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Franca Varallo, I funerali come strumento di indagine storica e culturale. Due casi emblematici tra gli Este e i Savoia

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Accademia Nazionale di Scienze Lettere ed Arti

MODENA

L’“OCCIDENTE DEGLI EROI”

I

L

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ANTHEON DEGLI

E

STENSI

IN

S

ANT

’A

GOSTINO A

M

ODENA

(1662-1663)

E LA CULTURA BAROCCA

Atti del convegno

Modena, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti 25-26 ottobre 2018

a cura di Sonia Cavicchioli

MODENA 2019

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ACCADEMIA NAZIONALE DI SCIENZE LETTERE E ARTI DI MODENA

VOLUME PUBBLICATO CON IL CONTRIBUTO DI

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI E PER IL TURISMO

DIREZIONE GENERALE BIBLIOTECHE E ISTITUTI CULTURALI

ISTITUTO PER I BENI ARTISTICI CULTURALI E NATURALI DELLA

REGIONE EMILIA-ROMAGNA

COMUNE DI MODENA

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MODENA E REGGIO EMILIA

BPERBANCA

ROTARY CLUB MODENA

L’ATTIVITÀ DELL’ACCADEMIA È SOSTENUTA DA

FONDAZIONE DI MODENA

Un sentito ringraziamento all’Arcidiocesi di Modena e Nonantola, in particolare a don Paolo Notari, per la preziosa collaborazione.

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Tutti i contributi pubblicati sono stati sottoposti a double-blind peer review.

In copertina e sul frontespizio: Modena, Chiesa di Sant’Agostino

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I

NDICE

Gian Carlo Muzzarelli, Comune di Modena …... pag. 7

Paolo Cavicchioli, Fondazione di Modena ... » 9

Enrico M. Clini, Rotary Club Modena ……… » 11

Paola Di Pietro, Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti » 13

Presentazione

Licia Beggi Miani ... » 15

Premessa

Sonia Cavicchioli ... » 19

Domenico Gamberti: il «prencipe et eroe christiano» tra cultura gesuitica e assolutismo europeo

Edoardo Ripari... » 21

Diritto e politica durante la reggenza Martinozzi: il ruolo di Bartolomeo Gatti

Elio Tavilla ... » 39

L’héritage héraldique du cardinal Mazarin en Italie: l’exemple de Laura Martinozzi. Nouveaux apports

Yvan Loskoutoff ... » 55

Il Pantheon Atestinum di Padre Gamberti e Laura Martinozzi, imprevista “pompa stabile” nel Seicento modenese

Sonia Cavicchioli ... » 75

Giovanni Battista Barberini da Laino e il ciclo di Sant’Agostino a Modena: regìa e stile

Andrea Spiriti ... » 93

Su Giovanni Lazzoni, scultore carrarese attivo a Modena e altrove

Fabrizio Federici ... » 113

Domenico Gamberti e l’«anima» delle decorazioni funerarie in Sant’Agostino (1659)

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Santi, draghi e geometrie intarsiate. Aspetti della chiesa agostiniana quattrocentesca

Francesca Piccinini ... » 153

Chiesa di Sant’Agostino: restauro, riparazione e miglioramento sismico

Giuseppe Mucci ... » 173

I funerali come strumento di indagine storica e culturale. Due casi emblematici tra gli Este e i Savoia

Franca Varallo ... » 181

Le celebrazioni funebri seicentesche nella Basilica medicea di San Lorenzo. Alcuni esempi

Isabella Ghiddi ... » 203

Il teatro per il potere: il caso della famiglia Bentivoglio fra Roma e le corti padane

Cecilia Vicentini ... » 217

La riqualificazione dell’area di Sant’Agostino nell’età di Francesco III d’Este: tra muratoriana “pubblica utilità” e celebrazione dinastica

Laura Facchin ... » 233

(7)

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Franca Varallo

I FUNERALI COME STRUMENTO DI INDAGINE

STORICA E CULTURALE.

DUE CASI EMBLEMATICI TRA GLI ESTE E I SAVOIA

Il mio contributo si articola in due parti che, con ragioni diverse, pren-dono in considerazione le relazioni tra la casa d’Este e i Savoia attraverso il ruolo di figure femminili entrando nel merito degli apparati funebri, del loro uso politico e culturale. Il primo segue il filo, tenue, ma sugge-stivo del confronto delle personalità e dei destini di due reggenti, Laura Martinozzi e Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours. Il secondo è entrato con forza in corso d’opera allorquando, nel cercare tra i docu-menti dell’Archivio di Stato di Torino eledocu-menti che mi consentissero di delineare più esplicite connessioni tra le due corti in merito al tema in esame, mi sono imbattuta nella funzione celebrata nella capitale sabauda per la morte della principessa di Savoia Carignano, Maria Caterina d’Este, avvenuta a Bologna nel 1722, il cui funerale scatenò un vero e proprio casus belli.

Intorno alla metà del Seicento le Mazarinettes furono al centro di una fitta rete di trattative diplomatiche tra la Francia e i governi europei fina-lizzata a individuare il partito migliore per le ambite, ma assai ingom-branti nipoti del cardinale Mazzarino. La girandola di avances, pro-messe, passi indietro vide coinvolta, insieme alle altre fanciulle, Laura Martinozzi andata sposa nel 1655 al principe Alfonso d’Este, ma prece-dentemente potenziale candidata di un progetto matrimoniale, presto ab-bandonato, con il giovane duca Carlo Emanuele II di Savoia, il quale nel 1665 si unì in seconde nozze con Maria Giovanna Battista di Savoia Ne-mours. Dunque un primo, pur labile, punto di contatto tra le due figure che in comune ebbero il compito di governare in nome di un figlio mi-nore. Rimaste vedove rispettivamente nel 1662 e nel 1675, ressero con fermezza le redini dello stato. Le accomuna in modo particolare l’uso strumentale e politico della morte del consorte e la capacità di piegare il complesso sistema cerimoniale di corte in modo da proiettare su di sé la forza emotiva e celebrativa del rito funebre. Consce della delicatezza della situazione e della fragilità del loro ruolo, affidarono a un monumen-tale apparato iconografico e a un complesso organismo di simboli e pa-role il compito di veicolare l’immagine di vedove stoicamente risolute

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F. Varallo

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ad assumere l’onere del governo per assecondare la volontà del defunto marito e in nome di una legittima continuità politica e di una ragion di stato. Maria Giovanna Battista fece della cerimonia una forma di riscatto personale, una esibizione di qualità e abilità di comando che si espresse in un ben calibrato dosaggio di magnificenza e decoro,1 e con analoga

accortezza procedette in seguito nel predisporre le relazioni con gli Stati stranieri, inviando presso le corti con le quali i rapporti potevano essere più importanti o problematici, suoi uomini di fiducia allo scopo di son-dare il terreno per meglio valutare i passi da farsi in politica estera.

L’Archivio di Stato conserva un ampio fondo dedicato al cerimoniale di corte, che raccoglie tutta la documentazione relativa a matrimoni, bat-tesimi, funerali e altre cerimonie, organizzato per principe e per Stati. Corposa è la parte riguardante le esequie di sovrani, principi e consorti, che comprende in taluni casi le istruzioni e i rapporti degli inviati presso le altre corti incaricati di dare notizia dell’avvenimento luttuoso.2 Si

tratta di relazioni assai interessanti nelle quali i rappresentanti sabaudi, dovendo sostare a lungo presso le corti in attesa di essere ricevuti dai ministri e dai sovrani medesimi, approfittavano di tali soggiorni per co-gliere umori, valutare appoggi e alleanze funzionali alla politica del du-cato, ma anche per far tesoro di tante informazioni su abitudini, costumi, legami, piccoli e grandi segreti della nobiltà, inclusi dicerie e pettego-lezzi, altrettanto indispensabili specie per una sovrana reggente.

Il conte di San Maurizio,3 inviato presso la corte francese e inglese, in

attesa di ottenere udienza dal re, ebbe contatti con alcuni nobili e, come riferì, in più occasioni venne favorito dalla regina la quale non solo lo in-vitò, insieme ad altri, sul suo battello nel canale di Versailles, ma una sera, «à son couché», gli concesse di «donner le bougeoir, honneur qu’elle ne

fait qu’aux grands du royaume». Quindi ad agosto partì per l’Inghilterra e

solo nel viaggio di ritorno, a fine settembre, venne ricevuto da Luigi XIV, che ebbe nei confronti della Madama Reale parole di stima e di fiducia nel suo operato, o perlomeno è quanto il conte riportò a Giovanna Battista,

1 Per quanto riguarda i funerali di Carlo Emanuele II mi permetto di rinviare ai miei contributi,

FRANCA VARALLO, Apparati funebri per i duchi di Savoia e il ruolo della Compagnia di Gesù, in

La Corte en Europa: Política y Religión (siglos XVI-XVIII), a cura di José Martínez Millán, Manuel

Rivero Rodríguez, Gijs Versteegen 3 voll., Madrid, Edíciones Polifemo, 2012, vol. III, pp. 1583-1622, in particolare pp. 1606-1622 e EADEM, Parole e immagini nelle relazioni degli apparati

fu-nebri dei duchi di Savoia: Vittorio Amedeo I e Carlo Emanuele II, in Visibile teologia. Il libro sacro figurato in Italia tra Cinque e Seicento, a cura di Erminia Ardissino e di Elisabetta Selmi, Roma,

Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, pp. 363-379, in particolare pp. 374-379.

2 AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 1.

3 Si tratta di Thomas François Chabot, marchese di Saint-Maurice, poi noto come conte di San

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I funerali come strumento di indagine storica e culturale…

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bisognosa di assicurazioni e conferme.4 Ma dopo averla lusingata e

incu-riosita con tante notizie relative ai nobili caduti in disgrazia e rovinati dalle guerre, non poté tacere lo sgarbo delle mancate celebrazioni funebri in onore del duca, che probabilmente il sovrano non ritenne opportuno orga-nizzare «Bien des gens ont esté estonnéz de ce qu’on n’ya pas fait un

ser-vice funebre et solennel pour feu S.A.R. et comme j’en ay voulu penetrer la cause j’ay appris qu’on ne la pas voulu faire parcequ’on n’est fut point pour l’Imperatrice soeur de la Reyne quand elle mourut».5

Particolarmente interessante il resoconto di Carlo Giambattista Tana, marchese d’Entracque, ambasciatore in Spagna e Portogallo, che a Ma-drid, oltre a fornire alla reggente tutti i nomi delle persone incontrate e alle quali aveva fatto visita, inclusi quelli di alcune dame particolarmente influenti, come già aveva fatto il conte di San Maurizio, lasciò il piano diplomatico per spostarsi su quello della vita di corte, delle indiscrezioni, dei costumi:

Gode il Re [Carlo II d’Asburgo] d’una assai perfetta salute, e d’una statura competente all’età, e dicesi assai vivace quando dal luogo che le viene permesso lo spogliarsi della gravità, che sa perfettamente os-servare in pubblico. Mi fu assicurato da un suo Medico, non so se per discrettione non esser vero ch’egli habbi ancora in essere nella sua per-sona emissori preservativi, quant’onque si vociferi, per certo esser-gliene restati due doppo le sue infermità. Le quali quant’onque non l’incomodino attualmente nel corpo, hanno però portato pregiuditii straordinari non essendoci stato permesse sin d’hora l’applicarsi ne alli studii, ne alli esercitii, del che non s’affligono i Grandi, né i Ministri, che sperano d’essere ogni giorno più necessarii. La Regina quant’on-que conosciuta da molti per una Principessa d’una buontà esemplare, non ha però l’affetto né de Grandi, né del Popolo, nell’opinione del quale non viene creduto estremo il di lei talento, anzi viene ingiusta-mente perseguita da satire perpetue, e d’invettive che lo più non hanno misura. L’accamationi del Popolo nell’ultima venuta di Don Gioanni a Madrid, fanno chiaramente vedere quanto sia smisurato l’affetto che se li porta in Spagna, in tutte le parti della quale altro non si pubblica che la moderatione, la capacità, e la virtù di questo Principe. In effetto è

4 AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 1, fasc. 31, 1675 Relazione del ricevimento fatto dalla

corte di Francia, cit. «toutte sa cour sont pleinement informées de son habileté, et de l’application heureuse quelle a aux affaires, chascun admire la solidité et la force de son esprit, la douceur avec laquelle elle traitte tout le monde, les ordres merveilleux quelle a mis dans son conseil pour le gouvernement des Etat. Pour la seurté des places pour l’administration de la justice, pour la distri-bution des finances enfin pour tout ce qui regarde le repos et la felicité de ses peuples».

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tanta la stima, e l’amore che le hanno in tutto il Regno, e universal-mente tutto il popolo, et moltissimi tra i Grandi, che gionto questo all’odio che hanno per il Governo presente, molti credono che la Re-gina sarà constretta a lasciare l’amministratione anzi soggiongevasi che stava ella già meditando la ritirata in Granada.6

Proprio la popolarità di Giovanni d’Austria (figlio illegittimo di Fi-lippo IV e governatore dei Paesi Bassi 1629-1679) veniva indicata dal marchese d’Entraque come un impedimento ad eventuali mire al trono spagnolo: «La sopradetta stima di Don Gioanni sarebbe un ostacolo con-siderevolissimo a vedere S.A.R.e sopra il trono delle Spagne in caso

man-casse la Casa d’Austria, sendo per altro appresso tutto il Popolo et etiando moltissimi de Grandi una grandissima veneratione et affetto per Questa Real Casa». Proseguiva poi commentando le scarse capacità di governo del re che, nonostante avesse raggiunta la maggiore età nel 1675, poco altro faceva che firmare dispacci e rimanere alla mercé di consi-glieri inetti.7 Quindi, dopo aver riferito dei preparativi di guerra che

ri-guardarono Sicilia e Fiandre e del timore di un possibile coinvolgimento anche dello Stato di Milano, concludeva ribadendo che il governo spa-gnolo, nonostante le azioni diplomatiche, era diffidente nei confronti di Madama Reale e continuava a «considerarla in qualche modo come Prin-cipessa nata in Francia, e d’inclinatione francese, effetto della loro ap-prensione che non le lascia rimirare l’A.V.R.e come Ramo di questa Real

Casa nuovamente inestato sul Reggio Ceppo di quella».8

La ricchezza delle carte d’archivio consentirebbe di procedere oltre in questa direzione fornendo dettagli che, pur senza mutare la sostanza dei fatti storici, costituiscono una interessante documentazione suppletiva ca-pace di chiarire aspetti e far meglio intendere il significato simbolico e iconografico degli apparati, specie nei casi in cui la macchina celebrativa era funzionale alla ricerca di consenso di una vedova reggente. Le sofisti-cate esibizioni encomiastiche messe in atto da Laura Martinozzi e da Gio-vanna Battista di Savoia Nemours presentano elementi comuni sul piano politico e rappresentativo, poiché i rispettivi allestimenti scenici, pur lon-tani cronologicamente e differenti per scelte formali, sono parimenti ali-mentati dalla forza persuasiva dell’artificio metaforico, strumento essen-ziale dell’eloquenza barocca costruita nel suo ermetico sistema da figure

6 AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 1, fasc. 32, 1675 Relatione del viaggio fatto dal

mar-chese d’Entraque, cit., c. non numerate.

7 AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 1, fasc. 32, 1675 Relatione del viaggio fatto dal

mar-chese d’Entraque, cit., c. non numerate.

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I funerali come strumento di indagine storica e culturale…

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come Emanuele Tesauro e François Ménestrier e messo in atto da una ple-tora di padri gesuiti, si chiamino Domenico Gamberti o Giulio Vasco, as-soldati all’occasione per piegare parole e immagini alle esigenze della po-litica.9 I funerali secenteschi, se letti nella loro struttura complessa, varia

ed omogenea al tempo stesso, e accostati ai documenti di natura storica e politica, diventano fonti utili a decifrare l’articolato sistema della corti di antico regime, ben oltre lo scontato livello descrittivo-iconografico e la pur essenziale messa a fuoco del contributo di artisti e letterati.

Il secondo caso che intendo prendere in considerazione è una convcente conferma di quanto appena affermato, poiché mette in campo, in-torno a una cerimonia apparentemente semplice e di routine, una que-stione centrale della riforma politico-culturale dello stato avviata dal re Vittorio Amedeo II nei primi anni del Settecento.10

L’occasione fu data dalla morte di una principessa di casa d’Este, figura non di primordine e il cui ingresso sulla scena torinese innestò problemi di natura diplomatica, ma il cui ruolo, se guardato in una prospettiva storica, fu importante giacché contribuì ai natali di quel ramo Savoia Carignano destinato al trono d’Italia. Maria Caterina d’Este (1656-1722), ultima figlia di Borso d’Este (1605-1657), a sua volta figlio di Cesare d’Este, fratello del duca Alfonso III d’Este che nel 1608 aveva sposato l’infanta Isabella di Savoia, il 10 novembre del 1684 si unì in matrimonio con Emanuele Filiberto di Savoia Carignano (1628-1709), figlio di Tommaso Francesco di Savoia, primo principe di Carignano, che al momento delle nozze aveva già 56 anni. L’accordo matrimoniale era stato concluso con la mediazione del cardinale Vincenzo Grimani, diplomatico veneziano al servizio del-l’impero asburgico, e non aveva incontrato il favore di Luigi XIV che in-tendeva far sposare il principe sabaudo con una Soisson per poter control-lare più direttamente la politica del ducato di Savoia qualora la successione dovesse passare al ramo collaterale. La reazione del sovrano francese fu durissima, vietò alla principessa Maria di presentarsi a corte, cacciò l’am-basciatore modenese e chiese a Vittorio Amedeo II di annullare il matri-monio. Agli sposi non restò che andare in esilio a Bologna, quindi trascorsi

9 DOMENICO GAMBERTI, L’idea di un prencipe et eroe christiano in Francesco I. d’Este di Modena

e Reggio duca VIII., generalissimo dell’arme reali di Francia in Italia, &c. (…), In Modena, Per

Bartolomeo Soliani stampator ducale…, M.DC.LIX; GIULIO VASCO, Del Funerale celebrato nel

Duomo di Torino All’Altezza Reale di Carlo Emanuele II duca di Savoia Da Madama Reale Maria Giovanna Battista di Savoia Madre, e Tutrice dell’Altezza Reale di Vittorio Amedeo II. E Reggente de’ Suoi Stati…, Torino s.d. [ma 1675].

10 Sulla politica di Vittorio Amedeo II, si veda la monografia di GEOFFREY SYMCOX, Victor

Ama-deus II: Absolutism in the Savoyard State 1675-1730, Los Angeles, University of California Press,

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cinque mesi e calmatesi le acque, rientrarono a Torino e il principe riprese il suo «ruolo di potenziale erede al trono» e la sua posizione a corte. Nel 1693, Emanuele Filiberto e Maria Caterina presero dimora nel nuovo pa-lazzo fatto costruire, a partire dal 1679, da Guarino Guarini e destinato a diventare uno degli edifici più significativi dell’età barocca; qui diedero vita a una vera e propria corte alternativa, molto vivace culturalmente no-nostante l’handicap del principe sordo dalla nascita, ma di grande intelli-genza e di ampi interessi in campi diversi delle scienze e delle lettere.11

Maria Caterina d’Este, rimasta vedova nel 1709, dopo qualche anno lasciò la corte di Torino e si trasferì nella sua Bologna, dove morì il 16 luglio del 1722 e dove fu sepolta nella chiesa dei Santi Filippo e Giacomo delle Convertite. Alle funzioni bolognesi fece seguito a Torino nel mese di settembre «una sontuosa pompa funerale» voluta dal sovrano per ono-rare la memoria della principessa dotata «d’ogni virtù», da tutti «ammi-rata, e ugualmente amata, e riverita». Delle cerimonie, che si svolsero nel duomo di San Giovanni, restano una relazione a stampa e alcune copie manoscritte (fig. 1), con la descrizione dell’apparato, invenzione dell’ar-chitetto di corte Filippo Juvarra, che consisteva

in una bella, e proporzionata urna alzata sopra rilevato piedestallo, da cui medesimamente si innalzavano quattro svelte, e riguardevoli Pira-midi, o più tosto obelischi. Erano questi d’ogni parte ornati di ben di-stribuiti torchi, che accesi poi facevano un’altrettanto ornata, che lugu-bre comparsa. In ogni parte delle medesime varj simboli, cifre, e gero-glifici si vedeano, che spiegavano il nome, e virtù della defunta, o pure alludevano all’istabilità, rivolgimenti, e vicende delle cose mondane. Il mezzo del mausoleo era ripartito come in tre ordini a proporzione mag-giori o minori, l’ultimo de’ quali sosteneva un piedestallo di forma ro-tonda, sovra di cui si vedeva una fama, che con una mano sosteneva una tromba, e coll’altra un ritratto della Serenissima Principessa già trapassata. Gli altri erano gentilmente ornati con varj festoni, corone, ed altri ornamenti, che uscivano da alcuni teschi di morti laterali, che erano posti in quella macchina come trofei. Tutti questi ordini erano riccamente forniti di ceri maggiori di quei delle Piramidi con ottimo gusto, e senza confusione di posti. Sovra la base nel mezzo di tutte le Piramidi s’innalzavano quattro armi della Serenissima Casa d’Este con ogni vaghezza ornate, sotto le quali nel vivo del piedestallo si legge-vano quattro iscrizioni, che poi riferiremo.12

11 Cfr. ANDREA MERLOTTI, voce Savoia Carignano, Emanuele Filiberto Amedeo di, in DBI, vol. 91

2018, hppt://www.treccani.it/enciclopedia/emanuele-filiberto-savoia-carignano_(Dizionario-Biografico)/.

12 Pompa funerale celebrata in Torino per la morte dell’Altezza Serenissima di Maria Caterina

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I funerali come strumento di indagine storica e culturale…

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Figura 1 - Pompa funerale celebrata in Torino per la morte dell’Altezza Serenissima

di Maria Caterina d’Este Principessa di Carignano. Già defunta in Bologna a li XVI luglio del presente Anno M.DCCXXII, AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 3,

fasc. 8, frontespizio

Il testo non è corredato di incisioni e la narrazione non fornisce dettagli che consentano di andare oltre un generico riferimento alla struttura pi-ramidale e all’urna rialzata su un piedestallo sul quale si impostavano quattro obelischi ornati di ceri. D’altra parte lo schema piramidale, oltre ad essere la soluzione formale ampiamente adottata negli apparati

effi-M.DCCXXII, Torino, Francesco Antonio Gattinara Libraro di S.A.S. di Carignano, 1722, p. 3, copia

rilegata in volume con testi manoscritti e conservato in BRT, Casa Savoia IV.13 ms; cfr. MERCEDES

VIALE FERRERO, L’invenzione spettacolare, in Filippo Juvarra Architetto delle capitali da Torino

a Madrid 1714-1736. Catalogo della mostra, a cura di Vera Comoli Mandracci, Andreina Griseri,

Milano, Fabbri, 1995, p. 243; FRANCA VARALLO, Le feste da Vittorio Amedeo II a Vittorio Amedeo

III, in Storia di Torino, vol. V Dalla città razionale alla crisi dello Stato d’Antico Regime (1730-1798), a cura di Giuseppe Ricuperati, Accademia delle Scienze, Torino, Einaudi, 2002, pp. 837-838.

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meri o nelle costruzioni fisse cinque e secenteschi, per l’evidente richia-mo alla pyra di origine classica e al suo significato, caratterizzò richia-molte delle invenzioni juvarriane, che nei due anni successivi fornì le istruzioni anche per i funerali della principessa Anna Cristina Ludovica, prima mo-glie di Carlo Emanuele III morta nel 1723 e di Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours deceduta nel 1724. Se per le esequie della giovane sovrana si possono individuare due disegni nei quali è espressamente an-notato: «a Marzo 1723 / Per la Real Principessa di Piemonte»13 e alcuni

schizzi che sono stati ipoteticamente riferiti a tale apparato,14 così come

per le successive della Madama Reale altre tavole sono state proposte come plausibili studi,15 per l’apparato in onore di Maria Caterina d’Este

non sono stati avanzati confronti convincenti. La secondaria importanza di tale evento, perlomeno rispetto alle pompe di sovrane o reggenti, ha finora distolto l’attenzione da uno dei casi più interessanti dal punto po-litico e culturale e che, per quanto riguarda la struttura effimera, sebbene con le necessarie cautele e senza andare al di là di un generico suggeri-mento formale, il disegno n. 135 della tavola 67 del volume II delle rac-colte juvarriane (fig. 2) può offrire un interessante confronto con la de-scrizione del 1722.16 La presenza delle piramidi/ obelischi ornati di ceri,

i tre ordini che caratterizzano il corpo del «mausoleo» e in alto la figura della fama che regge con una mano la tromba e nell’altra un ovale pronto ad accogliere un ritratto testimoniano pensieri ricorrenti nell’elabora-zione dei progetti dell’architetto e che in più di una occasione avevano improntato le sue scelte definitive.

La relazione prosegue con la descrizione della porta di ingresso del duomo di San Giovanni che era parata a lutto così come la navata, lungo la quale erano disposti sei grandi quadri, accompagnati da relative iscri-zioni latine e imprese che illustravano momenti significativi della vita della principessa e le sue virtù. Il primo rappresentava il ricevimento della medesima nella corte di Torino dopo il matrimonio con Emanuele Filiberto di Carignano e per significare l’unione delle due casate era stata adottata una impresa con il «Sole, che tramandava raggi alla Luna ben ri-

13 I disegni si trovano negli album juvarriani conservati nelle collezioni di Palazzo Madama, Museo

civico d’Arte Antica di Torino: MCT, vol. II, c. 61, n. 124, 2004; vol. II, c. 66, n.133, 2053.

14 LYDIA KESSEL, Festarchitektur in Turin zwischen 1713 und 1773. Repräsentationsformen in

ei-nem jungen Königtum, München, Scaneg, 1995, pp. 217-223.

15 EADEM, pp. 224-228; ELENA GIANASSO, Una Istruzione juvarriana per il funerale di Maria

Gio-vanna Battista di Savoia, in Filippo Juvarra 1678-1736, architetto dei Savoia, architetto in Europa,

vol. I: Architetto dei Savoia, a cura di Paolo Cornaglia, Andrea Merlotti, Costanza Roggero, Roma, Campisano, 2014, pp.99-107.

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Figura 2 - Filippo Juvarra, Studio per monumento o apparato funebre, s.d., MCT, vol. II, c. 67, n. 135, Torino, Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica. Su conces-sione della Fondazione Torino Musei

lucente, e piena con questo motto: data lumina reddit»; il secondo era di carattere storico e alludeva al «governo della Serenissima Casa del Prin-cipe di Carignano dato alla defunta PrinPrin-cipessa», accompagnato dalla re-lativa iscrizione e impresa raffigurante «un timone di nave regolato da una mano, sopra la quale eravi questo motto: Prudentiori». «Più glorioso alla memoria d’una tal Principessa era il terzo quadro, nel quale si rap-presentava la Cristiana pietà della defunta verso i poveri dello Spedale di

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Torino» associato a due imprese, una relativa all’aiuto dato per la fab-brica e significata da una campagna arida per la siccità con arboscelli inariditi e una nuvola che ridava vita, l’altra l’annuo contributo per i ma-lati simboleggiato con il fiume Nilo che inonda le campagne. Di tema affine era il quarto dipinto dedicato alla liberalità di Maria Caterina d’Este verso le famiglie bisognose e le povere vergini, anche in questo caso corredato di due imprese; il quinto alludeva alla grande devozione della principessa verso la Vergine Annunziata accompagnata dall’iscri-zione e dall’impresa raffigurante un tempio rotondo sormontato da un’iride con il motto: Pietatem favor occupat. Infine nel sesto e ultimo «si dava ad intendere il ritiro della Principessa nel Monastero di Lucca per soddisfare ad alcuni debiti, da ella, com’è costante openione, contratti per soccorrere i poveri. Nel che è da notare la moderazione di sì gran Principessa, e l’esempio illustre, ch’ella in tal’azione volle imitare della gloriosa Regina di Svezia Cristina», nella cui impresa si vedeva un va-scello in un mare in tempesta e quasi sommerso e poco lontano un pic-colo battello a galla, «per significare, che lo stato privato, ed umile del suo ritiro abbracciato dalla Principessa era meno agitato da quelle cure, che sogliono per lo più esser compagne indivisibili dello stato dello stato de’ grandi, mentre sono nel fiore delle loro fortune».17

Fin qui nulla di inconsueto, la relazione non sembra discostarsi dalla ordinaria struttura che si avvale di formule note e di una scrittura corro-borata da una ben collaudata retorica narrativa. Ma terminato il com-mento delle iscrizioni, l’autore che, come dichiarato in apertura, aveva «preso…brievemente a descrivere» l’apparato a beneficio di quanti non erano presenti, chiudeva con alcune considerazioni perlomeno inusuali:

Ammirazione insieme, e diletto arrecò la lettura di coteste iscrizioni a’ letterati di fino gusto, e versati non meno nella purità della latina fa-vella, che nello stile delle antiche Iscrizioni e formole funerali, la di cui gravità, ed ornata simplicità mascherata sovente da Vulgari Retori con metafore, pensierucci falsi, e contrapostini, vedeasi qui restituita al suo nativo costume, come pure all’ortografia, & interpunzione usata dagli antichi, i di cui monumenti amplamente raccolti si veggono da Grutero, Manuzio, Fabbretti, Brissonio, ed altri eruditi Scrittori.18

La lettura di queste parole induce a chiedersi chi fossero i «Vulgari Retori» accusati di mascherare con metafore e «pensierucci» la semplice

17 BRT, Casa Savoia IV.13 ms., Pompa Funerale celebrato, cit., pp. 5-8. 18 Ivi, p. 10

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gravità degli antichi. È evidente che la divulgazione del testo dell’appa-rato aveva intenti esorbitanti il rituale celebrativo, ne è conferma la straordinaria scia di polemiche innestata della quale, a detta degli attori coinvolti, giunse eco fino agli intellettuali e ai librai veneziani e che fa ipotizzare essere state le onoranze funebri per Maria Caterina d’Este poco più di un pretesto, o più probabilmente la circostanza che meglio si prestava a veicolare, attraverso rinnovate formule celebrative, una nuova idea di stato e una differente concezione della cultura e della religione, senza mettere direttamente al centro di una questione tanto delicata fi-gure di sovrani o sovrane della casa regnante. Ma proviamo a capire, seppure in termini assai schematici, quale fu l’oggetto del contendere e da quale condizione ben più complessa discendeva.

La relazione del funerale della principessa d’Este, come detto, fu stam-pata in Torino presso Francesco Antonio Gattinara, libraio di casa Cari-gnano, ma circolò anche in versioni manoscritte, una di queste si con-serva in un grosso volume del fondo Cerimoniali dell’Archivio di Stato, rilegato in marocchino bruno, di 260 carte numerate, più 10 bianche e 160 non numerate (per complessive 430 carte), acquistato alla fine del secolo scorso,19 comprendente oltre la Pompa Funerale, altri testi che ci

permettono di entrare nel cuore della diatriba durata fino al 1725. Le prime nove carte accolgono la relazione, i 65 fogli successivi la Critica

sopra il preced.te funerale composto da Signori dell’Università di To-rino. // I Difetti dell’Artefice, Maestri dell’Arte, che dopo essersi rivolta

al Lettore (c. 13r), prosegue (cc. 14r-65r) con l’esposizione dettagliata dei Dubj, che si propongono agl’Auttori della Pompa Funerale,

cele-brata in Torino per la morte della Principessa di Carignano Maria Cat-terina d’Este. Intorno ai luoro componimenti. Segue quindi la Copia d’una lettera scritta dall’Autore della breve Instruttione intorno alla ma-niera di far gli Apparati Funebri, sacri e civili (cc. 65v-78v) (d’ora in

poi Istruzioni) e la trascrizione della risposta alla critica pubblicata ano-nima nel luglio del 1723 Degl’Elogij Funerali Raggionamento a letterati

della Città di Torino / In risposta / All’Autor d’una novella critica / Inti-tolata / I difetti delli Artefici, Maestri dell’Arte / Stampata in Torino li 10 luglio 1723 (cc. 79r-218v). La polemica non si sopì, anzi proseguì

anche più accesa come testimoniano i successivi scritti: Copia di Lettera

d’Un Cavagliere di Provincia al Conte N.N. Torinese In cui lo ringrazia de due bellissimi ragionamenti di un Professore dell’Università contro

19 AST, Corte, Cerimoniali, Funerali, mazzo 3, fasc. 8. Il volume, acquistato presso la libreria

anti-quaria Pregliasco di Torino nel 1991, presenta affinità, ma è di gran lunga più completo di quello presente nella Biblioteca Reale di Torino.

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il Censore delle sue Instruttioni, e li dà alcuni avvertimenti (cc.

219r-245v) e la Risposta prima del Conte Torinese alla Lettera del Cavaglier

di Provincia Ed al giudicio proferito dallo stesso Cavaglier di Provincia, intorno a due Ragionamenti degl’Elogij Funerali stampati in Torino in risposta all’Autor della Critica intitolata / I difetti dell’Artefice Maestri dell’Arte. Anno 1725 (cc.246r-260), di fatto la terza risposta, stilata come

le altre da Bernardo Andrea Lama (raffinato intellettuale di cui si avrà modo di riferire in seguito), autore non dichiarato delle Istruzioni intorno

alla maniera di far gli Apparati Funebri, sacri e civili.20 Le 10 carte

bianche separano questi testi da altri due, di un terzo attore che interviene in difesa della Critica e con ulteriori osservazioni sugli errori delle

Istru-zioni.21 Completa questa già ampia documentazione, che mirati scavi

po-trebbero ulteriormente arricchire, il volume conservato nella Biblioteca Reale che include, oltre la versione a stampa della Pompa funerale, ver-sioni manoscritte della Critica e della lettera in risposta22 nonché, nel

fondo Miscellanea, un esemplare (a stampa) della Risposta Prima del

Conte Torinese Alla Lettera del Cavalier di Provincia, edita nel 1725.23

La lettura dei testi è piuttosto impegnativa, ma assai interessante;

20 Il primo testo anonimo del Lama venne pubblicato a Torino nel 1723, Degli elogi funerali.

Ra-gionamento ai letterati della città di Torino, in risposta ad una novella critica intitolata I difetti dell’artefice maestri dell’arte; l’anno successivo uscì un secondo volumetto Degli elogi funerali. Ragionamento II (Torino 1724) la cui critica più ampia e articolata attaccava direttamente lo stile

tardo barocco, nel 1725 infine la Risposta prima del conte torinese alla lettera del cavalier di

pro-vincia (s.n.t., ma Torino 1725).

21 Errata Corrige / Del libro intitolato / Degli Elogij Funerali Ragionamento a Letterati Della Città

di Torino, in risposta all’Autore d’una novella Critica / Intitolata / I diffetti dell’Artefice Maestri dell’Arte, con le osservazioni, che diffendon la critica e dichiaran gl’errori della risposta. / Scritte / Da Filosimo Penna, e dal medesimo dedicate / All’Augusta Metropoli subalpina / Parte prima / In cui si contengono alcune osservazioni preliminari sopra il preambolo [cc.1-48r nn.] Fine del Preambolo Che fa la prima parte delle Osservationi// Delle Osservattioni di Filotimo Penna / Parte 2.a / In cui si dichiaran gl’errori delle due prime inscrittioni / Osservatione Prima / Indice generale degli errori principali che s’incontrano in questa risposta [cc.48v-160 nn.], AST, Corte,

Cerimo-niali, Funerali, mazzo 3, fasc. 8.

22 BRT, Casa Savoia IV.13 ms (in cassaforte); il volume contiene nelle prime 37 carte non numerate

(con numerazione recente a matita) I difetti dell’Artefice Maestro dell’Arte, o sia Breve Instruttione

in cui esaminando sotto nome di Dubij e Riflessioni solennissimi errori Di un apparato Letterario fatto nel Funerale Della Principessa di Carignano, S’insegna come dovea farsi, e quanto all’Idea del tutto, e quanto alla Perfettione delle Parti, testo che presenta alcune varianti, anche nel titolo,

rispetto al corrispondente dell’Archivio (cc. 12r-65r); alle carte 38-47 (non numerate e con numera-zione recente a matita) Copia d’una Lettera scritta dall’Autore della breve Istrunumera-zione intorno alla

maniera di far li Apparati Funebri, Sacri, e Civili ad un suo Amico forastiere, che gli haveva mossi alcuni Dubj e disaprovati alcuni sentimenti d’essa, scritto quest’ultimo corrisponde a quello incluso

nel tomo dell’Archivio di Stato alle cc. 65v-78v.

23 BRT, Misc. 491 (23), Risposta Prima del Conte Torinese Alla Lettera del Cavalier di Provincia,

Ed al giudizio profferito dallo stesso Cavalier di Provincia intorno a due Ragionamenti degli Elogj

Funerali stampati in Torino, in risposta all’Autor della Critica intitolata: I difetti dell’artefice Mae-stri dell’Arte. Anno 1725, testo a stampa di pp. 32.

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oggetto del contendere non è la struttura dell’apparato juvarriano, le cui soluzioni formali non sono mai messe in dubbio, anzi elogiate per qualità e convenienza, ma l’eloquenza dei simboli, la scelta delle iscrizioni e del loro significato e la scelta dei modelli. Il tono della discussione è tanto erudito quanto puntuto, sagace e caustico specie nelle argomentazioni in risposta alle critiche, che pian piano rivelano la natura artificiosa e la loro appartenenza a un sistema culturale oramai in declino a fronte di una di-versa concezione della tradizione classica e dei concetti di semplicità e misura. Nell’incipit de I difetti dell’Artefice, l’estensore, dietro cui si cela il padre gesuita Carlo Giacinto Ferreri, si appella al Lettore e lo mette in guardia circa i rischi di un’opera apparentemente perfetta per un giovane:

Lettore / Un’opera perfetta invaghisce il Giovane principiante, che vuol apprenderne l’arte, ma non l’ammaestra. Egli la contempla, la loda e l’ammira, ma non sa dire perché gli piaccia, non conoscendo ancora in che consista l’eccellenza, e la finezza dell’arte; che egli si mette avanti un lavoro disordinato e scomposto, perché la deformità, le sproporzioni, e le stroppiature più sensibilmente danno nell’occhio, e offendono la vi-sta, confrontando insieme l’opera imperfetta con la perfetta, da i difetti dell’una impara a conoscere e imitare le bellezze dell’altra: questo van-taggio traremmo ancor noi dalli spropositi d’ogni sorte di questo apparato Letterario, che prendiamo ad esaminare.24

Quindi prosegue con le ragioni che lo avrebbero indotto, dopo aver letto e riletto la relazione, a manifestare i suoi dubbi sulle iscrizioni ed imprese le quali avendo suscitato, a detta dell’autore, «ammirazione in-sieme, e diletto à letterati di fino gusto» per la «nuova, e straordinaria maniera di parlare», mossero «ne Rettori Volgari [così egli gentilmente gli chiama] una grandissima curiosità, e avidità, di legger, e considerare questo si ammirabil sforzo dell’humano ingegno». In verità, sebbene fos-sero state composte «all’antica Idea, la cui gravità, e ornata simplicità […] restituita al suo nativo costume», non solo non corrisposero «all’a-spettazione», ma la sola ammirazione capaci di suscitare fu quella, «che secondo i Filosofi è Madre del Riso» e il riso il solo diletto arrecato. Dunque quei letterati che tanto si erano pregiati di aver «disoterrato il buon gusto dal cuppo fondo dell’Antichità», erano caduti in errore tanto sulla «maniera con cui sogliono farsi apparati funebri, come pure intorno alla qualità, varietà, e stile de componimenti, che sogliono decorare, e

24 BRT, Casa Savoia IV.13 ms (in cassaforte), I difetti dell’Artefice Maestro dell’Arte, o sia Breve

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dar l’anima a tutto il Corpo matteriale di quella Pompa» primariamente perché quella «maniera di Funerali non era in uso appresso delli antichi, almeno nella forma, ch’hoggi s’usa, e si pratica»:

d’apparati funebri con orationi, iscrittioni, imprese, elogij in commemo-raione de defonti non ve n’ha vestigio negli auttori Gentili, Greci e Ro-mani. La pierà Christiana ha introdotte queste Religiose honoranze de Morti, togliendo da esse tutte le profanità de Gentili, anco le medesime formole, che hanno sentore di superstitione, e convertendole in fontioni sacre di preghiere, e sacrificij in suffragio dell’Anime loro, accompa-gnate massimamente nell’essequie di gran Personaggi dalle lodi dovute alla loro virtù per edificatione ed instruttione de fedeli. […] e però non dagli antichi Gentili si deve prender l’Idea e il modello de funerali chri-stiani, né devonsi usare le loro formole, ma ci deve servire di regola quel che s’è costumato sin hora nel Christianesimo, e quel, che in questo ge-nere d’apparati si è stampato in tutta l’Europa, e ricevuto dal Pubblico de Letterati con maggior approvatione, e maggior Lode.25

In secondo luogo perché quelle stesse «Inscrittioni e gli elogij antichi sono in gran parte diversi da quei, che si fanno hoggidì tanto nelli appa-rati Funebri, quanto nelle solennità Civili, come in occasione di Nasci-mento, o Nozze de Prencipi, o nelle entrate de Re, o Cardinali, o Vescovi nelle Città Capitali»; gli antichi ne avevano di due tipi, gli epitaffi scolpiti sulle lapidi sepolcrali e le iscrizioni che «si facevano sopra le opere pub-bliche di molta magnificenza, come Tempj, Teatri, e Anphiteatri, Archi, Ponti in memoria della Persona […] e […] havevano il nome d’elogij». Questi ultimi, che dicono in breve quanto «si direbbe in un lungo Pane-girico», devono attenersi a regole precise, impiegate mirabilmente «da più ecellenti scrittori nelli apparati funebri», che non piacciono a «Lette-rati moderni di fino gusto, e di nuova stampa», i quali «doverebbero rec-carne almeno qualche raggione, e non il vano pretesto d’immitar gl’An-tichi, che qui non viene a proposito e non serve ad altro, che a cuoprir il non sapere, con far mostra di più sapere. L’Iscrittioni anche hoggidì an-che s’immitano, in quelle, an-che si vedono sopra i sepolcri scolpite, e l’opere pubbliche e stampate ne libri del Tesauro, e di tanti altri Autori di primo grido: ma non in queste de Funerali, che se alcune si trovano imperfette, e difettose».26 Secondo l’autore della critica, dunque, il

Te-sauro e gli altri autori barocchi continuavano a detenere il primato della perfezione e sulla base di tali presupposti procedeva ad un minuzioso

25 Ivi, c. 3r e v. 26 Ivi, c. 4v.

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esame, iscrizione per iscrizione, di tutti gli errori fatti nella forma, ma soprattutto nella «Purità della Latina Favella», portando come esempio di perfezione i funerali milanesi di Filippo III, disquisendo sulla scelta dei termini e del loro significato in relazione alle virtù della principessa, alla assenza del suo corpo; proseguendo punto a punto fino a esaltare la metafora come oggetto di ammirazione e ragione di vero diletto per il «perspicace Ingegno, l’arricchirsi in un momento d’una dovizia di pen-sieri ben congegnati, e molto più rinvenirli, e scorgerli con acuta vista nell’istessa oscurità di parole tronche, e artificiose retticenze». E conclu-deva: «Gradisca l’auttore quest’amorevole e non inutile aviso, perché sa-pia in avenire distinguere una brutta Maschera da un bel volto, e dare un giudizio più assestato e de suoi e degli altrui componimenti».27

La prima risposta è parimenti giocata sul filo ardito della pura erudi-zione e della interpretaerudi-zione della lingua latina, con altrettanto sfoggio di sapienza, non privo di malcelata ironia: «Vi ringrazio delle Lodi, che per vostra cortesia date a quella mia o Censura, o Instruzzione, come meglio a voi piacerà di chiamarla, ma per dirvi la verità mi maraviglio, che quella mia operetta habbia già fatto si gran viaggio, e sia gionta alle vostre mani, perché non fu mio pensiero che corresse tanto. Il mio disse-gno fu di comunicarla solamente ad alcuni miei Amici per loro privato tratenimento», ma il gran circolare di copie manoscritte e il conseguente moltiplicarsi di errori sfuggiti a copiatori frettolosi, avevano indotto l’au-tore della Istruzione a «presentarsi in qualità di Reo» al tribunale del suo Censore, ma per non tediare rispondendo a tutti i dubbi sollevati, aveva scelto di soffermarsi unicamente sui termini FUNUS DUCITUR dell’iscrizione sulla porta del duomo di San Giovanni, entrando nel me-rito del corretto significato, allo scopo di dimostrare al suo Censore come «s’usa parimente a spiegar l’istessa fonzione luttuosa di portare a sepe-lire, ancorché per accidente il Cadavero non fosse su la bara, e ancorché fosse ancor viva quella Persona a cui si faceva, come tal’hora avenne quella Fonzione», nonché a rendergli manifesto «che quei Testi chiari e chiarissimi, che ad ingegni ottusi e loschi sembrano contrarij, sono anzi favorevoli a me, e confermano quello, che io ho asserito nella mia Istruz-zione».28 La conclusione non è meno sferzante:

Così direi loro; Ma voi mio caro Amico, direte a me che in luogo d’una lettera, vi ho fatta una longa diceria sopra due sole parole. Havete

27Ivi, c. 36v.

28 BRT, Casa Savoia IV.13 ms (in cassaforte), Copia d’una Lettera scritta dall’Autore della breve

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ragione. Ma ne ho fatta io stesso la mia parte della penitenza scriven-dola, fatte voi la vostra leggendola. Credo che non vi sarà del tutto inu-tile, perché imparerete diversi riti antichi, e alcune historielle, che forze non sapevate. Con altra mia risponderò ad altri dubbj, che mi propo-nete. Ma non mi stenderò più tanto in queste bagatelle. A Dio / N.N.29

Un altro testo fu edito nel 1723 e circolò a sua volta manoscritto,30 a

questo seguì nel 1724 il Raggionamento II che diede ulteriore fiato alle trombe di una polemica in nessun modo intenzionata a fermarsi e a rima-nere entro i confini del ducato di Savoia; nel 1725 Lama consegnò alle stampe un aggiuntivo volumetto31 ponendo fine, con colpi ben assestati,

alla lunga diatriba. Dunque di che cosa si trattava realmente e quale era la posta in gioco, dal momento che evidentemente il funerale di Maria Caterina d’Este era stato solo la circostanza intorno a cui si era sprigio-nata l’intera vicenda. Mi sarei trovata in grande difficoltà nel dirimere la questione, se le ricerche non mi avessero portato a rivedere gli scritti di Giuseppe Ricuperati, in particolare un bellissimo e denso saggio del 1968 su Bernardo Andrea Lama (1685-Vienna 1760),32 personalità di rilievo

e raffinato intellettuale che era entrato in scena in veste di autore delle

Istruzioni dell’apparato e delle lettere in risposta ai critici dello stesso,

palesando come la posta in gioco non fosse dunque solo una esibizione di eruditizione, ma il rinnovamento culturale dell’istituzione universita-ria, avviata negli anni del regno di Vittorio Amedeo II, alla quale lo stesso Lama contribuì fortemente.33

Giovane seminarista il Lama si formò tra Napoli Parigi e Roma dive-nendo uno degli intellettuali più raffinati del periodo; aggiornato alle nuove istanze dottrinali e alla cultura arcadica del Gravina e del Metasta-sio, considerato il miglior latinista di parte curiale, divenne bibliotecario

29 Ivi, cc. 47r-v.

30 Degl’Elogij Funerali Raggionamento a letterati della Città di Torino / In risposta / All’Autor d’una

novella critica / Intitolata / I difetti delli Artefici, Maestri dell’Arte / Stampata in Torino li 10 luglio 1723.

31 Si tratta della già menzionata Risposta Prima del Conte Torinese Alla Lettera del Cavalier di

Provincia. Ed al giudizio profferito dallo stesso Cavalier di Provincia intorno a due Ragionamenti degli Elogj Funerali stampati in Torino, in risposta all’Autor della Critica intitolata: I difetti dell’ar-tefice Maestri dell’Arte. Anno 1725.

32 GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama professore e storiografo nel Piemonte di Vittorio

Amedeo II, in “Bollettino storico-bibliografico subalpino”, a. LXVI (1968), pp.11-101, in particolare

il paragrafo 9. Lama e gli «Elogi funerali», pp. 53-62. Nell’esame della vicenda Ricuperati, non poté avvalersi del volume manoscritto dell’Archivio di Stato acquistato vent’anni dopo.

33 Sull’Ateneo torinese ancora fondamentale è il testo di TOMMASO VALLAURI, Storia delle

univer-sità degli studi del Piemonte, Torino 1875; si veda inoltre DINO CARPANETTO, L’università

ristabi-lita, in Storia di Torino, IV. La città fra crisi e ripresa (1630-1730), a cura di Giuseppe Ricuperati,

Torino, Einaudi, 2002, pp. 1065-1091; sul Lama si veda la voce del DBI di ANDREA MERLOTTI,

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della Vaticana di Roma, dove era giunto nel 1708. Ritornato poi a Napoli e ancora a Parigi, dalla primavera del 1718 si trasferì a Torino per inse-gnare presso l’Università riorganizzata su progetto di Francesco d’Aguir-re, che condivise pienamente, come dimostra il discorso inaugurale del 20 settembre 1720 a lui affidato con il compito di indicare agli intellet-tuali e professori la nuova direzione da percorrere.34 Proprio il contenuto

dell’orazione, che si richiamava alla tradizione di Telesio, Campanella, Galileo e Cartesio in opposizione a quella aristotelica e scolastica addi-tata quale causa della decadenza culturale e morale, lo aveva reso oggetto degli attacchi della Compagnia di Gesù la quale, dopo l’inaugurazione, aveva avviato un’opera di diffamazione nei suoi confronti e dei profes-sori dello Studio.35 Gli attacchi a lui diretti sul piano dell’ortodossia, che

non gli risparmiarono accuse di proposizioni eterodosse relative alla con-troversa questione della bolla Unigenitus, non ottennero tuttavia i risul-tati sperati, cosicché i gesuiti cercarono di mettere in dubbio la validità della nuova cultura spostandosi nel campo della tradizione filologica, nel quale potevano vantare ampia esperienza e un raffinato repertorio reto-rico. L’occasione fu offerta, per l’appunto, dalle iscrizioni latine dedicate alle virtù della defunta principessa Savoia Carignano, composte su inca-rico del sovrano Vittorio Amedeo II dal Lama e da Mario Agostino Cam-piani, allievo del Gravina e giunto a Torino nel 1720 per insegnare ragion canonica. Non appena le iscrizioni presero a circolare, cominciarono le prime polemiche alimentate in seguito dalla feroce critica manoscritta (già menzionata) I difetti dell’artefice maestri dell’arte, nella quale non solo erano definite stravaganti, sproporzionate, frutto di erudizione af-frettata e di goffaggine, ma che coinvolgeva nella campagna denigratoria sia gli autori, sia la stessa nuova cultura di cui erano i portavoce. L’im-portanza della questione era tale che il Lama fu incaricato di rispondere ed egli, con l’acutezza che gli era propria e come già aveva fatto nella prolusione inaugurale, riuscì «a trasformare una polemica in fondo insi-gnificante e provinciale, in una precisa lezione di cultura e di gusto che si allinea[va] a quella nazionale del rinnovamento, guidata dal Muratori, dal Maffei, dal Lazzarini e dal Salvini».36 La prima risposta, come detto,

fu il libretto pubblicato anonimo nel 1723, Degli elogi funerali, che si aprivano con una lode dell’Ateneo e del sovrano e proseguivano con un puntuto sfoggio di erudizione in cinquantadue punti, dall’uso delle ora-zioni alle figure da impiegarsi negli elogi, dall’impiego di singole parole

34 GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit., p. 45.

35 IVI, p. 48 e sgg. 36 IVI, p. 54.

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e del loro significato alle forme di narrare un fatto, dall’unità degli appa-rati funebri e del loro disegno fino alla imprese, miappa-rati a smontare passo a passo la critica del Ferreri, senza lesinare sarcasmo nei confronti di Tesauro o del Giuglaris,37 e dimostrare la «purezza classica» delle

Istru-zioni e il loro degno inserirsi nelle tradiIstru-zioni funerarie dell’antichità,

fa-cendo ricorso al mondo greco, latino, egizio e orientale38 in un continuo

sovrapporsi del piano erudito e beffardo: «Oh che miracolo ch’in si puoco tempo, si sia popolato Torino di Letterati di fino gusto! Si prepari S.M. a slargar la Metropoli, che tutta l’Europa sta per mandar la sua Gio-ventù in Torino, sotto si proddigiosi Maestri. A’ Dio Sorbona. A’ Dio Salamanca. A’ Dio a tutte le altre Università. Si paghin pur ben questi Forastieri, che non si puossono à bastanza pagare. Basta solo, che la staf-fetta della Relazione, e risposta corra per il Mondo, per invogliar tutto il Mondo a venire a sentirli». All’ironia si univa la forza della nuova cultura e della nuova scienza che i censori, per ignoranza e sordità non riusci-vano a cogliere, come già averiusci-vano dimostrato in occasione dell’inaugu-razione dell’Ateneo e, come all’ora, bersaglio dei suoi strali fu la Com-pagnia, che in questo caso aveva le sembianze del padre Carlo Giacinto Ferreri «uomo venerando, oppresso non men dagli anni che da pericolose malattie, per cui non ad altro attender può che a meditar la vita eterna», e per non lasciar dubbi circa l’affiliazione, «sacerdote di un Ordine molto illustre, da cui prende norma il pubblico, non solo dell’interna pietà, ma degli esterni e civili costumi».39 Le polemiche proseguirono tanto che

Bernardo Lama sentì la necessità di fare uscire un secondo libretto nel quale andare oltre all’approccio squisitamente filologico e portare la sua tagliente risposta nel profondo della retorica tardo-barocca.40 Per far ciò

scomodò i grandi del passato, da Aristotele a Cicerone, accusando il suo Censore di non averli intesi, di «considerare la metafora fine a se stessa e non come strumento del pensiero» e di aver rinunciato ad ogni purezza

37 Il gesuita Luigi Giuglaris fu incaricato dalla duchessa Cristina di Francia dell’invenzione

dell’ap-parto funebre per Vittorio Amedeo I, Funerale Fatto nel Duomo di Torino alla gloriosa memoria

dell’Invittissimo e potentissimo Prencipe Vittorio Amedeo Duca di Savoia Principe di Piemonte e

Re di Cipri […], Torino 1638, cfr. FRANCA VARALLO, Apparati funebri per i duchi di Savoia, cit.,

e EADEM, Parole e immagini nelle relazioni degli apparati funebri dei duchi di Savoia, cit.

38 GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit., p. 54.

39 Degli elogi funerali, cit., p. 1. Il nome del gesuita Giacinto Ferreri era indicato da Giuseppe

Ricu-perati, che lo ricavava da un altro documento, vale a dire dall’esame filologico degli Elogi Funerali fatta dal padre Giacinto Fonti e commissionata al medesimo da Vittorio Amedeo II, Esame di padre

Fonti della risposta alla critica di padre Ferreri, scritto che dimostrava, rilevava ancora Ricuperati,

«quanto interesse sollevò nel sovrano la disputa fra il Lama e il gesuita Giacinto Ferreri e come egli stesso intervenne, attraverso uno dei suoi più colti funzionari, a guidare e a controllare la polemica»,

GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit, p. 62.

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di linguaggio: «Nella cultura del Lama, ‒ osservava ancora Ricuperati ‒ risuonano i termini della polemica fra antichi e moderni, in cui egli è a favore di questi ultimi, ma senza rifiutare la tradizione».41 Lama, dunque,

sfidò i gesuiti direttamente sul loro terreno e mentre questi, spinti dalla azione riformatrice del sovrano che intendeva sottrarre l’università al loro monopolio, cercavano di screditare l’istituzione medesima sul piano dell’ortodossia senza esclusione di colpi, Bernardo Lama li affrontava sul piano della retorica celebrativa e con intelligente sensibilità filologica la sezionava e scomponeva dall’interno. A tale scopo si era avvalso delle teorie più aggiornate, dalla lezione di Gian Vincenzo Gravina e della sua idea di stile classico come riformulato tra Sei e Settecento nella cultura arcadica, all’insegnamento dell’abate Ludovico Antonio Muratori, non-ché di altri eminenti intellettuali, da Alessandro Burgos a Domenico Laz-zarini, da Giuseppe Orsi a Giusto Fontanini fino al sublime ingegno di Anton Maria Salvini, tutte figure che seppero tenera alta «la dignità delle lettere nulla curando di avere in comune ai Vulgari Retori la gloria de’ falsi pensieri e della barbara locuzione».42 La polemica si protrasse,

come detto, fino al 1725 quando uscì la terza lettera di Lama, ancora più ironica e pungente, con la quale sferrò «un altro colpo alle vacillanti po-sizioni degli avversari che non oseranno farsi più vivi».43 Nelle

Istru-zioni, così come nei tre scritti in risposta, il Lama ebbe modo di mostrare

la sua sagacia e raffinata preparazione, nonché di palesare la sua adesione a una nuova concezione culturale ed estetica che, in nome di un “buon gusto”, misura della ragione, rivedeva le categorie della classicità traendo ispirazione tanto dal superamento del barocco del Gravina, quanto dalla nuova e salda erudizione del Muratori.

Proprio al Muratori, attraverso Francesco d’Aguirre, giurista che Vit-torio Amedeo II nel 1714 si era portato dalla Sicilia a Torino, era arrivata copia del libretto di Lama, con lo scopo da parte del mittente di porre il testo sotto la protezione dell’illustre studioso e chiederne il parere. L’abate modenese non tardò a rispondere dimostrando di apprezzare lo scritto del Lama sia nella forma, sia nei contenuti: «Insomma la risposta suddetta è composta con tal galanteria, con tal nerbo di ragioni, e con una modestia talmente però forbita, che sferza bene senza però adoperare la

41 GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit., p. 57.

42 BERNARDO LAMA, Degli Elogi funerali. Ragionamento II, Torino 1724, p. 124 citato da GIUSEPPE

RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit., p. 58.

43 GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea Lama, cit., p. 58, i gesuiti interromperanno la polemica

ma per spostare, come osservava Ricuperati, «la loro guerriglia ideologica su un altro terreno ben più pericoloso».

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scialba che tutti sicuramente l’avran letta con gusto siccome è accaduto anche a me».44 Ugualmente gradì la seconda parte degli Elogi funerali,

nuovamente inviato tramite il d’Aguirre, specie per il carattere meno po-lemico e dottrinale e oltre a ringraziare l’autore per averlo più volte men-zionato, si congratulò per la netta posizione nei confronti della cultura gesuita a lui altrettanto invisa: «Veramente dopo aver io detto tanto male del Tesauro e de’ concettini falsi nella mia Perfetta poesia temeva io di aver dato poco gusto a siffatti ingegni: ma per mia fortuna veggo tanti valentuomini luminosi nell’università torinese collegati meco ad abbat-tere il cattivo gusto, che me ne sono consolato…».45

Anche Scipione Maffei, a sua volta omaggiato del testo del Lama dal d’Aguirre, non mancò di scriverne in termini assai lusinghieri, elogiando come una delle imprese più significative messe in atto dal sovrano fosse proprio quella riforma universitaria che aveva riunito a Torino figure ca-paci di condurre gli studi a un miglior metodo sgomberandoli dalla bar-barie ancora presente in tante parti d’Italia.46 La eco della polemica si

spinse anche al di fuori, nel mondo protestante attraverso la

«Bibliothè-que ancienne et moderne» sulla quale Jean Le Clerc commentava in una

lunga recensione il primo tomo degli Elogi Funerali.47

In conclusione di queste brevi note, alcune considerazioni sono d’ob-bligo; la prima, come già accennato, riguarda la questione nella sua com-plessità e l’alta posta in gioco, del tutto prevaricante la rilevanza del per-sonaggio celebrato, ma del tutto funzionale allo scopo: la cerimonia fu-nebre di Maria Caterina d’Este divenne l’occasione per ribadire le linee conduttrici del processo riformistico avviato dal sovrano sabaudo sul piano politico-amministrativo e culturale, con al centro la riorganizza-zione dello Studio. Vittorio Amedeo II coinvolse strumentalmente le forze più nuove di cui disponeva – Bernardo Andrea Lama e Filippo Ju-varra ‒ per delle esequie sicuramente meno importanti rispetto a quelle della prima moglie del figlio Carlo Emanuele III, o di quelle di Giovanna Battista di Savoia Nemours, seconda Madama Reale, ma rilevanti per la Casata sul versante della diplomazia interna ed estera, dato il ruolo dei principi Savoia Carignano. Significativa era d’altronde la trasformazione in atto all’interno dell’Università, dunque del sistema del sapere, e la

44 La lettera di Muratori, datata 12 ottobre 1723, è citata in GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo Andrea

Lama, cit., p. 60.

45 Anche questa seconda lettera dell’agosto del 1724 è riportata in GIUSEPPE RICUPERATI, Bernardo

Andrea Lama, cit., p. 60.

46 Ivi, pp. 60-61. 47 Ivi, p. 61.

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I funerali come strumento di indagine storica e culturale…

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volontà di liberarsi dei gesuiti che fino ad allora avevano avuto il totale controllo della formazione, nonché delle cerimonie, specie quelle fune-bri. Non paiono dunque casuali i continui riferimenti a Emanuele Te-sauro, massimo rappresentante di quella retorica secentesca, erudita, con-cettosa e citazionista che trovava proprio nelle esequie la scena perfetta per rappresentare l’eloquente macchina di parola e immagine, dal fune-rale di Filippo III a Milano a quelli torinesi l’elenco è lungo. Non solo, dunque, come scriveva Ricuperati in chiusura al paragrafo, da quel mo-mento in avanti «i Padri della compagnia non avranno più il coraggio di scendere in campo apertamente contro gli intellettuali e si serviranno di altri mezzi per condurre la loro testarda e conservatrice polemica nei con-fronti dell’università»,48 ma un’epoca e un intero sistema appariranno

giunti al loro esaurimento: in seguito gli apparati funebri cominciarono a diversificarsi nelle soluzioni e nelle forme abbandonando, perlomeno nei confini del Regno di Sardegna, il ridondante corredo di iscrizioni e me-tafore spesso oscure per lapidari epitaffi rispettosi della limpidezza dei classici e del gusto dei moderni.

La scelta di portare l’attenzione su questi due casi, al di là della perti-nenza, seppure fievole, con l’esibizione della morte nel Pantheon degli Estensi, ha ragioni più fortemente metodologiche alle quali da qualche tempo sto cercando di rivolgere la mia attenzione. Studiare il tema dei funerali, e più in generale dell’effimero, necessita sempre di più di supe-rare le forme standardizzate, di ampliare il punto di vista e portare lo sguardo dall’analisi degli aspetti verbali o figurativi della produzione ba-rocca e tardo baba-rocca a un esame mirato del singolo apparato cercandone il contributo in termini storici e culturali. I documenti relativi a una ceri-monia funebre possono fornire, ad esempio attraverso le relazioni degli inviati o le condizioni che si generano intorno all’evento, elementi ag-giuntivi per comprendere mutamenti in atto, così nel caso di Maria Cate-rina d’Este le esequie torinesi contribuiscono a far luce sul delicato mo-mento di cambiamo-mento e di riforme che preludono l’avviarsi della sta-gione illuminista: i funerali, la loro organizzazione e il loro significato possono trasformarsi in sensibilissimi sismografi in grado di farci assu-mere conoscenze ulteriori e indicarci meno consuete vie di indagine.

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