UNIVERSITÀ DI PISA
Scuola di Ingegneria
Corso di Laurea Magistrale in INGEGNERIA CHIMICA
Dipartimento di Ingegneria Civile e Industriale (DICI)
Tesi di Laurea Magistrale
“Sistemi di gestione HSE per impianti industriali: un approccio innovativo basato sull’analisi dei rischi”
Relatori Candidato Dott. Ing. Monica Puccini Luigi Picconi Prof. Leonardo Tognotti
Controrelatore
Dott. Ing. Gabriele Landucci
I
S
OMMARIO
Indice delle Tabelle ... V Indice delle Figure ... VII
1. Introduzione ... 1
Riferimenti... 4
2. Normativa di riferimento ... 5
2.1 La nascita della direttiva Seveso ... 5
2.2 Seveso II ... 6
Seveso II bis ... 6
2.3 La normativa vigente (Seveso III) ... 8
2.4 Rapporto di sicurezza ... 10
2.5 Piano emergenza interno ... 10
2.6 Piano emergenza esterno ... 11
2.7 Modellazione conseguenze ... 12
Riferimenti... 14
3. Scopo del lavoro ... 15
4. Metodologia ... 17
4.1 Approccio ... 17
Cenni generali ... 17
Dati preliminari ... 18
Identificazione delle apparecchiature di processo ... 19
Definizione dei modi di guasto e dei LOCs ... 19
II
Descrizione dei possibili scenari incidentali ... 20
Calcolo delle distanze di danno ... 23
4.2 Schematizzazione apparecchiature e indici di prestazione ... 25
Scheda apparecchiature[2] ... 25
Calcolo degli indici di rischio ... 26
Modellazione effetti fisici ... 27
Riferimenti... 29
5. Il software Chemical Controls ... 30
5.1 Predecessori: il sistema HACPACK PTS[1] ... 30
5.2 Il sistema DATACH IMPIANTI 3D[1] ... 31
Riferimenti... 37
6. Modelli ... 38
6.1 Approccio TNO per la modellazione[1] ... 38
Scelta dei modelli secondo il TNO ... 39
6.2 Calcolo dei termini sorgente[8] ... 42
Rilascio di gas... 42
Rilascio di liquido ... 43
Formazione ed evaporazione pozza ... 45
6.3 Definizione della classe di stabilità atmosferica ... 46
Stabilità verticale: Metodo di Monin-Obukhonov[1,11] ... 46
Stabilità orizzontale: Metodo di Yamartino[13] ... 48
Profilo di velocità del vento ... 49
6.4 Free-Jet: Modello di Chen-Rodi[1-2] ... 51
III
Getti galleggianti ... 53
Limiti di infiammabilità ... 54
6.5 Innalzamento del plume ... 55
Plume a galleggiamento negativo: Modello di Hoot, Meroney, Peterka[1,4] ... 55
Plume a galleggiamento positivo: Modelli di Briggs e Davidson[1,3,5] ... 56
6.6 Dispersione passiva dei gas ... 59
Modello GMP per i gas leggeri[14] ... 59
Modello SLAB per i gas pesanti[7] ... 61
Riferimenti... 63
7. Definizione dei casi analizzati ... 65
7.1 Metodo di validazione[1] ... 65
7.2 Casi validazione ... 68
Prairie grass[2] ... 68
Ammonia Large-scale atmospheric dispersion tests[3] ... 70
7.3 Caso studio industriale ... 72
Descrizione delle sostanze utilizzate ... 72
Oggetto dell’analisi ... 75
Ipotesi incidentali ... 75
Valutazione delle frequenze ... 75
Modellazione delle conseguenze ... 76
Riferimenti... 78
8. Risultati ... 79
8.1 Risultati della validazione ... 79
IV
Progetto Ineris ... 81
8.2 Risultati del caso studio ... 84
8.3 Implementazione grafica dei modelli e analisi di sensitività ... 86
Caso 1: rilascio continuo di metano gassoso ... 86
Caso 2: rilascio di vapore di ammoniaca ... 89
Caso 3: evaporazione pozza di ammoniaca... 95
Caso 4: rilascio istantaneo ... 98
Caso 5: rilascio vapore GPL ... 99
Caso 6: evaporazione pozza GPL ... 105
Riferimenti... 107
9. Discussione ... 109
10. Conclusioni ... 111
Appendice A – Modellazione con Matlab ... 113
Pagina principale: algoritmo TNO e dichiarazione variabili ... 113
Modelli per i termini sorgente ... 115
Rilascio di Gas ... 115
Evaporazione Pozza ... 115
Modelli per la stabilità atmosferica ... 116
Monin-Obukhonov ... 116
Yamartino ... 119
Modelli per le dispersioni ... 120
Briggs/Davidson integrato al GMP ... 120
HMP ... 123
V
Indice delle Tabelle
Tabella 1: Soglie di danno definite dalla normativa
Tabella 2: Esempio di caratterizzazione delle apparecchiature secondo criteri geometrici e operativi
Tabella 3: Esempio di matrice di impatto
Tabella 4: Valori delle costanti a,n in funzione della stabilità atmosferica Tabella 5: Valori assegnati alla costante P secondo la classificazione TNO, EPA, ALOHA.
Tabella 6: Valori assegnati alla rugosità del terreno nella classificazione TNO e EPA
Tabella 7: Valori delle costanti empiriche ricavati da Chen e Rodi
Tabella 8: Parametri per il calcolo dei coefficienti di diffusione secondo il TNO.
Tabella 9: legenda per alcuni dati di Prairie Grass.
Tabella 10: Dati relativi ai serbatoi usati per l'esperimento di INERIS Tabella 11: Caratteristiche chimico-fisiche dell'ammoniaca
Tabella 12: Caratteristiche chimico-fisiche del Metano Tabella 13: Caratteristiche chimico-fisiche del GPL Tabella 14: Riassunto casi analizzati
Tabella 15: Risultati confronto dati Prairie Grass Tabella 16: Suddivisione delle prove e modelli utilizzati
VI
Tabella 18: Risultati della validazione dei dati INERIS con i modelli "ibridi"
Tabella 19: Valori delle frequenze ricavati dalla letteratura. Tabella 20: Valori delle probabilità ricavati da letteratura.
Tabella 21: Frequenze stimate per gli scenari incidentali per ammoniaca e metano.
Tabella 22:Frequenze stimate per gli scenari incidentali per GPL. Tabella 23: Risultati relativi al Caso 1
Tabella 24:Risultati relativi ai casi 2a, 2b, 2c. Tabella 25: Risultati relativi ai casi 2d e 2e. Tabella 26:Risultati relativi al caso 2f
Tabella 27: Risultati relativi ai casi 3a e 3b. Tabella 28: Risultati relativi ai casi 5a, 5b e 5c. Tabella 29: Risultati relativi ai casi 5d e 5e. Tabella 30: Risultati relativi al caso 5f. Tabella 31: Risultati relativi ai casi 6a e 6b
VII
Indice delle Figure
Figura 1: Diagramma con descrizione, suddivisione e scopo del lavoro Figura 2: Diagramma a blocchi della procedura
Figura 3: Esempio di scheda per la raccolta dei dati sull’apparecchiatura Figura 4: HACPACK PTS, Porto di Civitavecchia, vista aerea zona nord Figura 5: Impianto ricostruito tramite fotogrammetria
Figura 6: Monitoraggio in tempo reale delle apparecchiature di processo Figura 7: Gestione emissioni e scarichi, limiti autorizzativi
Figura 8: Diagramma a blocchi dell'algoritmo TNO Figura 9: Classi di stabilità secondo Pasquill
Figura 10: Rappresentazione grafica dell'innalzamento del plume per i gas pesanti.
Figura 11: Rappresentazione grafica della dispersione gaussiana.
Figura 12: Equazioni e rappresentazione grafica di una dispersione di gas pesante con il modello SLAB
Figura 13: Esempio di grafico per la rappresentazione di MG e VG preso dallo studio di Hanna et al.
Figura 14: Dati relativi agli esperimenti di Prairie Grass[2] Figura 15: Dati relativi agli esperimenti effettuati da INERIS[3]
Figura 16: Frasi di rischio relative alle sostanze utilizzate
Figura 17: a) Grafico validazione dati di Prairie Grass; b) Confronto del risultato con lo studio di Hanna et al.
VIII
Figura 18: Rappresentazione grafica della validazione dei dati INERIS con diversi modelli.
Figura 19 Albero associato al rilascio R1
Figura 20 Albero associato ai rilasci R2 e R3 per la fase liquida Figura 21 Albero associato ai rilasci R2 e R3 per la fase vapore Figura 22: Rappresentazione del Free-Jet di metano con MATLAB. Figura 23: confronto tra il caso 1a e 1b su Matlab
Figura 24: Rappresentazione del caso 1a con DataCh Figura 25: Rappresentazione del caso 1b con DataCh
Figura 26: Rappresentazione dell'innalzamento di un plume leggero Figura 27: Footprint della dispersione passiva per gli assi x-y e x-z calcolato con Matlab
Figura 28: Altezza massima del plume per i casi 2a, 2b, 2c Figura 29: Altezza massima del plume per i casi 2a, 2d, 2e Figura 30: Altezza massima del plume per i casi 2a, 2f Figura 31:Rappresentazione del caso 2a con DataCh Figura 32: Rappresentazione del caso 2b con DataCh Figura 33: Rappresentazione del caso 2f con DataCh
Figura 34:Innalzamento del plume nel caso di pozza evaporante calcolato con Matlab per il caso 3b
IX
Figura 36: Rappresentazione del rilascio istantaneo con DataCh (istante 1).
Figura 37: Rappresentazione del rilascio istantaneo con DataCh (istante 2).
Figura 38: Rappresentazione grafica e andamento della concentrazione del plume calcolati con Matlab.
Figura 39: Andamenti dell'altezza e della concentrazione per i casi 5a, 5b, 5c
Figura 40: Andamenti dell'altezza e della concentrazione per i casi 5a, 5d, 5e
Figura 41: Andamenti dell'altezza e della concentrazione per i casi 5a e 5f
Figura 42: Rappresentazione del caso 5b con DataCh Figura 43: Rappresentazione del caso 5a con DataCh Figura 44: Rappresentazione del caso 5b con DataCh Figura 45: Rappresentazione del caso 6a con Matlab
Figura 46: Confronto tra le altezze al variare delle condizioni meteo Figura 47: Rappresentazione del caso 5b con DataCh
1
L’analisi dei rischi in campo industriale, e la loro modellazione, sono un aspetto fondamentale necessario in tutte le valutazioni inerenti alla sicurezza degli impianti. Per la simulazione degli scenari, sia per applicazioni industriali, sia per ricerche e studi di carattere scientifico, tra i software commerciali più utilizzati possiamo trovare: PHAST, ALOHA, SLAB, HEGADIS, CALPUFF ed altri. Tutti questi strumenti sono frutto di decenni di lavoro da parte di varie agenzie che operano in campo ambientale (sia pubbliche che private) e sono ampiamente validati, accettati e utilizzati.
Linee guida per l’analisi delle conseguenze invece, sono fornite dal TNO (Netherlands organization for applied scientific research) con i Coloured Books. Questa collana di libri è utilizzata in tutto il mondo come materiale standard di riferimento per gli studi in campo di sicurezza, il TNO inoltre li ha usati come basi per i software Effects e Riskcurves, utilizzati anch’essi per la modellazione delle conseguenze. I libri presenti nella collana sono:
• Yellow Book, che contiene metodi per il calcolo degli effetti fisici dovuti al rilascio di materiali pericolosi;
• Green Book, che contiene metodi per la determinazione dei possibili danni su persone e oggetti dovuti ai rilasci di materiali pericolosi;
• Purple Book, che contiene linee guida per il QRA;
• Red Book, che contiene metodi per determinare e calcolare le probabilità.
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Nell’ambito delle industrie petrolifiere, si adotta è possibile utilizzare invece le linee guida dell’API (American Petroleum Institute) come ad esempio l’API 580[2]
In Italia fin dagli anni ’90 sono stati sviluppati alcuni documenti tecnici di indirizzo, in forma di linee guida, per la scelta e l'uso dei modelli di dispersione degli inquinanti in atmosfera, in particolare per la gestione della qualità dell'aria anche a completamento delle reti di monitoraggio. I rapporti e le linee guida sono reperibili su internet nei siti delle agenzie regionali per la protezione ambientale (ARPAT nel caso della Toscana). Sempre l’ARPAT, seguendo queste linee guida, ha proposto uno strumento chiamato COMOTOX, per la simulazione rapida e stima dell’evoluzione di nubi tossiche come supporto nell’attuazione dei piani di emergenza esterni.
Da un punto di vista di progettazione delle apparecchiature, hanno preso sempre più piede negli ultimi decenni, gli approcci basati sulla sicurezza intrinseca. Il concetto di inherent safety è stato introdotto dall’ingegnere chimico Trevor Kletz in un articolo del 1978 intitolato: “What you don’t have, can’t leak”[3] in cui si parlava del disastro di Flixborough. Kletz
espone gli obiettivi da perseguire durante il design delle apparecchiature che sono:
• Minimizzare la quantità di materiale pericoloso presente nel processo utilizzando apparecchiature più piccole;
• Sostituire materiali pericolosi con materiali che presentano rischi minori (per esempio, quando possibile utilizzare acqua invece che solventi infiammabili);
• Attenuare gli effetti utilizzando quando possibile condizioni operative più agevoli;
3
• Semplificare i processi eliminando nel design le apparecchiature superflue e cercando di evitare procedure complesse.
L’analisi di sicurezza intrinseca può essere applicata a tutti i livelli del design del processo o a processi in corso. Essendo necessarie molte informazioni sul processo, gli strumenti sviluppati per questo tipo di analisi sono principalmente metodi a indici che permettono di identificare e rappresentare schematicamente tutti i rischi del processo, e le alternative per affrontarli in sede di progettazione. Un aspetto fondamentale in questo tipo di approccio è la caratterizzazione delle apparecchiature. La tassonomia non è il semplice elenco delle apparecchiature di un processo, ma segue precisi criteri per la definizione delle principali categorie di apparecchiature, che possono essere raggruppate secondo criteri geometrici o funzionali. Una buona suddivisione permette di raggruppare le apparecchiature secondo caratteristiche comuni e quindi avere una buona visione generale di quelli che sono i generici guasti e le relative frequenze. Partendo dalla tassonomia inoltre è possibile definire indici di prestazione del processo che possono poi essere utilizzati insieme a tutti i parametri di analisi della sicurezza intrinseca.
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Riferimenti
[1] Uijt de Haag PAM, Ale BJM., 1999, “Guidelines for Quantitative Risk Assessment (Coloured Books)”, The Hague, The Netherlands: Committee for the Prevention of Disasters.
[2] Unknown, 2016, “API RP 580, Risk-Based Inspection, third edition”, American etroleum Institute.
[3] Kletz, T.A., 1978, “What You Don’t Have, Can’t Leak”, Chemistry and Industry pag 287–292.
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2.1 La nascita della direttiva Seveso
Il 10 luglio 1976, nell’impianto ICMESA di Seveso, il sistema di controllo di un reattore chimico destinato alla produzione di triclorofenolo andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. La causa principale fu l'arresto volontario della lavorazione senza che fosse azionato il raffreddamento della massa reagente; l’apertura delle valvole di sicurezza evitò l’esplosione del reattore, ma l'alta temperatura raggiunta aveva innescato una reazione secondaria che comportò una massiccia formazione diossina che fuoriuscì nell'aria in quantità non definita. Si formò quindi una nube tossica, che colpì i comuni limitrofi con conseguenti ripercussioni di tipo sanitario e ambientale molto gravi[1]. Si pose immediatamente la problematica della scarsa conoscenza e sottovalutazione dei rischi derivanti dalla presenza di insediamenti produttivi industriali. La maggiore attenzione alla tutela e salvaguardia dell’ambiente e alla qualità della vita degli individui indusse quindi i paesi aderenti alla Comunità Europea a dotarsi di una normativa comune diretta a prevenire gli incidenti industriali. Il 24 giugno 1982 fu emanata, quindi, la direttiva del Consiglio Europeo 82/501/CE sui rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, comunemente indicata come Direttiva Seveso. Questa Direttiva, recepita in Italia sei anni dopo con il DPR n. 175/1988, associa il pericolo di incidente rilevante all'attività di stabilimenti industriali che detengono sostanze pericolose (infiammabili, esplosive, comburenti, tossiche per l’uomo o per l’ambiente) oltre determinate soglie quantitative e introduce controlli del rischio attraverso l'esame da parte dell'autorità pubblica del Rapporto di
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sicurezza che tali stabilimenti (di fascia alta) devono redigere e aggiornare periodicamente.
La direttiva dispone:
• Il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose;
• L'esistenza in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza;
• La cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino; • Il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio; • L'informazione degli abitanti delle zone limitrofe;
• L'esistenza di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio. Il controllo è affidato alle agenzie regionali per la protezione ambientale (es. ARPA, Vigili del fuoco, CTR).[1]
2.2 Seveso II
Negli anni a seguire il sistema di approccio ai sistemi di sicurezza nell'ambito industriale è ulteriormente cambiato, attraverso la direttiva 96/82 CEE, recepita in Italia con il D.Lgs. 334/99, in cui viene diminuito il numero di sostanze definite materie pericolose da 180 a 50 affiancando a questo elenco una lista di classi di pericolosità che ha ampliato il campo di applicazione del decreto.
Seveso II bis
Dopo l'incidente nell’impianto AZF Grande Paroisse di Tolosa (che ha causato 31 vittime e uno sversamento di nitrato d'ammonio nell'ambiente circostante)[3], e l’esplosione in un'azienda di materiale pirotecnico a
Enschede nei Paesi Bassi (22 vittime, e migliaia di feriti e sfollati)[3] si è vista l'esigenza di attuare delle modifiche alla Seveso II con la direttiva
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2003/105/CE, recepita in Italia con Decreto Legislativo 21 settembre 2005, n. 238.
In questa normativa si sono introdotti nuovi limiti per le aziende che detengono nitrato di ammonio, materiale pirotecnico e per le aziende minerarie, oltre all'abbassamento dei valori limite per le sostanze tossiche e l'innalzamento dei limiti per le sostanze ritenute cancerogene.
Gli adempimenti delle diverse categorie introdotti, sono (Art 5.2, 6, 8): • Individuare i rischi di incidente rilevante;
• Integrare il DVR (Documento di Valutazione dei Rischi) di cui al D.Lgs.81/08;
• Provvedere all'informazione, formazione e addestramento come previsto dal D.M.16/03/98;
• Trasmettere la notifica, con le modalità dell'autocertificazione, a: Ministero dell’Ambiente, Regione, Provincia, Comune, Prefetto e CTR;
• Trasmettere la Scheda di Informazione di cui all'allegato V a: Ministero dell’Ambiente, Regione, Sindaco e Prefetto;
• Redigere e riesaminare ogni 2 anni il documento di Politica di prevenzione degli incidenti rilevanti di cui all'articolo 7;
• Attuare il SGS (Sistema di Gestione della Sicurezza) di cui allo stesso documento;
• Trasmettere il RdS (Rapporto di sicurezza) all'autorità competente; • Riesaminare il rapporto di sicurezza: a) ogni 5 anni; b) ad ogni modifica che costituisca aggravio del preesistente livello di rischio; c) ogni volta che intervengano nuove conoscenze tecniche in materia di sicurezza;
8
• Trasmettere al Prefetto e alla Provincia le informazioni per la stesura del Piano di Emergenza Esterno.[1]
2.3 La normativa vigente (Seveso III)
La nuova edizione della direttiva è la 2012/18/UE del 4 luglio 2012, entrata in vigore il 13 agosto dello stesso anno, per essere recepita dagli stati membri entro il 1º giugno 2015. L'Italia l'ha recepita nel proprio ordinamento giuridico con il D.Lgs. n°105 del 26 giugno 2015.
La normativa è stata modificata con la concezione di garantire alla popolazione maggiori diritti, infatti prevede un migliore accesso alle informazioni sui rischi che potrebbero sussistere nelle vicinanze di impianti industriali e su come reagire in caso di incidente. Tali informazioni, che descrivono le procedure di emergenza per la popolazione, devono essere disponibili online.
Attualmente la direttiva riguarda circa 10 000 siti industriali in tutta l'UE, dove vengono utilizzate o sono conservate sostanze chimiche o petrolchimiche o dove vengono raffinati metalli. Ogni paese dell'UE deve garantire che vengano adottate misure per affrontare gli incidenti nei pressi degli impianti industriali che ospitano grandi quantità di prodotti pericolosi. La normativa inoltre tiene conto delle modifiche tecniche a livello europeo e internazionale nella classificazione delle sostanze chimiche.
La nuova legge:
• Rende più rigorose le procedure per la consultazione pubblica in merito ai progetti, ai piani e ai programmi che coinvolgono gli impianti interessati dalla normativa;
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• Introduce modifiche alle leggi sulla pianificazione territoriale volte a garantire che gli impianti nuovi siano ubicati a distanza di sicurezza rispetto a quelli esistenti;
• Consente alle persone di agire in giudizio se ritengono di non essere state adeguatamente informate o coinvolte;
• Introduce norme di controllo più rigorose per i vari impianti, al fine di garantire l'applicazione efficace delle norme di sicurezza.
Nello specifico, rimangono pressoché invariati gli obblighi dei gestori ed il relativo sistema dei controlli da parte delle autorità competenti, ma vengono introdotte le seguenti significative novità:
• Informazione alla popolazione in coerenza con la Direttiva sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale (Dir. 2003/4/EC): chiara e comprensibile, tempestiva, “non-tecnica”, accessibile in forma elettronica;
• Classificazione delle sostanze e delle miscele allineata al Regolamento CE n. 1272/2008 (regolamento CLP relativo alla classificazione, etichettatura e imballaggio);
• Esplicita introduzione dell’obbligo di valutare tra i possibili scenari incidentali anche quelli derivanti da eventi naturali, quali ad esempio terremoti o inondazioni;
• Ampliamento ed integrazione delle richieste agli stati membri in materia di misure di controllo, anche mutuando alcune definizioni e terminologie della Direttiva 2010/75/CE IPPC: definizione a livello nazionale, regionale o locale di un piano di ispezione che interessi tutti gli stabilimenti soggetti, indicazione di frequenze minime di ispezione, adozione di procedure per le ispezioni ordinarie e straordinarie, coordinamento con altre misure di controllo.[1-2,4]
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2.4 Rapporto di sicurezza
Il rapporto di sicurezza è un elaborato tecnico, regolato e definito in Italia dal DLgs n°334 del 17 agosto 1999[5], che serve a individuare gli eventuali incidenti rilevanti possibili all'interno di uno stabilimento, col fine di attuare sistemi di prevenzione e protezione circa deviazioni dal normale funzionamento di entità rilevante.
La documentazione tecnica alla base di un RdS (Rapporto di Sicurezza) è formata da[5]:
• Piping & Instrumentation; • Process Flow Diagram; • Scheda di sicurezza;
• Manuale operativo dell'impianto; • Disegni planimetrici.
2.5 Piano emergenza interno
Il Decreto stabilisce all'articolo 20 che per tutti gli stabilimenti di soglia superiore il Gestore è tenuto a predisporre, previa consultazione del personale che lavora nello stabilimento, ivi compreso il personale di imprese subappaltatrici a lungo termine, il piano di emergenza interna: gli stessi attori vanno consultati preliminarmente in caso di riesame e sperimentazione del Piano stesso. Il Piano di Emergenza interna va adottato nei seguenti termini:
• Per i nuovi stabilimenti, prima di iniziare l'attività oppure delle modifiche che comportano un cambiamento dell'inventario delle sostanze pericolose;
• Per gli stabilimenti preesistenti, entro il 1° giugno 2016, a meno che il piano di emergenza interna predisposto anteriormente a tale data, in conformità alle disposizioni di cui al DLgs. 17 agosto 1999, n.
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334 e le informazioni che vi sono contenute nonché le informazioni di cui al comma 4 siano conformi a quanto previsto dal presente articolo e siano rimaste invariate;
• Per gli altri stabilimenti entro un anno dalla data dalla quale la direttiva 2012/18/UE si applica allo stabilimento.
Per tutti gli stabilimenti di soglia inferiore le eventuali emergenze all'interno dello stabilimento connesse con la presenza di sostanze pericolose sono gestite secondo le procedure e le pianificazioni predisposte dal gestore nell'ambito dell'attuazione del sistema di gestione della sicurezza di cui all'articolo 14, comma 5 e all'allegato 3.[4-5]
2.6 Piano emergenza esterno
Il Prefetto redige il piano di emergenza esterna per gli stabilimenti di soglia superiore e di soglia inferiore, al fine di limitare gli effetti dannosi derivanti da incidenti rilevanti entro due anni dal ricevimento delle informazioni necessarie da parte del gestore ai sensi degli articoli 19, comma 3, e 20, comma 4, e delle conclusioni dell'istruttoria di cui all'articolo 17, ove disponibili.
Per gli stabilimenti di soglia inferiore il piano è predisposto sulla scorta delle informazioni fornite dal gestore ai sensi degli articoli 13 e 19, comma 3, ove disponibili.
Tale piano va comunicato al Ministero dell'ambiente, all'ISPRA, al Ministero dell'interno, al Dipartimento della protezione civile, nonché al CTR e alla regione o al soggetto da essa designato e ai sindaci, alla regione e all'ente territoriale di area vasta. Nella comunicazione al Ministero dell'ambiente devono essere segnalati anche gli stabilimenti di cui all'articolo 5, comma 2, lettera b).
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Il piano viene riesaminato, sperimentato e, se necessario, aggiornato, previa consultazione della popolazione, dal Prefetto ad intervalli appropriati e, comunque, non superiori a tre anni. La revisione tiene conto dei cambiamenti avvenuti negli stabilimenti e nei servizi di emergenza, dei progressi tecnici e delle nuove conoscenze in merito alle misure da adottare in caso di incidenti rilevanti.
Fino all'emanazione delle linee guida per la predisposizione del piano di emergenza esterna da parte del Dipartimento della protezione civile d'intesa con la Conferenza Unificata, si applicano le disposizioni in materia di pianificazione dell'emergenza esterna degli stabilimenti industriali a rischio di incidente rilevante e di informazione alla popolazione sul rischio industriale adottate ai sensi dell'articolo 20, comma 4, del DLgs. 17 agosto 1999, n. 334. Si legge poi al comma 11 che in base alle informazioni contenute nel rapporto di sicurezza nonché trasmesse dal gestore ai sensi dell'articolo 20, comma 4, e dell'articolo 13, il Prefetto, d'intesa con la regione e gli enti locali interessati, sentito il CTR, qualora non siano ragionevolmente prevedibili effetti all'esterno dello stabilimento provocati dagli incidenti rilevanti connessi alla presenza di sostanze pericolose può decidere di non predisporre il piano. Tale decisione deve essere tempestivamente comunicata alle altre autorità competenti di cui all'articolo 13, comma 1, unitamente alle relative motivazioni. [4-5]
2.7 Modellazione conseguenze
Per quanto riguarda la modellazione delle conseguenza, la normativa[4]
definisce quattro soglie di danno: elevata letalità, inizio letalità, lesioni irreversibili, lesioni reversibili. La modellazione delle conseguenze permette di ricavare le distanze di danno corrispondenti alle soglie definite.
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La normativa definisce anche le linee guida per la pianificazione urbanistica e territoriale, che sono:
• La definizione dei valori delle soglie di danno appena descritte; • Individuazione delle classi di vulnerabilità del territorio e
ambientali;
• Valutazione delle classi di probabilità per i vari scenari (frequenze incidentali);
• Analisi della matrice di compatibilità territoriale.
Le classi di vulnerabilità del territorio vanno da A ad F e tengono in considerazione la tipologia di edifici e l’indice fondiario di edificazione. F indica la zona dello stabilimento non edificabile: A indica la zona più lontana dallo stabilimento. La valutazione delle classi di probabilità per i vari scenari è stata discussa nei capitoli 4, 7, 8. Una volta calcolata la frequenza incidentale viene assegnato un valore da 1 a 4 in base alla criticità crescente dell’evento. Unendo infine le classi di vulnerabilità con le classi di probabilità degli scenari viene compilata la matrice di compatibilità territoriale.
I valori associati alle soglie di danno sono[4]:
Tabella 1: Soglie di danno definite dalla normativa
SCENARIO INCIDENTALE Elevata letalità Inizio letalità Danni irreversibili Danni reversibili Danni strutture Incendio 12.5 kW/m2 7 kW/m2 5 kW/m2 3 kW/m2 12.5 kW/m2 BLEVE/Fireball Raggio FB 359 kJ/m2 200 kJ/m2 125 kJ/m2 200-800m (1) Flash Fire LFL ½ LFL
VCE 0.3 bar (2) 0.14 bar 0.07 bar 0.03 bar 0.3 bar
Rilascio tossico LC50 (3) IDLH
(1) Secondo la tipologia del serbatoio (2) 0.6 bar per gli spazi aperti
(3)Riferito a 30 minuti, uomo
Queste soglie sono prese a riferimento nellosviluppo e applicazione dei modelli per l’analisi delle conseguenze. Nel capitolo 4 vengono dichiarati i valori di soglia utilizzati nella metodologia del lavoro di tesi.
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Riferimenti
[1] ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Rischio ed emergenze ambientali [online], Rischio industriale e le
Direttive "Seveso". Disponibile su
<http://www.isprambiente.gov.it/it/temi/rischio-ed-emergenze-ambientali/rischio-industriale> [22/03/2017]
[2] EUR-LEX: Access to European Union Law, Direttiva Seveso III [online], Disponibile su <http://eur-lex.europa.eu/homepage.html> [22/03/2017]
[3] Maurizio Calabrese, 2008, Rischio industriale: Controllo dell’urbanizzazione, pianificazione dell’emergenza esterna e informazione della popolazione, Ecologia Industriale.
[4] DLgs 26 giugno 2015, n. 105: “Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.”
[5] DLgs n.334 del 17 agosto 1999: “Attuazione della direttiva 96/82/CE relativa al controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.”
15
3. S
COPO DEL LAVORO
Lo scopo e l’organizzazione del lavoro svolto sono schematizzati nella figura 1:
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Come si osserva dalla figura, è possibile suddividere il lavoro in sei categorie principali:
• Analisi, caratterizzazione e schematizzazione delle apparecchiature;
• Analisi dei modelli presenti in letteratura; • Modellazione degli effetti fisici;
• Validazione dei risultati
• Integrazione della modellazione con il software in grafica 3D. • Analisi di sensitività dei modelli
Tutta la parte relativa alla modellazione in 3D è stata svolta in collaborazione con la DataCH Technologies, sezione informatica della Chemical Controls SRL. Il software utilizzato è il DataCH 3D INDUSTRIA, di proprietà della Chemical Controls SRL.
17
4. M
ETODOLOGIA
4.1 Approccio
Cenni generali
L’approccio generale è quello di integrare metodi di sicurezza intrinseca con gli schemi di processo e la modellazione degli scenari incidentali attraverso il calcolo di indici di verifica per le singole apparecchiature e per l’intero processo. I primi passi della procedura sono quindi l’identificazione del processo e delle apparecchiature utilizzate, dopodiché per ogni unità vengono calcolati gli indici di prestazione. I singoli indici si basano sull’analisi delle conseguenze degli scenari credibili e contribuiscono al calcolo di indici di rischio generali; la procedura, essendo basata sull’analisi delle conseguenze, risulta più rigida rispetto ai classici indici basati sull’assegnazione di punteggi, legati comunque a giudizi soggettivi e all’esperienza.
Nella figura 2 è presente un diagramma a blocchi della procedura, suddivisa in passaggi come segue[1]:
• Individuazione e classificazione delle apparecchiature • Individuazione delle modalità e frequenze di guasto
• Individuazione degli scenari incidentali possibili associati alle apparecchiature e sostanze analizzate
• Associazione ad un guasto con il calcolo delle relative frequenze (Credit Factors)
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Dati preliminari
I dati di input richiesti sono relativi al funzionamento delle apparecchiature di processo e sono contenuti in genere nel process flow diagram (PFD):
• Sostanze e condizioni operative (temperatura, pressione, stato fisico);
• Correnti e linee di processo;
• Specifiche tecniche generali delle apparecchiature;
• Stima preliminare dell’inventario contenuto in ogni apparecchiatura.
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Identificazione delle apparecchiature di processo
Il punto di partenza è l’identificazione e la classificazione delle unità di processo in base alle loro caratteristiche geometriche (classificazione primaria) e operative (classificazione secondaria).
Le principali categorie e sotto-categorie di unità di processo sono[2-4]:
Tabella 2: Esempio di caratterizzazione delle apparecchiature secondo criteri geometrici e operativi
Categoria Sotto-Categoria Codice
Vessel Atmosferici EQ 1.1
In pressione EQ 1.2
Mobili (autocisterne, ferrocisterne ecc) EQ 1.3
App. a fascio tubiero Scambiatori, reattori, ecc EQ 2.1
App. a piatti o frame Filtri, scambiatori a piatti, ecc EQ 3.1
Tubazioni EQ 4.1
Pompaggio Pompe EQ 5.1
Compressori EQ 5.2
App. magazzino Impacchettamento materiali EQ 6.1
Materiali liberi (mucchi, cumuli) EQ 6.2
App. speciali Movimentazione solidi EQ 7.1
Altro EQ 7.2
Definizione dei modi di guasto e dei LOCs
Il secondo passaggio consiste nell’identificazione dei modi di guasto che possono causare rilascio di sostanze pericolose. In genere ad ogni tipo di apparecchiatura è associato un numero finito di modi guasto. In caso di unità non standard, è possibile ottenere la caratterizzazione del rilascio attraverso un’analisi FMEA (Failure Mode and Effect Analysis).
Ad ogni rilascio è assegnato un Credit Factor, stimato dai dati statistici delle frequenze di guasto, che può essere utilizzato per valutare il rischio associato ad ogni apparecchiatura. I riferimenti di letteratura più utilizzati per l’assegnazione dei rilasci tipi e i relativi Credit Factors, sono il TNO Purple Book e le pubblicazioni API[3].
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Definizione dell’albero degli eventi e selezione dello scenario incidentale
Dopo aver associato le apparecchiature ai possibili guasti, è necessario identificare per ogni rilascio i possibili scenari incidentali associati. È possibile, per ogni LOC, associare un albero degli eventi convenzionale. La selezione dell’albero appropriato e degli scenari incidentali presenti nell’albero dipendono dal rilascio (continuo o istantaneo), dalle caratteristiche della sostanza rilasciata (infiammabile, tossica) e dalle sue proprietà fisiche (fase, temperatura, pressione, ecc.). Nei riferimenti di letteratura[3] sono presenti le probabilità di accadimento per ogni scenario
incidentale (innesco immediato o ritardato, errore umano, ecc.)
Descrizione dei possibili scenari incidentali
I possibili scenari incidentali per sostanze infiammabili e tossiche presi in considerazione in questo studio sono: fireball (FB), jet fire (JF), vapor cloud explosion (VCE), flash fire (FF), dispersione tossica (TD), pool fire (PF)[4-5].
Pool Fire
Il “pool fire” consiste in una combustione incontrollata dei vapori provenienti da una pozza di sostanza infiammabile. La pozza è generalmente ottenuta da un rilascio di liquido o da un contenimento atmosferico o in pressione. La fiamma, a cui è associato il rilascio di energia, è stazionaria e diffusiva, La trasmissione di energia può avvenire in due modi:
• Fire impingement, se il bersaglio entra in contatto con la fiamma; • Irraggiamento, se il bersaglio si trova distante dalla fiamma.
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Ciò che distinguei due effetti è la quantità di energia trasmessa al bersaglio: la prima forma risulta decisamente più pericolosa della seconda, infatti il contatto diretto con la fiamma crea danni peggiori rispetto al semplice irraggiamento.
Jet Fire
Il “jet fire” è una fiamma generata dall’innesco di getti turbolenti di gas e vapori da recipienti o tubazioni; si tratta quindi di una fiamma a diffusione turbolenta. Considerando le modalità di rottura associate alle apparecchiature, si tratta di un evento facilmente riscontrabile, a patto che in queste vi sia contenuto un vapore o un liquido tendente alla vaporizzazione. La fiamma generata può avere lunghezze rilevanti, ed è orientata nella direzione del rilascio (in relazione all’elevata cinetica del getto). Come nel caso precedente la trasmissione di energia può avvenire attraverso:
• Avvolgimento nelle fiamme, totale o parziale; • Irraggiamento.
Nel caso de jet fire però gli effetti legati al “fire impingement” sono decisamente maggiori, data la geometria e tipologia della fiamma.
Fireball
La rottura catastrofica di un vessel contenente gas liquefatto in pressione (più raramente gas in pressione), congiuntamente ad un innesco immediato, porta alla formazione di un “fireball”. Al momento del rilascio istantaneo si sviluppa una sfera avente concentrazione superiore al limite superiore di infiammabilità. Sulla superficie della sfera si prende atto la reazione di combustione, diffusiva e laminare, che non produce onde di pressione ma risulta comunque molto pericolosa a causa della elevatissima energia di radiazione emessa. A differenza delle due
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tipologie di eventi precedenti, questo è pseudo-stazionario, in quanto di durata inferiore, solitamente intorno a qualche decina di secondi, ma di intensità maggiore. anche per il fireball, i vettori di energia generati sono:
• Fire impingement; • Irraggiamento. Flash Fire
Il “flash fire” può essere descritto come una combustione laminare o leggermente turbolenta di una nube di gas o vapore, senza la produzione di un’onda di sovrappressione (a causa del basso livello di confinamento o dalla bassa reattività della miscela infiammabile). Il fenomeno del flash fire è caratterizzato da una velocità di fiamma molto lenta e da una durata molto breve: può variare da pochi millisecondi ad un secondo nel caso di nube molto estesa, per questo motivo possono essere trascurati gli effetti sugli oggetti ma non quelli sull’uomo.
V.C.E. – Vapor Cloud Explosion
Perché si generi una detonazione (ovvero evento in grado di generare gravi danni) deve essere rispettato il vincolo di ambiente confinato (fenomeno di deflagration to detonation), in cui la velocità della fiamma è accelerata fino alla velocità di trasmissione dell’onda di pressione. Il VCE è un evento competitivo al flash fire.
Rilascio Tossico
È il caso in cui la nube successiva al rilascio di un gas (o vapore) da una apparecchiatura o dalla pozza di un liquido, risulti nociva per la salute dell’uomo o dell’ambiente. In questo caso l’interesse è focalizzato sulla direzione e concentrazione della nube (evoluzione temporale). Questa tipologia di evento è legata al rilascio di sostanze tossiche, ma anche a prodotti di reazione tossici, successivi a combustione o decomposizione.
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In letteratura possono essere considerati anche altri tipi di scenari incidentali. È il caso del BLEVE (boiling liquid expanding vapor explosion), dell’esplosione meccanica o dell’esplosione confinata. Questi
eventi non sono definibili come veri e propri scenari ma piuttosto conseguenze degli scenari proposti. Sono infatti legati a: effetto domino e miscelazione fra sostanze non compatibili[2-3].
Calcolo delle distanze di danno
Il calcolo degli indici di rischio delle apparecchiature richiede la stima della severità di ogni scenario incidentale possibile. Per ogni scenario sono possibili diversi effetti fisici (per esempio irraggiamento termico, sovrappressione o concentrazione tossica), attraverso la normativa (DLgs 26 giugno 2015, n. 105)[6] è possibile identificare i valori di soglia per ogni effetto fisico che determinano l’elevata letalità, i danni irreversibili e reversibili. Utilizzando questi valori di soglia è possibile quindi calcolare le distanze di danno; in genere i calcoli vengono effettuati a un’altezza fissata di 1m ovvero l’altezza tale per cui siano stimati maggiori effetti sull’uomo. Nello specifico in questo approccio si è fatto riferimento alle soglie di normativa relative a elevata letalità (I) e danni irreversibili (III). Dopo aver calcolato le distanze di danno è possibile compilare una matrice di impatto, con un numero di righe pari ai rilasci credibili associati all’apparecchiatura, e un numero di colonne pari al numero di scenari incidentali possibili per ogni rilascio. Per una generica apparecchiatura k quindi è possibile calcolare la distanza di danno prevista per lo scenario j e il rilascio i come[1]:
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Dove d è la distanza di danno calcolata utilizzando le soglie prestabilite e C è un valore costante pari a 5m. La costante C introduce il concetto di near-field zone ovvero l’area in cui gli effetti possono definirsi trascurabili oppure non affidabili per il modello di calcolo utilizzato.
Partendo dalla matrice di impatto è possibile identificare il vettore di rischio h[1], i quali elementi corrispondo alla distanza di danno massima
calcolata per ogni LOC considerato nell’analisi: ℎ𝑖,𝑘 = max
𝑗 (𝑚𝑖,𝑗,𝑘) Eq. 2
Tabella 3: Esempio di matrice di impatto
unità k j-esimo scenario
Unità 1 SCENARIO1 SCENARIO2 SCENARIO3 SCENARIO4
i-es im o LO C LOC1 m1,1,1 m1,2,1 m1,3,1 m1,4,1 LOC2 m2,1,1 m2,2,1 m2,3,1 m2,4,1 LOC3 m3,1,1 m3,2,1 m3,3,1 m3,4,1
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4.2 Schematizzazione apparecchiature e indici di prestazione
Scheda apparecchiature[2]
Può risultare opportuno raccogliere in una scheda tutti i dati relativi all’apparecchiatura e tutte le informazioni identificate nei passaggi precedenti, in modo da avere una panoramica generale utile sia a scopo informativo, sia come input per una eventuale modellazione degli eventi.
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Calcolo degli indici di rischio
Il calcolo degli indici di prestazione (Key Performance Indicators, KPI) sono ottenuti partendo dai vettori di rischio e credibilità calcolati per ogni apparecchiatura.
Si definisce per l’apparecchiatura k, l’indice UPI (Unit Potential hazard Index)[1] come:
𝑈𝑃𝐼𝑘 = max
𝑖 (ℎ𝑖,𝑘) 2
Eq. 3
Questo indice rappresenta la massima area d’impatto derivata dal peggiore scenario considerato per l’apparecchiatura.
Sempre per l’apparecchiatura k, si definisce l’indice UHI (Unit inherent Hazard Index)[1] come:
𝑈𝐻𝐼𝑘 = ∑𝑛𝑘 𝑐𝑓𝑖,𝑘 ∙ ℎ𝑖,𝑘2
𝑖=1 Eq. 4
Dove nk indica il numero di LOCs considerati per l’apparecchiatura, cf e h
sono il credit factor e la massima distanza di danno calcolata precedentemente. Questo indice rappresenta le prestazioni dell’apparecchiaura da un punto di vista della sicurezza intrinseca, il suo valore dipende sia dal massimo rischio potenziale, sia dalla frequenza assegnata ai LOCs.
È possibile infine calcolare un indice globale[1] per gruppi di N unità:
𝑃𝐼 = ∑𝑁𝑘=1𝑈𝑃𝐼𝑘 Eq. 5 𝑃𝐼 = ∑𝑁𝑘=1𝑈𝐻𝐼𝑘 Eq. 6
In questo modo è possibile avere valutazioni della sicurezza intrinseca anche a livello di impianto o sezioni dell’impianto.
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Modellazione effetti fisici
La modellazione degli effetti fisici, per quanto riguarda il lavoro di tesi, verrà focalizzata esclusivamente sulle dispesioni. Per effettuare una modellazione rigorosa delle dispersioni è necessario risolvere sistemi contenenti le equazioni di Navier-Stokes, che esprimono la conservazione della massa, della quantità di moto e dell’energia; le equazioni di stato che esprimo il comportamento del liquido, vapore, gas rilasciato; le relazioni che definiscono l’air-entrainment, ovvero l’aria che man mano si miscela con il componente rilasciato.
la modellazione CFD, pur essendo quella più precisa in termini di risultati, risulta essere la più onerosa, sia per la rappresentazione grafica (la modellazione CFD necessita, prima di poter simulare, della costruzione della geometria specifica per il caso in questione e della scelta delle mesh per il calcolo con relative prove di validazione), sia a livello di calcolo (i metodi utilizzati per la risoluzione delle equazioni differenziali sono iterativi e quindi molto lunghi nel caso di discretizzazioni molto fini)[7]. Da un punto di vista commerciale è possibile utilizzare software tipo PHAST che utilizzano modelli integrali[5] e con cui è possibile ottenere in maniera molto rapida informazioni sulla dispersione e grafici sulle distanze di danno. Il PHAST allo stesso tempo però può risultare essere poco versatile per le necessità dell’utente in quanto non può tenere in considerazione fenomeni complessi come ad esempio la presenza di ostacoli.
Una stima semplificata viene spesso basata sull’utilizzo dei metodi speditivi, elaborati dalla Protezione Civile e contenuti nelle linee guida del DPCM del 2005 e utilizzati per il calcolo delle distanze di danno per supportare le autorità competenti nell’elaborazione dei piani di emergenza esterni[8].
28
In letteratura sono presenti modelli semi empirici che possono fornire informazioni sulla dispersione in maniera molto più diretta e meno onerosa. Questi modelli correlano le osservazioni di dispersioni reali ottenute con esperimenti su campo o direttamente dallo studio degli effluenti gassosi degli impianti, con funzioni esponenziali e/o andamenti gaussiani. I risultati, per quanto più approssimativi rispetto a quelli ottenuti dai modelli elencati precedentemente, sono comunque accettabili e rendono i modelli in questione, anche se utilizzati raramente per scopi commerciali, totalmente accettati in ambito scientifico.
Il lavoro di tesi si propone di utilizzare questi modelli, utilizzando come software di calcolo Matlab, programma molto flessibile e veloce nei calcoli e nelle rappresentazioni grafiche dei risultati per poi integrarli successivamente sul software DataCh. La descrizione dettagliata dei modelli di letteratura utilizzati si trova nel capitolo 6; la panoramica sull’implementazione dei modelli su Matlab si trova nell’Appendice A.
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Riferimenti
[1] Tugnoli, Cozzani, Landucci, 2009, “Consequence Based Approach to the Quantitative Assessment of Inherent Safety”, Wiley InterScience. [2] Francesco Ricci, 2006, “Sicurezza e Sostenibilità dei Processi di Steam Reforming del Metano per la Produzione di Idrogeno”, Prova finale in Ingegneria Chimica, Università di Pisa.
[3] Uijt de Haag PAM, Ale BJM., 1999, “Guidelines for Quantitative Risk Assessment (Purple Book)”, The Hague, The Netherlands: Committee for the Prevention of Disasters.
[4]. Lees FP., 1996, “Loss Prevention in the Process Industries.”, 2nd ed., Oxford,UK, Butterworth-Heinemann.
[5] Uijt de Haag PAM, Ale BJM., 1999, “Guidelines for Quantitative Risk Assessment (Yellow Book)”, The Hague, The Netherlands: Committee for the Prevention of Disasters.
[6] DLgs 26 giugno 2015, n. 105: “Attuazione della direttiva 2012/18/UE relativa al controllo del pericolo di incidenti rilevanti connessi con sostanze pericolose.”
[7] Schmidt J., 2012, “Process and Plant Safety: Applying Computational Fluid Dynamics.”, WILEY-VCH Verlag, Berlin, Germany.
[8] DPCM del 25 febbraio 2005, “Linee Guida per la predisposizione del piano d'emergenza esterna di cui all'articolo 20, comma 4, del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 334.”.
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5. I
L SOFTWARE
C
HEMICAL
C
ONTROLS
5.1 Predecessori: il sistema HACPACK PTS
[1]Chemical Controls ha collaborato negli ultimi anni, con diverse Autorità Portuali italiane, nell’ottica di costruire un sistema informatico dove reperire le varie informazioni necessarie alla gestione rapida ed efficiente delle emergenze e di poterle renderle fruibili attraverso un’interfaccia di facile fruizione da parte dell’utente. È stato quindi sviluppato un software in grafica tridimensionale denominato HACPACK PTS, che permette, tramite un’unica interfaccia grafica, e grazie all’utilizzo di tecnologie touch screen, di reperire le informazioni in tempo reale cliccando su una mappa interattiva tridimensionale.
Il sistema è modulare e le varie funzionalità possono essere attivate in base alle reali esigenze del porto.
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Dall’esperienza maturata in ambito portuale Chemical Controls ha poi pensato di progettare un software per le realtà industriali, in grado di gestire e monitorare in tempo reale, su un'unica piattaforma tridimensionale, la documentazione, le attività amministrative, logistiche, operative e di manutenzione inerenti le problematiche dell’ambiente, della sicurezza e dei grandi rischi.
5.2 Il sistema DATACH IMPIANTI 3D
[1]Il sistema nasce per rispondere alle esigenze delle aziende di gestire grossi quantitativi di dati e informazioni che ad oggi sono prettamente su carta e pertanto di difficile reperimento e gestione sia nelle attività routinarie che in caso di visita da parte di enti di controllo (USL, ARPA, VVF, ecc.). Questo sistema si pone i seguenti obiettivi:
• Rendere fruibili tutte le informazioni inerenti l’Ambiente e la sicurezza all’interno dell’impianto;
• Mantenere sotto controllo i parametri di processo e le attività; • Avere sotto controllo la gestione delle attività di manutenzione
ordinaria e straordinaria;
• Poter effettuare una pianificazione attiva delle emergenze;
• Avere sotto controllo gli effetti a seguito di un incidente di parti di impianto;
• L’informatizzazione dei Sistemi di Gestione della Sicurezza;
• Mantenere sotto controllo e rispondere a quanto richiesto negli atti autorizzativi (A.I.A., A.U.A., C.P.I., ecc);
• Avere una completa gestione dei sotto servizi dell’attività.
• Effettuare una formazione virtuale per il personale interno ed esterno allo stabilimento.
32
Il sistema ha il pregio di essere aperto ad eventuali implementazioni del cliente rendendo la lista di cui sopra solo una parte delle potenzialità del software.
Il sistema prevede la ricostruzione completa o parziale (delle parti di interesse), interni ed esterni, dello stabilimento, in grafica tridimensionale con tecniche avanzate di scannering laser e di fotogrammetria tramite drone. In questo modo è possibile mappare tutte le apparecchiature di processo, il piping ed elementi sensibili o di interesse ai fini del progetto. Ad ogni elemento mappato, edificio, apparecchiatura, tubazione è possibile associare informazioni in tempo reale e/o documentazione a corredo interpellabile in ogni momento dal software.
Pertanto una volta implementato il sistema è possibile muoversi virtualmente all’interno dell’impianto ed interrogare tramite un click gli elementi di interesse.
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Di seguito si riporta un elenco non esaustivo delle informazioni o azioni che è possibile effettuare tramite sistema DATACH IMPIANTI 3D: 1. Gestione del Piping
• Monitoraggio in tempo reale dei fluidi di processo; • MSDS dei prodotti presenti nelle tubazioni
• Monitoraggio delle valvole e dei sistemi di controlli presenti sul piping;
• Gestione e programmazione con allerta della manutenzione ordinaria su valvolame e sistemi di controllo;
• Gestioni dei sotto servizi;
• Manualistica associata ad ogni elemento.
2. Gestione delle apparecchiature di processo
• Monitoraggio in tempo reale dei parametri di processo; • MSDS dei prodotti presenti nell’apparecchiature
• Monitoraggio delle valvole e dei sistemi di controlli presenti sull’apparecchiatura
• Gestione documentale dei lavori di manutenzione; • Gestione dei permessi di lavoro;
• Check list di controllo per l’accesso a spazi confinati • Sketch dell’apparecchiatura
• Monitoraggio delle valvole e dei sistemi di controlli presenti sul piping;
• Gestione e programmazione con allerta della manutenzione ordinaria su valvolame e sistemi di controllo;
• P&I dell’impianto in cui è inserita l’apparecchiatura;
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• Report Analisi dei rischi (alberi dei guasti, FMEA/FMECA) e modellazione delle conseguenze;
• Rappresentazione grafica degli effetti legati ad un incidente che coinvolge l’apparecchiatura
• Allarmi e notifiche (email, sms, chiamata) in base ai parametri di tolleranza inseriti;
• Manualistica associata ad ogni elemento.
3. Controllo e monitoraggio di scarichi ed emissioni in atmosfera
• Monitoraggio in tempo reale di eventuali sistemi di controllo al punto emissivo e/o sistema di abbattimento;
• Raccolta delle autorizzazioni e della documentazione a corredo del punto emissivo;
• Raccolta delle analisi chimico/biologiche di monitoraggio; • Gestione documentale dei lavori di manutenzione;
• Allarmi e notifiche (email, sms, chiamata) in base ai parametri di tolleranza inseriti
• Programmazione dei monitoraggi periodici;
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• Manualistica di sistemi di abbattimento.
4. Gestione della documentazione e delle pratiche amministrative • Raccolta e gestione delle Autorizzazioni dello stabilimento • Raccolta e gestione di tutti i Permessi di lavoro;
• Gestione di Clienti e fornitori;
• Personale (anagrafiche, formazione, ferie);
• Gestione della documentazione di sicurezza presenti in impianto; • Gestione della documentazione legate alla qualità (ISO 9001:2015,
OHSAS 18001, ISO 14001:2015, ecc.);
• Gestione e creazione di statistiche dei dati presenti a sistema; • Gestione scadenze e rinnovi delle certificazioni degli elementi di
sicurezza (estintori, ecc);
• Gestione del Magazzino, delle materie prime e dei prodotti finiti;
• Controllo di tutti gli elementi a sistema (scarichi, apparecchiature). Figura 7: Gestione emissioni e scarichi, limiti autorizzativi
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5. Gestione della sicurezza dell’impianto
• Gestione di Totem informativi distribuiti in impianto;
• Formazione attiva del personale interno e terzo tramite sopralluoghi virtuali dell’impianto con divulgazione delle informazioni di sicurezza;
• Gestione scadenze e rinnovi delle certificazioni degli elementi di sicurezza (estintori, rete idranti, rilevazione fumi, porte EI, apparecchiature PED, sistema di messa a terra, ecc);
• Prove di emergenze programmate e gestite tramite simulazione di un evento credibile.
Il sistema è in grado di interfacciarsi con altri software di gestione e raccolta dati in modo da fornire all’utente finale un’interfaccia unica di consultazione.
Nel sistema è previsto un portale web in modo da poter esternalizzare tutte le interazioni con i clienti ed i fornitori dell’impianto (permessi di lavoro, offerte, report legate alla qualità, ecc.). Ad esempio, un fornitore che dovesse effettuare un lavoro nello stabilimento potrà, dopo invito del personale dello stesso, compilare direttamente nel portale la richiesta di permesso di lavoro. L’inserimento della richiesta verrà notificato al personale dello stabilimento il quale valuterà se accettarlo, modificarlo, o respingerlo. Per ogni azione verrà inviata una mail per informare i soggetti che si è verificato un avanzamento di stato nella pratica inserita.
37
Riferimenti
[1] Chiavistelli Tommaso, Dentone Dino, Crosara. Stefano, 2016, “Una possibile soluzione informatica innovativa per la gestione della sicurezza in ambito industriale”, Chemical Controls SRL.
38
6. M
ODELLI
Come discusso nel capitolo 4 inerente alla metodologia, lo scopo del lavoro è quello di utilizzare modelli di letteratura di tipo integrale, in quanto facilmente reperibili, validi e rapidi da implementare dal punto di vista informatico. Questo ultimo aspetto inoltre risulta molto importante per quanto riguarda la parte successiva legata all’integrazione nel software DataCh. Essendo modelli comunque più approssimativi rispetto a quelli consolidati di software commerciali, sono state effettuate prove di validazione dei risultati e confronti delle prestazioni dei modelli. I risultati legati alla validazione si trovano nel capitolo 8.
Per quanto riguarda l’analisi dei modelli e gli approcci utilizzati per la modellazione (ovvero quali modelli usare e come), è stato preso come riferimento la collana dei Coloured Books del TNO, già citati nell’introduzione, che forniscono linee guida e descrizioni per la scelta dei metodi di calcolo delle dispersioni.
6.1 Approccio TNO per la modellazione
[1]I rilasci nello specifico possono essere suddivisi a seconda della densità relativa in rilasci a galleggiamento positivo, neutro o negativo; oppure a seconda della quantità rilasciata nel tempo in istantanei, continui e non stazionari.
Le condizioni iniziali sono determinate dalle caratteristiche del rilascio (il termine sorgente) e dalle condizioni di stabilità atmosferica.
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Scelta dei modelli secondo il TNO
Step 1: Valutazione del momento iniziale del rilascio
Se il rilascio ha una velocità di uscita maggiore di quella del vento almeno di un fattore 10[1], è possibile assumere il rilascio come “Free-Jet”. In
questo caso si utilizza il modello di Chen e Rodi[2], verificando
preliminarmente che le condizioni iniziali del suddetto modello siano rispettate[1-2].
Se il rapporto tra le velocità è minore di 10 o le condizioni iniziali del modello per il free jet non sono rispettate, si prosegue con gli steps 2,3,4 o 5
Step 2: Determinare la rugosità del terreno dell’area interessata. Step 3: Determinare la classe di stabilità]
Step 4: Rilascio di gas più denso dell’aria
Se la nuvola è più leggera si passa allo step 5 altrimenti si valutano i tipi di rilascio
Step 4.1: Rilascio istantaneo
In caso di rilascio istantaneo bisogna valutare che tipo di metodi risolutivi utilizzare, per tutti i tipi di rilascio analizzati è possibile calcolare la dispersione attraverso modelli rapidi e modelli complessi. Nel caso di rilascio istantaneo per la risoluzione rapida si usa Britter and McQuaid[6]
(modello non analizzato all’interno della tesi) altrimenti si usa un modello SLAB[7]
Step 4.2: Rilascio continuo
In caso di rilascio continuo bisogna fare una ulteriore considerazione iniziale (Step 4.2.1), ovvero valutare se il rilascio è verticale e se è possibile ignorare il suo getto; in questo caso si usa il modello HMP[4] che
40
caso contrario si associano i risultati con quelli del modello SLAB e si prosegue utilizzando questo modello.
Se la condizione dello step Step 4.2.1 non è rispettata si procede normalmente utilizzando Britter and McQuaid per la soluzione rapida e SLAB per quella rigorosa.
Step 4.3: Rilascio continuo non stazionario
Anche in caso di rilascio dipendente dal tempo si sceglie il tipo di risoluzione da adottare utilizzando Britter and McQuaid per la soluzione rapida e SLAB per quella complessa.
Step 5: Rilascio di gas con densità minore o uguale all’aria
Il rilascio si definisce non galleggiante se la densità è uguale a quella dell’aria, oppure galleggiante positivamente se la densità è minore di quella dell’aria.
Step 5.1: Rilascio istantaneo
In caso di rilascio istantaneo si utilizza il modello gaussiano relativo con eventuale calcolo dei livelli di infiammabilità.
Questo caso non è stato trattato nel lavoro di tesi. Step 5.2: Rilascio continuo
In caso di rilascio continuo si utilizzano i modelli gaussiani relativi con eventuale calcolo dei livelli di infiammabilità[14].
Step 5.3: Rilascio non stazionario
In caso di rilascio dipendente dal tempo si utilizzano gli stessi modelli degli citati sopra con le relative correzioni ed eventuale calcolo dei livelli di infiammabilità
In figura 8 viene rappresentato un diagramma a blocchi con l’approccio appena descritto.
41
42
6.2 Calcolo dei termini sorgente
[8]Rilascio di gas
Per calcolare il rilascio di gas è necessario preliminarmente valutare se le condizioni di uscita sono critiche o sub-critiche. Per un generico gas la pressione critica si calcola come:
𝑃0 𝑃 = ( 2 𝛾+1) 𝛾 1−𝛾 → 𝑃 = 𝑃0∙ (𝛾+1 2 ) 𝛾 1−𝛾 Eq. 7
Per un coefficiente di dilatazione adiabatica γ=1.4 si ottiene che Pc≈0.5∙P0; attraverso questo risultato otteniamo due casi possibili:
Se P0>2atm allora Pc è maggiore della pressione atmosferica, il gas
raggiunge la pressione critica (condizioni soniche) e il rilascio viene calcolato con la portata critica.
𝑚̇𝐶 = 𝑆 ∙ 𝑃0√𝛾∙𝑀 𝑅∙𝑇0∙ ( 2 1+𝛾) 𝛾+1 𝛾−1 Eq. 8
Se P0<2atm allora Pc è minore della pressione atmosferica, il gas
raggiunge la pressione atmosferica e il rilascio viene considerato sub-sonico 𝑚̇ = 𝑆 ∙ 𝑃0√ 2∙𝛾∙𝑀 (𝛾−1)∙𝑅∙𝑇0 ∙ [( 𝑃 𝑃0) 2 𝛾 − (𝑃 𝑃0) 1+𝛾 𝛾 ] Eq. 9
La velocità con cui esce il fluido quando si trova in condizioni critiche si ricava dalla legge di gas perfetti:
𝑎 = √𝛾∙𝑅∙𝑇
𝑀 Eq. 10
Dove R è la costante universale dei gas, M il peso molecolare e T la temperatura critica che vale:
43 𝑇0 𝑇 = 𝛾+1 2 → 𝑇 = 2∙𝑇0 𝛾+1 Eq. 11 Rilascio di liquido
Per i rilasci di liquidi bisogna valutare sia se la fuoriuscita avviene direttamente dal vessel o da una tubazione, sia se il liquido in questione è vicino alle condizioni di flash (e quindi ci sono possibilità di passaggio di stato).
La generica relazione per il rilascio di un liquido da un vessel è: 𝑚̇ = 𝜌 ∙ 𝐴 ∙ 𝑢 = 𝜌 ∙ 𝐴 ∙ 𝑐𝐷 ∙ √2 ∙ (𝑃𝜌𝑟𝑒𝑙+ 𝑔 ∙ ℎ𝐿) Eq. 12
Dove cD è il coefficiente di attrito, Prel la differenza di pressione tra il
serbatoio e l’ambiente esterno e hL l’altezza di liquido. Per il rilascio da
una tubazione associata al serbatoio, il dato della velocità è ottenuto sempre dall’equazione di Bernoulli tenendo conto anche della geometria (calcolo rigoroso delle perdite di carico in funzione di L,D,ε del tubo). Nel caso di condizioni operative prossime a quelle di flash, bisogna distinguere se il serbatoio si trova o no a pressione molto maggiore di quella di saturazione, quindi per esempio se è presente un sistema di inertizzazione con azoto o se invece si tratta di un semplice gas liquefatto alla Psat(Tamb). Nel primo caso, la relazione è simile al caso del liquido
semplice, con la differenza che stavolta per il ΔP si considerano la pressione di stoccaggio e quella di saturazione:
𝑚̇ = 𝐴 ∙ 𝑐𝐷 ∙ √2 ∙ 𝜌 ∙ (𝑃0− 𝑃𝑆𝐴𝑇(𝑇𝑎𝑚𝑏)) Eq. 13
Nel secondo caso, se il rilascio è prossimo all’apparecchiatura (L<0,1) avremo ancora un rilascio di solo liquido che evaporerà in un secondo momento: