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E i papà? Una revisione della letteratura alla scoperta della Depressione Postnatale (DPN) sofferta dagli uomini in transizione alla genitorialità per la prima volta _________________________________________________________

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Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

CORSO DI LAUREA IN CURE INFERMIERISTICHE

LAVORO DI TESI

(BACHELOR THESIS)

di

Domenighini Chiara

E i papà?

Una revisione della letteratura alla scoperta

della Depressione Postnatale (DPN) sofferta

dagli uomini in transizione alla genitorialità

per la prima volta.

____________________________________________________________________________

Direttrice di tesi

Rossi Nathalie

Anno Accademico 2018 – 2019

Manno, 31 luglio 2019

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1

Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana

Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale

CORSO DI LAUREA IN CURE INFERMIERISTICHE

LAVORO DI TESI

(BACHELOR THESIS)

di

Domenighini Chiara

E i papà?

Una revisione della letteratura alla scoperta

della Depressione Postnatale (DPN) sofferta

dagli uomini in transizione alla genitorialità

per la prima volta.

____________________________________________________________________________

Direttrice di tesi

Rossi Nathalie

Anno Accademico 2018 – 2019

Manno, 31 luglio 2019

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A tutti i papà che credono di non aver un ruolo importante nella nascita di un figlio. A tutti i papà che ho conosciuto e che si sono sentiti sbagliati.

A tutti i papà che hanno creduto di non farcela. A tutti i papà che, semplicemente, ancora non si sentivano papà.

“Una madre nasce contemporaneamente a suo figlio.

Un padre a volte aspetta degli anni prima di nascere.”

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LISTA DEGLI ACRONIMI

ATT: Age thirty transition

CES-D: Center of Epidemiological Studies-Depression Scale DEASS: Dipartimento Economia Aziendale, Sanità e Sociale DPN: Depressione postnatale

DPP: Depressione postparto / Depressione postpartum DSM: Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) EAT: Early adult transition

EAW: Entering into the adult world EBN: Evidence Based Nursing EBP: Evidence Based Practice

EPDS: Edinburgh Postnatal Depression Scale

IPV: Violenza da parte del partner intimo (Intimate Partner Violence) KMSS: Kansas Marital Satisfaction Scale

LdT: Lavoro di Tesi

MLT: Mid-life transition n.d.: Non definito/a

PICO: Patient Intervention Comparison Outcome

PP: Post-parto

PSOC: Parenting Sense of Competence Scale PSS: Perceived Stress Scale

RCT: Randomized Control Trial

SD: Settling down

SSRS: Social Support Rating Scale

SUPSI: Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana UST: Ufficio Fedarle di Statistica

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ABSTRACT

BACKGROUND

La nascita di un figlio, soprattutto se il primo, rappresenta per entrambi i genitori uno dei

marker events di vita caratterizzati da una grande vulnerabilità psicologica, in cui si è di

conseguenza sottoposti ad un rischio maggiore di sviluppare un disturbo affettivo. Rispetto alla depressione postparto della donna (DPP) la depressione postnatale (DPN) paterna è relativamente poco studiata e vi viene posta un’attenzione inferiore; nonostante questo sempre più studi scientifici dimostrano che anche gli uomini, nello specifico quelli in transizione alla genitorialità per la prima volta, possono sviluppare una DPN nel periodo successivo al parto. In ambito di prevenzione della malattia, risulta quindi fondamentale lavorare sull’informazione, l’educazione e la sensibilizzazione al problema.

OBIETTIVI

Lo scopo di questo lavoro di ricerca è quello di comprendere quale sia il rischio per un uomo che si confronta con la paternità per la prima volta di manifestare dei sintomi depressivi o di riscontrare una depressione postnatale nel corso del primo anno di vita del bambino, capire quali siano i suoi bisogni e in che modo gli infermieri possano intervenire al fine di prevenire la malattia e promuovere la salute psico-fisica paterna.

METODOLOGIA

La metodologia scelta al fine di rispondere alla domanda di ricerca è la revisione della letteratura. Le ricerche in letteratura sono state effettuate su sei diverse banche dati che hanno prodotto molteplici risultati, anche uguali fra loro, e da cui sono stati infine selezionati 5 articoli da includere nel lavoro di revisione. La validità di ognuno di questi è stata accertata attraverso una scala di valutazione specifica che ne ha confermato la qualità da un punto di vista di attendibilità a livello scientifico.

RISULTATI

Tutti e 5 gli articoli sono concordi sul fatto che la conclamazione della DPN nell’uomo sia scaturita essenzialmente in presenza di cinque fattori di rischio: un basso livello di scolarizzazione, un basso reddito, una gravidanza indesiderata, una scarsa percezione del supporto sociale e scarse informazioni, e, infine, la diagnosi di depressione postparto nella compagna. Oltre a questi, anche l’età dei neo-papà ed il livello di soddisfazione all’interno della coppia risultano essere fattori determinanti nello sviluppo di una DPN nel corso del primo anno di vita del bambino. Uno studio ha inoltre rilevato la preferenza ed il sesso del bambino, nel caso in cui nasca femmina, come un potenziale fattore di rischio.

CONCLUSIONI

A dipendenza dell’età, del periodo di rilevazione degli score depressivi e degli aspetti sociodemografici, gli uomini in transizione alla paternità per la prima volta riscontrano un rischio che varia dal 10,3% al 27,9% di sviluppare una DPN con i relativi sintomi simil depressivi. Dall’analisi degli studi inclusi nella ricerca effettuata si evince l’importanza per gli uomini di ottenere un supporto sia sociale che famigliare migliore e più elevato rispetto a quanto percepiscono e, soprattutto, il desiderio, nonché bisogno, di reperire un maggior numero di informazioni relative l’aspetto genitoriale nel suo complesso, dalla gravidanza, al parto e, infine, alle cure e alla crescita del bambino, in modo da affrontare la transizione alla paternità in maniera funzionale e positiva, preservando la loro salute mentale.

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SOMMARIO

1. INTRODUZIONE ... 3

1.1. Presentazione della tematica scelta ... 3

1.2. Motivazione personale e professionale ... 3

2. BACKGROUND ... 5

2.1. Transizione alla genitorialità e ruolo genitoriale ... 5

2.1.1. Il ruolo paterno ... 9

2.2. Fenomeni psichici e disturbi affettivi perinatali paterni ... 12

2.2.1. Depressione postnatale ... 13

3. METODOLOGIA DI RICERCA ... 18

3.1. Evidence Based Nursing (EBN) ... 18

3.2. Disegno di ricerca: la revisione della letteratura ... 19

3.3. Applicazione della metodologia di ricerca ... 24

3.3.1. Fase 1: Formulazione quesito clinico (PICO) e obiettivi della ricerca ... 24

3.3.2. Fase 2: Ricerca esaustiva e riproducibile delle informazioni inerenti al quesito clinico ... 25

3.3.3. Fase 3: Selezione sistematica in base ai criteri predefiniti di inclusione ed esclusione ... 25

3.3.4. Diagramma di flusso della selezione degli studi ... 27

3.4. Descrizione dei risultati della ricerca ... 28

3.4.1. Fase 4: Analisi della qualità metodologica degli studi ... 28

3.4.2. Fase 5: Sintesi quantitativa o qualitativa delle informazioni degli studi selezionati ... 29

4. DISCUSSIONE DELLA REVISIONE ... 36

4.1. Discussione dei risultati in relazione agli obiettivi ... 36

4.1.1. Fase 6: Discussione delle ragioni di concordanza e discordanza tra i risultati degli studi ... 36

4.2. Limiti degli studi e del lavoro di ricerca ... 38

4.3. Possibili sviluppi per la ricerca futura ... 39

4.4. Rilevanza clinica nella pratica infermieristica ... 40

5. CONCLUSIONI E CONSIDERAZIONI PERSONALI ... 43

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6. RINGRAZIAMENTI ... 45

7. FONTI ... 47

7.1. Bibliografia e articoli scientifici ... 47

7.2. Fotografie ... 51

7.3. Indice delle tabelle presenti nel LdT ... 51

7.4. Indice delle figure presenti nel LdT ... 51

8. ALLEGATI ... 52

8.1. Allegato A: Grafico età media alla nascita del primo figlio, secondo il sesso e il grado di formazione conclusa, in Ticino, nel 2013 ... 52

8.2. Allegato B: Tabella principali metodiche di valutazione dei disturbi affettivi perinatali ... 53

8.3. Allegato C: Tabella di descrizione dei risultati ottenuti della ricerca su banche dati e prima selezione degli articoli ... 54

8.4. Allegato D: Checklist di valutazione della ricerca di Duffy (originale) ... 56

8.5. Allegato E: Tabella riassuntiva della qualità degli articoli inclusi nel lavoro di revisione secondo la checklist di valutazione della ricerca di Duffy adattata al LdT ... 58

8.6. Allegato F: Tabella riassuntiva degli articoli inclusi nel lavoro di revisione ... 59

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1. INTRODUZIONE

1.1. PRESENTAZIONE DELLA TEMATICA SCELTA

Le conoscenze rispetto alla transizione alla genitorialità sono solitamente applicate per quella che è la prospettiva ed il vissuto delle donne in quanto, secondo uno sguardo sociale che si tramanda da anni, sono le principali attrici per tutto quello che riguarda la nascita e la cura del neonato. Da questo pattern mentale ne consegue una ridotta e limitata conoscenza della paternità e dell’esperienza del divenire padre (Halle et al., 2008).

La fase di transizione alla paternità, soprattutto negli uomini che divengono genitori per la prima volta, rappresenta un marker event di vita in cui la persona è sottoposta ad un rischio maggiore di sviluppare un disturbo depressivo in quanto vive un momento di grande fragilità e vulnerabilità psicologica (Kumar, Oliffe, & Kelly, 2018).

A livello sanitario, non sono unicamente i curanti in ambito pediatrico o le levatrici ad avere a che fare con i genitori, nello specifico con i papà. Bensì anche gli infermieri e le infermiere di altri settori come la medicina, la chirurgia, la psichiatria e altri reparti, possono trovarsi nella situazione di prendere a carico la cura di una donna gravida o già puerpera e, con lei, anche la sua rete famigliare (marito e bambino), o, in un caso ancora più specifico, direttamente la cura di un uomo che sta per divenire o è appena divenuto padre. Nell’ottica di presa a carico di queste tipologie di pazienti, l’infermiere in cure generali può svolgere un importante compito nell’implemento delle conoscenze rispetto la depressione postnatale nei papà, educando ed informando gli uomini e le donne in transizione alla genitorialità rispetto il problema. In maniera indiretta, i professionisti della cura possono riuscire a promuovere la conoscenza di questo disturbo affettivo paterno anche attraverso l’interazione con altri pazienti che possono essere, a livello sociale, i genitori, nonni, fratelli o sorelle o amici di coloro che stanno per avere un bambino o che hanno appena avuto un figlio (Melrose, 2010).

1.2. MOTIVAZIONE PERSONALE E PROFESSIONALE

La scelta di affrontare il tema della depressione postnatale nell’uomo nell’ambito di cura materno(/paterno)-pediatrico nasce, principalmente, come il bisogno ed il desiderio di dar risposta ad una domanda rispetto la quale stavo riflettendo da tempo. Un giorno, infatti, mentre aspettavo seduta nella sala d’attesa di un reparto di ginecologia ed ostetricia in ospedale, ho assistito all’accoglienza di tre donne partorienti, tutte accompagnate da un uomo che presumo fosse il loro compagno, marito, o comunque il padre (sia questo biologico o meno) della vita che portavano in grembo e che stava per venire alla luce. Ho visto le infermiere e le levatrici accogliere queste famiglie che stavano andando incontro ad un cambiamento sia di ruoli che di composizione, e ho visto gli uomini, i papà, attendere fuori dalle camere mentre la compagna veniva preparata. È stato quello il momento in cui mi sono chiesta quale potesse essere il vissuto dei neo-papà in relazione all’imminente nascita del loro bambino.

Dopo questo episodio ho effettuato uno stage come allieva infermiera presso il reparto di maternità dell’ospedale di Bellinzona e, durante i miei tre mesi di tirocinio, ho avuto il piacere di conoscere diversi neo-papà che per la prima volta si trovavano confrontati con il ruolo di genitore. Più di una volta ho sentito questi uomini dire che alla fine loro non avevano nessun ruolo nella nascita del loro bambino, che tutta la fatica l’aveva fatta la moglie e che loro “avevano solo dato la materia prima”. Diversi di loro mi hanno confessato ed hanno espresso i loro sentimenti di impotenza ed incapacità, oltre che di inutilità, di fronte al ruolo di genitore, al ruolo di papà.

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Oltre a quanto appena scritto, durante le lezioni del modulo “Alta Intensità 5: Percorso nascita ed assistenza alla donna”, si è parlato molto di quello che è il vissuto della partoriente durante la sua gravidanza e nel puerperio, minor attenzione è stata invece data a coloro che, allo stesso modo, vivono il parto e la nascita di un figlio in maniera diretta: i papà.

Facendo delle ricerche iniziali, pensavo di analizzare il ruolo infermieristico nella presa a carico dei papà in un reparto che già dal nome preclude il pensiero unicamente alla donna: colloquialmente si parla infatti di cure “materno-pediatriche” in quanto l’attenzione viene concentrata principalmente sulla relazione della diade mamma-bambino. Ma qual è il ruolo dei papà? Quali sono i loro vissuti?

Mi sono chiesta quali fossero i compiti ed il ruolo infermieristico in rapporto alla triade madre-padre-figlio, se vi fossero particolari attenzioni da dedicare anche agli uomini e come questi venissero coinvolti nelle fasi peripartuali.

Poi, una volta iniziata la ricerca su banche dati, ho trovato un interessante articolo che parlava della depressione postpartum nei papà e, andando avanti, le informazioni e le evidenze inerenti questo argomento sono iniziate ad apparire sempre di più. Con mio grande stupore ho scoperto che anche gli uomini possono soffrire di depressione postnatale e che questo fenomeno sia una problematica prettamente nuova e, di conseguenza, poco studiata. Ciononostante, questa tematica ha subito attirato la mia attenzione ed il mio interesse, motivo per il quale ho deciso di proseguire le mie ricerche nell’ottica di sviluppare questo tema come argomento di tesi.

Ammetto di essere capitata per caso alla mia scelta finale ma, con grande motivazione, ho deciso di affrontare il mio Lavoro di Bachelor su un tema relativamente attuale e poco studiato, rispetto al quale non vi è ancora sufficiente conoscenza e, quindi, prevenzione.

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2. BACKGROUND

La stesura di questo capitolo ha l’intento di permettere a colui che legge di entrare nel contesto dell’argomento scelto per il Lavoro di Bachelor, così da poter comprendere quale sia la correlazione fra la transizione alla genitorialità e la comparsa di depressione postnatale nell’uomo.

L’intento di questo elaborato è quello di trasmettere al lettore l’esistenza, non così rara, di una psicopatologia presente nel puerperio che affigge non solo le donne, bensì anche gli uomini, verso la quale al giorno d’oggi ancora non viene posta la dovuta attenzione e, quindi, prevenzione. Lo scopo di questo elaborato è quello di esporre una visione globale e completa rispetto alla tematica nel rispetto dei limiti degli obiettivi definiti dalla domanda di ricerca. Per questo motivo la prima parte sarà inerente alla descrizione del ruolo genitoriale, rivolgendo l’attenzione principalmente su quello del papà, e della depressione postnatale nelle sue caratteristiche rispetto sia la donna che, soprattutto, l’uomo.

2.1. TRANSIZIONE ALLA GENITORIALITÀ E RUOLO GENITORIALE

Visto che la genitorialità è un aspetto che viene associato all’età adulta, anche se non in tutti i casi è così, è opportuno parlare di ciò che Levinson (1979) tratta nel suo libro. L’autore, infatti, descrive il corso della vita come una sequenza di fasi alternanti di cambiamento e di consolidamento, ognuna delle quali ha una durata di sette anni. Ogni periodo di transizione che porta ad uno sviluppo della persona deve però raggiungere diversi compiti: fra questi rientra in primis il fatto di porre fine ad un’epoca della vita, ovvero un momento durante il quale ognuno sente il concludersi di una fase di vita, avendo la percezione soggettiva che vi sia l’inizio di qualcosa di nuovo. Di questa particolare fase Jung (1967) dice, però, che parlando a livello di elementi consci ed inconsci della persona è anche possibile che ci sia qualcuno che non accetti il concludersi di una fase e l’inizio di qualcos’altro (Jung, 1967; Levinson, 1979). Gli altri compiti caratteristici delle fasi di transizione sono quelli di accettare le perdite che il cambiamento di periodo di vita comporta, rivedere e rivalutare il passato decidendo cosa, di questo, conservare e mantenere, ed infine considerare i desideri e le possibilità che si hanno per il futuro mantenendo lo sguardo verso una prospettiva chiara e definita. La caratteristica delle fasi di transizione è l’effettuazione di scelte, le quali sono influenzate da eventi specifici che marcano il cambiamento nella biografia individuale: i markers events come il matrimonio o la nascita di un figlio, oltre che le malattie, la morte, ecc. (Levinson, 1979). Levinson (1979) nel suo libro parla inoltre di cinque tappe caratteristiche dell’età adulta: l’early adult transition (EAT) come termine per descrivere la prima età adulta che si verifica tra l’infanzia e l’adolescenza oltre che con la prima transizione all’età adulta; l’entering into the adult world (EAW) che definisce l’ingresso nel mondo dell’adulto; l’age

thirty transition (ATT), ovvero la transizione dei trent’anni; il setting down come fase di

stabilizzazione; ed infine la mid-life transizion (MLT), ovvero la transizione di mezza età (Levinson, 1979).

Secondo un’indagine svolta dall’Ufficio Federale di Statistica (UST) nel 2013 in Svizzera circa sei persone su dieci di età compresa tra i 20 e gli 80 anni è genitore di uno o più figli biologici: gli uomini con un dato del 59% mentre le donne del 65%. (Mosimann & Camenisch, 2015). Sempre in Svizzera risulta che la decisione di sposarsi e fondare una famiglia, ricollegandosi ai markers events di Levinson (1979), ha subito un mutamento: negli anni, infatti, l’età in cui ci si scambia le promesse ha subito un cambiamento passando da 24 anni per le donne e 26 anni per gli uomini nel 1970 ad una di 30 e rispettivamente di 32 nel 2013, così come si è visto anche un’evoluzione rispetto l’età media delle donne alla nascita del primo figlio che è passata da 25 a 30 anni (Ufficio

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Federale di Statistica [UST], 2015, pag. 8). Sempre secondo l’inchiesta svolta dall’UST nel 2013 su un campione di 17'289 persone, di cui 1'934 residenti in Ticino, si può notare che generalmente gli uomini e le donne Ticinesi hanno un’età media compresa tra i 25 e i 33 anni alla nascita del loro primo figlio; nello specifico degli uomini si parla principalmente di una media di età compresa tra i 30 e i 33 anni1 (Bottinelli, 2016).

Considerando i dati sopra esposti, è opportuno approfondire due delle cinque tappe dell’età adulta descritte da Levinson: quella dell’EAW e quella dell’ATT.

La fase di ingresso al mondo adulto, quella dell’entering into the adult world che avviene intorno ai vent’anni, è un momento del ciclo di vita costruito su una struttura che si basa su due compiti: quello di esplorazione delle diverse possibilità e delle varie opzioni; e quello rispetto il desiderio di stabilità che consiste nella creazione di una struttura stabile della vita attraverso le scelte e gli impegni assunti, perlopiù tramite la scelta in ambito lavorativo e del proprio partner amoroso, lo sviluppo di obiettivi di vita e la costruzione di un’idea di vita più strutturata (Levinson, 1979).

Durante l’age thirty transition, ovvero la fase di transizione dei trent’anni, viene fornita la possibilità di modificare la prima struttura della vita adulta. È un periodo di vita annunciato dalla sensazione che la vita stia diventando più seria e nel quale si inizia a percepire il passaggio del tempo. È un momento in cui si ha un maggior desiderio di stabilità e si comincia a capire cosa sia importante scegliendo sulla base delle proprie priorità e tenendo in considerazione l’importanza che il tempo inizia ad acquisire. Sempre in questa fase vi è un consolidamento della propria persona all’interno della società, facendo inoltre progressi ed affermando il proprio ruolo in ambito lavorativo. In questo periodo le coppie che non hanno ancora avuto dei figli sono portate a rivalutare le loro scelte ed il loro rapporto col partner, confrontandosi poi con l’eventualità di scegliere se dare una svolta alla propria vita diventando genitori o meno (Levinson, 1979).

Bettelheim (1987) descrive il termine genitorialità come “una funzione dinamica, attraverso la quale individui adulti si rendono capaci di prendersi cura in modo sufficientemente adeguato dei bisogni evolutivi dei figli nelle diverse fasi d’età, in cui i compiti di sviluppo si presentano con una propria e distinta specificità che può -e deve- variare e modificarsi nel tempo per non andare incontro ad intoppi relazionali” (citato in Castelli, 2008, p. 234). La nascita di un figlio, come descritto da Scarzello (2007), “rappresenta un momento cruciale all’interno del ciclo di vita” (p. 57), in quanto comporta la ricostruzione sia della propria identità che della relazione all’interno della vita di coppia e del ruolo genitoriale, insieme ad un riadattamento dei rapporti con le proprie figure genitoriali ripercorrendo la propria storia di vita. La transizione alla genitorialità è un “evento critico in termini di trasformazione del Sé” (Scarzello, 2007, p. 57).

Il concetto psicologico di genitorialità si riferisce, come scritto da Stoleru e Morales-Huet (1989), “all’insieme delle rappresentazioni, degli affetti e dei comportamenti del soggetto in rapporto al proprio bambino o ai propri bambini, che siano nati, in gestazione o non ancora concepiti” (citato in Missonnier, 2005, p. 44). La genitorialità, sempre nel libro di Missonnier (2005), non viene definita come un’istanza della personalità, “ma piuttosto un settore del funzionamento di tale istanza” (p. 45). Diventare genitori non è un episodio circoscritto nel tempo, bensì un cambiamento che dura per tutta la vita e comprendente i compiti collegati ai ruoli e alle mansioni che ciascun elemento occupa all’interno del sistema famigliare (Castelli, 2008).

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La genitorialità consiste nella collaborazione di due elementi in evoluzione singolari fra loro: il divenire madre, quindi la “maternità”, ed il divenire padre, ovvero la “paternità”, definiti all’interno di un contesto di sessualità e coniugalità (Missonnier, 2005). Oggigiorno la cura di un neonato non è più un concetto limitato, a livello sociale, solo alla figura femminile della coppia, ma anche il padre gioca un ruolo fondamentale nella genitorialità e nello sviluppo del bambino (Halle et al., 2008).

Numerosi studi nel corso degli anni si sono concentrati su come l’identità vari durante la fase di transizione alla genitorialità soprattutto per quanto riguarda le donne, ovvero il loro divenire madri, e a come le modificazioni del Sé si collegassero alle rappresentazioni materne sia prima che dopo la nascita del proprio bambino. Nonostante vi siano diverse ricerche rispetto la transizione alla maternità, dalla letteratura disponibile si nota che non è mai stata data attenzione, se non di recente, alla funzione riflessiva e alle rappresentazioni mentali da parte dei neo-papà durante e dopo la gravidanza (Missonnier, 2005; Scarzello, 2007). Essere genitori, nella peculiarità di cura e sostegno della prole, si riconduce al significato di responsabilità, flessibilità e di adattamento continuo. Il binomio genitore-adulto è riconducibile al concetto di cambiamento e di crescita, oltre che di evoluzione continua, che rappresenta il divenire adulti: si tratta di un’evoluzione e cambiamento che si traduce anche nella mutazione dei ruoli e delle relazioni di coppia, coi figli e, in generale, con la società (Castelli, 2008; Halle et al., 2008). Con la nascita di un figlio la coppia vive un importante cambiamento divenendo, per la prima volta, un sistema permanente: nel momento in cui vi è la nascita di un neonato nasce anche una neo-famiglia (Castelli, 2008; Rossi, 2011). Questa è come un individuo che nasce quando viene al mondo il bambino e, come tale, anche questa necessita di un accudimento e di una protezione al fine di potersi sviluppare in modo sano e funzionante. Quando un figlio entra a far parte della vita della coppia l’equilibrio del sistema uomo-donna viene sollecitato al cambiamento, in quanto si passa da una diade ad una triade; in cui è richiesto ad ogni membro, quindi sia alla madre che al padre, un nuovo adattamento visto il passaggio da una situazione di equilibrio ad una caotica che necessita di riorganizzazione (Saraceno, 2012).

A livello etimologico, come definito all’interno dell’enciclopedia Treccani, con il termine

genitore ci si riferisce a “colui che genera o ha generato, quindi il padre” (Treccani, s.d.).

Quando parliamo di madre, nell’immaginario si fa riferimento a “[…] ciò da cui una cosa procede, ciò che produce, che contiene e quindi in generale è l’origine, la sorgente, la causa, il principio, il fondamento di una cosa […]” (Bonomi, 2008). Il padre, invece, è colui “[…] che tiene il concetto di proteggere ed anche quello di nutrire […]” (Bonomi, 2008). Conseguentemente alle definizioni dei vari concetti che ruotano intorno all’essere genitori è quindi corretto dire che sia la maternità che la paternità non sono mai un singolo evento biologico, bensì un evento successivo ad un desiderio. Di conseguenza diventare genitori da un punto di vista sociale, come anche educativo, è una scelta ed una responsabilità e non un semplice atto biologico (Recalcati, 2011).

Nel libro di Volta (2008), si dice che durante tutta la gravidanza la donna vive fisicamente il bambino che sta per nascere in quanto il suo corpo subisce dei cambiamenti sostanziali. L’uomo, invece, non prova l’esperienza del mutamento fisico e, sempre nel libro di Volta (2008), riferiscono che per loro “non cambia nulla e dobbiamo inventarci emozioni e sensazioni soltanto con la mente, anche se, a volte, durante il lavoro quotidiano capita che ci dimentichiamo che siamo in attesa di un bambino” (p. 57). Sentirsi padre senza poter fisicamente entrare in contatto con il proprio bambino può risultare un compito alquanto arduo, aspetto diverso nelle donne che invece si mostrano e sentono già madri (Volta, 2008). I neo-papà ammettono che assistere alla nascita del proprio bambino sia

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come rivivere la propria nascita e che, nonostante tutto il “lavoro fisico” che concerne il parto venga fatto dalla propria compagna, la sensazione che si prova non appena si guarda il neonato, e ci si mostra allo stesso tempo a lui, sia come di essere stati loro stessi ad averlo partorito, il tutto nel proprio modo utilizzando la propria mente e la propria anima anziché il corpo come invece fa la donna. Per questo motivo, ovvero per l’esistenza di un momento in cui si realizza l’attaccamento sia mentale che fisico col proprio bambino, i neo-papà desiderano stare in sala parto, questo non solo per aiutare la propria compagna amorosa, ma anche per sostenere il proprio figlio fin dall’inizio della sua vita proteggendolo ed incoraggiandolo: da questo momento, ovvero da quando si incontra per la prima volta lo sguardo del proprio bambino, un uomo si sente padre, attuando e concretizzando tutti gli ideali inerenti al ruolo del papà suggeriti dalla società (Missonnier, 2005; Volta, 2008). Per assumere la funzione genitoriale, come descritto nel libro di Castelli (2008), è importante un “passaggio d’identità da quella di figlio dei propri genitori a quello di genitore dei propri figli” (p. 235).

La genitorialità è quindi una dimensione della persona che si sviluppa fin dall’infanzia e trova fondamenta in alcuni punti cardine identificati grazie alla Teoria dell’Attaccamento descritta da Bowlby (1979) e determinati dal fatto di aver sperimentato ed appreso, nella propria esperienza di figlio, la capacità di sapersi attaccare, di cogliere lo stato della mente dell’altro, di riconoscerne la soggettività e di accettare il cambiamento di questo, oltre che la sua diversità. La funzione fondamentale della genitorialità come descritto nel libro di Castelli (2008), consiste quindi nel “saper riconoscere i segnali di bisogno dell’altro” (p. 239). Questa competenza, come pure le altre precedentemente citate, richiedono al genitore di decentralizzare l’attenzione da sé stesso, ovvero dal figlio che è stato, spostandola al figlio reale, alla sua prole, così da poter accogliere i suoi bisogni inespressi e fornirgli una risposta, anche a livello corporeo, dal cui feedback si strutturano le relazioni funzionali all’interno della famiglia (Castelli, 2008).

Una funzione fondamentale del genitore, secondo la Teoria dell’Attaccamento, è quella di fornire una base sicura (secure base) ai propri figli: questa consiste infatti nel favorire un clima di fiducia e sostegno. La necessità di sapere di poter contare su persone che costituiscono una base sicura permane per tutta la vita ed è evidente anche nel corso dell’età adulta, in particolare in quella che è la relazione di coppia (Baldoni, 2016).

Anche nella formulazione della teoria di Bowlby, come per quanto riguarda le funzioni maschili all’interno della famiglia da un punto di vista psicologico, il ruolo del padre è stato a lungo sottovalutato; forse come conseguenza di un imprinting culturale ed atteggiamento che lo stesso autore ha concentrato rispetto la funzione della madre come unica figura di attaccamento (Newland & Coyl, 2010).

Occorre pensare anche alle dinamiche sociali che intercorrono con la nascita di un bambino: difatti, avere un figlio, significa dare un nipote ai nonni, far divenire i propri fratelli e sorelle zii, dare un fratellino o sorellina ad un figlio che c’è già e così via. In sostanza, avere un figlio genera rapporti di parentela (Saraceno, 2012).

L’evoluzione dinamica delle relazioni costruite all’interno della vita famigliare indica, nella funzione principale dell’essere genitori, la capacità di attivare dei comportamenti all’interno di uno spazio sia mentale che relazionale, in cui siano presenti tutte le esperienze, le rappresentazioni, i ricordi, le convinzioni, le fantasie, le angosce, i modelli comportamentali e relazionali ed i desideri coltivati e vissuti nella propria storia famigliare. Le interazioni, reali o meno, con le figure adulte significative con cui si ha avuto a che fare nel corso della propria vita fanno sì che venga costituito nella mente di ogni singolo individuo la formazione di un “genitore interno”, da cui dipendono i giudizi ed i modelli relazionali che vengono utilizzati nel corso dell’età adulta al fine di rapportarsi con gli altri (Castelli, 2008).

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Con la modifica della struttura della famiglia e delle dinamiche all’interno della coppia coniugale. anche la relazione fra l’uomo e la donna subisce, o rischia di subire, una mutazione. La qualità della relazione della coppia coniugale sembra avere un’influenza diretta anche sulla qualità della relazione genitoriale: una “buona coppia” e, di conseguenza, una famiglia con una “buona funzione genitoriale” risulta essere quella che accoglie la gravidanza, sia questa programmata e desiderata o meno, in maniera positiva e funzionale, esprimendo e gestendo le emozioni che la genitorialità suscita, oltre che mantenendo una buona sessualità (Saraceno, 2012; Simonelli, Petech, Bighin, & Fava Viziello, 2006).

Saraceno (2012) ha definito degli indicatori che risultano essere favorevoli o meno per la coppia coniugale sia prima che dopo la nascita di un figlio. Fra gli indicatori favorevoli prima della nascita rientrano la gravidanza come progetto di coppia, le aspettative realistiche rispetto ai primi mesi di vita del bambino, il supporto affettivo da parte dell’uomo come contenitore emotivo delle ansie e delle paure della gestante e la disponibilità di uno spazio di pensiero per l’altro, ovvero la disponibilità ad arretrare, diminuire e fare spazio decentrandosi dal pensiero di sé stessi. Al contrario, invece, gli indicatori sfavorevoli prima della nascita comprendono la gravidanza come agito di coppia secondario ad un rapporto non protetto e non ad un desiderio comune, la difficoltà ad accettare la gravidanza anche se programmata ed attesa, la difficoltà a rappresentarsi il figlio e la nuova situazione famigliare e, infine, il ripiegamento su paure ed intense preoccupazioni (Epifanio, Genna, De Luca, Roccella, & La Grutta, 2015; Missonnier, 2005; Saraceno, 2012).

Per quanto riguarda invece il periodo successivo alla nascita, gli indicatori favorevoli nella coppia sono il rapporto con il neonato caratterizzato da curiosità e volontà oltre che collaborazione col partner, il riconoscimento del cambiamento avvenuto, inevitabile ma gestibile, sia a livello fisico che del ruolo sociale e relazionale all’interno della famiglia, e la relazione di coppia che, nonostante i vari sacrifici dovuti alla modifica della struttura del sistema famigliare, riesce a ritagliarsi comunque dei momenti e degli spazi per la diade moglie-marito (Saraceno, 2012; Simonelli et al., 2006; Volta, 2008). Fra gli indicatori sfavorevoli, invece, rientrano il fatto di vivere un cambiamento come incontrollabile con un senso di impotenza, essere sommersi dalla fatica che il ruolo genitoriale implica, l’assenza della percezione di un supporto sociale ed il non contenimento delle ansie con, piuttosto, una squalifica reciproca fra i due elementi della coppia e, infine, il completo assorbimento da parte del figlio della relazione di coppia che ne implica la scomparsa da un punto di vista sia amoroso che sessuale (Epifanio et al., 2015; Missonnier, 2005; Saraceno, 2012).

2.1.1. IL RUOLO PATERNO

Il ruolo del padre è stato molto valorizzato da Freud (1922) che ha riconosciuto la sua importanza soprattutto per quanto riguarda i processi connessi al complesso di Edipo, allo sviluppo dell’identità sessuale e a quello di un modello di vita di coppia, oltre che all’interiorizzazione di un codice etico e morale attraverso lo sviluppo del Super-Io. Al di fuori del periodo edipico del bambino, che ha luogo a circa 4 o 5 anni, però, non sono ancora stati effettuati sufficienti studi che permettano una conoscenza adeguata delle funzioni svolte dal padre (Baldoni, 2012; Freud, 1992).

Nonostante per lungo tempo la maggior parte degli studi di psicologia dell’età evolutiva abbia considerato il bambino nell’interazione con un solo genitore, concentrandosi sulla diade madre-figlio (Newland & Coyl, 2010), i dati più recenti suggeriscono invece che il padre sia estremamente importante fin dai primi mesi di vita, ma che nonostante questo, come già detto in precedenza, il suo ruolo debba ancora essere studiato non solo

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all’interno della relazione diretta con il bambino, ma anche in una prospettiva triadica che comprenda la madre. Il differente ruolo del padre all’interno del ciclo di vita famigliare può essere interpretato, nell’ottica di una famiglia triadica, secondo la teoria dell’attaccamento e del concetto di base sicura di Bowlby (Baldoni, 2012).

Sia durante la gravidanza che durante l’infanzia della prole uno dei compiti fondamentali del padre è quello di garantire le condizioni affinché la relazione tra madre e figlio si sviluppi e si mantenga in modo adeguato: questo si traduce in primo luogo occupandosi dei problemi di ordine pratico come garantire un’abitazione confortevole e sicura, fornire un sostegno economico, procurare le vivande ed altri beni necessari, relazionandosi con l’ambiente extra-famigliare proteggendo la famiglia da chiunque voglia recarle danno e risolvendo eventuali problemi e conflitti, siano questi interni o esterni alla struttura famigliare (Baldoni, 2012).

Un’altra funzione di grande importanza svolta dall’uomo è quella di proteggere la propria compagna nei periodi in cui è maggiormente esposta a condizioni di potenziale pericolo e a problemi fisici o emotivi, come nel corso della gravidanza e durante il periodo di emancipazione dei figli: momenti in cui la donna non solo subisce un cambiamento a livello fisico e ormonale, ma anche una mutazione rispetto al suo ruolo come donna e come madre. Il padre in questi casi ha infatti il compito fondamentale di aiutare la propria compagna a mantenere livelli accettabili di sofferenza e problematicità così da poter superare le difficoltà con le quali si confronta (Baldoni, 2012; Recalcati, 2011).

L’uomo ormai divenuto padre, una volta a casa, vuole essere in grado di occuparsi del proprio bambino cambiandogli i pannolini, facendolo addormentare e portandolo a spasso imitando i comportamenti delle mamme, facendo il “mammo”; questo principalmente per imparare a conoscere e farsi conoscere dal proprio figlio, piuttosto che per ricoprire un ruolo sociale legato alla genitorialità. Un tempo i papà non si curavano troppo dell’accudimento dei propri figli in quanto vigevano diversi stereotipi culturali e sociali rispetto a quale dei genitori avesse il ruolo ed il dovere di curare e crescere un figlio, ovvero la madre. Dopo il parto, però, gli uomini si accorgono che una volta a casa la propria moglie vive momenti in cui è felice ed altri in cui si sente più triste, manifestando contemporaneamente panico e mancanza di energie: questi stati preoccupano allo stesso modo l’uomo che, non sapendo di preciso cosa fare e non volendo farsi prendere dalla paura, cerca di nascondere le proprie insicurezze dedicandosi il più possibile alla propria compagna, cercando di non farla sentire sola nel suo nuovo ruolo sociale e nella sua maternità (Volta, 2008).

Per quanto riguarda l’accudimento del neonato, comunque, oggigiorno possiamo osservare due diversi tipi di padri che si posizionano secondo i seguenti poli: i padri partecipanti, ovvero coloro che vogliono intervenire il più possibile nella cura del bambino; ed i padri rinunciatari, quindi quelli che non aderiscono alle proprie capacità di accudimento (Recalcati, 2011). Nello specifico delle due categorie, i padri partecipanti sono coloro che esprimono un modello culturale di famiglia basata sulla collaborazione della coppia coniugale. Questi neo-papà possono vivere, alle volte in maniera straziante, un sentimento di impotenza nell’assistere la compagna durante il travaglio in quanto, come detto in precedenza, risulta per loro difficile comprendere lo sforzo e lo stress fisico che la loro compagna vive in quel momento (Argentieri, 2014; Recalcati, 2011). Ciononostante, sempre più uomini partecipano ai corsi pre-parto e vogliono essere presenti durante il travaglio e nel momento dalla nascita del loro piccolo, come anche per tutto quello che riguarda le cure del neonato verso le quali esprimono sempre più la volontà ed il desiderio di eseguire in autonomia una volta compreso il modo corretto di

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effettuarle (Halle et al., 2008). Nonostante questo genere di neo-papà attinga positivamente all’esperienza affettiva avvenuta con le proprie figure di accudimento riproponendola verso il proprio figlio, anche nel padre partecipante può emergere l’istinto competitivo nei confronti della propria compagna: se infatti ognuno, singolarmente, nella coppia genitoriale cerca l’esclusività nella relazione con il neonato, vi è il rischio di un’elevata conflittualità. Una buona soluzione a questa potenziale problematica potrebbe essere la suddivisione dei compiti di accudimento (Recalcati, 2011).

Al contrario, invece, i padri rinunciatari presentano una considerazione patriarcale della famiglia in cui vi è una suddivisione netta dei ruoli famigliari e della divisione del lavoro e distanziando, o evitando, i ricordi affettivi vissuti con le proprie figure di accudimento affermando unicamente il loro compito di provvedere ai bisogni economici e alla protezione della famiglia. Per la coppia genitoriale che funziona secondo questo modello, basato sulla suddivisione dei compiti secondo i ruoli di genere, la madre svolge quasi esclusivamente una funzione di accudimento e il padre resta emotivamente ai margini. Nel caso dei padri rinunciatari, se la loro compagna dovesse richiedere di essere alleggerita in quelli che sono i compiti di accudimento, o esprima il desiderio di riprendere il lavoro, la funzione di accudimento viene generalmente proiettata all’assunzione di una

baby sitter piuttosto che nel coinvolgimento dei nonni o di altri parenti, e non nell’aiuto e

nell’assistenza da parte del padre del bambino (Argentieri, 2014; Recalcati, 2011). Le ricerche effettuate da Zimmermann e Grossmann (1997) (citato in Baldoni, 2012), come anche confermato da studi più recenti (Fletcher et al., 2017; Garfield et al., 2014; Halle et al., 2008), hanno dimostrato che un padre senza particolari problemi a livello psicologico o disturbi comportamentali, che di conseguenza riesce a fornire una base sicura ed adeguata sia alla compagna che ai figli, è in grado di svolgere un’azione protettiva nei confronti della famiglia promuovendo inoltre il benessere e la crescita di questa. Questi, insieme ad altri dati e studi rispetto l’attaccamento dei figli al padre e alla sensibilità che un papà mostra verso il gioco col bambino, confermano l’influenza significativa e duratura, fin dalla prima infanzia, della qualità del rapporto che un bambino matura con il proprio papà, basato sullo sviluppo di uno stile di attaccamento sicuro e di valide capacità di esplorazione, autonomia e di adattamento (Baldoni, 2012).

Al contrario un padre insicuro, ansioso, depresso e che manifesta comportamenti disfunzionali, ovvero il rifiuto del ruolo genitoriale, lo scarso coinvolgimento nella vita famigliare, l’ostilità, comportamenti violenti, alcolismo o altre forme di dipendenza in termini di patologia ed alterazioni del comportamento di malattia, come la somatizzazione, la preoccupazione e l’ipocondria, non sarà in grado di svolgere adeguatamente il proprio ruolo protettivo, generando così una situazione favorevole allo sviluppo di disturbi emotivi nella madre e problemi a livello psicologico e cognitivo nel figlio che, a sua volta, tenderà ad adattarsi alle situazioni attraverso uno stile di attaccamento insicuro (Baldoni, 2012; Newland & Coyl, 2010).

Le affermazioni riportate all’interno dei vari studi sopracitati invitano a riflettere rispetto la tendenza della nostra società di valorizzare nei giovani padri lo svolgimento di funzioni sostanzialmente materne come l’accudimento del neonato, l’alimentazione o il cambio del pannolino, sottovalutando di conseguenza le funzioni proprie dell’uomo e mettendolo, sporadicamente, in competizione con la madre del proprio bambino (Argentieri, 2014). Al fine di comprendere i processi di adattamento, oltre che le difficoltà psicologiche della famiglia nel corso dei momenti significativi del ciclo di vita, è essenziale studiare anche i papà considerando la loro funzione in una prospettiva triadica (Baldoni, 2012).

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2.2. FENOMENI PSICHICI E DISTURBI AFFETTIVI PERINATALI PATERNI

Fra i fenomeni psichici che possono affliggere i neo papà nel periodo successivo, ma anche precedente, alla nascita di un figlio vi sono: la sindrome della couvade, l’acting out comportamentale della paternità e, infine, i disturbi affettivi perinatali paterni specifici (Baldoni, 2012; Recalcati, 2011).

La sindrome della couvade è un fenomeno piuttosto comune e sostanzialmente normale nell’uomo che si trova di fronte alla nascita di un figlio. Questo tipo di disturbo è caratterizzato dalla manifestazione di sintomi somatici come la perdita dell’appetito, la nausea ed il vomito, l’odontalgia ed i dolori in loggia renale, le affezioni dermatologiche e gli herpes. Tutte queste manifestazioni su un piano sintomatologico, insieme alle ansie e preoccupazioni riferite dai padri, sono delle imitazioni femminili della gestante che hanno origine nella parte inconscia della psiche con lo scopo di difendere l’uomo dalle angosce e dai conflitti psichici che si attivano, o riattivano, in corrispondenza della transizione alla paternità; questa sindrome è principalmente presente nel periodo precedente al parto (Baldoni, 2012).

L’acting out comportamentale della paternità, invece, è un agire attuato al fine di non pensare. Si tratta infatti di comportamenti transitori in contrasto con le solite abitudini, usanze ed atteggiamenti che l’uomo mette in atto. Vi sono tre principali categorie di acting

out nei neo papà, soprattutto se è la prima volta che questi si confrontano con la

transizione alla genitorialità: le lotte, le fughe e le attività sessuali (Baldoni, 2012; Recalcati, 2011). Le prime, le lotte, sono caratterizzate da un’improvvisa iperattività fisica soprattutto in attività sportive. Non sono rari gli incidenti automobilistici secondari ad un abuso etile che avvengono in coincidenza con la nascita di un figlio e, allo stesso modo, vi è anche un elevato tasso di litigi ed aggressività nei confronti della propria famiglia di origine, di quella della moglie, dei colleghi di lavoro, oppure nei confronti del personale sanitario ospedaliero (Recalcati, 2011).

Le fughe, invece, corrispondono ad un aumento considerevole e frenetico dell’attività lavorativa subito prima o nell’immediato momento successivo alla nascita di un figlio. Queste hanno lo scopo di evadere dalla nuova struttura famigliare che si è creata e dalle dinamiche che si creano in questa. Spesso si assiste ad un cambio di lavoro o di casa, ad un abuso etile o di altre sostanze stupefacenti, del gioco di azzardo come anche di internet o, infine, nel peggiore dei casi, ad un allontanamento vero e proprio e scomparsa dalla vita famigliare definitiva (Recalcati, 2011).

Per quanto riguarda l’ultimo tipo di acting out, vale a dire l’aspetto relativo le attività sessuali, sono due i poli ai quali si può assistere: il primo è un’interruzione dei rapporti sessuali durante e dopo la gravidanza, motivata dal timore di recar danno al feto o di subire in prima persona un danno -si tratta di una paura causata dalla riattivazione di angosce edipiche collegate ai rapporti sessuali con la donna che veste i panni della madre-; mentre il secondo è l’inizio di relazioni extraconiugali (Recalcati, 2011).

I disturbi affettivi paterni, infine, sono delle problematiche che riguardano una parte della popolazione che, nello specifico, presenta determinate difficoltà a regolare ed elaborare psicologicamente le emozioni in modo da trasformarle in affetti e sentimenti, si parla quindi di una difficoltà di mentalizzazione (Baldoni, 2012; Baldoni & Giannotti, 2017). Questi disturbi vengono spesso sottovalutati o non diagnosticati, anche a causa dell’assenza di uno strumento di diagnosi specifico per gli uomini. Fra questi tipi di problematiche rientrano la psicosi “puerperale” paterna e la depressione postnatale

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paterna (Baldoni & Giannotti, 2017). Quest’ultima verrà spiegata in maniera approfondita nel sotto capitolo seguente.

La psicosi “puerperale” paterna è una crisi psicotica dovuta ad uno scompenso fra gli stimoli della realtà esterna, quindi la nascita di un figlio, e la loro inclusione affettiva e cognitiva nel mondo mentale dell’uomo, del papà. È un disturbo caratterizzato da sintomi come il pensiero disorganizzato, i deliri e le allucinazioni. L’esordio, di norma, è acuto e di durata limitata in quanto ha una buona risposta ai trattamenti farmacologici d’urgenza per il trattamento delle psicosi, mantenendo inoltre un buon recupero del livello precedente di funzionamento mentale. Spesso prima della manifestazione di questo tipo di psicosi è possibile notare un rapporto difficile con i propri genitori, un legame preferenziale o simbiotico con la madre ed un ruolo dipendente nella coppia (Baldoni & Giannotti, 2017; Recalcati, 2011).

2.2.1. DEPRESSIONE POSTNATALE

La depressione postnatale (DPN) è, insieme al maternity blues o baby blues, al disturbo da stress post-traumatico postnatale e alla psicosi puerperale, uno dei disturbi psicologici perinatali riconosciuti nel periodo successivo al parto (Monti & Agostini, 2006).

La DPN rappresenta, con una frequenza di circa il 10-15% delle donne madri per la prima volta nei paesi occidentali, uno dei disturbi mentali associati alla perinatalità che si presenta con una durata variabile da alcuni mesi ad anni a dipendenza della severità dei sintomi (Epifanio et al., 2015; Harrison & White, 2017; Monti & Agostini, 2006).

Secondo una statistica effettuata dall’UST, nel 2017 in Svizzera sono nati 84'959 bambini, il cui 15% delle madri, quindi quasi 13mila donne, ha sofferto di depressione postpartum (DPP) o, addirittura, di psicosi puerperale (Associazione Depressione Postnatale Svizzera, s.d.-a; Club Hello Family, s.d.; Schraner & Meier Magistretti, 2016).

Tuttavia, anche i neo-papà possono ammalarsi di depressione nel periodo postnatale. Secondo lo studio condotto da Schraner e Meier Magistretti (2016) in Svizzera gli uomini le cui mogli soffrono di depressione postparto hanno un rischio che varia dal 24% al 50% di riscontrare loro stessi una DPN: nel caso che questa si verifichi nell’uomo, si potrebbe parlare di “infezione depressiva”, in quanto avviene a seguito della depressione postpartum della compagna (Associazione Depressione Postnatale Svizzera, s.d.-b; Schraner & Meier Magistretti, 2016).

Una delle caratteristiche più impressionanti della depressione postnatale, come descritto nel libro di Milgrom e altri (2003), è l’impatto che questa ha non solo sulla donna, bensì anche sul bimbo che è venuto al mondo e sul padre del bambino.

Nonostante vi sia un aumento delle ricerche rispetto le patologie mentali dei neo-papà, la depressione postnatale nell’uomo risulta essere comunque un fenomeno molto poco studiato rispetto a quella che è la depressione postpartum nella donna -verso la quale si presta invece maggior attenzione e ricerca- (Harrison & White, 2017; Molgora, Fenaroli, Malgaroli, & Saita, 2017; Nanzer, 2009).

La DPN nei papà risulta essere un concetto fondamentale di salute pubblica oltre che un problema di salute pubblica, questo in quanto si tratta di una patologia sotto-diagnosticata vista la carenza di conoscenza rispetto al tema (Harrison & White, 2017). La mancata diagnosi della depressione postnatale nei papà è associata all’assenza di criteri ufficiali per diagnosticarla; vengono infatti usati quelli per descrivere la depressione postpartum nella donna secondo il DSM V. Principalmente, la barriera più grande percepita dai neo-papà è la mancanza di conoscenze rispetto la depressione postnatale nell’uomo e alla sua manifestazione: gli uomini, a differenza delle neo-mamme il cui quadro sintomatologico è di tipo prettamente depressivo, mostrano un distress emotivo con comportamenti distruttivi e segni e sintomi di ansia (Anokye, Acheampong,

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Ainooson, Obeng, & Akwasi, 2018; Cameron, Hunter, Sedov, & Tomfohr-Madsen, 2017; Epifanio et al., 2015; Milgrom, Paul R. Martin, Lisa M. Negri, & Quatraro, 2003; Strayer & Cabrera, 2016).

Nonostante il campione sottoposto ai vari studi rispetto la depressione postnatale nei papà sia molto piccolo, a conferma del fatto che si tratti di un fenomeno relativamente nuovo e poco studiato, a livello epidemiologico si stima che circa il 10% degli uomini in transizione alla paternità per la prima volta soffrano di DPN, o di un'altra psicopatologia, dopo la nascita del loro figlio, e che la prevalenza di questo disturbo si manifesti principalmente durante i primi 3-6 mesi che seguono il parto fino al primo anno di vita del bambino (Epifanio et al., 2015; Harrison & White, 2017; Nanzer, 2009).

Vi sono studi che ipotizzano e dimostrano inoltre che la DPN sia maggiormente presente nei papà che vivono per la prima volta la transizione alla genitorialità: il primo confronto con il ruolo genitoriale rappresenta un fattore di rischio simile sia per quanto riguarda la transizione alla maternità, che per quella che è la transizione alla paternità. Parlando sempre di genitorialità, anche l’età del padre rappresenta un fattore di rischio nello sviluppo della depressione postnatale, questo viene legato ad un discorso di responsabilità, di stressori finanziari rispetto all’attività lavorativa, alla presenza o all’assenza del congedo di paternità o alla sua ridotta tempistica e, soprattutto, alle aspettative che un uomo si fa rispetto al ruolo genitoriale e alla nascita di un figlio (Cameron, Sedov, & Tomfohr-Madsen, 2016; Strayer & Cabrera, 2016).

L’eziologia della DPN rimane comunque idiopatica; nonostante a livello scientifico vi siano delle evidenze che dimostrano che alti livelli di testosterone siano un fattore protettivo della depressione postnatale nei neo-papà, quanto però un fattore di rischio per la manifestazione della depressione post parto nelle neo-mamme, e di come quindi ridotti livelli di questo ormone, ma anche di altri come gli estrogeni, la vasopressina, la prolattina ed il cortisolo, concorrano nello sviluppo della DPN (Epifanio et al., 2015).

In quanto, generalmente, vi è la necessità di dare una causa alla comparsa di una patologia, anche per la depressione postparto si è voluto provare a dare un significato ed un motivo al suo manifestarsi. Sulla base del fatto che l’origine della DPN è idiopatica, sono state fatte diverse ricerche per quanto riguarda i fattori di rischio che intercorrono nella comparsa di questa patologia individuandone quattro: i fattori di rischio di tipo biologico, psicosociale, psicologico, e, infine, quelli di tipo ambientale (Monti & Agostini, 2006; Nanzer, 2009).

Nel momento in cui l’origine di una patologia è sconosciuta, la prima pista che si segue nella scoperta di una causa o fattore di rischio è quella legata al corpo, quindi il fattore di rischio biologico. È importante sottolineare che, a oggi, spesso le ricerche sui marcatori biologici portano a dei risultati incerti in quanto sovente mancano della possibilità di ripetibilità nel processo scientifico. Tuttavia, nell’uomo non sono comunque ancora state effettuate delle ricerche scientifiche, se non quelle legate ai livelli di testosterone, rispetto il rischio di sviluppare una DPN da un punto di vista biologico (Monti & Agostini, 2006; Nanzer, 2009).

Rispetto ai fattori di rischio psicosociali e psicologici, gli studi che sono stati condotti per indagare il fenomeno della DPN hanno evidenziato tre aspetti maggiormente significativi: la presenza di eventi di vita stressanti o negativi nel corso della gravidanza, come un lutto o una malattia; delle difficoltà nel rapporto di coppia come pure la cattiva relazione con il partner; e, infine, lo scarso sostegno sociale legato alle informazioni percepite ed acquisite, al supporto strumentale nelle attività di vita quotidiana e alla mancanza del supporto emotivo in relazione all’affetto, l’attenzione e la stima del proprio ruolo come genitore (Monti & Agostini, 2006; Nanzer, 2009). I risultati delle varie ricerche evidenziano

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inoltre che le donne e gli uomini il quale figlio è nato da una gravidanza indesiderata corrono un rischio maggiore di riscontrare nel periodo successivo al parto una DPN (Elliott & Henshaw, 2002; Milgrom et al., 2003; Monti & Agostini, 2006; Strayer & Cabrera, 2016). Per finire, vi sono i fattori di rischio di tipo ambientale, che vengono caratterizzati principalmente da uno status socioeconomico precario, dovuto alla disoccupazione, ad un basso reddito, ad un insufficiente livello di educazione o all’isolamento sociale. Il contesto socioculturale, soprattutto nei paesi occidentali, all’interno del quale il neo-papà si colloca, rappresenta un elevato fattore di rischio in quanto gli uomini, ma anche e soprattutto le donne, sono sottoposti allo stress delle aspettative sociali che sono connesse con l’idea di genitorialità: generalmente queste si traducono in un senso di enorme felicità, in assenza di dubbi e preoccupazioni, uno stato di totale benessere, una buona relazione con il bambino, ecc., ideologie e pensieri che comunque non trovano riscontro nella la vita reale (Monti & Agostini, 2006).

Per riassumere quanto appena scritto, si può dire che la depressione postnatale nei papà, ma in generale nel genitore in transizione alla genitorialità, sia legata ad una multifattorialità di elementi. Fra questi vi è essenzialmente la predisposizione alla depressione legata ad una storia famigliare o personale, dinamiche famigliari mutevoli, un’incapacità di adeguamento alla paternità –potenzialmente legata alla frustrazione per il cambiamento dello stile di vita e della relazione anche sessuale con la partner, oltre che ad una sensazione d’incapacità di prendersi cura del bambino–, la mancanza di sonno, l’assenza di informazioni legate alla gravidanza e al parto, scarsi supporti sociali ed una scarsa soddisfazione nella vita di coppia, un’insufficiente od inadeguata relazione con il proprio padre e problemi legati alla figura paterna, una gravidanza indesiderata, la nascita di un bambino con problemi di salute e, soprattutto, una DPN nella partner. Quest’ultima aumenta dal 15% fino al 50% la possibilità di sviluppare una DPN nell’uomo, oltre che la sensazione di essere sottopressione durante la transizione alla paternità rispetto l’importanza del ruolo genitoriale sociale che compromette l’identità di uomo e di padre (Cameron et al., 2016; Epifanio et al., 2015; Harrison & White, 2017; Strayer & Cabrera, 2016; Top, Cetisli, Guclu, & Zengin, 2016; Wong et al., 2016).

La sintomatologia della DPN si manifesta in modo conclamato generalmente tra il secondo ed il quarto mese a seguito del parto, che rappresenta infatti il picco di insorgenza più frequente di questo disturbo nel puerperio, nonostante sia comunque possibile sviluppare una DPN anche nel secondo semestre del postpartum (Monti & Agostini, 2006).

Mentre la depressione postnatale nella donna si manifesta con un quadro sintomatologico di tipo depressivo, quella nel papà è caratterizzata da un quadro di segni e sintomi di tipo più ansiogeno, evitante ed aggressivo. I principali comportamenti che si possono osservare nei papà che presentano una depressione postnatale sono infatti l’evitamento, il ritiro sociale, il cinismo, l’esplosione di rabbia, l’irritabilità ed autocritica, l’esasperazione ed esaustione, oltre che un abuso di alcol o di sostanze stupefacenti, l’aggressività, la rigidità affettiva verso la compagna ed il bambino, ed una ridotta tolleranza allo stress con conseguente rischio di burnout. I neo-papà cercano infatti di mascherare il loro dolore emotivo concentrando ed impiegando al massimo le loro forze nell’attività lavorativa e nell’esercizio fisico, mostrando inoltre un cambiamento in quello che è il comportamento sessuale all’interno della relazione di coppia. Oltre a questi, il quadro sintomatologico prosegue con una scarsa manifestazione di comportamenti parentali nei confronti del bambino, che vedono il padre protagonista di azioni ed attività negative e non arricchenti, come il fatto di sculacciare il proprio bimbo, alterando così la relazione e la comunicazione all’interno della diade padre-figlio. È comunque possibile

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che anche il neo-papà presenti, come la neo-mamma affetta da DPN, dei sintomi depressivi, i quali sono divisibili in tre categorie: la prima rispetto la alla resilienza, la seconda del distress, e l’ultima, nonché più severa, la depressione emergente. Non scarseggiano inoltre i casi di somatizzazione dell’ansia e dello stress legati alla transizione alla paternità e alla depressione postnatale come l’indigestione, l’aumento o riduzione dell’appetito con conseguenti problemi di peso, la diarrea o costipazione, la nausea, la cefalea ed odontalgia ed, infine, l’insonnia (Epifanio et al., 2015; Harrison & White, 2017; Molgora et al., 2017; Strayer & Cabrera, 2016).

Al fine di formulare una diagnosi di disturbo depressivo maggiore vengono indagati e osservati i sintomi depressivi che, a seconda della gravità e del numero dei sintomi stessi, possono determinare o meno la diagnosi della psicopatologia. Come riportato all’interno del libro “Depressione Postnatale: ricerca, prevenzione e strategie di intervento psicologico” (2003) i criteri del DSM-IV (Diagnostic and Statistical Manual of Mental

Disorders), invariati nel DSM-V, richiedono, per il disturbo di DPN, la presenza quasi

quotidiana per almeno due settimane di “umore depresso per la maggior parte del tempo, quasi ogni giorno, come riportato dal soggetto (per es. si sente triste o vuoto) o come osservato dagli altri (per es. appare lamentoso)” (p. 34) e una “marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte, o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno (come riportato dal soggetto o osservato da altri)” (p. 34). Sempre nel libro di Milgrom, Martin e Negri (2003) viene riportato che, insieme ai due punti appena descritti, “devono essere presenti almeno cinque (o più) dei seguenti sintomi per un periodo di almeno due settimane: significativa perdita di peso, senza essere a dieta, o aumento di peso, oppure aumento o diminuzione dell’appetito quasi ogni giorno; insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno; agitazione o rallentamento psicomotorio quasi ogni giorno (osservabile dagli altri, non semplicemente sentimenti soggettivi di essere irrequieto o rallentato); faticabilità o mancanza di energia quasi ogni giorno; sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi o inappropriati quasi ogni giorno; ridotta capacità di pensare o di concentrarsi, o indecisione, quasi ogni giorno; o, per finire, pensieri ricorrenti di morte (non solo paura di morire, ricorrente ideazione suicidaria senza un piano specifico o un tentativo di suicidio)” (p. 34).

Il DSM-IV ed il DSM-V considerano la depressione postnatale come una forma di depressione generale, definita nello specifico come “depressione postpartum” se ha inizio entro le prime quattro settimane successive al parto e se soddisfano i criteri sopracitati (Milgrom et al., 2003).

Per quanto riguarda la diagnosi di depressione postnatale nell’uomo, come detto prima, non esiste ancora uno strumento standardizzato e dei criteri all’interno del DSM-V che ne descrivano la clinica e le caratteristiche per la diagnosi. Attualmente si utilizzano i criteri descritti nel DSM-V per la diagnosi di depressione postpartum nella donna, ma non sono pienamente funzionali ed attribuibili anche all’uomo in quanto, come sopra descritto, il quadro clinico di depressione postnatale nei neo-papà è più di tipo ansiogeno, evitante ed aggressivo, mentre nelle mamme si presentano i classici sintomi depressivi (Harrison & White, 2017). Nello studio longitudinale descritto nell’articolo “Trajectories of

Postpartum Depression in Italian First-Time Fathers” (2017), è stata somministrata la

scala di Edimburgo per la diagnosi di depressione postpartum (EDPS) –una scala di valutazione dello stato psichico composta da 10 item ai quali, per risposta, viene assegnato un punteggio da 0 a 3 punti– a tutte le donne incinte e ai loro compagni: il campione selezionato comprendeva uomini in transizione alla paternità per la prima volta, dal settimo od ottavo mese di gravidanza fino al primo anno di vita del bambino. Da questo studio è risultato che i valori ottenuti durante la gravidanza, con un punteggio della

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EDPS maggiore o uguale a 12, possono essere predittori di una potenziale depressione postnatale, sia questa nella donna che nell’uomo (Molgora et al., 2017). Ciononostante, nell’articolo “Validation of the Edinburgh Postnatal Depression Scale for men, and

comparison of item endorsement with their partners” del 2001, veniva già descritta

l’importanza di stabilire un cute-off dei valori dell’EDPS per il rischio di sviluppare una DPN sia nelle donne che nell’uomo. Questi dovrebbero però essere diversi fra loro proprio per via della differenza del quadro sintomatologico che affligge la donna da quello dell’uomo: per quanto riguarda i papà si è infatti parlato di un cute-off minore rispetto a quello della donna, pari a 5-6 punti della scala EPDS, mentre il punteggio cute-off per il rischio di DPN nella donna dovrebbe essere di 9 punti (Matthey, Barnett, Kavanagh, & Howie, 2001). In letteratura sono comunque presenti ulteriori metodiche di valutazione dei disturbi affettivi perinatali paterni, ma, come detto in precedenza, nessuno è specifico per la diagnosi di DPN negli uomini2 (Baldoni & Giannotti, 2017).

Oltre alla scala di Edimburgo, un elemento fondamentale per la diagnosi di depressione postnatale nei neo-papà è l’osservazione, quindi la manifestazione di un quadro di segni e sintomi ansiogeni ed aggressivi come sopra descritti: ansia espressa con sentimenti di paura, confusione, insicurezza ed incertezza rispetto al futuro e al ruolo genitoriale, per quanto riguarda tutte le tecniche di cura del bambino, per la perturbazione che potrebbe affliggere il nucleo famigliare nella costruzione dei nuovi ruoli come genitori, paura per la conciliazione tra famiglia ed attività sociali e lavorative, per i possibili problemi finanziari, ecc. Gli uomini padri per la prima volta potrebbero iniziare od incrementare l’uso di alcool o droghe, mostrando inoltre comportamenti aggressivi oltre che ad alto rischio per la loro salute (Strayer & Cabrera, 2016). Per questo motivo, risulta molto importante il dialogo e l’interazione infermieristica con i neo-papà, al fine di comprendere il loro pensiero, il loro vissuto, i loro bisogni e le loro ansie e paure (Kumar et al., 2018; Musser, Ahmed, Foli, & Coddington, 2013).

Rispetto a quanto appena scritto, infatti, in letteratura vi sono vari articoli che descrivono l’importanza di aumentare gli screening della DPN al fine di prevenirla. Attraverso la conversazione ed il dialogo infermieristico con i papà è possibile individuare le situazioni a rischio, oltre che cogliere il momento di colloquio come un momento privilegiato per fornire informazioni ed educare la persona sulla base dei suoi bisogni (Harrison & White, 2017). Essendo che, però, non vi sono ancora studi che dimostrino l’effetto degli interventi di prevenzione della DPN per quanto riguarda i neo-papà, risulta comunque che gli uomini percepiscano poche informazioni rispetto a questa patologia, anzi, molte volte non sono neanche a conoscenza dell’esistenza della DPN paterna. È quindi importante evidenziare nei fattori di rischio i rischi interpersonali e la capacità di resilienza degli uomini in transizione alla paternità per definire la necessità ed il livello di educazione e prevenzione da effettuare: sia questo un intervento importante, oppure una semplice educazione ed informazione al puerperio (Cameron et al., 2017). Incrementando le informazioni inerenti alla gravidanza, al parto e alle possibili problematiche che potrebbe presentare il neonato, oltre che permettere ai papà di parlare delle loro aspettative rispetto la nascita e il loro nuovo ruolo sociale come genitore, delle proprie ansie e paure e dei loro bisogni, aiuta a ridurre il rischio di distress emotivo e quindi il rischio di sviluppare una depressione postnatale (Molgora et al., 2017; Strayer & Cabrera, 2016). Inoltre, fra gli altri interventi, vi sono evidenze che dimostrano che la presenza del papà in sala parto durante il travaglio sia un fattore protettivo, ovvero aiuti a ridurre il rischio di DPN nell’uomo (Epifanio et al., 2015).

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