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Nuovi copolimeri anfifilici a base di polietilenglicol-polisilossano autoassemblanti in soluzione ed in film solido

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Academic year: 2021

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(1)

U

NIVERSITÁ DI PISA

Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale

Corso di Laurea Magistrale in Chimica Industriale (Classe LM: 71)

Curriculum: Materiali

Nuovi copolimeri anfifilici a base di

polietilenglicol-polisilossano autoassemblanti

in soluzione ed in film solido

RELATORI:

CONTRORELATORE:

Prof. Giancarlo Galli

Dott.ssa Tarita Biver

Dott.ssa Elisa Martinelli

CANDIDATA:

Luisa Annunziata

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Esiste ovunque una media nelle cose:

essa è determinata dall’equilibrio

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Sono stati preparati nuovi copolimeri anfifilici, statistici di struttura generale PEGMAx-co-SiMAy (x = 95, 85 mol%), mediante polimerizzazione radicalica a trasferimento d’atomo (ATRP) di un monomero idrofilo poliossietilenico (PEGMA) e un monomero idrofobo polisilossanico (SiMA). Il bilancio idrofilo/idrofobo dei copolimeri è stato modulato in modo controllato allo scopo di realizzare nanostrutture anfifiliche in grado di organizzarsi spontaneamente in soluzione, specificatamente in soluzione acquosa, e in massa alla superficie di film sottili. Dei copolimeri anfifilici sintetizzati è stato studiato l’auto-assemblaggio in soluzioni acquose diluite mediante misure di diffusione dinamica della luce (DLS), di emissione di fluorescenza e di diffusione della fluorescenza. È stata evidenzaiata la formazione di nanooggetti con diametri idrodinamici Dh = 2 - 15 nm in micelle unimere,

cioè unimolecolri, mediante il ripiegamento della singola catena macromolecolare su stessa come risultato dell’instaurarsi di interazioni intramolecolari tra le catene polisilossaniche idrofobe. Più micelle unimere hanno dato luogo ad aggregati intermolecolari (Dh = 300 - 800

nm) al di sopra di una temperatura critica Tc. Tale transizione di fase è risultata reversibile,

senza isteresi, al di sotto di Tc dimostrando la natura termoresponsiva delle soluzioni.

La formazione di tali micelle “unimere” è stata inoltre confermata da analisi di fluorescenza effettuate con un analogo copolimero anfifilico terminato J(PEGMAx-co-SiMAy) ad un’estremità con una sonda fluorescente di tipo julolidinico. È stato osservato che l’intensità di fluorescenza e, consistentemente, la resa quantica delle soluzioni acquose del copolimero contenente la sonda fluorescente, sono molto maggiori rispetto a quelle delle soluzioni dello stesso campione in solvente organico.

Sono state anche preparate e analizzate in spettroscopia di fluorescenza a diverse temperature soluzioni acquose contenenti il copolimero PEGMAx-co-SiMAy (x = 95 mol%) e bromuro di etidio, molecola intercalante di acidi nucleici comunemente utilizzata in tecniche di biologia molecolare.

I copolimeri anfifilici sono stati depositati in film sottili mediante spin-coating da soluzione al fine di investigare le proprietà vapocromiche del copolimero contenente la sonda fluorescente. Tali proprietà sono state testate sia per solventi organici che per l’acqua, monitorando il decadimento dell’intensità di fluorescenza in funzione del tempo di esposizione. Le prove vapocromiche sono state condotte con lo scopo di valutare le potenzialità di questi sistemi come sensori e rilevatori di composti organici volatili (VOC) ed umidità.

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Indice

1.1. COPOLIMERI ANFIFILICI ... -1

-1.2. POLIMERI TERMORESPONSIVI ... -2

-1.3. COPOLIMERI ANFIFILICI ED AGGREGAZIONE IN STRUTTURE MICELLARI ... -4

-1.3.1. Auto-assemblaggio dei copolimeri anfifilici a blocchi ... 5

-1.3.2. Auto-assemblaggio dei copolimeri anfifilici statistici ... 8

-1.3.3. Copolimeri anfifilici statistici con ripiegamento della singola catena ... 9

-1.3.4. Possibili applicazioni ... 12

-1.5. ACQ, AIE E ROTORI MOLECOLARI FLUORESCENTI ... -13

-1.5.1. Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina ... 16

-1.5.2. Rotori molecolari come sonde fluorescenti ... 19

-1.6. INDICATORI OTTICI A BASE POLIMERICA PER RILEVAZIONE DI SOLVENTI ORGANICI VOLATILI (VOC) ... -20

-1.7. POLIMERIZZAZIONE RADICALICA CONTROLLATA/VIVENTE (CRP) ... -22

1.7.1. Polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP) ... 23

-2. SCOPO DELLA TESI ... 26

-3. RISULTATI E DISCUSSIONE ... 29

-3.1. SINTESI DELL’INIZIATORE 9-[2-(2-BROMO-2-METILPROPANOILOSSIETILOSSICARBONIL)-2-CIANOVINIL]JULOLIDINA (JBR) ... -29

-3.2. PROPRIETÀ DI ASSORBIMENTO/EMISSIONE IN SOLUZIONE DELL’INIZIATORE JBR ... -32

-3.3. SINTESI DELL’OMOPOLIMERO J(PMMA) ... -37

-3.3.1. Caratterizzazione in soluzione dell’omopolimero J(PMMA) ... 39

-3.4. SINTESI DEI COPOLIMERI ANFIFILICI STATISTICI ... -40

-3.5. VALUTAZIONE DEI RAPPORTI DI REATTIVITÀ DEI CO-MONOMERI PEGMA E SIMA ... -45

-3.6. STUDIO DELLE PROPRIETÀ TERMICHE DEI COPOLIMERI ANFIFILICI ... -47

-3.7. PROPRIETÀ DI AUTO-ASSEMBLAGGIO DEI COPOLIMERI ANFIFILICI IN SOLUZIONE ... -48

-3.7.1. Misure di diffusione dinamica della luce (DLS) ... 48

-3.7.2. Misure UV-Vis in trasmittanza ... 55

-3.7.3. Analisi di spettroscopia di fluorescenza di soluzioni acquose di PEGMA-co-SiMA5 e bromuro di etidio ... 57

-3.7.4 Studio delle proprietà di emissione in soluzione del copolimero J(PEGMA-co-SiMA6)... 63

-3.8. COMPORTAMENTO VAPOCROMICO DI FILM SOTTILI ... -66

-3.8.1 Comportamento vapocromico dei film di JPMMA ... 67

-3.8.2 Comportamento vapocromico dei film J(PEGMA-co-SiMA6) ... 68

-3.9. ANALISI CHIMICA DELLA SUPERFICIE DEL COPOLIMERO PEGMA-CO-SIMA5 ... -72

-4. CONCLUSIONI ... 76

-5.1. SOLVENTI E REAGENTI COMMERCIALI ... -78

-5.1.1. Acetato di etile ... 78

-5.1.2. Acetato di sodio triidrato ... 78

-5.1.3. Acetone ... 78

-5.1.4. Acetone-d6 ... 78

-5.1.5. Acido acetico glaciale ... 78

-5.1.6. Acido cianoacetico ... 78

-5.1.7. Acqua ... 78

-5.1.8. Allumina basica ... 78

-5.1.9. Anisolo ... 78

(5)

5.1.12. αBromoisobutirril bromuro ... 78

-5.1.13. Bromuro di rame (I)... 78

-5.1.14. Calcio idruro ... 79 -5.1.15. Cloroformio ... 79 -5.1.16. Cloroformio-d ... 79 -5.1.17. Diclorometano ... 79 -5.1.18. Dietiletere ... 79 -5.1.19. n-Esano ... 79 -5.1.20. Etanolo ... 79 -5.1.21. Etilen glicole ... 79 -5.1.22. Glicerolo ... 79 -5.1.23. Julolidina ... 79 -5.1.24. Metanolo ... 79 -5.1.25. N,N’-Dicicloesilcarbodiimmide (DCC) ... 79 -5.1.26. N,N’-Dimetilformammide (DMF) ... 79 -5.1.27. N,N,N’,N’’,N’’-Pentametildietilenetriammina (PMDETA) ... 79 -5.1.28. Ossitricloruro di fosforo ... 79 -5.1.29. Piperidina ... 80 -5.1.30. Tetraidrofurano (THF) ... 80 -5.1.31. Tetraclorometano ... 80 -5.1.32. Toluene ... 80 -5.2. MONOMERI ...-80

-5.2.1. Metil metacrilato (MMA) ... 80

-5.2.2. Poli-dimetilsilossano monometacrilossipropil terminato (SiMA) ... 80

-5.2.3. Poli(etilenglicol) metiletere metacrilato (PEGMA) ... 80

-5.3. SINTESI 9-[2-(2-BROMO-2-METILPROPANOILOSSIETILOSSICARBONIL)-2-CIANOVINIL]JULOLIDINA (JBR) ...-81

-5.3.1. Sintesi della 9-formil-julolidina... 81

-5.3.2. Sintesi del 2-idrossietil αbromoisobutirrato ... 82

-5.3.3. Sintesi del (2-bromo-2-metilpropanoilossietil) cianoacetato ... 83

-5.3.4. Sintesi 9-[2-(2-bromo-2-metilpropanoilossietilossicarbonil)-2-cianovinil]julolidina (JBr) .. 84

-5.4. PREPARAZIONE DI SOLUZIONI JBR ...-86

-5.5. SINTESI DELL’ OMOPOLIMERO J(PMMA) ...-86

-5.6. SINTESI DEL COPOLIMERO J(PEGMA-CO-SIMA6) ...-87

-5.7. SINTESI DEI COPOLIMERI PEGMA-CO-SIMAX ...-89

-5.8. SINTESI DEI COPOLIMERI PEGMA-CO-SIMAX A DIVERSE COMPOSIZIONI PER IL CALCOLO DEI RAPPORTI DI REATTIVITÀ ...-90

-5.8.1. Determinazione dei rapporti di reattività ... 91

-5.9. PREPARAZIONE DI FILM SOTTILI DI J(PEGMA-CO-SIMA6) ...-92

-5.10. PREPARAZIONE DI SOLUZIONI ACQUOSE DEI COPOLIMERI STATISTICI ANFIFILICI E BROMURO DI ETIDIO ...-93

-5.11. CARATTERIZZAZIONE DEI PRODOTTI ...-93

-5.11.1. Spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) ... 93

-5.11.2. Cromatografia di permeazione sul gel (GPC) ... 93

-5.11.3. Misure di diffusione dinamica della luce (DLS) ... 93

-5.11.4. Spettroscopia UV-Vis ... 94

-5.11.5. Spettroscopia di fluorescenza ... 94

-5.11.6. Analisi calorimetrica differenziale a scansione (DSC) ... 94

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-5.11.8. Determinazione della resa quantica ... 95

-5.11.9. Calcolo dell’indice di rifrazione delle miscele solventi ... 95

-5.11.10. Calcolo della viscosità delle miscele solventi ... 96

-5.11.11. Calcolo della costante dielettrica delle miscele dei solventi ... 96

-5.11.12. Determinazione effettiva del contenuto di JBr all’interno dei copolimeri ... 96

-5.12 PROVE DI VAPOCROMISMO ... -96

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-- 1 --

1. Introduzione

1.1. Copolimeri anfifilici

Un copolimero è il risultato della polimerizzazione di due o più monomeri diversi che in determinate condizioni si legano covalentemente tra di loro in una stessa catena polimerica. A seconda delle condizioni nelle quali avviene la reazione di polimerizzazione, si possono ottenere diversi copolimeri che differiscono per la loro struttura, ad esempio copolimeri statistici o copolimeri a blocchi. Nei primi le counità monomeriche sono distribuite lungo la catena polimerica in modo casuale; nei secondi le counità formano lunghe omosequenze legate tra loro (Figura 1.1).

Figura 1.1 – Struttura di un copolimero anfifilico statistico (sinistra), ed a blocchi (destra)

Il termine anfifilico, invece, definisce il carattere idrofobo e allo stesso tempo idrofilo di un polimero in un intorno acquoso. Questo tipo di comportamento contrastante è dovuto generalmente alla presenza nel copolimero di una counità monomerica idrofoba e di una counità monomerica idrofila; la presenza simultanea di parti idrofobe ed idrofile nella stessa macromolecola conferisce a tali strutture delle proprietà peculiari. Tra queste proprietà di particolare interesse è l’auto-assemblaggio dei copolimeri a blocchi in un’ampia varietà di strutture micellari intorno ad un valore di concentrazione critico, definito concentrazione micellare critica, o la capacità di interagire all’interfaccia tra le fasi acquosa e non acquosa di un sistema bifasico. Se nessuna delle due fasi è acquosa il termine anfifilico si può riferire a sistemi con una porzione organofila e una organofoba1.

Le componenti idrofobe ei polimeri più comuni (Figura 1.2, sinistra) sono a base di polistireni, polimetacrilati, poliolefine, ma è possibile trovare polimeri che presentino un carattere idrofobo ancora più accentuato come polimeri fluorurati e silossanici.

Le componenti idrofile possono essere molto varie (Figura 1.2, destra), comprendendo monomeri vinilici o (met)acrilici che presentano gruppi solfonati, carbossilati o ammonio, o monomeri neutri quali il poli(etilen glicole) (PEG) e monomeri (met)acrilici con catene laterali di PEG.

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Luisa Annunziata – Tesi di Laurea Magistrale

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Figura 1.2 – Strutture di polimeri idrofobi ed idrofili che possono essere utilizzati per dare copolimeri anfifilici

La polimerizzazione anionica vivente è tradizionalmente la metodologia di elezione impiegata per la sintesi di copolimeri anfifilici a blocchi anche in strutture complesse, quali ad esempio copolimeri a stella2, tuttavia lo sviluppo di metodi di polimerizzazione radicalica

controllata (CRP) ha permesso di aumentare il numero di strutture facilmente ottenibili in modo predeterminato e controllato. Tali tecniche sintetiche hanno quindi fornito le basi per studiare l’effetto della composizione e dell’architettura molecolare sulle proprietà dei copolimeri anfifilici, in quanto consentono di preparare strutture ben definite con minime limitazioni nella chimica e nella geometria3.

1.2. Polimeri termoresponsivi

Negli ultimi anni, è aumentato significativamente l’interesse per polimeri con catene laterali poli(ossietileniche); tra questi il poli(etilenglicol) mono-metiletere metacrilato ha assunto un ruolo molto rilevante. I vantaggi principali di questo polimero sono la biocompatibilità, la solubilità in acqua ed il carattere termoresponsivo4.

Per polimeri termoresponsivi si intende una classe di composti che esibisce un drastico cambiamento delle proprietà chimico-fisiche, ad esempio la solubilità in un dato solvente, in funzione della temperatura. Tali polimeri presentano, in particolare, una lacuna di miscibilità nel loro diagramma temperatura - composizione (Figura 1.3).

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Figura 1.3 – Esemplificazione di diagrammi di fase con lacuna di miscibilità

La lacuna di miscibilità può trovarsi a basse o alte temperature, in corrispondenza, rispettivamente, di una temperatura critica di solubilità superiore (Upper Critical Solution Temperature, UCST) o inferiore (Lower Critical Solution Temperature, LCST).

Notevole interesse è stato riscosso dai polimeri che in acqua presentano una LCST non molto elevata che rende interessante il loro impiego e la loro modifica per possibili applicazioni in campo biologico e biomedico5. A temperature inferiori alla LCST si hanno legami intermolecolari a idrogeno tra le molecole polimeriche e l’acqua, il polimero risulta quindi idrofilo. Aumentando la temperatura, i legami ad idrogeno si rompono, l’acqua viene “espulsa” e si formano nuovi legami a idrogeno, in questo caso intramolecolari, che portano a una conformazione “globulare” e rendono il polimero idrofobo favorendone quindi la precipitazione6,7.

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L’omopolimero poli(etilenglicol) mono-metiletere metacrilato presenta un comportamento termoresponsivo a causa del carattere intrinsecamente anfifilico della sua catena; le catene laterali ossietileniche hanno caratteristiche idrofile e formano legami ad idrogeno con le molecole d’acqua, mentre la catena principale metacrilica in acqua crea interazioni idrofobe. Tale LCST in acqua varia in funzione del numero di unità ossietileniche in catena laterale. Aumentando il numero di queste unità (2 ≤ x ≤ 8,5) la temperatura di transizione aumenta in quanto il polimero risulta solubile in acqua per un intervallo di temperature più ampio (26 °C ≤ Tc ≤ 90 °C). Tale LCST può essere significativamente modificata variando il peso

molecolare4 o incorporando altri gruppi idrofili o idrofobi4.

1.3. Copolimeri anfifilici ed aggregazione in strutture micellari

L’impiego di polimeri e copolimeri anfifilici in diverse applicazioni tecnologiche industriali, tra queste di particolare rilevanza quelle del settore dei rivestimenti protettivi a rilascio del fouling marino8, è di grande attualità grazie agli avanzamenti delle moderne tecniche di

sintesi controllate/viventi di copolimeri statistici e a blocchi.

Quando un copolimero anfifilico viene dissolto in un solvente selettivo, che sia termodinamicamente un buon solvente per un componente e un precipitante per l’altro, le catene possono auto-assemblarsi in modo reversibile. L’auto-organizzazione dei copolimeri anfifilici in soluzione è un metodo semplice per produrre strutture su scala nanometrica; tale fenomeno può avvenire a causa di interazioni intermolecolari, tra copolimeri a blocchi, con formazione di strutture più ordinate a seguito dell’aggregazione in soluzione delle catene, o interazioni intramolecolari, nei copolimeri statistici, che possono far collassare le singole catene da uno stato di gomitolo statistico in entità globulari più compatte (Figura 1.5).

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Figura 1.5 – Differente comportamento dei copolimeri statistici ed a blocchi in soluzione

Dal ripiegamento di una singola catena si viene a formare una struttura unimolecolare che può essere stabilizzata da interazioni idrofobe, da legami covalenti intramolecolari formati da gruppi reattivi, dal riconoscimento e dall’auto-assemblaggio di motivi sovramolecolari, distribuiti anche casualmente lungo la macromolecola9,10. Questi sistemi polimerici risulterebbero assai vantaggiosi in termini di economia atomica e di diminuzione delle dimensioni raggiungibili rispetto alle nanotecnologie convenzionali attuali.

1.3.1. Auto-assemblaggio dei copolimeri anfifilici a blocchi

Nei copolimeri a blocchi le interazioni intermolecolari portano all’aggregazione in strutture complesse di più macromolecole definite micelle.

I fattori che regolano l’auto-assemblaggio in micelle sono essenzialmente di natura entropica11con riferimento alla concentrazione micellare critica (CMC) e alla temperatura micellare critica (CMT). In soluzione acquosa, al di sopra della CMC, i copolimeri si auto-assemblano in micelle orientando il blocco idrofilo verso l’esterno, a contatto con il solvente, e il blocco idrofobo verso l’interno; la CMC risulta generalmente più bassa rispetto alla CMC dei tensioattivi a basso peso molecolare. Ciò ha motivato, per esmpio, l’uso di tali micelle come nanocontenitori per il trasporto di farmaci12. Anche la temperatura ha un ruolo

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importante: a temperature superiori alla CMT le micelle si disgregano in unimeri (Figura 1.6).

Figura 1.6 – Auto-assemblaggio in aggregati micellari di copolimeri a blocchi anfifilici12

Le macromolecole sono però soggette a problemi di solubilizzazione in un solvente selettivo, soprattutto quando contengono blocchi molto grandi del componente insolubile o hanno una alta temperatura di transizione vetrosa. Si può ovviare a tale problema mediante l’utilizzo del metodo di micellizzazione indotto da acqua13,14. Il processo prevede la dissoluzione del copolimero a blocchi in un solvente organico e l’aggiunta progressiva di acqua; la miscela solvente diventa in questo modo meno affine alla componente idrofoba e ad una certa concentrazione di acqua, chiamata contenuto critico di acqua, si ha separazione di fase per associazione dei blocchi idrofobi14. È quindi necessario effettuare una distinzione tra le micelle formate da un equilibrio spontaneo e le micelle indotte artificialmente.

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Figura 1.7 – Morfologie delle micelle di copolimeri a blocchi

L’effetto della conformazione delle catene sulla CMC e sulla morfologia delle micelle è una delle principali variabili studiate15 (Figura 1.7). Uno dei casi più esemplificativi è quello dell’aggregazione in acqua dei copolimeri a blocchi anfifilici A-B e A-B-A contenenti polietilenossido e polipropilenossido16,17. Il copolimero a due blocchi forma facilmente una micella sferica con un nucleo idrofobo ed una corona idrofila, in maniera del tutto analoga ad un copolimero triblocco con una porzione centrale idrofoba. Invece in un copolimero triblocco con le due estremità idrofobe, il segmento centrale viene obbligato a ripiegarsi per permettere alle due catene idrofobe di segregarsi all’interno di una micella sferica di tipo a fiore (flower-like).

L’aggregazione spontanea di copolimeri a blocchi anfifilici ovviamente è possibile anche in solvente organico. Nel caso della micellizzazione in ambiente acquoso i contributi entalpici e entropici sono entrambi positivi, e quindi l’aggregazione spontanea è un processo guidato dalla forza motrice entropica (l’aumento dell’entropia è dovuto alla distruzione dello strato di acqua ordinato con forti legami a idrogeno intorno alle catene idrofobe). Nel solvente organico invece le interazioni polimero-solvente sono più deboli, la variazione di entropia è generalmente leggermente negativa (perché le conformazioni possibili delle catene sono minori negli aggregati) e quindi la micellizzazione avviene quando il contributo entalpico è sufficientemente negativo, ovvero il fenomeno è guidato dall’entalpia18.

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In solvente organico solitamente si distinguono i copolimeri di tipo idrofilo-idrofobo da quelli di tipo idrofobo-idrofobo. Nel primo caso, se il solvente organico è polare il comportamento è paragonabile a quello delle soluzioni acquose, mentre se il solvente è apolare (e quindi selettivo per la componente idrofoba) si ottengono micelle inverse. Nel caso specifico in cui il componente idrofilo è il polietilenossido, si deve considerare la sua forte tendenza a cristallizzare, in assenza di acqua, all’interno degli aggregati, formando particolari strutture con microcristalli lamellari chiamati platlets, la cui superficie è coperta dalle catene idrofobe solvatate15.

1.3.2. Auto-assemblaggio dei copolimeri anfifilici statistici

Per molti anni il settore dell’auto-assemblaggio dei copolimeri è stato dominato dai copolimeri a blocchi, il cui vantaggio principale è la stretta correlazione che esiste tra struttura e proprietà. Tuttavia la sintesi di tali sistemi può essere lunga e laboriosa in quanto richiede una serie di polimerizzazioni controllate o trattamenti post-polimerizzazione. È dunque cresciuto l’interesse verso i copolimeri statistici anfifilici, i quali infatti, risultano più semplici da preparare in quanto richiedono una polimerizzazione a singolo stadio di due (o più) monomeri differenti. Pertanto risulta interessante lo studio delle capacità di auto-assemblaggio dei copolimeri statistici anfifilici.

La capacità di queste molecole di auto-assemblarsi dipende fortemente dal bilancio idrofilo-lipofobo (HLB), il quale permette di variare notevolmente la morfologia delle strutture che vengono a formarsi. Tra i copolimeri anfifilici che danno auto-assemblaggio13, ad esempio, troviamo un copolimero costituito da acido L-glutammico, componente idrofila, e da una catena alchilica a dodici atomi di carbonio quale componente idrofoba. Il sistema può essere facilmente preparato con diversi rapporti tra le due componenti, in modo da ottenere differenti strutture mediante l’auto-assemblaggio intercatena (Figura 1.8) 19.

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Figura 1.8 – Struttura molecolare del copolimero ed immagini TEM dei diversi aggregati ottenibili19

Il copolimero con un maggiore quantitativo di componente idrofoba in catena (~ 90%) si assembla in vescicole giganti con diametri di diversi micrometri in un sistema solvente acqua ed etanolo, diminuendo il quantitativo di componente idrofoba a circa il 76% il copolimero si assembla dando vescicole con diametri di diverse centinaia di nanometri. Inoltre quando una soluzione di questo copolimero viene direttamente depositata su un supporto solido è possibile ottenere in funzione del solvente scelto diverse morfologie19.

Sebbene la strategia di auto-assemblaggio del copolimero anfifilico statistico preso ad esempio si basi sull’aggregazione intermolecolare di diverse catene polimeriche, risulta particolarmente interessante lo sviluppo e l’ingegnerizzazione di copolimeri anfifilici statistici in grado di auto-assemblarsi mediante interazioni intramolecolari, dando origine a nanoparticelle costituite dal ripiegamento della singola catena polimerica13.

1.3.3. Copolimeri anfifilici statistici con ripiegamento della singola catena

La possibilità di preparare nanostrutture, mediante interazioni intramolecolari, è un’idea che ha origini biomimetiche; ad esempio, il processo di ripiegamento delle proteine permette l’assemblaggio di una singola macromolecola a dare una struttura terziaria tridimensionale ben definita. Le micelle unimolecolari sono definite come una classe di micelle in cui il

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guscio ed il nucleo risultano covalentemente legati. Queste strutture mostrano un’ottima stabilità indipendentemente da fattori esterni quali alta diluizione ed altri cambiamenti nel microambiente circostante rendendole particolarmente adatte ad applicazioni specifiche20 (Figura 1.9). Le micelle unimolecolari possono essere ottenute da una grande varietà di copolimeri anfifilici21 quali dendrimeri anfifilici, polimeri a stella, polimeri iperamificati e copolimeri anfifilici lineari.

Figura 1.9 – Differente comportamento delle micelle unimolecolari e delle micelle multimolecolari in condizioni di diluizione20.

Negli ultimi anni è aumentato l’interesse per sistemi polimerici in grado di dare ripiegamento della singola catena. In tali strutture le catene polimeriche danno ripiegamenti reversibili e mantengono le caratteristiche di risposta agli stimoli tipiche delle strutture naturali. Differenti strategie sono state impiegate per la realizzazione di nanoparticelle ottenute dal ripiegamento della singola catena (single-chain nanoparticle, SCNP).

Il primo sistema riportato in letteratura del ripiegamento reversibile di una singola catena risale al 200822 ed è basato sulla dimerizzazione di derivati della benzammide mediante

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Figura 1.10 – Schematizzazione del ripiegamento della singola catena ed illustrazione del legame ad idrogeno proposto22.

Successivamente sono state adottate differenti strategie per produrre SCNP a partire da copolimeri statistici anfifilici lineari in cui il controllo della struttura può essere ottenuto mediante le tecniche di polimerizzazione radicalica controllata vivente23. Sawamoto et al.24 hanno realizzato copolimeri anfifilici casuali costituiti da catene di poli(etilenglicol) ed alchiliche che in soluzione acquosa formano SCNP reversibili a morfologia sferica; tali nanoparticelle presentano un compartimento idrofobo costituito dalla porzione alchilica non affine all’acqua (Figura 1.11).

Figura 1.11 – Rappresentazione schematica del fenomeno del ripiegamento della singola catena di un copolimero anfifilico in un solvente selettivo

Tali nanoparticelle presentavano in acqua un comportamento dinamico, ossia il processo di ripiegamento della catena era reversibile, e responsivo a stimoli esterni; inoltre queste SCNP in acqua presentano elevata stabilità anche ad alte concentrazioni in quanto i gruppi laterali PEG agiscono da stabilizzatori sterici.

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Nonostante questo campo di ricerca sia ancora in via di sviluppo, le potenziali applicazioni di questi sistemi sono molto stimolanti.

1.3.4. Possibili applicazioni

La possibilità di produrre nanomateriali unimolecolari attraverso il fenomeno dell’auto-assemblaggio in questi anni ha attratto una notevole attenzione.

Una delle possibili applicazioni è il trasporto e rilascio di farmaci12,25. Tali nanomateriali se funzionalizzati in maniera specifica possono intrappolare fisicamente nel loro comparto idrofobo interno agenti terapeutici, mentre il guscio idrofilo garantisce la solubilità del sistema veicolante in ambiente fisiologico e ne aumenta il tempo di permanenza (Figura 1.12).

Figura 1.12 – Rappresentazione schematica del trasporto di farmaci attraverso aggregati micellari

Un altro possibile impiego è nel settore della catalisi. Le micelle unimolecolari possono essere caricate con catalizzatori metallici o metallorganici in quantità maggiore rispetto ai supporti tradizionali a parità di sito attivo. La componente metallica o organo-metallica si trova nel nucleo idrofobo della micella, il guscio esterno, costituito dalla componente idrofila, permette di aumentare la solubilità del sistema nel mezzo di reazione e previene la formazione di aggregati26,27.

Tra i copolimeri anfifilici che si ripiegano a dare micelle “unimere”, ad esempio, troviamo un copolimero costituito da oligo(etilenglicol) mono-metiletere metacrilato, componente idrofila, e benzene-1,3,5-carbossammide metacrilato, componente idrofoba28. Il copolimero può essere modificato con aggiunta di un legando, il difenil fosfino stirene, per il

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catalizzatore a base di rutenio. Tale sistema può essere impiegato per l’idrogenazione in soluzione acquosa del cicloesanone.

Figura 1.13 – Rappresentazione schematica di SCNP impiegate per l’idrogenazione di chetoni in acqua28

Utilizzando sonde fluorescenti in grado di interagire selettivamente con una delle componenti dei copolimeri anfifilici, è possibile progettare un metodo veloce, semplice e versatile per il monitoraggio diretto del loro auto-assemblaggio in soluzione ed eventualmente in massa29. La diversa risposta di auto-aggregazione del copolimero a diversi

stimoli esterni, come l’esposizione a vapori di sostanze organiche, favorirà o meno, a seconda delle interazioni con i vapori, la formazione di tasche idrofobe all’interno delle quali la sonda fluorescente si troverà confinata e potrà liberare le opportune radiazioni di energia assorbita come emissione di fluorescenza. Ciò potrà essere sfruttato, per esempio, nella sensoristica ottica ed in particolare per rivelatori di sostanze organiche volatili presenti in ambienti di lavoro.

1.5. ACQ, AIE e rotori molecolari fluorescenti

In linea di principio i materiali luminescenti possono essere utilizzati in qualsiasi stato fisico: gassoso, liquido o solido. Alcuni esempi di applicazioni tecnologiche sono riportate in Figura 1.1430.

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Figura 1.14 – Esempi di applicazioni tecnologiche dei fluorofori30

Per la maggioranza delle applicazioni pratiche i fluorofori sono utilizzati allo stato solido in forma di film o aggregati come ad esempio per applicazioni in optoelettronica; nel caso di un’applicazione biologica sono spesso usati in ambiente fisiologico o in un mezzo acquoso. Tali fluorofori in generale presentano la tendenza a formare nanoaggregati in ambiente acquoso a causa della natura idrofoba dei componenti aromatici che li costituiscono (ad esempio anelli fenilici). La maggioranza dei fluorofori convenzionali con l’aggregazione mostra un parziale o totale spegnimento di emissione se confrontato con il comportamento in soluzione. Il fenomeno, conosciuto come Aggregation Caused Quenching (ACQ), viene studiato sin dalla scoperta di Förster del 195431 e studi successivi ne hanno spiegato in modo

approfondito i processi ed i meccanismi fotofisici32. Le molecole che presentano

caratteristiche ACQ subiscono un abbattimento di fluorescenza all’aumentare della loro concentrazione, dal momento che gli anelli aromatici presenti si trovano a distanze reciproche progressivamente minori e quindi vanno soggetti a più forti interazioni di tipo π-π. L’abbattimento di fluorescenza per le molecole ACQ può essere causato anche da un

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aumento della mobilità molecolare che può essere favorito dalla presenza di un’analita33, da un aumento della temperatura34, o anche da uno stimolo meccanico. Un tipico esempio di fluoroforo che mostra l’effetto ACQ è il perilene (Figura 1.15, sinistra)30.

Altri sistemi fluoroforici sono caratterizzati da un’emissione indotta dopo loro aggregazione, tale fenomeno è conosciuto come Aggregation Induced Emission (AIE)35. Al contrario delle molecole ACQ, le molecole AIE presentano fluorescenza durante la loro aggregazione e questo comportamento (aggregacromico) è stato ricondotto alla restrizione dei moti intramolecolari (Restriction of Intramolecular Motions, RIM36). Le molecole capaci di AIE più comuni infatti sono dotate di gruppi con elevata inerzia (come ad esempio sistemi aromatici) legati da legami semplici che permettono di far ruotare le varie porzioni della molecola. Quando i moti intramolecolari vengono ostacolati la dissipazione dell’energia assorbita dai fotoni incidenti in cammini non radiativi viene fortemente ostacolata e la riemissione di fotoni nello spettro visibile diventa più probabile30,37. Un tipico esempio di

fluoroforo che mostra l’effetto AIE è l’esafenilsilolo (HPS) (Figura 1.15, destra)30.

Figura 1.15 – Fotografia sotto illuminazione UV di una soluzione/sospensione 20 µM di perilene (sinistra) e HPS (destra) in miscele THF/H2O a differente contenuto d’acqua30

Una classe particolare di molecole organiche che danno fenomeni di AIE sono i rotori molecolari fluorescenti; questi composti sono caratterizzati dalla presenza di due gruppi principali: uno elettron attrattore e uno elettron donatore separati da uno spaziatore coniugato. La loro conformazione planare consente una migliore circolazione degli elettroni della molecola. In questa struttura la molecola risponde alla fotoeccitazione con un trasferimento di carica intramolecolare (Intramolecular Charge Transfer, ICT) dal gruppo donatore all’accettore. In particolare, in seguito alla fotoeccitazione la molecola assume una conformazione distorta (Twisted Intramolecular Charge Transfer, TICT) per effetto delle forze elettrostatiche date dalla separazione di carica38-40. L’ipotesi dell’esistenza di un “trasferimento di carica intramolecolare ruotato” fu proposta da Grabowski basandosi sugli

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studi relativi all’anomala fluorescenza in soluzione del 4,4-dimetilamminobenzonitrile (DMABN) in solventi polari (Figura 1.16).

Figura 1.16 – Eccitazione e successiva formazione dello stato TICT nella molecola DMABN41

La formazione dello stato ruotato TICT è fortemente influenzata da una serie di parametri relativi al mezzo in cui è disciolta/dispersa la molecola. L’ingombro sterico della molecola stessa può ridurre il grado di formazione dello stato TICT, dal momento che può essere ostacolato il movimento di distorsione tra i due gruppi carichi e pertanto il fenomeno risulta meno probabile allo stato solido. Un altro parametro è legato alla natura del solvente, in particolare alla sua costante dielettrica, poiché in solventi molto polari si possono avere interazioni tra i dipoli delle molecole di solvente che possono favorire o meno la conformazione distorta e quindi la formazione dello stato TICT. La barriera energetica tra la forma planare e quella ruotata può essere inoltre innalzata anche con l’utilizzo di solventi a viscosità crescente e con la variazione della temperatura42.

1.5.1. Rotori molecolari fluorescenti a base di julolidina

Una delle classi di rotori molecolari piú studiate è quella che include i derivati della julolidina; in particolare il rotore 9-(2,2-dicianovinil)julolidina (DCVJ), in Figura 1.17, che ha riscosso ampio successo in campo biologico e biomedico43-45.

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Figura 1.17 – Struttura del rotore molecolare DCVJ

DCVJ ha una sola banda di emissione di fluorescenza e può assumere uno stato TICT in cui la transizione da S1 → S0 ha un salto energetico sufficientemente basso da consentire un

rilassamento non radiativo. La formazione del TICT avviene per trasferimento fotoindotto di un elettrone dall’azoto della julolidina ad uno dei due gruppi nitrili provocando una rotazione di quest’ultimi rispetto al piano della julolidina46. L’energia dello stato eccitato di singoletto della molecola nella conformazione ruotata risulta essere minore rispetto a quello della molecola planare, mentre quest’ultima presenta uno stato fondamentale energicamente più basso rispetto alla conformazione ruotata, come si osserva dal diagramma di Jablonski (Figura 1.18)

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Da studi computazionali è stato dimostrato che il raggiungimento dello stato TICT avviene attraverso una rotazione intramolecolare attorno al doppio legame vinilico47. Questo chiaramente sarebbe impedito allo stato fondamentale, ma al contrario risulta molto favorito energicamente allo stato eccitato rispetto al legame singolo C-C. Allo stato eccitato infatti il doppio legame vinilico a causa delle strutture di risonanza dovute al trasferimento di carica intramolecolari assume il carattere di un legame singolo permettendo la rotazione48 (Figura 1.19).

Figura 1.19 - Grafici dell’andamento dell’energia potenziale della DCVJ in funzione dell’angolo di torsione rispetto al doppio legame (grafico sopra, immagine a sinistra) e singolo (grafico sotto,

immagine a destra) per lo stato fondamentale (▲) ed eccitato (●)47

Vale la pena evidenziare che i calcoli computazionali riportati in letteratura per tali sistemi non tengono conto delle influenze del solvente sui livelli dell’energia, per cui un solvente polare potrebbe ad esempio stabilizzare meglio lo stato eccitato.

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Per la DCVJ è stato riscontrato un momento di dipolo poco intenso allo stato LE (Local Excited) con uno scarso comportamento solvatocromico. Al contrario, la sua resa quantica di fluorescenza è fortemente influenzata dalla microviscosità locale42,49.

1.5.2. Rotori molecolari come sonde fluorescenti

Tecniche analitiche basate su misure di fluorescenza sono sempre più diffuse45,50,51 per la

loro elevata sensibilità, bassi costi, tempi di risposta brevi e facilità di applicazione. La maggior parte di ioni e molecole, non sono fluorescenti e per questo motivo è necessario poter disporre di un metodo indiretto per la loro rivelazione. Esempi di tali tecniche sono:

• Derivatizzazione dell'analita con un composto fluorescente marcato.

• Formazione di complessi fluorescenti grazie alla formazione di legami tra un particolare analita da analizzare e una molecola fluorescente introdotta nel sistema. • Spegnimento della fluorescenza indotto all’analita mediante l’aggiunta di particolari

molecole “quenchers”.

Tali tecniche, insieme alla possibilità di dispersione di coloranti fluorescenti in qualsiasi ambiente e alla facilità delle misurazioni di fluorescenza, consentono lo sviluppo di nuovi metodi per valutare le proprietà fisiche che precedentemente erano determinabili solo attraverso metodi costosi e distruttivi. Inoltre, lo sviluppo di nuovi dispositivi basati sulle fibre ottiche ottimizzano le misurazioni in tempo reale legate all’intensità di fluorescenza.

Come conseguenza della forte influenza del mezzo circostante sull’emissione di fluorescenza, le molecole fluorescenti sono attualmente usate come sonde per analisi in sistemi biochimici e biologici. Le sonde fluorescenti si prestano per essere impiegate in svariati settori di ricerca fornendo informazioni sull’intorno chimico senza alterare l’ambiente circostante. Questi indicatori fluorescenti possono essere divisi in tre classi:

• Sonde intrinseche: sono il tipo di indicatore ideale, si hanno quando la molecola fluorescente è presente nel sistema che si intende rilevare (es. il triptofano nelle proteine).

• Sonde legate covalentemente: si realizzano legando l’indicatore fluorescente ad una molecola che va ad interagire col target dell’analisi.

• Sonde estrinseche: il sito di solubilizzazione di questa classe di sonde dipende dalla natura chimica della molecola che stabilisce interazioni particolari col sistema da analizzare.

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Pertanto la scelta di un indicatore fluorescente deve essere dettata dalle proprietà dell’ambiente che si vuole rilevare, tenendo conto che le uniche interazioni che devono influenzare l’intensità di fluorescenza sono quelle tra la molecola e il sistema da misurare.

1.6. Indicatori ottici a base polimerica per rilevazione di solventi organici

volatili (VOC)

I composti organici volatili (VOC) sono sostanze aventi uno scheletro carbonioso che hanno tensioni di vapore significative a temperatura ambiente; di conseguenza in breve tempo l’ambiente può saturarsi di questi vapori che nella maggior parte dei casi sono nocivi per la salute dell’uomo52,53. La legislazione italiana definisce composti organici volatili quei composti organici che, alla temperatura di 293,15 K (20 °C), abbiano una tensione di vapore di 0,01 kPa o superiore54.

Ad oggi è molto importante rilevare i VOC, in quanto essi sono rilasciati continuamente nell'ambiente da fonti diverse come i processi industriali, i trasporti, l'agricoltura; possono avere un ruolo di notevole importanza per la chimica dell’atmosfera terrestre. Molti di essi infatti contribuiscono in maniera significativa all’effetto serra, sia per la loro attività nell’infrarosso che per le loro proprietà ossido-riduttive. Inoltre altri VOC, ad esempio quelli alogenati, possono contribuire all’assottigliamento dello strato di ozono. I VOC devono quindi essere rilevati sia per non avere ripercussioni sull’ambiente, ma anche per motivi economici, clinici e di sicurezza52,53,55.

La difficoltà principale nel realizzare dispositivi a base ottica come indicatori di VOC sta nel trovare un sistema che sia selettivo per certi composti e sia sensibile alle basse concentrazioni (ppb/ppm) dando risultati accurati e di facile interpretazione.

Negli anni le tecnologie a film sottile sono state largamente sfruttate per creare dei “sistemi olfattivi artificiali” in grado di riconoscere un’ampia gamma di composti volatili anche per concentrazioni dell’ordine di pochi mg/l56-59. Il successo di tali metodi è legato alla capacità

dei VOC di penetrare nella matrice polimerica ed interagire con l’elemento sensoriale dando una risposta immediata ed alla facilità di deposizione dei film a base polimerica su diverse superfici. In base alla composizione dell’indicatore è possibile avere differenti tipi di risposte: ottica60-62 o elettronica63,64, con differenti tipi di lettura.

Per facilitare l’interpretazione dei risultati dando una lettura immediata alla presenza di VOC, sono stati sintetizzati molti coloranti che esibiscono un effetto vapocromico reversibile che li rende interessanti per indicatori ottici di tipo on/off. Ad esempio, molecole

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ad alta coniugazione π possono interagire con una serie di composti nitroaromatici (NAC) volatili che possono essere indicatori della presenza di esplosivi come il TNT. Le molecole elettronpovere dei NAC possono interagire con diimmine (es. Figura 1.20) inibendo il rilassamento per fluorescenza51.

Figura 1.20 – Schematizzazione dei processi di eccitazione e diseccitazione di una p-(fenilen-etinilen)diimmina51

Le forti interazioni π-π tra l’anello elettronricco della diimmina e l’anello del TNT favoriscono infatti una diseccitazione non radiativa, così da poter rilevare la presenza di un esplosivo attraverso il “quenching” della fluorescenza.

Un’altra strategia è basata sull’utilizzo di coloranti aggregacromici (ACQ, AIE), che interagendo con specifiche molecole di VOC vengono solvatati inducendo una diversa risposta ottica. In particolare, sono riportati in letteratura esempi di fluorofori di tipo cianovinil julolidinico dispersi45 o legati covalentemente65 ad una matrice polimerica, che in seguito al contatto del film polimerico con vapori di cloroformio subiscono un significativo abbattimento dell’emissione di fluorescenza. Ciò è dovuto al fatto che l’interazione tra il solvente organico ed il film polimerico porta ad un rilassamento delle catene

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macromolecolari e ad un conseguente aumento del volume libero e della mobilità del fluoroforo, che può quindi dissipare l’energia assorbita per via non radiativa.

1.7. Polimerizzazione radicalica controllata/vivente (CRP)

La polimerizzazione a radicali liberi convenzionale non è più soddisfacente per le applicazioni di avanguardia dei materiali polimerici in quanto il controllo sulla struttura chimica risulta essere scarso. Per avere risultati più rispondenti alle richieste di controllo chimico sulla struttura macromolecolare si può oggi ricorrere alla polimerizzazione radicalica controllata/vivente CRP.

Indipendentemente dalla natura “elettronica” delle catene in crescita, si definisce un processo di polimerizzazione “vivente”66 quando:

• La cinetica di polimerizzazione è del primo ordine rispetto al monomero;

• Il grado di polimerizzazione del polimero finale è direttamente proporzionale sia alla concentrazione del monomero sia al rapporto monomero/iniziatore;

• Vengono ottenute distribuzioni di peso molecolare con basse polidispersità.

Per queste caratteristiche le polimerizzazioni “viventi” permettono di ottenere polimeri monodispersi, con peso molecolare, gruppi funzionali ed architettura controllati. Inoltre i controlli CRP consentono anche l’applicabilità ad un gran numero di monomeri e solventi, tolleranza ad impurezze e gruppi funzionali ed una facile pratica sperimentale. Lo sviluppo di tali metodi preparativi è un obiettivo rilevante dal punto di vista industriale67.

Una delle tecniche CRP più diffuse è la polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP), che verrà sfruttata in questo lavoro di tesi. Altri tipi di polimerizzazione radicalica controllata sono (Figura 1.21):

• Polimerizzazione Radicalica Mediata da Nitrossido (NMRP): tale meccanismo di polimerizzazione consiste nella combinazione reversibile della catena in crescita con una specie radicalica persistente, per esempio il radicale del 2,2,6,6-tetrametilpiperidinil-1-ossido (TEMPO). Tuttavia essa è difficilmente applicabile a monomeri diversi dallo stirene, e derivati, e richiede temperature di polimerizzazione relativamente elevate (120-140 °C).

• Trasferimento degenerativo (DT): nelle polimerizzazioni radicaliche viventi per trasferimento degenerativo avviene una reazione di scambio per trasferimento diretto del gruppo terminale tra una catena attiva e un terminatore di catena. La concentrazione iniziale di trasferitori di catena (ad esempio specie

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perfluoroalchiliche contenenti Iodio) determina il grado finale di polimerizzazione, a condizione che la concentrazione iniziale di iniziatore sia piccola rispetto alla concentrazione iniziale di trasferitore di catena.

• Polimerizzazione per trasferimento reversibile di addizione-frammentazione (RAFT): è un caso particolare di trasferimento degenerativo. Il trasferitore RAFT ha la struttura generale Q-Y-C(Z)=Y, dove Y è lo zolfo, C il carbonio, Z è normalmente un gruppo fenilico e Q è il gruppo vivente. La reazione procede attraverso la formazione di un intermedio di reazione che può retrocedere al radicale iniziale o procedere attraverso il trasferimento del gruppo Y=C(Z)-Y. La scelta corretta del gruppo Q è di fondamentale importanza perché questo risulta poi essere un gruppo terminale di catena (essendo l’altro terminale occupato dal gruppo RAFT), ma soprattutto perché esso determina la reattività iniziale dell’agente RAFT, influenzando in modo significativo la stabilità del radicale intermedio rispetto alla catena radicalica attiva.

Figura 1.21 – Schema dei meccanismi di polimerizzazione delle polimerizzazioni NMRP, DT e RAFT68

1.7.1. Polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico (ATRP)

La polimerizzazione radicalica a trasferimento atomico è stata sviluppata da Matyjaszewski69 nella seconda metà degli anni ’90 e da allora il numero di pubblicazioni

che sfruttano questa strategia sintetica è sempre crescente. I componenti necessari a un sistema ATRP tipico sono monomero, iniziatore, una specie di un metallo di transizione e un legante70. Come mostrato in Figura 1.22, la catena in crescita è attivata reversibilmente da un catalizzatore metallico; il controllo sulla struttura polimerica avviene mediante l’equilibrio tra la reazione di attivazione della specie dormiente Pn-X e la reazione di

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vengono catalizzate da un complesso di un metallo con un opportuno legante (L), in grado di passare in maniera reversibile da uno stato di ossidazione minore a uno maggiore attraverso scambio di un elettrone (Mtn/Mtn+1) con simultanea estrazione di un atomo di alogeno X dalla specie dormiente68.

Figura 1.22 – Schema del meccanismo della polimerizzazione ATRP68

Ogni monomero possiede una propria costante di equilibrio nel processo di trasferimento atomico tra le specie dormiente e attiva. In assenza di reazioni secondarie, oltre quella di termine, la forza della costante di equilibrio (Keq= kact/kdeact) determina la velocità di

polimerizzazione.

L’iniziatore è una molecola che contiene un alogeno mobile (X), attivato da un sostituente come un α-carbonile, fenile o vinile. Il ruolo principale dell’iniziatore è quello di determinare il numero delle catene polimeriche in crescita e quindi il peso molecolare finale del polimero. L’attività dipende dal grado di sostituzione (primario < secondario < terziario), dal gruppo trasferitore (Cl < Br < I) e dalla stabilizzazione del radicale (-Ph, -COOR << -CN). Nell’ATRP dunque assumono particolare importanza due parametri per la scelta dell’iniziatore: in primo luogo, la fase iniziale del processo deve essere veloce rispetto alla propagazione; in secondo luogo l’incidenza di reazioni secondarie deve essere minimizzata. La reazione sfrutta un complesso metallico (comunemente a base di Cu) con due stati di ossidazione accessibili che differiscono per un elettrone, con affinità verso gli alogeni. Il legante ha lo scopo di favorire la solubilità del catalizzatore metallico nel solvente organico, modificare il potenziale redox in modo da avere un appropriato trasferimento atomico e assicurare che l’equilibrio fra specie dormiente e radicale attivo sia spostato verso la prima specie. Inoltre, la reattività del catalizzatore stesso è altamente influenzata anche dalle proprietà steriche ed elettroniche del legante68; per il rame sono comunemente usati leganti

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all’azoto come 2,2′-bipiridina (bpy), dietilenetriammina (DETA), tris[2-amminoetil]ammina (TREN) e tetraazaciclotetradecano (CYCLAM).

Molti monomeri sono stati polimerizzati con successo, come acrilati e metacrilati, stireni, acrilammidi e acrilonitrile. In funzione del monomero le condizioni di reazione e il sistema di iniziatore, catalizzatore e legante devono essere ottimizzati per ottenere un buon controllo sulla polimerizzazione67.

La polimerizzazione ATRP consente di preparare materiali con varie funzionalità, composizioni e topologie (Figura 1.23). Grazie alla polimerizzazione ATRP, l’introduzione di gruppi funzionali, utile per una fine modulabilità delle proprietà finali del polimero, avviene attraverso l’uso di monomeri variamente sostituiti, iniziatori funzionalizzati, o post-modifiche chimiche delle estremità alogenate della catena polimerica. Oltre agli omopolimeri, la polimerizzazione ATRP consente la sintesi di macromolecole con gruppi funzionali terminali, di copolimeri con composizione e microstruttura controllata di tipo casuale, a gradiente, a blocchi. La topologia dei polimeri ottenibili comprende copolimeri lineari, a pettine, a stella, ciclilci, (iper)ramificati e strutture reticolate.

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Scopo della tesi

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2. Scopo della Tesi

I copolimeri anfifilici possono generare speciali (nano)strutture auto-asssemblate in soluzione, in cui i componenti idrofili e idrofobi interagiscono separatamente e differentemente gli con gli altri e con l’ambiente esterno. Nei copolimeri anfifilici a blocchi si ottengono vari sistemi mediante associazioni intermolecolari multi-catena con morfologie su scala nano-macrometrica, dalle micelle e le vescicole alle strutture reticolate continue. Al contrario, i copolimeri statistici anfifilici disciolti in un solvente selettivo possono ripiegarsi spontaneamente in gomitoli compatti unimolecolari, le cosiddette micelle unimere, attraverso un processo intramolecolare di auto-assemblaggio.

Mentre la sintesi dei copolimeri a blocchi è generalmente complessa e richiede procedure più elaborate, la sintesi dei copolimeri statistici è più semplice e diretta, dal momento che è sufficiente la copolimerizzazione di due (o più) monomeri in un unico passaggio di reazione. Inoltre, le tecniche attuali di polimerizzazione radicalica controllata consentono di sintetizzare su misura copolimeri statistici con un’alta fedeltà dei parametri strutturali macromolecolari predefiniti per favorire l’auto-assemblaggio in soluzione. Tali nanostrutture unimere presentano notevole interesse scientifico e applicativo in vari settori tecnologici, dalla nanocatalisi in chimica verde al nanotrasporto di farmaci in medicina, dalla bioconiugazione di enzimi e proteine alla rilevazione di analiti in sensori e indicatori ottici. Esiste, quindi, un crescente interesse rivolto alla comprensione delle capacità di auto-assemblaggio in nanostrutture intramolecolari dei copolimeri statistici anfifilici, anche in funzione del grande potenziale innovativo che questi sistemi lasciano intravedere.

Tipici precursori idrofili sono i monomeri a base di polietilen glicol in grado di dar luogo a polimeri e copolimeri contraddistinti da solubilità in acqua e in solventi organici e da termosensibilità del tipo a temperatura di consoluto inferiore (LCST). Alchil metacrilati e fluoroalchil metacrilati sono stati impiegati come comonomeri idrofobi in modo da modulare le proprietà di solubilità dei copolimeri e favorire l’auto-assemblaggio in micelle unimere in soluzioni acquose.

Basandosi su queste premesse, in questo lavoro di tesi abbiamo inteso esplorare una nuova classe strutturale di copolimeri anfifilici, PEGMA-co-SiMAx, in cui un diverso monomero idrofobo, quale il polisilossano metacrilato (SiMA), fosse inserito insieme al monomero idrofilo, poli(etilen glicol) monometil etere metacrilato (PEGMA), allo scopo di permettere l’auto-assemblaggio in nanostrutture di micelle unimere mediante il ripiegamento intramolecolare della singola catena polimerica in soluzione acquosa. Infatti, l’introduzione

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di monomeri silossanici può influenzare in maniera drastica il comportamento di un copolimero sia in massa che in superficie, incrementando in modo significativo la sua capacità di organizzarsi spontaneamente alle superfici e alle interfacce dei sistemi polimerici, grazie al suo comportamento idrofobo a bassa energia superficiale. Variando il contenuto percentuale molare di tale comonomero (x) si sarebbe potuto modulare il bilancio idrofobo/idrofilo dei copolimeri e, di conseguenza, le proprietà di solubilità e di auto-assemblaggio.

Figura 2.1 – Formula generale dei copolimeri anfifilici PEGMA-co-SiMAx

Abbiamo fissato come altro obiettivo del lavoro lo studio del comportamento termoresponsivo dei copolimeri PEGMA-co-SiMAy (Figura 2.1) per individuare l’eventuale dipendenza dell’auto-assemblaggio in aggregati intermolecolari multi-catena ad una temperatura critica di transizione.

Per poter meglio indagare la formazione di tali strutture auto-aggregate in soluzione e in film solidi abbiamo progettato e sintetizzato un copolimero anfifilico, J(PEGMA-co-SiMAx) (Figura 2.2), del tutto analogo strutturalmente ai copolimeri PEGMA-co-SiMAx, ma iniziato da un iniziatore a base di julolidina.

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Scopo della tesi

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Figura 2.2 – Formula generale del copolimero anfifilico J(PEGMA-co-SiMAx)

Lo scopo per questo tipo di modifica chimica è stato quello di poter sfruttare il terminale julolidinico come rotore molecolare fluorescente in studi di emissione di fluorescenza del copolimero J(PEGMA-co-SiMAx) auto-assemblato in micelle unimere in soluzione acquosa. Tale fenomeno sarebbe stato di particolare rilevanza, qualora il rotore si fosse trovato confinato in un compartimento idrofobo del copolimero e potesse così decadere radiativamente dallo stato eccitato. Infine, abbiamo avviato lo studio del vapocromismo dei film sottili di J(PEGMA-co-SiMAx), allo scopo di valutare la sensibilità dell’emissione di fluorescenza del rotore molecolare auto-assemblato in fase solida, quale quella da implementare ad esempio in dispositivi indicatori ottici di vapori di solventi volatili.

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3. Risultati e discussione

3.1. Sintesi dell’iniziatore

9-[2-(2-bromo-2-metilpropanoilossietilossicarbonil)-2-cianovinil]julolidina (JBr)

La dispersione di un fluoroforo organico FMR in una matrice polimerica può causare l’aggregazione del fluoroforo con conseguente segregazione di fase. Questa caratteristica limita la potenzialità del sistema riducendone la sensibilità alla viscosità del mezzo circostante71 e quindi diminuendone l’efficienza come sonda per vapori di solventi volatili in un indicatore ottico.

L’ottimale dispersione del fluoroforo all’interno della matrice polimerica si può realizzare attraverso un legame covalente tra il fluoroforo e il polimero stesso. In questo lavoro l’introduzione nello scheletro macromolecolare di un fluoroforo FMR è stata ottenuta a partire da un colorante organico progettato in modo che avesse la duplice funzione di fornire le proprietà ottiche desiderate al polimero e al contempo di fungere da iniziatore di polimerizzazione radicalica controllata ATRP.

La strategia sintetica adottata per la sintesi di tale iniziatore fluorescente (JBr) è riportata nello schema in Figura 3.1:

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La sintesi coinvolge quattro stadi. Il primo di questi prevede la formilazione della julolidina impiegando la reazione di Vilsmeier-Haack72,73, per ottenere la 9-formil-julolidina. Parallelamente attraverso la reazione di esterificazione tra l’α-bromoisobutirril bromuro e l’etilen glicole viene sintetizzato il 2-idrossietil α-bromoisobutirrato74. Il prodotto ottenuto

viene quindi sottoposto a reazione di esterificazione con acido cianoacetico in presenza di N,N’-dicicloesilcarbodiimmide, conducendo al (2-bromo-2-metilpropanoilossietil) cianoacetato72,75. Questo viene impiegato nell’ultimo stadio che prevede la condensazione di Knoevenagel con la 9-formil-julolidina al fine di ottenere il prodotto finale, 9-[2-(2-bromo-2-metilpropanoilossietilossicarbonil)-2cianovinil]julolidina (JBr)72,76.

Il primo passaggio sintetico prevede la formilazione della julolidina tramite la reazione di Vilsmeier-Haack72,77,78 (Figura 3.2).

Figura 3.2 – Reazione di Vilsmeier-Haack sfruttata per la sintesi della 9-formil-julolidina

La reazione di Vilsmeier-Haack sulla julolidina è effettuata impiegando il metodo di Cai et al., con un’unica variazione: l’idrolisi dell’intermedio ionico con acetato di sodio è lasciata proseguire durante la notte77,79. La julolidina con l’anello ricco di elettroni reagisce con il “reagente di Vilsmeier-Haack” generato in situ dalla reazione tra la DMF ed il POCl3. La

reazione viene condotta in condizioni anidre per evitare l’idrolisi del POCl3. Particolare

attenzione va prestata anche alle successive aggiunte di acqua e di acetato di sodio. L’acqua prende parte alla reazione donando l’atomo di ossigeno, mentre la base neutralizza l’acido che si viene a formare. La presenza di specie acide può infatti causare la protonazione dell’azoto julolidinico limitando il processo di estrazione dalla fase acquosa dell’aldeide. Il secondo stadio di reazione prevede una reazione di condensazione tra glicole etilenico e l’α-bromoisobutirril bromuro per ottenere il 2-idrossietil α-bromoisobutirrato (Figura 3.3).

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Figura 3.3 – Reazione di condensazione sfruttata per la sintesi del 2-idrossietil α-bromoisobutirrato

La reazione viene condotta in largo eccesso di diolo che funge da solvente oltre che da reagente. L’eccesso di diolo va inoltre a rendere statisticamente sfavorita la formazione del di-estere rispetto al mono-estere che è il prodotto desiderato in quanto recante ancora una funzionalità alcolica libera necessaria per proseguire la strategia sintetica voluta.

Il 2-idrossietil α-bromoisobutirrato è fatto reagire, nel terzo passaggio sintetico, con acido cianoacetico sfruttando l’esterificazione di Steglich72,75 in presenza della

N,N’-dicicloesilcarbodiimmide (DCC) quale agente di coupling (Figura 3.4).

Figura 3.4 – Reazione di Steglich sfruttata per la sintesi del (2-bromo-2-metilpropanoilossietil) cianoacetato

La reazione procede attraverso la formazione di un intermedio O-acilisourea risultante dalla reazione tra l’acido carbossilico e la DCC. In seguito, l’alcol si addiziona alla forma attivata dell’acido carbossilico con l’ottenimento dell’estere desiderato e di N,N’-dicicloesilurea (DCU). È necessario lavorare in condizioni anidre per evitare la disattivazione della DCC che verrebbe trasformata direttamente in DCU senza intervenire come attivatore di reazione, oltre che per impedire l’idrolisi dell’estere formatosi. L’urea si forma in quantità equimolari al prodotto di reazione e la sua completa rimozione risulta difficoltosa e viene effettuata tramite ripetuti processi di purificazione.

Infine, l’iniziatore di ATRP desiderato viene ottenuto mediante condensazione di Knoevenagel, catalizzata da piperidina76, tra la 9-formil-julolidina ed il (2-bromo-2-metilpropanoilossietil) cianoacetato80 (Figura 3.5).

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Luisa Annunziata – Tesi di Laurea Magistrale

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Figura 3.5 – Condensazione di Knoevenagel sfruttata per la sintesi della 9-[2-(2-bromo-2-metilpropanoilossietilossicarbonil)-2-cianovinil]julolidina (JBr)

La reazione prevede l’addizione nucleofila di un composto recante idrogeni acidi, quali i -CH2CN, ad un gruppo carbonilico, nel caso specifico al gruppo aldeidico della

9-formil-julolidina, ed un successivo stadio di disidratazione con l’ottenimento del prodotto di condensazione. Le condizioni anidre, anche in questo caso, sono necessarie per l’ottenimento di cinetiche di reazione più favorevoli.

3.2. Proprietà di assorbimento/emissione in soluzione dell’iniziatore JBr

Le proprietà ottiche dell’iniziatore julolidinico JBr sono state valutate in soluzione di CHCl3.

Gli spettri di assorbimento e fluorescenza (λecc = 454 nm) di una soluzione di JBr 3×10-5 M

in CHCl3 sono presentati in Figura 3.6.

Figura 3.6 – Spettri di assorbimento UV-Vis (in rosso) ed emissione (λecc= 454 nm) (in nero) di

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Lo spettro di assorbimento mostra un massimo a 454 nm, mentre il massimo di emissione, quando il rotore viene eccitato a 454 nm si presenta a 489 nm. Il sistema è quindi caratterizzato da uno spostamento di Stokes di circa 35 nm, simile a quello riportato in letteratura per altri composti derivati dalle cianovinil julolidine45.

Il coefficiente di assorbimento molare (ε = 52700 M-1 cm-1) dell’iniziatore JBr è stato

ricavato applicando la legge di Lambert-Beer, dalla pendenza della retta che correla il massimo di assorbimento della soluzione alla sua concentrazione. Tale retta è stata costruita impiegando soluzioni a titolo noto nell’intervallo di concentrazione 5×10-7 M - 1×10-5 M (Figura 3.7)

Figura 3.7 – Grafico del massimo di assorbimento delle soluzioni JBr in CHCl3 in funzione della

concentrazione (R2= 0,997)

Inoltre sono stati condotti studi al fine di valutare l’effetto della viscosità media della soluzione sull’emissione del fluoroforo. A tal fine sono state preparate varie soluzioni metanolo/glicerolo in cui la concentrazione di JBr rimaneva costante (1×10-5 M), ma veniva variata la composizione in volume metanolo/glicerolo (da 10/0 a 1/9), e quindi la viscosità media, della miscela solvente. Il glicerolo è un liquido incolore molto viscoso la cui viscosità a 25 °C è 934 mPa × s, circa 1560 volte superiore a quella del metanolo (0,6 mPa × s). Gli spettri di assorbimento UV-vis in Figura 3.8 di JBr mostrano uno spostamento a lunghezze d’onda maggiori (batocromico) dei massimi di assorbimento (circa 15 nm) con l’aumentare del contenuto di glicerolo nel mezzo solvente (Tabella 3.1). Risultato analogo si presenta anche in emissione (circa 10 nm, Figura 3.9). Dunque la variazione della viscosità e della

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costante dielettrica del mezzo provocano variazioni nelle caratteristiche ottiche del fluoroforo.

Figura 3.8 – Spettri di assorbimento UV-Vis di JBr a concentrazione nota 1×10-5 M in differenti

rapporti volumetrici metanolo/glicerolo

Figura 3.9 – Spettri di emissione di fluorescenza (λecc= 454 nm) di JBr a concentrazione nota

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Tabella 3.1 – Proprietà di assorbimento/emissione delle miscele metanolo/glicerolo contenenti JBr in concentrazione 1×10-5 M MeOH/Gli (v/v) Ass. max. (nm) Emis. max. (nm) Shift di Stokes (nm) Indice di rifrazionea) Costante dielettricaa) Viscositàa) mPa*s Φb) 100/0 451 492 41 1,3288 33 0,6 1,46×10-3 90/10 453 495 42 1,3431 34,4 1,8 1,52×10-3 80/20 455 496 41 1,3574 35,6 4,8 2,04×10-3 70/30 457 497 40 1,3718 36,7 7,7 2,30×10-3 60/40 457 498 41 1,3861 37,6 13 2,77×10-3 50/50 460 499 39 1,4004 38,6 28 3,89×10-3 40/60 461 500 39 1,4147 39,3 58 5,67×10-3 30/70 462 501 39 1,4290 40,1 130 9,62×10-3 20/80 464 502 38 1,4434 40,8 250 1,42×10-2 10/90 466 503 37 1,4577 41,4 630 2,35×10-2

a) Calcolate mediante la regole di Arago-Biot81 e Grumberg-Nissan82 rispettivamente. b) Resa quantica di fluorescenza calcolata con la formula:Φ = Φ

ST ∫ I(ν)dν ∞ 0 ∫ I0∞ ST(ν)dν (1−10−AST) (1− 10−A) n2 nST2 , dove ∫ 𝐼𝐼(𝜈𝜈)𝑑𝑑𝜈𝜈0∞ e ∫ 𝐼𝐼0𝑆𝑆𝑆𝑆(𝜈𝜈)𝑑𝑑𝜈𝜈 sono le aree sottese alle curve di emissione, rispettivamente, del composto studiato e dello standard di fluoresceina (intervallo 470 – 600 nm), A e AST

sono, rispettivamente, i valori di assorbanza del composto studiato e dello standard alla lunghezza d’onda di eccitazione (454 nm) e n e nST sono, rispettivamente, gli indici di

rifrazione dei solventi del composto studiato e dello standard.

È interessante notare che, l’intensità di fluorescenza aumenta progressivamente (Figura 3.9) all’aumentare del contenuto di glicerolo nella miscela, quindi all’aumentare della viscosità del mezzo, a causa della graduale inibizione della formazione dello stato a trasferimento di carica intramolecolare (TICT) la diseccitazione avviene prevalentemente dallo stato localmente eccitato (LE), in accordo con quanto notato per altri rotori molecolari54,65. Tale fenomeno porta ad un aumento della resa quantica di fluorescenza (Φ) di più di un ordine di grandezza passando da 1,46×10-3 a 2,35×10-2 quando la percentuale volumetrica di glicerolo passa dallo 0% al 90%. Il risultato viene confermato qualitativamente dall’osservazione visiva della gradazione dell’intensità di colore delle soluzioni a diversa concentrazione sotto una lampada a 450 nm (Figura 3.10).

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Figura 3.10 – Soluzioni (1×10-5 M) di JBr in miscele metanolo/glicerolo eccitate con un transiilluminatore Dark Reader 46B (λecc ̴ 454 nm)

La resa quantica di fluorescenza è strettamente correlata alla microviscosità del sistema secondo l’equazione di Forster-Hofmann (Equazione 3.1)83:

𝛷𝛷 = 𝐶𝐶 ∗ (𝜂𝜂)

𝑥𝑥 Equazione 3.1

dove Φ è la resa quantica di fluorescenza, C è una costante che dipende dal fluoroforo, η è la viscosità del mezzo e x è un parametro dipendente sia dal fluoroforo che dal solvente ottenuto empiricamente. È stato dimostrato che può assumere un valore massimo di 0,6684 e per i rotori più comuni assume valori compresi tra 0,4 e 0,648,85; più elevato è il valore di x e più alta sarà la sensibilità del rotore molecolare alle variazioni di viscosità (x parametro di sensibilità della viscosità).

Il valore x calcolato per JBr (Figura 3.11) è 0,43 il quale è paragonabile con i dati di letteratura riportati per rotori adatti come viscosimetri48,85.

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Figura 3.11 – Andamento (scala bilogaritmica) della resa quantica in funzione della viscosità media calcolata e regressione lineare dei dati sperimentali (R2= 0,946)

3.3. Sintesi dell’omopolimero J(PMMA)

L’iniziatore JBr, è stato impiegato per la sintesi dell’omopolimero poli(metil metacrilato) mediante polimerizzazione radicalica controllata a trasferimento atomico (ATRP) del metil metacrilato (MMA) (Figura 3.12).

O O CuBr, PMDETA, JBr anisolo, 90 °C MMA N CN O O O O Br O O x J(PMMA) CN O O O O Br N JBr =

Figura 3.12 – Schema di sintesi dell’omopolimero J(PMMA) mediante ATRP a partire dall’iniziatore JBr

Come sistema catalitico è stata scelta la coppia CuBr/pentametil dietilentriammina (PMDETA) presenti in quantità equimolari. La reazione è condotta in soluzione di anisolo a 90 °C per 24 ore, con un rapporto inizale molare monomero/iniziatore 100/1. La reazione è stata condotta in assenza di ossigeno in modo da evitare processi di ossidazione irreversibile

-3,5 -3 -2,5 -2 -1,5 -1 -0,5 0 0,5 1 1,5 2 2,5 3 log( φ) log(η)

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