UNIVERSITÀ DI PISA
Dipartimento di Giurisprudenza
Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza
Tesi di Laurea
L’iscrizione della notizia di reato:
rilievo sistematico, patologie e controlli
La Candidata
La Relatrice
Roberta Calia
Prof.ssa Valentina Bonini
I
Sommario
INTRODUZIONE ...1
CAPITOLO PRIMO EVOLUZIONE STORICA DELLA NOTIZIA DI REATO 1.1 La notizia di reato nei diversi modelli processuali ... 5
1.2 Il codice del 1865 e il codice del 1913 ... 11
1.3 Il codice Rocco del 1930 ... 15
1.4 La bozza Carnelutti del 1962... 19
1.5 Il progetto preliminare del 1978 ... 21
1.6 Il testo definitivo del 1988... 26
CAPITOLO SECONDO LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLA NOTIZIA DI REATO 2.1 La notizia di reato ... 29
2.2 Cosa non è notizia ... 36
2.2.1 L’esclusione del sospetto ... 36
2.2.2 I fatti non costituenti reato e le pseudonotizie. ... 42
2.3 Notizie qualificate e non qualificate ... 47
2.3.1 La denuncia ... 52
2.3.2 L’informativa della polizia giudiziaria ... 52
2.3.3 La denuncia dei privati ... 54
2.3.4 Il referto ... 54 2.3.5 La notizia anonima ... 55 2.4 Le condizioni di procedibilità... 58 2.4.1 La querela ... 60 2.4.2 L’istanza di procedimento ... 62 2.4.3 La richiesta di procedimento ... 63
II
2.4.4 L’autorizzazione a procedere ... 65
CAPITOLO TERZO I REGISTRI DEL PUBBLICO MINISTERO 3.1 L’iscrizione nei registri delle notizie di reato ... 68
3.2. La classificazione dei registri del pubblico ministero. ... 72
3.2.1 Il registro delle notizie di reato ordinarie ... 73
3.2.2 Il registro delle notizie di reato riguardanti ignoti ... 78
3.2.3. Il registro degli atti non costituenti notizia di reato ... 79
3.2.4 Il registro delle denunce e degli altri documenti anonimi ... 82
3.3 L’iscrizione come formalizzazione dell’ipotetica imputazione ... 83
3.3.1 L’aggiornamento del fatto iscritto e la nuova iscrizione ... 87
3.3.2 L’iscrizione coatta ... 90
3.4 L’iscrizione soggettiva ... 92
CAPITOLO QUARTO LE PECULIARITÀ DELL’ISCRIZIONE: TEMPO E CONOSCIBILITÀ 4.1 Il tempo dell’iscrizione ... 98
4.1.1 Ritardo nell’iscrizione della notitia criminis. ... 101
4.1.2 Il dies a quo: tra sindacabilità e insindacabilità. ... 104
4.1.3 Criticità del sistema e possibili soluzioni... 113
4.2 La conoscibilità dell’iscrizione ... 120
4.2.1 La richiesta di informazioni e i relativi obblighi del pubblico ministero. ... 123
CAPITOLO QUINTO
POTERI DI CONTROLLO DEL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI SULLA NOTIZIA DI REATO
III
5.1 Il giudice per le indagini preliminari e la notizia di reato ... 131
5.2 Il controllo in sede di richiesta di proroga delle indagini ... 141
5.3 Il controllo del giudice per le indagini preliminari alla chiusura delle indagini ... 150
5.4 Il controllo gerarchico ... 156
CONCLUSIONI ...171
1
INTRODUZIONE
Per conoscere e apprezzare i dati genetici caratterizzanti un essere vivente è utile risalire a ciò che gli ha dato vita. Analoga importanza può rivestire un’indagine sul momento d’origine della dinamica processuale: in tale prospettiva il giurista si presta a scoprire il seme del processo penale che viene fatto coincidere con la notizia di reato.
La notizia di reato, in qualunque forma si manifesti, è essenzialmente un'ipotesi di reato, ricevuta o appresa dal pubblico ministero o dagli organi di polizia giudiziaria o da essi stessi formulata in seguito a proprie indagini, la quale dà avvio al processo penale e ne costituisce, in tale prima fase, l'oggetto tipico.
Nella notitia criminis si può cogliere la fonte sorgiva dell’indagine preliminare che determina e prefigura l’andamento del successivo iter processuale. Essa contiene gli elementi fondamentali della fattispecie che, a conclusione della gestazione maturata durante la fase investigativa, andranno a comporre l’imputazione.
Intorno allo studio del primo atto necessario della sequenza procedimentale, ovvero l’iscrizione della notizia di reato nei registri del pubblico ministero, differenti sono gli aspetti che rendono necessario un approfondimento. In particolare, nella stesura del seguente elaborato l’attenzione è stata focalizzata su cosa si debba intendere per notizia di reato, quale sia il suo contenuto, se questa integri un atto del procedimento penale o lo preceda
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rimanendo al di fuori di esso, come e quando nasca, quale sia la natura, la legittimazione soggettiva e gli strumenti delle iniziative finalizzate alla sua ricerca o formazione, quali poteri, strumenti e doveri trovino legittimazione nell’esistenza di una notizia di reato, quali siano le interrelazioni fra pubblico ministero e giudice delle indagini preliminari e quali le loro prerogative.
Nonostante sia stato riconosciuto alla notizia di reato un ruolo di particolare importanza all’interno dell’iter processuale, manca ancora una definizione normativa esplicita della stessa. Non è data, in particolare, alcuna indicazione né circa la sua consistenza, da intendersi come il livello di corrispondenza a dati effettuali verificati, né circa il suo contenuto, ovvero il grado di conformità ad una fattispecie tipica.
Tale omissione risulta essere il frutto, non tanto di scarsa utilità o di disattenzione legislativa, bensì delle difficoltà insite nel delineare una nozione dai contorni sfuggenti mediante definizioni che non rimangano anch’esse a livelli di eccessiva genericità e, conseguentemente, dalla scarsa utilità pratico-operativa, difficoltà derivanti anche dalla crisi della giustizia che attraversa i nostri sistemi e in particolare il sistema penale.
Quando il legislatore non ricopre al meglio il proprio compito di corretta produzione normativa, attraverso la redazione di norme non sufficientemente determinate, è giocoforza che sia la magistratura ad appropriarsi degli spazi lasciati indebitamente aperti, con un tendenziale
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pericoloso spostamento dallo stato di diritto allo stato di giurisdizione. Questo ruolo, parzialmente creativo, viene svolto dal pubblico ministero, soggetto chiamato per primo a ricollegare i fatti concreti alle norme astratte, al fine dell’iscrizione della notizia di reato nel registro custodito presso il proprio ufficio, con immediate ricadute sui principi di eguaglianza e certezza del diritto e una conseguente deriva in chiave discrezionale dell’operato dell’organo della pubblica accusa.
Particolare attenzione è stata riservata all’analisi dell’art. 335 c.p.p. che prescrive una tempestività dell’iscrizione, riconoscendo, come compito del pubblico ministero, quello di iscrivere «immediatamente» ogni notizia di reato che gli pervenga o che apprenda, nel registro custodito presso il suo ufficio. Tale celerità risulta essere imposta da esigenze di garanzia, connesse ai diritti della persona sottoposta alle indagini preliminari, derivanti dal formale avvio delle indagini e dal decorrere dei termini di loro durata massima che, ex art. 405 comma 2 c.p.p., rinvengono il dies a quo proprio nella iscrizione della notizia di reato.
Sempre nell’ambito dei diritti riconosciuti ai soggetti interessati dal processo, è stata analizzata la disciplina della conoscibilità della avvenuta iscrizione soggettiva, così come rimodellata dalla l.332/1995, al fine di consentire alla difesa di costruire e rafforzare la propria posizione.
Uno spazio del seguente lavoro, inoltre, è stato riservato ai controlli giurisdizionali possibili e rintracciabili durante questa prima fase dell’iter
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processuale; al ruolo del giudice per le indagini preliminari rispetto alla notizia di reato; al controllo da questo effettuato in sede di richiesta di proroga delle indagini e alla chiusura delle stesse, nella consapevolezza che per la Suprema Corte, in questa fase, il giudice debba essere inserito come soggetto terzo regolatore delle situazioni di frizione di interessi o di compromissione di diritti fondamentali, giudice estraneo all’investigazione ma garante di legittimità verso le parti, che intervenga, su richiesta delle stesse, a regolare la situazione, senza coinvolgimento di alcun genere nella diatriba procedimentale.
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CAPITOLO PRIMO
EVOLUZIONE STORICA DELLA NOTIZIA DI REATO
1.1 La notizia di reato nei diversi modelli processuali - 1.2 Il codice del
1865 e il codice del 1913 - 1.3 Il codice Rocco del 1930 - 1.4 La bozza
Carnelutti del 1962 - 1.5 Il progetto preliminare del 1978 - 1.6 Il testo
definitivo del 1988
1.1 La notizia di reato nei diversi modelli processuali
La “notizia di reato”, qualificata come incipit del procedimento penale, assume all’interno dell’ordinamento processual-penalistico un ruolo di fondamentale importanza, in relazione ai differenti aspetti che la caratterizzano: la fase della scoperta e dell’acquisizione, la classificazione, l’iscrizione e i relativi effetti. Indipendentemente dal tipo di modello processuale prescelto, all’interno di un sistema, essa si pone agli esordi del procedimento, come «embrione dell’ipotetica domanda penale».1
È importante giungere a verificare quali siano le ragioni per le quali un atto a contenuto prevalentemente burocratico-amministrativo assuma nel nostro codice un valenza procedimentale di rilevante significato, diventando figura connaturale e tipica.
Il punto di partenza per la valutazione e spiegazione del peso assunto dalla notizia di reato potrebbe essere la diffusa considerazione per cui il giudizio penale, finalizzato alla condanna di un soggetto, presuppone un’accusa
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collegata alla commissione di un fatto illecito, necessariamente, anticipata da «un’informazione contenente un indizio o un sospetto, indispensabile per ricollegare gli illeciti che si reputano commessi, all’istituzione deputata ad amministrare giustizia e per giustificarne l’operato».2
Appare giustificata e necessaria una comparazione diacronica tra i diversi sistemi processuali, incentrata su quella che oggi potremmo definire “notizia di reato”, ma che in passato era intesa genericamente in termini di “elemento di impulso processuale”.
Sembra opportuno, innanzitutto, evidenziare il rapporto che intercorre tra i procedimenti conoscitivi del giudice e la cultura del tempo, con attenzione particolare ai presupposti del procedimento penale ed alle garanzie offerte dal legislatore al non colpevole, poiché anche la disciplina della notizia di reato, quale primo anello della sequenza procedimentale, è espressione della logica ispiratrice dell'intero sistema processuale penale, a sua volta specchio della cultura del tempo: «la migliore spia del grado di civiltà di un popolo è rappresentata proprio dalla legge del processo penale e dal modo di applicarla».3
In età romana imperiale non si era ancora in grado di poter definire un modello processuale chiaro e ben definito, essendo particolarmente discutibile la figura del giudice e i suoi poteri nell’avviare e nel dirigere l’azione penale. La più antica procedura romana era, infatti, di tipo
2A. ZAPPULLA, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed effetti, Giappichelli, Torino, 2012, p. 31.
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accusatorio4, spettando direttamente al privato cittadino l’avvio del processo, l’indicazione del nome dell’accusato e lo svolgimento delle indagini, dalla raccolta delle prove alla presentazione delle stesse.
Profili tipici del modello inquisitorio5 erano rinvenibili, invece, nella
cognitio extra ordinem,6 la procedura affermatasi in età augustea, in cui la
questione era affidata all’imperatore o a un suo delegato, che procedeva all’acquisizione ex officio dell’iniziativa alla persecuzione, raccogliendo prove e dispensando di un ampio margine di discrezionalità nella determinazione della pena irrogabile.7
Nel XIII secolo, il modello inquisitorio, ormai diffuso in tutta la realtà comunale italiana fu eretto a modello processuale ordinario. L’accusatio lasciava dunque il posto all’inquisitio, in cui ruolo fondamentale era assunto
4Nel “modello classico accusatorio” l’instaurazione e la prosecuzione del processo penale dipendono imprescindibilmente da una formale e solenne accusa privata nella quale il magistrato trova la legittimazione per sottoporre ad accusa qualcuno senza margini di discrezionalità sull’an del giudizio.
5Nel “modello inquisitorio” si agisce ex officio sulla base delle fonti d’informazioni più svariate (rapporto di polizia, flagranza, voce pubblica, ecc.) e l’accusa del privato, da presupposto necessario per attivare il procedimento penale, degrada a mera segnalazione di reato, non diversa da qualunque altra notitia criminis idonea a stimolare il magistrato dell’accusa che agisce ora sulla base di propri poteri officiosi.
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La Cognitio extra ordinem è un processo che prende il nome dall’antica attività di cognizione del magistrato (cognitio), ma che veniva a svolgersi al di fuori del tipico processo formulare romano. Il processo si svolgeva in forma scritta e prendeva avvio dalla notifica dell’atto di citazione, consegnato a domicilio da un pubblico ufficiale. Il convenuto poteva non presentarsi o non difendersi, ma il processo sarebbe comunque proseguito, una volta che gli fosse stato dato avvio. Il magistrato emetteva poi una sentenza, ovvero un provvedimento amministrativo a
carattere giurisdizionale.
7Ruolo decisivo, però, nell’affermazione di un processo squisitamente inquisitorio è stato assunto dalla Chiesa, attraverso l’adozione di metodi d’indagine utilizzati dapprima per scovare i peccatori, e, successivamente, per reprimere i dissensi ereticali. Al fine di garantire un’applicazione sempre più uniforme dell’ordinamento canonico, i pontefici e i canonisti elaborarono pratiche che affidavano ai giudici poteri ispettivi sempre più ampi: nell’inquisitio, l’accusato vedeva di molto diminuite le proprie garanzie e il giudice vedeva, invece, notevolmente amplificato il proprio ruolo, in posizione di netta superiorità rispetto all’accusato, sommando a sé le funzioni inquirenti e giudicanti.
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dal magistrato, rappresentante della pubblica potestas e portatore di un interesse civitatis superiore rispetto a quello di parte. La disponibilità dell’azione e lo sviluppo stesso del processo saranno quindi sottratti all’accusatore-vittima. Mentre il sistema accusatorio presupponeva come elemento imprescindibile l’accusa privata, da cui il magistrato otteneva legittimazione ad agire; nel sistema inquisitorio, invece, si agiva ex officio e l’accusa del privato assumeva carattere informativo e non propulsivo. All’interno dell’inquisitio potevano scindersi due diversi momenti processuali: l’inquisitio generalis e l’inquisitio specialis. Alla prima era riservato il compito di inquirere et investigare sul fatto oggettivo, cosicché solo risultati positivi potevano giustificare lo svolgimento delle indagini volte ad accertare la responsabilità dell’accusato; alla seconda, invece, veniva affidato il ruolo di riscontro dell’illecito nella sua materialità oggettiva.8 Rispetto a questa bipartizione procedimentale, si è assistito, tra il Quattrocento e il Cinquecento, ad una unificazione delle due fasi in un unico momento inquisitorio. Verranno così anche meno le garanzie dell’imputato: nella fase introduttiva, segreta e senza contradditorio, il giudice indaga, raccoglie prove, costruisce un articolato impianto accusatorio.
8A. ZAPPULLA, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed effetti, op. cit., p. 33-34.
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La ragione giustificatrice alla base di una simile attività inquisitoria era rappresentata dalla “fama”,9
che necessitava di essere accompagnata da una serie di qualità, tali da farne apprezzare il carattere di affidabilità, e, in mancanza delle quali, si sarebbe potuto parlare solo di vana vox populi.10 Ciò che serve per dare avvio al procedimento non è dunque la mera notizia di un illecito ma tale notizia deve essere contenutisticamente qualificata da elementi di supporto antecedenti rispetto all’inquisitio: solo in questo modo può giustificarsi l’avvio del procedimento. Queste qualità potevano riscontrarsi nella maggior forza persuasiva che connotava la “fama” a scapito della “vana vox populi”, assicurandone la verosimiglianza.11
Se nel XIII secolo vi era la necessità di avere una notitia criminis ricca di elementi ben precisi che lasciavano poco spazio di azione, tali per cui si parlava di un contenuto rigido, in seguito, questa condizione è mutata e si è permesso che l’istituto in esame fosse costituito da formule sostanziali più elastiche, permettendo così di eliminare quei contenuti che erano principalmente orientati verso la tutela del singolo e che erano visti più che altro come degli ostacoli alla possibilità di sviluppo dell’azione penale.
9F. MIGLIORINO, Fama e infamia. Problemi della società medievale nel pensiero giuridico nei
secoli XII e XIII, Giannotta, Catania, 1985, p. 61: «La fama poteva essere tradizionalmente intesa
in un duplice senso, come buona reputazione di un individuo o come conoscenza collettiva di un fatto».
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M. VALLERANI, Il giudice e le sue fonti. Note su inquisitio e fama nel Tractatus de maleficiis
di Alberto da Gandino, in RECHTSGESCHICHTE, 2009, p. 58: «I rumori, le voces, le opiniones
delle persone avevano nella dottrina precedente (anche in quella romana) un valore cognitivo basso e potevano al massimo fungere da pre-incolpazioni virtuali».
11Fu proprio grazie al proliferare di eresia e corruzione del clero, fra il XII e XIII secolo, che la Chiesa venne spinta a porre a fondamento della persecuzione di tali crimini la fama, intesa come “voce pubblica qualificata”, una sorta di accusatio collettiva. Questo proprio perché si trattava di comportamenti difficilmente perseguibili in mancanza di accusatori disposti o interessati a denunciarli, e quindi per esigenze puramente repressive.
10
Lentamente si rinuncia alla “fama”, dal XVI-XVII secolo questa perde la funzione di garanzia che aveva assunto nei secoli precedenti, e si attribuisce pieno valore, come presupposto dell’indagine, a notizie di reato prive degli stessi parametri attendibili. Si abbandonò l’esigenza di far riferimento a criteri comunicativi rigidi, lasciando invece spazio a criteri comunicativi maggiormente elastici, finendo per rendere indefiniti i confini della notitia
criminis.
Nella seconda metà del XVI secolo l'alessandrino Giuseppe Claro nel «Liber quintus sententiarum receptarum» sostiene che il giudice non deve, né può procedere, né assumere informazioni contro qualcuno se non sussiste un elemento che apra la via all'inquisizione; potrà trattarsi della voce pubblica, della querela di parte, di una denuncia, o di eventi consimili. In assenza di un presupposto del genere il processo è in radice nullo, e rimane tale anche se poi il delitto dovesse risultare pienamente provato. Nella pratica quando viene commesso un reato, ma non se ne conosca l'autore, il giudice indaga in generale ed interroga i testi che ritiene informati dei fatti di causa e dell'autore di questi, senza fare nomi; appena taluno sia indicato come colpevole si apre la strada dell'inquisizione nei confronti di questa specifica persona, alla ricerca di ulteriori informazioni. Ma l'inquisitio specialis non preceduta da indizi è nulla, e tale nullità si propaga a tutta la sequenza di atti successiva.12 Si tratta di una regola assolutamente indeterminata: appare ferrea, ma è vuota di contenuto, perché
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non è detto quando gli indizi sono legittimi e sufficienti per l'imputazione, non vige un'univoca valutazione degli indizi stessi: ciò che vale ad inchiodare un uomo non di riguardo e che non gode di buona reputazione è irrilevante nei confronti di persone oneste e rispettabili. In definitiva non v'è che l'arbitrio del giudice e l’assenza di ogni tipologia: si inquisisce chi, come, quando si crede.
Questo sguardo al passato consente già di mettere in luce sia la particolarità e la vulnerabilità della materia inerente alla notitia criminis, sia la connesisione tra questa e le esigenze di politica criminale in una correlazione costante tra le due. A seconda delle esigenze di politica criminale che si scelga di seguire, privilegiare le garanzie di libertà dei singoli ovvero porre l’accento sulla tutela dell’interesse collettivo all’ordine e alla sicurezza, cambiano i contorni definitori della notitia criminis.
1.2 Il codice del 1865 e il codice del 1913
Nel 1861, con la proclamazione del il Regno d’Italia si diede avvio ad un periodo di importanti riforme, avvenute soprattutto attraverso lo strumento delle codificazioni . L’unificazione, infatti, aveva garantito un’unità più territoriale che spirituale, espressione non di tutto il popolo, ma solo di parte di esso, essendo rimasta una gran parte della borghesia indifferente ai conflitti.
L’esperienza dei codici unitari ha origine in un quadro liberale, in cui è difficile operare una comparazione con i codici previgenti, dato il
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progressivo abbandono del modello squisitamente inquisitorio, che li aveva connotati. È, però, possibile, riscontrare una certa linea di continuità tra i codici Cortese del 1865, Finocchiaro- Aprile del 1913 e Rocco del 1930. In tutti e tre, infatti, l’apertura del dettato normativo è affidata all’azione penale, punto di partenza dell’intero processo.
Le disposizioni iniziali dei codici del 1865 e del 1913 contenevano un esplicito riferimento al legame diretto fra reato e azione penale: l’art. 1, comma 1, del codice del 1865, infatti, così recitava «ogni reato dà luogo ad una azione penale»; mentre l’art. 1, comma 1, del codice del 1913, affermava «dal reato sorge l’azione penale». Le disposizioni assumevano rilievo laddove prescrivevano, come obbligatorio, l’esercizio dell’azione penale, eliminando ogni carattere di discrezionalità, che poteva formarsi in capo al pubblico ministero, intorno alla stessa. Risultava, però, perfettamente compatibile con il principio di obbligatorietà dell’azione penale, la potestà del pubblico ministero di selezionare, da un punto di vista contenutistico, le notizie di reato che gli fossero pervenute. Si opera, quindi, una selezione da parte del pubblico ministero delle notitiae criminis, sulla base del contenuto delle stesse: non è la mera forma di denuncia ad attribuire all’informazione la natura di notizia di reato, ma questa sarà individuabile solo in una credibile descrizione del fatto storico, sussumibile in una astratta previsione incriminatrice.
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Il libro primo del codice del 1865, dedicato all’«istruzione reparatoria», tra i soggetti titolari della stessa distingueva gli ufficiali del pubblico ministero e la polizia giudiziaria. La polizia giudiziaria era sottoposta prima ad una sorveglianza, poi direzione o dipendenza, del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello e del procuratore del Re presso il tribunale penale (art. 57, comma 1, c.p.p. 1865). Il pubblico ministero, invece, era sottoposto alla direzione del Ministro della Giustizia, in quanto rappresentante del potere esecutivo presso l’autorità giudiziaria. Il Procuratore Generale riceveva denunce e querele che gli venivano «indirizzate direttamente dalla Corte o da un funzionario pubblico» o ancora «quelle di qualsiasi altra persona» (art. 41, comma 1), provvedendo alla loro registrazione e trasmissione al procuratore del Re. L’art. 43, comma 1, imponeva poi al procuratore del Re di presentare senza ritardo «al giudice istruttore le opportune istanze per l’accertamento del fatto e la scoperta degli autori e dei complici». Le denunce, le querele, i verbali e i rapporti, espressamente previsti e disciplinati dal codice, venivano così ad essere affiancati dalla categoria delle notizie di reato, identificate nella fama, quale quinta fonte informativa.13 Se procuratore generale e procuratore del Re erano tradizionalmente indicati come ricettori delle notitiae criminis, che il primo riceveva e al secondo, invece, pervenivano, senza possibilità di alcuna attività di iniziativa, la polizia giudiziaria assumeva invece un ruolo più dinamico, ovvero quello di ricercare i reati d’ogni genere.
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Il codice Finocchiaro-Aprile del 1913, redatto «in nuova veste, ma sullo stesso canovaccio»,14 riguardo agli atti di polizia giudiziaria, all’art. 162 c.p.p. statuiva che «la polizia giudiziaria ha per ufficio di ricercare i reati», sotto la direzione e alla dipendenza del procuratore generale presso la Corte d’Appello e del procuratore del Re. L’ufficio del pubblico ministero, anche ai sensi della nuova normativa dell’ordinamento giudiziario, continuava ad operare sotto la direzione del ministro. L’ufficio era organizzato secondo una struttura gerarchica, all’interno della quale il procuratore del Re doveva informare «il procuratore generale delle denunzie, dei rapporti e delle querele che gli pervengono», nonché «di ogni altra notizia che abbia avuto intorno a reati» (art. 181 c.p.p.). Il procuratore generale, invece, «trasmette al procuratore del Re le denunzie, le querele e i rapporti che gli vengono presentati, quando non creda di esercitare egli stesso» le facoltà istruttorie di polizia giudiziaria attribuite al procuratore del Re (art. 182, comma 1, c.p.p.). Più ampio dunque il flusso di comunicazione esistente dal procuratore del Re al procuratore generale, posto che ricomprende anche le notizie di reato non qualificate. Anche il giudice istruttore, qualora durante l’esercizio delle sue funzioni abbia saputo di una notizia di reato, ovvero «di altro reato per il quale debba procedere d’ufficio, trasmette gli atti e le informazioni che vi hanno riferimento al procuratore del Re» (art. 190, comma 2, c.p.p.). Fortemente criticata in questo codice, è stata la figura dei
14L. LUCCHINI, Elementi di procedura penale, IV edizione, Barbera, Firenze, 1920, p. 47.
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procuratori del Re, «colpevoli di non valorizzare appieno un potere d’iniziativa nella ricerca della notizia di reato, considerato il naturale completamento di un ruolo necessariamente interventista e di rigore che gli uffici delle procure, diretti dal ministro, avrebbero dovuto rivestire in quel peculiare momento storico-politico».15
Dall’analisi dei due codici post-unitari, possiamo dedurne l’inesistenza di qualsiasi indicazione che meglio possa aiutare a ricostruire la figura della notizia di reato, non ancora percepita in termini di categoria ampia tale da potervi ricomprendere le molteplici fonti di conoscenza degli investigatori, ma che si affianca come ipotesi residuale a quelle espressamente previste dal codice.
1.3 Il codice Rocco del 1930
L’entrata in vigore del codice Rocco ha permesso l’adozione di un nuovo schema processuale, in cui la notizia di reato, attraverso una nuova collocazione, assume autonomia funzionale. Era, infatti, tipica di una logica puramente autoritaria, l’idea per cui l’azione penale potesse considerarsi effetto immediato della notizia che palesa il reato. Ne è dimostrazione l’art. 1 del codice del 1930, laddove si afferma che l’azione penale è iniziata d’ufficio in seguito a rapporto, a referto, a denuncia o ad altra notizia di reato. Ciò avrebbe potuto far trasparire l’esistenza di un «nesso legislativo di automatismo fra il pervenire della notitia criminis e l’inizio dell’azione
15A. ZAPPULLA, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed
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penale»,16 dal momento che il primo comportamento o atto del pubblico ministero temporalmente e logicamente susseguente alla sua conoscenza della notizia di reato poteva considerarsi già inizio dell’azione penale. Il codice in questione, infatti, operava una distinzione tra inizio dell’azione penale ed esercizio della stessa. Si trattava dunque di due momenti differenti, a norma dei quali, il primo diviene «un potere-dovere del pubblico ministero ed è connesso alla ricezione della notitia criminis, il secondo implica la necessità del compimento di attività istruttoria o, quanto meno, la formulazione dell’imputazione».17
L’azione penale poteva dunque identificarsi con l’inizio del procedimento penale, nel «compimento del primo atto di iniziativa della polizia giudiziaria che consiste nella ricerca dell’attività assicurativa della notitia criminis».18 Essa acquisiva autonomia rispetto all’esercizio della stessa, in quanto distinta fase del procedimento, volta all’acquisizione della notizia di reato. Il pubblico ministero non può, quindi, procedere personalmente alla ricerca delle notizie, ma richiede un veicolo intermediario che lo metta in relazione diretta con le stesse: questo compito è affidato alla polizia giudiziaria, nonché agli altri pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio.19
16P. DE LALLA, Il concetto legislativo di azione penale, Jovene, Napoli, 1966, p. 106.
17Cassazione Penale, Sezione IV, 30 gennaio 1980, Maglione, in Rivista italiana diritto e
procedura penale, 1982, p. 325 e in Cassazione penale, 1982, p. 111.
18C. TAORMINA, L’essenzialità del procedimento penale, Jovene, Napoli, 1974, p. 464.
19Qui trovava spazio non solo il rapporto, che, a norma dell’art. 2, comma 3, doveva essere «presentato senza ritardo al procuratore della Repubblica o al pretore», ma anche il referto degli esercenti una professione sanitaria, e infine anche la denuncia proveniente, a norma dell’art. 7, da «ogni persona, anche diversa dall’offeso, che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio».
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In contraddizione, poi, rispetto al codice abrogato, che taceva sul punto, «il nuovo codice di procedura penale segnò un progresso sul codice di procedura penale precedente stabilendo la non ammissibilità dell’azione anonima».20 Ai sensi dell’art. 8, comma 4, gli scritti anonimi «non possono essere uniti agli atti del procedimento, né può farsene alcun uso processuale, salvo che costituiscano corpo del reato, ovvero provengano comunque dall’imputato». Se ne era escluso alcun uso processuale o probatorio, non si escludeva, però, la possibilità di compiere indagini di polizia ex art. 129 c.p.p., finalizzate all’acquisizione di «elementi di prova seri e concreti, sulla cui sola base potrà in prosieguo essere promossa l’azione penale».21
La categoria delle notizie di reato non qualificate, invece, si connotava per genericità e apertura, rientrandovi tutte quelle notizie che non fossero espressamente previste dal legislatore. Qui poteva inserirsi anche il dovere di polizia giudiziaria di prendere notizia dei reati anche di propria iniziativa, al fine di attivarsi alla ricerca di notizie di reato non ancora individuate. Era, difatti, pacifico ritenere che «ciò che la legge chiama “prendere notizia dei reati” non è, infatti, che l’andare alla ricerca delle prove»22 : doveva, comunque, escludersi il ricorso a strumenti d’indagine coercitivi, che presupponessero l’acquisizione di una notitia criminis, essendo consentite
20C. PERRIS, Denuncia e rapporto, in Nuovo digesto italiano, vol. IV, Utet, Torino, 1938, p. 728. 21
Corte Costituzionale, 18 gennaio 1977, n° 29, in Giurisprudenza costituzionale, 1977, vol. I, p. 99.
22A. PERONACI, I limiti dell’attività della polizia giudiziaria, in Relazione all’art. 225 c.p.p., in
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solo generiche attività di natura amministrativa. I risultati investigativi raggiunti andavano trasmessi al pubblico ministero mediante rapporto, subendo in tal modo una radicale trasformazione in notizie di reato qualificate. Una previsione analoga a quanto disposto per la polizia giudiziaria, non si rinveniva, però, per la figura del pubblico ministero. Nonostante il codice tacesse al riguardo, gli era comunque riconosciuto tale potere, giacché strettamente legato alla titolarità dell’azione penale. Non poteva, infatti, permettersi che costui avesse un’ampiezza di poteri inferiore rispetto a quelli affidati alla titolarità della polizia giudiziaria.
Non sono certo mancate posizioni contrarie a tale eventualità, in tema di attività di ricerca della notizia di reato: la paura era quella di vedere l’autorità giudiziaria indossare delle vesti che sarebbero dovute essere esclusive della polizia giudiziaria.
Inoltre, si dovrà attendere la legge 532/1982 e il suo articolo 24 («Disposizioni in materia di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà sessuale e dei provvedimenti di sequestro-Misure alternative alla carcerazione preventiva») per vedere fissato un termine annuale per la conclusione dell’istruzione sommaria del pubblico ministero, decorrente «dalla data di iscrizione del procedimento nel registro generale» degli affari penali.
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1.4 La bozza Carnelutti del 1962
L’attuale sistema processuale, di impronta fortemente accusatoria, trova la sua origine nel progetto realizzato dalla Commissione governativa, istituita il 14 gennaio 1962 dal Ministro di Grazia e Giustizia, Guido Gonella, e presieduta da Francesco Carnelutti: il primo vero e proprio progetto di riforma del codice di procedura penale di stampo meramente fascista. Questa rivoluzione processuale si sostanziava in tre libri: «Del processo penale», «Del procedimento di cognizione» e «Del procedimento di esecuzione». Nello schema processuale così delineato, alla notitia criminis veniva dedicato l’intero titolo di apertura del libro sul procedimento di cognizione.
Nonostante la scelta lessicale utilizzata per designarla (si faceva, infatti, riferimento a «sospetto di reato» o «della informazione penale»), in realtà non erano ravvisabili grosse diversificazioni quanto a contenuto e forma della notizia di reato.
Il titolo conteneva previsioni in riferimento alle notizie di reato qualificate, con riferimento alle quali si parlava di denuncia e referto, ai poteri e obblighi della polizia giudiziaria, ai poteri investigativi del pretore, e alla registrazione delle denunce. L’informazione penale doveva essere rimessa, nel più breve tempo possibile, nelle mani di colui che avrebbe proceduto nella conduzione delle indagini: si parla del pubblico ministero, titolare di poteri di preminenza rispetto alla polizia giudiziaria nell’attività
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istruttoria. L’informazione avrebbe dovuto dunque veicolare dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero presso il tribunale del luogo in cui si trovava o, in difetto, al pretore, immediatamente o entro ventiquattro ore. La bozza Carnelutti conteneva poi una specifica disciplina in materia di registri custoditi «presso l’ufficio del procuratore della Repubblica»: si parla in proposito del registro delle denunce, in cui le stesse dovevano essere registrate «con indicazione della data del ricevimento, della persona del denunciante e del denunciato e del reato che forma oggetto della denuncia» (art. 79). Dalle annotazioni presenti nel registro dipendeva il decorso del termine massimo di durata delle indagini stabilito dall’art. 95. Identificando tale registro come “registro delle denunce” e non come “registro delle notizie di reato” si voleva mantenere una funzione certificativo-amministrativa di mero protocollo d’ingresso.23
Siamo in presenza di una fase «che appartiene all’azione e non alla giurisdizione, con natura spiccatamente preparatoria, in quanto serve a fornire gli elementi per decidere se debba o non debba procedersi al dibattimento».24 Il pubblico ministero, che avesse preso possesso di una
notitia criminis, aveva così di fronte a sé una duplice possibilità: formulare
un’imputazione immediata, chiedendo al giudice la fissazione del dibattimento, ogniqualvolta, in base all’art. 82 del progetto, fosse «probabile l’esistenza del reato senza bisogno di indagini preliminari»;
23A. ZAPPULLA, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed effetti, op. cit., p 77. 24F. CARNELUTTI, Verso la riforma del processo penale, Morano, Napoli, 1963, p. 18.
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oppure pronunciare un decreto di rigetto della denuncia, dichiarando, a norma dell’art. 80, comma 1, del progetto, il «non doversi procedere contro la persona denunciata», qualora ritenesse che il sospetto di reato non abbia alcun fondamento, ovvero di non trovarsi in presenza di un reale sospetto di reato, o di aver ricevuto un atto corrispondente alla forma della denuncia, ma che non aveva il contenuto di una notizia di reato. Il ponte tra la fase delle indagini preliminari e la fase definitiva del processo di cognizione era rappresentato dall’imputazione, che, differentemente dal codice del 1930, veniva a porsi in una fase avanzata del procedimento, collocandosi al termine delle indagini. L’imputazione rappresentava così la conferma della fondatezza della notitia criminis.
1.5 Il progetto preliminare del 1978
La bozza Carnelutti aveva suscitato critiche particolarmente violente, ancora prima che si potesse procedere alla sua divulgazione, ma per poter approdare alla formulazione di un nuovo codice bisognerà attendere almeno una quindicina d’anni.
Con la legge 108/1974, «Delega legislativa al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura penale», venne solennemente proclamata l’intenzione di realizzare un nuovo sistema processuale di stampo accusatorio.
In tale progetto, non subì sicuramente ampie modifiche la disciplina delle funzioni della polizia giudiziaria, soggetto che, tendenzialmente, risulta
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essere il primo a porsi in contatto con la notizia di reato. Gli articoli 219 c.p.p. del 1930 e 62 del progetto preliminare del 1978 appaiono completamente sovrapponibili: «la polizia giudiziaria manteneva il potere-dovere di prendere, anche di propria iniziativa, notizia dei reati e impedire che venissero portati ad ulteriori conseguenze, ma perdeva il compito di «assicurare le prove», dovendosi limitare agli atti necessari ed urgenti per assicurare le mere «fonti di prova», e non ricercava più i «colpevoli», bensì gli «autori» dei reati».25
Si abbandona così l’idea delle indagini preliminari come fase istruttoria, per assumere invece una nuova funzione, in chiave meramente investigativa. Ruolo del tutto rinnovato, era senza dubbio quello del pubblico ministero, che vedeva degiurisdizionalizzata la propria figura, caratterizzandosi, invece, in chiave investigativa. Costui vede affidarsi tre tipologie di funzioni: il potere-dovere di prendere notizia, anche di propria iniziativa, dei reati; la ricostruzione del fatto e l’identificazione del colpevole e l’assicurazione delle fonti di prova. Trattasi di funzioni tipicamente di polizia giudiziaria, superandosi, in tal modo, la divaricazione esistente tra polizia giudiziaria e pubblico ministero, a favore di una sovrapposizione dei poteri d’iniziativa.
Grazie al progetto del 1978, si attua quel passaggio tanto atteso da un registro delle denunce a un vero e proprio registro delle notizie di reato:
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l’annotazione quindi della notitia criminis presso il relativo registro, che veniva conservato dal pubblico ministero e affidato alle cure del suo segretario. Questo dimostra il ruolo meramente certificativo dell’annotazione, affidata ad un funzionario con poteri di carattere amministrativo e non valutativo.
L’art. 70 di tale progetto, rubricato «Dichiarazioni indizianti», veniva a innovare la situazione in cui poteva trovarsi un soggetto, non indiziato, né imputato, esaminato quale persona informata sui fatti, qualora dalle sue dichiarazioni fossero emersi indizi di reità a suo carico. In questo caso, l’autorità procedente, doveva interrompere l’esame e avvisare il soggetto che, a seguito delle dichiarazioni rese, potevano essere svolte indagini nei suoi confronti. Si poteva così conferire alle stesse natura di notitia criminis. Ciò che emerge, già dal progetto Carnelutti, e ancora più chiaramente nel progetto del 1978, è che la notizia di reato acquisisce rilevanza autonoma, abbandonando la posizione di subordinazione rispetto all’azione penale, per distaccarsi definitivamente, e divenire presupposto delle indagini. Si procede così alla riunione in un’unica previsione, ovvero nell’art. 340, del potere di entrambi i soggetti, pubblico ministero e polizia giudiziaria, di prendere di propria iniziativa notizia di reato, oltre che riceverle. Netta è dunque la distinzione tra processo e notizia di reato, potendosi così realizzare indagini preparatorie volte alla verifica della notizia stessa.
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Con la legge delega del 1974 n° 108, si concedeva al Governo un tempo di due anni per l’emanazione di un nuovo codice di procedura penale: questo termine fu sottoposto a ben tre proroghe, ciascuna delle quali di durata di circa un anno, senza che si giunse mai alla stesura di un testo definitivo. Il fatto però che, l’insuccesso della legge delega fosse legato, più che ai suoi vizi processuali, in continua oscillazione tra sistema inquisitorio e sistema accusatorio, alle circostanze sociali che ne facevano da sfondo, portò alla continua ripresa dei principi cardine di quel sistema, nelle proposte che si susseguirono nel tempo. Di queste proposte, la più nota fu quella che condusse alla seconda delega, nel 1974.
Con successivo provvedimento del 1980, il Ministro Morlino propose alla Commissione Giustizia della Camera dei deputati una serie di emendamenti al testo originario. Fra questi emendamenti, uno dei più importanti fu quello che riguardò la direttiva 37, portando a 180 giorni dalla notizia di reato, il termine per la conclusione delle indagini preliminari. Questa decorrenza veniva ricollegata alla notizia di reato soggettivamente qualificata: si confermò quindi che «la notizia di reato è nozione a formazione progressiva, almeno per quel che riguarda il parametro soggettivo, elemento essenziale per una successiva imputazione, ma solo eventuale perché possa dirsi acquisita una notizia in grado di dar vita al procedimento penale».26
26A. ZAPPULLA, La formazione della notizia di reato. Condizioni, poteri ed effetti, op. cit., p. 109
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In sede di discussione degli emendamenti proposti da Morlino, seguì la nomina di un Comitato ristretto, i cui lavori, nel 1982, sfociarono nella presentazione alla Camera dei deputati di un’altra revisione delle delega. Qui, per la prima volta, fanno la loro comparsa le nozioni di “indiziato di reato” e di “imputato”: segno che la notizia di reato prescinde dall’individuazione di un soggetto nei cui confronti indagare. Individuazione che ben può avvenire anche in un momento successivo. In modo consequenziale, la direttiva 33 vede ulteriormente articolarsi la disciplina in materia di iscrizione nel registro della procura, prevedendo in capo al pubblico ministero l’obbligo non solo di immediata iscrizione del nominativo dell’indiziato e degli estremi del reato, ma soprattutto il costante aggiornamento ogniqualvolta venga a mutare il titolo del reato. Il testo, approvato il 18 luglio del 1984 dall’Assemblea della Camere dei deputati, vedeva riuniti in un’unica direttiva, la 31, i principi in materia di attività d’iniziativa investigativa della polizia giudiziaria, sottolineandone la continuità logica del potere della polizia giudiziaria di prendere notizia dei reati e del successivo obbligo di riferirne al pubblico ministro immediatamente, o, comunque, non oltre quarantotto ore. Solo con il testo del 1986, elaborato dal Comitato ristretto, nominato dalla Commissione Giustizia del Senato, la direttiva 31 veniva interessata da un’opera di riordino. Il potere-dovere di prendere notizia dei reati veniva sostituito con la locuzione «fatti costituenti reato». Questo meglio aiutava a comprendere
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come la notizia di reato costituisse un mero dato fattuale dell’eventuale illecito, potendo prescindere da qualsiasi connotazione soggettiva.
1.6 Il testo definitivo del 1988
Nel testo definitivo del codice di rito, il titolo II del Libro V concernente la “notizia di reato” non subisce modificazioni rispetto al testo elaborato nel progetto, se non limitatamente alla previsione legata alla conoscibilità delle iscrizioni contenute nel registro ex art. 335 c.p.p.
Una società diversa, con un forte sentimento dell'individuo e della dignità intrinseca di questi, concepisce il processo come contesa ad armi pari per la composizione di una controversia; il codice Vassalli del 1988, ispirato - sia pure con temperamenti - al principio della accusa, è l'espressione della svolta, del cambiamento delle finalità, della struttura, dei meccanismi, in particolare - per ciò che qui più interessa - dei presupposti dell'azione penale.
In questo codice alla notizia di reato è dedicato il titolo II del libro intitolato «Indagini Preliminari e Udienza Preliminare» (libro V), e ciò proprio ad evidenziare il ruolo propulsivo della notitia criminis. Da questa, o meglio dalla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato ad opera del pubblico ministero, prendono l'avvio le indagini preliminari, dirette dal pubblico ministero (art. 327 c.p.p ), ma ben diverse dalla istruzione del codice Rocco. Quest'ultima infatti consisteva nel ricercare e formare le prove atte a corroborare l'imputazione per la formulazione dell'accusa. Le indagini
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preliminari invece - dice la Relazione Ministeriale al codice - «servono a delibare la notitia criminis al fine di configurarla entro una precisa imputazione e di scegliere un tipo di domanda da proporre al giudice competente». Dunque si tratta di una preistruzione o secondo alcuni di una para istruzione, ad immagine delle autentiche figure istruttorie del dibattimento, ma è una attività investigativa che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria - ciascuno nell'«ambito delle rispettive attribuzioni » - conducono al solo fine di poter assumere le «determinazioni inerenti l'esercizio dell'azione penale» (art. 326 c.p.p.). La fase delle indagini preliminari si rende necessaria laddove la notizia di reato sia un'ipotesi da verificare: si otterrà così una provvista di fonti di prova che, se negli aspetti formali può somigliare all'istruzione sommaria del vecchio codice, in realtà nel nuovo sistema è dequalificata a lavoro di una parte, privo di finalità probatorie, fuori dal processo. Essa serve solo a fondare il giudizio prognostico sulla probabilità di una sentenza di condanna e quindi a poter decidere se formulare l'imputazione (in quanto si ritenga dimostrabile l'accusa proposta e quindi probabile la condanna) o piuttosto richiedere l'archiviazione, senza effetti preclusivi.
Dunque nel nuovo sistema la soglia gnoseologica minima dell'azione si è spostata in avanti: l'imputazione implica una probabilità di reato, pari a
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quella un tempo richiesta per la formulazione dell'accusa al termine dell'istruzione.27
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CAPITOLO SECONDO
LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLA NOTIZIA DI REATO
2.1 La notizia di reato - 2.2 Cosa non è notizia - 2.2.1 L’esclusione del
sospetto - 2.2.2 I fatti non costituenti reato e le pseudonotizie - 2.3 Notizie
qualificate e non qualificate - 2.3.1 La denuncia - 2.3.2 L’informativa della
polizia giudiziaria - 2.3.3 La denuncia dei privati - 2.3.4 Il referto - 2.3.5
La notizia anonima - 2.4 Le condizioni di procedibilità – 2.4.1 La querela –
2.4.2 L’istanza di procedimento – 2.4.3 La richiesta di procedimento –
2.4.4 L’autorizzazione a procedere
2.1 La notizia di reato
Con l’espressione “notizia di reato” si indica qualsiasi fatto – quali ne siano la fonte e il veicolo - idoneo a procurare la conoscenza di un reato28 ed a mettere in moto il meccanismo procedurale. Se è vero che il primo atto necessario della sequenza procedimentale è dato dall’iscrizione della notizia di reato nell’omonimo registro, è anche vero che l’iscrizione presuppone un’attività più o meno complessa: la conoscenza di una notizia e la qualificazione di quest’ultima come notizia di reato, attività che si svolgono prima e al di fuori del procedimento penale sebbene siano regolate, ancorché solo sommariamente, dallo stesso legislatore.29
28F.CORDERO, Procedura penale, op. cit., p.41.
29R. APRATI, La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, Napoli, Jovene, 2010, p. 6
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Si tratta della “condicio sine qua non” di ogni procedimento penale, nonché l’oggetto tipico della prima fase di questo, quale embrione dell’ipotetica domanda penale.30 La notitia criminis contiene, infatti, gli elementi fondamentali della fattispecie che, a conclusione della gestazione maturata durante la fase investigativa, comporrà la successiva imputazione. Allo stesso modo in cui l’embrione è imprescindibile per una nuova vita, così quella della notizia di reato è figura connaturale a ogni struttura processual-penalistica, qualunque sia la fisionomia o il modello che la qualifichi. Ma se dell’embrione è difficile individuare il momento esatto del concepimento, analoghe difficoltà, si vedrà, sono riscontrabili anche per la notizia di reato.31
Tale locuzione, funzionalmente connessa e complementare al concetto di «azione penale», o più precisamente, all’esercizio di questa, ritornava con qualche frequenza nel testo del vecchio codice di rito (art. 1, 219, 231, 233)32, designando secondo gli interpreti, “il presupposto pratico del processo” e giustificandone l’avvio ad opera del pubblico ministero.33 L'espressione è stata, poi, pienamente accolta dal legislatore in occasione del conferimento della delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale. Trattasi, dunque, di una realtà legislativa per la quale risulta preferibile riferirsi all'enunciata dizione, anziché alla quasi
30I. DI LALLA, voce Notizia di reato, cit. 31
A. ZAPPULLA, voce Notizia di reato in Enc. Dir,, p.890
32In tal senso G.ARICÒ, voce Notizia di reato, in Enc. Dir. vol XXVII, Milano, 1978, p.768 33L.CARLI, Le indagini preliminari nel sistema penale processuale: soluzioni e proposte
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corrispondente espressione latina “notitia criminis” (creazione dottrinaria, spesso riproposta da vari autori), nella quale, a rigore, si dovrebbe cogliere un’accentuazione del riferimento all'attività del “dar notizia”, accentuazione che non renderebbe la pienezza del fenomeno che ci interessa, nel quale, com’è pacifico, rientra anche il risultato dell'attività di “prendere notizia” o addirittura di “formare notizia” del reato.34
Pur avendo destinato il Titolo II del V Libro – in quanto attinente alla dinamica processuale, alle prerogative e ai doveri degli organi incaricati di condurre le indagini preliminari – alla disciplina della notizia di reato, il legislatore del 1988 non ne ha offerto una vera e propria nozione.35 All’interno dell’ordinamento processuale penale, infatti, non si rinviene alcuna definizione su cosa debba intendersi per notizia di reato, la quale, quindi esige una puntuale determinazione. Tale lacuna non ha mancato di provocare un certo sconcerto, dal momento che può sembrare strano che le norme processuali non dettino una chiara e rigorosa disciplina in una materia, quale quella concernente la notizia di reato, che determina l’iscrizione del nome dell’indagato nel registro di cui all’art.335 c.p.p. e l’inizio delle indagini preliminari, con la possibile adozione di provvedimenti idonei a comprimere anche in misura notevole diritti
34G.ARICÒ, voce Notizia di reato, cit.
35In giurisprudenza, Cass. pen., sez III, ud 08-03-1995 (dep. 26-04-1995), CERONI, in Cass.pen., 1996, fasc. 6, p.1876
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fondamentali del cittadino.36 Nonostante non la definisca, il legislatore evoca la notizia di reato per tutto l’arco delle indagini: essa è ricercata, percepita, formalizzata, iscritta, aggiornata, modificata; si tratta sempre della stessa notizia, è sempre il medesimo concetto. La necessità è allora quella di individuare una definizione di notizia di reato che si adatti a tutte le vicende della stessa.
L’itinerario normativo per verificare la correttezza dell’affermazione per cui la notizia di reato coinciderebbe con qualsiasi fatto che si caratterizza per l’idoneità a procurare la conoscenza di un reato è rappresentato dal combinato disposto degli artt. 331, 333, 334, 347 c.p.p. che si occupano dei mezzi ufficiali con i quali è portato a conoscenza dell’autorità un fatto di reato; dall’art. 335 c.p.p. ove si prevede che il pubblico ministero debba iscrivere immediatamente “ogni notizia di reato che gli perviene o che ha acquisito di propria iniziativa” nell’apposito registro delle notizie di reato; dall’art. 109 disp. att. c.p.p a norma del quale la segreteria della Procura della Repubblica, annotate la data e l’ora della ricezione sugli atti che possono contenere notizia di reato, «li sottopone immediatamente al procuratore della Repubblica per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato».37
36L.BRESCIANI voce La notizia di reato, in Indagini preliminari ed instaurazione del processo, a cura di M.G.AIMONETTO, in Giurisprudenza sistematica di diritto processuale penale, diretta da M.CHIAVARIO – E. MARZADURI, Utet, Torino, 1999, p. 3.
37A.MARANDOLA, I registri del Pubblico ministero. Tra notizia di reato ed effetti
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La premessa svolta consente di pervenire ad una nozione di notizia di reato semplice e nello stesso tempo ovvia: trattasi dell’informazione che perviene all’attenzione dell’organo deputato all’esercizio dell’azione penale (pubblico ministero) in relazione ad un fatto i cui connotati esteriori ne consentono la sussunzione in una norma incriminatrice. In altri termini, si è in presenza di una notizia di reato quando il pubblico ministero riceve la comunicazione di un fatto che individua un comportamento do possibile violazione del codice penale o di altra norma penale, capace di dar luogo ad una imputazione.
Non è necessario che ne sia indicato l’autore (potendo la notizia riguardare un autore ignoto), né, nel caso in cui lo stesso sia individuato, ciò è indice della sua automatica fondatezza: lo stabiliranno le indagini preliminari, il cui prodromo è costituito proprio dalla notizia di reato.38
L’informazione potrà assurgere al rango di notizia di reato allorché contenga i tratti salienti del fatto-reato39, individuabili in quelli che ne costituiscono le cosiddette componenti oggettive40: la condotta, l’evento (in senso naturalistico o giuridico) e il nesso eziologico intercorrente tra i primi due. Si può, quindi, dire che la nozione di notizia di reato si componga di due elementi fondamentali: la percezione di un dato e la sua qualificazione
38R.VOLPE, A.DE CARO La notizia di reato tra qualificazione, iscrizione e controlli, in Giustizia
Penale, n.3/2010, p.65 ss.
39G. CONSO, V. GREVI, G. NEPPI MODONA, Il nuovo codice di procedura penale. Dalle leggi
delega ai decreti delegati, vol. IV, Cedam, Padova, 1986, p. 826.
40F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, XV ed., Giuffrè, Milano,2000, p. 163; F. MANTOVANI, Diritto Penale, IV ed., Cedam, Padova, 2001, p. 105; A. PAGLIARO, voce Fatto (dir. pen.), in Enc. dir., vol. XVI, Giuffrè, Milano, 1967, p. 956.
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come penalmente rilevante, ovvero come corrispondente ad una fattispecie incriminatrice. Rilevanti sono la sua consistenza e il suo contenuto, intendendosi per consistenza il livello di corrispondenza a dati effettuali verificati (notizia) e per contenuto il grado di conformità ad una fattispecie tipica (reato).41 La consistenza non è il frutto di un’attività valutativa, ma di semplice constatazione: la notizia di reato si limita a fornire, contenere, dare cognizione di certi dati; per iscrivere la notizia di reato non deve essere effettuato quel giudizio, seppure prognostico, di corrispondenza tra tali dati e il “vero” attraverso il confronto con atti probatori. Se la notizia di reato è l’incipit del procedimento per cui solo dopo la sua iscrizione, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria sono autorizzati a compiere le indagini preliminari, si comprende come, non solo è impossibile stimare la consistenza a causa dell’assenza degli strumenti necessari, ma come sia proprio la volontà del legislatore a rinviarla al successivo momento processuale.
Il contenuto, invece, è il risultato di un’attività valutativa e di giudizio: bisogna appurare se il dato di cui si ha cognizione sia contenuto in una delle fattispecie incriminatrici dell’ordinamento.42
«La notitia criminis si pone, pertanto, come limite all’immissione nei binari del procedimento penale di rappresentazioni che scadano in ciò che, per approssimazione o inverosimiglianza, non possa – o non possa ancora – qualificarsi come
41T. PADOVANI, Il crepuscolo della legalità nel processo penale. Riflessioni antistoriche sulle
dimensioni processuali della legalità penale, in Ind. pen., 1999, p.531.
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inerente all’area del penalmente rilevante e che, in quanto tale, non possa legittimare i poteri e azionare lo strumentario tipico delle indagini preliminari, la cui invasività impone una non semplice opera di rinsaldamento e irrobustimento dei confini della notizia di reato e della nozione di fatto da quest’ultima presupposta».43
C’è da chiedersi se, ai fini della configurabilità della notitia criminis assuma un qualche rilievo il profilo dell’antigiuridicità e, quindi se integri una notizia di reato l’informazione che descriva un fatto storico sussumibile, ictu oculi, all’interno di una fattispecie di reato, ma all’evidenza realizzato in presenza di una scriminante. Un problema di questo tipo, sicuramente, si manifesta in materia di “investigazioni sotto copertura” con riferimento alla condotta dell’agente provocatore, che pur integrando sotto il profilo oggettivo gli estremi di un reato è riconducibile alla fattispecie scriminante, di cui all’art. 51 c. p. (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere). Secondo un determinato orientamento giurisprudenziale44 la liceità della condotta dell’agente under cover porterebbe ad escludere la sussistenza della notitia criminis e del susseguente obbligo di iscrizione della stessa nel registro ex art. 335 c.p.p., con la conseguenza che il pubblico ministero potrebbe giungere a valutare discrezionalmente il comportamento dell’agente, ritenendo superfluo l’avvio delle indagini preliminari ogni volta in cui l’agente under cover
43A.ZAPPULLA, voce Notizia di reato, cit.
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agisca nel rispetto dei limiti imposti dalla legge. Questa soluzione non appare la più convincente45, essendo condivisa da molti l’idea per cui sia ineludibile il vaglio del giudice sulla condotta dell’agente provocatore, al fine di evitare che l’esigenza di scardinare dall’interno le organizzazioni criminali releghi sullo sfondo il rischio di abuso di potere sotteso alle operazioni “sotto copertura”. L’agente provocatore si muove sempre, per forza di cose, ai confini della legalità, confini che sono ben definiti quando in fase di pianificazione dell’operazione ma che, nel momento dell’ esecuzione della stessa, diventano fluidi ed incerti.
Il sindacato sull’antigiuridicità di tale condotta andrebbe, quindi, sottratto al pubblico ministero, che resterebbe, ugualmente, tenuto agli adempimenti ex art. 335 c.p.p. ed alla successiva presentazione di una formale richiesta di archiviazione.
2.2 Cosa non è notizia
2.2.1 L’esclusione del sospetto
La notizia di reato per assurgere a fatto processualmente meritevole di seguito e attendibilità va, peraltro, distinta dal semplice “sospetto di reato”. Secondo l’insegnamento della Cassazione, espressasi già nella vigenza del precedente sistema processuale, il sospetto sarebbe un elemento che agisce prima e al di fuori del processo, determinando, quando insorga, la sola
45P.P.PAULESU, sub art. 330 c.p. p., in Codice di procedura penale commentato, a cura di A.GIARDA – G.SPANGHER, vol. II, IV ed., Ipsoa, 2010, p. 4115
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necessità di svolgere le indagini. La notizia di reato costituirebbe, invece, la risultanza di tale attività.46 Se, ad esempio, «un denunciante afferma di aver visto una persona con un’arma da fuoco uscire di notte da un certo immobile, ci si può chiedere se da tale informazione si può dedurre che vi sia stata, per esempio, un’aggressione, e dunque iscrivere la notizia di reato contro ignoti per lesioni o tentato omicidio, pur in assenza di informazioni su tali fatti. Oppure se acquisita la notizia di reato di un omicidio di un noto affiliato ad associazione a delinquere, si può dedurre la partecipazione del presunto omicida all’associazione»47
. In queste ipotesi la notizia non rappresenta direttamente gli elementi di alcun reato, risulta essere configurabile come mero sospetto o indizio di reato, ponendosi in contrapposizione alla notizia di reato, tout court intesa. La questione riguarda, in particolare, quelle notizie che integrano mere dicerie, illazioni, congetture, opinioni personali, dubbi, teoremi investigativi, «in altre parole, ogni frammento d’informazione o di supposizione che, per intrinseca vaghezza ed indefinibilità, darebbe luogo ad inutili attività»48: materiali tutti da escludere dal novero delle possibili notizie di reato.
La ragione storica posta a fondamento del distinguo va ricercata nella disciplina del codice abrogato. Data l’assenza di una definizione normativa di notizia di reato, la qualificazione della stessa non poteva che rimanere
46
G.ARICÒ, voce Notizia di reato, cit.
47 R.APRATI, La notizia di reato nella dinamica del procedimento penale, op.cit., p.17
48DALIA e FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Padova, 2010, 393; vedi anche SCAGLIONE, L’attività ad iniziativa della polizia giudiziaria,Torino, 2001, 52.
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affidata alla valutazione degli organi di polizia giudiziaria, esclusivi titolari del potere-dovere di “ricercarla” o “riceverla”. Si era posta la questione se fosse sufficiente a far sorgere l’obbligo de quo anche il “semplice sospetto” e a tale quesito veniva fornita una risposta positiva, anche se con ciò si finiva per ammettere che, prima di ipotizzare il carattere meramente illecito di un determinato fatto e di richiedere la pronuncia ad un giudice su di esso e sulla eventuale punibilità dell’autore, il pubblico ministero avrebbe dovuto consolidare il sospetto, al punto da ritenere quantomeno probabile che il reato fosse stato commesso.49
Traslata all’interno del nuovo rito processuale – che esclude l’automaticità tra notizia di reato ed esercizio dell’azione penale, costituendo la prima solo un presupposto fattuale per una possibile instaurazione delle indagini preliminari – la questione del rilievo che assume il mero “sospetto di reato” pare irrilevante qualora si convenga sul fatto che, per aversi notizia di reato significativa dal punto di vista processuale, l’informazione deve assumere quel minimo di concretezza e di specificità, deducibile dagli artt. 335 e 405 c.p.p. e dall’art. 109 disp. att. c.p.p. Occorre che sia ravvisabile quantomeno il fumus, l'apparenza di un reato.50 Il fatto oggetto dell’informazione, di per sé, non da impulso al procedimento, ovvero alle indagini preliminari e all’azione penale, ma rappresenta un semplice tamquam non esset.51
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A.MARANDOLA, I registri del Pubblico ministero. Tra notizia di reato ed effetti
procedimentali, op.cit., p.52
50Così Cass., 14-1-1966, MCP, 1966, 936, 1455; Cass., 24-5-1978, in Cass.pen, 1979, 1512, 1426. 51I.DI LALLA, voce Notizia di reato, cit.
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Qualora emerga un semplice “indizio di reato” o “sospetto di reato”, questo potrà costituire per la polizia giudiziaria e per il pubblico ministero occasione e stimolo per il compimento di verifiche per determinare se abbia o meno i requisiti per assurgere a notitia criminis, ma non costituisce di per sé notizia di reato.
Siffatta conclusione la si ricava da due indici normativi: gli artt.116 disp. att. c.p.p. e 220 disp. coord. c.p.p. Le due norme si riferiscono al “sospetto di reato” e agli “indizi di reato” e autorizzano, l’una al compimento di atti investigativi volti a verificare l’esistenza di una notizia di reato, l’altra l’avvio formale del procedimento investigativo pur in assenza di una notizia di reato. La morte di una persona è un evento fisiologico, però se emerge qualche elemento da cui si possa dedurre che vi sia stata una condotta illecita a cui è riconducibile eziologicamente l’evento letale, il pubblico ministero è legittimato ad accertare le cause del decesso, tramite l’esecuzione di un’autopsia. Allo stesso modo, in sede di attività di vigilanza, può emergere qualche dato che evochi la possibilità di configurare un reato: al fine di saggiare la consistenza di tale deduzione è doveroso svolgere accertamenti, ricorrendo alle attività investigative processuali.
Da ciò si deduce che il sospetto e l’indizio non sono notizie di reato: se lo fossero non ci sarebbe stato bisogno delle suddette previsioni normative, essendo il pubblico ministero, in presenza di una notizia di reato,