mammarie, con cui vengono realizzati i bypass. I tempi operatori sono comparabili a quelli di una CABG tradizionale, ed il dolore post-operatorio è ben controllato. Con questa metodica la maggior parte dei pazienti è estubata già sul tavolo operatorio e mobilizzata entro un’ora dal ritorno dalla sala. Tutti i drenaggi sono rimossi in I giornata post-operatoria.

La tecnica di Nambiar ha migliorato la sopravvivenza e ridotto la necessità di re-intervento in questi pazienti, sebbene l’utilizzo di entrambe le mammarie sia un fattore predittivo di complicanze sternali, specialmente in pazienti con diabete. Comunque, utilizzando una tecnica mini-invasiva, si abbassa il rischio di infezioni correlato alla sternotomia mediana, incisione sicuramente più invasiva.

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30 Controindicazioni a questa tecnica operatoria sono pazienti con BPCO, PO₂ < 60 mmHg, insufficienza renale moderato-severa, infarto miocardico o ictus recente e CABG multi-vasale in cuore con FE< 25%. [21]

2.5 La Safenectomia

L’uso della doppia arteria mammaria o delle arterie radiali per i bypass coronarici (CABG) è aumentato, ma l’esecuzione di bypass venosi tramite vena safena è ancora elevato. Sono state sviluppate nuove metodiche meno invasive rispetto alla safenectomia tradizionale (OVH: Open Venous Harvesting), sia di tipo endoscopico (EVH: Endoscopic Venous Harvesting) che di tipo non-endoscopico con la creazione di ponti multipli percutanei, tecniche che hanno condotto a minori morbidità e ad una maggiore soddisfazione da parte dei pazienti, senza compromettere la qualità della vena e la sua tardiva perdita di pervietà.

Nonostante ciò, il passaggio dall’utilizzo di una tecnica all’altra ha incontrato diverse resistenze, legate alla maggiore facilità di esecuzione ed alla migliore tempistica della tecnica tradizionale OVH, che però è inficiata da un rischio maggiore di deiscenza della ferita (infezioni, ascessi, cellulite), legato soprattutto alla maggiore lunghezza e quindi al maggior traumatismo dell’incisione. [22]

Per convenzione, l’OVH a livello della parte inferiore della gamba è routine nel caso di necessità di un piccolo tratto di vena, poiché è più semplice isolare la vena a livello del polpaccio; invece, sebbene sia possibile eseguire un EVH a qualsiasi livello della gamba, solitamente esso viene eseguito a livello alto, subito al di sotto del ginocchio. [23]

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31 2.5.1 Open Vein Harvesting (OVH)

Figura 8: prelievo in open della vena safena

Nel corso di questa metodica tradizionale, la vena safena è esposta attraverso un’incisione longitudinale continua al di sopra della vena stessa a partire dalla regione prossima al malleolo mediale, fino ad estendersi prossimalmente, preferibilmente non oltrepassando il ginocchio a causa delle possibili complicazioni crescenti nel post-operatorio. Le branche venose laterali sono separate dall’asse venoso principale grazie all’utilizzo di clips metalliche o di legature di vicrile. Tutte le vene sono separate dal tessuto sottocutaneo che le circonda. Dopo che la vena è stata isolata, viene riempita tramite una siringa con una soluzione liquida contenente sangue autologo ed eparina, per controllare che le legature dei vasi collaterali abbiano una buona tenuta e che durante l’operazione di separazione dai tessuti adiacenti non si sia lesa accidentalmente la vena: in questo caso infatti è mandatoria la correzione della lesione per evitare la non-tenuta del bypass. A questo punto, la vena viene rimossa ed è posta a temperatura ambiente in una soluzione analoga fino all’inizio della procedura di allestimento del bypass.

La chiusura della ferita viene eseguita solitamente in due strati: uno sottocutaneo, con filo riassorbibile, ed uno intradermico, sempre riassorbibile.

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32 Diversi studi hanno correlato questo tipo di tecnica, più tradizionale, con un rischio maggiore d’infezione a livello della ferita (circa l’11%); di queste infezioni, solo quelle correlate a cellulite, deiscenza della ferita, infezioni purulente e necrosi cutanea hanno richiesto una ri-ospedalizzazione dei pazienti con cure più intensive rispetto ad una semplice profilassi antibiotica. [23] La maggior parte delle infezioni purulente sono diagnosticate entro i 30 giorni dall’intervento, mentre ulteriori infezioni possono essere evidenziate se il follow-up viene protratto a 60 giorni. È stato dimostrato, inoltre, che il rischio infettivo è attribuibile, oltre che ai fattori di rischio paziente-correlati, come diabete ed età, anche all’esperienza dell’operatore: l’incidenza dell’infezione post-operatoria è nettamente inferiore quando l’isolamento della vena viene eseguito da un operatore esperto, ed anche se associata ad una richiusura minuziosa della ferita.

2.5.2 Endoscopic Vein Harvesting (EVH)

Figura 9: tecnica endoscopica di prelievo di vena safena

In questa tecnica incisiva, è fondamentale l’utilizzo di uno strumento guida apposito, chiamato VasoView. Un’incisione di 2-3 cm viene eseguita medialmente sopra o subito al di sotto del ginocchio, in corrispondenza del condilo tibiale mediale, poichè come detto in

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33 precedenza, questa localizzazione favorisce una maggior facilità nell’esecuzione dell’operazione di isolamento della vena.

Quando la vena safena viene visualizzata, è esposta maggiormente con l’utilizzo di un nastro di seta o di un laccio. Sotto diretta visualizzazione, la vena safena viene recisa prossimalmente, e viene creato un piccolo spazio per l’introduzione di un endoscopio di 7 mm di lunghezza con un’estremità terminale conica a punta. Quando l’endoscopio è inserito nell’incisione, la vena può essere visualizzata su di un monitor. Una blanda dissezione dei tessuti che circondano la vena viene eseguita in direzione dell’inguine, mentre un’insufflazione di CO₂ viene effettuata a livello del tunnel sottocutaneo, fino ad un massimo di 15mmHg di pressione, per permettere la formazione di un “tunnel” tra la vena ed i tessuti adiacenti sottocutanei. I rami collaterali della vena sono separati utilizzando un cauterizzatore bipolare. A questo punto, si esegue un’incisione a livello della parte alta del tunnel prossimale; sotto guida endoscopica viene inserito un clamp emostatico nel tunnel attraverso il punto di incisione e la vena viene tirata fuori attraverso il sito incisivo, recisa, ed infine estratta dall’incisione primaria distale. Come nell’approccio tradizionale, la vena viene perfusa con una soluzione contenente sangue autologo ed eparina, e, dopo essere stata isolata, viene immersa all’interno di una soluzione analoga fino all’inizio dell’esecuzione del bypass. La ferita al ginocchio è chiusa con due strati di suture: uno sottocutaneo ed uno intradermico; la ferita prossimale è invece semplicemente richiusa con un unico strato di punti di nylon. [23]

Questa procedura richiede un maggiore tempo operatorio rispetto alla OVH (in media 53 minuti rispetto ai 34 della procedura tradizionale), ma sono più rare le complicazioni infettive e non legate alla ferita, a causa della lunghezza inferiore dell’incisione, e perciò si riduce anche la necessità di successive ri-ospedalizzazioni.

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34 La percentuale di conversione della procedura in open varia dallo 0 al 31%, e dipende dalla presenza di vena troppo sottile, aterosclerotica con lume non sufficientemente espanso, vena dilatata o varicosa, eccessiva presenza di rami collaterali.

Le complicazioni dell’EVH consistono in:

1) Ustioni cutanee: l’inavvertito contatto con la fonte di luce sulla cute alla massima potenza può causare ustioni profonde e istantanee; è necessario porre quindi la massima attenzione nella manipolazione degli attrezzi chirurgici;

2) Tunnellite: evento raro, definibile come una cellulite che si sviluppa a livello dello spazio tra ginocchio ed incisione inguinale; il drenaggio chirurgico di ascessi, irrigazioni o sistemi di drenaggio possono essere necessari, come la “messa a piatto” del tunnel nel caso di mancata risposta alla terapia medica;

3) Sieroma: più frequente nei pazienti anziani; consiste in un accumulo di liquido chiaro diverse settimane o mesi in seguito alla safenectomia endoscopica; può essere trattato con semplice aspirazione o con evacuazione chirurgica, nel caso in cui il liquido si sia organizzato in cisti a causa della ricorrenza del sieroma in seguito a ripetute aspirazioni;

4) Ematomi: sebbene le ecchimosi cutanee siano frequenti a causa della trazione sui tessuti sottocutanei e dello stiramento di piccoli vasi cutanei, la maggior parte di essi scompaiono nel giro di pochi giorni; gli ematomi a livello del tunnel sono da associare a coagulopatie o ad inadeguata emostasi chirurgica. L’organizzazione degli ematomi o

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35 la loro calcificazione possono condurre alla formazione di un cordone rigido e dolorabile ed alla limitazione dei benefici della tecnica mini-invasiva;

5) Embolia gassosa da CO₂: è necessario correggere la ventilazione se i livelli di CO₂ nel sangue aumentano; in pazienti anziani con tessuti fragili non è infrequente incorrere in questa complicazione. L’incidenza dell’embolia può essere ridotta diminuendo la pressione di CO₂ insufflata, in combinazione con un’esperienza chirurgica avanzata e ad un monitoraggio tramite ETE continuo della vena cava inferiore. [24]

Nonostante queste possibili complicanze, gli stessi pazienti generalmente preferiscono la EVH all’OVH, a causa del minor dolore post-operatorio e della ridotta necessità di recarsi in ambulatorio per medicazioni.

Diversi studi hanno dimostrato che la curva di apprendimento di questa tecnica è più lunga di quella dell’intervento classico con OVH e che durante l’apprendimento è più frequente l’insorgenza di infezioni della ferita chirurgica, ma comunque il numero di interventi necessari per sviluppare una buona tecnica non è elevatissimo, corrisponde a circa 20 procedure. [22]

La sicurezza a medio-termine della procedura EVH non è ancora stata ben determinata: sebbene questa procedura sia associata ad un tasso inferiore di riammissione in ospedale per angina instabile, questo non è valido per complicanze più tardive, quali l’infarto miocardico (IMA). È stato notato che i pazienti sottoposti a questa procedura sono solitamente quelli con una FE inferiore al 50%, con recente infarto miocardico, dislipidemia e insufficienza ventricolare sinistra. Nonostante questo, la mortalità intraospedaliera non mostra differenze significative (3,2% vs 4,0%) rispetto alla procedura in open. [25]

Uno studio recente ha riportato che la procedura di EVH è associata ad un maggior danneggiamento dell’endotelio vascolare, sebbene ancora questo risultato non sia chiaro,

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36 poiché i livelli di citochine infiammatorie, l’espressione di molecole di adesione e la reattività vasale non mostrano differenze nei due approcci.

2.5.3

Safenectomia mini-invasiva non-endoscopica

Figura 10: A) tecnica mini-invasiva con incisioni multiple; B) tecnica mini-invasiva con unico ponte lungo a

livello dell'articolazione del ginocchio

Questa tecnica può essere considerata “a ponte” tra i due approcci visti in precedenza; accomuna in sé i vantaggi di entrambe le metodiche:

- La minor invasività rispetto ad una OVH;

- I minori costi rispetto ad una EVH, grazie alla non esigenza di strumentazioni avanzate.

L’isolamento della vena safena ha inizio con un’incisione longitudinale di 2-3cm eseguita 5-6 cm prossimalmente al malleolo mediale. Un divaricatore di Parker-Langenbeck è inserito attraverso i malleoli, e la vena safena è identificata, recisa, e clippata il più distalmente possibile ma non oltre la caviglia. Successivamente la safena viene recisa, esteriorizzata e appoggiata su una garza imbevuta di soluzione salina.

Una seconda incisione di 2-3 cm viene eseguita approssimativamente 6 cm sotto al ginocchio, e la vena esposta. Usando un divaricatore e tramite l’uso della palpazione, viene individuato il

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37 decorso della vena, e si crea intorno ad esso un tunnel sottocutaneo in direzione cefalica, isolando l’asse principale venoso dai vasi collaterali tramite clips metalliche, e la vena viene esteriorizzata di nuovo attraverso la seconda incisione. Per ottenere un’ottima esposizione e visualizzazione della vena, il divaricatore non deve essere posizionato tra la fonte di luce e la vena, ma più lateralmente.

Come regola, due incisioni a livello della gamba ed altre tre più superiormente, per un totale di cinque incisioni, sono sufficienti per isolare l’intera vena safena.

Le ferite chirurgiche sono poi richiuse utilizzando una regolare sutura sottocutanea con filo riassorbibile, con eventuali suture accessorie in pazienti obesi, se necessario. In caso di abbondante sanguinamento, prima della richiusura delle ferite, può risultare utile tamponare energicamente con garze i tunnel scavati nel sottocute, e successivamente si può, nell’eventualità, inserire un drenaggio percutaneo. Infine, un bendaggio elastico è applicato intorno alla gamba per almeno 24 ore.

Il tempo di isolamento della vena è maggiore rispetto alla tecnica OVH, ma comunque si attesta tra i 10 e i 30 minuti.

Questa tecnica comunque è da evitare nelle donne obese, con tessuto sottocutaneo molto spesso: in queste pazienti, infatti, la terapia successiva anticoagulante può condurre a sanguinamenti più abbondanti ed alla formazione di ecchimosi o ematomi.

Al contrario, un tessuto sottocutaneo molto sottile, la vicinanza della vena all’osso, insieme al rigonfiamento dei tessuti cutanei nel post-operatorio, possono comportare un rischio maggiore d’infezione della ferita: per evitare questa eventualità, è necessario mantenersi a distanza dal malleolo.

La qualità dell’esposizione della vena e la tempistica dell’isolamento dipendono dal grado di obesità del paziente. In pazienti normopeso, la trans-illuminazione percutanea conferisce un’esposizione eccellente, e l’isolamento può essere completato in 10-15 minuti. Le “skip

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38 lesions” sono separate da ponti cutanei di circa 10 cm, che rendono conto del minor rischio di deiscenza a causa della maggior stabilità delle incisioni.

I pazienti che non sviluppano ematomi non soffrono di dolore post-operatorio, ed il recupero è veloce.

Rispetto alla tecnica EVH, il danneggiamento della vena è molto più raro, ed associato all’esperienza del chirurgo: la vena è sottoposta, infatti, a forze di stiramento limitate ed il rischio di danneggiare i vasi collaterali è molto blando.[26]

2.6 Gli accessi inguinali

Nella Cardiochirurgia mini-invasiva, le metodiche di cannulazione per l’allestimento del bypass cardio-polmonare hanno subito nel tempo una grande evoluzione: si passa da una cannulazione femorale con clampaggio endoaortico, alla cannulazione diretta dell’aorta ed al suo clampaggio attraverso la stessa incisione toracotomica. [27] La scelta tra i due diversi approcci varia in base alla preferenza del chirurgo, sebbene solitamente l’utilizzo di un accesso periferico consenta una migliore visualizzazione a livello dell’incisione primitiva che, nella chirurgia mini-invasiva, è già ostacolata dalla dimensione dell’incisione.

La cannulazione dell’arteria femorale prevede solitamente lo studio pre-operatorio dei vasi femorali e dell’aorta tramite angio-TC o Ecodoppler, in modo da evidenziare l’eventuale presenza di vasi tortuosi o calcificati che renderebbero l’operazione più complessa. In caso di vasi ottimali si può procedere con l’intervento, mentre in pazienti con patologia vascolare femorale o aorto-iliaca diagnosticata, si procede con la cannulazione dell’arteria ascellare sotto guida fluoroscopica.

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39 Figura 11: incisione inguinale con incisione dell’arteria femorale (A)

La cannulazione ha inizio con l’esecuzione di un’incisione verticale sia a livello dell’inguine destro che sinistro, in modo da esporre i vasi femorali per la cannulazione. È necessario porre attenzione a non danneggiare i vasi linfatici, localizzati tra la vena e l’arteria femorale. Utilizzando la tecnica di Seldinger modificata, l’arteria femorale è penetrata con una cannula di grandezza variabile da 15F a 19F, a seconda della superficie corporea del paziente. La vena femorale, di dimensioni maggiori rispetto all’arteria, viene cannulata con una cannula 25F, e l’ETE è utilizzata per raggiungere la cava superiore.

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40 Figura 12: dilatazione dell'arteria femorale e inserimento della cannula

All’aumentare della complessità degli interventi mini-invasivi, le complicanze associate all’accesso inguinale sono maggiori, tra cui il danno dell’arteria femorale, i sieromi inguinali, e le infezioni della ferita inguinale. [28]

Lamelas e colleghi [29] hanno eseguito una review sugli interventi mini-invasivi con accesso femorale degli ultimi 6 anni (2011-2017), concludendo che l’incidenza di stroke (1,17%) e di danno arterioso periferico come fistola, dissezione e aneurisma (0,07%) non è elevata, e perciò il rischio è accettabile. La più comune complicanza riscontrata è il sieroma inguinale (6,58%).

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2.7 Radialectomia

L’arteria radiale è stata utilizzata per la prima volta per l’allestimento di bypass coronarici da Carpentier nel 1971, in merito alle sue caratteristiche vantaggiose, quali la lunghezza, il calibro, la facilità dell’isolamento e la migliore biocompatibilità. [30] Nonostante ciò, emerse ben presto che la pervietà di questa arteria era difficile da mantenere nel tempo, fattore da attribuire alla sua marcata spasticità, che condurrebbe a un’occlusione funzionale; perciò questa metodica fu abbandonata per anni, ed il bypass venoso riacquistò il suo precedente primato.[31] A partire dai primi anni ‘90 però, studi hanno dimostrato che l’arteria radiale può essere effettivamente un ottimo condotto per quanto riguarda la latenza della pervietà: se eliminata l’eccessiva spasticità di questa arteria, infatti, questa si adatta in modo migliore al flusso coronarico, ed inoltre rispetto alla vena safena dà origine ad una proliferazione intimale inferiore, riducendo il rischio di occlusione.[32] Questo è stato reso possibile proprio in quegli anni con l’introduzione di terapie mediche antispasmodiche. Se si considera il tasso di perdita di pervietà diviso in tre stadi (precoce: < 6 mesi; intermedio: 6-36 mesi; tardivo: >36 mesi), si può osservare che il tasso di perdita di pervietà precoce è correlabile alla tecnica chirurgica ed alla terapia medica. Il diametro dell’arteria radiale si anastomizza in modo migliore con il diametro dei vasi coronarici, perciò anche le anastomosi più distali sono più facili da realizzare, e si riduce il rischio di trombosi e di danno intimale.[33] Per quanto riguarda la pervietà a medio e lungo-termine, questa può essere correlata al processo di rimodellamento del vaso, attribuibile al grado variabile di iperplasia intimale. È ormai riconosciuto che la pervietà luminale è maggiormente attribuibile alle caratteristiche biologiche del vaso ed alla sua resistenza nei confronti dell’aterosclerosi. L’arteria radiale può sopportare un flusso ed una pressione maggiore rispetto alla vena safena, e le anastomosi hanno una maggiore biocompatibilità. [34] Inoltre l’utilizzo dell’arteria radiale è stato

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42 associato ad un tasso inferiore di re-intervento coronarico, e ad un rischio di infarto e mortalità inferiori.

2.7.1 Tecnica chirurgica

Solitamente il braccio da cui si isola l’arteria radiale è quello non dominante. La procedura può essere eseguita in open o in modalità endoscopica, con l’utilizzo o meno di uno scalpello ad ultrasuoni, e l’arteria può essere prelevata scheletrizzata o insieme ai tessuti che la circondano.

Figura 13: prelievo dell’arteria radiale in open

La tecnica tradizionale è quella descritta da Reyes nel 1995. Un’incisione estesa per tutto l’avambraccio è eseguita lungo il decorso dell’arteria, da un punto subito antecedente il tendine palpabile del bicipite, fino ad un punto collocato tra il tendine del muscolo flessore carporadiale e lo stiloide radiale. Si procede aprendo il grasso sottocutaneo e la fascia profonda sopra i muscoli brachioradiale e flessore radiale del polso, al fine di esporre l’arteria. I vasi collaterali sono clippati e recisi con l’elettrobisturi. Prima della richiusura è necessario

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43 porre estrema attenzione all’emostasi, per ridurre al minimo il rischio di sindrome compartimentale dell’avambraccio nel post-intervento. Rimuovere l’arteria insieme al tessuto adiposo circostante, evitando di utilizzare eccessivamente l’elettrobisturi, riduce il rischio di danneggiare l’arteria.

Nel 1998 è stata introdotta una nuova tecnica che si avvale di uno scalpello ad ultrasuoni, e che non prevede il clippaggio e la resezione dei vasi collaterali, e questa tecnica ha permesso di migliorare la tempistica operatoria e soprattutto di ridurre il possibile spasmo arterioso, responsabile della perdita di pervietà del lume vasale. Questo scalpello taglia e coagula causando un minimo danno termico alle strutture che incontra.

Infine Connolly ha descritto la tecnica endoscopica di isolamento dell’arteria. Questa metodica è stata introdotta al fine di limitare le comorbidità post-operatorie e migliorare la soddisfazione del paziente dal punto di vista estetico. Il polso del paziente è iperesteso, ed un’incisione di 3 cm viene eseguita longitudinalmente iniziando 1 cm prossimalmente allo stiloide radiale, così da permettere il posizionamento del divaricatore, e, successivamente, l’arteria viene prelevata insieme al tessuto adiposo ed alla vena che l’accompagnano, con l’aiuto di un endoscopio. Un’esposizione migliore può essere ottenuta insufflando CO₂ a livello dell’incisione primaria, così da creare un tunnel intorno all’arteria.

Se, invece, l’arteria viene scheletrizzata prima di essere escissa, ovvero vengono rimossi del tutto i tessuti che la circondano, il rischio di danneggiamento vascolare è maggiore, ma i vantaggi sono notevoli: riduzione delle infezioni sternali, migliore risposta agli agenti vasodilatanti che rendono merito alla prolungata durata della pervietà del vaso. [35]

L’introduzione della tecnica endoscopica ha reso possibile la riduzione di diverse complicanze, tra cui:

- l’infezione della ferita chirurgica; - la formazione di ecchimosi, ematomi;

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