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Verso un mercato Unico Europeo dei Prodotti Pensionistici Individuali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

FACOLTA’ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN BANCA, BORSA E ASSICURAZIONI

TESI DI LAUREA

VERSO UN MERCATO UNICO EUROPEO PER I PERSONAL PENSION PLAN.

RELATORE

Prof. Antonella Cappiello

CANDIDATO

Rauseo Francesco

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INDICE

INTRODUZIONE………7

CAPITOLO 1 1.1 IL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO……….10

1.2 RIFORMA RUBINACCI………...10

1.3 RIFORMA BRODOLINI………...11

1.4 LA RIFORMA AMATO: LA LEGGE N. 503/92 E IL D.LGS. 124/93 DI ISTITUZIONE DELLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE ……….13

1.5 LA RIFORMA DINI E LA LEGGE N.335/95 ………15

1.6 LA RIFORMA PRODI DEL 1997 ………...17

1.7 D.LGS N. 47/2000……….17

1.8 LA RIFORMA MARONI DEL 2004 ………..17

1.9 LA RIFORMA DEL TFR ………19

1.10 LA RIFORMA FORNERO-MONTI ………...19

CAPITOLO 2 LA PENSIONE: I TRE PILASTRI DELLA PREVIDENZA. 1. INTRODUZIONE……….22

2. PREVIDENZA COMPLEMANTARE COLLETTIVA………...24

3. PREVIDENZA COMPLEMENTARE INDIVIDUALE………..25

4. DESTINATARI……….25

5. PARTECIPAZIONE ALLE FORME PREVIDENZIALI………26

6. CONTRIBUZIONE DEL DATORE DI LAVORO………..28

7. DEDUCIBILITÀ………...29

8. GESTIONE DELLE RISORSE E GARANZIE………...30

9. PRESTAZIONI……….31

9.1. RENDITA...……….31

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9.3. ANTICIPAZIONI…...……….32

10. FONDI PENSIONE VISIONE UE………...32

11. PPP (I PIANI INDIVIDUALI PENSIONISTICI DI TIPO ASSICURATIVO)……...36

11.1. ADESIONE……….37

11.2. CONTRIBUZIONE……….37

11.3. GLI INVESTIMENTI ………37

11.4. COSTI ……….39

11.5. GLI STRUMENTI DI INFORMAZIONE PER GLI ISCRITTI……….40

11.6. LE PRESTAZIONI……….…….40

11.7. I PROFILI ORGANIZZATIVI………...40

11.8. VIGILANZA DI SETTORE………...41

12. BREVE VISIONE SU ALCUNI SISTEMI PENSIONISTICI UE ……….41

12.1. UNITED KINGDOM PERSONAL PENSION SCHEME…..………...41

12.2. GERMANIA RIESTER PENSION………...44

12.3. FRANCIA. IL PIANO DI RISPARMIO PREVIDENZIALE POPOLARE (PERP)………...48

CAPITOLO 3 VERSO UN MERCATO UNICO EUROPEO DELLA PENSIONE PERSONALE (EIOPA_BOS_14/029)… 1 INTRODUZIONE……….50

2 “CARATTERISTICHE PRINCIPALI E DEFINIZIONE DI PPP”………..52

2.0.1 SFONDO………..52

2.0.2 STAKEHOLDER………...………..53

2.0.3 EIOPA………...54

3 IL MANCATO SVILUPPO DI UN MERCATO UNICO DEI PPP………57

3.0 VISIONE PARTI INTERESSATE………...57

3.1 VISIONE EIOPA……….57

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4 BREVE CONSIDERAZIONE PER LA CREAZIONE DI UN CORPO NORMATIVO

PER I PPP ...………..66

5 INTRODUZIONE DI NORME UE PER TUTTI I PPP ESISTENTI E QUELLI FUTURI ………68

5.0 VISIONI PARTI INTERSSATE ………68

5.1 VISIONE EIOPA……….71

5.2 PRINCIPALI RISULTATI ……….74

6 STABILIRE UN SECONDO REGIME………74

6.0 SFONDO………..74

6.1 VISIONI PARTI INTERESSATE………...74

6.2 REVISIONE EIOPA DEI PROGETTI ATTUALI E LE PROPOSTE PER IL 2°REGIME………...77

6.2.1.1 OFFICIALLY CERTIFIED EUROPEAN RETIREMENT PLAN……….78

6.2.1.2 PIANI PENSIONISTICI EUROPEI………83

6.2.1.3 OCERP vs EPP……….92

7 EIOPA ANALISI DEI PRO E DEI CONTRO DI UN 2° REGIME………93

7.0 VISIONE EIOPA……….94

7.1 DEFINIZIONE 2°REGIME DEI PPP………..96

7.1.1.1 PRINCIPALI REQUISITI PER I FORNITORI DI PPP……...97

7.1.1.2 2° REGIME, ASPETTI PRINCIPALI PER LA REGOLAMENTAZIONE DEL PRODOTTO………...98

7.1.1.3 2° REGIME E GLI OSTACOLI FINALI………99

8 CONSIDERAZIONE PER LA PROTEZIONE DEI TITOLARI DI PPP…………..100

9 TRASPARENZA NELLA DIVULGAZIONE DELLE INFORMAZIONI………...102

9.0 SFONDO………102

9.1 VISIONE GENERALE DELLE PARTI INTERESSATE………110

9.1.1.1 FASE DI ACCUMULO………..112

9.1.1.2 INFO PRE-PENSIONAMENTO ………...115

9.1.1.3 FASE DI PAY-OUT ………..115

(6)

9.2.1.1 INFORMAZIONI PRE-CONTRATTUALI ………...119

9.2.1.2 FASE ACCUMULO………...120

9.2.1.3 RITIRO/POST PENSIONAMENTO………..121

9.3 ONERI PENSIONAMENTO ………....121

9.3.1.1 DIVULGAZIONE DEGLI EFFETTI DEGLI ONERI SUI RENDIMENTI REALI………...123

9.4 RISULTATI PRINCIPALI………129

10 REQUISITI PER LA DISTRIBUZIONE………...130

10.0 SFONDO………130

10.1 PRATICHE DI VENDITA……….130

10.2 VISIONE PARTI INTERESSATE………136

10.3 VISIONE EIOPA ………..138

11 REGOLAMENTO DEL PRODOTTO………...142

11.0 SFONDO………142

11.1 VISIONE PARTI INTERESSATE………145

11.2 VISIONE EIOPA………...146

11.3 RISULTATI PRINCIPALI: MECCANISMI DI GOVERNANCE……...…148

CAPITOLO 4 CONCLUSIONI………..………149

BIBIOGRAFIA………...157

SITOGRAFIA……….158

(7)

INTRODUZIONE

Nella maggioranza dei Paesi dell‟ Unione Europea la parte più rilevante dell‟erogazione pensionistica risulta essere gestita dallo Stato con un impatto rilevante sulla spesa pubblica. Fin dall‟inizio degli anni novanta i sistemi previdenziali privati hanno giocato un ruolo rilevante solo in alcuni Paesi (Danimarca, Paesi Bassi, UK, Irlanda), dove l‟erogazione delle pensioni di anzianità uguale per tutti ha favorito la crescita dei fondi pensioni privati. Questo nella forma di schemi di pensionamento da lavoro oppure quelli di contratti previdenziali assicurativi individuali (PPP).

Negli ultimi decenni, continue riforme in campo previdenziale, hanno portato all‟introduzione di nuove forme di previdenza privata nei sistemi previdenziali di molti paesi con l‟obiettivo di migliorare l‟adeguatezza dell‟erogazione previdenziale e, soprattutto, per compensare le riduzioni previste nei tassi di sostituzione1. Altri motivi che hanno portato all‟affermazione della previdenza privata è la volontà, degli Stati Membri, di garantire una diversificazione dell‟erogazione, stimolare le scelte, aumentare la trasparenza e invogliare verso maggiori livelli di responsabilità.

Il ruolo del sistema previdenziale privato differisce significativamente nei vari stati membri, non solo per il contributo al reddito ma anche per i livelli di copertura previdenziale. Prendendo in considerazione alcuni Stati Membri notiamo che: un paese come la Francia ricorre poco ad una previdenza di tipo privata basando quasi l‟intero sistema sull‟erogazione pubblica. Contrariamente alle scelte effettuate dal Regno Unito e molti paesi del Nord Europa che hanno da sempre basato parte del loro sistema previdenziale nella forma privata, cercando di combinarla con previdenza pubblica. Germania e Italia che hanno effettuato un passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo stanno cercando di sviluppare un sistema privato, tramite una serie di interventi legislativi, per cercare di recuperare terreno nei confronti degli altri Stati Membri che presentano un sistema più evoluto e solido2.

Il presente lavoro si propone di illustrare, i passaggi evolutivi che hanno portato alla creazione del sistema previdenziale Italiano e le successive riforme che hanno

1

IL TASSO DI SOSTITUZIONE è il rapporto percentuale fra la prima annualità completa della pensione e l'ultimo reddito annuo completo immediatamente precedente il pensionamento

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modificato sensibilmente il sistema, portando alla strutturazione del complesso previdenziale in un sistema previdenziale multi pilastro. Dopo una analisi del sistema multi pilastro Italiano che prevede la strutturazione del sistema su 3 pilastri:

 La PREVIDENZA OBBLIGATORIA che costituisce il primo pilastro previdenziale costituito dai regimi pensionistici di base che erogano prestazioni sociali nell‟ambito di schemi obbligatori atti a garantire un livello di vita sociale accettabile.

 il SECONDO PILASTRO PREVIDENZIALE costituito dai FONDI PENSIONI che forniscono prestazioni sociali integrative caratterizzate dall‟offerta di prestazioni aggiuntive rispetto al regime base;

 IL TERZO PILASTRO costituito dal PIP, esterno al sistema di protezione sociale e a quello di assicurazione sociale, fornisce prestazioni finanziate dal risparmio volontario mediante polizza assicurative con obiettivo di previdenza individuale. Tali prestazioni garantiscono un livello di reddito superiore a quello offerto dal sistema di previdenza sociale, fino a livelli di copertura considerati ottimali per mantenere lo stesso tenore di vita garantito dallo svolgimento dell‟attività lavorativa.

Il lavoro si concentra sull‟analisi dei Piani Pensionistici Individuali di natura assicurativa e si è effettuato un rapido confronto dei PIP (Italiani) con i PPP di altri Stati Membri (UK, Francia e Germania) osservando le diversità soprattutto di natura fiscale e degli incentivi erogati dai diversi Stati.

Nell‟ultima fase del lavoro il nostro focus di riferimento è stato l‟analisi, su una consulenza tecnica che la Commissione Europea (COM) ha chiesto all‟ AUTORITÀ EUROPEA DELLE ASSICURAZIONI E DELLE PENSIONI AZIENDALI E PROFESSIONALI, sulla possibilità di creare un mercato Unico Europeo per la previdenza personale.

Dopo una descrizione degli ostacoli che impediscono la costruzione di un mercato unico europeo della previdenza personale riconducibili: alla mancanza di una definizione univoca di PPP; ai problemi di natura contrattuale; alla presenza di diversi quadri normativi in tema di tassazione che fanno sorgere problemi di natura fiscale; alla presenza di due schemi previdenziali; alla trasparenza e divulgazione delle

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informazioni. Vengono descritti i vantaggi della realizzazione del mercato: la possibilità di sfruttare le economie di scala; aumentare la mobilità dei lavoratori; aumentare la trasparenza e la tutela del consumatore; incentivare la concorrenza aumentando le possibilità di scelta; riduzione dei costi tramite una standardizzazione dei prodotti.

Dopo un‟attenta osservazione degli scogli che impediscono la creazione del mercato unico, si indicano le possibili soluzioni da seguire per risolvere i quesiti posti in precedenza. Nella relazione non viene data risposta al problema principale che impedisce la nascita del mercato unico che è rappresentato dai problemi fiscali. La tassazione, il diritto sociale e le difficoltà nell‟armonizzazione del diritto contrattuale, sembrano essere gli ostacoli più significativi per lo sviluppo di un mercato unico dei PPP. Questo implica grandi varietà di prodotti in tutti i mercato UE con conseguente ostacolo alla standardizzazione del prodotto, alla realizzazione delle economie di scala e conseguente riduzione dei costi.

Dopo un‟ approfondimento degli ostacoli e dei costi per la realizzazione di questo progetto si valutano i vantaggi e gli svantaggi nella creazione del mercato unico della previdenza individuale.

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CAPITOLO 1 1.1. IL SISTEMA PREVIDENZIALE ITALIANO

La storia del sistema previdenziale Italiano nasce nel 1889 quando viene fondata la Cassa Nazionale di previdenza per l‟invalidità e la vecchiaia degli operai con la legge n. 350. Si trattava di un‟assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo, anch‟esso libero, degli imprenditori. Successivamente verrà migliorata con la legislazione antinfortunistica (1904) e quella relativa alla tutela per l‟invalidità e la vecchiaia degli operai (1907). Nel 1910 viene istituita la Cassa nazionale di maternità per la tutela delle donne in occasione del parto o dell‟aborto che fu estesa anche all‟agricoltura nel 1917. Dopo la fine della Prima guerra mondiale, si crearono le condizioni per un sistema che prevedeva la tutela del lavoratore per tutti gli eventi che potevano intaccare il reddito individuale e familiare, l‟assicurazione per l‟invalidità e la vecchiaia diventa obbligatoria. Il centro del sistema assicurativo sociale diventa la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali . Nel 1939, nel pieno del periodo Fascista, vengono introdotte le prime assicurazioni per proteggere il lavoratore dalla disoccupazione e vengono creati gli assegni familiari, vengono introdotte le integrazioni salariali per i lavoratori sospesi o ad orario ridotto, il limite di età per la pensione di vecchiaia è stabilito in 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne, viene istituita la pensione di reversibilità a favore dei superstiti dell‟assicurato e del pensionato.

1.2. RIFORMA RUBINACCI3

Nel 1952, superato il periodo post-bellico, viene emanata la legge n. 218 che fissa e razionalizza gli adeguamenti monetari dei trattamenti pensionistici adottati immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale e riforma l‟assicurazione per l‟invalidità, la vecchiaia ed i superstiti (riforma Rubinacci). La formula di calcolo della pensione rimane contributiva ma si passa da un sistema a capitalizzazione4 ad

3 V. www.itinerariprevidenziali.it/site/home/biblioteca/documento24841.html

4 le risorse per il pagamento delle pensioni provengono dalla capitalizzazione, a cura di un gestore, dei contributi

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uno a ripartizione5. La riforma porta alla chiusura dei fondi di Integrazione e Solidarietà che vengono sostituiti dal Fondo di Adeguamento alle pensioni (FSA). Una delle novità più importanti fu l‟istituzione della cosi detta “integrazione al minimo”, con la quale si eroga ai pensionati con ridotta anzianità contributiva una pensione minima che garantisce una sopravvivenza dignitosa. Dalla fine degli anni ‟50, sulla base delle previsioni contenute nell‟articolo 38 della Costituzione, che prevede tutele per tutti i lavoratori, siano essi dipendenti o autonomi, l‟assicurazione obbligatoria per l‟invalidità, la vecchiaia e i superstiti, è estesa progressivamente ai coltivatori diretti, artigiani e commercianti.

Il sistema resta pressoché invariato fino al 1965. 1.3. RIFORMA BRODOLINI6

Nel clima di contestazione sociale generale del 1968 , nonostante gli allarmi di molti economisti sul sistema del welfare e alla sconnessione tra contributi e prestazioni, viene varata la legge n° 153 del 30 aprile 1969 ovvero la riforma Brodolini, in base alla quale si abbandona definitivamente ogni forma di capitalizzazione. Si adotta la formula retributiva per il calcolo della pensione in forma generalizzata (quest‟ultima non dipende più dai contributi effettivamente versati ma è legata alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro); si istituisce la pensione sociale (per i cittadini ultra 65enni sprovvisti di assicurazione, che non hanno un minimo di reddito) e la pensione di anzianità (per i cittadini con 35 anni di contribuzione pur non avendo raggiunto l‟età pensionabile); si estende all‟assicurazione invalidità e vecchiaia, nei limiti della prescrizione decennale il principio dell‟automaticità delle prestazioni; la perequazione delle pensioni7, che consiste nella rivalutazione delle pensioni in

5 le pensioni erogate sono pagate con i contributi di chi è in servizio in quell‟epoca, in definitiva, l‟onere

pensionistico è ripartito sui lavoratori correnti. Vi è un contratto esplicito o implicito secondo cui le pensioni degli attuali attivi saranno pagate da chi lavorerà in futuro

6 V. www.itinerariprevidenziali.it/site/home/biblioteca/documento24841.html 7

E‟ un aumento delle pensioni che si applica ogni anno dal primo gennaio su tutte le pensioni (art. 14 della legge 23 dicembre 1994, n. 724). Con Decreto del Ministero dell‟Economia e delle Finanze, in base alla variazione del costo della vita accertata dall‟Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT), alla fine di ogni anno viene stabilita la variazione percentuale, stimata in via provvisoria, da applicarsi per l‟anno in corso sull‟importo della pensione mensile. Con tale decreto viene determinata anche la percentuale di variazione definitiva da applicare per l‟anno precedente, in sostituzione di quella previsionale. V. http://www.inps.it/portale/default.aspx?itemdir=8659

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pagamento in base all‟indice dei prezzi al consumo, diventa automatica. Solo dal 1975, e fino alla riforma Amato del 1992, la perequazione delle pensioni è agganciata, oltre che ai prezzi, anche ai salari, consentendo una tutela effettiva del valore reale delle pensioni, ma anche un aggravio pesantissimo sui conti pubblici, dato sia dalla mancata correlazione tra contributi versati e prestazioni, sia dalle età estremamente basse di pensionamento (negli anni ‟70 e „80 influiscono sull‟espansione della spesa pensionistica le così dette pensioni “baby”8). Questo doppio aggravio verrà abolito dalla riforma Amato nel 1992.

Durante gli anni ‟70, come la maggior parte dei Paesi occidentali, l‟Italia è stata interessata da un forte rallentamento dell‟economia, determinato principalmente dalla

crisi petrolifera del periodo 1973/1976. Lo Stato ha dovuto affrontare una maggiore spesa a sostegno di coloro che non riuscivano a trovare un‟occupazione e delle imprese, anch‟esse in crisi, contribuendo a generare una situazione difficile per la finanza pubblica.

Nel 1981, la I° Commissione Castellino, dal nome del Ministro del Tesoro, evidenziò i punti più controversi del sistema pensionistico: età pensionabile, collegamento percentuale alla retribuzione, retribuzione pensionabile, cumulabilità tra pensione ed altri redditi e formula di indicizzazione. Nel decennio successivo, furono proposti vari disegni di riforma dell‟intero sistema, destinati al fallimento. Nel 1983, il Governo Craxi tentò di affrontare il problema, ma il progetto predisposto dal ministro del lavoro De Michelis venne respinto già in sede di presentazione in Consiglio dei Ministri nel 1984. Contemporaneamente, alla Camera dei deputati venne insediata la Commissione Cristofori incaricata di predisporre un testo di riforma che però si protrasse senza esiti fino al 1987. L‟unico intervento specifico di grande rilevanza, realizzato in questo periodo, fu la riforma delle pensioni di invalidità, attuata con la legge n. 222 del giugno 1984, che abolì qualsiasi riferimento ai fattori socio economici e stabilì che ai

8V. Introdotte con un Dpr e destinato ai dipendenti pubblici che consentiva la possibilità di andare in pensione:

1) 14 anni 6 mesi e 1 giorno per le donne sposate con figli 2) 20 anni per gli altri statali

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fini della concessione della prestazione era rilevante solo la situazione sanitaria legata alla incapacità lavorativa del richiedente.

Nel corso della decima legislatura non vennero presentate proposte di riforma generale ma furono approvate due leggi relative a materie connesse alla riforma: la legge 8 marzo 1989 n. 88 di ristrutturazione dell‟INPS che all‟art. 37 stabiliva l‟istituzione della GIAS9 e la legge 2 agosto 1990 n. 233 di riforma della previdenza dei lavoratori autonomi che, approvata con il consenso di tutti i partiti, equiparò la modalità di calcolo della pensione degli autonomi a quella dei lavoratori dipendenti, anche se i versamenti dei primi erano enormemente inferiori a quelli dei secondi. La nuova legge disponeva, con effetto dal 1° luglio 1990, che la misura dei trattamenti pensionistici venisse calcolata sulle contribuzioni versate dal 1982 in poi, applicando alla media dei redditi degli ultimi dieci anni (indipendentemente dai versamenti effettuati prima) o al minor numero di essi anteriori alla decorrenza della pensione, un coefficiente di rivalutazione pari al 2% per anno di iscrizione, con un massimo di 40 anni per cui la misura massima della percentuale di commisurazione della pensione al reddito veniva fissata dalla legge nell‟80%. L‟impatto di questa riforma sul piano politico fu così forte da indurre il Ministro dell‟Economia Guido Carli a minacciare le dimissioni dal Governo.

1.4. RIFORMA AMATO 10

È a partire dagli anni ‟90 che iniziano una serie di riforme strutturali che hanno riguardato anche il sistema pensionistico: nel 1992, con il Governo Amato, si ha la prima vera riforma del sistema previdenziale, con l‟obiettivo di realizzare: un contenimento della spesa, dare certezza alle giovani generazioni e stabilità al sistema pubblico. Gli obiettivi degli interventi legislativi degli anni „90 avevano la necessità di soddisfare le tre principali finalità di un sistema previdenziale:

 la sostenibilità finanziaria e l‟equilibrio delle diverse gestioni nel tempo;

9 gestione per gli interventi assistenziali e di sostegno per incanalare gli apporti dal bilancio dello Stato a quello

dell‟Inps

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 il raggiungimento dell‟equità tra le generazioni e all‟interno della stessa generazione;

 la necessità di programmarsi il futuro previdenziale e non facendo esclusivo affidamento sul cosiddetto primo pilastro, cioè sulla previdenza pubblica di base obbligatoria, ma anche sulla necessità di assicurarsi una seconda pensione, quella complementare, con cui realizzare su base volontaria il secondo pilastro previdenziale attraverso lo sviluppo dei “fondi pensione”.

Il D.Lgs.503/92 e il D.Lgs. 483/92 hanno riordinato il sistema previdenziale pubblico suddividendo le pensioni in: pensioni di anzianità (periodo minimi di contribuzione in 35 anni) e pensioni di vecchiaia (collegate all‟età anagrafica 55/60 anni per le donne e 60/65 anni per gli uomini). Ma l‟intervento fondamentale è stato la costituzione di un secondo pilastro previdenziale con l‟emanazione del D.Lgs. 124/1993 che rappresentava la prima normativa organica che disciplina la “previdenza complementare” e che consentiva il decollo del secondo pilastro previdenziale attraverso l‟istituzione e regolamentazione dei fondi pensione, al fine di assicurare una maggiore copertura previdenziale. Il testo prevedeva due tipologie di fondi: i fondi pensioni chiusi (di natura contrattuale e associativa) e i fondi pensione aperti (a carattere individuale). Veniva stabilito il principio dell‟adesione volontaria ai fondi ed erano dettate le regole per il loro funzionamento.

Le prestazioni venivano distinte in : prestazioni pensionistiche per vecchiaia che erano collegate al raggiungimento dell‟età pensionabile con partecipazione minima al fondo di 5 anni; prestazioni pensionistiche per anzianità erogate in caso di cessazione effettiva dell‟attività lavorativa con età non inferiore a 10 anni rispetto a quella prevista dalla pensione di vecchiaia e con 15 anni di appartenenza al fondo.

La riforma Amato ha portato ad una correzione del sistema, riducendo le prestazioni, che diventano correlate ai contributi versati e alla vita lavorativa dei lavoratori gettando le basi per una maggiore equità intergenerazionale. Per quanto concerne i

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lavoratori in servizio, il D.Lgs. 503/92 introduce norme tendenti a una migliore correlazione tra contribuzioni e prestazioni stabilendo che:

 Per i lavoratori con meno di 15 anni di contribuzione la pensione venga calcolata sull‟intera vita lavorativa.

 Il periodo di calcolo della retribuzione pensionabile passa dagli ultimi 5 a 10 anni per i lavoratori dipendenti del settore privato e da 10 a 15 anni per gli autonomi.

 Viene innalzata gradualmente l‟età di pensionamento di vecchiaia di 5 anni: a regime, 65 anni per gli uomini e 60 per le donne mentre il periodo minimo per fruire delle prestazioni pensionistiche passa da 15 a 20 anni. Come conseguenza di tale Riforma le prestazioni diventano nel tempo più coerenti con i contributi versati nel corso della vita lavorativa.

1.5. LA RIFORMA DINI 11

La Legge n.335/1995 proseguendo l‟opera di razionalizzazione del sistema pensionistico pubblico ha modificato e integrato la disciplina dettata dal D.Lgs. 124/93 al fine di favorire lo sviluppo e la concreta affermazione dei fondi pensione. Ha completamente modificato il funzionamento del sistema previdenziale agendo sia sulle modalità di calcolo delle prestazioni (con un ritorno al passato con il sistema contributivo a capitalizzazione), sia sul funzionamento degli enti gestori, con l‟intento di riportare il sistema in equilibrio. L‟elemento centrale della riforma, visto che le casse dello stato sono vuote, è rappresentato dal ritorno del metodo contributivo che prevede la stretta correlazione tra i contributi versati nel corso dell‟intera vita lavorativa e le prestazioni in rendita. La rendita è correlata alla speranza di vita media al momento del pensionamento previsto tra i 57 e i 65 anni, abolendo a regime la pensione di anzianità. La correlazione è ottenuta attraverso il meccanismo dei coefficienti di trasformazione, che trasformano il montante accumulato in rendita. Il montante è costituito dalla sommatoria di tutti i contributi versati nel corso della vita lavorativa che ogni anno vengono capitalizzati al tasso pari alla media quinquennale

11

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del PIL. E‟ in pratica una capitalizzazione “virtuale” poiché il sistema rimane a ripartizione e quindi i contributi versati servono, e non bastano, per il pagamento delle pensioni.

La Riforma, come quella precedente di Amato, suddivide i lavoratori in tre classi, alle quali si applicano diverse modalità di calcolo:

1. lavoratori che possono contare su almeno 18 anni di contributi (compresi i contributi figurativi, da riscatto e ricongiunzione), si applica il criterio retributivo;

2. nei confronti di coloro che vantano meno di 18 anni si applicano entrambi, e cioè il retributivo per l'anzianità maturata sino al 31 dicembre 1995, e il contributivo per i periodi di attività successivi al 1° gennaio 1996;

3. per i lavoratori assunti per la prima volta dopo il 1° gennaio 1996, la pensione viene calcolata completamente con le regole del sistema contributivo.

Tra il sistema contributivo e il sistema retributivo ci sono grandi differenze; infatti, la pensione non è legata alla retribuzione ma è vincolata alla contribuzione del dipendente nell'arco dell'intera sua vita lavorativa. L'importo della pensione annua calcolata con i criteri del sistema contributivo si ottiene moltiplicando il montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'età del dipendente alla data di decorrenza della pensione (o alla data del decesso, nel caso di pensione indiretta). Questi coefficienti dipendevano dalle aspettative di sopravvivenza e venivano riviste, secondo la legge DINI, ogni 10 anni dal Ministro del Lavoro e del Tesoro "sulla base delle rilevazioni demografiche".

Con il vecchio metodo retributivo, la pensione veniva calcolata moltiplicando un coefficiente del 2% per il numero di anni di lavoro. Ad esempio, se una persona ha lavorato 35 anni, la pensione sarà pari al 70% della media delle retribuzioni degli ultimi 5 anni, se lavoratore dipendente privato, o ultimo mese se pubblico. E‟ evidente il completo slegamento tra le prestazioni e i contributi versati, nonché gli abusi che questo sistema consentiva, generando così enormi disavanzi nei bilanci previdenziali.

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1.6. LA RIFORMA PRODI 12

La Legge n.449 del 1997 ha modificato l'impianto della riforma Amato del 1992, adeguandolo con i recenti accordi stabiliti tra governo e sindacati e con l'esigenza di riordinare i conti pubblici, al fine di garantire l'ingresso dell'Italia nell'Unione Europea. La riforma Prodi si caratterizza per l'inasprimento dei requisiti d'età per l'ottenimento della pensione di anzianità (35 anni di contribuzione e 57 anni età o in alternativa 40 anni di contribuzione), per l'incremento dell'onere contributivo dei lavoratori autonomi e dei parasubordinati (a regime 19%) e per l'equiparazione delle aliquote contributive dei fondi speciali di previdenza.

1.7. D.LGS N. 47/200013

Il D.Lgs n. 47/2000 emanato in attuazione della legge delega 133/99, introduce accanto alle forme pensionistiche complementari collettive forme pensionistiche individuali (FIP). È stato regolamentato il cosiddetto “terzo pilastro” del sistema previdenziale per dare impulso e rafforzare il sistema di previdenza complementare con l‟obiettivo di garantire prestazioni pensionistiche integrative. Il decreto è finalizzato a rilanciare la cosiddetta “altra previdenza” che si realizza tipicamente attraverso contratti assicurativi (polizze vita). Per cercare di dare vita a questa nuova forma di previdenza si è realizzata una revisione globale del regime fiscale in modo da rendere più appetibile l‟adesione. Questo tramite :

o la revisione delle deduzioni fiscali dei contributi;

o l‟adeguamento del regime fiscale dei fondi pensione con la possibilità di avere un aliquota sostitutiva minore (11% anziché il 12,50%);

o la revisione della disciplina delle prestazioni erogate; 1.8. LA RIFORMA MARONI 14

La nuova disciplina è orientata verso l‟accantonamento di mezzi finanziari in modo da realizzare forme di previdenza integrativa rispetto a quella pubblica per consentire un miglioramento del tenore di vita nel periodo di pensione.

12 V. Maria Cristina Quirici Op. Cit pag 13 13 V. Maria Cristina Quirici Op. Cit pag 13 14

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La riforma ha previsto un innalzamento dell'età pensionabile, che rappresenta uno di punti cardine della riforma, incrementandola, dal 2008, ai 60 anni, con almeno 35 anni di contribuiti alle spalle, per quanto riguarda la pensione di tipo retributivo. L'età è destinata a salire negli anni futuri, continuando dunque sull'orma precedente. Anche per il tipo di pensione retributiva, l'età è stata innalzata fin ai 65 anni maschili e ai 60 femminili, dal 2008.

Requisito alternativo il raggiungimento di 40 anni di contribuzione a prescindere dall‟età anagrafica. Attualmente l‟età pensionabile è stabilita in 66 anni e 3 mesi per gli uomini e 63 anni e 9 mesi per le donne o in alternativa al raggiungimento di 62 anni di età e: 42 anni e mezzo di contributi per gli uomini, 41 anni e mezzo di contributi per le donne15.

L‟ulteriore novità riguarda il TFR, il trattamento di fine rapporto: è individuata la modalità del silenzio assenso per destinarlo automaticamente ai fondi pensione in assenza di opposizione da parte del lavoratore: il suo silenzio vale come un sì.

Inoltre nella riforma viene agevolato il lavoratore che, raggiunto il limite di età, decida di non richiedere il pensionamento: viene aggiunto come bonus il 32,7% dello stipendio al proprio salario mensile (pari ai contributi sociali sullo stipendio che si sarebbero dovuti versare e che invece vengono abbuonati per legge).Il bonus viene addizionato solamente per coloro che siano dipendenti privati, e non per quelli pubblici.

La riforma dà vita nel sistema italiano al cosiddetto “scalone” pensionistico, un gap di tre anni fra coloro che, fino alla fine del 2007, siano andati in pensione fino ai 57 anni e quelli che, dal 2008 in poi, abbiano potuto raggiungere la pensione soltanto a 60 anni. Successivamente questo scalone si è trasformato in uno “scalino” in virtù dell‟introduzione, a partire dal 2009, del meccanismo delle quote che prevedono in raggiungimento dell‟età pensionabile tramite la somma di età e periodo di contribuzione uguali ad un valore di 97.

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1.9. LA RIFORMA DEL TFR 16

E‟ con il decreto attuativo n.252/05, entrato in vigore il 1° gennaio 2007, che si realizza in modo pieno la riforma del sistema pensionistico tratteggiata dalla legge delega n.243/04. Una riforma che apporta numerosi cambiamenti rispetto alla normativa previgente in materia.

La riforma nota come “riforma del TFR” prevede di destinare ai fondi pensionistici solo i nuovi accantonamenti di TFR. Entro il 31 dicembre del 2006 i lavoratori potevano effettuare una scelta: lasciare il TFR in azienda o destinare i nuovi accantonamenti di TFR ai fondi pensione. Qualora entro tale data il dipendente non abbia espresso alcuna indicazione veniva stabilito che il datore di lavoro trasferisce il TFR maturando alla forma pensionistica collettiva prevista dagli accordi o contratti collettivi.

Lo scopo di questa riforma è l‟utilizzo del flusso annuale destinato al TFR quale fonte di finanziamento per i fondi pensione, al fine di limitare l‟impegno contributivo dei lavoratori posto a detrazione del salario netto.

1.10. LA RIFORMA FORNERO-MONTI17

La riforma delle pensioni, approvata con il decreto legge n. 201/2011 è il naturale completamento della Riforma Dini del 1995 e rappresenta l‟intervento di massima portata in materia pensionistica in Italia.

La riforma FORNERO può essere sintetizzata in tre concetti-chiave:

1) Applicazione del sistema di calcolo contributivo per tutti. La prima grande innovazione è l‟estensione, su scala generale, del calcolo contributivo; secondo tale sistema più contributi si versano maggiore sarà la pensione corrisposta, indipendentemente dalla retribuzione percepita durante la vita lavorativa. La finalità di tale provvedimento è stata quella di equiparare il trattamento pensionistico per tutti i lavoratori e il raggiungimento dell‟equità del sistema.

16 Maria Cristina Quirici Op. Cit pag 13

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2) Equiparazione dei requisiti anagrafici (età pensionabile) tra uomini e donne per quanto riguarda la pensione di vecchiaia. Attualmente l‟età pensionabile è di 63 anni e 9 mesi.

3) Adeguamento dei requisiti per la pensione di vecchiaia e anticipata (oltre che ai coefficienti di trasformazione) alla speranza di vita. La seconda decisione di grande portata introdotta dalla Riforma è quella di ridefinire le tipologie pensionistiche erogate dal sistema previdenziale italiano, sia nel sistema contributivo sia nel misto; la pensione di anzianità cede il passo alla pensione anticipata, resta invece in vigore la pensione di vecchiaia.

4) Incentivare la prosecuzione dell‟attività lavorativa sino ai 70 anni d‟età, introducendo nuovi coefficienti di trasformazione per il calcolo contributivo, che permetteranno al lavoratore che decida di continuare la sua attività lavorativa nonostante i 40 anni di contribuzione, di ottenere un assegno pensionistico maggiore di quanto possibile in passato.

Si potrà accedere alla pensione di vecchiaia, grazie al pensionamento flessibile, in un‟età compresa tra i 62 (66 anni per i dipendenti della pubblica amministrazione) e i 70 anni, tenendo conto degli incentivi e delle penalizzazioni che si hanno, rispettivamente, prolungando la propria vita lavorativa o decidendo di uscire prima dal mondo del lavoro.

La pensione di anzianità, nel nostro ordinamento, è quella pensione che si può ottenere esclusivamente facendo valere una certa contribuzione indipendentemente dall‟età anagrafica raggiunta.

Prima del 1 gennaio 2008 era possibile accedere alla pensione di anzianità maturando quarant‟anni di contributi versati oppure, sulla base di requisiti sia anagrafici che contributivi, con 35 anni di contributi e 57 anni d‟età.

Con la nuova riforma delle pensioni si è voluto apportare un profondo cambiamento a tale forma di prestazione pensionistica: si è deciso, infatti, di eliminare le pensioni di

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anzianità che cesseranno di essere erogate nel 2018. A partire dal 1 gennaio 2012 è entrata in vigore, al posto della pensione di anzianità, la nuova pensione anticipata18. A partire dal 1 gennaio 2018 si utilizzerà esclusivamente il metodo di calcolo contributivo e si potrà andare in pensione solo avendo raggiunto l‟età minima di 66 anni.

18 La pensione anticipata è rivolta a tutti quei soggetti che, avendo una anzianità contributiva di 42 anni e 6 mesi

se uomini e 41 anni e 3 mese se donne, vogliano andare in pensione pur non avendo raggiunto i requisiti necessari per la pensione di vecchiaia.

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CAPITOLO 2

LA PENSIONE: I TRE PILASTRI DELLA PREVIDENZA

1 INTRODUZIONE

La previdenza sociale costituisce uno dei principali obiettivi degli Stati moderni e consiste nella tutela dei lavoratori che hanno smesso di lavorare per motivi di età o sono temporaneamente o permanentemente incapaci di farlo. Al ricorrere di queste condizioni i lavoratori hanno diritto a ricevere una rendita, cioè una somma di denaro mensile; a chi smette di lavorare dopo aver raggiunto l‟età minima o a chi si trovi in una situazione di incapacità al lavoro viene pagata la pensione, cioè una rendita vitalizia. Tale rendita è reversibile, vale a dire viene pagata al coniuge e ai figli, se minori di età, studenti o inabili al lavoro, del pensionato deceduto.

Per poter beneficiare della previdenza sociale i lavoratori devono pagare mensilmente una somma di denaro che viene trattenuta dal loro stipendio (contributi previdenziali), a cui si aggiungono i contributi versati dal datore di lavoro e i contributi volontari del lavoratore. Il versamento dei contributi è obbligatorio.

Il compito di raccogliere i contributi previdenziali e di pagare le pensioni è affidato a soggetti pubblici specializzati, gli Enti previdenziali. I principali sono l‟INPS (che si occupa prevalentemente dei lavoratori privati) e l‟INPDAP19

(che si occupava dei lavoratori pubblici).

La pensione obbligatoria (cioè derivante dal pagamento dei contributi obbligatori per legge) costituisce il primo pilastro della previdenza. La legge fissa le condizioni per avere diritto alla pensione e il modo in cui si calcola.

Le condizioni essenziali per avere diritto alla pensione sono:  aver compiuto una determinata età;

19 Il decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201 (decreto salva Italia), ha disposto l‟ eliminazione dell'INPDAP

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 aver versato contributi previdenziali per un periodo minimo;  smettere di lavorare (solo per i lavoratori dipendenti).

Il metodo di calcolo della pensione può essere “retributivo”, cioè basato sulla retribuzione percepita, o “contributivo”, cioè basato sui contributi versati, a seconda del momento in cui si è cominciato a lavorare. Il sistema retributivo si applica ai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995; il sistema contributivo a quelli che hanno iniziato a lavorare dal 1° gennaio 1996. Per i lavoratori con meno di 18 anni al 31 dicembre 1995 si applica il metodo di calcolo “misto”, per cui la pensione viene calcolata con il sistema retributivo per l‟anzianità maturata fino al 31 dicembre 1995 e con quello contributivo per l‟anzianità maturata dopo20. Attualmente il metodo di calcolo della pensione è solo contributivo.

Il rapporto tra l‟importo della prima pensione dopo la cessazione dell‟attività lavorativa e l‟importo dell‟ultima retribuzione pagata al lavoratore si chiama “tasso di sostituzione”. Indica in quale misura il lavoratore potrà mantenere il suo reddito, e quindi il suo tenore di vita, dopo essere andato in pensione (più è alto il tasso di sostituzione, più la pensione sarà sufficiente a garantire un tenore di vita simile a quello posseduto nel periodo dell‟attività lavorativa). Le recenti riforme della previdenza comportano una riduzione del tasso di sostituzione della pensione obbligatoria, soprattutto per i lavoratori più giovani.

Se il tasso di sostituzione della pensione obbligatoria è troppo basso, il lavoratore trova difficoltà a mantenere lo stesso tenore di vita. Può integrare la pensione obbligatoria aderendo in tempo utile a una forma pensionistica complementare. In questo modo la somma della pensione obbligatoria (primo pilastro) e di quella complementare (secondo e/o terzo pilastro) possono garantire un tasso di sostituzione adeguato.

Considerato che la pensione obbligatoria può non assicurare da sola un adeguato tenore di vita, i lavoratori possono scegliere di destinare una parte del proprio risparmio alla costruzione di una rendita aggiuntiva, versando contributi alle forme

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pensionistiche complementari. Le forme di previdenza complementare si definiscono collettive o individuali, a secondo che trovino o meno la propria fonte istitutiva in un accordo collettivo.

Nonostante la suddivisione del sistema pensionistico nei 3 Pilastri, possiamo notare la fusione del 2° e del 3° Pilastro che ha portato alla strutturazione della previdenza in due soli pilastri: la previdenza obbligatoria e quella complementare.

2 PREVIDENZA COMPLEMANTARE COLLETTIVA

Le forme di previdenza collettiva si distinguono, a secondo dei soggetti a cui si rivolgono, in FONDI APERTI (indirizzati a tutti i lavoratori indipendentemente dal settore o categoria) e FONDI CHIUSI (volti solo a lavoratori appartenenti a specifici settori o categorie).

I fondi possono essere istituiti, ai sensi del D. Lgs. 252/2005 da: 1) FONDI CHIUSI

a. CONTRATTI O ACCORDI COLLETTIVI anche aziendali, accordi internazionali per gli appartenenti alla categoria promossi da membri del CNEL21. I contratti collettivi aziendali possono istituire forme di previdenza complementare anche per i soli firmatari.

b. ACCORDI FRA LAVORATORI AUTONOMI O FRA LIBERI PROFESSIONISTI promossi dai sindacati o da associazioni con rilievo almeno regionale.

c. REGOLAMENTI DEL DATORE DI LAVORO nei soli casi di enti o contratti non disciplinati da contratti o accordi sindacali.

d. ATTI DELLE REGIONI che con leggi regionali istituiscono tali forme pensionistiche.

e. ACCORDI FRA SOCI LAVORATORI DI COOPERATIVE promossi da associazioni nazionali di rappresentanza del movimento di categoria. f. ACCORDI del cosiddetto “FONDO CASALINGHE” (D.Lgs. 565/96)

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g. ALTRI ENTI PREVIDENZIALI DEI LIBERI PROFESSIONISTI che possono promuovere la costituzione sia direttamente che mediante accordi collettivi.

2) FONDI APERTI sono diretti a tutti i soggetti che vi vogliono aderire, compresi i lavoratori dipendenti che possono destinare anche la contribuzione a carico del datore di lavoro nonché il TFR. Questi possono essere iscritti direttamente dai soggetti abilitati alla gestione di un fondo pensione:

a. Compagnie di Assicurazione b. Banche

c. Società di intermediazione mobiliare d. Società di gestione del risparmio

3 PREVIDENZA COMPLEMENTARE INDIVIDUALE

Le forme individuali di previdenza complementare possono essere realizzate attraverso:

 Adesione individuale a fondi pensioni aperto. In questo caso l‟adesione è una scelta individuale del soggetto che non obbliga il datore di lavoro a versare alcuna contribuzione.

 Contratti di assicurazione sulla vita aventi finalità esclusivamente previdenziale.

4 DESTINATARI

La legge estende l‟accesso alla previdenza complementare a tutti i soggetti, titolari o meno di una posizione lavorativa. I destinatari delle forme collettive vengono individuati sulla base di raggruppamenti omogenei di lavoratori. Si tratta di lavoratori dipendenti (operai, impiegati, dirigenti) e autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, imprenditori agricoli), collaboratori coordinati e continuativi, professionisti (avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) e soci di cooperative di produzione e lavoro (lavoratori dipendenti della cooperativa medesima).

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L‟accesso alle forme individuali di previdenza complementare è ammesso anche per i soggetti che non sono titolari di reddito da lavoro22 ovvero che non svolgono attività lavorativa. Possono essere iscritti a forme di previdenza individuale anche i famigliari a carico23 (art. 12, c.3 DPR 917/86; D.Lgs 47/2000).

5 PARTECIPAZIONE ALLE FORME PREVIDENZIALI

1) L‟ ADESIONE alle forme pensionistiche complementari è fondata sul principio della volontarietà, in quanto il lavoratore è libero di aderire o meno ad una forma di previdenza integrativa. Una volta manifestata la propria volontà, il lavoratore è tenuto al versamento della contribuzione che è a proprio carico ed è soggetta ai limiti previsti dalla legge per riscatti, anticipazioni, liquidazione del capitale, ecc. L‟adesione è, in via generale irreversibile tuttavia l‟interessato può variare nel tempo la forma previdenziale cui affidare il proprio risparmio secondo il principia della portabilità24.

2) CONTRIBUZIONE. Il finanziamento della previdenza complementare è realizzato principalmente mediante la contribuzione dei diretti interessati (D.Lgs 252/2005). I regimi di contribuzione si distinguono in fondi:

a. A PRESTAZIONE DEFINITA che forniscono una pensione in percentuale sull‟ultima retribuzione o un‟integrazione della pensione obbligatoria. Il finanziamento in questi fondi è variabile in base alla retribuzione e all‟equilibrio gestionale del fondo.

b. CONTRIBUZIONE DEFINITA che stabiliscono la misura del contributo attribuendo al contribuente un conto individuale che viene incrementato dai rendimenti che sono collegati ai contributi versati e ai risultati della gestione e non sono correlate alla pensione obbligatoria. In questo modo si realizza una gestione oculata e accorta delle risorse.

22 Titolari di redditi da capitale, di partecipazione o redditi fondiari.

23 Il coniuge, i figli e gli altri soggetti indicati dal cc art 433 e seguenti, purché conviventi e che non abbiano un

reddito lordo non superiore a 2.840,51 euro (art. 12 DPR 917/86)

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L‟adesione del lavoratore alle forme pensionistiche è libero e volontario, ciò significa che il lavoratore è chiamato a fare una scelta se aderire alla previdenza complementare e a quale forma intende aderire (eventualmente diversa dal contratto collettivo).

Anche in presenza di contratti collettivi, il lavoratore è libero di poter cambiare il fondo a cui aderisce, questo grazie al principio di portabilità. Questo principio consente all‟iscritto di trasferire l‟intera posizione individuale maturata ad un‟altra forma pensionistica in due ipotesi:

1) PER SCELTA dopo due anni di iscrizione ad un fondo pensionistico complementare. In questo caso, il lavoratore ha il diritto al versamentodel TFR maturato e dell‟eventuale contributo a carico del datore di lavoro alla forma pensionistica scelta. Il diritto al trasferimento deve essere stabilito nei regolamenti o nello statuto delle forme pensionistiche e non possono contenere clausole limitative anche dello stesso.

2) PERDITA DEI REQUISITI previsti per la partecipazione al fondo, a prescindere dalla maturazione di un periodo minimo di iscrizione ( Esempio cambio dell‟attività lavorativa svolta).

Per i lavoratori dipendenti una forma di finanziamento è rappresentato dal TFR in maturazione che può essere versato periodicamente nel corso dell‟anno.

Dal 1° Gennaio 2007 ciascun lavoratore, entro sei mesi, doveva decidere se destinare il TFR maturato alla forma pensionistica complementare o mantenere la stessa presso il datore di lavoro. La scelta è irreversibile, in un‟unica direzione, nel senso che risulta irreversibile la scelta di destinare il TFR alla previdenza complementare mentre è rivedibile la scelta di mantenere il TFR in azienda. La scelta poteva essere effettuata in maniera esplicita o tacita mediante il silenzio assenso. Qualora il lavoratore decida di trasferire il TFR ad una forma di previdenza complementare, deve indicare al datore di lavoro il fondo prescelto. Questa scelta comporta automaticamente l‟iscrizione del lavoratore alla forma indicata.

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Entro 6 mesi dalla data di assunzione si possono seguire due strade:

1) Destinare il TFR futuro ad una forma pensionistica complementare25.

2) Mantenere tutto o parte del TFR futuro in azienda. In tal caso:

a. Azienda con almeno 50 dipendenti, il TFR non devoluto alla previdenza è trasferito dal datore di lavoro ad un apposito fondo istituito presso l‟ INPS26

b. Azienda con meno di 50 dipendenti il TFR può essere lasciato in azienda.

Nel momento in cui il TFR entra in un fondo pensione esso cambia natura diventando parte del fondo, per questo non più oggetto del FONDO DI GARANZIA27.

6 CONTRIBUZIONE DEL DATORE DI LAVORO.

Il contributo del datore di lavoro è dovuto solo se è previsto dal contratto collettivo (sostanzialmente l‟adesione al fondo chiuso consente di ricevere dal datore di lavoro la contribuzione al fondo). Tuttavia niente vieta al datore di lavoro di effettuare spontaneamente dei versamenti anche nel caso di adesioni a fondi aperti o PIP. Sulla contribuzione del datore di lavoro è applicato il contributo di solidarietà del 10% dovuto all‟ente di previdenza obbligatoria.

Il rilancio della previdenza è stato affidato dal legislatore principalmente alla leva fiscale, che si realizza nelle tre fasi:

 Di accumulo, con la deducibilità dei contributi versati entro un limite

 Di gestione, con la ridotta tassazione dei rendimenti

 Erogazione delle prestazione, che beneficiano di una tassazione a titolo d‟imposta con aliquote molto favorevoli.

25 Sono esclusi i lavoratori che abbiano già espresso tele volontà in un precedente contratto di lavoro. 26 Istituto Nazionale della Previdenza Sociale http://www.inps.it/portale/default.aspx

27 Fondo istituito presso l‟ INPS che paga il trattamento di fine rapporto (TFR) e le ultime tre mensilità in

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7 DEDUCIBILITÀ

Dal 1° Gennaio 2007, i contributi versati dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente alla forma di previdenza complementare sono deducibili (art. 10 DPR 917/1986) dal reddito complessivo per un importo non superiore a 5.164,57 €. Ciò si traduce in un risparmio d‟imposta tanto maggiore quanto più elevata è l‟aliquota d‟imposta marginale IRPEF28

. I contributi deducibili, uguali a tutte le tipologie di lavoratori iscritti alla previdenza complementare, che si computano al limite massimo sono:

 Contributi del lavoratore

 L‟eventuale contributo del datore di lavoro

I contributi eccedenti il tetto massimo non hanno alcun beneficio fiscale immediato, costituendo un reddito con normale tassazione. Poiché la tassazione si basa su aliquote di prelievo progressive, la deduzione consente al titolare del reddito di realizzare un risparmio fiscale percentualmente pari alla più elevata aliquota fiscale applicata al suo reddito (aliquota marginale)

ESEMPIO: soggetto con reddito di 40.000 € che ha versato al fondo un contributo di 1.000 € l‟aliquota impositiva (pari al 38%) sarà calcolata su 39.000 € (40.000 € - 1.000 €) con un risparmio di 380 €.

La contribuzione versata dal contribuente a favore delle persone fiscalmente a carico29 è deducibile con le seguenti regole:

 La deduzione si applica al reddito delle persone a carico fino a capienza.

 Se il reddito di tale soggetto non è capiente, l‟eccedenza può essere dedotta dal reddito complessivo del contribuente sempre nel limite di 5.164,57.

28 Per aliquota marginale IRPEF si intende l‟applicazione di una percentuale legale su un‟eccedenza di scaglione

o di reddito in generale. All‟interno degli scaglioni irpef i redditi non vengono tassati per intero con un‟unica aliquota percentuale ma sulla somma inserita in fascia. L‟IRPEF si considera un‟imposta progressiva perché aumenta con il crescere del reddito. Le aliquote irpef sono cinque e si delineano nei cinque scaglioni di reddito rappresentativi delle fasce progressive di ricchezza. http://www.irpef.eu/che-cose-aliquota-marginale-irpef/

29

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8 GESTIONE DELLE RISORSE E GARANZIE

Data la finalità previdenziale degli accantonamenti al fondo pensione, rivestono un ruolo importante le politiche di investimento e di ripartizione del rischio adottate dal fondo nella gestione del proprio patrimonio. La gestione delle risorse sono stabilite nello statuto del fondo e devono essere in linea con le disposizioni del Decreto del Ministro del Tesoro che fissa i limiti delle forme di investimento e le regole da osservare.

I soggetti autorizzati alla gestione del fondo sono:  SIM30

e Banche.

 Compagnie di assicurazione.  SGR31.

L‟iscritto può, in alcuni casi, intervenire nella gestione del suo risparmio attraverso la scelta tra linee di investimenti più prudenziali o più aggressive. Sono disponibili due tipi di fondi fra cui l‟iscritto può scegliere:

 MONOCOMPARTO con una politica di investimento unica per tutti gli aderenti.

 PLURICOMPARTO l‟ammontare versato è gestito su più linee di investimento diverse per la loro natura e per il rischio. Non è possibile investire contemporaneamente in più comparti ma è consentito trasferire le risorse da un comparto all‟altro solo dopo un periodo minimo di permanenza nello stesso comparto.

Al fine di garantire una piena separazione dei ruoli e di ridurre il rischio di conflitti di interesse, le risorse vengono depositati presso una banca che abbia i requisiti di: banca depositaria (ai sensi dell‟art. 38 D.Lgs 58/98). La banca depositaria esegue le istruzioni impartite dal gestore del patrimonio del fondo, sempre che queste non siano contrarie a disposizioni di legge, statuto del fondo e criteri stabiliti dal Decreto del Ministro dell‟Economia e delle Finanze.

30 Società di Intermediazione Mobiliare. 31

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La legge prevede la tassazione, del risultato della gestione maturata, con un imposta sostitutiva dell‟ 11%.

9 PRESTAZIONI

Le prestazioni erogate dal fondo consistono nell‟attribuzione di una rendita32

o di un capitale.

9.1 RENDITA.

Nel momento in cui matura il diritto alla prestazione pensionistica complementare, il capitale accumulato viene convertito in rendita, tramite l‟utilizzo di un coefficiente di conversione. I fondi pensioni provvedono alle prestazione sotto forma di rendita mediante convenzioni con una o più compagnie di assicurazione oppure direttamente33 se sussistono i mezzi patrimoniali adeguati.

Il fondo può offrire agli iscritti diverse tipologie di rendita:

o VITALIZIA erogata direttamente al beneficiario.

o VITALIZIA REVERSIBILE erogata al beneficiario o, in caso di decesso, al soggetto indicato.

o RENDITA CERTA E SUCCESSIVAMENTE VITALIZIA si tratta di una prestazione che assicura al pensionato o agli eredi/beneficiari un importo determinato di pensione. Trascorso un determinato periodo la rendita viene erogato solo se il soggetto è ancora in vita. Vitalizia eventualmente incrementata al verificarsi di eventi che comportano la perdita di autosufficienza per il beneficiario.

9.2 CAPITALE

In alternativa alla rendita può essere richiesto la liquidazione di un capitale secondo il valore attuale ma sempre sotto il limite del 50% dell‟importo maturato. La restante parte sarà erogata sottoforma di rendita.

32 Cioè di una pensione che si aggiunge a quella liquidata dal sistema previdenziale obbligatorio. 33

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Il limite del 50% non si applica in alcuni casi: Gli iscritti ad un fondo prima del 15 Novembre del 1992 l‟importo annuo della prestazione pensionistica è inferiore al 50% dell‟assegno sociale34 (che è di 447,67 € ).

9.3 ANTICIPAZIONI

Gli iscritti alle forme pensionistiche complementari possono chiedere un‟anticipazione della posizione individuale maturata:

 75% della posizione maturata per le spese sanitarie, acquisto prima casa per se o per un figlio. In questo caso si applica una ritenuta a titoli d‟imposta pari al 15% che viene ridotta dello 0,30% per ogni anno, eccedente al quindicesimo, di partecipazione fino al limite massimo del 6%.

 Decorsi otto anni, per ulteriori esigenze, un importo non superiore al 30% della posizione maturata. In questo caso la ritenuta a titolo d‟ imposta è del 23%. Le somme riscosse possono essere reintegrate mediante contribuzione annua eccedente la parte deducibile di 5.164,57.

L‟iscritto ha la possibilità di trasferire la propria posizione contributiva da un fondo all‟altro, anche se non sono venuti meno i requisiti di appartenenza. Infatti è possibile, dopo due anni di partecipazione ad una forma pensionistica complementare, trasferire l‟intera posizione individuale ad un‟altra forma pensionistica.

10 FONDI PENSIONE: VISIONE UE

Nella maggior parte dei paesi europei, con l‟eccezione del Regno Unito, Irlanda e Paesi Bassi, la presenza dei fondi pensione è ancora alquanto limitata. Il diverso grado di sviluppo dei mercati nazionali, a sua volta, aiuta a comprendere la scarsa integrazione di tali mercati a livello europeo.

La Comunità europea si sta impegnando ad eliminare ogni ostacolo e auspicata una maggiore integrazione per il futuro. Le diversità nei regimi fiscali riservati al risparmio

34 L‟assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale che prescinde del tutto dal versamento dei

contributi. Spetta ai cittadini che si trovino in condizioni economiche disagiate ed abbiano situazioni reddituali particolari previste dalla legge. E‟ erogato dall‟INPS a coloro che abbiano almeno 65 anni di età e non arrivano a totalizzare un reddito annuo di 5.818,93 €, e spetta a cittadini italiani, comunitari ed extracomunitari.

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previdenziale nei diversi paesi membri potrebbero costituire un ostacolo di rilievo a questo processo. Ciò è particolarmente vero se si tiene conto del duplice obiettivo perseguito: garantire la piena libertà di prestazione fra i diversi stati membri e assicurare la mobilità transfrontaliera dei lavoratori, in special modo dei dipendenti di società multinazionali, mobilità che potrebbe essere ostacolata dall‟esistenza di discriminazioni fiscali ai danni della portabilità dei piani previdenziali integrativi cui aderiscono. Per questa ragione l‟attenzione è focalizzata sui fondi pensione occupazionali.

Sintetizzando un apposito studio condotto dall‟Internal Market Directorate General (2000), in collaborazione con le Autorità fiscali dei singoli stati membri, la Commissione Europea (2001) ricorda che 11 dei 15 paesi della Comunità riservano ai fondi pensione uno schema di tassazione del tipo EET35.

Nel maggio 2003 il Parlamento europeo ed il Consiglio hanno definitivamente approvato una direttiva relativa ai fondi pensione occupazionali. Tale direttiva doveva essere adottata dagli stati membri entro 24 mesi dalla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Europea. La principale finalità della direttiva era di favorire una maggiore integrazione finanziaria nel comparto (libertà di prestazione, tentativo di coniugare una politica prudenziale, a tutela del lavoratore, con una maggiore libertà per le istituzioni in questione nello sviluppare la propria politica di investimento, ecc.), partendo, in particolare dal mutuo riconoscimento dell‟attività di supervisione esercitata dai singoli stati membri.

Gli ostacoli fiscali che possono frapporsi alla realizzazione di un mercato unico per i fondi pensione possono interessare:

 la fase della contribuzione: in particolare in tutti i casi in cui la deducibilità, o altra agevolazione, riconosciuta ai contributi a fondi pensione residenti non è invece riconosciuta in caso di adesione a fondi pensione non residenti;

35 EET (Exempt contributions, Exempt investment income and capital gains and Taxed benefits) i flussi relativi

alla prima fase (accantonamento) andrebbero esenti (E). Allo stesso modo non andrebbero tassati i redditi di capitale e le plusvalenze maturati nella seconda fase (accumulo) (E). La pensione, erogata nella terza fase (prestazione), dovrebbe invece essere tassata (T)

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Farebbero eccezione la Danimarca, l‟Italia e la Svezia; con uno schema ETT; il Lussemburgo e, in parte, la Germania, con uno schema TEE36.

 La fase dell‟accumulazione: la tassazione eventualmente subita dai fondi pensione nella fase di accumulazione, per la quale non siano previsti rimborsi in capo ai non residenti, riduce la competitività dei fondi in questione nei confronti di istituzioni residenti in paesi europei in cui tale fase sia esente da imposta.

 La fase della prestazione: possono infatti verificarsi doppie tassazioni, quando il paese fonte e il paese di residenza non si accordino circa l‟attribuzione della potestà impositiva.

 Vi sono poi altri ostacoli di rilievo che non riguardano una singola fase, quanto il regime di tassazione nel suo insieme. La non convergenza verso un modello di tassazione comune e, in particolare, l‟adozione di un modello EET da parte di alcuni stati e TEE da parte di altri, può generare fenomeni di doppia tassazione o di doppia esenzione in capo ai lavoratori che mutino la propria residenza nel corso della vita, versando i contributi quando residenti in uno stato e fruendo delle prestazioni quando residenti in un altro stato. Allo stesso modo, il riconoscimento di deducibilità per contributi versati a fondi esteri o di esenzioni per prestazioni fruite da non residenti può creare ampi spazi per fenomeni di elusione o evasione fiscale in assenza di cooperazione ai fini dell‟accertamento fra i singoli stati.

Essa è ugualmente molto importante, in quanto delinea un possibile percorso da seguire per affrontare i problemi richiamati ed individuare i pochi strumenti di cui la Comunità già dispone per impostare propri interventi in questa direzione.

Il principale di questi strumenti viene individuato nel Trattato istitutivo della Comunità, che vieta il ricorso a normative discriminatorie che siano di ostacolo alla libertà di movimento dei capitali, delle persone e delle merci. In presenza di violazione

36 TEE (Taxed contributions, Exempt investment income and capital gains and Exempt benefits) i flussi relativi

alla prima fase (accantonamento) andrebbero tassati (T). non andrebbero tassati i redditi di capitale e le plusvalenze maturati nella seconda fase (accumulo) (E). La pensione, erogata nella terza fase (prestazione), dovrebbe essere esentata (E)

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del Trattato, la Commissione può aprire procedure di infrazione nei confronti dei paesi coinvolti e se questi non si adeguano alle sue indicazioni può richiedere una pronuncia della Corte di giustizia.

Secondo il parere della Commissione, rientrano fra le pratiche discriminatorie, che contrastano quindi con il Trattato di Roma, le normative che non estendano alla contribuzione a favore di fondi pensione non residenti, e alle stesse condizioni, la deducibilità riconosciuta alla contribuzione a favore di fondi pensione residenti. Nella sua Comunicazione, la Commissione affronta poi il problema della doppia tassazione, che può conseguire al mancato coordinamento fra le regole fiscali adottate dai diversi stati membri, configurando tassazioni del tipo TET per individui che versino i propri contributi quando residenti in paesi con tassazione TEE e ottengano le prestazioni quando residenti in paesi con tassazione EET.

Il ricorso a strumenti cogenti è stato già escluso nel momento in cui si è deciso di eliminare dalla direttiva sui fondi pensione qualsiasi riferimento a problematiche fiscali. I singoli stati restano quindi sovrani nel decidere il modello di tassazione da applicare ai propri fondi pensione. La Commissione ricorre allora alla persuasione morale, sollecitando la convergenza dei modelli di tassazione dei diversi stati membri verso il modello EET, sulla base dell‟assunto che tale modello sia già di gran lunga prevalente in seno alla Comunità.

La Comunicazione della Commissione fa inoltre propria la proposta a favore dell‟istituzione di fondi pensione Pan-Europei, cui verrebbe assegnata la funzione prioritaria di rendere possibile alle multinazionali di avvalersi di un unico gestore per offrire la previdenza integrativa ai propri dipendenti, che lavorano in stati diversi, con legislazioni fiscali diverse.

Il fondo pensione Pan-Europeo, residente in un qualsiasi stato della Comunità, sarebbe abilitato, sulla base di una licenza unica, a prestare i suoi servizi anche in tutti gli altri stati membri, operando, almeno in prima istanza, come fondo “aziendale” al servizio di una singola multinazionale.

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Il fondo in questione sarebbe organizzato per comparti, ognuno dei quali funzionante in accordo con le regole fiscali stabilite dalla legislazione del paese di residenza del lavoratore che vi afferisce. Ad esempio, una multinazionale i cui lavoratori risiedano in Italia, Francia e Germania, potrebbe affidarsi ad un fondo residente in Germania, e sottoposto quindi alla supervisione delle autorità tedesche. I lavoratori tedeschi afferirebbero ad un apposito comparto di tale fondo in cui le regole per la deducibilità dei contributi, per la fruizione e la tassazione delle prestazioni, ecc. sarebbero conformi a quanto previsto dalla legislazione tedesca; i lavoratori italiani e quelli francesi afferirebbero a differenti comparti del fondo e sarebbero conseguentemente assoggettati alle stesse regole a cui sarebbero assoggettati se afferissero ad un fondo residente nella loro nazione. Se un lavoratore cambiasse residenza, cambierebbe anche comparto del fondo pensione (con possibili eccezioni nel caso di spostamenti solo temporanei). Non vi sarebbe però necessità di trasferire la sua intera posizione: al momento del pensionamento, infatti, ciascun comparto del fondo gli liquiderebbe la pensione maturata nel periodo di afferenza.

11 PPP (I PIANI INDIVIDUALI PENSIONISTICI DI TIPO ASSICURATIVO) I Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (PIP) sono forme pensionistiche complementari esclusivamente individuali rivolte a tutti coloro che, indipendentemente dalla propria situazione lavorativa, intendano costruirsi una rendita integrativa. L‟adesione a questa tipologia di fondo pensione può avvenire esclusivamente in forma individuale. Come i Fondi pensione aperti anche i PIP sono costituiti sotto forma di patrimoni separati e autonomi rispetto a quello dell‟impresa di assicurazione che li istituisce e sono destinati esclusivamente al pagamento delle prestazioni agli iscritti.

I PIP sono istituiti dalle imprese di assicurazione e sono realizzati mediante:

 Contratti assicurativi di ramo I – assicurazioni sulla vita - nei quali la rivalutazione della posizione individuale è collegata a una o più gestioni interne separate;

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 contratti assicurativi di ramo III - polizze di tipo unit linked - nei quali la rivalutazione della posizione individuale è collegata al valore delle quote di uno o più fondi interni detenuti dall‟impresa di assicurazione oppure al valore delle quote di OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio).

Possono esistere anche forme miste – nelle quali la rivalutazione della posizione individuale è collegata sia a contratti di ramo I sia a contratti di ramo III.

L‟attività del PIP è disciplinata dal REGOLAMENTO. Questo documento, insieme alle Condizioni generali di contratto definisce gli elementi identificativi del PIP (denominazione, istituzione e scopo), le caratteristiche (l‟importo dei contributi, il metodo di calcolo delle prestazioni – a contribuzione definita – le politiche di investimento, le spese per la partecipazione a carico dei destinatari), i profili organizzativi (il Responsabile del PIP e la struttura amministrativa), i rapporti con gli aderenti (modalità di adesione, le informazioni che saranno fornite agli iscritti).

I cosiddetti „vecchi‟ PIP sono forme pensionistiche individuali attuate mediante contratti assicurativi che esistevano prima dell‟entrata in vigore del Decreto Lgs. 252/2005 (1° gennaio 2007) e che non hanno provveduto a effettuare gli adeguamenti previsti. Gli aderenti possono trasferire l‟intera posizione individuale maturata ad altra forma pensionistica complementare. I „vecchi‟ PIP non sono iscritti all‟Albo dei

Fondi pensione e non sono vigilati dalla COVIP bensì dall‟IVASS37. Essi non possono raccogliere nuove adesioni.

11.1 ADESIONE

L‟adesione a un PIP è volontaria, su base individuale e indipendente dalla propria condizione lavorativa (lavoratore dipendente o autonomo); si può aderire anche se al momento non si svolge alcuna attività lavorativa. I PIP non possono essere destinatari di adesioni in forma tacita. I lavoratori dipendenti pubblici possono aderire a un PIP solo su base individuale.

11.2 CONTRIBUZIONE

Il lavoratore dipendente al momento dell‟adesione sceglie liberamente l‟importo e la periodicità della contribuzione (mensile, trimestrale, semestrale o annuale) che possono essere successivamente modificati; può versare anche il solo flusso di TFR.

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