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L'impatto della riabilitazione del pavimento pelvico sulla funzione sessuale delle pazienti con vulvodinia.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in

Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Medicina e Chirurgia

TESI DI LAUREA

L’impatto della riabilitazione del pavimento pelvico sulla funzione sessuale

delle pazienti con vulvodinia.

RELATORE

Prof. Tommaso Simoncini

CANDIDATO

Beatrice Baldassari

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"Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi

garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l'esito della terapia."

Patch Adams

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INDICE

1. SINTESI ………5-7 2. INTRODUZIONE ………..8-9 3. IL DOLORE ………...10-18

3.1 Neurobiologia del dolore ………...10 3.2 Vie nocicettive ………..10-16 3.2.1 Nocicettori afferenti primari ………10-11

3.2.2 Sostanze algogene periferiche ……….11-12

3.2.3 Corna posteriori del midollo spinale ………12-13

3.2.4 Vie ascendenti ………13-14

3.2.5 Le parti del cervello coinvolte nel dolore ……….14-15

3.2.6 Sistemi discendenti spinali di controllo del dolore ……….15-16

3.3 Dolore nella vulvodinia e rappresentazione cerebrale ………17-18

4. LA VULVODINIA ………19-71

4.1 Definizione e classificazione ………19 4.2 Epidemiologia ………20 4.3 Patofisiologia del dolore vulvare ………20-36 4.3.1 La vulva ………...20-22

4.3.2 I muscoli del pavimento pelvico ……….22-23

4.3.3 Sistema di sospensione ………...24

4.3.4 Sistema vascolare ………....25

4.3.5 Innervazione dei genitali e del pavimento pelvico ………..25-26

4.3.6 Fattori associati ……….26-36

4.3.6.1 Meccanismi infiammatori e infezioni vulvovaginali ………...26-28 4.3.6.2 Neuroproliferazione vestibolare ………..28-29 4.3.6.3 Meccanismo neurologico centrale ………29 4.3.6.4 Disfunzione pavimento pelvico ………29-31 4.3.6.5 Fattori genetici ……….31-32 4.3.6.6 Fattori psicosociali ………32-34 4.3.6.7 Fattori ormonali ………34-36 4.3.6.8 Sonno ………36 4.3.6.9 Comorbidità ………36 4.4 Diagnosi ………37-50 4.4.1 Storia del dolore ………38-39

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4.4.3 Storia clinica ………40

4.4.4 Esame obiettivo ………...40-50

4.4.4.1 Ispezione vulvare e vaginale ………...40-43 4.4.4.2 Test ……….43-45 4.4.4.3 Valutazione funzionale del pavimento pelvico ………46-48 4.4.4.4 Nevralgia del nervo pudendo ………...49-50 4.4.4.5 Conclusioni ………50

4.5 Strategie terapeutiche ………51-71 4.5.1 Obiettivi della terapia ………...51

4.5.2 Promozione della salute vulvare ………..52

4.5.3 Cambiamenti nello stile di vita ………...52-53

4.5.4 Trattamento di disordini specifici che causano dolore vulvare………54-56

4.5.5 Riabilitazione del pavimento pelvico………..57-62

4.5.6 Intervento psicosessuologico………62-64 4.5.7 Terapia orale………...65-66 4.5.8 Terapia locale………...66 4.5.9 Blocchi anestetici ………..67-69 4.5.10 Neurotossina botulinica………69-70 4.5.11 Intervento chirurgico………...70 4.5.12 Effetto placebo………..71 4.5.13 Terapie alternative……….72 5. STUDIO SPERIMENTALE………73-93

5.1 Scopi dello studio ………73-74 5.2 Materiali e metodi ………74-77 5.3 Dati raccolti e analisi statistiche ………77 5.4 Risultati ………78-89 5.5 Discussione ………89-91 5.6 Limiti dello studio ………92 5.7 Conclusioni ………92-93

6. BIBLIOGRAFIA ………94-95 7. RINGRAZIAMENTI ……….96-98

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1.SINTESI

Il dolore è un’esperienza che coinvolge sensazioni fisiche, pensieri ed emozioni. Può essere diviso in tre categorie: nocicettivo, infiammatorio e patologico (disfunzionale e neuropatico). Le vie nocicettive comprendono: nocicettori afferenti primari; neuroni sensitivi secondari (nocicettivi specifici e ad ampio spettro dinamico) e interneuroni, situati nelle corna posteriori del midollo spinale; vie ascendenti (via paleospinotalamica e via neospinotalamica); aree cerebrali (corteccia cingolata anteriore, insula anteriore e posteriore, aree somatosentivive SI ed SII, corteccia prefrontale ed amigdala); sistemi discendenti spinali del controllo del dolore (aree cerebrali, ipotalamo e tronco encefalico).

La vulvodinia è un dolore disfunzionale che coinvolge la sensibilizzazione periferica e la sensibilizzazione centrale. Di conseguenza, come effetti si hanno allodinia e iperalgesia. Studi di imaging con fMRI, coinvolgenti donne con vulvodinia, hanno dimostrato livelli significativamente più alti di attivazione nelle regioni corticali insulari e frontali rispetto ai controlli sani.

La vulvodinia è un dolore vulvare che è stato presente da almeno tre mesi, senza una chiara causa identificabile.

Colpisce donne di tutte le età, con la percentuale maggiore di insorgenza prima dei 25 anni. Nonostante l'alta prevalenza, solo il 60% delle donne affette si rivolgono ai medici.

Nella patogenesi sono coinvolti meccanismi infiammatori ed infezioni vulvovaginali, la neuroproliferazione vestibolare, meccanismi neurologici centrali, disfunzione del pavimento pelvico, fattori genetici, fattori ormonali, fattori psicosociali, disturbi del sonno e varie comorbidità dolorose. Nella diagnosi è importante focalizzarsi sulla storia del dolore, sulla storia sessuale e sulla storia clinica della paziente. E', inoltre necessario, un accurato esame obiettivo che comprenda l'ispezione vulvare e vaginale, l'uso di test, la valutazione funzionale del pavimento pelvico, l'esclusione della nevralgia del pudendo.

Per quanto riguarda le strategie terapeutiche usate, è necessario promuovere la salute vulvare, promuovere cambiamenti nello stile di vita per ridurre l'infiammazione sistemica e del

cervello e trattare disordini specifici che causano dolore vulvare che possono essere presenti. In secondo luogo, possono essere adoperati la riabilitazione del pavimento pelvico,

l'intervento psicosessuologico, la terapia orale, la terapia locale, i blocchi anestetici, l'intervento chirurgico o terapie alternative.

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Lo studio pisano ha coinvolto le pazienti che hanno avuto accesso all'ambulatorio di

riabilitazione del pavimento pelvico dell'ospedale di Santa Chiara tra il 2006 e il 2017 con la diagnosi di vulvodinia. Sono state escluse, quindi, pazienti con altre problematiche del pavimento pelvico, con altre disfunzioni sessuali o pazienti con dolore vulvare da causa specifica. Lo scopo dello studio è stato quello di valutare l'impatto della riabilitazione del pavimento pelvico sul dolore e, di conseguenza, sulla funzione sessuale delle pazienti. E’ stata condotta un’indagine telefonica retrospettiva in cui si è andato ad evidenziare: comorbidità associate; caratteristiche del dolore; strategie terapeutiche usate, in particolare le tecniche usate nella riabilitazione del pavimento pelvico; eventuale periodo di remissione della sintomatologia (periodo libero da dolore ≥ 3 mesi); variazione del dolore (scala VAS); funzione sessuale precedente alla riabilitazione e funzione sessuale attuale.

Le pazienti, in numero di 25, sono state suddivise in 3 gruppi in base alla variazione del dolore riportata (in scala VAS) rispetto al periodo precedente alla terapia: gruppo A (pazienti con remissione della sintomatologia e variazione 8-10); gruppo B (pazienti con variazione intermedia 3-7); gruppo C (pazienti con variazione minima o assente, 0-2 punti). Durante il follow up, della durata media di 36 ± 31,6 mesi, 15 pazienti (60%) hanno mostrato un periodo di remissione della sintomatologia. La durata media della remissione è stata di 11,44 mesi ± 16,26.

Dai dati raccolti, non è emersa nessuna variabile statisticamente significativa nella risposta alla terapia dei tre gruppi di pazienti. Il 96% di queste ha riportato un miglioramento della sintomatologia dolorosa, anche se in varie gradazioni.

Per quanto riguarda la funzione sessuale delle donne è stato riportato un aumento del numero di quelle che hanno rapporti nel gruppo A e C (rispettivamente del 26,70% e del 50%) e una stabilità nel gruppo B.

Analizzando il dolore durante i rapporti, prima e dopo la riabilitazione, è stata evidenziata una diminuzione del dolore nella maggioranza delle pazienti e una stabilità nella minoranza. Lo stesso si può dire per quanto riguarda il dolore dopo i rapporti.

I limiti dello studio sono stati la scarsa numerosità delle pazienti e, quindi, l’impossibilità di fare uno studio randomizzato e il fatto che la terapia fisica è stata applicata in maniera non standardizzata nelle pazienti.

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In conclusione possiamo dire che la riabilitazione del pavimento pelvico porta, nella maggior parte delle pazienti, ad un miglioramento della sintomatologia dolorosa e, di conseguenza, della funzione sessuale. Inoltre, anche nelle pazienti con risposta nulla o scarsa alla terapia, aumenta il numero di quelle che hanno rapporti, probabilmente per un miglioramento della propriocezione e della consapevolezza del problema.

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2.INTRODUZIONE

Il macchinario riproduttivo è evolutivamente importante. Di conseguenza, meccanismi fisiologici si sono evoluti per proteggere gli organi riproduttivi dalle comuni minacce

ambientali. L’esposizione continua a funghi, batteri, virus potenzialmente patogeni ha reso il tratto riproduttivo inferiore un vero e proprio campo di battaglia per le difese immunitarie. La vulva esterna e il canale vaginale esprimono un profilo immune unico che è diverso dagli altri siti con mucosa e altrove in periferia, e questa specializzazione è preservata nelle varie

specie.1 Abbiamo capito, quindi, come quest’area abbia caratteristiche particolari che si

riflettono in altrettanta specificità delle patologie che la colpiscono.

Milioni di donne soffrono di dolore cronico vulvare senza una chiara causa

identificabile(vulvodinia). La vulvodinia rappresenta l’intersezione di due materie difficili: il dolore cronico e la sessualità 2.

L’aspetto multidimensionale del dolore cronico e le differenze nelle sindromi dolorose basate sulle caratteristiche demografiche dei pazienti, come il genere e la razza, rende la sua gestione complessa. E’ ben documentato che le donne riportino più facilmente condizioni collegate al dolore cronico, come osteoartrite, fibromialgia ed emicranie rispetto alla loro controparte maschile. Le donne sono colpite in misura maggiore dal dolore rispetto agli uomini, con aumentata disabilità fisica, psicologica e sociale 3.

Nonostante la sua prevalenza, molte non si fanno curare a causa dei loro sentimenti di inadeguatezza, isolamento, imbarazzo o colpevolezza. La vulvodinia impatta negativamente sulla funzione sessuale, sulle relazioni interpersonali e sulla qualità di vita 4.

La cronicità del dolore vulvare può portare la donna a provare frustrazione, ansia, stress cronico e depressione. Una donna, per esempio, può stare a casa per il suo dolore severo giornaliero e così diventare socialmente isolata. Se la donna non riesce a lavorare e/o a contribuire alle mansioni di casa, questo può gravare sugli altri membri della famiglia. I partners sono testimoni e reagiscono all’esperienza della donna di dolore sessuale. Questo può compromettere la loro salute sessuale e le loro reazioni possono anche facilitare o diminuire il dolore della donna. Più della metà delle coppie che hanno a che fare con il dolore sessuale secondario alla vulvodinia dicono di vedersi diversi dalle altre “coppie sessualmente sane”. Le donne con vulvodinia possono ricercare aiuto da multiple figure sanitarie, includendo medici di famiglia, ginecologi, dermatologi, urologi e altri. Questi clinici possono non avere

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familiarità con i sintomi e/o segni della vulvodinia. Questo porta a visite multiple e, alla fine, ad un ritardo della diagnosi e della gestione. Anche quando il clino riconosce i sintomi come compatibili con la vulvodinia, lui o lei può essere in difficoltà su come gestire il dolore della donna. Non ci sono linee guida standardizzate pratiche per la gestione della vulvodinia. Quindi, trattare una donna con vulvodinia è spesso percepito come una vera sfida 5.

Questo disordine non è solo un peso significativo per le donne affette e il partner, ma anche per il sistema sanitario e la società. Il carico economico annuale stimato della vulvodinia negli USA ha un range che va da 31 a 72 miliardi di dollari 4.

Anche se sono stati fatti grandi progressi nel migliorare la comprensione della vulvodinia e lo sviluppo di trattamenti efficaci, restano delle falle significative nella conoscenza,

ulteriormente ostacolata dai problemi clinici e metodologici per condurre ricerche con questa popolazione altamente vulnerabile. Identificare questi problemi, associando una

considerazione accurata delle potenziali soluzioni attenuanti, è essenziale per continuare il progresso nei confronti della comprensione dei fattori di rischio della vulvodinia e dello sviluppo di algoritmi terapeutici empiricamente supportati 6.

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3. IL DOLORE

3.1 Neurobiologia del dolore

L’esperienza del dolore è multidimensionale coinvolgendo sensazioni fisiche, pensieri ed emozioni 7.

Il dolore rappresenta il risultato finale di un messaggio nocicettivo (da noxa, danno) compiutamente integrato.

Se in un’area più o meno ristretta dell’organismo si verificano condizioni dannose e

potenzialmente tali, un messaggio a contenuto nocicettivo si dirige dai recettori periferici al talamo, dando origine a quella che, per l’appunto si definisce nocicezione. Ma è solo l’integrazione della corteccia, con la conseguente integrazione cosciente, che trasforma il messaggio nocicettivo in dolore vero e proprio 8.

Il dolore può essere sostanzialmente diviso in 3 categorie: nocicettivo, infiammatorio e patologico.

 Il dolore nocicettivo (o acuto) è una risposta protettiva fisiologica di allarme precoce verso stimoli nocicettivi.

 Il dolore infiammatorio è una risposta adattativa fisiologica all’infiammazione con sensibilità aumentata che scoraggia il movimento e il contatto fisico con l’aria danneggiata finché non è avvenuta la guarigione.

 Il dolore patologico è una risposta maladattativa di un sistema nervoso che funziona in modo anomalo ed è di due tipi:

- Dolore neuropatico che si manifesta dopo una lesione o malattia del sistema nervoso - Dolore disfunzionale che si manifesta in assenza di uno stimolo nocicettivo e patologia infiammatoria periferica minima o assente 9.

3.2 Vie nocicettive

3.2.1 Nocicettori afferenti primari

Un nervo periferico è costituito dagli assoni di tre diversi tipi di neuroni: neuroni sensitivi primari, motoneuroni e neuroni simpatici postgangliari. I corpi cellulari dei neuroni afferenti primari sono localizzati nei gangli delle radici dorsali, a livello dei forami vertebrali. L’assone afferente primario si divide in due rami: l’uno si dirige centralmente verso il midollo spinale,

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l’altro si dirige perifericamente a innervare i vari tessuti. Le fibre afferenti primarie vengono classificate in base al loro diametro, al grado di mielinizzazione e alla velocità di conduzione. Le fibre di grande diametro, denominate A-beta, sono sensibili soprattutto a lievi stimoli tattili e/o di movimento; esse sono presenti principalmente nei nervi che si distribuiscono alla cute. In condizioni normali l’attività di queste fibre non produce dolore. Vi sono altre due classi di fibre afferenti primarie: le fibre mieliniche di piccolo diametro denominate A-delta e le fibre amieliniche (fibre C). Queste fibre sono presenti nei nervi che si portano alla cute e alle strutture profonde somatiche e viscerali. Alcuni tessuti, per esempio la cornea, sono innervati esclusivamente da fibre afferenti di tipo A-delta e C. Gran parte delle fibre di queste due classi risponde in modo massimale solo a stimoli intensi (dolorifici) ed evoca dolore quando viene stimolata elettricamente; queste caratteristiche conferiscono loro la proprietà di

nocicettori afferenti primari (recettori del dolore). La capacità di avvertire stimoli dolorosi viene completamente abolita dal blocco della conduzione lungo gli assoni di tipo A-delta e C. I singoli nocicettori afferenti primari sono in grado di rispondere a numerosi tipi di stimoli dolorosi. La maggior parte di esse risponde, per esempio, al calore; al freddo intenso; a stimoli meccanici intensi (come un pizzicotto); a variazioni nel pH, soprattutto in ambiente acido; all’applicazione di sostanze chimiche irritanti, quali l’adenosin trifosfato (ATP), la serotonina, la bradichinina e l’istamina 10.

3.2.2 Sostanze algogene periferiche

Danni tissutali causati da trauma, malattia, infezione/infiammazione, ustione, agenti chimici aggressivi, comportano il rilascio di sostanze chimiche endogene, denominate algogeni, nel liquido extracellulare che circonda i nocicettori, che sono costituiti dalle terminazioni nervose libere. Queste sostanze includono gli ioni H+, il K+, la serotonina, l’istamina, le

prostaglandine, la bradichinina, la sostanza P e molte altre. Esse giocano un ruolo causale nel dolore associato all’infiammazione, al trauma, ai tumori ossei, all’ischemia ed altre condizioni patologiche. Oltre ad un’azione eccitatoria indiretta alterando la microcircolazione locale, nel senso di un’aumentata permeabilità e di fenomeni di vasodilatazione/ vasocostrizione. Il rilascio di algogeni può essere indotto da danni meccanici, calore eccessivo, radiazioni, dagli stessi prodotti derivanti da danni tissutali (materiale lisosomiale da neutrofili, trombina, collagene ed epinefrina).

Si sa che un certo numero di stimoli algogeni inducono l’attivazione della fosfolipasi A, la quale catalizza la scissione dai fosfolipidi di membrana di molecole di acido arachidonico che

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, a sua volta, seguendo la via della cicloossigenasi o quella della lipoossigenasi, si trasforma rispettivamente in prostaglandine ( o trombossano) e in leucotrieni 8.

3.2.3 Corna posteriori del midollo spinale

Le branche centrali degli assoni dei neuroni nocicettivi dei gangli radicolari entrano nel midollo spinale e si biforcano rostralmente e caudalmente, estendendosi per alcuni segmenti spinali nel tratto di Lissauer. Queste ramificazioni entrano poi nelle corna posteriori del midollo spinale e attivano contatti sinaptici con i neuroni sensitivi secondari e con tipi diversi di interneuroni. Gli interneuroni connettono, per esempio, i neuroni sensitivi secondari con i motoneuroni, dando così origine ai riflessi spinali.

La sostanza grigia del midollo spinale è suddivisa citoarchitettonicamente in dieci lamine, numerate dalla I alla X, a volte conosciute come lamine di Rexed. L’ingresso delle fibre nocicettive avviene principalmente a livello delle lamine I, II, IV, V e X.

I neuroni sensitivi secondari sono di due tipi: nocicettivi specifici e ad ampio spettro dinamico. Mentre i primi ricevono afferenze dalle fibre A-delta e C, i secondi ricevono afferenze sia dalle fibre nocicettive A-delta e C, sia dalle fibre A-beta, comprendendo perciò un più ampio spettro di informazioni afferenti. Sebbene non si possa stabilire

un’organizzazione precisa, i neuroni sensitivi secondari nocicettivi specifici sono

principalmente localizzati nella lamina I e nella parte esterna della lamina II, mentre i neuroni sensitivi secondari ad ampio spettro dinamico si trovano principalmente localizzati nelle lamine II e IV.

I neuroni nocicettivi specifici rispondono solo a stimoli nocivi, sia meccanici sia termici, e si ritiene che questi stimoli trasmettano informazioni dettagliate ai centri nervosi. I neuroni nocicettivi ad ampio spettro dinamico rispondono invece sia a stimoli innocui (meccanici), sia a stimoli nocivi (meccanici e termici) e sembra che informino le strutture centrali

dell’esistenza di uno stimolo nocivo, senza tuttavia decodificare le informazioni spaziali e temporali necessarie per la discriminazione delle caratteristiche dello stimolo.

Negli anni Settanta è stata formulata a teoria del controllo a cancello che affermava che i segnali nocicettivi sono filtrati e modificati quando arrivano al corno posteriore del midollo spinale, il quale fa appunto da cancello: se questo è aperto i segnali nocicettivi passano, se è chiuso vengono bloccati. Ovviamente “cancello” è un termine metaforico e si riferisce ad un circuito nervoso che fa passare o blocca l’informazione nocicettiva.

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L’impatto clinico-terapeutico riguarda le diverse procedure terapeutiche che sono state sviluppate per bloccare il dolore a livello del midollo spinale: per esempio, la stimolazione nervosa elettrica transcutanea (TENS) agisce tramite la stimolazione elettrica delle fibre non nocicettive a grosso calibro (A-beta) della parte del corpo dolorante, le quali andrebbero ad attivare un circuito neuronale inibitorio nel midollo spinale che bloccherebbe le informazioni nocicettive veicolate dalle fibre A-delta e C.L’ efficacia di tale terapia è tuttora oggetto di dibattito, così come lo è la stessa teoria del cancello 11.

Figura 1 Organizzazione delle corna posteriori del midollo spinale in lamine e principale organizzazione delle fibre afferenti primarie 11

3.2.4 Vie ascendenti

Nell’ambito del sistema nervoso centrale, gli stimoli nocicettivi, possono essere trasmessi essenzialmente attraverso due vie principali: la via neospinotalamica e quella

paleospinotalamica.

La via neospinotalamica, filogeneticamente più recente, è costituita da fibre mielinizzate a largo diametro; è paucisinaptica ed è localizzata nella parte più dorsolaterale del tratto antero-laterale del midollo spinale. A livello del talamo l’integrazione avviene in seno al nucleo ventrale postero-laterale. Da questo nucleo a proiezione specifica gli imput vengono proiettati alla corteccia somatoestetica. Questa via è coinvolta nella percezione di uno stimolo

dolorifico acuto e localizzato e si dimostra scarsamente sensibile all’azione analgesica esplicata dagli oppiacei.

Viceversa, dolori più sordi ad andamento cronico, e scarsamente localizzati, sono adeguatamente alleviati dagli oppiacei. E’ la via paleospinotalamica, evolutasi più

precocemente nella filogenesi, e dunque più antica, che trasmette centralmente questo tipo di dolore. Costituita da fibre poco mielinizzate e a piccolo diametro, è una via multisinaptica e

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perciò lenta, perché deve superare tante tappe intermedie. Occupa, nel tratto anteromediale, una posizione più paramediale, disgiungendosi dal neospinotalamico a livello mesencefalico, ove va ad occupare la parte anterolaterale della sostanza grigia che circonda l’acquedotto di Silvio. Dà numerose collaterali alle formazioni del tronco cerebrale e del sistema limbico. Termina a livello dei nuclei talamici a proiezione diffusa che, in definitiva, inviano fibre talamo-corticali soprattutto alla corteccia frontale, il sito finale di controllo della nostra emotività e delle risposte che possono o non possono seguire.

La corteccia frontale gioca un ruolo determinante nell’integrare attività cognitive, da un lato, con aspetti motivazionali ed affettivi, dall’altro, e si incarica dell’elaborazione finale del dolore. Infatti riceve informazioni attraverso sistemi di fibre intracorticali da aree sensitive e di associazione e proietta ampiamente alle strutture reticolari e del sistema limbico. Tali circuiti sembrano essenziali nel mantenimento della dimensione affettiva in senso negativo del dolore e di quella avversativa dal lato motivazionale 8.

3.2.5 Le parti del cervello coinvolte nel dolore

Le regioni cerebrali che si pensa influenzino aspetti motivazionali del dolore includono la corteccia cingolata anteriore (ACC)- un’area che stabilisce un interfaccia tra le emozioni e le funzioni cognitive razionali, es, prendendo decisioni, così come essendo coinvolto nelle funzioni autonomiche.

L’insula anteriore, un’area coinvolta in molti comportamenti coscienti, è anche coinvolta negli aspetti motivazionali del dolore.

Le aree somatosensitive (SI, SII) e l’insula posteriore processano le componenti sensitive del dolore e la corteccia prefrontale e l’amigdala, entrambe coinvolte nel processare le emozioni negative, processano gli aspetti emotivi del dolore.

Aree specifiche del sistema del grigio periacqueduttale cerebrale e nel bulbo si ritiene che integrino i segnali discendenti dal cervello alle cellule delle corna dorsali del midollo spinale.7 L’attivazione del talamo, della corteccia somestesica, primaria e secondaria, e dell’insula si ritiene possa essere correlata agli aspetti sensitivo-discriminatici dell’elaborazione del dolore, ossia a quegli aspetti che permettono di identificare la sede di provenienza del dolore e le sue caratteristiche principali, quali l’intensità e la qualità.

E’ interessante notare che la probabilità di ottenere un’attivazione dell’area somestesica primaria (SI) appare correlata alla quantità totale di superficie corporea stimolata (per

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sommazione spaziale) e forse anche per sommazione temporale (stimolo ripetuto) nonché per l’attenzione posta nei confronti degli stimoli applicati.

L’attesa dello stimolo doloroso imminente che deve essere subito cominci già ad attivare le aree cerebrali che saranno maggiormente interessate dallo stimolo doloroso reale e viceversa cominci ad inibire le altre. In effetti è stato osservato che l’anticipazione del dolore, in volontari che già precedentemente lo avevano subito, è in grado di attivare specifiche aree cerebrali nell’imminenza dello stimolo dolorifico che sta per essere inflitto: tale attivazione è nell’ordine del 30-40% rispetto alla massima risposta registrata in corso di stimolo doloroso effettivamente applicato 8.

3.2.6 Sistemi discendenti spinali di controllo del dolore

L’esperienza globale del dolore varia in base alla situazione in cui si trova il soggetto. Infatti, uno stimolo dolorifico somministrato ad un soggetto che si trova in uno stato di rilassamento provoca una reazione diversa da quella ottenuta tramite una stimolazione nocicettiva applicata in condizioni di stress. Analogamente, diversi fattori psicologici possono influenzare la percezione del dolore.

Sono state identificate aree del sistema nervoso centrale che, in conseguenza di una stimolazione elettrica, producono uno stato di analgesia, determinando una diminuzione dell’esperienza dolorifica. Queste aree tra cui la corteccia cerebrale, l’ipotalamo e il tronco encefalico, costituiscono un sistema di controllo discendente del dolore, che arriva fino al midollo spinale. Infatti, è stato dimostrato che la stimolazione di tali aree determina

un’inibizione dei neuroni nocicettivi presenti nel midollo spinale, con diminuzione della loro frequenza di scarica.

Inoltre, l’analgesia da stimolazione, prodotta dall’attivazione di una di queste porzioni encefaliche, viene completamente abolita qualora si sezioni il funicolo dorsolaterale discendente.

Le principali aree corticali deputate al controllo discendente si trovano a livello della corteccia sia prefrontale che parietale (per esempio la corteccia cingolata anteriore, la corteccia

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Anche diverse zone sottocorticali (ipotalamo, talamo e amigdala), se stimolate elettricamente, sono in grado di produrre analgesia, ma le regioni che producono gli effetti analgesici

maggiori si trovano a livello del tronco encefalico. Esse sono la sostanza grigia

periacqueduttale, il tegmento pontomesencefalico dorsolaterale e il bulbo retroventromediale. Esiste una stretta connessione anatomica e funzionale tra tutte queste regioni, la quale dà origine al cosiddetto sistema di controllo discendente. Infatti, la corteccia parietale, la

corteccia prefrontale e il sistema limbico (ipotalamo, amigdala) proiettano alla sostanza grigia periacqueduttale che, a sua volta, proietta al bulbo rostroventromediale, a livello del quale giunge anche una via dal tegmento pontomesencefalico dorsolaterale. In queste regioni troncoencefaliche sono stati identificati vari tipi di neuroni, tra cui le cellule on e le cellule off, presenti anche nel midollo spinale. Quando viene applicato uno stimolo dolorifico a livello della coda di un ratto, i neuroni off mostrano inizialmente un incremento della frequenza di scarica, poi cessano improvvisamente di scaricare. La scomparsa della scarica delle cellule off si verifica subito prima che l’animale presenti il movimento di

allontanamento della coda (tail flick). Le cellule on mostrano un comportamento

diametralmente opposto: subito dopo l’applicazione di uno stimolo dolorifico si verifica una diminuzione della frequenza di scarica ma, subito prima del movimento di allontanamento della coda, la cellula riprende a scaricare. Evidenze sperimentali dimostrano che i neuroni off sono implicati nell’inibizione della trasmissione del dolore, al contrario delle cellule on, che sembrano avere un ruolo facilitatorio.

Dal bulbo rostroventromediale si diparte un’importante via seretononinergica che proietta al corno posteriore del midollo spinale e contribuisce al controllo inibitorio discendente. Il principale punto di partenza di tale via è il nucleo del rafe magno. L’inibizione da parte dei neuroni del nucleo del rafe magno della trasmissione dell’informazione dolorifica a livello spinale si può attuare tramite un controllo inibitorio diretto sui neuroni sensitivi secondari, che fanno parte della via afferente nocicettiva, oppure mediante l’inibizione degli interneuroni eccitatori del corno posteriore o tramite l’eccitazione di interneuroni inibitori spinali. Sembra che quest’ultimo meccanismo svolga il ruolo principale 11.

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3.3 Dolore nella vulvodinia e rappresentazione cerebrale

La vulvodinia è un dolore disfunzionale. Nella letteratura passata, la vulvodinia è stata descritta come un dolore neuropatico, ma questa descrizione crea confusione basandosi sulle definizioni contemporanee poiché implica una lesione neurale.

Si pensa che il dolore cronico inizia con il dolore acuto. Il passaggio dal dolore acuto al dolore cronico si propone che coinvolga tre processi interconnessi: la sensibilizzazione periferica, la sensibilizzazione centrale e modulazione discendente alterata.

La sensibilizzazione periferica si riferisce all’ ipereccitabilità e alla ridotta soglia sensoriale dei neuroni sensitivi nella periferia, e la sensibilizzazione centrale si riferisce

all’ipereccitabilità e all’aumentata efficienza sinaptica nel sistema nervoso centrale. Gli effetti sono sinergici e risultano in una ridotta soglia sensitiva così che un tocco non doloroso

diventa doloroso (allodinia) e un tocco doloroso diventa più doloroso (iperalgesia). I

cambiamenti nei corni dorsali portano al wind up o facilitazione centrale (intensità aumentata del dolore percepito nel tempo con stimoli ripetuti), dolore spontaneo, afterpain (la

continuazione del dolore dopo la cessazione dello stimolo) e l’espansione dei campi nocicettivi causando un iperalgesia secondaria e convergenza (insorgenza di dolore nelle strutture adiacenti). Questi cambiamenti riflettono la neuroplasticità, una caratteristica nel sistema nervoso per cui i neuroni possono cambiare nella struttura e funzione. Il risultato è che la sensazione di dolore è dissociata dagli stimoli dolorosi e insorge invece da input periferici innocui o spontaneamente.

La modulazione discendente può alterare l’esperienza sensoriale. La percezione del dolore può essere enfatizzata o diminuita in base all’anticipazione, l’attenzione (o distrazione), lo stato emozionale, l’umore, l’ansia, lo stile di vita, la mentalità, la tendenza ad essere catastrofica, la memoria e la conoscenza. Questo ha dimostrato un’area fruttuosa per l’intervento psicologico e sostiene l’effetto placebo ( che è possibilmente descritto in modo migliore come attesa dei benefici) 9.

Gli studi di imaging con risonanza magnetica funzionale e strutturale hanno rivelato molti tipi di differenze cerebrali associate con lo sviluppo del dolore cronico; tuttavia, pochi studi hanno applicato queste tecniche per studiare la vulvodinia. In uno studio usando la pressione

(percepita come dolorosa nei pazienti ma non nei controlli) nella porzione posteriore del vestibolo vulvare come stimolo nelle donne con vulvodinia provocata localizzata (LPV) e controlli sani, le donne con LPV hanno mostrato livelli significativamente più alti di

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attivazione nelle regioni corticali insulari e frontali nella fMRI rispetto ai controlli,

rispecchiando i modelli di attivazione osservati nelle altre condizioni di dolore cronico. In uno studio successivo, i pazienti con vulvodinia sono stati comparati ai pazienti controllo sani e con fibriomialgia. E’ stato esaminato il processo di dolore locale (vulvare) e remoto (al pollice) evocato dalla pressione usando fMRI. Entrambi i gruppi con dolore hanno mostrato attivazioni sovrapponibili dell’insula che erano maggiori che nei controlli sani durante la stimolazione del pollice. Differenze significative tra i sottogruppi della vulvodinia

(primaria/secondaria, provocata/non provocata) sono state osservate nel cingolo posteriore (stimolo del pollice) e nel lobo parietale (stimolo vulvare), suggerendo neuropatologie eterogenee. Usando la morfometria basata sui voxel del cervello, è stata dimostrata una densità maggiore della sostanza grigia nelle giovani donne con LPV. Questo in contrasto con gli studi in pazienti con altre condizioni di dolore cronico documentando una densità della sostanza grigia ridotta, e si è ipotizzato che la densità della sostanza grigia possa aumentare nelle pazienti giovani con dolore e diminuire in individui più anziani con condizioni di dolore da molto tempo 12.

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4. LA VULVODINIA

4.1 Definizione e classificazione

Il dolore vulvare può essere causato da un disordine specifico o può essere idiopatico. Il dolore vulvare idiopatico è classificato come vulvodinia 13.

L’ International Society for the Study of Vulvar Desease (ISSVD) insieme all’International Society for the Study of Women’s Sexual Health e l’International Pelvic Pain Society adottano un nuovo sistema di classificazione di dolore vulvare nel 2015. Questo sistema riconosce la complessità di fare queste diagnosi e dividono a grandi linee le condizioni del dolore vulvare in due gruppi principali:

 Dolore vulvare causato da un disordine specifico  Vulvodinia

La vulvodinia è definita come un dolore vulvare che è stato presente da almeno 3 mesi, senza una causa chiara identificabile. E’ descritto dalle seguenti caratteristiche chiave: - Localizzazione: localizzato (es. vestibolo, clitoride), generalizzato, o misto

- Stimoli: spontaneo, provocato (es. tocco, inserzione), o misto

- Esordio: primaria (i sintomi sono sempre stati presenti) o secondaria (i sintomi si sono sviluppati dopo un periodo di funzione normale)

- Andamento temporale: intermittente, persistente, costante, immediata o ritardata

La nuova classificazione include una lista di potenziali fattori associati (fattori psicosociali, problemi muscoloscheletrici, comorbidità, genetica, infiammazione, neuroproliferazione), suggerendo che la vulvodinia è probabilmente non una singola malattia ma rappresenta la sovrapposizione di diversi processi patologici 14.

La vulvodinia non è causata da una comunemente identificata infezione (candidosi, HPV, HSV), infiammazione (lichen sclerosus, lichen planus, malattie bollose autoimmuni), neoplasia (malattia di Paget, carcinoma squamocellulare) o un disordine neurologico. (nevralgia erpetica, compressione nervo spinale).13

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4.2 Epidemiologia

Lo studio quantitativo dimostra che la vulvodinia è molto comune, colpendo il 25% di tutte le donne ad un certo punto della loro vita e circa l’8% di donne in qualsiasi momento, con altre stime di prevalenza che variano dal 4 al 16%. Colpisce donne di tutte le età, con la

percentuale maggiore di insorgenza prima dei 25 anni. La prevalenza è simile per le donne Afro-americane e le donne bianche; tuttavia le donne ispaniche hanno 1.4 volte più

probabilità di affrontare la vulvodinia. Le ragioni di questo sono sconosciute 15.

L’incidenza annuale sembra essere nell’ordine del 3%. L’incidenza è più alta nelle donne giovani. C’è un secondo picco di dolore vulvare attorno alla menopausa, in parte dovuto all’atrofia vulvovaginale ma anche ad una vulvodinia di nuova insorgenza o ricorrente. La vulvodinia può presentarsi nell’infanzia, ma gli studi sono scarsi, e in molti casi, il dolore persistente risulta aver una causa alla base 9.

Nonostante l’alta prevalenza, solo il 60% delle donne affette si rivolgono ai medici e solo il 50% di queste donne riceve una diagnosi ufficiale di vulvodinia. Queste constatazioni

evidenziano delle lacune sostanziali nella conoscenza e nell’accesso alle cure per le donne che devono affrontare questa angosciante condizione di dolore 6.

4.3 Patofisiologia del dolore vulvare

Per inquadrare la patofisiologia del dolore vulvare è necessario evidenziare le caratteristiche anatomico-funzionali della regione.

4.3.1 La vulva

I genitali esterni comprendono:

-il monte di Venere, situato subito al di sopra della branca orizzontale del pube.

- le grandi labbra, rappresentate da due pliche cutanee di colorito più scuro rispetto alla pelle circostante, simmetriche, che dal monte di Venere scendono in basso, descrivendo un

semicerchio a convessità esterna, che si chiude posteriormente a livello della commessura posteriore. Le estremità delle grandi labbra si riuniscono sulla linea mediana anteriormente e posteriormente formando la commessura vulvare anteriore e la commessura vulvare

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-le piccole labbra, sono due ripiegature cutanee situate internamente alle grandi labbra, di cui seguono il decorso. Esse si sdoppiano nella parte superiore formando così 4 pliche, le due anteriori si riuniscono al di sopra del clitoride e ne formano il cappuccio o prepuzio, mentre le due posteriori si inseriscono al di sotto di questo e formano il frenulo del clitoride.

- il clitoride, organo erettile, dotato di particolare sensibilità per numerosi corpuscoli di Pacini, Meissner e Krause, è ricco di vasi e nervi ed è l’equivalente del pene. Esso è situato sulla linea mediana ed è costituito dalla riunione di due corpi cavernosi, che dividendosi si inseriscono sulla faccia interna della branca ischio-pubica destra e sinistra. Congiungendosi anteriormente i corpi cavernosi formano la porzione libera del clitoride, angolata verso il basso (glande del clitoride). I corpi cavernosi sono ricoperti dai muscoli ischio-cavernosi che contraendosi bloccano il sangue in questi corpi provocando l’erezione del clitoride a seguito della stimolazione erotica.

-il vestibolo, regione triangolare con apice anteriore e base posteriore, delimitato in alto dal clitoride e indietro dal meato uretrale.

-il bulbo del vestibolo o bulbo della vagina, organo spugnoso, pari e simmetrico. E’ costituito da due masserelle ovoidali di tessuto erettile incorporate a destra e a sinistra tra il muscolo bulbo-cavernoso e la mucosa del vestibolo.

-il meato uretrale o urinario, delimitato lateralmente dalle piccole labbra.

-le ghiandole del Bartolini, in numero di due, poste lateralmente sotto il vestibolo. -le ghiandole vestibolari minori, situate nel vestibolo tra l’ostio vaginale e l’uretra. -l’imene, membrana mucosa che nella vergine occlude incompletamente l’ingresso della vagina. Presenta una o più aperture di solito molto ristrette, può avere forma diversa (anulare, semianulare, setto o sub-setto, cribriforme, labiato, duplice, ecc.)

-il perineo che viene distinto in una parte superficiale (compartimento superficiale) ed una parte profonda (compartimento profondo). Il compartimento superficiale è situato tra la fascia perineale superficiale e la fascia inferiore del diaframma urogenitale. Esso comprende: i bulbi del vestibolo; i muscoli della vulva ischio-cavernoso, bulbo-cavernoso e il trasverso

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Il compartimento perineale profondo è uno spazio delimitato inferiormente dalla membrana perineale e superiormente dallo strato fasciale profondo che separa il diaframma urogenitale dal recesso anteriore della fossa ischio-rettale.

Il corpo perineale o centrotendineo perineale è una struttura fondamentale per il terzo inferiore della vagina. Ad esso si ancorano il muscolo bulbo-cavernoso, lo sfintere anale esterno ed il muscolo trasverso superficiale del perineo. Al corpo perineale si ancora il supporto muscolo-fasciale del pavimento pelvico; infine esso rappresenta la connessione centrale tra i due strati del supporto del pavimento pelvico: il diaframma pelvico e quello urogenitale 16.

Figura 2 Apparato genitale esterno femminile 16

4.3.2 I muscoli del pavimento pelvico

Il pavimento pelvico chiude il bacino verso il basso e in esso vanno distinti tre piani muscolo-aponevrotici:

- Il diaframma pelvico che è lo strato più interno del pavimento pelvico. E’ formato dall’elevatore dell’ano che origina dall’arco tendineo e si estende dal corpo del pube alla spina ischiatica. Esso si divide in due porzioni: esternamente si trovano i fasci ileo-coccigei, internamente i fasci pubo-coccigei; medialmente a questi decorrono i fasci dei due muscoli pubo-rettali. Posteriormente il piano è completato da fasci del muscolo ischio-coccigeo.

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- Il diaframma urogenitale (o trigono urogenitale) è un piano muscolo- aponevrotico situato inferiormente all’elevatore dell’ano nella porzione anteriore del perineo. Il diaframma urogenitale ha la forma di un triangolo ad apice anteriore; fanno parte di esso il muscolo trasverso profondo del perineo, diviso in metà destra e sinistra e i legamenti pubo-uretrali. Il diaframma urogenitale è inserito sul legamento arcuato del pube e lateralmente sul margine posteriore del ramo ascendente dell’ischio e discendente del pube; posteriormente corrisponde al margine posteriore dei muscoli trasversi profondi del perineo. Il trigono urogenitale presenta un’apertura sulla linea mediana attraverso la quale passano l’uretra e la vagina

- Lo strato degli sfinteri comprende quattro muscoli. Posteriormente vi è lo sfintere dell’ano; anteriormente a destra e a sinistra vi sono tre muscoli disposti a triangolo isoscele: il bulbo-cavernoso o costrittore della vagina, l’ischio-cavernoso e il trasverso-superficiale del perineo che congiunge il margine posteriore del bulbo cavernoso con il margine posteriore dell’ischio cavernoso.

La porzione anteriore di tale strato è detta anche loggia bulbo-clitoridea o loggia perineale perché accoglie i corpi cavernosi del clitoride oltre ai bulbi del vestibolo 16.

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4.3.3 Sistema di sospensione

Oltre ai muscoli, gli organi pelvici sono supportati da un tessuto connettivo organizzato in differenti strati di fasce e legamenti.

La fascia endopelvica ricopre gli organi pelvici e li connette al pavimento pelvico laterale. E’ fatto da una combinazione di elastina, collagene, mucopolisaccaridi e tessuto adiposo e neurovascolare. La fascia coprendo il muscolo elevatore dell’ano continua nella fascia endopelvica superiormente, nella fascia perineale inferiormente e nella fascia otturatoria lateralmente. I muscoli elevatori dell’ano e le loro fasce superiori e inferiori combinate insieme formano il diaframma pelvico.

I legamenti larghi connettono l’utero al parete pelvico laterale da entrambe le parti, e nella sua parte alte finale racchiude le tube di Falloppio, i legamenti rotondi, i legamenti utero- ovarici e le ovaie.

I legamenti rotondi si estendono dalla faccia laterale del corpo uterino e passando attraverso il canale inguinale si inseriscono nelle grandi labbra.

I legamenti uterosacrali supportano la cervice e la parte alta della vagina attraverso i loro collegamenti al sacro, avendo anche un ruolo importante nella funzione di contenzione durante il rapporto sessuale.

I legamenti cardinali, o Mackenrodt’s ligaments, si estendono dalla cervice alla parete pelvica posterolaterale.

La fascia dell’otturatore interno ricopre la superficie pelvica dei muscoli; inarca al di sotto i vasi otturatori ed i nervi, completando il canale otturatorio e al davanti della pelvi è collegato alla branca superiore del pube. Inferiormente è attaccato al processo falciforme del legamento sacrotuberoso e all’arco pubico. L’ispessimento nella fascia otturatoria è chiamato l’arco tendineo, che si estende dal pube anteriormente alla spina ischiatica.

La sindrome del canale di Alcock o intrappolamento del nervo pudendo è una condizione causata dalla compressione del nervo pudendo nel canale, risultando in una nevralgia nell’aria di distribuzione del nervo pudendo (vulva, vagina, clitoride) 18.

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4.3.4 Sistema vascolare

I genitali hanno un ricco rifornimento di sangue arterioso. Le labbra sono rifornite dai rami perineale inferiore e labiale posteriore dell’arteria pudenda interna così come dai rami superficiali dell’arteria femorale. Il clitoride è rifornito da un ramo terminale dell’arteria pudenda interna. Dopo che l’arteria iliaca interna ha staccato il suo ultimo ramo anteriore, attraversa il canale di Alcock e termina come arteria clitoridea comune che emette le arterie cavernose clitoridee e l’arteria dorsale clitoridea. La parte prossimale della vagina è rifornita dai rami vaginali dell’arteria uterina e dell’arteria ipogastrica. La parte distale della vagina è rifornita dall’emorroidaria media e dalle arterie clitoridee 19.

4.3.5 Innervazione dei genitali e del pavimento pelvico

I nervi uterini derivano dal plesso ipogastrico inferiore formato dall’unione dei nervi

ipogastrici (SS T10-L1) e delle fibre splancniche (PS S2-S4). Questo plesso ha tre porzioni: plesso vescicale, plesso rettale e plesso uterovaginale, che giace alla base del legamento largo, dorsale ai vasi uterini e laterali ai legamenti uterosacrali e cardinali. Questo plesso provvede all’innervazione attraverso il legamento cardinale e i legamenti uterosacrali alla cervice, alla vagina superiore, all’uretra, ai bulbi del vestibolo e al clitoride. Alla cervice i nervi simpatici e parasimpatici formano i gangli paracervicali. Il più largo è chiamato ganglio cervicale uterino. E’ a questo livello che il danno delle fibre autonomiche della vagina, delle labbra e della cervice possono accadere durante l’isterectomia. Il nervo pudendo (s2-s4) raggiunge il perineo attraverso il canale di Alcock e provvede all’innervazione sensitiva e motoria dei genitali.

Per questo le strutture anatomiche coinvolte nella risposta femminile genitale sessuale sono innervate da nervi autonimici e somatici 1) il nervo pelvico emesso dal livello s2-s4 del midollo spinale (PS) 2) la catena ipogastrica e lombosacrale emesse dal livello t12-l1 del midollo spinale (simpatico) 3) il nervo pudendo (somatico) con i corpi cellulari dei

motoneuroni collocati nei nuclei di Onuf (s2-s4) 4) il nervo vago emesso dal nucleo del tratto solitario19 .

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Figura 4 Nervi periferici pelvici17

4.3.6 Fattori associati

4.3.6.1 Meccanismi infiammatori ed infezioni vulvovaginali

La vulvodinia è stata inizialmente ritenuta una condizione di infiammazione cronica locale ed è stata chiamata perciò “sindrome della vestibulite vulvare”. Nelle biopsie vulvari ottenute dalle pazienti, la parte subepiteliale della lamina propria è infiltrata da cellule infiammatorie, soprattutto linfociti T. Questo è spesso descritto come una infiammazione cronica aspecifica. Tuttavia, negli studi successivi, un infiltrato infiammatorio simile è stato trovato anche nel vestibolo delle donne sane. Conseguentemente l’iniziale teoria infiammatoria è stata abbandonata e la condizione è ora ritenuta una sindrome dolorosa.

Ciò nonostante, diversi studi suggeriscono che l’infiammazione può giocare un ruolo nello sviluppo della vulvodinia. Il meccanismo proposto ipotizza che l’infiammazione persistente nella mucosa vestibolare promuova l’iperplasia delle fibre C nocicettive, secondaria alla produzione di NGF, espressione alterata dei recettori e persistente aumento di sostanze pro-infiammatorie. Questi cambiamenti nell’ambiente biochimico potrebbero alterare l’attività dei canali ionici degli assoni periferici pre-terminali, che porta ad una soglia più bassa meccanica, termica o chimica nei nocicettori primari. Conseguentemente, anche un tocco lieve può portare ad un rilascio esagerato di mediatori pro-infiammatori dalle fibre nervose sensibilizzate. Questo, a sua volta, attiva cellule neuroendocrine e mast cells a rilasciare ulteriori sostanze pro-infiammatorie. Questo processo di neuroinfiammazione che si automantiene si pensa giochi un ruolo chiave nel mantenimento dell’infiammazione locale nella vulvodinia.

Gli studi che hanno valutato le caratteristiche infiammatorie nella PVD hanno mostrato risultati contraddittori. In qualche studio istologico, è stata dimostrata l’infiammazione con

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predominanza di mast cells, mentre altri riportano un infiammazione senza la predominanza delle mast cells o l’assenza di cellule infiammatorie.

Saggi per le molecole pro-infiammatorie nei campioni vulvovaginali hanno anche mostrato risultati inconsistenti, con qualche studio che riporta un aumento delle citochine

pro-infiammatorie IL1b e TNFα e livelli aumentati della neurochina CGRP, mentre altri hanno trovato bassi livelli di TNFα e livelli simili di IL1b nei pazienti e nei controlli. La nitrossido sintasi e la ciclossigenasi 2 non erano sovra-regolati nelle biopsie della mucosa vestibolare delle pazienti, che è in contrasto con l’infiammazione cellulo-mediata in corso.

Livelli sistemici di IFNα e IFNγ erano simili nelle pazienti e nei controlli.

Le infezioni vulvovaginali sono frequentemente citate come un evento scatenante

l’infiammazione che innesca lo sviluppo della vulvodinia. Spesso, le pazienti PVD riportano una storia di candidosi vulvovaginale ricorrente e collegano frequentemente l’esordio dei loro sintomi con una candidosi vaginale sintomatica. Se questo rappresenti un’associazione

accurata o sia principalmente una interpretazione scorretta dei sintomi delle pazienti non è chiaro, poiché la storia delle candidosi vulvovaginali ricorrenti è spesso basata su

autovalutazione e la presenza del lievito non era confermata da coltura. Tuttavia, diversi studi descrivono dati associati con una possibile risposta immune deficiente che risulta nella candidosi vulvovaginale ricorrente e nel conseguente sviluppo della PVD. E’ stato ipotizzato che un’incapacità di eliminare l’infezione e la risultante infiammazione cronica possano portare allo sviluppo della PVD.

Le cellule NK circolanti, un fattore predominante nella difesa vaginale contro le infezioni della Candida, sono significativamente ridotte nelle pazienti con PVD. Altre osservazioni implicano una possibile variabilità genetica causando una predisposizione alle infezioni ricorrenti. In più, un’ipersensività cutanea aumentata all’organismo della Candida Albicans è stata riportata nelle pazienti con PVD.

Foster e al. Riportano che i fibroblasti vulvari producono alti livelli di IL-6, IL-8 e PGE2 conseguentemente alla stimolazione di irritanti sia nelle donne con PVD che nei controlli. I fibroblasti vulvari rilasciano elevati livelli di IL-6 e PGE2 comparati ai fibroblasti isolati in siti vulvari senza dolore. In aggiunta, la produzione di mediatori pro-infiammatori era elevata nei fibroblasti con PVD rispetto ai controlli. Gli autori conclusero che il tessuto vulvare di

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donne con o senza PVD può essere differenziato dal grado di infiammazione naturale. Essi suggerirono che il vestibolo delle pazienti con PVD è per natura più sensibile ai lieviti e che anche un’infezione subclinica può attivare una risposta immune maladattativa in questi fibroblasti.

Nei recenti lavori pubblicati, il solito gruppo ha valutato la via di segnale coinvolta nel riconoscimento delle componenti del lievito che sono presenti durante l’infezione cronica. Essi hanno trovato che i fibroblasti vestibolari delle pazienti con PVD esprimono elevati livelli di Dectina-1, un recettori di superficie che lega C.albicans. Essi hanno mostrato anche che bloccando l’espressione di Dectina-1 in vitro porta ad una diminuzione significativa della produzione di IL-6 e PGE2 20.

4.3.6.2 Neuroproliferazione vestibolare

Una serie di studi riportano un aumento della densità delle fibre nervose nella vulvodinia corrispondente all’allodinia regionale meccanica aumentata e all’iperalgesia. Westrom e altri hanno riportato che la densità stromale delle fibre nervose per unità era significativamente correlata al livello dell’infiammazione ma non significativamente correlata alla presenza o assenza di dolore.

Bohm-Starke e altri hanno usato una misura semi-quantitativa e hanno riportato un numero significativamente più alto di fibre nervose intraepiteliali PGP9.5(+) nelle pazienti rispetto ai controlli asintomatici. Tympanidis e altri hanno riportato un significativo aumento nella densità delle fibre immunoreattive PGP 9.5 nelle pazienti. La differenza di densità è stata vista nella giunzione dermo-epidermica. In un articolo successivo, Tympanidis e altri hanno riportato una densità quantitativamente aumentata di recettori vanilloidi, VR-1 ma scarsa evidenza dell’immunoreattività di SNS1/ PN3 nella vulvodinia. Analogamente agli studi sulla patogenesi neuro-infiammatoria, il ruolo della proliferazione neurale nella patogenesi della vulvodinia è offuscato da diverse questioni che devono essere chiarite nelle ricerche future: -la proliferazione delle fibre C non è unica nella vulvodinia ma è trovata anche con il prurito nella dermatite atopica. Una differenza neurofisiologica tra la proliferazione neurale che produce il dolore e quella che produce il prurito rimane non chiara.

-la proliferazione neurale è reversibile nella dermatite atopica, ma nella vulvodinia non è studiata.

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-le tecniche immunoistochimiche per la quantificazione neurale devono essere standardizzate, includendo lo sviluppo di metodi in 3D per la quantificazione dei nervi periferici, così come metodi perfezionati per la conta quantitativa 12.

4.3.6.3 Meccanismo neurologico centrale

Tra i fattori eziologici partecipanti nello sviluppo della vulvodinia, l’alterazione della percezione centrale del dolore è stata suggerita in base a varie osservazioni. La comorbidità della PVD con altre sindromi dolorose è spesso riportata. Le pazienti spesso soffrono per altri dolori corporei e hanno una soglia del dolore ridotta nelle regioni distanti dal vestibolo. Inoltre, è riportato un numero aumentato di punti doloranti ed è stata rilevata un aumento della risposta dolorifica post-capsaicina, suggerendo una sensibilizzazione centrale. Oltretutto, l’imaging della fMRI , fatta durante la pressione dolorosa sul vestibolo, rivela un’attivazione simile nei centri del dolore cerebrale come nelle altre condizioni di dolore cronico e la densità della materia grigia è aumentata nelle aree di modulazione del dolore e quelle collegate allo stress rispetto ai controlli.

Presi insieme, questi ritrovamenti indicano che una funzione alterata dell’amplificazione del dolore può esistere nelle pazienti con PVD. Questa sensibilità dolorifica può essere attribuita alla cronicità del dolore (sensibilizzazione centrale) o alternativamente può essere vista come un riflesso di un difetto intrinseco nel meccanismo di regolazione del dolore.

Dato che le pazienti con vulvodinia primaria mostrano una sensibilità maggiore al dolore termico rispetto alle donne con vulvodinia secondaria, è stato suggerito che sottogruppi delle pazienti con PVD sono diversi nei confronti della soglia del dolore extragenitale, implicando differenze nei meccanismi sottostanti patofisiologici.

La considerazione del contributo dei meccanismi regolatori centrali del dolore può aiutare a spiegare le variazioni nella presentazione clinica e nei risultati dei trattamenti nei sottogruppi delle pazienti con vulvodinia 20.

4.3.6.4 Disfunzione del pavimento pelvico

Il dolore nella vulvodina è provocato dalla pressione nel vestibolo vulvare. In base alla convinzione che i muscoli scheletrici rispondono al dolore, trauma, danno ed emozioni negative, la disfunzione dei muscoli del pavimento pelvico (PFMD) si pensa essere un importante fattore esacerbante nella vulvodinia. Le donne con la vulvodinia dimostrano una

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ipersensività generalizzata alla pressione e al calore, iperestesia e iperalgesia vulvare, ansia maggiore e una maggiore paura del dolore rispetto alle donne non affette; quindi è importante valutare se queste variabili si tramutano in un’alterata funzione del pavimento pelvico e alterate risposte al dolore nelle donne con vulvodinia.

Reissing ed altri hanno suggerito che nella dispareunia, sia il piano superficiale che quello profondo del pavimento pelvico si contraggono come una reazione di protezione verso la penetrazione vaginale, simultaneamente diminuendo la dimensione dell’apertura vaginale e aumentando la pressione al vestibolo vulvare. Questa reazione può esacerbare l’esperienza dolorosa nelle donne affette.

Risultati di studi precedenti, basati su osservazioni dalla palpazione intravaginale digitale del PFM, suggeriscono che c’è un tono maggiore del PFM (riferito anche come ipertono,

ipertonia, ipertonicità, spasmo e vaginismo parziale) nelle donne con PVD rispetto a quelle non affette.

Reissing ed altri hanno riportato una debolezza del PMF nelle donne con PVD rispetto ai controlli quando la palpazione intravaginale digitale è stata usata per testare la forza.

Usando l’elettromiografia con ago e/o quella superficiale, diverse ricerche hanno trovato una maggiore attività tonica del PFM a riposo nelle donne con PVD rispetto ai controlli 21. E’ stato ipotizzato che il dolore vestibolare e l’infiammazione attivano un meccanismo di difesa del PFM in aggiunta allo scarso controllo muscolare e l’ipertonicità. L’ipertonicità del PMF può anche agire come iniziatore dei cambiamenti sensitivi vestibolari e

dell’infiammazione.

Tuttavia, studi empirici hanno evidenziato risultati contraddittori nella comparazione della funzione del PFM nelle donne con PVD rispetto ai controlli.

Difetti metodologici nelle tecniche correnti di valutazione del PFM possono spiegare queste discrepanze. La palpazione digitale è una valutazione soggettiva che potrebbe essere distorta dalla paura delle pazienti o dalle reazioni al dolore, che potrebbero influenzare il valutatore nei confronti del livello di tono, sovrastimandolo. Riguardo all’elettromiografia, fattori confondenti come il contatto tra gli elettrodi e la mucosa, la posizione degli elettrodi in relazione alle fibre muscolari, il grado di lubrificazione vaginale e la salute del tessuto

vaginale possono tutti influenzare la rilevazione del segnale e compromettere il paragone tra i partecipanti, specialmente nella valutazione dell’ampiezza del segnale a riposo e durante la

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contrazione. In più, l’approccio intravaginale (inserzione di un tester o di un dito) associato a queste procedure può essere un problema chiave nelle misurazioni del PFM nelle donne con PVD. Il dolore provocato dalla valutazione stessa potrebbe scatenare una contrazione del PFM e aumentare il tono. Queste contrazioni protettive sono state già dimostrate durante uno stimolo doloroso nell’area vestibolare nelle donne con PVD. Pertanto, non è stato possibile indagare se le disfunzioni del PFM trovate in questa popolazione sono dovute ad una reazione protettiva verso la valutazione dolorosa o se queste disfunzioni sono presenti

indipendentemente dal dolore 22.

Gli studi, inoltre, hanno spesso valutato il PFM in una popolazione eterogenea di donne con condizioni diverse di dolore vulvare (vulvodinia generalizzata, PVD, clitoridonia, vaginismo ecc.), assumendo che i comportamenti sono simili attraverso diagnosi diverse. 21

4.3.6.5 Fattori genetici

Diversi studi indicano un possibile coinvolgimento genetico nella vulvodinia basato su diversi meccanismi:

- Polimorfismi in geni che regolano la risposta infiammatoria: la variabilità nella sequenza del DNA dei geni che regolano il riconoscimento immune o l’intensità e la direzione della risposta alle infezioni possono spiegare una risposta infiammatoria alterata nei pazienti con PVD. Queste variazioni genetiche, dette polimorfismi, sono descritte a proposito degli antagonisti del recettore IL-1IL-1b, lecitina legante il mannosio (MBL), NALP-3, e i geni del recettore della melanocortina-1. Questi geni polimorfici si pensa che influenzino la suscettibilità alla PVD, la severità dei sintomi, o entrambi.

- Polimorfismi nei geni associati ad un’aumentata sensibilità al dolore: il gene del recettore della serotonina 5HT-2°.

- Polimorfismi in geni coinvolti nell’effetto dei cambiamenti ormonali causati da pillole anticoncezionali.

In aggiunta a questi studi caso-controllo, uno studio recente di Morgan e altri, ha valutato se la PVD è più comune nelle femmine parenti di donne con diagnosi di PVD usando dati della popolazione codificati sulla genealogia. Essi hanno trovato che il rischio relativo di

vestibulectomia è elevato nel primo, secondo e terzo grado di parentela e hanno concluso che questo raggruppamento familiare appoggia una predisposizione genetica per la PVD e

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C’è un evidenza crescente della vulnerabilità genetica nel dolore cronico, e multipli

polimorfismi genetici sono stati associati con la sensibilità al dolore. Il rischio di sviluppare il dolore cronico appare essere ereditabile moderatamente. Alcuni polimorfismi in geni che codificano per i neurotrasmettitori e i lori recettori, così come quelli che codificano le citochine infiammatorie e fattori di crescita neuronali, sono stati individuati più

frequentemente in persone con dolore cronico. Molto di questo lavoro è stato condotto in persone con fibromialgia, emicrania, disordini temporomandibolari e dolore cronico lombare. C’è poca informazione sui polimorfismi genetici nella PVD. Una ricerca dello Human Pain Genetics Database dà cinque risultati per i polimorfismi genetici nei geni dei recettori della serotonina e degli oppioidi che sono associati con PVD.9

4.3.6.6 Fattori psicosociali

Mentre qualcuno propone che la sindrome abbia un’origine puramente psicologica, l’opinione principale suggerisce che la disfunzione sessuale e lo stress psicologico siano le conseguenze più che le cause della vulvodinia. Tuttavia, questo concetto è ancora sotto dibattito 18.

In maniera simile ad altre condizioni di dolore cronico, la ricerca sulla patofisiologia della PVD suggerisce che la PVD sia collegata alla disregolazione del circuito di dolore centrale, in cui un potenziamento del segnale neuronale nel sistema nervoso centrale suscita

un’ipersensibilità al dolore.

Anche una risposta ridotta dell’asse ipotalamo-ipofisario-surrenalico è stata identificata nelle donne con PVD: la disregolazione del quale è stato connesso ad un’aumentata sensibilità allo stress e al dolore. Di conseguenza, alti livelli di stress, ansia, e depressione sono ora

considerati agire come punti deboli nello sviluppo della PVD, e non semplicemente una conseguenza nel provarla. Una storia di disturbi d’ansia e depressione maggiore è 11 e 4 volte più prevalente, rispettivamente, nelle donne con PVD rispetto alle donne non affette.

L’ansia in particolare può rappresentare un importante fattore nell’eziologia della PVD. Specificamente, l’ansia e l’elusione del pericolo si pensa influenzare negativamente

l’eccitazione sessuale, che conseguentemente aumenta il dolore durante il rapporto vaginale. Un’ aumentata sensibilità al dolore e l’ansia potenzialmente portano all’evitamento del rapporto sovrastimando il livello di dolore potenziale. Rispetto ai controlli sani, le donne con

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PVD tendono ad identificare un numero di fattori di stress emozionali, includendo l’ipervigilanza , l’evitamento del dolore, somatizzazione, preoccupazione somatica, perfezionismo, paura di una valutazione negativa, disprezzo di sé 23.

Altri autori hanno usato test sensitivo quantitativo, un metodo per quantificare la sensibilità al dolore nelle sedi locali e distali relative ai siti dolorosi, per valutare l’ipersensibilità

generalizzata al dolore e la relazione di particolari variabili psicologiche con il dolore sperimentale. Granot e altri hanno applicato una serie di stimoli termici agli avambracci di donne con vulvodinia e donne che erano sane. La soglia del dolore termico delle donne con vulvodinia era significativamente più bassa di quella delle donne che erano sane, ed i punteggi del dolore soprasoglia e gli scores dell’ansia erano significativamente più alti nelle donne con vulvodinia. Questi risultati suggeriscono che le donne con vulvodinia possono avere una sensibilità al dolore aumentata, certamente dovuta in parte ai cambiamenti nel processamento del dolore mediato dal sistema nervoso centrale, che è stato dimostrato in altre popolazioni con dolore cronico 24.

Esperienze negative dell’infanzia incluse abusi, vivere nella paura di un abuso e un trauma sociale (bullismo, esclusione o mancanza di supporto) sono fattori di rischio per il dolore cronico e la PVD.

Il disordine post-traumatico da stress è una forma di ansia severa che porta a comportamenti di evitamento. Sebbene è conosciuto meglio colpire i veterani combattenti, il tasso di PTSD che colpisce donne non veterane può essere più alto, particolarmente dopo una violenza sessuale dove il PTSD è stato stimato colpire tra il 30 e il 44% delle donne. Il PTSD premorboso aumenta da due a tre volte il rischio di sviluppo di PVD. L’occorrenza

concomitante di PTSD e dolore cronico è associata con livelli aumentati di dolore e disabilità del dolore.

La catastrofizzazione del dolore merita una menzione speciale, dato che è un fattore di rischio ben consolidato per la percezione aumentata del dolore. La catastrofizzazione del dolore è caratterizzata da un senso di impotenza nei confronti del dolore, di preoccupazione ansiosa del dolore, di esagerazione degli effetti negativi del dolore e l’inabilità ad inibire le paure collegate al dolore. E’ un forte indicatore di scarsa risposta al trattamento 9.

Tutti gli stadi del ciclo della risposta sessuale sono alterati dall’esperienza del dolore genitale. La riduzione del desiderio sessuale e dell’eccitazione e una frequenza diminuita di rapporti sono comuni disturbi tra le donne con PVD. Le donne con PVD riportano anche un livello più

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basso di piacere durante l’attività sessuale e minor successo nel raggiungimento dell’orgasmo. In aggiunta ad un diminuito piacere sessuale durante il sesso penetrativo, le donne con dolore genitale spesso descrivono un desiderio sessuale diminuito per una serie di attività non penetrative. Le donne con PVD tendono a provare discomfort con il sé sessuale, spesso riportando un senso generale di distacco dalla loro sessualità. E’ stato dimostrato

ripetutamente che le donne con il dolore genitale provano sensazioni negative nei confronti degli stimoli erotici, emozioni negative durante l’attività sessuale e un’attitudine più negativa nei confronti della sessualità 23.

In conclusione, è ancora impossibile dire se i fattori psicosessuali sono coinvolti nello

sviluppo o nel mantenimento della vulvodinia o se essi sono la conseguenza di un dolore non diagnosticato, persistente e debilitante 18.

4.3.6.7 Fattori ormonali

Una possibile correlazione tra le preparazioni ormonali contraccettive (HCs) e la PVD è stata indagata prima di tutto negli studi epidemiologici. Diverse relazioni hanno dimostrato che gli HCs aumentano il rischio di sviluppare la vulvodinia secondaria. I risultati hanno mostrato un rischio relativo di 6.6 di vulvodinia per le donne che hanno usato HCs rispetto alle non consumatrici, aumentando con l’incremento della durata dell’uso (almeno fino a 2-4 anni di uso) e il primo uso in giovane età (< 16 anni). Il rischio relativo era più alto quando il prodotto usato era progestinico e androgenico ma basso in potenza estrogenica. L’uso di pillole a bassa dose estrogenica (≤ 20 mcg etinilestradiolo) era significativamente più comune nelle donne con PVD che nella popolazione generale di consumatori di HCs.

Burrows e Goldstein hanno descritto una serie di casi di 50 donne che hanno sviluppato la PVD mentre usavano HCs e chi è stata trattata con successo con estradiolo topico e

testosterone. Tuttavia, questi risultati non sono stati confermati in due studi epidemiologici. L’effetto della pillola sulla mucosa vestibolare è probabilmente multifattoriale. Gli ormoni modificano il pattern morfologico della mucosa vestibolare, con la comparsa di papille dermiche superficiali e sparse. Questo effetto può contribuire alla diminuzione della soglia meccanica del dolore riportata nelle donne sane che usano la pillola. Queste alterazioni

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la superficializzazione delle terminazioni nervose, alterando quindi la trasduzione della pressione meccanica ai recettori senza influenzare le fibre nervose.

HCs possono anche alterare l’epitelio vestibolare attraverso l’interazione con i recettori ormonali o l’alterazione dell’espressione dei recettori.

I risultati dagli studi che hanno indagato sull’espressione dei recettori α degli estrogeni (ERα) nei pazienti con PVD sono contraddittori. Eva ed altri hanno riportato una diminuzione di ER α nel vestibolo delle donne con PVD, mentre Johannesson ed altri hanno riportato un numero aumentato di ERα nelle pazienti che erano consumatrici di HCs rispetto ai controlli. Le consumatrici sane di HC hanno mostrato una somma aumentata di ERβ nello stroma vestibolare rispetto alle non consumatrici.

Un altro possibile meccanismo coinvolge l’alterazione della concentrazione sierica degli ormoni. Nelle donne che usano la pillola, c’è una soppressione della produzione ovarica di testosterone, un ridotto estradiolo ovarico e una sintesi aumentata della globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG). Questa combinazione porta ad un basso livello di testosterone libero e basso estradiolo. L’estradiolo diminuito può contribuire ulteriormente all’atrofia vestibolare trovata nelle pazienti con vulvodinia secondaria, causando dolore introitale. E’ stato inoltre rilevato che nelle consumatrici di HC i recettori per gli androgeni (ARs) sono

significativamente più bassi nel tessuto vestibolare e nelle cellule delle ghiandole minori vestibolari. In più, qualche preparazione ormonale contiene progestinici sintetici che agiscono come antagonisti del testosterone sui recettori AR. Goldstein e altri hanno identificato un polimorfismo genetico nel recettore degli androgeni nelle pazienti con PVD e hanno concluso che un AR inefficiente combinato con testosterone libero ridotto predisponga alla PVD. Questo non è stato confermato.

Altri meccanismi potenziali si riferiscono agli estrogeni e al progesterone come modulatori endogeni del dolore. La modulazione endogena del dolore è stata riscontrata meno efficace nelle consumatrici di HCs ed è stata descritta nei modelli animali l’iperinnervazione persistente genitale grazie ad un effetto diretto del progesterone sintetico sui neuroni non mielinizzati dei nocicettori sensitivi.

Riassumendo, l’associazione tra l’uso di HC e lo sviluppo di PVD è possibile. La prevalenza reale e i fattori di suscettibilità rimangono non completamente chiariti e non è così possibile

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