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Caratterizzazione chimico-sensoriale di prodotti derivati dal latte di pecora massese, in relazione al periodo di pascolamento.

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE VETERINARIE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN SCIENZE E TECNOLOGIE DELLE PRODUZIONI ANIMALI

Caratterizzazione chimico – sensoriale di prodotti

derivati dal latte di pecora Massese in relazione al

periodo di pascolamento

Candidato Relatori

Luca Cannizzo Mina Martini

Marcello Mele

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Riassunto

Parole chiave: latte ovino, yogurt, formaggio, profilo acidico, profilo aromatico.

Introduzione: Il concetto di tracciabilità dei prodotti è di fatto emergente e strettamente collegato alla possibilità di conoscere il percorso degli alimenti in

modo tale da poterne monitorare tutte le fasi d’ottenimento attraverso l’analisi dei rischi a cui è sottoposto durante l’intero iter produttivo. Molte tecniche sono state studiate a tal fine; tra queste, l’utilizzo dei terpeni sono stati considerati per la loro capacità di trasferirsi, almeno in parte, dall’alimento al latte, consentendo a queste molecole di essere assunte come una componente del pascolo in grado di caratterizzare l’ambito geografico e il sistema di produzione.

Scopo dello studio: Come primo obiettivo ci siamo posti di verificare il profilo acidico del latte di pecora Massese e dei relativi prodotti di trasformazione

quali yogurt, formaggio fresco, formaggio stagionato a 30 giorni in estate, inverno e primavera. I risultati dei tre periodi di campionamento sono stati confrontati al fine di verificare quali variabilità stagionali fossero presenti nei prodotti dell’ovinicoltura Toscana in relazione alle caratteristiche chimiche più idonee dal punto di vista nutrizionale e della salute umana. Il secondo obiettivo è stato quello di individuare il profilo aromatico del cotico erboso verificando una possibile correlazione tra gli aromi ritrovati nei prodotti lavorati e quelli nel cotico erboso. Questa correlazione è stata ricercata al fine di poter utilizzare gli aromi presenti come possibile mezzo di riconoscimento della tipicità del prodotto finale e fornire uno strumento utile alla sua tracciabilità.

Materiali e Metodi: Lo studio è stato svolto presso l’Azienda Agricola Caseificio Pedrazzi, situata a Coltano, nel Comune e Provincia di Pisa all ’interno del

Parco di Migliarino-San Rossore Massaciuccoli. Gli animali oggetto dello studio sono stati alimentati con foraggio prodotto da pascoli spontanei tipici dell’area Pisana. I campionamenti di pascolo, latte, formaggio e yogurt sono stati effettuati in tre periodi dell’anno, indicati come periodo E (estate), I (Inverno) e P (primavera). Su ogni campione di latte, yogurt e formaggio, analizzati in triplo, sono stati determinati: il grasso totale, le proteine totali, quantificazione del contenuto minerale e profilo acidico. Per i campioni di foraggio yogurt e formaggio sia fresco che stagionato è stato determinato in seguito il profilo aromatico tramite micro estrazione in fase solida con gas cromatografia a spettrometro di massa. Per il foraggio è stato infine calcolata la

composizione floristica dei pascoli espressa come la media percentuale delle tre famiglie botaniche principali: Leguminose, Graminacee e Altre Specie.

Risultati: L’andamento floristico osservato nei pascoli nei periodi di campionamento, appare conforme al trend generale dei pascoli spontanei registrato nella

zona Pisana con una generale prevalenza della categoria “altre famiglie” nei periodi invernali e primaverili, una presenza costante delle Graminacee in tutte le stagioni con un aumento nel periodo estivo della famiglia delle Leguminose e una diminuzione evidente della categoria altre famiglie. È stato osservato che l’effetto stagione è risultato significativo per la maggior parte degli acidi grassi considerati nei campioni di latte e nei campioni di formaggi sia freschi che stagionati, ma per quanto riguarda il profilo acidico dello yogurt è stato significativo solo per meno dei 2/3 degli acidi grassi conside rati. I campioni di latte primaverile mostrano un contenuto maggiore in SCFA e un contenuto minore di MCFA e LCFA. I campioni di formaggio fresco e stagionato concordano con lo stesso andamento riscontrato nei campioni di latte per quanto riguarda gli MCFA con una presenza minore in primavera ma differiscono per gli acidi grassi SCFA e LCFA che risultano maggiormente significativi nel periodo invernale e in quello estivo. Gli SCFA degli yogurt risultano concordi con lo stesso andamento dei campioni di latte come anche gli acidi grassi MCFA. In tutti i campioni analizzati il rapporto n6/n3 è sempre risultato inferiore a 4.Al cambiamento della stagione è seguito un cambiamento anche nel profilo aromatico di formaggi e yogurt.

Conclusioni: La stagione influisce significativamente sulla maggior parte degli acidi grassi per quanto riguarda il latte e i formaggi sia freschi che stagionati,

mentre, per il profilo acidico dello yogurt l’incidenza della stagione è stata minore. Attraverso l’analisi delle componenti p rincipali, abbiamo potuto stabilire una correlazione tra i prodotti e i periodi di campionamento. Questi risultati ottenuti sono un primo passo, si rimanda a successive analisi per poter evidenziare una particolare essenza che possa collegare i prodotti caseari al pascolo e quindi al luogo di produzione.

Abstract

Keywords: sheep milk , yogurt , cheese , fatty acid profile , flavor profile.

Introduction: The concept of traceability is an emerging concept, closely linked to the possibility to know the location of food, so you can track all stages of it

obtaining its entire production process and its state of health. Many techniques have been developed to this end. These include the terpenes. They have been chosen for their ability to move, at least in part, from the food to the milk, and this allows us to consider these molecules as a component of grazing able to characterize the geographical scope and the production system.

Aim of the study: As a first goal we set ourselves to check the fatty acid composition of milk made by Massese’s sheep and processed products such as

yogurt, fresh cheese and 30 days ripened cheese in summer, winter and spring. The results of the three sampling periods were compared in order to verify which seasonal variability was present in the products of sheep breeding in Tuscany in relation to the most suitable chemical characteristics from the point of view of human health and nutrition. The second objective was to identify the flavor profile of the sward checking a possible correlation between the aromas found in the processed products and those in the pasture. This correlation has been sought in order to be able to use the aromas present as a possible means of recognition of the typicality of the final product and provide a useful tool to its traceability.

Materials and Methods: The study was carried out at the Dairy Farm Pedrazzi, situated in Coltano, in the City and Province of Pisa in the Migliarino-San

Rossore Park. The animals in the study were fed with fodder produced by spontaneous pastures typical of the Pisa’s Area. Sampling of pasture, milk, cheese and yogurt were carried out in three periods of the year, referred to as S period (summer), W (Winter) and SP (spring). Each sample was analyzed in triple copy and of each sample of milk, yogurt and cheese were determined: total fat, total protein, quantification of mineral conte nt and fatty acid profile. For forage, both yogurt and fresh and seasoned cheese samples was determined the aromatic profile using micro solid phase extraction with gas

chromatography mass spectrometer. For forage samples was finally calculated the floristic composition of the pastures expressed as the average percentage of the three major botanical families: Legumes, Grasses and other species.

Results: The trend observed in the floristic pastures in the three sampling periods, appears to conform to the general trend of spontaneous pastures recorded in

the area of Pisa with a general prevalence of the category "other families" in winter and spring, a constant presence in all Seasons of Gramineae with an increase of Legumes family in summer and a noticeable decrease in the category other families. It was observed that the seasonal effect was significant for most of the fatty acids considered in milk samples and in samples of both fresh and seasoned cheese. The yogurt fatty acid profile the was significant only for less than 2/3 of the considered fatty acids. Spring’s milk samples show a higher content of SCFA and a lower content of MCFA and LCFA. Fresh and seasoned cheeses samples agreed with the same trend found in milk samples in regard to the MCFA, with a smaller presence in spring but differs in SCFA and LCFA fatty acids that are most significant during winter and summer. The SCFA of yogurt are in agreement with the same trend of milk samples as well as MCFA fatty acids. In all samples analyzed the relationship n6/n3 is always found to be below 4. At the change of the season was followed by a change in the flavor profile of cheeses and yogurt.

Conclusions: The season significantly affects the majority of fatty acids regarding milk and both fresh and seasoned cheese, while in the fatty acid profile of

yogurt, was lower the season incidence. Through principal component analysis PCA we could establish a correlation between the products and the sampling periods. These results are a first step, please refer to subsequent in-depth analysis in order to highlight a particular essence that can connect the dairy grazing and therefore the place of production.

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"Porsi un obiettivo è la più forte forza umana di auto motivazione."

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Indice

Riassunto/Abstract

1-Introduzione ... 6

2-I sistemi di tracciabilità dei prodotti lattiero-caseari .... 9

2.1 Il sistema UNALAT... 9

2.2 Il progetto ITALIALLEVA... 10

2.3 Tecniche di tracciabilità genetica. ... 11

2.4 Metodologie di indagine per la tracciabilità geografica dei prodotti lattiero caseari. ... 13

2.5 Tecniche di separazione ... 16

2.6 Altre tecniche... 18

2.7 Il sistema della tracciabilità genetica ... 19

2.8 Marcatori Indiretti. ... 39

3-Scopo della tesi ... 43

4-Materiali e metodi ... 44

4.1 Scelta dell’azienda ... 44

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4.3 Modalità di produzione dello yogurt ... 46

4.3 Raccolta dei campioni ... 47

4.4 Analisi qualitative di latte yogurt e formaggio ... 49

4.5 Analisi statistica ... 52

5-Risultati e discussione ... 55

5.1 Composizione floristica dei pascoli ... 55

5.2 Profilo acidico ... 59

5.3 Composizione aromatica ... 73

6-Conclusioni ... 89

7-Bibliografia... 91

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1-Introduzione

A partire dagli anni 90’ il Consiglio ed il Parlamento Europeo hanno mostrato una crescente attenzione al tema della sicurezza alimentare. Ciò è da mettere sicuramente in relazione al panico che si è diffuso a cavallo tra la fine degli anni ’90 ed il 2000, a seguito della sindrome BSE, dei polli alla diossina e dell’olio d’oliva adulterato. Tali problematiche hanno evidenziato una sostanziale difficoltà delle autorità competenti nel saper gestire opportunamente i momenti di crisi che hanno interessato l’intero sistema comunitario, sia in termini di reperimento celere delle informazioni, sia per quel che concerne l’individuazione delle responsabilità dei singoli operatori coinvolti. Tali eventi come ad esempio la sindrome BSE, lo scandalo dei polli alla diossina etc., si sono ripercossi sull’intero sistema di produzione, trasformazione e commercializzazione dei prodotti zootecnici europei, creando una sorta di disaffezione e sfiducia del consumatore, non solo e non tanto, nei confronti della filiera produttiva coinvolta, quanto dell’intero sistema di controllo, gestione e comunicazione del rischio il quale avrebbe dovuto presiedere alla tutela della salute pubblica.

Il concetto di tracciabilità dei prodotti è di fatto un concetto emergente, strettamente collegato alla possibilità/necessità di conoscere il percorso degli alimenti in modo tale da poterne monitorare tutte le fasi d’ottenimento dello stesso e quindi, a mezzo dell’analisi dei rischi a cui è sottoposto l’intero iter produttivo, il suo stato di salubrità.

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Il primo atto normativo che ha dato avvio alla creazione di un nuovo quadro giuridico è stato il Reg. CE 178/2002, che ha stabilito i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare, ha costituito l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e ha fissato nuove procedure di intervento per quanto riguarda il campo della sicurezza alimentare. Il carattere innovativo del suddetto regolamento è quello di individuare dei singoli operatori alimentari, i diretti responsabili, in via principale, della conformità dei prodotti agro-alimentari da essi prodotti e/o commercializzati alle norme che disciplinano il settore alimentare di riferimento e, quindi, di investirli come ideatori e gestori di un sistema di tracciabilità, monitoraggio e verifica di tali conformità normative. La tracciabilità non garantisce di per se stessa la sicurezza di un prodotto alimentare, ma si fa garante dell’equità degli scambi tra soggetti operanti all’interno di segmenti diversi della filiera e dell’affidabilità delle informazioni fornite al consumatore. In questo senso i sistemi e le procedure di tracciabilità devono tendere a massimizzare l’efficienza e celerità di ritiro e richiamo dei prodotti non conformi in modo mirato, evitando di creare allarmismi ingiustificati ed evitando ulteriori perturbazioni nel mercato dei prodotti. Oltre ad un sistema di tracciabilità di carattere cogente e di natura prettamente documentale, sembra potersene affiancare un altro capace di evidenziare caratteristiche specifiche del prodotto e/o del sistema produttivo. Con ciò ci si riferisce alla possibilità e opportunità di tracciare la provenienza geografica o il sistema di allevamento degli animali (sistema estensivo al pascolo o sistema intensivo in stalla con mangimi concentrati) di un prodotto a mezzo di analisi capaci di definire il contenuto in termini quali-quantitativi di molecole, per così dire, traccianti od ancora alla possibilità di individuare a mezzo di tecniche di biologia

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molecolare la razza degli animali che hanno prodotto il latte destinato a specifiche trasformazioni casearie. C’è la necessità di fornire quindi una tracciabilità di prodotto che sia in grado di dare effettive garanzie sul processo d’ottenimento e sulla localizzazione geografica della produzione sembra poter essere un’implementazione sensata e virtuosa del concetto primitivo di tracciabilità (Biondi et al., 2010).

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2-I sistemi di tracciabilità dei prodotti

lattiero-caseari

2.1 Il sistema UNALAT

Dal 2005 UNALAT (unione nazionale associazioni di produttori di latte bovino) in collaborazione con il MIPAAF (ministero per le politiche agricole, alimentari e agro forestali), ha messo a punto un sistema di rintracciabilità del latte bovino atto alla costituzione di una filiera certificata e controllata in grado di valorizzare e promuovere la rete esistente tra diversi operatori del comparto lattiero caseario italiano. Tale progetto nasce dalla volontà di restituire al comparto produttivo il ruolo di soggetto primo ed attivo nella creazione della qualità chimico- nutrizionale e merceologica del latte alimentare e dei prodotti da esso derivati.

Il sistema di tracciabilità ideato da UNALAT si compone di un disciplinare tecnico, che individua i prerequisiti e i requisiti a cui gli operatori devono mostrare di essere conformi al fine di aderire alla filiera certificata, e dell’ideazione e promozione di un marchio collettivo che espliciti le caratteristiche peculiari del prodotto, evitando di fare riferimento diretto al produttore e al titolare del marchio collettivo stesso. Ciò, nell’ottica di creare col consumatore un rapporto di comunicazione trasparente che riesca ad esplicitare i contenuti del marchio.

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Il sistema UNALAT si propone come esempio dell’interpretazione multifunzionale a cui si presta il concetto di tracciabilità dei prodotti agro-alimentari che partendo dalla necessità di monitorare tutti gli anelli della catena produttiva, arriva a configurarsi come strumento di promozione dello stesso prodotto tracciato (Biondi et al., 2010).

2.2 Il progetto ITALIALLEVA

Un ulteriore progetto di tracciabilità nel settore lattiero- caseario è risultato essere quello proposto dall’ Associazione Italiana Allevatori (AIA) Ente morale senza fini di lucro fondato nel 1944. Il progetto ITALIALLEVA per AIA significa sviluppare un progetto che soddisfi le esigenze di tutta la filiera in quanto garantisce il processo produttivo, sostiene il prodotto primario secondo la destinazione d’uso ed esalta le peculiarità dei prodotti. ITALIALLEVA rappresenta un valore aggiunto per l’allevatore, per la filiera, per le istituzioni e per la società.

Per l’allevatore non ci sono costi aggiuntivi e viene accompagnato verso gli standard del pacchetto igiene e benessere. Per la filiera la certezza dell’origine del prodotto zootecnico, la certificazione del latte secondo destinazione d’uso, la garanzia del prodotto per rintracciabilità, sicurezza alimentare e benessere animale.

Vengono inoltre garantiti il rispetto dei disciplinari di produzione in caso di prodotti a marchio DOP, IGT, SGT e prodotti di qualità standard. Maggiore certezza viene data al consumatore, con la possibilità da parte della filiera di utilizzare il marchio Italialleva di immediata riconoscibilità. Infine per lo Stato e le istituzioni la creazione

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di un progetto nazionale come piattaforma di identificazione del prodotto e la definizione delle produzioni e messa in trasparenza del mercato dell’offerta del latte (tramite la misurazione quali-quantitativa delle produzioni) (Biondi et al., 2010).

2.3 Tecniche di tracciabilità genetica.

La tracciabilità genetica si basa su l’identificazione sia degli animali che dei loro prodotti attraverso lo studio del DNA. Un primo approccio per l’identificazione delle specie era basato su l’analisi delle proteine e i test immunologici. Oggigiorno, PCR specie specifiche hanno dimostrato di essere un metodo affidabile per il controllo dell’autenticità dei prodotti caseari (Galimberti et al., 2013), poiché una specifica sequenza bersaglio può essere determinata in una matrice contenente un pool di geni eterogenei DNA come il latte (Mafra et al., 2008). Inoltre, recentemente, la PCR-DGGE (PCR denaturing gradient gel electrophoresis - elettroforesi su gel in gradiente di denaturazione) è stata usata per la tracciabilità e la sicurezza alimentare per caratterizzare i batteri e i lieviti presenti nei prodotti lattiero- caseari (Arcuri, El Sherikha et al., 2013; Ercolini, Mauriello, Blaiotta, Moschetti & Coppola, 2004). Diversi tipi di marcatori sono stati scoperti, studiati e usati in agricoltura e nell’allevamento, attualmente i più utilizzati per la tracciabilità genetica sono i microsatelliti ed i Polimorfismi di Singolo Nucleotide (SNPs), per il loro alto livello di polimorfismo e la loro alta riproducibiltà. (Galimberti et al.,2013). PCR multipla, la metodologia di analisi multipla utile per identificare differenti tipologie di DNA in una singola reazione, è applicata per identificare campioni di DNA provenienti da prodotti

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caseari differenti (Bottero et al., 2003; Kotowicz, Adamczyk, & Bania, 2007; Mafra, Roxo, Ferreira, & Oliveira, 2007; Tobe & Linacre, 2008). Tuttavia la co-amplificazione di differenti regioni di frammenti di DNA specie specifici basati su l’end point PCR con successiva elettroforesi in gel di agarosio non provvedeva a nessuna quantificazione dei campioni (Agrimonti et al., 2015). Altre metodologie di indagine per la tracciabilità genetica utilizzano la tecnologia AFLP (Amplified Fragment Lenght Polymorphis) messa a punto negli anni ’90. I marcatori AFLP sono marcatori bi-allelici che identificano principalmente mutazioni puntiformi e secondariamente inserzioni, delezioni e riarrangiamenti cromosomici. Possono essere considerati marcatori co-dominanti in quanto la loro amplificazione è semi-quantitativa e rende possibile la distinzione dei genotipi omozigoti da quelli eterozigoti ad un locus attraverso uno studio densitometrico dell’estremità del segnale (Ajmone-Marsan et al., 1997). La tecnologia AFLP ha trovato applicazione anche nel campo della tracciabilità di razza. Attualmente sono stati condotti studi su alcune razze suine (Alves et al., Óvilo et al., 2000) e avicole (De Marchi et al., 2006) in grado di individuare con successo la razza di appartenenza di un prodotto. Per quanto riguarda il settore bovino, Negrini et al., (2007) hanno condotto uno studio su 16 razze bovine, alcune di queste specializzate da latte, constatando la bontà di questa metodologia, insieme ad un opportuno approccio statistico, nell’assegnazione di razza.

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2.4 Metodologie di indagine per la tracciabilità geografica

dei prodotti lattiero caseari.

Nel corso degli ultimi decenni l’autenticità dei prodotti agro-alimentari è diventata un argomento di interesse sia per i consumatori, sia per i legislatori, in relazione alla possibilità di avere attestazioni certe sulla provenienza geografica dei prodotti e a quella di affermare oggettivamente il tipo di processo produttivo da cui derivano. Tale aspetto ha assunto importanza crescente anche in relazione alla confermata importanza attribuita dal legislatore comunitario ai marchi di origine, visti come leva capace di privilegiare le produzioni locali tipiche e, quindi, di vivificare le economie delle aree marginali e tradizionalmente legate a particolari tipologie di prodotti agro-alimentari. Al fine di tracciare la provenienza del prodotto e le tipologie di processi produttivi che hanno consentito di ottenerlo è necessario disporre di metodi analitici efficienti, ripetibili, affidabili e sostenibili in termini economici e di tempi di analisi richiesti. Inoltre, tali tecniche, per poter essere utili per discriminare l’origine di un prodotto, dovrebbero essere in grado di determinare più componenti allo stesso tempo. Maggiore è il numero di componenti identificati dalla tecnica analitica e maggiori saranno le capacità discriminanti. Gli approcci analitici utilizzati possono essere distinti in quattro tipologie: tecniche di spettrometrie di massa, tecniche spettrometriche, tecniche di separazione e altre tecniche.

Tali tecniche si basano sulla misurazione del rapporto massa/carica degli ioni che originano da un campione e dalla loro successiva separazione in funzione della loro

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massa molecolare. Le tecniche di spettrometria di massa possono anche essere accoppiate ad altre ad esempio con le tecniche di gas-cromatografia.

2.4.1 IR-MS (Isotope ratio mass spectrometry)

Si basa sulla distinzione di composti chimicamente identici in base al rapporto tra gli isotopi. I più utilizzati ai fini della tracciabilità dei prodotti sono gli isotopi 13C/12C, 15

N/ 14 N, 18 O/ 16 O, e 2 H/ I H. Le due tecniche più comuni sono quella a flusso continuo

(CF- IRMS) e quella a doppia entrata (DI-IRMS). Quest’ultima è particolarmente laboriosa, richiede elevate quantità di campione ed è soggetta a contaminazione e frazionamento degli isotopi nel corso dei numerosi passaggi richiesti dalla preparazione del campione. La CF- IRMS sebbene meno precisa della precedente, è una tecnica più rapida in quanto totalmente on-line e basata sull’analisi degli analiti in un flusso continuo di elio. (Benson et al., 2006).

2.4.2 ICP-MS (Inductively coupled plasma mass spectrometry)

È una tecnica molto potente, per la determinazione di elementi inorganici contenuti anche in tracce di alimenti. Questa tecnica prevede che il campione, sottoposto ad alte temperature, generi un aereo-sol che viene ionizzato da una sorgente di plasma di argon. Successivamente le masse vengono discriminate e quantificate in funzione del rapporto massa/carica. I vantaggi di questa tecnica sono: la possibilità di eseguire

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un’analisi multi-elemento, la velocità di analisi e la capacità di discriminare gli isotopi di medesimi elementi chimici. (Meija et al., 2004)

2.4.3 PTR- MS (proton transfer reaction mass spectrometry)

Consente di quantificare e monitorare on–line i composti organici contenuti negli alimenti, grazie ad una blanda ionizzazione delle molecole organiche utilizzando lo ione H3O+, generato da una sorgente operante in vapore d’acqua. Lo ione H3O+

trasferisce il proprio protone esclusivamente alle molecole organiche volatili che hanno un’affinità maggiore di quella dell’acqua. Una volta protonate tali molecole vengono accelerate in un campo elettrico che ne induce la collisione e la loro dissociazione in ioni che, grazie alla loro massa specifica, costruiranno il profilo della molecola. Il vantaggio di tale tecnica risiede nella frammentazione ridotta degli analiti, pertanto gli spettri sono di facile e immediata lettura. Il metodo, inoltre, è completamente automatizzabile e non richiede la presenza di personale altamente qualificato.

2.4.4 GC-MS (Gas chromatography mass spectrometry)

Questa tecnica prevede l’utilizzo di un gas-cromatografo accompagnato ad uno spettrometro di massa. La tecnica gas-cromatrografica consente la separazione dei diversi composti in base alla loro affinità rispetto alla fase stazionaria della colonna

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utilizzata, mentre lo spettrometro di massa consente l’identificazione delle masse tipiche dei composti generate, di solito, attraverso la ionizzazione ad impatto di elettroni. La tecnica consente di ottenere una valutazione quantitativa e qualitativa dei diversi componenti del campione in analisi. È una delle tecniche più utilizzate grazie all’elevata riproducibilità, tuttavia è costosa e laboriosa, soprattutto in funzione dell’accurata preparazione del campione prima dell’analisi (Pillonel et al., 2003a).

2.5 Tecniche di separazione

2.5.1 HPLC (High performance liquid chromatrography)

É una tecnica molto utilizzata per separare una vasta gamma di composti di differente origine come carboidrati, vitamine, additivi, micotossine, amino acidi, proteine, trigliceridi. Tali molecole passano attraverso la fase stazionaria della colonna utilizzata veicolate da una fase mobile. In funzione del diverso comportamento che assumono nei confronti delle due fasi esse possono essere sparate a seconda della loro carica, della loro massa molecolare, della loro polarità e altre specifiche caratteristiche. Diversi tipi di detector possono essere accoppiati al sistema HPLC per la rivelazione dei composti, ma uno dei più utilizzati è senz’altro quello a luce ultravioletta-visibile (UV-vis). Questa tecnica è robusta, riproducibile e il costo delle apparecchiature è molto modesto in confronto ad altri strumenti per la spettrometria di massa. Inoltre, la possibilità di modificare la scelta della fase stazionaria e di quella mobile consente di

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ottimizzare le condizioni di separazione a seconda dei composti che si vuole analizzare. L’analisi non è distruttiva e i composti separati possono essere raccolti e sottoposti ad ulteriori analisi. Le recenti evoluzioni di questa tecnica, infine, consentono di velocizzare notevolmente i tempi di analisi (ultra high performance LC) e la potenza di separazione (HPLC bidimensionale) (Tranchida et al., 2004).

2.5.2 GC (Gas-Chromatrography)

È forse la tecnica in assoluto più utilizzata nell’analisi degli alimenti per separare sostanze volatili e semivolatili che compongono l’aroma. I costituenti del campione vengono vaporizzati in una camera posta di seguito all’iniettore e successivamente trasportati da un gas carrier attraverso una colonna la cui fase stazionaria trattiene e successivamente rilascia i diversi composti in funzione della loro affinità con la fase stazionaria della colonna stessa. Diversi tipi di detector possono essere montati su un sistema GC, ma quello più comunemente utilizzato è il FID (flame ionisation detector). Questo tipo di detector garantisce un’elevata sensibilità lineare rispetto alle quantità delle singole molecole e, pertanto, le sostanze analizzate non possono essere sottoposte ad ulteriori analisi. Un’applicazione interessante è quella relativa all’utilizzo di un detector di massa al fine di ottenere il profilo di masse tipiche di tutti i composti precedentemente separati dalla colonna GC. Anche per il GC, recenti evoluzioni hanno consentito di velocizzare i tempi di analisi (fast GC) e di aumentarne la potenza di separazione (GC bidimensionale).

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2.6 Altre tecniche

2.6.1 Naso elettronico

È basata sul rilevamento da parte di una serie di sensori dei composti volatili presenti nello spazio di testa di un campione di alimento (Strike et al., 1999). Il sistema comprende un apparato deputato alla generazione dei composti volatili nello spazio di testa, da una serie di sensori reattivi a tutti i composti volatili, ma ciascun sensore in un modo differente da un altro, e da un’interfaccia elettronica che trasforma il segnale elettrico generato dai sensori in un valore digitale. Molti nasi elettronici prevedono l’uso di sensori che reagiscono con composti volatili per contatto. A seguito dell’assorbimento del composto da parte della superficie del sensore si ha una modificazione fisica del sensore stesso che genera un segnale elettrico. I dati registrati dall’interfaccia vengono elaborati immediatamente per generare un’impronta digitale del campione analizzato. I vantaggi di questa tecnica riguardano le piccole quantità di campioni necessarie, la semplicità delle procedure di preparazione dei campioni, l’elevata velocità di analisi e i costi contenuti. Gli svantaggi sono legati al fatto che non è possibile identificare la natura chimica dei composti analizzati e alla bassa sensibilità dello strumento. La tecnica, inoltre, è sensibile alla presenza di vapore d’acqua che condiziona la ripetibilità delle analisi (Franke et al., 2005).

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2.7 Il sistema della tracciabilità genetica

La tracciabilità genetica è basata su tecnologie di identificazione del DNA, il codice genetico è infatti inalterabile e presente in ciascun tessuto animale fornendo dunque un potente mezzo di autenticazione e controllo del convenzionale sistema di identificazione (Cunningham et al., 2001). La tracciabilità genetica è quindi uno strumento di estrema importanza per la sicurezza del consumatore, tuttavia una sua possibile applicazione futura potrebbe anche essere legata alla valorizzazione delle produzioni tipiche e i prodotti lattiero caseari e i formaggi, in particolare, potrebbero rappresentare un importante campo di applicazione della tracciabilità genetica legata appunto ai prodotti tipici.

Per poter effettuare questo tipo di identificazione vengono utilizzati dei marcatori molecolari. Questo tipo di analisi ci potrà permettere di ottenere diversi livelli di identificazione, sarà infatti possibile identificare l’individuo da cui è stato ottenuto un prodotto, la razza o la specie. Per impostare un sistema di tracciabilità genetica è dunque indispensabile scegliere quale sia il livello di identificazione a cui si è interessati perché questo dipende dalla scelta dei marcatori. La tracciabilità individuale consiste nell’identificare il singolo animale dal quale è stato ottenuto un prodotto. Questa metodologia si rivela particolarmente efficace per la tracciabilità delle carni, permettendone infatti di risalire con assoluta certezza all’animale da cui è stato ottenuto il taglio di carne presente sui banchi del supermercato. Gli studi condotti fino ad ora si sono avvalsi dell’utilizzo di marcatori micro-satelliti e di SNPs ottenendo risultati promettenti per una prossima applicazione di tale metodologia. Per quanto

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riguarda le produzioni casearie tuttavia, questo tipo di identificazione non è di interesse rilevante. Infatti, sia il latte destinato al consumo alimentare che i prodotti caseari sono ottenuti da una miscela di latte ottenuto da molti animali. Anche gli Amplified Fragment Length Polymorphism, AFLP, sono marcatori che possono essere utilizzati per identificare dei marcatori genetici razza specifici, potenzialmente utilizzabili però solo dopo una opportuna caratterizzazione per la messa a punto di sistemi deterministici di tracciabilità di razza.

2.7.1 Marcatori non genetici.

L’alimentazione animale è un fattore molto importante per la caratterizzazione del formaggio in relazione alla sua azione sui batteri e sui composti come i grassi, le proteine, gli aromi etc. Diversi studi hanno sottolineato la possibilità di definire una relazione tra il formaggio e la sua area di produzione attraverso lo studio dell’alimentazione animale soprattutto con lo studio sui composti terpenici (Dumont and Adda, 1978; Moio et al., 1996; Mariaca et al., 1997; Schehovic et al., 1998; Viallon et al., 1999; Bugaud et al., 2000; Viallon et al., 2000; Bugaud et al., 2001a; Bugaud et al., 2001b). Queste molecole, metaboliti secondari delle piante, sono conosciuti meglio per le loro proprietà disinfettanti (nei medicinali) e odorose (nelle spezie). Nel regno vegetale la loro distribuzione qualitativa e quantitativa è molto variabile, ma sono specie specifici. Molte ricerche hanno suggerito che l’analisi di questo tipo di sostanze possano migliorare la tracciabilità dei prodotti caseari o carnei provenienti da animali allevati in specifiche aree di produzione (pianura o altura) e in diverse stagioni (inverno - estate). Infatti i composti terpenici sono molto abbondanti nelle dicotiledoni rispetto

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alle monocotiledoni le quali sono più abbondanti nei pascoli alpini. I terpeni sono inoltre presenti in maggior quantità nell’erba fresca che nel fieno. Le dicotiledoni in particolare risultano essere ricche di monoterpeni come β-myrcene, (E)- β-ocimene, limonene, γ-terpinene come anche l’α- e β-pinene (Mariaca et al.) e dimostrano che i pascoli di pianura contengono più graminacee e quindi risultano generalmente più poveri di terpenoidi. (Schlichtjerle et al. 2004).

Negli ultimi anni, diversi studi sono stati condotti, al fine di poter scoprire dei marcatori che potessero essere utilizzati per identificare l’origine geografica dei prodotti di origine animale quali latte, formaggio, yogurt e carne. Questo argomento è molto importante ad esempio per i formaggi di Denominazione di Origine Protetta, poiché il loro legame con la regione di origine deve poter essere identificato. Terpeni e Idrocarburi vengono trasferiti dai foraggi al latte, nel formaggio e nella carne e dimostrano di essere molto promettenti per questo tipo di ricerca. (Bosset et al, 1994; Viallon et al., 2000; Buchin et al., 2002) L’analisi della frazione volatile è una delle più importanti metodologie utilizzate nella valutazione della qualità degli alimenti ed è stata largamente utilizzata per questo scopo. (Arthur and Pawliszyn, 1990) Per valutare le componenti volatili dalle acque reflue, esiste un semplice ed efficace metodo di preparazione dei campioni che adesso è largamente applicato nelle analisi degli alimenti. (Kataoka et al., 2000). L’interesse nei composti terpenici come biomarcatori per i prodotti caseari e per la carne provenienti dai piccoli ruminanti è stato recentemente rivisto da Prache et al., (2005). Alcuni autori hanno dimostrato come questi componenti siano presenti in grandi quantità nelle produzioni casearie bovine provenienti da latte di animali alimentati con razioni provenienti da pascoli di

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altura che in quelli la cui alimentazione proviene da pascoli con una minore presenza di essenze foraggiere o da prati mono-specifici. (Dumont et al., 1981; Bosset et al., 1994; Cornu et al., 2002). Altri autori attribuiscono la presenza di terpeni nel formaggio all’attività dei funghi Penicillum caseifulyum e dal Penicillum camemberti (Larsen, 1999). Tuttavia, è riportata una ampia variabilità di terpeni contenuti nel latte di massa raccolto in aree specifiche durante la stagione di pascolamento (Fernandez et al., 2003). È probabile che tale variabilità sia legata in parte alla stagionalità ed ai cambiamenti nella composizione botanica dei prati pascolati dagli animali ed anche da fattori legati alla gestione degli stessi sul pascolo (fase di sviluppo delle piante, tecnica di pascolamento, ecc.) (Tornambé et al., 2006).

La componente aromatica dei prodotti caseari è stata valutata in diversi studi, utilizzando differenti tecniche di estrazione. Le componenti volatili del latte sono state studiate a proposito degli effetti del tipo di alimentazione adottata negli animali da reddito (Bassette et al., 1966; Moioet al., 1996; Bendall, 2001; Bugaud et al., 2001a), per il trattamento del calore (Calvo and de la Hoz, 1992; Contarini and Povolo, 2002; Vasquez-Landaverde et al., 2005), per le condizioni di conservazione (Earley and Hansen, 1982; Marsili, 2000) e l’esposizione alla luce (Kim and Morr, 1996; Marsili, 1999). La qualità del burro è stata studiata valutando come siano influenzate dal tipo di alimentazione bovina (Shooter et al., 1999), la composizione dei composti sulfurei e le condizioni di conservazione degli alimenti (Christensen and Holmer, 1996; Povolo and Contarini, 2003). Inoltre, i composti volatili presenti nel formaggio sono stati ampiamente analizzati per studiare gli effetti sui processi di maturazione (Le Que´re´

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et al., 1998; Carbonell et al., 2002), l’origine dei difetti (Kim et al., 2003) e l’influenza che hanno sulle varianti genetiche delle proteine del latte (Verdier-Metz et al., 2000).

2.7.2 Marcatori utili al riconoscimento dell’autenticità dei prodotti

lattiero caseari in funzione della loro origine geografica e del sistema

di produzione.

Al fine di ottenere informazioni sull’origine dei campioni di latte e di prodotti lattiero caseari possono essere utilizzati vari tipi di approcci: quelli basati su marcatori che provengono direttamente dagli alimenti zootecnici (marcatori diretti), quelli basati su marcatori che derivano dal metabolismo degli animali (marcatori indiretti), quelli basati su marcatori fisici e quelli che utilizzano l’insieme delle informazioni che derivano dall’analisi dei campioni con tecniche spettroscopiche (Prache et al., 2005).

2.7.3 Marcatori diretti:

Pigmenti carotenoidi.

Sono una famiglia di pigmenti sintetizzati dalle piante, dalle alghe e da alcune specie di funghi e batteri. I carotenoidi sono molecole costituite da 8 unità isoprenoidi (polimeri di isoprene, unità a 5 atomi di carbonio con doppi legami coniugati), spesso terminanti in un anello. Attualmente sono conosciuti oltre 600 tipi di carotenoidi normalmente divisi in due gruppi (Thane e Reddy, 2000):

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I caroteni o idrocarotenoidi- contenenti solo carbonio e idrogeno (C40H16);

Le xantofille o oxicarotenoidi- contenenti anche ossigeno (C40H56O2).

Sono composti liposolubili e sono responsabili di colori che vanno dal giallo pallido al rosso acceso. Si trovano nelle foglie verdi di tutte le piante, nel mais, nell’erba medica, nelle alghe e in molti altri vegetali. Essi si localizzano nei cloroplasti soprattutto nelle parti aeree della pianta. Alla classe dei caroteni (Figura 1.1.) appartengono il licopene ed il carotene, che è forse il più conosciuto di questi pigmenti e responsabile del tipico colore giallo.

Alla classe delle xantofille (Figura 1.1.) appartengono importanti pigmenti come la luteina, la zeaxantina, la criptoxantina, la violaxantina, e la rubixantina.

Figura 1.1 Principali carotenoidi

Licopene

β – carotene

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I carotenoidi possono trovarsi in una miscela variabile di isomeri geometrici e di posizione. I più comuni carotenoidi sono α β γ carotene, fra questi il β-carotene esiste primariamente nella configurazione trans in tutti i suoi doppi legami.

I carotenoidi possiedono molte proprietà fisiologiche. La proprietà più importante dei caroteni è quella di precursore del retinolo o vitamina A. Per questo motivo, il β-carotene è definito pro-vitamina A e da esso si otterranno 2 molecole di vitamina A (Yang et al., 1992). Studi in vitro su animali hanno evidenziato che i carotenoidi hanno attività antitumorale (Zeiegler, 1998), immunomodulante (Chew e Park,2004) e antiossidante nei confronti dei lipidi (Burton e Ingold, 1994; Iliu et al., 1992; Qaiang Liu et al., 2000). È stata attribuita ai carotenoidi anche la capacità di legare ed eliminare i radicali liberi ed un effetto favorevole dei carotenoidi plasmatici sul sistema immunitario degli animali. Infatti, la somministrazione di β-carotene e di vitamina A a pecore (Raynal-Ljutovac et al., 2007) e a vacche (Skrzypek et al., 2004) in lattazione ha comportato una riduzione del contenuto di cellule somatiche nel latte. Tra le attività del retinolo, nei ruminanti è stato riscontrato effetto favorevole sull’efficienza riproduttiva (Hemken e Bremel, 1982; Hurley e Doane, 1989).

2.7.4 I carotenoidi negli alimenti di interesse zootecnico

I foraggi coltivati (Dactylis glomerata, Lolium perenne e Trifolium pratense) contengono prevalentemente 4 carotenoidi: luteina, zeaxantina, epiluteina e tutti i

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sativa e, in aggiunta a questi, la violaxantina, l’anteraxantina e il 13-cis-β-carotene nei

pascoli naturali (Noziere et al., 2006a). Con la specie foraggiera variano anche il contenuto e le proporzioni tra le differenti tipologie di carotenoidi (Reynoso et al., 2004; Noziere et al., 2006a). Il contenuto di carotenoidi, in particolare del β-carotene, diminuisce con lo stadio di maturazione dell’erba; rispetto al livello iniziale di carotenoidi nell’erba fresca, la concentrazione può diminuire di circa 60% nei foraggi disidratati e nell’insilato e del 70%-90% per i fieni (Prache et al., 2005). Le perdite di carotenoidi con il procedere dello stadio di maturazione, sono maggiori nelle leguminose rispetto alle graminacee. Il contenuto di carotenoidi nel foraggio diminuisce drasticamente anche con la durata di conservazione. La degradazione avviene rapidamente per ossidazione, principalmente per esposizione alla luce ed alle radiazioni solari.

2.7.5 I carotenoidi e la tracciabilità del latte

I carotenoidi contenuti negli alimenti zootecnici possono essere trasferiti nei prodotti animali e immagazzinati nei lipidi sia del latte che del tessuto adiposo, conferendo a questi un colore più o meno giallo. I consumatori, particolarmente sensibili al colore dei prodotti, attribuiscono alla colorazione giallo-arancione una connotazione di alimento naturale. Pertanto i carotenoidi possono rappresentare un ottimo biomarcatore di sistemi di produzione al pascolo (Prache et al., 2003 a e b).

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La concentrazione di carotenoidi nel latte bovino è influenzata dalla natura e dalla quantità di carotenoidi nella dieta, dall’assorbimento intestinale e dall’efficienza di trasferimento alla ghiandola mammaria. Per tale ragione, la concentrazione di carotenoidi e di retinolo nel latte bovino è stata caratterizzata da una elevata variabilità tra i diversi studi e va da 1 a 17µg/g di grasso per il carotene e da 1 a 12µg/g di grasso per il retinolo (Noziere et al., 2006). Rispetto al latte bovino, il latte caprino (Pizzoferrato et al., 2007) e ovino (Noziere et l., 2006 a), non contengono β-carotene. L’assenza di β-carotene nel latte dei piccoli ruminanti è spiegato dalla efficiente trasformazione a livello plasmatico del β-carotene in vitamina A. Per tale motivo, nel latte e nel plasma di queste specie è maggiore il contenuto del retinolo rispetto al latte bovino (Yang et al., 1992; Fedele et al., 2004a).

Prache e Thereiz (1999) dimostrarono che i carotenoidi possono essere utilizzati quali biomarcatori in animali alimentati al pascolo; infatti, essi sono stati i pionieri di un metodo che ha consentito di discriminare carcasse di agnelli alimentati al pascolo o con concentrati. Questi autori, elaborando i dati dello spettro di riflettanza nella zona di assorbimento dei carotenoidi, hanno infatti individuato un indice di tracciabilità, chiamato più semplicemente indice del colore da Noziere et al., 2006 a. Il latte bovino prodotto da animali al pascolo ha un colore più giallo ed è quindi più ricco di β-carotene. La sostituzione dell’insilato di erba con fieno in bovine in lattazione ha comportato una rapida diminuzione nella concentrazione di β-carotene e dell’indice di colore nel plasma e nel latte. Le concentrazioni di β-carotene sono risultate di 5,10 e 1,71 µg/ml nel plasma e 0,17 e 0,07 µg/ml nel latte di bovine alimentate con insilato di erba e con fieno rispettivamente (Nozière et al., 2006 a). Vista la elevata correlazione

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tra il contenuto in carotenoidi e l’indice di colore, quest’ultimo sembra essere un valido e semplice strumento per la tracciabilità alimentare dei prodotti di origine animale ottenuti da animali al pascolo.

I carotenoidi presenti nel mais, quali la zeaxantina, non sono efficientemente immagazzinabili nei lipidi dei ruminanti. Infatti, la zeaxantina, che rappresenta mediamente il 3% del totale di carotenoidi nel plasma, è praticamente assente nel latte (Calderon et al., 2007).

2.7.6 Trasferimento dei carotenoidi dal latte ai derivati del latte.

I carotenoidi ed il retinolo sono facilmente soggetti a degradazione per ossidazione, principalmente per esposizione alla luce ed alle radiazioni solari. La degradazione aumenta con la temperatura e con il diminuire del pH. I trattamenti tecnologici che impiegano alte temperature, oppure i processi di acidificazione a cui è sottoposto il latte durante il processo di trasformazione nei suoi derivati, possono comportare marcate perdite di carotenoidi. Un’altra causa di perdita è legata ai processi di isomerizzazione del carotene dalla forma trans alla forma cis.

Il latte, che non ha subito trattamento termico, non mostra conversione negli isomeri

trans in isomeri cis nei campioni di varie specie (in generale o nel beta carotene)

(Panfili et al., 1998). Il trattamento di pastorizzazione determina un aumento del rapporto [13-cis/tutti –trans] del 2.6% mentre il trattamento di pastorizzazione a temperature che vanno da 72° a 76° C per 15 s ha comportato un aumento del rapporto

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del 6,4%. Il latte sottoposto a trattamenti termici più elevati ha mostrato un elevato grado di isomerizzazione (latte UHT, 15,7%; latte sterilizzato, 33,5%). La presenza di

isomeri cis nei latti fermentati suggerisce che i processi di fermentazione, direttamente o indirettamente, possano produrre isomerizzazione cis-trans.

Il β-carotene sembra essere meno sensibile ai processi di isomerizzazione rispetto al retinolo. Nei formaggi analizzati, il grado di isomerizzazione del retinolo è risultato variabile dal 7,6% al 35,0%. Lucas et al (2006) hanno misurato l’efficienza di trasferimento del retinolo, del β-carotene e delle xantofille dal grasso del latte al formaggio ottenuto con 4 differenti tecnologie di trasformazione. Mediamente sono stati recuperati nel formaggio il 66% di retinolo, il 95% di β-carotene e il 64% di xantofille indipendentemente dalla tecnologia di trasformazione. (Biondi et al, 2010) Questi risultati evidenziano una maggiore stabilità del β-carotene rispetto al retinolo e alle xantofille durante il processo di caseificazione.

2.7.8 Terpeni

I terpeni fanno parte di un gruppo di composti organici, denominati terpenoidi, che costituiscono il gruppo più abbondante e strutturalmente diversificato (sono state identificate più di 23000 differenti strutture) di metaboliti secondari delle piante. Svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione delle interazioni pianta-insetto, pianta-patogeno e pianta-pianta. I monoterpeni ed i sesquiterpeni sono i maggiori composti volatili rilasciati dalle piante a seguito del loro danneggiamento da parte di

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parassiti. Questi composti, grazie alla loro volatilità, sono in grado essere percepiti dagli artropodi che predano o parassitano i parassiti delle piante. I terpeni, pertanto, rappresentano un efficace mezzo di difesa indiretta delle piante rispetto ai patogeni e ai parassiti (Dudareva et al.,2004). I terpeni si formano per condensazione di 2 o più unità isopreniche.

Nell’ambito delle piante foraggere, i più diffusi sono i monoterpeni e i sesquiterpeni ed i loro derivati ossigenati. I monoterpeni possono essere alifatici (detti anche terpenogeni) o ciclici. Possono poi trovarsi come idrocarburi, alcoli, aldeidi e chetoni. Sono estremamente numerosi e diffusi in ogni parte vegetale. Si possono presentare sia in forma liquida sia in forma solida, hanno odore gradevole, sono insolubili in acqua, ma distillabili in corrente di vapore. Rappresentano, insieme ad altri terpenoidi, i costituenti fondamentali degli oli essenziali e delle resine.

2.7.9 Terpeni e tracciabilità.

Il contenuto e la tipologia dei terpeni è molto variabile nelle diverse famiglie di piante foraggiere. Essi abbondano in certe famiglie botaniche, soprattutto quelle appartenenti alle dicotiledoni, come le Apiaceae, le Laminaceae o le Asteraceae, mentre si ritrovano in quantità minori nelle Poaceae. Nei foraggi il contenuto di terpeni, pertanto, è in funzione della composizione botanica degli stessi. I foraggi ricchi di Poaceae, presentano una composizione in terpeni più povera di quelli in cui sono presenti una maggior quantità di dicotiledoni. Nel caso di pascoli o naturalizzati la localizzazione

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altimetrica determina forti differenze in termini di composizione botanica nel cotico erboso e questo si ripercuote sulla quantità e sulla qualità dei terpeni presenti nell’erba pascolata (Mariaca et al.,1997; Buagaud et al., 2001). A parità di localizzazione altimetrica, inoltre, la presenza di terpeni nelle specie botaniche che compongono un cotico erboso può essere funzione anche di fattori fisiologici e metabolici legati alle condizioni ambientali che si realizzano in diversi periodi dell’anno od anche semplicemente allo stadio fenologico della pianta. Cornu et al., (2001) hanno contato il contenuto di monoterpeni e sesquiterpeni in 9 specie foraggere presenti nei pascoli naturali nella regione di Auvergne (Francia), prelevando i campioni di erba ad un’altitudine di 1200 mt. s.l.m. e in due periodi differenti (luglio e settembre). Gli autori hanno identificato più di 60 composti terpenici differenti e hanno evidenziato una notevole variabilità nella composizione delle 9 specie considerate. In particolare 4 di esse (Meum athamancivum e Pimpinella saxifraga della famiglia delle Apiaceae,

Achillea millefolium della famiglia delle Asteraceae e Thymus pulegioides-sectio-serpyllum della famiglia delle Laminaceae) sono risultate particolarmente ricche di

mono e sesquiterpeni, mentre altre essenze appartenenti alle Poaceae, alle

Plantaginaceae e alle Gentianaceae, hanno evidenziato contenuti di terpeni molto

bassi. È interessante evidenziare che, a parità di famiglia botanica, il contenuto di terpeni può essere molto variabile, come nel caso del Taraxacum officinale che ha evidenziato contenuti di terpeni di gran lunga inferiori a quelli determinati per l’Achillea millefolium.

Un aspetto importante è anche quello della variabilità della composizione dei mono e sesquiterpeni in funzione dell’epoca di raccolta del campione. A parità di specie

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botanica, infatti, campioni prelevati nel mese di luglio hanno evidenziato contenuti molto differenti dei diversi mono e sesquiterpeni, rispetto a campioni prelevati nel successivo mese di settembre (Cornu et al., 2001). Queste differenze nel contenuto di terpeni delle piante foraggere in funzione della specie botanica e della localizzazione geografica ed altimetrica del pascolo hanno indotto a considerare i terpeni e nella fattispecie, i mono e i sesquiterpeni, come possibili marcatori geografici e di sistema di produzione, nell’ambito della produzione di alimenti di origine animale.

Risalgono oramai a trent’anni fa i primi studi che hanno evidenziato la presenza dei terpeni nel latte di animali alimentati al pascolo (Duramont e Adda, 1978). I terpeni, in effetti, hanno la capacità di trasferirsi in breve tempo dall’alimento del latte. I monoterpeni e i sesquiterpeni contenuti nel foraggio, infatti, seguono due vie per raggiungere i tessuti dell’animale, tra cui il tessuto mammario, attraverso il quale vengono secreti nel latte. La prima via è quella respiratoria, che è senz’altro la più breve, in quanto i terpenoidi volatili vengono inalati con l’aria e attraverso i polmoni, entrano nel torrente circolatorio e raggiungono in breve tempo i vari organi, tra cui la ghiandola mammaria e pertanto il latte. La seconda via è quella digestiva. I terpenoidi sono in grado di attraversare le pareti del rumine e dell’intestino e, sempre attraverso il torrente circolatorio, raggiungere i diversi organi dell’animale dove possono essere assorbiti. Viallon et al., (2000) hanno rilevato la comparsa di monterpeni e sesquiterpeni nel latte di vacca dopo 4 giorni di somministrazione di fieno di Achillea

multiflorum, una specie foraggera che, come evidenziato in precedenza, è molto ricca

di terpeni. La velocità di trasferimento dei terpeni dal foraggio al latte dipende anche dalla natura chimica del terpene stesso. Come evidenziato in precedenza, i terpeni sono

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sostanze apolari che, probabilmente, alla stregua dei trigliceridi e degli acidi grassi, diffondono nel sangue grazie all’azione di trasportatori (Viallon et al. 2000). La velocità con cui diffondono nel sangue e raggiungono i tessuti, pertanto, potrebbe essere condizionata da questo aspetto. In ogni caso, una volta eliminata la fonte di terpeni dall’alimentazione degli animali, la quantità di terpeni nel sangue tende a diminuire velocemente e a ritornare a livelli entro 3-4 giorni, a testimonianza che non esisterebbe un effetto memoria (Viallon et al., 2000). Ulteriori studi (Buguaud et al., 2001) hanno, in seguito, evidenziato che il processo di caseificazione comporta perdite trascurabili del contenuto in terpeni; pertanto, analogamente a quanto osservato per il latte, anche nel formaggio possono essere evidenziati i composti terpenici presenti nella componente foraggera della razione.

Il trasferimento dei terpeni dal foraggio al latte, tuttavia, è influenzato anche dall’attività della microflora ruminale. Dall’analisi del contenuto di terpeni di campioni di foraggio verde prima e dopo l’incubazione in vitro con liquido ruminale, è emerso che circa il 60% dei terpeni sono completamente degradati dai microrganismi ruminali, con differenze in funzione del tipo di terpene (Schilinchtherle – Cerny et al., 2004). In particolare, a fronte della completa degradazione di alcune molecole come il β-ocimene e il β-pinene, sono state rilevate molecole di natura terpenica non presenti prima della fermentazione, che corrispondono ai prodotti della bio-idrogenazione dei terpeni degradati. Sembrerebbe evidente, pertanto, che le fermentazioni ruminali abbiano un impatto sul profilo dei monoterpeni dell’erba ingerita, provocando la degradazione in alcune molecole e la formazione di metaboliti che originano dai

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processi di bioidrogenazione dei numerosi doppi legami presenti nella struttura di molte molecole terpeniche.

Ad ogni modo, la capacità dei terpeni di trasferirsi, almeno in parte, dall’alimento al latte, consente di considerare queste molecole come una componente del pascolo in grado di caratterizzare l’ambito geografico e il sistema di produzione (Viallon et al., 2000). L’uso dei terpeni come mezzo per caratterizzare la dieta delle vacche è stato proposto inizialmente da Bosset et al., (1994) per riconoscere il formaggio Etivaz prodotto nel periodo in cui le vacche sono alimentate sui pascoli naturali delle Alpi svizzere. Successivamente Moio et al., (1996) indicarono i sesquiterpeni come potenziali marcatori chimici del latte prodotto da pecore alimentate al pascolo durante il periodo primaverile-estivo. Similmente, Bendall (2001) riscontrò differenze significative in termini di contenuti di mono e sesquiterpeni nel latte di vacche alimentate al pascolo rispetto al latte di vacche alimentate con foraggi conservati. I terpeni, infatti, si trovano rappresentanti in quantità maggiore e con un elevato grado di diversità nel latte e nei tessuti di animali che si alimentano di erba fresca al pascolo rispetto agli animali alimentati con foraggi conservati e concentrati (Martin et al., 2005).

L’analisi del contenuto di terpeni del latte, inoltre, ha consentito di distinguere anche la presenza di diversi tipi di piante foraggere nella dieta di vacche da latte, di pecore e di capre, nonché la stagione di produzione e la durata della stagionatura del formaggio. Attraverso l’analisi del solo contenuto dei terpeni non è stato possibile discriminare i campioni di latte provenienti da vacche alimentate con foraggi conservati nella medesima natura, ma somministrati in proporzioni differenti. Questo aspetto mette in

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evidenza il fatto che, per discriminare adeguatamente i sistemi di produzione, il numero e il tipo di marcatori da utilizzare è tanto più elevato quanto minori sono le differenze tra i sistemi di produzione stessi. Nell’ambito delle pecore da latte, un recente studio ha evidenziato come la caratterizzazione della componente volatile del formaggio, che comprende numerose molecole di mono e sesquiterpeni, consente di discriminare campioni di formaggio ottenuti con latte di pecore alimentate con pascoli di tre differenti tipologie: un pascolo in cui la presenza di erbe spontanee diverse da leguminose e graminacee rappresentava circa l’80% della composizione botanica, un pascolo di avena e un pascolo di loglietto e trifoglio squarroso non dire parolacce nelle tesi in rapporto 80:20 (Povolo et al., 2007).

Analogamente, in capre da latte, Fedele et al., (2004) hanno riportato che le variazioni nel contenuto di terpeni delle piante costituenti la base foraggera, in relazione a differenti stagioni di pascolo, influenzano significativamente il contenuto di terpeni nel latte, in particolare per quanto riguarda i sesquiterpeni che rappresentano la componente terpenica più significativa in tutte le stagioni considerate. L’analisi del contenuto di terpeni nel latte e dei formaggi è stata utilizzata con successo anche per discriminare la provenienza geografica dei campioni. Aree geografiche differenti, infatti, si caratterizzano per una diversa composizione botanica dei pascoli naturali, anche in funzione della loro localizzazione altimetrica. I foraggi di montagna, infatti, si caratterizzano per un rapporto fra piante ed elevato contenuto di terpeni e piante a basso contenuto di terpeni che può superare il valore di 1800:1 (Cornu et al., 2001). Attraverso l’analisi del contenuto di terpeni del latte è stato possibile discriminare fra campioni di latte di vacca provenienti dalle zone di pianura della Bretagna piuttosto

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che dalle zone di montagna della regione d’Auvergne, a prescindere dalla stagione di produzione. Questo grazie al fatto che i pascoli della Bretagna sono ricchi di leguminose e graminacee coltivate (essenze povere di terpeni), mentre quelli della regione d’Auvergne si caratterizzano per una elevata percentuale di essenze spontanee ricche in terpeni. In base a queste differenze tra pascoli di pianura e di montagna è stato possibile discriminare tra areali di produzione anche nel caso di formaggi prodotti in sei stabilimenti differenti all’interno di un medesimo areale di produzione nella regione del Cantal (Francia) (Cornu et al., 2002).

Anche in Italia sono stati prodotti alcuni studi che hanno permesso di discriminare, all’interno di medesimi areali di produzione, tra formaggi ottenuti con latte prodotto in zone di pianura o di montagna. Nel caso del formaggio Asiago, infatti, è stato evidenziato che il contenuto di sesquiterpeni (tra i quali quello di caryophillene sembra essere uno dei più importanti) può essere un valido marcatore del formaggio prodotto con latte degli allevamenti di montagna, rispetto a quello prodotto con il latte degli allevamenti di pianura, nell’ambito dei quali le vacche sono alimentate con razioni la cui base foraggera è costituita da fieni di graminacee e di leguminose (Favaro et al., 2005). Nell’ambito di uno studio più vasto, che ha preso in considerazione numerose componenti aromatiche del latte e del formaggio, anche per il formaggio Ragusano i mono e i sesquiterpeni si sono rivelati tra i componenti maggiormente informativi ai fini dell’identificazione dei formaggi prodotti con latte proveniente da vacche alimentate con pascoli spontanei della Sicilia rispetto a formaggi prodotti con latte di allevamenti in cui la razione delle vacche comprendeva, come base foraggiera, fieni di graminacee e leguminose coltivate (Carpino et al., 2004).

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Questi risultati mettono in luce un’ampia variabilità del contenuto di terpeni nel latte in funzione della tecnica di pascolamento e del periodo di pascolo e pongono una serie di questioni in merito all’opportunità di utilizzare i terpeni come marcatori dell’origine geografica del prodotto. Se, infatti, è indiscutibile la capacità dei terpeni di passare dal foraggio al latte e ai prodotti di trasformazione, non può tuttavia essere ignorato che la variabilità del loro contenuto nel latte è, in alcuni casi, talmente ampia da impedire delle attribuzioni certe di un’opera di tracciabilità del sistema di produzione (Biondi et al., 2010).

2.7.10 Flavonoidi e altri composti polifenolici.

Fra i metaboliti secondari delle piante i flavonoidi sono una delle classi più rappresentate e identificano un gruppo di pigmenti delle piante la cui struttura deriva dal benzo-γ-pirone con un sostituente fenolico in posizione C2 o C3

I principali gruppi di flavonoidi sono:

-Flavanoni (naringina, esperidina, esperidina ecc); -Flavoni (apigenina, luteolina, diosmina ecc);

-Flavononi (rutina, kampferolo, quercetina, miricetina ecc); -Flavan-3-oli (catechina, afzelechina ecc);

-Isoflavoni (biochanina a, genisteina, formononetina, daidzeina ecc), -Antocianidine (cianidina, pelargonidina ecc);

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I flavonoidi sono spesso idrolizzati in posizione 3,5,7,3’,4’o5’. Frequentemente uno o più di questi gruppi idrossilici sono metilatim, acetati, fenilati o sulfati. Nelle piante, i flavonoidi sono spesso legati a molecole di zucchero mediante un legame a ponte di ossigeno o di carbonio (O-o C- glusosidi). Fra questi il legame O- è più frequente del legame C-. I flavonoidi si definiscono glicosidici quando contengono uno o più gruppi zuccherini (ramnosio, glucosio, galattosio, o arabinosio) e agliconi quando non è presente nessun gruppo glicosilico.

I flavonoidi sono qualitativamente e quantitativamente uno dei più grandi gruppo di composti naturali conosciuti. Sono tutti i pigmenti cui colore è associato con la loro funzione biologica.

L’ubiquità e la grande diversità rendono questi pigmenti adatti ad una classificazione tassonomica. La loro utilità per questo scopo è accresciuta dalla stretta correlazione tra i flavonoidi e i geni, specialmente quelli implicati nella regolazione della crescita. Il ruolo principale dei flavonoidi nel mondo vegetale è legato alla colorazione dei fiori, dei frutti, e talvolta delle foglie. Alcune piante foraggere sono molte ricche in FPC e alcuni composti sono spesso specifici di alcune famiglie botaniche. Le dicotiledoni sono in generale più ricche di FPC rispetto alle graminacee. In alcuni casi, inoltre certi FPC sono prodotti dalle piante in risposta a specifici stimoli ambientali (temperatura, localizzazione altimetrica ecc.) o con il variare dallo stadio fenologico della pianta stessa. Data la loro grande diffusione nel mondo vegetale, gli animali erbivori consumano grandi quantità di flavonoidi e altri composti polifenolici. La quantità maggiore di FPC è stata riscontrata nella dieta contenente pascolo di prato di

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montagna, mentre quella minore nella dieta ricca di concentrati. Alcuni composti, inoltre, sembravano essere caratterizzanti le differenti diete. É da evidenziare che le diete avevano un’ampia variabilità nel contenuto di FPC (da 0,08 a 8 g/kg di sostanza secca). Gli FPC, sono l’unico composto tracciante di natura idrosolubile e pertanto possono completare il quadro di informazioni rispetto all’origine dei prodotti che si può ottenere utilizzando le molecole traccianti liposolubili come gli acidi grassi e i terpeni. Rimangono tuttavia da risolvere una questione di problemi relativi ai processi metabolici che interessano gli FPC dei foraggi sia a livello ruminale sia a livello del metabolismo degli animali. Inoltra alcuni composti fenolici, al di là del loro possibile ruolo come marcatori della dieta degli animali, possono avere un effetto positivo sulla salute umana, grazie ad alcune loro proprietà antiossidanti e antinfiammatorie (Havsteen, 2002).

2.8 Marcatori Indiretti.

2.8.1 Acidi Grassi

Il grasso del latte dei ruminanti è caratterizzato da un elevato contenuto in acidi grassi saturi, in quanto quelli insaturi contenuti negli alimenti sono biodrogenati nel rumine da parte dei batteri, e da una elevata percentuale in acidi grassi a catena corta, in

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particolare butirrico, capronico e caprilico. Gli acidi grassi catena corta (C4-C10)

costituiscono, in peso, circa il 15%, quelli a catena media (C12-C16) il 35% e quelli a

catena lunga (C> 18) circa il 45% del totale degli acidi grassi. Gli acidi grassi polinsaturi

(polyunsaturated fatty acid=PUFA), rappresentano meno del 10% del totale degli acidi grassi del latte. Tra i PUFA, l’acido linoleico coniugato (CLA) sta avendo un crescente interesse nel mondo scientifico per la possibile attività antitumorale e ad altre importanti proprietà come quella anti-allergenica, immunomodulante e antidiabetica (Ip et al., 1994; Pariza et al., 2001).

La composizione in acidi grassi del latte potrebbe fornire informazioni utili ad individuare la dieta degli animali. I lipidi dell’erba contengono una elevata percentuale di acidi grassi (PUFA) tra i quali l’acido α-linoleico, mentre le razioni caratterizzate da una elevata quantità di concentrati e di alimenti conservati contengono una elevata percentuale di acido linoleico. L’acido grasso più abbondante è l’ALA (l’acido α-linoleico), seguito dagli acidi linoleico e palmitico. I PUFA contenuti negli alimenti, vengono sottoposti nel rumine ai processi di bioidrogenazione ruminale. Una parte di questi composti sfuggono però ai processi di idrogenazione e tramite le normali vie digestive, arrivano nel circolo ematico per raggiungere la ghiandola mammaria. Poiché l’ALA è un acido grasso essenziale, per cui deve essere introdotto necessariamente con la dieta, la sua presenza nel latte rappresenta un ottimo marcatore della alimentazione degli animali. Pertanto, animali allevati al pascolo, hanno un più ampio contenuto di ALA rispetto ad animali alimentati in stalla. La sua concentrazione nel latte dipende strettamente dalla quantità rilasciata dal rumine e da quella assorbita nell’intestino. I PUFA, nonostante rappresentino normalmente circa l’80% della componente acidica

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nell’erba del pascolo, sono mediamente contenuti in quantità minore al 10% nella frazione acidica del latte. In uno studio condotto su pecore e capre alimentate su pascolo e concentrati, sono state osservate rilevanti riduzioni dei PUFA, in particolare dell’ALA, con l’avanzare dello stadio fenologico dell’erba, che si sono ripercosse su analoghi andamenti nel latte (Nudda et al., 2003). Altri studi condotti su pecore (Mangia et al., 2007) e su vacche hanno evidenziato variazioni del contenuto di PUFA nel latte di animali allevati a differente altitudine. Lo stesso Collomb, in un precedente lavoro, spiegava che tali variazioni potrebbero essere determinate da una differente composizione botanica dei pascoli localizzati a differente altitudine. L’effetto delle specie foraggera è confermato da Addis et al., (2005), che hanno riscontrato concentrazioni di ALA di circa il 70% superiori nel latte di pecore a cui erano state somministrate Medicato polymorpha L. e Chrysantheum coronarium L. rispetto al latte di animali che avevano ricevuto Lolium rigidum e Hedysarum coronarium L. È opportuno evidenziare che l’influenza della composizione acidica della dieta su quella del latte si osserva in tempi molto brevi. Infatti, brusche variazioni del sistema di alimentazione (dal pascolo alla stalla o viceversa) hanno determinato sia nelle vacche (Kuzdal-Savoie e Kuzdal, 1961; Elgersma et al., 2004) che nelle pecore (Biondi et al., 2008) repentine variazioni dei PUFA nel latte nel periodo compreso tra i 3 e i 5 giorni successivi al cambiamento della dieta delle fattrici. La dieta è un fattore più importante nel determinare anche la concentrazione di CLA nel latte. In particolare, la concentrazione in CLA nel latte è più elevata in animali allevati al pascolo rispetto a quelli con alimentazione secca e mostra delle forti variazioni (Nudda et al., 2005)

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