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Le infezioni in Cardiochirurgia

3.3 Cause e Fattori di Rischio

Data l’alta mortalità correlata alle infezioni sternali profonde, che si attesta intorno al 20% nel primo anno post-operatorio, è necessaria l’individuazione e la successiva eliminazione delle cause e dei fattori di rischio ad esse correlate. Sebbene siano numerosi i fattori di rischio riportati, sicuramente tra i principali si possono elencare l’obesità, il diabete, l’iperglicemia non controllata, il fumo e la lunga durata dell’intervento. La contaminazione del sito operatorio può essere determinata dalla flora batterica endogena del paziente stesso, o da quella del team chirurgico, o dalla flora esogena che si trova nella sala operatoria, ed è spesso peri-operatoria. Alcuni fattori possono promuovere l’infezione, ad esempio la necrosi tissutale, la presenza di ematomi, di corpi estranei o protesi, ed infine la cattiva perfusione tissutale.

L’impatto della flora endogena è fondamentale per lo sviluppo delle infezioni: fin dagli anni ’90 è stata riconosciuta come fattore di rischio la colonizzazione nasale da parte dello Staphylococcus aureus, per il quale è stata introdotta la profilassi peri-operatoria.

La contaminazione esogena può avvenire sia per contatto diretto, che per via aerogena. La contaminazione aerogena è possibile solo se coesistono due fenomeni: la presenza dei microorganismi nell’aria e di particelle inerti di supporto, che spesso vengono utilizzate come carriers da parte dei batteri. I microorganismi possono far parte sia della normale flora saprofita presente nell’aria, sia della flora commensale umana, rilasciata dal paziente e dal team chirurgico. Le particelle sono rilasciate sia dagli individui, tramite ad esempio la desquamazione cutanea, sia dai tessili, tra cui le lenzuola ed i camici chirurgici, e la quantità rilasciata è direttamente proporzionale alla quantità di individui presenti nella sala ed ai loro

49 movimenti (motivo per cui in sala operatoria si raccomanda la presenza esclusiva dei medici facenti parte del team chirurgico), sebbene la flora batterica del team chirurgico sia raramente la causa dell’infezione. La contaminazione da strumentazione chirurgica sta diventando sempre più rara, grazie alle rigide norme sulla sterilizzazione e sulla disinfezione. Altre infezioni, che possono condurre addirittura ad infezione ematogena e sepsi, sono quelle che si sviluppano durante l’assistenza e le cure post-chirurgiche, come una batteriemia sviluppata a partire da un catetere venoso, o una polmonite, o quelle infezioni che si originano a livello della ferita per diretta inoculazione durante le medicazioni e le sostituzioni dei cerotti.

Vi sono 3 ipotesi riguardo all’insorgenza della deiscenza sternale, ma ancora non vi sono prove che una sia la più fedele alla realtà:

1) Che dopo la contaminazione, l’infezione sia localizzata, e che sia responsabile della secondaria osteomielite sternale che indurrebbe la destabilizzazione e separazione della fascia;

2) Che tutto si origini a causa di una primitiva mancanza di saldatura dello sterno, che condurrebbe a separazione della fascia e secondariamente alla colonizzazione batterica;

3) Che lo scarso drenaggio dei liquidi vada a costituire un ambiente perfetto per lo sviluppo di una popolazione batterica.

Lo Stafilococco è il principale batterio responsabile delle SSIs: solo l’aureus è imputabile del 40-60% delle mediastiniti post-operatorie, e questo grazie all’alta invasività di questo batterio, mentre i Coagulasi-negativi sono coinvolti nel 20-30%, ed insieme determinano circa il 67%

50 delle infezioni. L’abilità degli Stafilococchi nella formazione di biofilms dopo la colonizzazione iniziale di corpi estranei, sottolinea l’importanza della profilassi antibiotica peri-operatoria e delle norme igieniche standard per minimizzare la conta batterica locale. Un altro 20-30% di infezioni è imputabile a bacilli Gram-negativi o raramente a funghi. [40] La continua alta incidenza di infezioni da parte di Stafilococchi Coagulasi-negativi Multidrug- Resistants ha portato molti istituti ad adottare la profilassi con Vancomicina, in accordo con le attuali linee guida, così come l’aumento di infezione da parte di Gram-negativi ha comportato l’impiego sempre crescenti di profilassi antibiotica con Cefazoline, Cefuroxime o la stessa Vancomicina. La Vancomicina non sembra essere superiore come efficacia rispetto alla profilassi standard con Cefalosporine di seconda generazione, ma non ci sono studi randomizzati su profilassi combinate.

Fattori di rischio

Nel 2014, lo SHEA Medical Center di Pittsburgh ha pubblicato un elenco dei principali fattori di rischio di SSIs, suddividendoli in base al grado di evidenza [38]:

1) High-quality Evidence: - Obesità;

- Livelli di glucosio del sangue <110 o >180 mg/dl; - Fumo; 2) Moderate-quality Evidence: - Infezione preoperatoria; - Trasfusioni di sangue; 3) Low-quality Evidence: - Terapie immunosoppressive;

51 Molti sono i fattori di rischio che possono comportare l’insorgenza delle SSIs, che i pazienti possono contrarre prima, durante, o dopo la chirurgia, e ciascun re-intervento aumenta il rischio infettivo.

I fattori di rischio si distinguono in:

- paziente-correlati: età (>74 anni), sesso (femminile), obesità, diabete, ipertensione, BPCO;

- chirurgia-correlati: intervento in urgenza o in elezione, tempi operatori, revisione di sanguinamento, prolungata ventilazione artificiale, utilizzo della doppia arteria mammaria per i bypass, complicazioni dell’intervento di CABG come la sepsi o l’endocardite;

- ambiente-correlati: durata dell’ospedalizzazione, preparazione del paziente, sterilizzazione e disinfezione dei dispositivi chirurgici.

Tra i fattori di rischio paziente-correlati, sicuramente è da menzionare l’obesità, considerata un pesante fattore di rischio di sviluppo di mediastinite da molti autori. I pazienti con un BMI> 35 kg/m^2 risentono di maggiori comorbidità, in quanto vanno incontro ad una prolungata ospedalizzazione per lo sviluppo di infezioni e per la difficoltà a riprendere i corretti scambi respiratori e la deambulazione. Le infezioni possono svilupparsi più facilmente, poiché le dosi di antibiotico utilizzate per la profilassi peri-operatoria non sono proporzionate alla superficie corporea del paziente, e non si distribuiscono equamente all’interno del corpo; inoltre l’allestimento del campo operatorio è più complicata in caso di paziente obeso, così come la gestione delle cure e delle medicazioni post-operatorie. Da un punto di vista microscopico, il tessuto adiposo è anche relativamente avascolare; all’aumentare del tessuto adiposo nel paziente obeso, l’angiogenesi non procede proporzionalmente. [42] L’adiposità, insieme al diabete, che contribuisce al danno

52 microvascolare, determina un’insufficienza vascolare locale, predisponendo a complicanze della ferita chirurgica. Da un punto di vista strutturale, il tessuto adiposo è composto da lobuli, ciascuno rifornito da una vascolarizzazione terminale; il danno a questi vasi terminali comporta la necrosi dell’intero lobulo, l’aumento dello spazio morto, predisponendo alla formazione di sieromi.[43] Infine, diversi studi hanno dimostrato che il tessuto adiposo produce mediatori immunitari e proteine infiammatorie rimodellanti la matrice extracellulare, che possono prolungare lo stato infiammatorio a livello dell’incisione chirurgica.

Il diabete costituisce il secondo fattore di rischio paziente-correlato per importanza, soprattutto se si tratta di un diabete non controllato, con iperglicemia peri-operatoria. Una glicemia >200 mg/dl in I o II giornata post-operatoria aumenta esponenzialmente il rischio di infezione sternale, e solo il suo controllo può ridurre l’insorgenza di morbidità. Diversi studi hanno dimostrato che il controllo glicemico con infusione di insulina intra-venosa continua post-operatoria riduce il tasso d’incidenza di infezioni.

In un recente studio del 2016, è stato studiato il ruolo del fumo come fattore di rischio di deiscenza della ferita chirurgica. È stato osservato che i pazienti post-CABG fumatori hanno un rischio più elevato di andare incontro a complicanze legate alla ferita chirurgica, tra cui la necrosi dei margini dell’incisione, se confrontati con i non-fumatori [44]. L’associazione tra l’abitudine al fumo e le complicazioni post-operatorie di ferita possono essere giustificate, in parte, dagli effetti biochimici e fisiopatologici del fumo sulla biologia delle cellule epidermiche. La nicotina e il monossido di carbonio sono i principali contribuenti al danno locale. La nicotina induce modificazioni nella morfologia e nelle funzioni dei fibroblasti, che possono portare alla maggiore formazione di collagene a livello cutaneo ed indurre l’espressione di proteasi tissutali. Inoltre, è riconosciuto che l’affinità del legame

53 dell’emoglobina al monossido di carbonio è maggiore rispetto a quella per l’ossigeno, e che la nicotina può avere un effetto vasocostrittore sui plessi vascolari dermici e sottocutanei, e questi due fattori uniti possono condurre a un’ipossia tissutale e ad una chiusura della ferita non ottimale.[45] In più, fumare può condurre ad una scorretta fibrinolisi, all’aumento dell’adesione piastrinica, della viscosità sanguigna, ed all’aumento di trombosi microangiopatica, tutti fattori che conducono alla riduzione della perfusione dei margini della ferita.[46]

È stato osservato che lo screening con tampone nasale per valutare la positività a Staphyilococcus aureus per la decolonizzazione conduce ad una riduzione delle SSIs. La Società dei Chirurghi Toracici degli Stati Uniti raccomanda addirittura una profilassi generalizzata peri-operatoria anche in caso di assenza di documentazione di negatività di colonizzazione. [47]

I fattori di rischio correlati alla procedura chirurgica possono anch’essi condurre a mediastinite ed infezioni profonde. Questo è il motivo per cui ancora ci sono controversie sull’utilizzo della doppia arteria mammaria per rivascolarizzare, in quanto la residua scarsa perfusione sternale può condurre a ischemia, necrosi e successiva infezione della ferita sternale, soprattutto nei pazienti obesi e diabetici, in cui infatti si cerca di ridurre il rischio tramite l’abbassamento della glicemia o la scheletrizzazione dell’arteria, minimizzando la devascolarizzazione sternale. Nonostante il rischio infettivo elevato, però, l’intervento di bypass con doppia mammaria è correlato a ridotte morbidità e mortalità post-operatoria rispetto all’utilizzo della vena safena o dell’arteria radiale.

54 Altro rischio procedura-correlato è l’esecuzione di intervento in urgenza anziché in elezione, sia in interventi di CABG che valvolari. Questo fattore può essere correlato al fatto che i pazienti che vanno incontro a intervento in urgenza sono quelli con maggiori comorbidità. [48] Ad ogni modo, una stretta aderenza ai protocolli di profilassi peri-operatoria è fondamentale sia negli interventi d’elezione che non.

Una durata della procedura superiore ai 300 minuti è associata ad un rischio maggiore di SSIs in pazienti dopo intervento di CABG o combinato CABG/valvolare, mentre non è associato ad un rischio maggiore dopo interventi unicamente valvolari.

Ripetute revisioni del sanguinamento sternale, specialmente all’interno delle Unità di Terapia Intensiva, sono considerate un fattore di rischio di SSIs procedura-correlate, specialmente nel caso di interventi valvolari o combinati CABG/valvolari. [49]

Un ematoma mediastinico si può sviluppare a causa della cattiva emostasi che ha preceduto la richiusura sternale, favorendo l’accumulo di liquido sieroso e materiale necrotico in cui possono proliferare i batteri.

L’insufficienza respiratoria post-operatoria è un fattore di rischio importante per le infezioni superficiali e profonde della ferita chirurgica. La ventilazione esterna a pressione positiva può aumentare le forze meccaniche sulla richiusura sternale. Inoltre, questo tipo di ventilazione induce uno stress fisico sulla cassa toracica molto maggiore rispetto alla ventilazione spontanea a pressione negativa. [50]

55 Non da meno, la stabilità sternale è considerata un fattore chiave nella prevenzione della deiscenza e delle infezioni sternali. Quale sia la migliore tecnica per ottenere una stabile tenuta sternale è ancora argomento controverso, ed attualmente non esiste un algoritmo unificato per la richiusura, specialmente nei pazienti ad alto rischio. La chiusura tradizionale dello sterno include 6 o più suture d’acciaio passanti a livello trans-sternale o para-starnale, con una letteratura che dimostra un’efficacia equivoca nel raggiungimento della fissità sternale. [51] Alcuni chirurghi hanno adottato la tecnica di Robicsek, usando delle suture continue d’acciaio parasternali che possono determinare una maggiore stabilità, ma la letteratura è ancora divisa a riguardo.

Uno studio del 2016 di Oxford ha messo in evidenza che la tecnica di chiusura di Pioneer, sebbene comporti una stabilità sternale maggiore, non riduce l’incidenza di infezioni sternali profonde. È stato evidenziato, invece, che l’utilizzo di placche sternali in pazienti ad alto rischio, può ridurre l’incidenza di infezioni profonde e mediastiniti. [52]Comunque, le placche sternali sono eccessivamente costose ed il loro utilizzo è giustificato solo in pazienti con alto rischio di infezioni profonde.

Per scongiurare il rischio delle tecniche di stabilizzazione interna, dispositivi di stabilizzazione esterna, come il corpetto Posthorax, hanno guadagnato un largo consenso. Gorlitzer [53]ha dimostrato che questo dispositivo, insieme al bendaggio elastico, riduce la necessità di re-intervento. È stato osservato che confrontando i due dispositivi, l’incidenza di infezioni sternali si attesta intorno allo 0,6% con l’utilizzo del corpetto, ed al 3,9% con l’uso del bendaggio.

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3.4 Complicanze

3.4.1 Osteomielite

L’osteomielite cronica sternale che segue la sternotomia mediana costituisce una seria complicazione della Cardiochirurgia, e si presenta come un tratto fistoloso drenante un liquido purulento in pazienti con ferita sternale suturata. [54] Si presenta come un’infezione cronica, a bassa virulenza, in assenza di sintomi sistemici, associata a peggioramento della qualità di vita del paziente e ad un aumento della spesa ospedaliera. Le fistole insorgono generalmente in seguito alla dimissione del paziente, di solito dopo diverse settimane, mesi o addirittura anni dall’esecuzione della sternotomia, sebbene il 90% si sviluppino entro i primi 28 giorni. [55] Questo è il motivo per cui è difficile stabilire la loro vera incidenza: si pensa che in realtà, il tasso di questa complicanza sia maggiore di quanto descritto in letteratura. Inoltre, in presenza di deiscenza della ferita sternale, è difficile distinguere se si tratti solamente di un’infezione superficiale, o di un’emergenza chirurgica quale l’osteomielite sternale. Dalla letteratura emerge che l’incidenza dell’osteomielite si attesta intorno all’1-3%[56], sebbene alcuni autori descrivono un’incidenza anche dell’8%, con una mortalità tra il 19-29%. La diagnosi precoce ed il trattamento chirurgico adeguato sono cruciali per la prognosi della malattia: in questo modo, è possibile ottenere un significativo miglioramento della sopravvivenza. Le infezioni primitive, i tumori, le radiazioni, possono essere tutte cause di osteomielite, ma sicuramente la situazione maggiormente predisponente è rappresentata da un intervento cardiochirurgico eseguito via sternotomia mediana.

Lo sviluppo e la progressione dell’infiammazione dipendono dallo stato fisico del paziente, dalla virulenza del patogeno, dall'entità del danno al tessuto molle, dal flusso ematico garantito alla componente ossea, dal materiale allogenico introdotto e dalla fase di guarigione ossea in cui si sviluppa l’infezione.

57 Fattori di rischio

Sono diversi i fattori di rischio associati allo sviluppo di osteomielite, alcuni dipendenti dal paziente ed altri dalla procedura chirurgica, sistemici o localizzati.

Tra i fattori di rischio sistemici si riscontrano: - obesità;

- diabete insulino-dipendente o non controllato; - soppressione immunitaria;

- fumo e BPCO;

- arteriopatia periferica;

- insufficienza renale o epatica;

- allergia verso i materiali utilizzati nella procedura chirurgica: la formazione di un eczema può rendere difficoltosa la riparazione tissutale. Studi in pazienti allergici a Nickel o Cromo hanno dimostrato lo sviluppo di infezione nel 13,2% dei casi, rispetto al 2% nei pazienti non allergici.

Tra i fattori di rischio locali troviamo invece:

- ipoperfusione della regione traumatizzata, come ad esempio avviene nel caso di utilizzo della doppia arteria mammaria per eseguire un duplice bypass coronarico;

- stasi venosa, arteriti, linfedema;

- osteoporosi, che comporta una maggiore debolezza e difficoltà nella riparazione dell’osso. [57]

58 Iter diagnostico

Solitamente, la diagnosi di osteomielite viene eseguita clinicamente, grazie allo sviluppo di segni locali tipici dello spettro infiammatorio, quali dolore, arrossamento, bruciore, rigonfiamento, uniti alla presenza di secrezione sierosa o francamente purulenta a livello di una fistola cutanea che si porta in profondità. Inoltre, l’aumento della temperatura corporea, ed il ritrovamento laboratoristico di una leucocitosi e PCR in aumento confermano la presenza di uno stato infiammatorio. In casi gravi, fin dalla diagnosi può essere presente una franca batteriemia per il diffondersi dell’infezione oltre lo sterno. Alla palpazione dello sterno, questo può risultare non saldato, fatto reso noto anche dall’insorgenza di scrosci e crepitii avvertiti alla palpazione dello stesso se si chiede al paziente di tossire.

A questo punto è essenziale eseguire una RX in due proiezioni, e le immagini devono essere attentamente valutate.

Infine, nel caso di diagnosi controversa, se sussistono fistolizzazioni con secrezione annessa, può risultare utile per chiarire ulteriormente il quadro, l’esecuzione di RM o TC con ricostruzione 3D dello sterno, sia per valutare se l’infezione è espansa all’intero mediastino, sia per valutare in toto lo stato dell’osso.[58] Nella maggior parte dei pazienti il quadro TC dell’osso dimostra la presenza di zone multiple di osteolisi sulla linea mediana, in corrispondenza dell’incisione sternotomica, molto spesso con caratteristiche di erosione completa. Le immagini radiologiche sono molto importanti, poiché la localizzazione delle fistolizzazioni può suggerire che l’osteomielite possa essersi originata da una ricaduta di una precedente infezione di lunga data a bassa virulenza, causata probabilmente da un nido di batteri stanziato all’interno della sostanza spongiosa, e non una primaria infezione originata dai punti d’acciaio. Infatti, queste suture sono più probabilmente coinvolte nell’infezione in un secondo momento, piuttosto che essere loro stesse la causa dell’infezione primaria stessa.

59 Le immagini ottenute con RM permettono di valutare in modo migliore le condizioni infiammatorie dei tessuti molli e del periostio; le immagini dovrebbero essere eseguite tramite somministrazione di mezzo di contrasto, sottraendo il segnale del tessuto adiposo, evitando così l’esaltazione nelle immagini T1-pesate dell’adipe e del midollo osseo, accrescendo così l’accuratezza diagnostica.

Prima di eseguire qualsiasi trattamento antibiotico è inoltre necessario investigare tramite un esame microbiologico se sia presente, e in questo caso quale/i siano i microorganismi responsabili, dell’infezione: si preferisce solitamente un prelievo di tessuto profondo rispetto ad un tampone di secreto superficiale.

I più comuni batteri responsabili di osteomielite cronica sono i Gram-positivi, che si ritrovano in circa il 67% delle infezioni sternali. Tra di essi, i principali sono gli Stafilococchi, con una predominanza del 60% rispetto al totale dei Coagulasi-negativi (CoNS). Lo Staphylococcus aureus, al contrario, è meno comune, si ritrova solo in 1/3 circa delle infezioni da Stafilococchi, ed è più frequentemente associato ad infezioni polimicrobiche.[58] Altri batteri non raramente responsabili di osteomielite sono il Corynebacterium (10% dei casi, spesso in associazione con CoNS) ed i Gram-negativi (circa 21% dei casi), come Enterobacter e Pseudomonas Aeruginosa. Rare infezioni possono essere invece date da funghi (Candida o Aspergillus) o micobatteri.

Trattamento

Il trattamento dell’osteomielite è di fondamentale importanza, in quanto se esso non viene eseguito, la mortalità si attesta intorno al 100%.

In generale, il trattamento si può suddividere in due sezioni principali: - bonifica dell’infezione;

60 La decisione di eseguire una terapia medica o una revisione chirurgica dipende principalmente dal Performance Status del paziente: non è raro trovarsi di fronte a pazienti con ridotta funzione renale o addirittura insufficienza renale con necessità di emodialisi, o pazienti con severe cardiopatie che controindicano un ulteriore intervento, a causa dell’elevato rischio di mortalità e morbidità. Inoltre, gli alti costi ospedalieri connessi al prolungato ricovero in ospedale ed all’uso di costosi nuovi farmaci per via parenterale, rendono necessario l’utilizzo di opzioni terapeutiche alternative più economiche. [59] Per questo, in pazienti a maggior rischio si tenta inizialmente di eseguire un trattamento antibiotico conservativo, evitando un aggressivo debridement o una resezione sternale.

La terapia antibiotica è sempre diretta nei confronti del batterio identificato, eccetto nei pazienti in cui non è stata identificata crescita colturale, in cui è invece eseguita una terapia empirica combinata, diretta contro le diverse specie di Stafilococco. Nella maggior parte dei pazienti, la somministrazione orale è da preferire in combinazione di due antibiotici, per evitare l’insorgenza di resistenze; la Rifampicina è l’antibiotico principalmente preferito come secondo agente, anche in caso di batteri ad essa resistenti, poiché aumenta l’attività anti- Stafilococcica del primo antibiotico. [60] Quando necessario, l’interazione con anticoagulati orali è risolta utilizzando l’Enoxaparina al posto del Warfarin. La terapia antibiotica deve essere prolungata da un minimo di 3 mesi ad un massimo di 30 mesi, e nei pazienti con una buona funzione renale si utilizzano i dosaggi massimi per raggiungere le concentrazioni terapeutiche per tutta la durata del trattamento. Un altro antibiotico, il Lizenolid, sembra avere un ottimo outcome nei confronti dei CoNS e di Corynebacterium, ma la sua principale limitazione è la massima durata del trattamento di 28 giorni: i pazienti affetti da questi germi perciò richiedono una terapia proseguita con altri antibiotici. Risultati molto buoni sono stati

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