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Nella Cardiochirurgia mini-invasiva, le metodiche di cannulazione per l’allestimento del bypass cardio-polmonare hanno subito nel tempo una grande evoluzione: si passa da una cannulazione femorale con clampaggio endoaortico, alla cannulazione diretta dell’aorta ed al suo clampaggio attraverso la stessa incisione toracotomica. [27] La scelta tra i due diversi approcci varia in base alla preferenza del chirurgo, sebbene solitamente l’utilizzo di un accesso periferico consenta una migliore visualizzazione a livello dell’incisione primitiva che, nella chirurgia mini-invasiva, è già ostacolata dalla dimensione dell’incisione.

La cannulazione dell’arteria femorale prevede solitamente lo studio pre-operatorio dei vasi femorali e dell’aorta tramite angio-TC o Ecodoppler, in modo da evidenziare l’eventuale presenza di vasi tortuosi o calcificati che renderebbero l’operazione più complessa. In caso di vasi ottimali si può procedere con l’intervento, mentre in pazienti con patologia vascolare femorale o aorto-iliaca diagnosticata, si procede con la cannulazione dell’arteria ascellare sotto guida fluoroscopica.

39 Figura 11: incisione inguinale con incisione dell’arteria femorale (A)

La cannulazione ha inizio con l’esecuzione di un’incisione verticale sia a livello dell’inguine destro che sinistro, in modo da esporre i vasi femorali per la cannulazione. È necessario porre attenzione a non danneggiare i vasi linfatici, localizzati tra la vena e l’arteria femorale. Utilizzando la tecnica di Seldinger modificata, l’arteria femorale è penetrata con una cannula di grandezza variabile da 15F a 19F, a seconda della superficie corporea del paziente. La vena femorale, di dimensioni maggiori rispetto all’arteria, viene cannulata con una cannula 25F, e l’ETE è utilizzata per raggiungere la cava superiore.

40 Figura 12: dilatazione dell'arteria femorale e inserimento della cannula

All’aumentare della complessità degli interventi mini-invasivi, le complicanze associate all’accesso inguinale sono maggiori, tra cui il danno dell’arteria femorale, i sieromi inguinali, e le infezioni della ferita inguinale. [28]

Lamelas e colleghi [29] hanno eseguito una review sugli interventi mini-invasivi con accesso femorale degli ultimi 6 anni (2011-2017), concludendo che l’incidenza di stroke (1,17%) e di danno arterioso periferico come fistola, dissezione e aneurisma (0,07%) non è elevata, e perciò il rischio è accettabile. La più comune complicanza riscontrata è il sieroma inguinale (6,58%).

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2.7 Radialectomia

L’arteria radiale è stata utilizzata per la prima volta per l’allestimento di bypass coronarici da Carpentier nel 1971, in merito alle sue caratteristiche vantaggiose, quali la lunghezza, il calibro, la facilità dell’isolamento e la migliore biocompatibilità. [30] Nonostante ciò, emerse ben presto che la pervietà di questa arteria era difficile da mantenere nel tempo, fattore da attribuire alla sua marcata spasticità, che condurrebbe a un’occlusione funzionale; perciò questa metodica fu abbandonata per anni, ed il bypass venoso riacquistò il suo precedente primato.[31] A partire dai primi anni ‘90 però, studi hanno dimostrato che l’arteria radiale può essere effettivamente un ottimo condotto per quanto riguarda la latenza della pervietà: se eliminata l’eccessiva spasticità di questa arteria, infatti, questa si adatta in modo migliore al flusso coronarico, ed inoltre rispetto alla vena safena dà origine ad una proliferazione intimale inferiore, riducendo il rischio di occlusione.[32] Questo è stato reso possibile proprio in quegli anni con l’introduzione di terapie mediche antispasmodiche. Se si considera il tasso di perdita di pervietà diviso in tre stadi (precoce: < 6 mesi; intermedio: 6-36 mesi; tardivo: >36 mesi), si può osservare che il tasso di perdita di pervietà precoce è correlabile alla tecnica chirurgica ed alla terapia medica. Il diametro dell’arteria radiale si anastomizza in modo migliore con il diametro dei vasi coronarici, perciò anche le anastomosi più distali sono più facili da realizzare, e si riduce il rischio di trombosi e di danno intimale.[33] Per quanto riguarda la pervietà a medio e lungo-termine, questa può essere correlata al processo di rimodellamento del vaso, attribuibile al grado variabile di iperplasia intimale. È ormai riconosciuto che la pervietà luminale è maggiormente attribuibile alle caratteristiche biologiche del vaso ed alla sua resistenza nei confronti dell’aterosclerosi. L’arteria radiale può sopportare un flusso ed una pressione maggiore rispetto alla vena safena, e le anastomosi hanno una maggiore biocompatibilità. [34] Inoltre l’utilizzo dell’arteria radiale è stato

42 associato ad un tasso inferiore di re-intervento coronarico, e ad un rischio di infarto e mortalità inferiori.

2.7.1 Tecnica chirurgica

Solitamente il braccio da cui si isola l’arteria radiale è quello non dominante. La procedura può essere eseguita in open o in modalità endoscopica, con l’utilizzo o meno di uno scalpello ad ultrasuoni, e l’arteria può essere prelevata scheletrizzata o insieme ai tessuti che la circondano.

Figura 13: prelievo dell’arteria radiale in open

La tecnica tradizionale è quella descritta da Reyes nel 1995. Un’incisione estesa per tutto l’avambraccio è eseguita lungo il decorso dell’arteria, da un punto subito antecedente il tendine palpabile del bicipite, fino ad un punto collocato tra il tendine del muscolo flessore carporadiale e lo stiloide radiale. Si procede aprendo il grasso sottocutaneo e la fascia profonda sopra i muscoli brachioradiale e flessore radiale del polso, al fine di esporre l’arteria. I vasi collaterali sono clippati e recisi con l’elettrobisturi. Prima della richiusura è necessario

43 porre estrema attenzione all’emostasi, per ridurre al minimo il rischio di sindrome compartimentale dell’avambraccio nel post-intervento. Rimuovere l’arteria insieme al tessuto adiposo circostante, evitando di utilizzare eccessivamente l’elettrobisturi, riduce il rischio di danneggiare l’arteria.

Nel 1998 è stata introdotta una nuova tecnica che si avvale di uno scalpello ad ultrasuoni, e che non prevede il clippaggio e la resezione dei vasi collaterali, e questa tecnica ha permesso di migliorare la tempistica operatoria e soprattutto di ridurre il possibile spasmo arterioso, responsabile della perdita di pervietà del lume vasale. Questo scalpello taglia e coagula causando un minimo danno termico alle strutture che incontra.

Infine Connolly ha descritto la tecnica endoscopica di isolamento dell’arteria. Questa metodica è stata introdotta al fine di limitare le comorbidità post-operatorie e migliorare la soddisfazione del paziente dal punto di vista estetico. Il polso del paziente è iperesteso, ed un’incisione di 3 cm viene eseguita longitudinalmente iniziando 1 cm prossimalmente allo stiloide radiale, così da permettere il posizionamento del divaricatore, e, successivamente, l’arteria viene prelevata insieme al tessuto adiposo ed alla vena che l’accompagnano, con l’aiuto di un endoscopio. Un’esposizione migliore può essere ottenuta insufflando CO₂ a livello dell’incisione primaria, così da creare un tunnel intorno all’arteria.

Se, invece, l’arteria viene scheletrizzata prima di essere escissa, ovvero vengono rimossi del tutto i tessuti che la circondano, il rischio di danneggiamento vascolare è maggiore, ma i vantaggi sono notevoli: riduzione delle infezioni sternali, migliore risposta agli agenti vasodilatanti che rendono merito alla prolungata durata della pervietà del vaso. [35]

L’introduzione della tecnica endoscopica ha reso possibile la riduzione di diverse complicanze, tra cui:

- l’infezione della ferita chirurgica; - la formazione di ecchimosi, ematomi;

44 - parestesie.

Per quanto riguarda invece la durabilità della pervietà del vaso e la mortalità dei pazienti non sono state riscontrate differenze significative rispetto alla metodica tradizionale in open.[36]

La prima controindicazione all’escissione dell’arteria radiale è l’insufficiente afflusso di sangue arterioso all’avambraccio garantito dall’arteria ulnare. Prima di eseguire l’intervento, infatti, è necessario valutare se il flusso dell’arteria ulnare è bastante per l’irrorazione, in assenza del flusso garantito dall’arteria radiale. Il flusso dell’arteria ulnare può essere stimato attraverso il Test di Allen: il medico spinge con forza sui due polsi (ulnare e radiale) del braccio non dominante, mentre il paziente stringe il pugno alla massima forza possibile, per la durata di 1 minuto; a questo punto si chiede al paziente di rilasciare la mano, ed il medico rilascia la pressione sul polso ulnare: se il colore della mano, delle dita e la saturazione rientrano nella normalità entro 5 secondi, l’arteria ulnare ha un flusso sufficiente, e l’intervento può essere eseguito senza il rischio di determinare ischemia a livello dell’avambraccio. La valutazione del flusso può comunque essere eseguita anche semplicemente con un studio Ecocolordoppler.

Altre controindicazioni all’espianto dell’arteria radiale sono la severa aterosclerosi con calcificazioni della stessa arteria, una stenosi significativa evidenziata al doppler, una storia di vasculiti o la Sindrome di Raynaud. Inoltre è stato dimostrato che pazienti con diabete mellito, vasculopatia periferica o elevati livelli di creatinina, sono più vulnerabili a complicanze neurologiche dopo l’isolamento dell’arteria. [37]

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Capitolo 3

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