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San Leonardo al Frigido e le sue sculture

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTA’ E FORME

DEL SAPERE

ANNO ACCADEMICO 2017/2018

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN STORIA E FORME DELLE ARTI VISIVE,

DELLO SPETTACOLO E DEI NUOVI

MEDIA

Classe LM-89: Storia dell’arte

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

SAN LEONARDO AL FRIGIDO E LE SUE

SCULTURE

IL RELATORE IL CANDIDATO

Ch.mo Prof. Valerio Ascani Daniel Biancolini

(2)

INDICE

INTRODUZIONE………..3

PARTE PRIMA. LA STORIA Il sito...6

La colonia romana di Luni...9

Via Aemilia Scauri...14

La nascita di Massa ...22

La via Francigena ...25

Le varianti della Via Francigena...29

Gli ospedali...32

L'ospedale gerosolimitano...36

Gli ospedali storici del comune di Massa...40

Il viandante...50

La vestizione del pellegrino...56

PARTE SECONDA. LA CHIESA Descrizione dell’edificio...58

Storia critica...63

PARTE TERZA. IL PORTALE Descrizione...70

Storia critica...91

(3)

PARTE QUARTA. LA STATUA RITROVATA

La statua: descrizione e storia critica...123

L'abito olivetano...126

Il Santo Monaco...127

Tecnica di esecuzione e motivi del restauro.... ...………...129

Interventi eseguiti nel restauro 1954-57...131

Stato di conservazione prima del restauro del 1995...132

Interventi eseguiti nell'ultimo restauro del 1995...133

BIBLIOGRAFIA...137

(4)

INTRODUZIONE

L'argomento di cui ho voluto parlare ed al quale mi sono appassionato, tanto da arrivare ad impegnarmi in una difficile ma appassionante ricerca storica è, come si deduce dal titolo di questa tesi, la Chiesa di San Leonardo al Frigido, che sorge presso l’attuale centro abitato di Marina di Massa: mi sono occupato della sua storia e soprattutto del suo magnifico, importante e piuttosto sconosciuto portale, opera del Maestro Biduino, ma non solo.

Da questo lavoro sono emerse diverse componenti. Molto spesso i cittadini residenti non sanno nemmeno dell'esistenza di questa piccola ma grande chiesa e delle sue bellezze architettoniche e scultoree, come la Statuetta del monaco olivetano attribuita addirittura a Jacopo della Quercia, oggi esposta presso il Museo Diocesano di Massa, né tantomeno dell'esistenza di quel bellissimo portale del Maestro Biduino che inizialmente fu venerato, ma poi con lo scorrere del tempo fu abbandonato e dimenticato, fu venduto ad alcuni antiquari passando di proprietà in proprietà, lasciando i confini prima locali e poi nazionali, per arrivare e far bella mostra di sé niente meno che dall'altra parte dell'oceano, precisamente al Metropolitan Museum of Art di New York.

A livello religioso, come emergerà dalla trattazione, la chiesa è stata molto importante come punto di riferimento per i numerosi pellegrini, che lungo la Via Francigena, in epoca

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medievale, cercavano ristoro e protezione, in attesa di raggiungere la mèta del pellegrinaggio prefissata.

La Via Francigena, in epoca medievale, e non solo, fu molto importante in quanto strada di pellegrinaggio che, in ultima analisi, partiva da Calais per arrivare fino a Roma.

Per quanto riguarda l'argomento più in generale, l'edificio risulta importante non solo per i fattori religiosi che abbiamo detto in precedenza, ma anche dal punto di vista logistico. Infatti, come si dirà, dove adesso sorge la chiesa, in epoca romana sorgeva una taberna, un sito dotato di strutture di servizio presso cui le legioni venivano dislocate e rifocillate, mentre in epoca medievale in quel sito sorgerà, a fianco alla chiesa, il primo ospedale storicamente accertato della città di Massa; inoltre, fu rilevante per la sua posizione strategica difensiva e protettiva, ma anche per la vicinanza con Luni e il fiume Frigido, che collegava al vicino mare; qui nacque e sorse il primo agglomerato di case e abitazioni, che negli anni diedero vita alla città di Massa.

Per quanto riguarda invece la componente artistica, se si pensa che ad oggi la chiesa risulta spoglia delle sue bellezze architettoniche a causa di un periodo di totale abbandono, dal 1788 ai primi del 900, è difficile pensare che la piccola chiesa in pietra di fiume all'epoca conservasse al suo interno due magnifici capolavori della storia dell'arte.

(6)

come primo ospedale cittadino, mèta importante da raggiungere per i pellegrini medievali, oppure per essere la chiesa d'origine del famoso portale, ma per un fatto avvenuto durante la seconda guerra mondiale: si tratta del sanguinoso Eccidio delle Fosse del Frigido. Memori di quella strage, dopo la semi-distruzione bellica, si optò per il restauro dell'edificio, che negli anni 50 si presentava sconsacrato e quasi distrutto a causa del suo abbandono. Durante il secondo conflitto mondiale, la città di Massa fu teatro di una feroce resistenza cittadina e partigiana, tanto che gli valse il riconoscimento a fine guerra della medaglia d'oro al valor civile; oltre tutto, durante le fasi finali della guerra, la città di Massa era attraversata dalla linea Gotica, ultimo baluardo difensivo delle truppe nazifasciste.

A ragione di tutto questo, quindi, credo che rendere omaggio e valorizzare un'opera così importante, soprattutto se collocata nel territorio della mia città, sia una cosa quasi dovuta, in quanto la popolazione deve conoscere e apprezzare le ricchezze, i monumenti e i siti di interesse di questo luogo, perché se siamo quello che siamo e se siamo quello che siamo diventati è grazie anche a quelle persone che molti secoli fa capirono l'importanza climatica territoriale del nostro territorio e le sue potenzialità.

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Prima parte - La storia Il sito

La chiesa di San Leonardo al Frigido, che si trova presso Marina di Massa sulle rive del fiume Frigido, rappresenta quanto resta oggi visibile di un sito che la storia locale considera come parte del suo patrimonio artistico e storico, fin dall’epoca romana.

La chiesa, oggi mèta di fedeli e turisti, nacque infatti dai resti di un antico insediamento romano, già chiamato in epoca romana classica "Ad Tabernas Frigidas", del quale si parla nella Tabula Peutingeriana1, che è una copia risalente al XII-XIII

secolo, di un'antica carta romana la quale, mostra le varie vie militari dell'Impero.

1 È attualmente conservata presso la Hofbibliothek di Vienna, e per questa

sua collocazione è anche conosciuta come Codex Vindobonensis. Della stessa tavola esistono altre due copie, una copia in bianco e nero situata presso gli archivi della cartothèque de l'IGN, a Parigi, e un’altra riproduzione è conservata presso il museo sotterraneo dell'Arena di Pola in Istria. Nel 2007 è stata inserita dall'UNESCO nel Registro della Memoria del mondo. Francesco Prontera, La Tabula Peutingeriniana: le antiche vie del mondo, ed. L. S. Olschki, Firenze 2003, pag. 33.

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La Tavola in questione è composta da 11 pergamene, messe insieme in una striscia di 680 x 33 centimetri. Al suo interno sono rappresentati 200.000 km di strade, così come la posizione di città, mari, fiumi, foreste, e catene montuose. La carta però non è una rappresentazione cartografica, cioè la raffigurazione geografica non ci permette di avere una visione realistica dei paesaggi e delle distanze. La carta quindi va anzi considerata come una rappresentazione topologica, cioè come uno schema grafico sul tipo di quello di una moderna metropolitana, che aveva come unico scopo quello di agevolare lo spostamento da un punto ad un altro e di conoscere inoltre le distanze fra le varie tappe da percorrere, ma che comunque non dava una rappresentazione fedele della realtà. Si pensa che lo scopo della sua realizzazione fosse quello di illustrare il cursus publicus, cioè quel reticolato di strade pubbliche sul quale si svolgeva il traffico dell'impero, riordinato da Augusto. Successivamente,

(9)

dopo la morte dell'imperatore, la carta fu scolpita nel marmo e collocata sotto il Porticus Vipsaniæ, non lontano dall'Ara Pacis, lungo la Via Flaminia. Nella Tavola troviamo indicate circa 555 città e altre 3.500 particolarità geografiche, come ad esempio i santuari importanti, spesso raffigurati, ed evidenziati dalla realizzazione di una piccola immagine. Le città invece graficamente vengono rappresentate da due case, le città sede dell'Impero - Roma, Costantinopoli, Antiochia - sono rappresentate invece da un medaglione. Oltre a questa particolarità, invece, molto importante, troviamo rappresentate e indicate le distanze, sia pur con minore o maggiore precisione. Il primo foglio rappresenta l'est delle Isole britanniche, i Paesi Bassi, il Belgio, una parte della Francia e l'ovest del Marocco. Nel primo foglio però non troviamo rappresentata la penisola iberica, e questo lascia pensare che in origine ci fosse un dodicesimo foglio, oggi mancante, che rappresentasse la Spagna, il Portogallo e la parte occidentale delle isole britanniche. La parte grafica, che rappresenta il territorio apuano, e che riporta l’edificio Ad Tabernas Frigidas è rappresentata sulla carta come una zona di passaggio che si trova lungo il percorso della via Aemilia Scauri, in direzione di Luni.

L’ospedale, sul sito di Taberna Frigidas nel Medio Evo, assunse maggiore importanza e divenne un punto fondamentale, perchè a causa del crescente impaludamento delle zone fluviali

(10)

il bivio su cui si trovava, permetteva ai visitatores che percorrevano la via Francigena di evitare il difficile passaggio della palude di Luni2 e dell’odierna Versilia.

La colonia romana di Luni

Per il viandante diretto a Roma, o a Gerusalemme, la grande città Santa cristiana della Palestina, il pellegrinaggio verso questo luogo rappresentava il viaggio della vita e della speranza, ma soprattutto della salvezza. Infatti un buon Cristiano, per essere considerato tale, avrebbe dovuto intraprendere almeno una volta nella vita questo lungo viaggio, verso i luoghi in cui il Cristo e gli Apostoli erano vissuti e avevano diffuso i loro insegnamenti.

I pellegrini che percorrevano la via Francigena in epoca medievale, incontravano lungo il loro cammino le rovine di una colonia romana, Luni, che mostrava al viandante le sue magnifiche costruzioni, in modo particolare il suo anfiteatro.

2

Le paludi di Luni e di Massaciuccoli rappresentavano un difficilissimo passaggio da superare ed erano conosciute con il nome di “Fosse Papiriane”. Emanuele Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, ed. Firenze Libri, Firenze 1839, vol.2, pag. 338, vol. 3, pag. 178.

(11)

Luni nel Medioevo ebbe una notevole importanza, non tanto per quanto riguarda il fattore economico o la bellezza archeologica, ma piuttosto come fonte di materiali marmiferi.

Infatti gli edifici, che gli antichi romani realizzarono, usando il marmo come materiale da costruzione presente in grandi quantità nella zona, venivano demoliti e spogliati del materiale lapideo, poi reimpiegato per la realizzazione e la costruzione di nuove architetture.

Oltre a questo, la città di Luni era importante anche come porto marittimo3. Attraverso gli scavi archeologici e ad

un’analisi scientifica del sito, si è ben capito che il porto marittimo di Luni si sviluppava attraverso due bacini ben distinti tra loro: quello situato ad ovest, riservato ai traffici ed ai trasporti di modesto tonnellaggio, e quello di sud-est riservato ai carichi di maggior portata, come ad esempio per le imbarcazioni

3

Lucia Gervasini, Portus Lunae. Un sistema portuale del mediterraneo

occidentale, ed.Vallardi Galleria d’Arte, Sarzana 2013, pag. 5.

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“lapidarie”, che qui caricavano i marmi bianchi estratti dalle cave delle vicine Alpi Apuane.

La fondazione di Lunae avvenne nel 177 a.C. presso la foce del fiume Magra, nella parte di territorio conquistato ai Liguri Apuani. La città, che in epoca romana antica fu un porto fluviale e marittimo di rigoroso impianto coloniale4, dovette sorgere

sfruttando un sito già esistente, probabilmente un emporio etrusco controllato lì dai Liguri. Il nome di Portus Lunae è già citato dalle fonti, addirittura prima della fondazione della colonia stessa.5 Il porto di Luna, infatti, ancor prima della

conquista da parte dei Romani, era stato usato come punto di attracco per navi commerciali, sia dagli Etruschi che dai Greci. Proprio ai Greci viene fatta risalire infatti la prima consacrazione del porto, dedicato alla dea Selene, la dea Luna per gli antichi Romani. Secondo la testimonianza di Plinio il Vecchio6, successivamente vennero deportati nel Sannio oltre 40

000 Liguri Apuani (180 a.C.) e, nel luogo che prima era occupato da questi, furono insediati 2000 coloni romani, reduci

4

Adam Ziolkowski, Storia di Roma, ed. Mondadori, Milano 2006, pp. 352-369.

5 Il nome di “Portus Lunae” è menzionato dal poeta Ennio (Pers. VI 9-11:

Enn. Ann. I, 16) che lo celebra nei suoi canti come un sistema perfetto che merita di essere visto e ammirato già durante le spedizioni di Catone, il poeta vi partecipò: nel 195 a.C. imbarcandosi proprio nel Portus Lunae per raggiungere la Spagna.

Quasi dieci anni dopo di lui, ritroviamo citato il portus Lunae attraverso lo storico Livio (Liv. Ab urbe condita, XXXIX 32, 2) ricordandolo come importante centro e soprattutto base, per le operazioni militari dei Romani i quali controllavano i territori compresi tra Pisa e la foce del Magra, intorno ai primi decenni del III sec. a.C. Un’ultima fonte storica, che cita il portus la ritroviamo nel I sec. d.C. grazie al geografo Strabone (Strab. Geogr., V2, 5, 11 ss.) che attraverso le sue parole dà una descrizione chiara della città e del suo porto. Lucia Gervasini, Portus Lunae. cit. pp. 5–6.

6

Laura Cotta Ramosino, Plinio il Vecchio e la tradizione storica di Roma

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della battaglia di Azio, avvenuta nel 31 a.C. I romani, ad ogni colone, affidarono 51 iugeri e mezzo di territorio, questo per facilitare, la bonifica delle zone paludose per poter realizzare, e dar vita ad una colonia agraria. I Liguri continuarono tenacemente a difendere i loro territori combattendo i Romani, fin quando il console Claudio Marcello nel 155 a.C. li sconfisse e li sottomise definitivamente. Nel 109 a.C. i Romani, non riuscendo ancora a collegare Pisa con Luna, ma avendo l’obiettivo di prolungare la via Aurelia lungo la costa, fecero costruire su un tracciato interno la via Emilia Scauri. I Romani riuscirono solo dopo il 56 a.C. circa, a superare l'ostacolo rappresentato dalle paludi dette Fosse Papiriane7.

L'insediamento di Luni si allargò progressivamente per tutto il periodo repubblicano e crebbe in importanza a partire dal primo periodo imperiale, grazie anche all'intensificarsi dello sfruttamento delle vicine cave di marmo8. Un terremoto,

avvenuto nel corso del IV secolo, sancì la fine della città distruggendola. Si racconta infatti che verso la fine del IV secolo d.C., una sera di settembre, un terribile terremoto scosse la terra, facendo crollare muri e distruggendo case, causando panico tra la popolazione e portando con sé macerie e distruzione. Molti

7

Situate nel territorio fra Pisa e Pietrasanta, sono segnate come luogo di stazione militare nella Tavola di Peutinger, la Tavola colloca le fosse a 12 miglia romane a ponente di Pisa, e 10 miglia prima di arrivare alla Taberna Frigidas che rappresentava la penultima mansione collocata lungo il litorale toscano, contano come ultima tappa Luni. Emanuele Repetti, Diz. geo cit. vol. 2, pag. 338, vol. 3, pag. 178.

8

Enrico Giannichedda e Rita Lanza, Le ricerche archeologiche in provincia

(14)

focolari a quell’ora erano accesi e l’improvvisa scossa fece crollare le strutture lignee delle case, generando di conseguenza forti incendi, che in pochi minuti avvolsero e distrussero l’intera città. La teoria del terremoto però, negli ultimi anni, è stata ridimensionata dagli studiosi del settore9 in quanto, durante gli

scavi archeologici avvenuti a Luni, non sono emerse prove cosi schiaccianti che confermino l’essersi verificato di un evento sismico; l’unico fattore che possa richiamare ad un terremoto è il crollo unidirezionale del colonnato del Grande Tempio, in parte esplorato. Dopo il terremoto però, la zona non fu completamente abbandonata, ma venne comunque frequentata anche durante i periodi successivi, fino al quasi totale abbandono, avvenuto intorno alla fine del IX secolo.10

9 La studiosa ritiene questo evento il più veritiero possibile ma non esclude altri motivi che causarono l’abbandono di Luni, come ad esempio i mutamenti sociali, politici e civili dell’epoca. Maria Pia Rossignani, La fine

di Luni imperiale e la nascita della città tardoantica, in Emanuela

Guidoboni, pp. 489-496, I terremoti prima del Mille in Italia e nell’area

mediterranea Estr. da: Le Scienz, ed. italiana in Scientific American 1989, n.

249, mentre in Gli scavi nell’area della cattedrale lunense: dall’uso privato

dello spazio all’edilizia religiosa pubblica, di Silvia Lusuardi Siena e Marco

Sannazaro in Cavalieri Manasse, Roffia, ed. Quasar Roma 1995 pp. 231-242. L’avvenimento sismico sembra certo, anche se non ci sono prove ulteriori a conferma.

10

Agli inizi del secolo XIV, Dante Alighieri, ricorda la potenza e l’importanza della città di Luni attraverso un’ iscrizione: “splendida civitas

lunensis” questo epitaffio, lo troviamo nel Canto XVI del Paradiso, oltre a

questo lo stesso Dante ricorda Luni tra le “città morte un tempo ricche e

splendenti” , mentre Francesco Petrarca la narra come città “ un giorno famosa e potente ed ora solo nudo e vano nome” Enrico Giannichedda e

Rita Lanza, Le ricerche archeologiche in provincia di Massa-Carrara, ed. All’insegna del Giglio, Firenze 2003, pag.56.

(15)

Via Aemilia Scauri

Mentre l'Aurelia, prima via repubblicana e poi imperiale, si sviluppava lungo l'arco ligure sull'antico percorso della "via

Erculea", la via Aemilia Scauri andava invece a collegare il

Tirreno con la Pianura Padana nella via Aemilia Lepidi11

(l'odierna via Emilia). In età romana si poteva raggiungere Parma, percorrendo l'Aurelia e la via Emilia Scauri, scavalcando il passo della Cisa. Oltre al medesimo percorso, c’era anche un'altra strada, che collegava la città di Parma a quella di Lucca, attraversando il Passo del Lagastrello, che anticamente veniva chiamato Malpasso12.

La Via Aemilia Scauri è una strada romana, voluta e fatta costruire, nel 109 a.C. dal censore Marco Emilio Scauro.

11

Antica strada romana, la sua realizzazione avvenuta nel 187 a.C. la si deve al console romano Marco Emilio Lepidio, la strada si sviluppava lungo un tracciato di 176 miglia romane (attuali 260 km) e aveva la funzione di collegare le città di Rimini e Piacenza. Antonio Saltini, Maria Teresa Salomoni, Stefano Rossi Cescati, Via Emilia: percorsi inconsueti fra i

comuni dell’antica strada consolare, ed. Il Sole 24 ore Ed. Agricole, Bologna

2003. 12

Il Malpasso, oggi chiamato passo del Lagastrello, era un antico sentiero, utilizzato anticamente come via di comunicazione per il commercio e per il transito dei pellegrini. Giancarlo Pavat, Giancarlo Marovelli, Fabio Consolandi, Luca Pascucci e Fabio Ponzo. In cammino...fino all’ultimo

labirinto, ed. Youcanprint, Lecce 2014, cap. 5.

Via Aemilia Scauri (Tracciato rosso); Estensione da Luni a Lucca (Tracciato viola)

(16)

Secondo il geografo Strabone13 in una sua testimonianza, la

via doveva servire per raggiungere la città di Vada Sabatia, cioè l’attuale Vado Ligure, vicino Savona, partendo proprio da Luna, cioè dalla città di Luni: la via era dunque il proseguimento della Via Aurelia, che si fermava a Pisa, e serviva ai collegamenti tra Roma e le Gallie, che avevano come direzione la Liguria di Levante e di Ponente. La Via Aurelia, in quell'epoca, finiva a Pisa, dopo essere stata ampliata da Vada Volterranea; la via Emilia Scauri proseguiva da Pisa verso le terre della Liguria, con lo scopo di andare e collegare le basi marittime di Luni, Genova e Marsiglia.

Precedentemente i romani erano obbligati a navigare con la tecnica detta del "piccolo cabotaggio", cioè navigando lungo costa per facilitare il raggiungimento di eventuali approdi visibili o deviare sulla via Clodia verso Forum Clodii14, cioè

lungo il vecchio percorso del Serchio attraverso la Garfagnana. Per collegare via terra Roma a Genova oppure a Marsiglia, i Romani preferivano spostarsi in direzione di Piacenza, per poi andare verso le valli piemontesi; a questo punto, attraversare nuovamente l'Appennino Ligure, ed andare poi o a Genova oppure a Vada Sabatia. La Via Aemilia Scauri, risolse, quindi il problema dei Romani di rendere più stabili i collegamenti con la base-colonia di Luni e di qui poi con le attuali città di Piacenza,

13

Nicola Biffi, L’Italia di Strabone, ed. Editrice Tipografica, Bari 1988, pp. 9-50.

14 G. Mennella, F. Bulgarelli, Nuove presenze epigrafiche di età romana e

longobarda dal territorio di Vada Sabatia, in Rivista di studi liguri, ed.

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Tortona, Vado Ligure ed infine Marsiglia. Il collegamento tra Pisa e Luni lungo la costa era a quell’epoca, reso impossibile da due fattori: il primo era quello della presenza delle paludi versiliesi, anticamente chiamate Fossae Papirianae, e il secondo era quello della presenza, lungo la costa marittima e lungo crinali dei monti circostanti cioè le attuali Alpi Apuane, della popolazione degli Apuani.

Sulla costa tirrenica, precisamente da Roma verso nord, la via Aurelia del II secolo a.C. finiva, come già detto, nella città di Pisa, perciò per andare verso nord si doveva fare una deviazione da Pisa attraverso gli attuali centri abitati di San Giuliano, Rigoli e Ripafratta, il primo conosciuto come Aquae Pisanae, per poi andare verso Lucca e poi successivamente puntare verso la Val del Serchio all’epoca chiamata Auser, in Garfagnana e poi in Lunigiana, fino a quel punto del territorio che era conosciuto come Forum Clodii, che corrispondeva all’odierna Fivizzano.

Una volta raggiunto il sito di Forum Clodii, si proseguiva verso la città di Parma percorrendo un valico della Lunigiana che ad oggi non è stato possibile identificare con sicurezza, tra gli attuali Passo del Lagastrello o del Cerreto o, più probabilmente, della Cisa, riprendendo poi il cammino verso la città di Piacenza. Per raggiungere dunque la città di Luni era essenziale muoversi lungo tale strada fino a Forum Clodi e da qui poi partiva la strada per Luni che toccava Bardine di Cecina, e Marciaso, nell’ attuale comune di Fosdinovo.

(18)

Secondo lo storico geografo Strabone15, nelle sue

testimonianze, come si è detto, la via, da Luni, si sarebbe sviluppata attraverso l'Appennino fino a Tortona e da lì avrebbe dovuto raggiungere Vada Sabatia, evitando cosi il difficile percorso costiero, attraversando dalla partenza l'Appennino, forse sul passo della Cisa e riattraversandolo al ritorno dopo Tortona al Passo di Cadibona.

Il tratto di Via Aurelia tra l'attuale Pisa e l'attuale città di La Spezia, fu completato soltanto quando Giulio Cesare riuscì a creare una via di comunicazione, una specie di “scorciatoia” tra le città di Lucca e Luni; questo percorso fu fatto costruire intorno al 56 a.C. dal figlio del censore Marco Emilio Scauro. Quella via di comunicazione che oggi tutti conosciamo come Via Sarzanese16, collega ancora oggi attraverso la via

provinciale Lucca a Camaiore e a sua volta la città di Massa, sviluppandosi su un percorso collinare. Per queste ragioni, e per la confusione di nomi, il tratto di Aurelia tra Pisa e Massa fu chiamato Via Clodia, come prolungamento dell’arteria proveniente da Firenze, per poi successivamente assumere la denominazione di Via Aemilia Scauri, e poi quella definitiva di

15

Francesco Ambrosoli, Della geografia di Strabone, Milano 1827-1832, vol.3, libri v-x.

16

La Via Sarzanese, in precedenza, era conosciuta con il nome di strada statale 439 Sarzanese Valdera (ss 439); attualmente la via viene indicata come: strada regionale 439 Sarzanese Valdera (SRT 439) ed è una strada regionale italiana che da Pietrasanta giunge fino a Follonica, attraversando la città di Lucca, le colline pisane e le colline metallifere. Programma

pluriennale investimenti viabilità di interesse regionale 2002-2007, Regione

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Via Aurelia17. Con molta probabilità, la confusione tra le varie

strade avvenne perché non si trattava di intere strade consolari, bensì di tratti di strade nel bel mezzo di paludi e zone montuose, ma anche di ostacoli di origine bellica, come la presenza sul territorio di residui di Apuani, bellicosi anche dopo la loro deportazione del 180 a.C.

Nel 13-12 a.C., i percorsi che si sviluppavano lungo la costa della Via Aemilia Scauri furono inglobati nel tracciato della via Julia Augusta18, che partiva da Roma e come via Aurelia

raggiungeva la città di Ventimiglia.

17

Marta Giacobelli, Antiche strade Lazio: Via Clodia, ed. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1991.

18 Antonio Rossetti e Dorino Del Mondo, Julia Augusta: da Aquileia a

Virunum lungo la ritrovata via romana per il Noricum, ed. Edizioni della

laguna, Mariano del Friuli 2006.

(20)

Questa stessa strada è citata nell'Itinerario Antonino, con il nome di “Strada delle cento miglia” o precisamente "Nuova Clodia" dal nome del console Marco Claudio Marcello19, che

sconfisse i Liguri Apuani nell'anno 155 a.C. La Strada delle cento miglia percorreva il bacino del fiume Auser (oggi conosciuto come fiume Serchio) e si andava ad incrociare, in Lunigiana, con la strada proveniente da Luni in Forum Clodium, luogo che lo storico Ubaldo Formentini20 nel 1937 identificò in

Fivizzano, a 26 miglia da Luni, indicazione che troviamo specificata nella Tabula Peutingeriana.

A partire dall’ 89 a.C., Luni ottenne la cittadinanza romana21,

assieme a tutti i territori della Liguria. Durante l'impero di Augusto la città divenne parte della Regio IX Liguria e Luni visse in quel periodo il suo massimo splendore, che portò l'ampliamento del foro ed una forte espansione edilizia. Oltre alla sua posizione favorevole, perché appunto sorgeva lungo una strada principale dell'impero, nel I secolo a.C. la città iniziò a sfruttare, anche con un uso massiccio, la risorsa del marmo bianco22 estratto e ricavato dalle vicine Alpi Apuane, conosciuto

19

Michele Armanini, Ligures apuani. Lunigiana storica, Garfagnana e

Versilia prima dei romani, ed. Libreria universitaria.it, Padova 2015,

pp.209-222.

20 Paolo Tirelli, Ubaldo Formentini in Dizionario biografico degli italiani, ed. Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 49.

21

Valerio Marotta, La cittadinanza romana in età imperiale, secoli I-III d.C., ed. G. Giappichelli, Torino 2009.

22 Il marmo di Carrara (per gli antichi Romani marmor lunensis, "marmo di Luni") è un tipo di marmo, che si estrae dalle cave delle Alpi Apuane nel territorio di Carrara, è riconosciuto come uno dei marmi più pregiati del mondo.

Enrico Dolci, La localizzazione ed il rilevamento delle cave lunensi, in Quaderni del Centro Studi lunensi, 6-7, anno 1981-82, pp. 47-62.

(21)

all’epoca come marmor lunensis. Oltre a questa attività estrattiva, questo materiale pregiato, diede anche la possibilità di sviluppare l’attività artigianale con la realizzazione di oggetti di artigianato. L'attività estrattiva, che si sviluppò in epoca romana, vide il suo massimo splendore durante l’epoca di Giulio Cesare. L’esportazione di tale materiale, che fu usato per la realizzazione delle maggiori costruzioni pubbliche di Roma, ma anche nelle numerose dimore patrizie, avveniva tramite il vicino porto di Luni23. Le cave più antiche sorgevano lungo i bacini di

Torano, Miseglia e Colonnata. Attualmente però di queste antiche cave romane non resta molto, perché l’aumento dell’attività estrattiva, sviluppatasi nei secoli, ne ha causato la progressiva distruzione. Durante le invasioni barbariche, che si verificarono dal V secolo, l'attività estrattiva del marmo conobbe un periodo di forte rallentamento; successivamente però, nel Medioevo il marmo fu riscoperto, nuovamente apprezzato e richiesto come materiale pregiato, impiegato in grandi quantità nella realizzazione degli edifici religiosi, ma anche come rivestimento e arredo interno all’edificio24. Il territorio però non

offriva solo il marmo bianco: gli abitanti, esportavano e lavoravano anche legname25, che proveniva dalle zone interne e

che veniva portato a valle sfruttando il corso del fiume Magra;

23 Tito Livio, Ab. urbe conita, ed. SEI, Torino, XXXIX 32, 2.

24 Enrico Castelnuovo, Niveo de Marmore l’uso artistico del marmo di

Carrara dal XI al XV secolo, ed. Colombo, Genova 1992.

25

Michele Armanini, Ligures Apuani Lunigiana storica, Garfagnana e

Versilia, prima dei romani ed. Libreria universitaria.it, Limena 2005,

pag.148; Maria Luisa Ceccarelli Lemut e Gabriella Garzella, San Michele in

(22)

nel territorio si producevano poi formaggi e ottimi vini26. Nel II

secolo è attribuita alla leggendaria famiglia dei Monetti27 di

Luni la costruzione del borgo di Moneta, che sorgeva non lontano dalle cave di marmo. In questo periodo, sotto il governo degli imperatori Antonini, la città divenne protagonista di un rinnovato impegno edilizio, infatti a quest'epoca risale la realizzazione del grande anfiteatro.

Luni aveva anche un’altra funzione importante ed era quella di sosta per legioni che passavano da lì e che erano dirette in Gallia. Oltre a Luni, però, come importante punto strategico militare, trova spazio anche il primo insediamento di quella che successivamente diventerà la città di Massa, che nasce e si sviluppa inizialmente sulle rive del fiume Frigido28. In questi

due siti le Legioni Romane trovavano riposo: qui i loro uomini venivano rifocillati prima di essere impiegati in quella guerra per lo sviluppo del territorio che li vedeva impegnati a sconfiggere i Liguri-Apuani, presenti sul territorio; una volta sconfitti questi ultimi, le zone di sosta divennero punti di riferimento verso i territori e le strade che portavano al nord dell’Impero.

26 Zona di pregio storico e ambientale in terre che da sempre rappresentano arte, cultura e civiltà come lo dimostrano i ritrovamenti archeologici e lo scritto di Plinio il Vecchio che, nella sua Naturalis Historia, parlava del vinum

lunense e sosteneva che “Etruriae Luna palman habet”, ossia “i vini di Luni

detengono la palma dell’Etruria”. Elio Archimede, DizionarioLarousse. I vini

del mono, ed. Gremese, Città di Castello 1998, pag. 268.

27

Pier Francesco Cucchiari, Il castello di Moneta: Contributo alla sua

storia ed. Ist. Edit. Fascista Apuano, Carrara 1927.

28

Leverotti Franca, Marco Manfredi, Michele Finelli, Breve storia di

(23)

La nascita di Massa

Anche lo sviluppo e la nascita della città di Massa, sono legati alla sua posizione geografica e anche alla struttura del suo territorio. Il territorio infatti è diviso in tre parti ben distinte tra loro: una zona montuosa, una zona intermedia pianeggiante bagnata dal fiume Frigido e una fascia sul mare, fortemente acquitrinosa. I primi centri abitati si svilupparono e nacquero lungo la fascia montuosa: qui i Liguri Apuani iniziarono a fondare i primi centri abitati, gli attuali paesi di Pariana, Altagnana, Bergiola, Mirteto, Forno, Resceto, Casette, Caglieglia e Casania: in questi paesi durante scavi archeologici29

sono stati ritrovati utensili e oggetti di uso quotidiano. Nel II secolo a.C. come detto in precedenza la popolazione dei Liguri-Apuani venne sconfitta dai romani e deportata nella regione del Sannio.

Lungo l'Emilia Scauri, precisamente nella zona dell’attuale villaggio di San Leonardo, nacque una mansio romana30

conosciuta con il nome di Taberna Frigida, in epoca cristiana, che, come vedremo, in seguito diventerà l'ospedale gerosolimitano di San Leonardo al Frigido. Una mansio, durante l’età imperiale, era una stazione di posta, cioè un luogo di sosta che sorgeva lungo una strada romana. Tale struttura veniva gestita e amministrata dal governo centrale, che a sua volta la

29

Mario Torelli, Atlante dei siti archeologici della Toscana, ed. L’Erma di Bretschneider, Roma 1992, vol.2. pag. 23.

30

William Smith, A Dictionary of Greek and Roman Antiquites, ed. J. Murray, Londra 1853. pag. 335.

(24)

metteva a disposizione di dignitari, ufficiali, o di chi viaggiasse per ragioni politiche. Gli ospiti che avevano intenzione di usare tale struttura, venivano identificati grazie all’ausilio di documenti che richiamano l’immagine e la funzione degli attuali passaporti. Nelle vicinanze delle mansiones spesso sorgevano campi militari permanenti, o in alcuni casi potevano sorgere intere città. Durante i primi sviluppi del sistema viario dell’impero, le case che si trovavano lungo la strada per legge dovevano offrire ospitalità, e questo con molta probabilità originò le tabernae31. Il termine taberna non è da confondere

con il significato di "taverna", ma piuttosto al significato dell’attuale "ostello". Con lo sviluppo e l’aumento della potenza di Roma aumentarono anche le tabernae, che divennero sempre più lussuose e curate, ma, a seconda dei casi, potevano anche guadagnarsi una buona o cattiva reputazione, a seconda delle comodità che quest’ultime offrivano ai vari ospiti che vi sostavano. L’importanza di queste tabernae, è facile da capire considerando che alcune città attuali si sono sviluppate attorno ad esse. Con la fine dell'Impero Romano, tutto ciò scomparì. La pianura apuana subì varie razzie e scorribande da parte dei Barbari, che causarono la fine dei commerci, e la popolazione locale, ormai terrorizzata da queste frequenti invasioni, fu costretta ad abbandonare gli insediamenti a ridosso delle zone

31 Franca Leverotti, Massa di Lunigiana alla fine del trecento: ambienti,

insediamenti, paesaggio., amministrazione. ed. Tipografia Grafica Apuana,

(25)

costiere, per trovare rifugio nelle zone collinari32. I campi non

vennero più coltivati e con lo scorrere del tempo tornarono ad assumere l'aspetto di acquitrini: Luni fu lasciata all’abbandono e alla rovina del tempo.

Questo fu il primo insediamento locale, documentato, dopo la Tabula Peutingeriana, dall’itinerario di Filippo Augusto che, reduce dalla crociata nel 119133, indica il sito di Seint Leonard

come tappa intermedia fra Mont Cheverol, nel luogo della attuale Pietrasanta, e Luni.

Il sito di cui ci parla dunque Filippo Augusto nel suo itinerario, non può essere dunque che quello presso il fiume Frigido.

32

Leverotti Franca, Marco Manfredi, Michele Finelli, Breve storia di

Massa, ed. Pacini, Ospedaletto, Pisa 2010, pag. 9.

33

Richardus Divisiensis, Chronicon de rebus gestis Richard 1 (1189

(26)

La Via Francigena

La Via Francigena, conosciuta anche con il nome di Franchigena, Francesca o Romea, fa parte di un insieme di strade medievali che mettevano in comunicazione l'Europa occidentale, in particolare la Francia, fino a Roma.

I primi documenti storici che ci parlano della Via Francigena, risalgono al IX secolo, parlandoci di un tratto di strada nell'agro di Chiusi, situato nella provincia di Siena34,

mentre un altro documento risalente al X secolo, scritto dal vescovo Sigerico35 : al suo interno, ci descrive in modo

dettagliato il percorso di pellegrinaggio, che egli fece verso Roma, dove qui era giunto con lo scopo di essere ricevuto dal

34

Archeologia Medievale, XVII, Ed. All’insegna del giglio, Firenze 1990,

pag. 690. 35

Emma Mason, Oxford Dictionary of National Biography, ed. Oxford University Press, anno 2004.

(27)

papa per ottenere il "pallium", per poi fare ritorno a Canterbury36, su quella strada che già dal XII verrà largamente

chiamata Via Francigena. Il documento scritto dal vescovo di Sigerico, è storicamente una fonte molto importante, perché attraverso questa testimonianza possiamo capire come poteva apparire questa via di comunicazione in epoca medioevale, però, non ci aiuta a capire le varie alternative che giunsero a definire un fitto snodo di collegamenti che il pellegrino percorreva e sceglieva a seconda della stagione che incontrava, della situazione politica dei territori attraversati, o soprattutto delle istanze religiose connesse alla venerazione delle reliquie dei santi.

Per tutto il Medio Evo e non solo, la città di Roma, era meta di pellegrinaggio, in quanto vi si andava per rendere visita alla tomba dell'apostolo Pietro, nel Medioevo era infatti una delle tre

peregrinationes maiores insieme a Gerusalemme e a Santiago di

Compostela, cioè quelle tre città in cui si concentravano gli interessi della spiritualità cristiana alla ricerca di reliquie e di luoghi santificati alla presenza divina37. Per questo i percorsi

per raggiungerle erano attraversati continuamente da pellegrini che giungevano da ogni parte d'Europa. Molti come detto si fermavano a Roma, alcuni proseguivano invece lungo la penisola fino al porto di Brindisi per poi imbarcarsi verso la Terra Santa. Lungo questo cammino però, prima di raggiungere

36

David Else, Inghilterra, ed. EDT, Torino 2011, pp.125-126. 37

Renato Stopani, Le vie di pellegrinaggio del Medioevo. Gli itinerari per

(28)

il porto di Brindisi, il pellegrino non poteva non raggiungere una tappa intermedia molto importante cioè la visita al Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo, sul Gargano, in Puglia. In questi lunghi viaggi, la maggior parte dei pellegrini percorrevano e sfruttavano le strade consolari romane. In epoca post-carolingia soprattutto quei pellegrini che provenivano dalla Francia, cominciarono a valicare le Alpi ed entrare in Italia percorrendo le strade fatte costruire dai romani. Il nome Via Francigena si trova citato per la prima volta nell'Actum Clusio, una pergamena risalente al 876 oggi conservata nell' Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata38.

Dal X al XII secolo, i pellegrini potevano entrare nel territorio italiano passando dal colle del Gran San Bernardo, da dove si scendeva in Valle d'Aosta e poi a Ivrea, quindi a Vercelli. Nel corso del XII secolo invece si sfruttò prevalentemente il percorso che entrava in Italia passando dalla Valle di Susa attraverso il Colle del Moncenisio. Secondo lo studioso Renato Stopani, questo passo fu usato come alternativa al Gran San Bernardo, sì come strada di transito dei pellegrini, ma anche come via per il transito delle merci che procedevano in direzione delle grandi fiere della Champagne, dove la presenza dei mercanti italiani si faceva sempre più consistente39. All'epoca di

Filippo Augusto, veniva ancora scelto come strada per

38

Renato Stopani, La via Francigena: una strada europea nell’Italia del

Medioevo, ed. Le Lettere, Firenze 1999, pp. 54-57.

39

Gabriella Piccinni, I mille anni del Medioevo, ed. Paravia Bruno Mondadori, Milano 2000, pag. 199.

(29)

l’attraversamento dell’area alpina, tanto che nell'area prealpina la vera strada di Francia era considerata quella che collegava al Moncenisio40. La via iniziò dunque a far parte di quelle strade e

percorsi che distinguevano l'Europa di pellegrinaggio e che servivano attraverso il suo percorso a facilitare il collegamento tra i maggiori luoghi di spiritualità del tempo.

Attraverso questi percorsi, con la grande quantità di persone provenienti da culture talvolta diverse tra loro, vi è stato un continuo e importante passaggio di segni, emblemi, culture e linguaggi dell'Occidente Cristiano. Ancora oggi, questi segni e queste tracce di memoria sono presenti sul territorio. Un passaggio continuo che ha messo in comunicazione culture europee diverse tra loro e che ha permesso di comunicare, forgiando la base culturale, artistica, economica e politica dell'Europa moderna.

40

(30)

Le varianti della Francigena

Se pensiamo alla via Francigena, sbagliando ci viene in mente un’unica via di comunicazione. In realtà questa via di comunicazione, fin dalla sua nascita e ancora oggi al suo interno, presenta una serie di percorsi disposti ad albero, dal quale partono molti rami, che tutti convergono in un unico punto, cioè Roma.

Esistevano quindi, ieri come oggi, molte strade e percorsi alternativi che raggiungevano la stessa destinazione. Col passare del tempo, però conveniva seguire, perché più sicure, quelle strade più frequentate e percorse regolarmente dai pellegrini, che in realtà ricalcavano in parte le antiche vie romane, dove era più facile trovare assistenza e protezione.

Ad oggi quindi possiamo ripercorrere varie tappe e vie diverse, che si snodano lungo quei sentieri medievali percorsi dai pellegrini diretti verso Roma, e possiamo decidere quindi se arrivare nella città eterna attraverso la costa oppure attraverso l’entroterra. Attualmente quindi, per quanto riguarda il territorio apuano la via Francigena attualmente è percorribile lungo due percorsi distinguibili e diversi tra loro cioè uno verso il mare chiamato percorso costiero e l’altro verso i monti chiamato appunto percorso montano41.

41 Francesca Cosi, Alessandra Repossi, A piedi sulla via Francigena: dal

Gran San Bernardo a Roma: guida pratica e spirituale, ed. Ancora, Milano

(31)

Durante tutto il loro percorso,42 i pellegrini avrebbero

dovuto superare molti ostacoli di origine naturale come ad esempio il canale della Manica, le Alpi e gli Appennini ma anche il difficile guado del fiume Po. Per oltrepassare le Alpi come si è detto vi erano due soluzioni: il valico del colle del Moncenisio e quello del Colle del Gran San Bernardo. Anche per quanto riguarda l’attraversamento della Pianura Padana e degli Appennini, i pellegrini trovavano diverse possibilità. Nel 990, da Ivrea a Santhià, Sigerico, come è riportato nel suo diario di viaggio, decise di percorrere la via diretta "romana" a sud del lago di Viverone, una variante della Via Francigena. Nel tratto di strada che portava dalla Pianura Padana alla Toscana, presentava alcune variazioni di percorso alternative, che sfruttavano i vari valichi risalendo la val Trebbia e passando per Bobbio, oppure passando dalla val di Taro. Dalla val di Magra partiva una deviazione per la Lunigiana e la Garfagnana sulle tracce della via Aemilia Scauri di cui si è detto, che permetteva di raggiungere direttamente Lucca evitando il passaggio costiero43.

Dopo Sarzana, precisamente dall'antico ospitale di San

42 Raymond Oursel, Pellegrini del Medioevo: gli uomini, le strade, i

santuari, ed. Società europea di edizioni, Milano 2006, pp. 49-91.

43

Il percorso montano oggi identificato sotto il nome di tappa numero 24 parte dalla località Aulla precisamente presso l’ Abbazia di S. Caprasio per poi arrivare alla località Avenza precisamente presso la Torre di Castruccio. E’ un percorso che si sviluppa lungo un tracciato di 32,4 Km con una difficolta impegnativa la prima parte si sviluppa lungo un sentiero che ci regala il primo panorama sul mare. Lungo il cammino si possono trovare i ruderi del Castello della Brina e della bella cittadina di Sarzana.La seconda parte è pianeggiante; la principale attrattiva è l'area archeologica di Luni, antico porto romano dove i pellegrini francigeni s'imbarcavano verso Santiago. Francesca Cosi e Alessandra Repossi, A piedi sulla via Francigena, ed. Ancora, Milano 2013, pp. 79-80.

(32)

Lazzaro, la via principale raggiungeva l'antica chiesa e porto di San Maurizio situato preso la bocca del fiume Magra, e poi Avenza per proseguire in direzione dell’attuale città di Massa lungo la "via romana" per raggiungere Pietrasanta e poi Lucca. Lucca in epoca medievale rappresentava una delle mete principali della Via Francigena. Qui il pellegrino poteva far visita al Volto Santo ed alle reliquie di importanti santi, quali ad esempio quelle di san Regolo e san Frediano.

Il tratto della "variante Francigena di Garfagnana" chiamata oggi Via del Volto Santo è attualmente percorribile su antichi sentieri e mulattiere, con numerosi ponti medioevali per agevolare l’attraversamento del fiume Serchio e dei suoi affluenti44.

In sintesi, attualmente è possibile indicare una serie di varianti alternative lungo la penisola, che a loro volta si collegano alla Via Francigena. Queste strade dunque collegavano il nord e sud Europa lungo gli itinerari del pellegrinaggio cristiano.

44

Nino Guidi, Oreste Verrini, La via del Volto Santo: a piedi in Lunigiana e

(33)

Gli ospedali

Con la progressiva scomparsa del culto pagano, si ebbero l’avvento e lo sviluppo di una nuova religione, sempre più diffusa, e seguita in quei territori, che secoli la avevano vista come bandita e perseguitata: la religione cristiana.

Con lo sviluppo della dottrina cristiana, nacquero anche nuovi principi fondamentali della religione in questione: uno tra tutti l’aiuto verso il prossimo e il più debole, e fu così che seguendo questo principio nacquero i primi Ospedali.

Partendo da uno dei principi fondamentali del cristianesimo, e cioè: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”45, più volte

ribadito dai padri della chiesa, nel Medioevo nascono le varie strutture di carità, accoglienza e rifugio per i più deboli e per i

45 Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Matteo, ed. Città nuova,

Roma 2003, vol. 3, pag. 133.

(34)

più emarginati; nascono appunto quelle istituzioni che gestite dai vari ordini religiosi prenderanno il nome di Ospedali.

Gli ospedali, in epoca Medievale, erano luoghi di sosta per i viandanti e servivano come strutture adibite a ricovero di persone ma anche di merci e animali. Qui i pellegrini e i viandanti trovavano ospitalità e un luogo al riparo dagli agenti atmosferici e dai vari pericoli, ad esempio i briganti che durante la notte infestavano le vie di pellegrinaggio, saccheggiando e derubando i poveri malcapitati.46

Questi ospedali erano gestiti dai vari ordini religiosi con il principale obbiettivo di dare aiuto a chi ne aveva bisogno. Oltre alle varie funzioni di ospitalità gli ospedali offrivano anche un luogo di culto annesso alla struttura47.

Le persone che venivano ospitate nei vari ospedali potevano essere sia poveri, cioè persone nullatenenti che vivevano di elemosina e di opere caritatevoli, sia viandanti sia pellegrini, persone che viaggiavano lungo le varie strade di pellegrinaggio quali ad esempio il cammino di Santiago de Compostela oppure le vie Francigene. 48

Gli ospedali in epoca medievale potevano sorgere nelle città, ma potevano anche nascere fuori dalle mura cittadine, con la funzione di dare ai pellegrini rifugio, anche se quest’ultimi

46 Giovanni Todaro, Lupi & Briganti, ed. Lulu, Raleigh 2011, pp. 10-29. 47

Renato Stopani, Il diario di pellegrinaggio a Roma di Nikulas di

Munkathvera , abate islandese, in, La via Francigena: una strada europea nell’italia del Medioevo, ed. Le lettere, Firenze 1992, cit. pp.118-122.

48 Paolo Cucchi von Sauken, Guida del pellegrinaggio di Santiago: libro

quinto del codex Calixtinus, secolo XII, ed. Jaca Book Spa, Milano 2010,

(35)

fossero giunti a tarda sera, quando le porte delle città erano ormai erano state chiuse. 49

Per evitare appunto che le città di notte venissero assediate da malintenzionati quali briganti oppure nella peggiore delle ipotesi per evitare l’assedio o l’attacco di un esercito rivale, sfruttando l’oscurità del buio, i portoni d’ingresso delle città venivano infatti chiusi e presidiati dall’esercito, che controllava quel determinato territorio o città.

Nel Medioevo, si potevano trovare varie tipologie di ospedale: quelli chiamati xenodochii, riservati ai forestieri, quelli chiamati ptochi che erano riservati ai poveri e quelli riservati agli infermi, cioè quei poveri che avevano malattie o menomazioni non curabili, come ad esempio i ciechi, e gli storpi. Frequentemente però non era raro trovare nello stesso ospedale le funzioni citate sopra, tale servizio però, veniva dato in locali separati.50

Gli ospedali nel Medio Evo erano gestiti da organi religiosi, spesso appartenenti ad un monastero o a una parrocchia, si auto-mantenevano mediante redditi ricavati da donazioni di comuni cittadini oppure da elemosine. Queste strutture non offrivano molto: generalmente la loro ospitalità consisteva in un letto o, più spesso, un pagliericcio collocato in uno stanzone comune. Quando gli ospedali non sorgevano vicino ad un monastero o ad

49

Gabriella Piccinni, Mille anni di Medioevo, ed. Paravia Bruno Mondadori, Milano 2000, pag.175.

50 Jacques Le Goff, Il corpo nel Medioevo, ed. Laterza, Bari 2005, cap.2; Italo Moretti, su voce Ospedale, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, VIII, Roma 1997, pp. 906-917.

(36)

una chiesa, al loro interno trovava posto una piccola cappella. Generalmente, l’ospitalità dell’ospedale non prevedeva l'offerta di cibo ai pellegrini, mentre per i poveri e gli infermi ogni singolo ospedale si comportava a seconda delle proprie possibilità.

Come riportato in un documento del 16 gennaio 1346, relativo all'Ospedale della Misericordia in Ivrea, si legge: "si dà a ciascun infermo da mangiare secondo le possibilità della casa e, quando ciò non è possibile, si preparano loro dei buoni letti… ai poveri non si dà il vitto tutti i giorni, perché, quando possono camminare, vanno a chiedere l'elemosina e alla sera tornano ai loro letti". Nello stesso documento inoltre, per quanto riguarda gli infermi, si legge: "quando è necessario, si manda a chiamare il medico per curarli". Questo documento, ma soprattutto quest’ultima frase è importante, perché ci aiuta a capire, che anche l'ospedale per gli infermi non era, come intendiamo noi, cioè un luogo di cura, ma soltanto un luogo di assistenza e il medico veniva chiamato solo in caso di bisogno51.

Diversa invece, era la situazione degli ammalati ricoverati negli ospedali dei monasteri e delle abbazie, perché all’interno di queste strutture c’ erano monaci esperti nella raccolta e coltivazione di erbe medicinali, che alloro volta con l’utilizzo di erbe medicinali potevano preparare primordiali rimedi medici.

51

Simone Biondi, Studio paleobiologico degli inumati di età medievale dell’

Ospitale di San Bartolomeo a Spilamberto di Modena, tesi di laurea, relatore

Prof. S. Gelichi, Venezia: Università Cà Foscari, anno accademico 2015-2016, cit. IV, pp. 7-8.

(37)

Ospedale Gerosolimitano

L’ordine gerosolimitano è un antico ordine religioso, fondato durante il periodo delle crociate, che la Chiesa inviò in Terra Santa per liberare il Santo Sepolcro dall’occupazione dell’Islam.

L'Ordine ospitaliero di San Giovanni in Gerusalemme, fu riconosciuto come autonomo e indipendente attraverso la bolla papale di papa Pasquale II del 111352.

Nella medesima bolla si riconobbero i primi insediamenti gerosolimitani in Italia ad esempio quelli di Messina, Taranto, Otranto, Bari, Pisa, Asti e Prato; sulla tunica dei monaci fu inserita una croce bianca simile a quella della Repubblica di Amalfi.

Da quel momento in poi le proprietà e gli insediamenti in Italia diventarono sempre più frequenti, favoriti anche dall’aumento dei pellegrinaggi per la riconquista della Terrasanta, aumentando anche l’incremento di considerevoli donazioni.

Nel 1319 si decise di riunire gli ospedalieri in varie compagnie, che presero il nome di "lingue", che corrispondevano ai vari paesi di provenienza, come la Provenza, Francia, Italia, Inghilterra, Alemagna, l’attuale Germania, la Castiglia e successivamente il Portogallo. Ogni lingua al suo interno racchiudeva priorati o gran priorati, baliaggi e

52

Kristjan Toomaspoeg, su voce, Ospitalieri di San Giovanni di

(38)

commende53.

L'ospedale gerosolimitano di San Leonardo, e la Chiesa di San Leonardo al Frigido in epoca medievale sorgevano vicino al fiume Frigido, nel luogo in cui, come si è detto, in epoca romana c'era una mansio, la “Ad Tabernas Frigidas” citata nella Tavola Peutingeriana.

Questa struttura altro non era che un ricovero per i viandanti. Della mansio romana, ma anche dell’ ospedale non vi sono più tracce: possiamo vedere solo parte della chiesa in stile romanico, ad un'unica navata, che faceva parte della struttura ospedaliera.

L'ospedale medievale, oltre che quella di ricovero per viandanti, pellegrini e poveri, aveva anche la funzione di controllo e manutenzione all'unico ponte che attraversava il fiume Frigido in pianura. Viene citato per la prima volta nel 1191 all’interno di una cronaca inglese che descrive il ritorno dalla terza crociata54 di Filippo Augusto. Il sito, come si è detto,

viene citato con il nome di Seint Leonard.

Nel corso del XIV secolo, se non dalle origini, l’ospedale era gestito e controllato dell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, ma non si sa con certezza se agli stessi gerosolimitani fossero stati anche gli artefici della sua fondazione.

53

Kristjan Toomaspoeg, cit. 54

Richardus Divisiensis, Chronicon de rebus gestis Richard 1 (1189 –

(39)

Secondo lo storico Bertozzi55 le sculture del portale, databili

al XII secolo, sono in conflitto con l’insieme architettonico della chiesa, che sembra potersi anticipare a prima del X secolo, mentre secondo l'archeologo Quiròs Castillo56 la costruzione va

spostata all' XI secolo. Entrambe le datazioni degli storici, comunque, precedono di uno o due secoli gli anni di attività di maestro Biduino, autore delle sculture del portale. Quindi si può ritenere che la fondazione dell'ospedale si possa collocare prima della realizzazione del portale marmoreo di Biduino. Per quanto riguarda la committenza gerosolimitana del portale stesso possiamo solo avanzare ipotesi perché non esistono prove concrete. L'ospedale di San Leonardo, si trova citato nelle decime bonifaciane, dall'estimo di Massa Lunense del 1398-1401, fino all'estimo della Chiesa di Luni del 1470-7157, come

ente esente, e questo ci fa dedurre quindi senza ombra di dubbio che era gestito, almeno dalla fine del XIV secolo, da un ente diverso dal vescovato di Luni. Per quanto riguarda i documenti, solo un testo del 133358, frammento di un catasto dei beni

dell'Ordine ospitaliero di Gerusalemme, fornisce la prima prova certa dell'appartenenza della struttura ai gerosolimitani. Nel 1433 la chiesa e l'ospedale di San Leonardo cosi come la

55

Augusto C. Ambrosi, Massimo Bertozzi e Giovanni Manfredi, Massa

Carrara. Pievi e territorio della provincia., ed. Pacini, Pisa 1989, pp. 39-42.

56 Augusto C. Ambrosi, Massimo Bertozzi e Giovanni Manfredi, id ibidem, ove per la datazione, si ringrazia J. A. Quiros Castillo.

57

Franca Leverotti, Lestimo di Massa Lunense (1398-1401),tesi di laurea, relatore Prof. M. Luzzati, Pisa: Università degli Studi, anno accademico1973-1974, cit. III pp. 625-626.

58 Le proprietà del 1333 sono state esaminate da Poggi, Le terre di San

(40)

cappella di Santa Margherita a Montignoso, erano amministrati da frate Ludovico degli Enrighini dell'Ordine gerosolimitano sotto il controllo del priorato di Pisa. Nel corso del XV secolo la giurisdizione dell'Ordine sull'ospedale e le due chiese di Massa e di Montignoso vennero contestate dai monaci olivetani di san Venerio del Tino, che identificarono per errore San Leonardo con il loro distrutto ospedale di Santa Maria Maddalena de Cerbaria59.

Malgrado ciò, i monaci vinsero la causa e ne ottennero l’assoluto controllo della struttura e dei suoi beni.

59

Ospedale e chiesa situato presso il fiume il Frigido a Massa, detto anche de Cultrexana. Enrica Salvatori, Presenze ospedaliere in Lunigiana, in

Riviera di Levante tra Emilia e toscana: un crocevia per l’ordine di San Giovanni, ed. Istituto Internazionale di studi Liguri, Genova 1999, pp.

(41)

Gli ospedali storici del territorio di Massa

La chiesa di San Leonardo al Frigido, come si è detto, sorgeva sul percorso medievale dell’antica via Francigena, che ancora oggi è percorribile attraverso gli storici sentieri; nel lungo cammino possiamo ancora riassaporare quella spiritualità religiosa fatta di silenzio e meditazione; e possiamo ancora godere di quei panorami mozzafiato visibili lungo le mulattiere che si arrampicano sulle montagne delle Apuane, o presso le più facili strade che seguono il territorio costiero toccando l’antico centro di Luni, oppure dentro le mura delle città medievali ancora oggi presenti e ammirabili, con palazzi suntuosi e monumenti realizzati con quel marmo bianco di Carrara già conosciuto dai Romani.

Lungo il percorso della via Francigena, dove il viandante poteva trovare rifugio e ricovero, in attesa di ripartire, si trovavano numerosi ospedali, a capo dei quali erano membri dei vari ordini e confraternite religiose.

Esiste un’accurata lista degli ospedali60 che in epoca

medievale sorgevano lungo il percorso della via Francigena, dalla Lunigiana fino alla Versilia. Qui di seguito, viene fornita una breve lista degli ospedali, facenti parte dell’attuale territorio massese.

Con l’attuale conoscenza della via Francigena e con l’aiuto della lista, è possibile fissare un accurato e veritiero percorso

60

(42)

con ipotetiche soste per rifocillarsi e luoghi religiosi ove potersi fermare in preghiera, così come poteva vedere un qualsiasi pellegrino che percorreva la via Francigena in Lunigiana e nel territorio di Massa.

La suddetta lista vuole dare una visione più ampia di tutti gli ospedali dislocati lungo la via Francigena in epoca medievale presenti nel territorio in esame.

La lista viene sviluppata secondo un ordine alfabetico per titolatura e località. Nella lista completa vengono presi in considerazione i confini della Lunigiana storica. I documenti che ci danno maggiori notizie sugli istituti religiosi della diocesi di Luni sono presenti nelle decime bonifaciane del 1296-97, 1298-99 e 1303, e nell'estimo del 1470-7161.

ospedale di Nara: questo ospedale sorgeva nel territorio dell’attuale comune di Massa, precisamente nel confine dei territori dell’attuale comune di Montignoso; la sua esistenza viene certificata nei libri di gabella lucchesi dell'inizio XV secolo62 .

ospedale di Revosgia: questo ospedale, nella decima del 1296-97, viene dichiarato sotto le dipendenze del vescovo di Luni, invece nelle decime del 1298-99 viene elencato semplicemente come cappella di Ronoschia. Successivamente lo troviamo negli estimi del 1470-71

61

Si veda Enrica Salvatori , www.web.arte.unipi.it/salvatori/luni/spedali.htm 62

Franca Leverotti, Massa di Lunigiana alla fine del Trecento. Ambiente,

(43)

identificato come cappella di Ravoschia.

In un documento del 1333 relativo ai beni di San Leonardo al Frigido, lo storico Roberto Ricci63 individua

l’ospedale sotto il nome di Reposcha, il documento in questione collocherebbe l'ospedale lungo i confini tra gli odierni territori di Massa e di Montignoso.

Ss. Giacomo e Cristoforo di Massa: le prime notizie storiche dell’ospedale risalgono al 126264, quando in un

documento storico viene citato col titolo di San Giacomo di Altopascio, successivamente viene ricordato nell’estimo della Vicaria di Massa del 1398-140165,

collocandolo in località Prato nella pieve di San Vitale. Secondo il Matteoni si hanno già notizie a partire dal 1092, ma non documenta l'informazione di questa sua affermazione66. Nelle decime bonifaciane, la struttura

non viene nominata anche se l'estimo lunense del 1470 annota una cappella dedicata a san Giacomo situata nel piviere di Massa.

S. Giacomo al Prato: questo ospedale sorgeva nel territorio di Massa, precisamente nella località denominata al Prato; probabilmente questo ospedale

63

Roberto Ricci, Topografia massese e toponimi locali, in "Bollettino

storico di Massa e Carrara", I (1994), pp. 23-25.

64 Il cartulare di Giovanni di Giona di Portovenere (sec. XIII), a cura di G.

Falco e G.. Pistarino, Torino 1958. 65

G. Sforza, Scritti e documenti su la storia di Massa, manoscritto miscellaneo a Biblioteca "U. Mazzini" della Spezia (MS IV 27); Bondielli,

L'extimum, cit., p. 32. Leverotti, L'estimo, cit., II, pp. 672-673.

66

Giovanni Antonio Matteoni, Guida delle chiese di Massa Lunense, ed. San Pietro, Massa 1879.

(44)

dipendeva dalla chiesa di San Giacomo di Groppino, che sorgeva vicino alla rocca. L’ospedale viene citato alla fine del XIV secolo67.

S. Leonardo al Frigido: questo sito nasce nel luogo dove in età antica era un albergo denominato sotto il vocabolo di Taberne frigide o Taberna frigida riscontrabile nella Tavola Peutingeriana68. Questo

ospedale oltre che ricovero per i pellegrini svolgeva anche la funzione di appoggio all'unico ponte in pianura che permetteva l’attraversamento del fiume Frigido69. Le

prime notizie storiche di questo ospedale risalgono alle cronache di viaggio di Filippo Augusto nel 1191 durante il ritorno dalla terza crociata70. Durante il XIV secolo

l’ospedale appartiene e viene gestito dall'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, ma non è certo però se quest’ultimi furono anche gli artefici della sua fondazione. L'ospedale di San Leonardo, viene citato inoltre nelle decime bonifaciane, nell'estimo di Massa Lunense del 1398-1401, fino all'estimo della Chiesa di

67 Leverotti, Massa, cit., pag. 115. 68

Emanuele Repetti, Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana

contenente la descrizione di tutti i luoghi del Granducato di Lucca, Garfagnana e Lunigiana, Firenze 1833, 6 voll. 1, pp. 346, 680; G. Sforza, La stazione romana 'ad taberna frigida' e lo spedale di S. Leonardo al Frigido,

manoscritto alla Biblioteca "U. Mazzini" della Spezia (MS IV 27 - 2); U. Formentini, Le tre pievi del Massese e le origini della città di Massa, in "Atti e Memorie della Deputazione di Storia Patria per le Province Modenesi", s. 8ª II, 1949, pp. 16-18. Nel 1950 alcune ricerche archeologiche hanno portato al rinvenimento, nell'area antistante l'attuale chiesa di S. Leonardo, di tre selciati romani sovrapposti, fondazioni murarie e frammenti di lapidi romane e medioevali (Leverotti, Massa, cit., p. 112).

69

Leverotti, Massa, cit., pag. 111. 70

(45)

Luni del 1470-71 come ente esente, un testo frammentario di un catasto dei beni dell'Ordine ospitaliero di Gerusalemme, fornisce per la prima volta nel 1333 la prova dell’appartenenza dell’ospedale ai Gerosolimitani. In questo documento vengono elencati tutti i beni di proprietà dell'ospedale. Tali beni si trovano ancora nell'estimo della vicaria di Massa del 1398-140171. Nel 1433 la chiesa e l'ospedale di San Leonardo

cosi come la cappella di Santa Margherita di Montignoso, erano amministrati da frate Ludovico degli Enrighini dell'Ordine gerosolimitano della commenda di Pontremoli, sottoposto al priorato di Pisa. Durante il XV secolo, l’amministrazione dell'Ordine, sull'ospedale e le due chiese di Massa e di Montignoso, venne contestata dai monaci olivetani di San Venerio del Tino, che per un errore identificarono la struttura di San Leonardo con il loro distrutto ospedale di Santa Maria Maddalena de Cerbaria. I monaci vinsero la causa ottenendo il controllo della struttura e dei suoi beni fino al 1773 quando li cedettero a Domenico Ricci, provveditore delle guarnigioni militari modenesi a Massa72 .

S. Maria di Calcaiola: le prime notizie storiche dell’ospedale risalgono al 1220, precisamente in una bolla di Onorio III al monastero del Tino, il papa

71

Leverotti, L'estimo, cit., III, pp. 626-365. Le proprietà del 1333 sono state esaminate da Poggi, Le terre di San Leonardo, cit.

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