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Studio di reti cerebrali attraverso l'analisi di connettività strutturale e funzionale basata su tecniche di Magnetic Resonance Imaging

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Academic year: 2021

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U

NIVERSIT

`

A DI

P

ISA

DIPARTIMENTO DI FISICA ‘E. FERMI’

Corso di Laurea Magistrale in Fisica

Studio di reti cerebrali attraverso l’analisi di connettivit`a

strutturale e funzionale basata su tecniche di

Magnetic Resonance Imaging

Candidato:

Emilio Cipriano

Relatori:

Prof.ssa Michela Tosetti

Dott.ssa Laura Biagi

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Indice

Lista degli acronimi Introduzione

1 Diffusione in Risonanza Magnetica 1

1.1 Diffusione . . . 2

1.2 Segnale RM nei processi diffusivi e Tensore di diffusione . . . 4

1.2.1 Equazione di Bloch-Torrey . . . 5

1.3 Diffusion Tensor Imaging . . . 8

1.3.1 Ellissoide di diffusione . . . 9

1.3.2 Indici di diffusione anisotropa . . . 11

1.3.3 Trattografia deterministica e probabilistica . . . 12

1.4 Limiti del DTI . . . 13

1.5 Tecnica CSD . . . 14

2 Resting State Functional Magnetic Resonance 17 2.1 Segnale BOLD . . . 18

2.2 Resting State come fluttuazioni a basse frequenze del BOLD . 19 2.3 Metodi di indagine per la connettivit`a funzionale . . . 20

2.3.1 Seed-based Correlation Analysis . . . 21

2.3.2 Indipendent Component Analysis . . . 22

3 Teoria dei Grafi 24 3.1 Definizioni . . . 24

3.2 Misure caratteristiche di una rete . . . 25

3.2.1 Misure di segregazione . . . 26

3.2.2 Misure di integrazione . . . 29

3.2.3 Misure di centralit`a . . . 30

4 Studio delle matrici di connettivit`a cerebrale 33 4.1 Costruzione delle matrici di connettivit`a . . . 33

4.1.1 Definizione dei nodi . . . 35

(4)

INDICE

4.1.3 Matrice di connettivit`a funzionale . . . 39

4.2 Analisi di gruppo . . . 41

4.3 Applicazione teoria dei grafi . . . 43

4.3.1 Moduli . . . 43

4.3.2 Centralit`a . . . 46

4.3.3 Coefficiente di partecipazione . . . 49

5 Applicazione del metodo di analisi su un modello di patologia 53 5.1 Costruzione delle matrici . . . 53

5.1.1 Connettivit`a strutturale . . . 55

5.1.2 Connettivit`a funzionale . . . 58

5.2 Integrazione . . . 61

Conclusioni 64

A Principi fisici ed Imaging in Risonanza 66

(5)

Lista degli acronimi

ACT: Anatomically-Constrained Tractography ADC: Apparent Diffusion Coefficient

A-RSN: Auditory-Resting State Network

BOLD: Blood Oxygenation Level Dependent CSD: Constrained Spherical Deconvolution DMN: Default Mode Network

DTI: Diffusion Tensor Imaging DWI: Diffusion Weighted Imaging EPI: Echo-Planar Imaging

FA: Fractional Anisotropy

FACT: Fiber Assignment by Continuous Tracking FID: Free Induction Decay

fMRI: functional Magnetic Resonance Imaging FOD: Fiber Orientation Distribution

HARDI: High Angular Resolution Diffusion Weighted Imaging

ICA: Indipendent Component Analysis

IVOH: Intra-Voxel Orientational Heterogeneity MD: Mean Diffusivity

MRI: Magnetic Resonance Imaging RF: Response Function

RM: Risonanza Magnetica ROI: Region Of Interest

RS-fMRI: Resting State-functional Magnetic Resonance Imaging RSN: Resting State Network

SCA: Seed-based Correlation Analysis SE: Spin Echo

SIFT: Spherical-deconvolution Informed Filtering of Tractograms SMN: Sensorimotor Network

SNR: Rapporto segnale-rumore TE: Tempo di Echo

TR: Tempo di Ripetizione

Voxel: Volumetric picture element V-RSN: Visual-Resting State Network

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Introduzione

Scopo del lavoro di tesi `e lo studio della connettivit`a cerebrale attraverso l’analisi e l’integrazione di misure strutturali e funzionali ottenute median-te median-tecniche di Magnetic Resonance Imaging (MRI) analizzamedian-te in median-termini di reti complesse.

L’idea di rappresentare e analizzare il cervello tramite le reti deriva da osservazioni di carattere anatomico e funzionale: a livello cellulare il si-stema nervoso pu `o essere studiato come la rete creata da un gran numero di neuroni (' 1011) che comunicano fra loro tramite le connessioni sinap-tiche. Gruppi di neuroni costituiscono un’area specializzata in una fun-zione specifica; a loro volta le aree comunicano tra loro attraverso fasci di fibre nervose (materia bianca) che costituiscono il substrato anatomico delle vie neuronali. Inoltre, attivit`a non elementari, come l’elaborazione di risposte agli stimoli, lo svolgimento di compiti cognitivi, la memoria e l’auto-rappresentazione, non possono essere a carico di una singola area cerebrale, ma richiedono la cooperazione di un grande numero di neuroni connessi in modo opportuno. Infine, `e stato osservato che anche in condi-zione di cervello a riposo (cio`e quando non viene svolto nessun compito) sussiste un’attivit`a spontanea casuale e al tempo stesso organizzata in spe-cifici circuiti. Pertanto, la rappresentazione e l’analisi dell’organizzazione strutturale e funzionale del cervello tramite reti cerebrali sembra essere una scelta opportuna. Obiettivo dell’analisi di una rete ´e quello di ricavare mi-sure in grado di descrivere la struttura e il funzionamento della rete stessa, nonch´e di identificare i meccanismi che l’hanno generata e, di conseguenza, eventuali alterazioni che ne modifichino il comportamento. Dal punto di vista clinico, l’analisi di queste reti potrebbe essere uno strumento impor-tante per lo studio della funzionalit`a cerebrale sia in studi di Neuroscienze di base, che di malattie del sistema nervoso centrale. La caratterizzazio-ne sistematica di tali reti potrebbe aiutare caratterizzazio-nella migliore comprensiocaratterizzazio-ne del funzionamento del cervello e di meccanismi fisiopatologici della malattia. Tra le varie tecniche che permettono lo studio delle reti cerebrali, `e sta-to scelsta-to di utilizzare tecniche basate sulla Magnetic Resonance Imaging (MRI). La MRI, infatti, `e il metodo pi `u indicato per l’analisi delle reti cere-brali poich´e non invasivo, con un’alta risoluzione spaziale che permette di

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ottenere misure sia di connettivit`a funzionale che strutturale. Per studiare la connettivit`a cerebrale in vivo, `e stato implementato un metodo di ana-lisi delle reti che `e stato, dapprima, valutato su soggetti sani di controllo (N=11) e, successivamente, `e stato applicato su un particolare modello di patologia, al fine di verificare se il metodo di analisi fosse in grado di ri-velare eventuali differenze tra diversi gruppi di soggetti. In particolare, `e stato deciso di studiare una condizione in cui l’anatomia cerebrale `e preser-vata ma sono attese alterazioni ultrastrutturali legate alla funzione, ovvero sono stati analizzati dati MRI di 4 soggetti destrimani che hanno subito l’amputazione dell’arto superiore destro.

Nella trattazione della connettivit`a cerebrale mediante il concetto di rete si utilizza dal punto di vista matematico la teoria dei grafi. Un grafo `e definito come una coppia (N, L) dove N sono i nodi e L i link. Un nodo `e un elemento fisico all’interno della rete che `e capace di inviare e/o ri-cevere informazioni. Con link si intende una connessione tra due nodi ed `e rappresentato da un valore numerico che quantifica lo scambio di infor-mazioni tra essi. Per una migliore visualizzazione, `e utile rappresentare la rete come una matrice n×n, dove n `e il numero di nodi e l’elemento (i, j)

della matrice rappresenta il link tra i nodi i e j. Si definiscono complesse quelle reti che sono caratterizzate da un gran numero di nodi e, quindi, di link come nel caso della connettivit`a cerebrale.

Nella trattazione della connettivit`a cerebrale con reti complesse, il primo passo `e la definizione dei nodi, ovvero di regioni cerebrali standardizza-te. Per ogni soggetto le immagini anatomiche T1-pesate dell’encefalo sono state normalizzate ad un atlante di riferimento e, quindi, segmentate e parcellizzate cos`ı da ottenere 58 Regions Of Interest (ROI) standardizzate, ciascuna rappresentante un nodo.

Per la definizione dei link nelle reti di connettivit`a strutturale, si assume che questi siano le connessioni di struttura anatomica che, in Risonanza Magnetica (RM), possono essere determinate utilizzando la tecnica a pesa-tura in diffusione. Essa `e una particolare sequenza che permette di osserva-re gli effetti della diffusione delle molecole d’acqua nell’encefalo, basandosi sull’applicazione di gradienti di campo magnetico in diverse direzioni. Nel Capitolo 1 viene descritto il fenomeno della diffusione e spiegato, dap-prima, il significato di coefficiente di diffusione e, in seguito, quello di tensore di diffusione. Quest’ultimo descrive il comportamento anisotropo della materia bianca e pu `o essere ottenuto tramite la tecnica della Diffusion Tensor Imaging (DTI), che permette di mappare tridimensionalmente le fi-bre che costituiscono la materia bianca (trattografia). Tuttavia, tale tecnica presenta dei limiti nella rilevazione di fasci di fibre eterogenei all’interno

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dello stesso voxel. Pertanto, in questo capitolo viene illustrata la tecnica della Constrained Spherical Deconvolution (CSD), che permette di ottene-re una distribuzione di probabilit`a di orientamento delle fibottene-re di materia bianca (Fiber Orientation Distribution, FOD) all’interno di ogni voxel del-l’immagine. A partire da questa funzione di distribuzione, utilizzando particolari algoritmi, `e stato possibile ricostruire, voxel per voxel, la traiet-toria di tutte le fibre che costituiscono le connessioni assonali del cervello. Sulla base dei nodi precedentemente definiti, `e stata costruita la matrice di connettivit`a strutturale i cui elementi corrispondono al numero di fibre nervose (tratti) tra due diverse aree cerebrali.

Il Capitolo 2 si focalizza sullo studio della connettivit`a funzionale. In par-ticolare, viene introdotto il concetto di segnale BOLD, la cui variazione riflette il cambiamento di attivit`a delle aree cerebrali. L’attenzione `e stata posta sull’attivit`a a riposo del cervello che `e legata alle fluttuazioni a basse frequenze del segnale BOLD. Lo studio di tale attivit`a viene effettuato tra-mite l’acquisizione e l’analisi di dati di Resting State Functional Magnetic Resonance Imaging (RS-fMRI). La RS-fMRI consiste in una rapida acquisi-zione del segnale che, ripetuto per un intervallo di tempo finito, permette di avere, per ogni voxel, un segnale temporalmente dipendente dal livello di ossigenazione della corteccia cerebrale e, pertanto, indice indiretto del-l’attivit`a neuronale.

Vengono descritte poi le tecniche di indagini che, a partire dall’andamento temporale del BOLD, sono utilizzate per ricavare le mappe di connettivit`a. In questo lavoro di tesi, `e stata scelta la Seed-Based Correlation Analysis (SCA) che permette di ottenere una matrice di connettivit`a in cui, all’ele-mento ij `e riportato il valore del parametro di correlazione tra il nodo i e un altro nodo di riferimento, j (seed).

Il Capitolo 3 illustra la teoria dei grafi su cui si basa l’analisi delle reti ce-rebrali. Vengono cos`ı definite le misure che possono essere estratte per la caratterizzazione delle reti e, in particolare, quelle utilizzate in questa tesi: segregazione e centralit`a.

La segregazione identifica le strutture modulari formate da gruppi di nodi (moduli). Per modulo si intende una sotto-rete in cui le connessioni tra i nodi che ne fanno parte sono massimizzate rispetto a quelle con gli altri nodi della rete. L’analisi dei moduli ha permesso di identificare dei circuiti cerebrali ben definiti.

Le misure di centralit`a permettono di distinguere all’interno dei moduli i diversi ruoli dei nodi che lo compongono, individuando quelli di maggiore importanza (hub).

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Il Capitolo 4 descrive il metodo implementato in questa tesi per l’analisi delle reti cerebrali, applicato al gruppo dei soggetti di controllo. A partire dalle reti cerebrali (matrici) ottenute a livello di singolo soggetto, sono state esplorate due diverse tecniche per ricavare una rappresentazione per l’in-tero gruppo. Scegliendo, poi, la tecnica pi `u riproducibile anche nel caso di un numero ristretto di soggetti, sulle matrici di gruppo, strutturali e fun-zionali, sono state effettuate misure di segregazione e centralit`a secondo la teoria dei grafi. Successivamente, attraverso un algoritmo definito ad hoc, si `e cercato di identificare, all’interno di ciascuna rete e di ciascun modulo, i provincial hubs ed i connector hubs. I primi svolgono un ruolo importan-te per la coesione del modulo di cui fanno parimportan-te. I connector hubs, invece, favoriscono l’interazione inter-modulare.

Infine, il Capitolo 5 riguarda l’applicazione del metodo al gruppo di pa-zienti patologici al fine di confrontarli con i soggetti sani e valutare le diffe-renze tra le reti strutturali e funzionali ottenute tra i due gruppi di soggetti. A questo scopo, oltre al contributo diretto delle reti ottenute, si `e cercato di evidenziare eventuali alterazioni di connettivit`a grazie all’integrazione delle informazioni dei due diversi tipi di connettivit`a. I risultati dimo-strano che il metodo messo a punto `e in grado di evidenziare differenze compatibili con il tipo di patologia analizzata. Questo spinge ad estendere l’utilizzo di tale metodo per lo studio di altri tipi di patologie in cui siano attese alterazioni anche a livello strutturale.

I concetti fisici e le tecniche RM a cui si fa riferimento all’interno della tesi vengono riportati nell’Appendice A. In particolare sono descritti i princi-pali parametri fisici (T1 e T2) e le principali sequenze di acquisizione con i loro parametri caratteristici (TE e TR).

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Capitolo 1

Diffusione in Risonanza

Magnetica

Le tecniche di rivelazione dei processi diffusivi in Risonanza Magnetica (RM) permettono di estrarre informazioni sulla struttura cerebrale misu-rando il movimento delle molecole d’acqua nei tessuti biologici e, in parti-colare, nei tessuti cerebrali. Il tessuto nervoso del sistema nervoso centrale `e formato da cellule dette cellule nervose o neuroni tra le quali si instaurano delle connessioni necessarie per la trasmissione di segnali elettrici impul-sati. A livello anatomico i neuroni sono costituiti da un corpo cellulare contenente il nucleo e il citoplasma e da lunghi e caratteristici prolunga-menti che si dividono in dendriti e assone (Fig. 1.1). Tipicamente si parla di materia grigia riferendosi alla corteccia cerebrale, la parte del cervel-lo dove il corpo cellulare dei neuroni si dispongono ”impilati” in strati, e di materia bianca dove le fibre (principalmente assoni) si parcellizzano in fascie. La diffusione libera dell’acqua nel tessuto nervoso `e legata all’or-ganizzazione strutturale del mezzo che differisce in maniera significativa a seconda che si tratti di materia grigia o materia bianca. Se alla prima corri-sponde macroscopicamente un basso livello di organizzazione strutturale, alla materia bianca, invece, si associa un alto livello di organizzazione strut-turale la quale `e definita dagli assoni che principalmente la costituiscono. Essi infatti sono ricoperti dalla guaina mielinica che `e una sostanza lipi-dica (biancastra) che funge da isolante elettrico permettendo una rapida trasmissione del segnale nervoso. Essendo una sostanza grassa, la guaina mielinica `e un materiale idrofobo e questo comporta che diffonde preva-lentemente lungo la direzione dell’assone (diffusione anisotropa).

Per comprendere meglio il fenomeno della diffusione, verranno illustrati dapprima i principi fisici che ne sono alla base, in un secondo momento la medesima verr`a studiata attraverso il segnale di Risonanza Magnetica (RM).

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2 Diffusione in Risonanza Magnetica In particolare, verr`a analizzata la tecnica basata sul tensore di Diffusione (DTI) che sar`a anche il punto di partenza per ricavare la trattografia delle fibre neurali. Verr`a, infine, discusso di come la DTI sia limitata per l’analisi delle Intra-Voxel Orientational Heterogeneity (IVOH) e di come la Constrai-ned Spherical Deconvolution (CSD) fornisca una migliore alternativa per la costruzione della trattografia.

Figura 1.1: Struttura del neurone.

1.1

Diffusione

Con il termine diffusione si indica il moto caotico e disordinato delle mole-cole di un sistema dovuto all’agitazione termica. Questo fenomeno prende il nome di moto Browniano, dal nome del botanico scozzese Robert Brown (1773-1858) che per primo lo osserv `o e ne descrisse le caratteristiche. Il moto di ciascuna molecola all’interno del fluido risulta indipendente dal comportamento delle altre molecole. Tuttavia, le collisioni tra le molecole provocano reciproci spostamenti di natura casuale e senza una direzione preferenziale, che danno luogo al fenomeno della diffusione. Nonostan-te sia legato ad un moto casuale, la diffusione `e un processo dipendenNonostan-te dalle caratteristiche del mezzo. Questo tipo di comportamento `e descri-vibile tramite il coefficiente di diffusione, D, che si ottiene dalla relazione di Stokes-Einstein [1]:

D = kT

6πrpη (1.1)

dove k `e la costante di Boltzmann, T `e la temperatura, η `e la viscosit`a del mezzo e rp `e il raggio della molecola che sta diffondendo. Al coefficiente di diffusione `e legato anche il cammino quadratico medio della molecola

(13)

1.1 Diffusione 3 all’interno del campione nell’intervallo di tempo t, secondo la relazione:

hr2i =6DT (1.2)

La legge fisica che regola il fenomeno della diffusione `e la legge di Fick. Supponendo di avere un fluido immerso all’interno di un mezzo diffusivo unidimensionale, la legge di Fick lega il flusso delle molecole del fluido al gradiente di concentrazione del mezzo tramite il coefficiente di diffusione D:

F= −D∂C

∂x (1.3)

dove C `e la concentrazione del mezzo e il segno negativo sta ad indicare il fatto che la diffusione avviene in direzione opposta a quella del gradiente di concentrazione.

Utilizzando la legge di conservazione di massa

∂C ∂t = −

∂F ∂x

e sostituendola nella (1.3) si ottiene l’equazione di diffusione unidimensio-nale:

∂C ∂t =D

2C

∂x2 (1.4)

Assumendo che le molecole d’acqua possano diffondere, sull’asse delle x, liberamente, quindi senza seguire una direzione preferenziale indotta da impedimenti, allora la probabilit`a che dopo un tempo t esse possano diffondere percorrendo una distanza x `e descritta da una distribuzione Gaussiana:

P(x, t) = √ 1

4πDte

x2

4Dt (1.5)

La (1.1) fornisce un metodo per stimare lo spostamento delle molecole nel mezzo diffusivo. In particolare, nel caso di diffusione nell’acqua libera a 37◦C (D = 3·10−3 mm2s−1) con un tempo di diffusione pari a 50 ms, il 32% delle molecole si muoveranno di 17 µm, mentre solo il 5% di esse si sposteranno per pi `u di 34 µm.

Generalizzando al caso tridimensionale e assumendo che il processo di diffusione presenti le stesse caratteristiche lungo qualsiasi direzione dello spazio, la (1.1) e la (1.4) possono essere riscritte come:

∂C ∂t = D  2C ∂x2 + 2C ∂y2 + 2C ∂z2  =D∇2C (1.6) P(x, t) = √ 1 4πDte x2+y2+z2 4Dt (1.7)

(14)

4 Diffusione in Risonanza Magnetica

1.2

Segnale RM nei processi diffusivi e Tensore

di diffusione

Nella Sezione precedente sono state ricavate delle relazioni che ben de-scrivono il caso di un fluido puro, non contenente ”ostacoli”. In questo modo, il processo diffusivo delle molecole nel fluido sar`a isotropo e non avr`a quindi una direzione privilegiata. In generale per `o, processi diffusivi possono essere studiati anche in presenza di un mezzo anisotropo.

Facendo infatti riferimento alla materia bianca, la diffusione dell’acqua ri-sulta essere anisotropa a causa della struttura degli assoni che la compon-gono. Questo fenomeno pu `o essere analizzato tramite la generazione di segnali RM che risulteranno essere influenzati dai processi diffusivi. Steijskal-Tanner nel 1965 [2] proposero per primi una sequenza di Imaging a Risonanza Magnetica (MRI) in cui il segnale `e legato al coefficiente di dif-fusione D. La loro `e una tecnica a pesatura in difdif-fusione (DWI) che si basa sugli effetti che l’applicazione di un set di gradienti di campo magnetico provoca su un sistema di spin. In questo caso, i gradienti di campo sono gradienti di diffusione da non confondere con i gradienti utilizzati per il campionamento del segnale (Appendice A).

L’applicazione di due gradienti con stessa intensit`a ~G ma con verso oppo-sto su una coppia di spin fermi non genera nessun sfasamento se applicati consecutivamente e per uno stesso intervallo di tempo.

Se ci fosse solo il campo magnetico statico B~0, gli spin precederebbero en-trambi in fase con la frequenza di Larmor ω0. L’applicazione del primo gradiente provoca uno sfasamento relativo tra i due spin. Se dopo viene applicato un gradiente uguale ma con verso opposto, lo sfasamento si an-nulla. Questo comportamento `e vero solamente sotto l’ipotesi che gli spin non subiscano spostamenti tra l’applicazione di un gradiente e il successi-vo. In presenza di un processo di diffusione, invece, il secondo gradiente non garantisce il completo rifasamento degli spin. Il metodo di Steijskal-Tanner si basa su questo principio con la differenza, per `o, che i gradienti da loro utilizzati sono unipolari. Essi notarono, infatti, che i gradienti bipolari limitavano le potenzialit`a della pesatura in diffusione riducendo i tempi di acquisizione del segnale. Infatti, l’applicazione di tale set su un sistema di spin, la cui magnetizzazione `e stata preventivamente spostata sul piano xy da un impulso a π/2, genera un segnale FID che decade relativamente velocemente con tempo caratteristico T2∗ (AppendiceA).

Lo schema di Steijskal-Tanner prevede, invece, l’applicazione di due impul-si a π/2 e π, seguiti entrambi dallo stesso gradiente di campo e a distanza di TE/2 tra loro (Fig. 1.2).

L’inversione del sistema di spin causato dall’impulso π della sequenza spin eco richiede l’applicazione di un secondo gradiente nella stessa direzione

(15)

1.2 Segnale RM nei processi diffusivi e Tensore di diffusione 5 in modo tale da annullare lo sfasamento introdotto dal primo gradiente. Il vantaggio di utilizzare una sequenza di questo tipo `e che, essendo basata su una spin-echo, genera un segnale FID che decade con una costante di tempo, T2, sensibilmente pi `u lunga del tempo T2∗ (Appendice A).

Figura 1.2: Sequenza di Steijskal-Tanner. I due gradienti, applicati rispettivamente dopo gli impulsi π/2 e π della sequenza spin eco, hanno entrambi intensit`a pari a G e durata dell’impulso δ. Gli istanti di applicazione dei due gradienti sono separati da un intervallo di tempo∆.

1.2.1

Equazione di Bloch-Torrey

Aggiungendo un gradiente di campo magneticoG alle equazioni di Bloch,~ si ottiene: dMx(t) dt =γ  ~ G·~rMy− Mx T2 dMy(t) dt = −γ  ~ G·~rMx− My T2 dMy(t) dt = − (Mz−M0) T1 (1.8)

Le componenti della magnetizzazione sono espresse rispetto ad un siste-ma di riferimento rotante, solidale con il campo siste-magnetico dell’impulso a Radiofrequenza. Le componenti trasverse possono essere scritte in forma compatta grazie alla notazione complessa: Mxy = Mx+iMy. In questo modo la dipendenza temporale diventa:

dMxy(t) dt = −  ~ G·~rMxy− Mxy T2 (1.9)

(16)

6 Diffusione in Risonanza Magnetica Per risolvere l’equazione si deve integrare la (1.9) ottenendo cos`ı:

Mxy(t) = Mxy(0)e − t T2 exp  −~r· Z t 0 ~ G(τ)  (1.10) Definendo la quantit`a: ~k(t) = γZ t 0 ~ G(τ) (1.11)

la (1.10) pu `o essere riscritta nella forma: Mxy(t) = Mxy(0)e

− t

T2−i~k(t)·~r (1.12)

Supponendo di scegliere una particolare applicazione di gradienti per cui

~k(TE) =0, la (1.12) al tempo di eco, TE, corrisponde a:

Mxy(TE) = Mxy(0)e

−TE

T2 (1.13)

Quindi, tramite la condizione su~k(TE), si ottiene esattamente il valore della magnetizzazione al tempo TE di una tipica sequenza spin eco (Ap-pendiceA).

´E facile osservare che, nel caso di due gradienti bipolari di uguale intensit`a G e uguale durata temporale, la condizione~k(TE) = 0 `e verificata. Nella sequenza di Steijskal-Tanner, nonostante l’utilizzo di due gradienti unipo-lari, la condizione resta comunque verificata grazie all’inversione di spin dovuto all’applicazione dell’impulso a π.

Come gi`a accennato in precedenza, la presenza di un processo diffusivo durante il rilassamento degli spin provoca un ulteriore decadimento della componente trasversa, Mxy, a causa dello sfasamento tra i moti di preces-sione. Per questo motivo nel 1956, Torrey [4] propose l’estensione delle equazioni di Bloch al meccanismo di diffusione:

dMxy(t) dt = −  ~ G·~rMxy− Mxy T2 +D∇2Mxy (1.14)

L’equazione (1.14) `e nota come equazione di Bloch-Torrey e ha come soluzio-ne: Mxy(t) = Mxy(0)e − t T2−i~k(t)·~rexp  −D Z t 0 ~k(τ) 2  (1.15) Analogamente a prima, se i gradienti di campo soddisfano la condizione

~k(TE) =0, la (1.15) al tempo di eco vale:

Mxy(TE) = Mxy(0)e− TE T2 exp  −D Z TE 0 ~k(τ) 2  (1.16)

(17)

1.2 Segnale RM nei processi diffusivi e Tensore di diffusione 7 Definendo ora il b-value o valore di sensibilit`a in diffusione:

b= Z TE 0 ~k(τ) 2 0 =γ2 Z TE 0 Z τ0 0 ~ G(τ) 2 0 (1.17)

la (1.16) pu `o essere riscritta nella forma: Mxy(t) = Mxy(0)e−

TE

T2e−bD. (1.18)

Risulta chiaro, quindi, che l’intensit`a del segnale rivelato dal sistema di ricezione dipende dal b-value:

S(b) =S0e−bD (1.19)

dove S0 `e il segnale registrato in assenza dell’applicazione del gradiente di diffusione. Nell’approssimazione di impulso rettangolare, per una cop-pia di gradienti di pari intensit`a, G, durata, δ, e per i quali i tempi di applicazione sono separati da un intervallo∆, il b-value vale (Fig. 1.2):

b =γ2δ2(∆−δ/3)G2. (1.20)

La (1.19) fornisce un ottimo strumento per dare una stima del coefficiente di diffusione D, tramite due acquisizioni a differenti b-value. Utilizzando gli stessi valori di TR e TE per entrambe le acquisizioni, il rapporto tra i segnali acquisiti permette di determinare il coefficiente di diffusione:

S2 S1 =e−(b2−b1)D D = − 1 b2−b1ln  S2 S1  (1.21) In particolare, nella condizione in cui una delle due acquisizioni viene fatta in assenza del gradiente(b1 =0), la (1.21) si riduce a:

S S0 =e−bD ⇒ D = −1 bln  S S0  (1.22) La (1.22), nota come formula di Stejskal - Tanner, permette di determinare il coefficiente di diffusione apparente, ADC1, di un sistema di spin lungo la particolare direzione di applicazione del gradiente [3].

Per descrivere completamente il fenomeno diffusivo all’interno della ma-teria bianca ed in generale in un fluido non puro, non baster`a per `o il solo coefficiente di diffusione ma servir`a, invece, il tensore di diffusione. 1Il termine ADC deriva dal fatto che il coefficiente di diffusione per un mezzo

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8 Diffusione in Risonanza Magnetica Quest’ultimo viene rappresentato come una matrice simmetrica a valori reali: D=   Dxx Dxy Dxz Dxy Dyy Dyz Dxz Dyz Dzz   (1.23)

Gli elementi della diagonale principale rappresentano i valori degli ADC lungo i tre assi del sistema di riferimento del laboratorio. Gli elementi fuori dalla diagonale principale, invece, corrispondono alle correlazioni tra gli spostamenti delle molecole lungo gli stessi assi di riferimento.

Furono sempre Stejskal e Tanner [2] a riscrivere le equazioni di Bloch in modo tale adattare quest’ultima al caso di mezzo anisotropo:

dMxy(t) dt = −  ~ G·~rMxy− Mxy T2 + ∇T D∇Mxy (1.24)

dove D `e il tensore di diffusione definito nelle (1.23).

Utilizzando D e riscrivendo G in funzione del versore ˆg che ne identifica la direzione: ~ G(t) = Gx(t), Gy(t), Gz(t)  =G(t) gx, gy, gz T =G(t) ˆg (1.25) la (1.18) e la (1.19) si riscrivono, rispettivamente, come:

Mxy(t) = Mxy(0)e −TE T2e−bˆgTDˆg (1.26) S(b) =S0e−bˆg TDˆg (1.27)

1.3

Diffusion Tensor Imaging

La Diffusion Tensor Imaging (DTI) `e una tecnica di Imaging a Risonanza Magnetica basata sulla misura del tensore di diffusione. La (1.27) fornisce gli strumenti adatti per ricavare D ma, diversamente dal caso del coeffi-ciente di diffusione, sono necessarie pi `u acquisizioni per la sua completa caratterizzazione. Nel 1994, Basser et al. [5] dimostrarono come ricavare il tensore di diffusione a partire da un numero minimo di immagini pesate in diffusione.

Sfruttando la simmetria del tensore di diffusione (1.23), la (1.27) pu `o essere riscritta nella forma

ln S(b) S0  = bxxDxx+byyDyy+bzzDzz+ 2bxyDxy+2bxzDxz+2byzDyz (1.28)

(19)

1.3 Diffusion Tensor Imaging 9 dove gli elementi

bij =bji =γ2δ2(∆−δ/3)GiGj, (i, j= x, y, z) (1.29) vanno a costituire la matrice simmetrica nota come b-matrix [6] e Gi rappre-senta l’elemento del gradiente di diffusione applicato lunga una generica direzione definita da ˆg.

La (1.28) rappresenta un equazione con sei incognite derivanti dai sei ele-menti indipendente del tensore di diffusione D. Per avere quindi una com-pleta determinazione di D, saranno necessarie non meno di sette acquisi-zioni del segnale RM.

1.3.1

Ellissoide di diffusione

Supponendo di aver risolto l’equazione per D e di aver, quindi, ricavato la (1.23), ci occupiamo ora di estrapolare quante pi `u informazione possibili dal tensore di diffusione. Prima di far ci `o, deve essere effettuata la diago-nalizzazione di D permettendo cos`ı di determinare gli autovalori e, quindi, di descrivere le caratteristiche della diffusione tramite la determinazione di invarianti, ovvero di quantit`a indipendenti dal sistema di riferimento adot-tato.

Il processo di diagonalizzazione consiste nell’applicazione di una matrice di rotazione R in modo tale che valga:

Λ =   λ1 0 0 0 λ2 0 0 0 λ3  =RDRT (1.30)

dove per convenzione gli autovalori sono ordinati in maniera decrescente

λ1 > λ3 >λ3. Agli autovalori sono associati degli autovettori ortonormali

e1, e2, e3. Gli autovettori e gli autovalori ottenuti dalla diagonalizzazione di D, furono sfruttati da Basser et al. [5] per la costruzione dell’ellissoide di dif-fusione. In particolare, gli autovalori di D e gli autovettori ad essi associati determinano, rispettivamente, le dimensioni e le direzioni degli assi prin-cipali di un ellissoide orientato lungo l’autovettore e1 che rappresenta la direzione di massima diffusione (asse principale dell’ellissoide) (Fig.1.3). I diversi valori di diffusivit`a permettono la classificazione della diffusione delle molecole di acqua all’interno di un voxel in tre classi distinte (Fig.1.4): 1. diffusione lineare (λ1 λ2 'λ3): la diffusione avviene

principal-mente lungo la direzione corrispondente all’autovalore massimo; 2. diffusione planare (λ1 'λ2 λ3): la diffusione `e per lo pi `u

con-finata al piano individuato dagli autovettori corrispondenti ai due autovalori principali;

(20)

10 Diffusione in Risonanza Magnetica

Figura 1.3: Ellissoide di diffusione. Le direzioni degli assi sono determinate dagli autovettori del tensore D. Le lunghezze sono determinate dai relativi autovalori.

3. diffusione sferica (λ1'λ2 'λ3): la diffusione avviene in maniera isotropa, interessando alla stessa maniera le tre direzioni individuate dagli autovettori.

(21)

1.3 Diffusion Tensor Imaging 11

1.3.2

Indici di diffusione anisotropa

Nell’uso clinico delle tecniche di RM pesate in diffusione, sono stati pro-posti nel tempo numerosi indici per caratterizzare la diffusione e trasfor-marli in indici da rappresentare in un voxel. Per primi sono stati uti-lizzati manipolazioni dei valori di ADC corrispondenti alle tre direzio-ni di acquisizione. Quelli pi `u semplici erano, ad esempio, il rapporto tra gli ADC lungo due direzioni ADCx/ADCy cos`ı come il rapporto tra max ADCx, ADCy, ADCz e min ADCx, ADCy, ADCz. Tuttavia nessuno tra i vari indici proposti rispondeva ad un parametro fisico significativo ed erano dipendenti dalla direzione del gradiente utilizzato per le acquisizio-ni. Poich´e il grado di anisotropia non dovrebbe variare a seconda della direzione del gradiente applicato, si usano dei parametri che non dipendo-no dalla particolare direzione di applicazione del gradiente.

Il primo invariante ad esser stato proposto `e la Mean Diffusivity [7], MD, che corrisponde al momento del I ordine del tensore di diffusione, nonch´e al valore medio del grado di diffusione lungo le tre direzioni del sistema di riferimento:

MD=Traccia(D)/3= (λ1+λ2+λ3)/3=hλi (1.31)

All’interno della materia bianca, il valore di MD `e dello stesso ordine di grandezza del coefficiente di diffusione dell’acqua libera per una tempe-ratura di 37◦C (10−3 mm2s−1). Pertanto, dalla (1.1), si pu `o stimare che la velocit`a di spostamento delle molecole d’acqua all’interno della materia bianca `e dell’ordine del µm/s.

Altri invarianti, invece, si basano sul momento del II ordine della distribu-zione degli autovalori di D:

(λ1− hλi)2+ (λ2− hλi)2+ (λ3− hλi)2 (1.32)

Tra questi indici il pi `u largamente utilizzato `e la Fractional Anisotropy, FA, proposta per la prima volta da Basser e Pierpaoli [8] e definita come:

FA = r 3h(λ1− hλi)2+ (λ2− hλi)2+ (λ3− hλi)2 i q 2 λ21+λ22+λ23 (1.33)

Questa quantit`a d`a la misura della frazione della magnitudine del tensore D che pu `o essere ascritta alla diffusione anisotropa. La FA, infatti, deve il suo largo utilizzo alla capacit`a con cui riesce ad individuare la presenza di un tessuto anisotropo. I valori per la FA variano tra 0 e 1, dove 0 rap-presenta una diffusione isotropica (ellissoide di diffusione uguale ad una sfera), mentre 1 rappresenta una diffusione completamente anisotropica

(22)

12 Diffusione in Risonanza Magnetica

(λ16= 0, λ2 =λ3=0).

Gli indici di anisotropia sono utili nella caratterizzazione della materia bianca ma non sono adatti a studi di connettivit`a tra le varie regioni ce-rebrali. Per questo motivo, verso la fine degli anni ’90 si introdussero degli algoritmi che, a partire dagli autovalori e autovettori di D in ogni voxel, ser-vivano a ricostruire le traiettorie 3D, e quindi le fibre nervose, nella materia bianca (trattografia). In linea di massima, per la trattografia si distinguono due genere di approcci: quello deterministico e quello probabilistico.

1.3.3

Trattografia deterministica e probabilistica

Per trattografia deterministica, si fa riferimento alla modalit`a di propaga-zione del tratto ricostruito, determinata dalla direpropaga-zione di massima diffu-sione del voxel in esame senza considerazioni sull’errore dovuto, per esem-pio, al rumore. I primi algoritmi erano i cosiddetti streamline [9, 10, 11], questi si basavano sulla tecnica DTI ed erano strutturati in modo da tra-sformare il campo tensoriale in un campo di velocit`a assegnando ad ogni voxel l’autovettore principale che rappresenta la direzione di massima dif-fusione. Uno degli algoritmi deterministici principalmente utilizzati `e il Fiber Assignment by Continuous Tracking, FACT [12]. Questo algoritmo, se basato sulla tecnica DTI, fa si che le traiettorie partano da una zona definita a priori seguendo la direzione dell’autovettore principale fino ad arrivare al bordo del voxel dove inizia a seguire la direzione dell’autovettore primario del voxel succesivo (Fig.1.5).

Figura 1.5: Le frecce rappresentano gli autovettori principali che determinano la direzioni di massima diffusione per ogni voxel; le linee rosse indicano la ricostruzione trattografica data dall’algoritmo.

Solitamente si impongono due limiti per fermare l’algoritmo in modo da evitare l’ingresso in zone con alta indeterminazione sull’autovettore prin-cipale e1 (come nella materia grigia) e il ritorno di una fibra su se stessa.

(23)

1.4 Limiti del DTI 13 Vi `e, quindi, un limite inferiore per la FA e un limite superiore per l’angolo che si forma tra le direzioni di due voxel successivi. Queste soglie ci assicu-rano di non visualizzare numerose fibre che anatomicamente non esistono (falsi positivi) e possono essere decise a priori in funzione delle conoscenze anatomiche che si trovano in letteratura.

Gli algoritmi probabilistici, invece di ricostruire una singola traiettoria per ogni voxel di partenza, fanno partire un gran numero di percorsi possibili. Ad ogni step del percorso, la direzione verso la quale si orienta la fibra vie-ne presa da una distribuziovie-ne di possibili orientazioni. Per ogni voxel, tali algoritmi modellano l’incertezza nella direzione della fibra come una den-sit`a di probabilit`a che utilizzano, poi, per definire criteri come, ad esempio, la massima verosimiglianza delle connessioni esistenti tra due regioni [13]. Un esempio di trattografia `e mostrata in Figura1.6: la direzione delle fibre viene codificata in base al colore rappresentativo del tratto (il verde per anteriore-posteriore, il rosso per sinistra-destra, il blu per dorso-ventrale).

Figura 1.6: Trattografia su un soggetto sano.

1.4

Limiti del DTI

Le fibre nervose che costituiscono la materia bianca presentano un raggio medio dell’ordine delle decine di µm. Il limite in risoluzione delle imma-gini pesate in diffusione, invece, fa si che i voxel di acquisizione siano di alcuni millimetri di lato. Questa circostanza ha come conseguenza il fatto che si possano avere delle situazione di eterogeneit`a dei fasci di fibre

(24)

all’in-14 Diffusione in Risonanza Magnetica terno dello stesso voxel (Intra-Voxel Orientational Heterogeneity, IVOH). Situazioni tipiche di eterogeneit`a IVOH (Fig. 1.7) sono quelle rappresenta-te da fasci di fibre che si avvicinano per poi allontanarsi (fiber kissing), che si incrociano (fiber crossing) o che si diramano (fiber branching) all’interno di uno stesso voxel.

La tecnica DTI risulta inadeguata alla risoluzione delle complessit`a struttu-rali delle fibre dovute a situazioni di IVOH. Il tensore di diffusione, infatti, modella implicitamente la diffusione all’interno di ciascun voxel con una funzione di diffusione rappresentata da una distribuzione normale tridi-mensionale. Poich´e quest’ultima presenta una singola direzione di mas-simo (rappresentata dalla direzione dell’asse principale dell’ellissoide di diffusione), la DTI non risulta essere adatta alla descrizione di funzioni di diffusione con diversi massimi locali, come nel caso di voxel in cui sono presenti diversi fasci eterogenei di fibre

Figura 1.7: Confgurazioni di eterogeneit`a IVOH. (a) fiber kissing; (b) fiber crossing; (c) fiber branching.

1.5

Tecnica CSD

I limiti della tecnica DTI hanno reso necessario lo sviluppo di nuove tecni-che per la costruzione della trattografia [14]. Queste tecniche di ricostruzio-ne determinano la funzioricostruzio-ne di diffusioricostruzio-ne in maniera diretta, ovvero senza fare ricorso ad un modello per il processo di diffusione e, per questo mo-tivo, vengono anche chiamate tecniche non-parametriche. La tecnica che `e stata utilizzata in questo lavoro di tesi `e la Constrained Spherical Decon-volution (CSD), sviluppata nel 2007 da Tournier et al. [16] che analizza il segnale misurato durante una acquisizione HARDI (High Angular Resolu-tion Diffusion Weighted Imaging [17]).

La sequenza HARDI prevede l’acquisizione di oltre 50 direzioni di gra-dienti con una forte pesatura in diffusione (b ≥ 2000 s/mm2)2. Questo 2In questo lavoro di tesi si sono utilizzate 64 direzioni con un b-value pari a

(25)

1.5 Tecnica CSD 15 si traduce nell’avere un’alta risoluzione angolare che fornisce una rappre-sentazione molto accurata del pattern di diffusione delle molecole d’acqua all’interno di ogni voxel. Ad esempio, nel caso del crossing di due fibre, si avranno quattro massimi di diffusione in corrispondenza delle due direzio-ni dei fasci (per ogdirezio-ni direzione si hanno due massimi che puntano in verso opposto). Con la sequenza HARDI si `e in grado, pertanto, di discriminare molteplici direzioni per le popolazioni di fibre all’interno dello stesso vo-xel ottenendo, cos`ı, una distribuzione di probabilit`a di orientamento delle fibre di materia bianca (Fiber Orientation Distribution, FOD).

Nella tecnica di ricostruzione CSD, il segnale acquisito pu `o essere espresso come la convoluzione, in coordinate sferiche, della Response Function (RF), che rappresenta il segnale dovuto a una singola popolazione di fibre coe-rentemente orientate, con la FOD [15]. La FOD, quindi, pu `o essere ottenuta semplicemente con l’operazione inversa, cio`e con la deconvoluzione sferica del segnale pesato in diffusione a partire da una RF nota. In (Fig. 1.8) `e, rappresentato un esempio di crossing di due fibre all’interno di un voxel. Il segnale derivante dai contributi di due popolazioni di fibre diverse `e il prodotto di convoluzione tra il segnale associato ad una singola popolazio-ne coerentemente orientata (RF) e la FOD che rappresenta l’orientaziopopolazio-ne delle due popolazione di fibre.

Figura 1.8: Esempio 2D di due popolazioni di fibre con diverse orientazioni ((θ1, φ1)e θ2, φ2)) e volumi ( f1 e f2). Le linee tratteggiate rappresentano le

orien-tazioni delle fibre mentre le linee continue l’andamento dell’attenuazione del se-gnale (S1(θ, φ)e S1(θ, φ)). La somma dei contributi di ogni popolazione fornisce l’attenuazione del segnale misurato (S(θ, φ)). Quest’ultimo pu `o essere espres-so come la convoluzione sferica della Response Function(R(θ)), che rappresenta l’attenuazione del segnale misurata da una singola popolazione di fibre, con la Fiber Orientation Density(F(θ, φ))che descrive, invece, l’orientazione delle fibre presenti all’interno del voxel. Immagine tratta da [15].

I metodi di deconvoluzione sono molto sensibili agli effetti del rumore e tendono ad introdurre degli artefatti che consistono in regioni negative all’interno delle FOD. Per eliminare questo problema, Tournier et al. [16]

(26)

16 Diffusione in Risonanza Magnetica

Figura 1.9: Confronto tra la trattografia basata su tecnica DTI e quella basata su tecnica CSD per la visualizzazione del tratto corticospinale. Immagine tratta da [14].

hanno introdotto dei limiti sulle regioni negative (da qui il nome: Constrai-ned Spherical Deconvolution) in modo da avere un robusto metodo per la determinazione dell’orientazione delle fibre (Fig. 1.9).

(27)

Capitolo 2

Resting State Functional Magnetic

Resonance

La Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI) `e una tecnica di Risonanza Ma-gnetica che consente di studiare, in modo non invasivo, le variazioni che avvengono nell’attivit`a cerebrale in seguito all’esecuzione di uno specifi-co specifi-compito. Negli studi di fMRI, in cui il soggetto svolge un certo task oppure `e sottoposto a degli stimoli, l’attivit`a spontanea del cervello viene considerata rumore. Una analisi pi `u approfondita di questa componente di rumore ha portato alla luce interessanti caratteristiche. ´E stato osservato, infatti, che il consumo energetico cerebrale aumenta di poco meno del 5% a causa dello svolgimento di un task rispetto al consumo dovuto all’attivit`a spontanea. L’attivit`a spontanea del sistema a riposo non `e casuale ma `e organizzata in base alle diverse funzioni cerebrali. La tecnica che permette la rivelazione della condizione di ”riposo” del cervello si chiama Resting State Functional Magnetic Resonance Imaging (RS-fMRI). Questo metodo di indagine consente di ricostruire, con una risoluzione spaziale di qual-che millimetro, le mappe di attivazione del cervello per circuiti sensoriali, mentali e motori e permette, inoltre, lo studio delle connessioni tra diverse regioni cerebrali.

In questo capitolo verr`a prima di tutto illustrato il concetto di segnale BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent), che `e alla base delle variazio-ni di segnale di Imaging a Risonanza Magnetica dovute all’attivit`a cere-brale. Concentrandosi poi sulle fluttuazioni spontanee del segnale BOLD, verr`a introdotta la tecnica del RS-fMRI. Infine, verranno illustrati i metodi di indagine per le connessione funzionali tra regioni cerebrali.

(28)

18 Resting State Functional Magnetic Resonance

2.1

Segnale BOLD

L’aumento dell’attivit`a neurale del cervello comporta un aumento delle ri-chieste energetiche e, quindi, di ossigeno. Questa richiesta viene soddisfat-ta da un maggiore flusso sanguigno verso le aree interessate dall’attivit`a cerebrale che, a sua volta, `e reso possibile dalla dilatazione dei capillari e dall’aumento della velocit`a del sangue. Il flusso, per `o, aumenta in misura maggiore rispetto all’aumento del consumo di ossigeno e questo comporta un incremento della concentrazione di ossi-emoglobina con riduzione della desossi-emoglobina. L’emoglobina possiede propriet`a magnetiche diverse a seconda che si trovi legata o meno all’ossigeno. L’emoglobina ossigena-ta (ossi-emoglobina) `e diamagnetica, ovvero possiede momento magnetico nullo, mentre la deossigenata `e paramagnetica, quindi con momento ma-gnetico diverso da zero. In altri termini, il sangue completamente deossi-genato ha una suscettibilit`a magnetica maggiore del 20% rispetto al sangue completamente ossigenato ed `e questa particolare propriet`a che viene sfrut-tata dalla tecnica della fMRI.

In un esperimento di risonanza magnetica, il processo di rilassamento tra-sversale della magnetizzazione viene influenzato dalla presenza di un ma-teriale paramagnetico all’interno del campione in esame. Il paramagnete e, quindi, nel nostro caso, il sangue deossigenato, modificando la suscet-tibilit`a magnetica, fa variare il segnale di RM pesato T2∗, che aumenta al diminuire della deossigenazione (Fig.2.1). Tramite esperimenti su animali, `e stato dimostrato che, con campi magnetici B0 maggiori di 1.5 T, e imma-gini pesate T2∗ (Appendice A) `e possibile misurare un segnale dipendente dal livello di emoglobina deossigenata presente nella regione cerebrale, il cosiddetto segnale BOLD (Blood Oxygenation Level Dependent) [19] che `e, quindi, direttamente legato all’attivazione delle aree cerebrali.

I cambiamenti, durante l’attivit`a cerebrale, del volume sanguigno in fun-zione dell’aumento del flusso sanguigno sono descritti dal balloon model [20]. L’aumento del flusso sanguigno in seguito all’attivit`a neurale genera un maggiore flusso entrante di sangue nel sistema venoso rispetto a quel-lo uscente, determinando un aumento del volume sanguigno. Nelle pic-cole vene l’aumento di volume iniziale `e caratterizzato dalla presenza di emoglobina deossigenata, che viene eliminata per prima dai capillari. Tale aumento provoca un’iniziale diminuzione del segnale di risonanza (inital dip). Successivamente, l’aumento del segnale acquisito `e dovuto ad un aumento sproporzionato del flusso sanguigno rispetto alle reali necessit`a, il che provoca un incremento locale della concentrazione di emoglobina e una relativa diminuzione della concentrazione di emoglobina deossigenata (Overshoot). Il successivo undershoot `e causato da uno sbilanciamento tra le velocit`a con cui il flusso e il volume ematico ritornano al valore basale.

(29)

2.2 Resting State come fluttuazioni a basse frequenze del BOLD 19

Figura 2.1: Andamento temporale del segnale BOLD in seguito ad uno stimolo.

2.2

Resting State come fluttuazioni a basse

fre-quenze del BOLD

L’attivit`a neuronale, che viene intrinsecamente generata dal cervello, `e pre-sente all’interno del segnale BOLD in termini di fluttuazioni spontanee. Queste fluttuazioni spontanee hanno uno spettro in frequenza che ha una distribuzione del tipo 1/ f , a differenza del rumore casuale che ha uno spettro piatto. In particolare, `e stato osservato da Biswal et al. [21] che le frequenze responsabili dell’attivit`a spontanea sono quelle comprese nel-l’intervallo [0.01−0.1 Hz]. Per studiare tale attivit`a mediante fMRI, viene generalmente chiesto al soggetto di rimanere sdraiato con gli occhi chiu-si e di non addormentarchiu-si. Tale tecnica prende il nome di Resting State Functional Magnetic Resonance (RS-fMRI) e permette di studiare la cor-relazione temporale del segnale BOLD in regioni distinte del cervello, in assenza di task o stimoli. Come vedremo nella successiva Sezione, dall’an-damento temporale del segnale BOLD nelle varie aree cerebrali `e possibile ricavare della mappe di connettivit`a che prendono il nome di Resting-State Networks (RSNs) [18].

Nel cervello, in condizione di resting state, sono stati individuati diversi network. Le prove pi `u significative della loro esistenza risiedono nella ri-producibilit`a delle reti nel singolo soggetto, nella consistenza delle reti tra soggetti diversi e nella corrispondenza delle aree corticali individuate con diverse metodiche di studio. I principali network sono: il default mode network (DMN), il sensorimotor network (SMN), il visual (V-RSN) e l’au-ditory (A-RSN) network (Fig.2.2).

Mentre il SMN, il V-RSN e l’A-RSN coinvolgono regioni corticali normal-mente implicate nei processi senso-motori, visivi e uditivi, il DMN prende parte nei processi cognitivi. La validazione indiretta della tecnica `e data dal

(30)

20 Resting State Functional Magnetic Resonance

Figura 2.2: Rappresentazione delle principali RSNs.

fatto che i primi network (SMN, V-RSN e A-RSN) possono essere eviden-ziati anche dall’utilizzo di task specifici che forniscono informazioni sulla struttura funzionale del cervello per funzioni primarie sensoriali.

Una delle pi `u promettenti applicazioni degli studi in resting state `e proprio il confronto di tali RSNs tra gruppi di soggetti. Dato che la RS-fMRI non prevede l’uso di task, gli studi possono essere condotti in soggetti incapaci di sottoporsi a particolari paradigmi sperimentali. In particolare, le RSNs sono analizzate in studi in cui i soggetti sono affetti da malattie neurologi-che. Alterazioni di Resting State Networks sono state individuate in molte malattie come l’Alzheimer, la sclerosi multipla, la schizofrenia, l’autismo, l’epilessia e la sindrome da deficit di attenzione e iperattivit`a. L’entit`a della variazione di queste mappe di correlazione spaziale risulta legato allo stato di avanzamento della malattia sotto esame [22].

2.3

Metodi di indagine per la connettivit`a

funzio-nale

´E stato evidenziato che le connessioni funzionali tra aree corticali distinte vengono manifestate come la correlazione temporale del segnale BOLD [23]. Sono state sviluppate diverse tecniche con l’obiettivo di indagare le connes-sioni funzionali e ricavare le mappe di connettivit`a. Tra queste, le pi `u uti-lizzate sono: Seed-based Correlation Analysis (SCA) e Indipendent Component Analysis (ICA).

(31)

2.3 Metodi di indagine per la connettivit`a funzionale 21

2.3.1

Seed-based Correlation Analysis

L’acquisizione del segnale BOLD `e frutto di un campionamento temporale. Per questo motivo, ogni voxel dell’immagine ha una time-series che dipende dall’attivit`a neuronale in quel punto nel tempo.

Basandosi sul time-series di un voxel o di una ROI (Region of Interest) di riferimento (seed), la connettivit`a `e calcolata come la correlazione tra il time-series e quelle di tutti gli altri voxel (Seed-based Correlation Analysis, SCA) (Fig.2.3).

Figura 2.3: Mappa di connettivit`a basata sulla tecnica SCA. ´E stato sceto un seed (in blue) nella regione del middle precentral gyrus a cui `e associato il suo caratteri-stico time-series del segnale BOLD da confrontare poi con quelli di tutti gli altri voxel. Prendendo, ad esempio, il time-series proveniente dall’inferior precentral gy-rus (box rosso) si osserva come questo sia simile a quello del seed comportando, quindi, un alto valore per il coefficiente di correlazione. Immagine tratta da [24]

Il risultato della SCA `e una mappa di connettivit`a in cui, per ogni voxel o ROI, viene visualizzato il valore del parametro di correlazione con il seed. Il parametro di correlazione che viene tipicamente utilizzato `e il coefficiente di correlazione lineare definito come:

r = ∑ N i=1(Ri−R¯) (Si−S¯) q ∑N i=1(Ri−R¯)2 q ∑N i=1(Si−S¯)2 (2.1)

con r ∈ [−1, 1]. Nella (2.1), R `e il segnale proveniente del seed, S il segnale proveniente da uno degli altri voxel o ROI e l’indice i scorre su tutti gli istanti temporali di acquisizione. ¯R e ¯S sono, invece, il valore medio del segnale per il seed e per il voxel in esame.

Una volta calcolata la correlazione, si determina una soglia in modo da identificare quali siano i voxel significativamente correlati con il seed [25]. Un seed pu `o essere definito in pi `u modi a seconda del tipo di connettivit`a interessata:

(32)

22 Resting State Functional Magnetic Resonance • attraverso la normalizzazione delle immagini funzionali su degli

atlan-ti anatomici sui quali sono definite delle regioni di riferimento stan-dardizzare (whole brain networks);

• utilizzando come seed le aree di attivazione neuronale ottenute in seguito ad uno specifico task per valutare le connessioni all’interno di una determinata network [26].

2.3.2

Indipendent Component Analysis

Il metodo Independent Component Analysis (ICA) `e una tecnica di elabo-razione del segnale che permette di risolvere il problema della sepaelabo-razione delle sorgenti di segnale. Utilizzando il metodo ICA applicato alla fMRI, `e possibile registrare i segnali relativi all’attivit`a neurale del cervello uma-no con l’obiettivo di trovare, a partire da un insieme di dati acquisiti nel tempo sull’intero encefalo, particolari pattern spaziali distribuiti indipen-dentemente (Spatial ICA) [27] (Fig.2.4).

Figura 2.4: Spatial ICA

L’idea alla base di questo modello `e considerare il segnale osservato co-me la somma dei contributi di tutte le componenti indipendenti presenti nel data-set. Sia x = [x1, x2, . . . , xM]T il vettore contenente gli N segnali misurati, allora il modello ci dice che:

x=As (2.2)

dove s = [s1, s2, . . . , sN]T `e un vettore N-dimensionale per il quale gli ele-menti sono a media nulla e si riferiscono alle sorgenti spaziali indipendenti (tipicamente si ha M ≥ N). La matrice AM×N, invece, `e una matrice di mi-xing che contiene l’andamento temporale del segnale per ogni componente. L’obiettivo dell’ICA `e quello di stimare una matrice di unmixing WN×Mcos`ı che la z data da:

z=Wx (2.3)

sia una buona approssimazione per s.

(33)

2.3 Metodi di indagine per la connettivit`a funzionale 23 essere risolto solo facendo delle ipotesi sulle propriet`a statistiche delle sor-genti si. L’assunzione che tipicamente viene fatta `e quella di considerare sorgenti non-gaussiane e statisticamente indipendenti. Vengono, quindi, definite delle funzioni costo che sono indici di gaussianit`a da mimizzare o massimizzare [28].

Uno dei problemi di questa tecnica `e la scelta del numero di componenti da utilizzare. Scegliere, infatti, un numero troppo elevato pu `o portare alla divisione forzata di componenti che dovrebbero restare unite, selezionarne poche, invece, pu `o portare a delle sorgenti che sono in realt`a composizione delle sorgenti indipendenti cercate.

Il metodo ICA, per `o, si presta poco ad un’analisi simultanea con la connet-tivit`a strutturale, poich´e fornisce dei pattern spaziali con aree generalmen-te piccole che non coprono l’ingeneralmen-tero encefalo. Tali caratgeneralmen-teristiche rendono l’ICA difficilmente integrabile con i dati di connettivit`a strutturale. Per questo motivo, in questo lavoro di tesi `e stato scelto di utilizzare la SCA per l’analisi della connettivit`a funzionale.

(34)

Capitolo 3

Teoria dei Grafi

In questa tesi si `e scelto di rappresentare le connessioni strutturali e funzio-nali cerebrali in termini di reti complesse [29, 30]. La rappresentazione in termini matematici di una rete del mondo reale ´e detta grafo, i cui compo-nenti principali sono nodi e link. Un nodo `e un elemento fisico all’interno della rete che `e capace di inviare e/o ricevere informazioni. Un link `e una connessione che quantifica lo scambio di informazioni tra due nodi. Nel caso di reti neurali, i nodi e i link sono, rispettivamente, le regioni cerebrali ed il parametro che caratterizza il tipo di connessione utilizzata. Le reti cerebrali sono considerate reti complesse, in quanto descrivono dei sistemi composti da molti nodi e link. L’obiettivo dell’analisi delle reti cerebrali `e quello di ricavare indicazioni al fine di spiegare i meccanismi che hanno portato alla formazione della rete stessa.

In questo capitolo saranno descritte le principali caratteristiche di una rete, la loro rappresentazione reale basata sulla teoria dei grafi, le misure ad esse associate e come queste sono legate alle connessioni cerebrali.

3.1

Definizioni

Un grafo `e definito come una coppia (N, L) dove N = {1, 2, . . . , n} sono i nodi e L = {l1, l2, . . . , lN} sono i link e rappresentano le connessioni tra coppie di nodi [31]. Data la loro funzione, i link possono essere rappresen-tati anche come li,j = (i, j) dove i e j sono una coppia di nodi. Il modo pi `u semplice per rappresentare un grafo `e quello di disegnare un punto nero per ogni nodo dal quale possono partire delle linee, che rappresentano i link, verso gli altri nodi. Esistono due tipi di classificazione per i grafi:

• Grafi non orientati: se gli elementi di L sono coppie non ordinate di elementi di N (lij =lji) (Fig.3.1 (a))

(35)

3.2 Misure caratteristiche di una rete 25 • Grafi orientati: se gli elementi di L sono coppie ordinate di elementi

di N (lij 6= lji) (Fig.3.1 (b))

Per le reti neurali, la connettivit`a effettiva, che tenta di spiegare l’influen-za che un sistema neurale esercita su un altro, pu `o essere rappresentata tramite grafi orientati. I grafi non orientati, invece, descrivono bene la con-nettivit`a strutturale e funzionale.

Un’ulteriore classificazione pu `o essere fatta in base alla tipologia di link utilizzata. Si possono definire, infatti, i link:

• Weighted: ad ogni link `e associato un numero reale wij, che deter-mina la forza della connessione tra due nodi (Fig. 3.1 (c)). In questa categoria rientrano le connessioni funzionali e strutturali del cervello. Se per la connettivit`a strutturale i link sono il numero di tratti tra due regioni cerebrali, per la connettivit`a funzionale i link corrispondono al valore del coefficiente di correlazione.

• Binari: ad ogni link corrisponde un valore che `e o 0 o 1. In questo caso si `e interessati solo a capire se c’`e o meno connessione tra due nodi.

Nei casi in cui una rete `e composta da molti nodi, `e utile rappresentare il grafo in forma matriciale. Un grafo G = (N, L) pu `o essere completamen-te descritto da una matrice di connettivit`a quadrata, A, n×n dove n `e il numero di nodi e con gli elementi ai,j uguali a li,j.

Figura 3.1: Rappresentazione di grafo non orientato (a), orientato (b), weighted (c).

3.2

Misure caratteristiche di una rete

Una delle pi `u semplici misure che si pu `o estrarre da una rete `e il grado. Il grado, k, di un nodo `e uguale al numero di link connessi con esso. Per un nodo i,

ki =

j∈N

(36)

26 Teoria dei Grafi dove gli ai,j sono gli elementi della matrice di connettivit`a A, precedente-mente definita.

Le misure che caratterizzano una rete si dividono in base alle propriet`a che rappresentano. In particolare, possiamo dividere le misure in tre diverse categorie [30]:

• Misure di segregazione locale: quantificano la presenza di gruppi, noti come cluster o moduli, all’interno di una rete. La caratteristica di questi gruppi `e quella di contenere nodi fortemente interconessi al loro interno;

• Misure di integrazione globale: quantificano l’efficienza della rete nel trasmettere informazioni a livello globale.

• Misure di centralit`a dei nodi: hanno lo scopo di classificare, attraver-so parametri come la centralit`a, ogni nodo in base alla quantit`a delle informazioni scambiate tra una regione ed un’altra della rete o di un modulo.

.

3.2.1

Misure di segregazione

Semplici misure di segregazione sono basate sul numero di triangoli in una rete. I triangoli sono formati dall’insieme di tre nodi collegati tra loro da tre distinti link. Maggiore sar`a il numero di triangoli maggiormente la rete risulter`a ”segregata” (Fig. 3.2). Localmente, la frazione di triangoli attorno ad un nodo `e conosciuta come clustering coefficient:

Ci =

i∈N

2ti ki(ki−1)

(3.2) Ci `e il clustering coefficient del nodo i e al suo interno `e presente il numero dei triangoli attorno ad i definito come:

ti = 1

2 j,h

Nai,jai,haj,h (3.3) per reti binarie, e:

ti = 1

2 j,h

N ai,jai,haj,h 1/3

(3.4) per reti weighted dove, invece del numero, viene utilizzato la media geo-metrica dei triangoli attorno ad i.

(37)

3.2 Misure caratteristiche di una rete 27

Figura 3.2: Illustrazione grafica dei triangoli e della segregazione di una rete.

formare nemmeno un triangolo. Si pu `o, inoltre, definire il mean clustering coefficient come:

C= Ci

n (3.5)

con n, numero di nodi, che agisce come fattore di normalizzazione.

Misure pi `u sofisticate di segregazione, non solo descrivono la presenza di gruppi densamente interconnessi, ma forniscono anche l’esatta composi-zione di ogni gruppo. Questa composicomposi-zione, nota come struttura modulare di una rete, `e ricavata suddividendo la rete in gruppi di nodi. All’interno di ogni gruppo sono massimizzate le connessioni tra nodi minimizzando, quindi, le connessioni tra nodi di gruppi diversi. La misura che stabili-sce qual `e la suddivisione migliore per una data rete, prende il nome di modularit`a: Q =

u∈M  euu

v∈M euv !2  (3.6)

La rete `e interamente suddivisa in un set di moduli M che non si sovrap-pongono e euv `e la porzioni di tutti i link che connettono nodi nel modulo u con quelli del modulo v. Una formulazione alternativa ma equivalente delle modularit`a `e data da:

Q = 1 l i,j

N  ai,j− kikj l  δmi,mj (3.7)

dove l =∑i,j∈Nai,j `e il numero totale di link e mi il modulo che contiene il nodo i.

A differenza di altre misure, la struttura modulare per una data rete `e ti-picamente stimata attraverso l’utilizzo di algoritmi di ottimizzazione. Uno

(38)

28 Teoria dei Grafi degli algoritmi pi `u utilizzati, abbastanza accurato e sufficientemente velo-ce per piccole reti, `e stato proposto nel 2006 da Newman [32]. Un altro algoritmo `e stato quello proposto da Blondel et al. nel 2008 [33], pi `u veloce di quello precedentemente citato, migliore per reti pi `u grandi e capace di rivelare la presenza di moduli pi `u piccoli all’interno di grandi moduli. Una limitazione di tali algoritmi ´e la loro ottimizzazione ristretta ai soli valori positivi dei link. Considerando che il coefficiente di correlazione varia tra

−1 ed 1 nelle reti di connettivit`a funzionale, a quest’ultimo sar`a applicato il valore assoluto prima di effettuare le misure di segregazione in quanto si `e interessati a valutare la forza della connessione tra due nodi.

Grazie alla divisione in moduli `e possibile rivelare i gruppi specializzati a compiere determinate funzioni all’interno di una rete cerebrale. In Fig.3.3, ad esempio, viene mostrata la separazione in moduli della rete di connet-tivit`a strutturale di un macaco analizzata nel lavoro di Honey et al. [34].

Figura 3.3: Rete strutturale della corteccia cerebrale di un macaco. La matrice `e stata riordinata in base alla struttura modulare della rete, i moduli comprendono la corteccia visiva cos`ı come le regioni sensitivo-motorie. Immagine tratta da [34].

(39)

3.2 Misure caratteristiche di una rete 29

3.2.2

Misure di integrazione

Un altro parametro misurabile di una rete `e il cammino (path). Un cam-mino `e una sequenza di nodi e link distinti che quantifica lo scambio di informazioni tra due nodi. Da questo si evince che il cammino di minima lunghezza (shortest path length,) tra due nodi i e j, di,j, `e il cammino pi `u efficiente che si pu `o stabilire tra due nodi, in quanto permette che l’infor-mazione tra i due nodi estremi viaggi nel modo pi `u rapido possibile (Fig.

3.4). Nel caso di rete binaria, il cammino tra due nodi adiacenti i e j (con-nessi da un solo link) corrisponde al valore di aij cio`e ad 1. Per le reti weighted il cammino, tra due nodi adiacenti i e j, `e definito come il reci-proco del suo peso, 1/aij.

Sia dij il cammino di minima lunghezza tra i e j, si definisce la lunghezza caratteristica di un cammino, (characteristic path lenght):

L = 1 ni

NLi = 1 ni

N ∑j∈N,j6=idij n−1 (3.8)

dove Li `e la lunghezza caratteristica tra il nodo i e tutti gli altri nodi. La (3.8) rappresenta una misura della separazione topologica tra due nodi scelti a caso: un piccolo valore di L implica che in media ciascun nodo pu `o essere raggiunto a partire da ogni altro nodo attraverso cammini brevi. Dalla (3.8) si nota che quando due nodi sono disconnessi e di conseguenza dij → ∞, anche L diverge. Per ovviare a questo problema, si definisce l’efficienza globale, (global efficiency), basata sull’inverso di dij:

E= 1 ni

NEi = 1 ni

N ∑j∈N,j6=id−ij1 n−1 (3.9)

con Eiefficienza del nodo i

La quantit`a E `e indice della capacit`a della rete di sopportare e gestire un flusso ingente di informazioni e segnali: tanto pi `u grande E, tanto minore `e il cammino caratteristico, tanto pi `u `e efficiente la rete tanto pi `u l’informa-zione `e capace di viaggiare da un nodo qualunque ad un altro nel modo pi `u rapido possibile, secondo i cammini pi `u brevi. Una rete con alta effi-cienza, quindi, dispone i suoi nodi a breve distanza topologica l’uno dal-l’altro, consentendo loro di interagire in modo tale da avere una migliore connettivit`a globale.

(40)

30 Teoria dei Grafi

Figura 3.4: Cammino di minima lunghezza tra due nodi i e j.

Dal punto di vista delle reti cerebrali, le misure di integrazione basate sul cammino assumono significati diversi:

• Connettivit`a strutturale: pi `u il cammino di minima lunghezza `e corto, pi `u due regioni cerebrali sono fortemente connesse;

• Connettivit`a funzionale: per sua natura questo tipo di connettivit`a gi`a contiene implicitamente informazioni sulla forza delle connessio-ni tra regioconnessio-ni cerebrali. In questo caso, quindi, i cammiconnessio-ni rappre-sentano sequenze di associazioni statistiche che non corrispondono, tipicamente, ad un flusso di informazioni tra aree.

Poich´e le misure di integrazione per le reti funzionali danno informazioni di difficile interpretazione e poich´e non `e di interesse valutare la forza delle connessioni tra soli due nodi per quelle strutturali, nelle analisi successive queste misure non sono state prese in considerazione.

3.2.3

Misure di centralit`a

Nelle reti reali, esistono nodi pi `u influenti di altri nella funzionalit`a della rete. I nodi di maggiore importanza, che prendono il nome di hub (Fig.3.5), sono quelli pi `u altamente connessi rispetto agli altri. I nodi candidati ad essere possibili hub sono identificati attraverso misure di centralit`a. Una delle pi `u comuni misure di centralit`a `e il grado (3.1). Questo parametro ha una facile interpretazione: nodi che hanno un alto grado interagiscono con molti altri nodi all’interno della rete.

Si possono distinguere misure di centralit`a all’interno della rete e quelle all’interno dei moduli.

Tra le prime vengono annoverate quelle basate sull’idea che i nodi centrali partecipano in molti brevi cammini all’interno della rete. La closeness cen-trality `e definita come l’inverso del cammino di minima lunghezza tra un

(41)

3.2 Misure caratteristiche di una rete 31

Figura 3.5: Rappresentazione grafica di un hub.

nodo e tutti gli altri della rete, la betweenness centrality, invece, `e definita come la frazione di tutti i cammini di minima lunghezza che passano at-traverso un dato nodo.

Tra le misure di centralit`a all’interno delle strutture modulari `e presente la within-module degree z score. Quest’ultima non `e altro che la versione del grado calcolata all’interno di un modulo ed `e definita come:

zi =

ki(mi) −¯k(mi)

σk(mi) (3.10)

dove:

• mi `e il modulo contenente il nodo i;

• ki(mi) `e il valore del grado di i all’interno del modulo che lo contiene (il numero di link tra i e tutti gli altri nodi in mi);

• ¯k(mi) e σk(mi) sono rispettivamente la media e la deviazione standard della distribuzione dei gradi all’interno del modulo mi

Dalla (3.10) si ricava che pi `u `e alto il valore di z, pi `u centrale `e il ruolo del nodo all’interno del modulo e quindi pi `u probabile `e che questo sia un hub.

Infine, il coefficiente di partecipazione (partecipation coefficient) `e un’altra delle misure di centralit`a che si possono fare all’interno di un modulo:

Pi =1−

m∈M  ki(m) ki 2 (3.11) dove M `e il set di moduli in cui `e suddivisa la rete e ki(m) `e il numero di link tra i e tutti gli altri nodi del modulo m.

(42)

32 Teoria dei Grafi che un certo nodo i ha all’interno del suo modulo di appartenenza rispet-to a tutte le sue connessioni all’interno della rete. Pi `u vicino sar`a ad 1 il valore del coefficiente di partecipazione per un dato nodo, pi `u basso sar`a il rapporto tra il numero di connessioni che questo ha nel modulo e quelle che, invece, ha all’interno di tutta la rete. Nodi connessi solo con altri nodi del modulo hanno quindi un valore del coefficiente di partecipazione pari a 0.

Questo parametro, inoltre, `e fondamentale nella classificazione degli hubs. Infatti, hub con un basso coefficiente di partecipazione (provincial hubs) svolgono un ruolo importante per la coesione de modulo di cui fanno par-te. D’altro canto, hub con un alto coefficiente di partecipazione (connector hubs) favoriscono l’interazione inter-modulare (Fig.3.6).

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