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MMPI-2: Attendibilita Test-Retest e variabili interpersonali

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Facoltà di Medicina e Chirurgia

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN PSICOLOGIA CLINICA E

DELLA SALUTE

Tesi di Laurea

MMPI-2: Attendibilità Test-Retest e variabili

interpersonali

Candidato:

Lama Shekh Yosef

Relatore:

Dott. Andrea Guerri

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1

INDICE

1 INTRODUZIONE ... 2

2 LA PERSONALITÀ ... 3

1.1 Che cos’è la personalità ... 3

1.2 Cenni storici sulle teorie della personalità ... 5

1.2.1 Gli studi filosofici ... 5

1.2.2 Gli studi sistematici ... 8

1.3 Le principali teorie della personalità ... 13

1.3.1 Le teorie psicodinamiche ... 14

1.3.2 Le teorie dei tratti ... 21

1.3.3 Le teorie comportamentali e cognitive ... 26

1.4 La valutazione della personalità ... 29

1.4.1 Le variabili interpersonali e intrapersonali ... 29

1.4.2 I principali strumenti di indagine della personalità ... 32

1.4.2.1 Test proiettivi ... 32

1.4.2.2 Test oggettivi di personalità ... 35

2 Il MINNESOTA MULTIPHASIC PERSONALITY INVENTORY-2 (MMPI-2) ... 40

2.1 Introduzione ... 40

2.2 Modalità di somministrazione e Scoring ... 45

2.3 La struttura dell’MMPI-2 e la sua interpretazione ... 47

2.3.1 Le scale di validità ... 48

2.3.2 Le scale cliniche di base e le sottoscale di Harris e Lingoes ... 52

2.3.3 Le scale di contenuto e le loro componenti ... 60

2.3.4 Le scale supplementari ... 67

2.4 Ambiti di applicazione dell’MMPI-2 ... 74

2.5 L’ultima versione: MMPI-2 RF ... 75

3 MISURE PSICOMETRICHE E USO DEI TEST DI PERSONALITÀ ... 76

3.1 Le proprietà psicometriche ... 76

3.1.1 Validità ... 77

3.1.2 Attendibilità ... 81

3.2 Le caratteristiche psicometriche dell’MMPI-2 ... 87

3.2.1 Validità ... 89

3.2.2 Attendibilità Test-retest ... 91

3.3 Caratteristiche psicometriche ed uso dei test di personalità a confronto ... 103

4 CONCLUSIONI ... 106

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1 INTRODUZIONE

Il termine personalità indica una modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali dello sviluppo e dell’esperienza sociale (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992).

In ambito psicologico si dispone di una grande varietà di strumenti utili all’indagine delle caratteristiche e dei tratti di personalità. Nella terminologia psicometrica convenzionale “i test di personalità sono gli strumenti che misurano le caratteristiche emotive, motivazionali, interpersonali e di atteggiamento di un individuo, distinte, cioè dalle sue abilità intellettive” (Anastasi, 2002 p. 463). Gli strumenti di indagine psicometrici (test obiettivi, questionari di personalità, rating scalese, ecc), tipici dell’approccio nomotetico, prevedono l’utilizzo di dati normativi per delineare profili psicologici individuali (Di Blasi, 2008).

Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory-2 (MMPI-2) è un test di diffuso utilizzo in molti ambiti fra cui l’osservazione e la valutazione psicodiagnostica per la misura psicometrica di personalità nei contesti clinici, nelle indagini clinico-forensi in ambito giudiziario, sia penale sia civile, e in ambito lavorativo come ausilio per la selezione del personale. Il reattivo fu ideato nel 1959 ad opera di come strumento da impiegare nella valutazione dell’idoneità psichica in ambito militare; la versione italiana è stata validata da Pancheri e Sirigatti (1995).

Il presente lavoro si è occupato di analizzare la letteratura scientifica di questo strumento, in relazione alle sue caratteristiche psicometriche di validità e affidabilità, con particolare riferimento all’attendibilità test-retest. Il coefficiente di affidabilità esprime il grado di fiducia che è lecito riporre in un test, inteso come strumento per una misurazione coerente e stabile nel tempo. Ne derive che il coefficiente di attendibilità test-retest (r di Pearson) stima la stabilità dei risultati ottenuti nel tempo. La lettura scientifica indica un coefficiente di attendibilità medio-alto ed è variabile in base al tempo che trascorre tra la prima e la seconda somministrazione.

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3

2 LA PERSONALITÀ

1.1 Che cos’è la personalità

L’introduzione del termine personalità, utilizzato nel linguaggio moderno, è stata maggiormente influenzata dalla Personality psychology di derivazione americana. Infatti è di più recente introduzione rispetto al termine di carattere e quello di temperamento.

Dal punto di vista etimologico, il termine carattere, di origine greca kharàssein (significa incidere, tratteggiare o scrivere), indica le caratteristiche che vanno a marcare un individuo e lo distinguono dagli altri. Questo termine, quindi, va ad accentuare gli aspetti di valore e conformità in base agli standard sociali attesi. Questo concetto è stato maggiormente diffuso e utilizzato da Freud e i primi piscoanalisti, e successivamente è stato sostituito dal termine personalità da varie scuole di pensiero. Tuttavia la distinzione concettuale tra i due termini non è del tutto chiara e rimane ambigua poiché non si basa su criteri oggettivi e dipende dalla teoria di riferimento.

Il termine temperamento, invece, è rappresentato da una serie di caratteristiche relativamente stabili dell’organismo e determinate biologicamente. Strelau (1983) ritiene che vi siano sostanziali differenze tra questo termine e quello di personalità in quanto il primo è il risultato dell’evoluzione biologica, caratterizza l’individuo fin dalla nascita, ed è determinato da meccanismi fisiologici innati mentre il secondo è il prodotto di condizioni socio-storiche e si costituisce sulla base di relazioni significative che il bambino stabilisce nell’ambiente circostante.

Il termine personalità deriva dal latino persona - “maschera” ed indica la maschera indossata dagli attori che, interpretando i loro personaggi in grandi anfiteatri e dovendo farsi sentire da tutto il pubblico, parlavano da una piccola apertura a imbuto (per-) attraverso la quale potevano diffondere meglio il suono (sona) della propria voce (Lingiardi, 2001). Dal punto di vista etimologico, quindi, il termine personalità mette in risalto le caratteristiche individuali del personaggio recitato dall’attore in modo che il pubblico sappia quali atteggiamenti e comportamenti aspettarsi da lui.

Successivamente il termine persona è stato usato per qualificare l’essere umano avente un ruolo nel mondo, assegnato dal destino. La maschera (persona), in questo senso, rappresenta ciò che appare di un soggetto, talora con una connotazione negativa (“un uomo senza personalità”)

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4 oppure con un riferimento all’impatto carismatico che spesso ha a che fare con le capacità di adattamento della persona e di affermazione sociale (“una personalità spiccata”) (Lingiardi, 2001).

Con il tempo, il concetto di personalità ha perso questa connotazione di apparenza che rappresenta la maschera e ha assunto un nuovo significato in relazione alla persona reale con le sue profonde caratteristiche. La personalità, i cui tratti emergono da una matrice di predisposizioni ereditate biologicamente e di fattori appresi dall’esperienza, è dunque vista come un modello complesso di caratteristiche psicologiche e comportamentali che si esprimono, in modo automatico, in quasi tutti gli aspetti del funzionamento individuale. Tuttavia non esiste un’unica definizione e condivisa della personalità. Per il filosofo e psichiatra Karl Jaspers (1913) “nessun concetto viene impiegato con significati diversi e variabili come

quello di personalità o carattere”; infatti vi sono diverse possibilità di lettura della personalità

basate su diversi approcci teorici e clinici. Gordon Allport (1977), uno dei padri dei moderni studi psicologici sulla personalità, ha riscontrato più di cinquanta definizioni diverse.

Allport (1977) definisce la personalità come l’organizzazione dinamica di quei sistemi psicofisici che determinano l’adattamento specifico del soggetto all’ambiente. Hans Eysenck (1986) considera la personalità come la somma totale degli schemi di comportamento effettivi o potenziali dell’organismo, così come sono determinati dall’ereditarietà e dall’ambiente. Theodor Millon (1995) ha sostenuto che la personalità sia il risultato delle modalità comportamentali che si sviluppano, in risposta alle sfide dell’esistenza, durante i primi sei anni di vita circa.

Le nuove linee guida indicate dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V) definiscono la personalità come l’insieme dei tratti di personalità disposti lungo un continuum in una prospettiva dimensionale-categoriale. Gli elementi di funzionalità della personalità sono collocati all’interno di due domini: il primo è il dominio del sé, composto da identità e autodirezionalità, e il secondo è il dominio interpersonale, costituito da intimità ed empatia (American Psichiatric Association, 2014).

Oggi, dunque, con il termine personalità si indica una modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali dello sviluppo e dell’esperienza sociale (Organizzazione Mondiale della Sanità, 1992).

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1.2 Cenni storici sulle teorie della personalità

1.2.1 Gli studi filosofici

La prima disciplina a occuparsi della personalità è stata la filosofia. Uno dei primi filosofi che ha elaborato una propria teoria è Platone, per il quale l’anima è costituita da tre parti: l’anima razionale, l’anima irascibile dove risiedono gli impulsi alti e nobili, e l’anima concupiscibile, dove risiedono gli impulsi bassi e ciechi; quando l’anima razionale e quella irascibile coordinano l’anima concupiscibile, in modo da tenere gli impulsi a freno, l’individuo è onesto, leale e integro. Al contrario, quando gli impulsi più bassi prendono il sopravvento, l’individuo è empio e disonora i propri genitori.

Aristotele, allievo di Platone, afferma che le differenze tra gli individui scaturiscono da un impulso verso l’eccellenza che è propria dell’anima e vi sono due tipi di eccellenza: quella razionale e quella morale. L’eccellenza morale dipende da un elemento irrazionale dell’individuo che deve essere posto sotto il dominio della ragione. Le persone sono caratterizzate da una varietà di “passioni”, se vengono lasciate a sé stesse favoriscono qualità negative. Le persone differiscono, quindi, a seconda della capacità di tenere sotto controllo le proprie passioni. Questa capacità può essere acquisita, esercitandosi ad agire in un certo modo. Un’altra teoria di riflessione filosofica è la teoria umorale, introdotta dal medico greco Ippocrate intorno al 400 a.C.. Secondo questo filosofo, nel corpo circolano quattro umori che determinano sia malattie che diversi tipi di temperamento, e sono:

 Il flegma, tutte le parti umide, cioè gli essudati del corpo che costituiscono il molle, le mucosità del grande organo;

 Il sangue, generato dal fegato, che è l’elemento emopoietico;  La bile gialla, generata dalla cistifellea;

 La bile nera, prodotta dalla milza;

Se tra i quattro fluidi c’è equilibrio, si crea uno stato di salute mentre con la predominanza dell'uno o dell'altro umore, si crea uno squilibrio che determina la tendenza a malattie dell'uno o dell'altro. Per di più la predominanza di ciascun umore determina un certo squilibrio caratteriale, dando forma a quattro tipi di temperamento:

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6  Il tipo sanguigno (con eccesso di sangue): è colorito, gioviale, allegro, goloso ed incline ad una sessualità vivace; tende ad essere impulsivo, ottimista quando si tratta di sé e delle proprie capacità e si traporta facilmente dall’immaginazione e dal sentimento.  Il flemmatico (con eccesso di flegma): è beato, lento, pigro, calmo e talentuoso ma è

anche freddo e distaccato;

 Il collerico (con eccesso di bile gialla): è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo generoso e superbo; ha una sensibilità vivace profonda e prende decisioni rapidamente e le esegue tenacemente.

 Il melanconico (con eccesso di bile nera): è magro, debole, pallido, avaro e triste; tende a deprimersi e sottovalutarsi.

Galeno, ispirandosi a Ippocrate, distingue tra spiriti vitali, localizzati nei vasi sanguigni, e spiriti animali o psichici, dalle quali dipende il funzionamento nervoso. Egli descrive nove tipi di temperamento. Successivamente il modello ippocratico-galenico influenza la cultura del Rinascimento, che ritiene che gli umori del corpo conferiscano all’individuo un “habitus” che, se equilibrato, corrisponde alla persona sana e se squilibrato corrisponde a quella malata ma anche al genio e al folle. Per di più una concezione temperamentale è alla base di molte medicine orientali come, ad esempio, quella ayurvedica, una terapia volta a riequilibrare le energie vitali, chiamate dosha, che pervadono il corpo fisico.

Successivamente è stata introdotta la fisiognomica dove alcune caratteristiche fisiche denotano un significato caratteriale, come ad esempio, le balbuzie, le calvizie e la forma del viso. In passato, ad esempio, i cosiddetti physionomici cercavano di indovinare il carattere di una persona confrontandone le caratteristiche fisiche con certi tipi di animali di cui è conosciuta la natura morale. Per di più la frenologia, disciplina elaborata e divulgata da Franz Joseph Gall e John Caspar Spurzhem, suppone che per conoscere in fondo una persona sia sufficiente disporre di un’accurata topografia del suo cranio (Lingiardi, 2001).

Nonostante che la fisiognomia e la frenologia appartengono alla preistoria della criminologia, esse introducono l’idea che sia possibile individuare nel criminale caratteristiche fisiche e fisiologiche specifiche. L’eredità della fisiognomica si tramanda fino all’epoca del positivismo quando Cesare Lombroso (1896), psichiatra e fondatore della criminologia moderna, ipotizza relazioni tra carattere delinquenziale, degenerazione morale e caratteristiche fisiche e fisiognomiche (come ad es. sensibilità al dolore, mascella sfuggente, orecchie piccole ecc.). In epoca prescientifica, il concetto di personalità è stato studiato anche dall’astrologia, che proviene dalla cultura araba, ed ha avuto una grande diffusione in Occidente. Si tratta di un

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7 approccio che ha tentato di organizzare la personalità attraverso l’individuazione di tratti stabili e distintivi. L’intreccio poi tra astrologia e teorie degli umori ha portato a riconoscere il segno di Giove nel tipo sanguigno (tipi gioviali), di Saturno in quello malinconico (tipi saturnini), della Luna o di Venere in quello flemmatica (tipi lunatici o generici), e di Marte, infine, in quello collerico (tipi marziali).

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1.2.2 Gli studi sistematici

Lo studio sistematico della personalità può risalire alle varie scuole di pensiero psicologiche a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

 L’approccio medico alle malattie mentali

Si tratta di un approccio che concerne la comprensione, la classificazione e il trattamento dei disturbi mentali. In un primo momento, i disturbi mentali e la psicologia del comportamento “normale” erano oggetto di discipline distinte. In seguito, lo studio delle malattie mentali ha influenzato sempre di più lo studio della personalità “normale”.

Il padre della psicologia clinica è Emil Kraepelin, per il quale, i disturbi mentali derivano da lesioni cerebrali organiche, disturbi metabolici, disfunzioni endocrini o fattori ereditari (Eysenck et al. 1975). In altri termini, la sua teoria è centrata sui fattori fisiologici e biochimici, come quella di Galeno. Un contributo importante di Kraepelin è stato quello di adottare un approccio scientifico per lo studio dei disturbi mentali, utilizzando test obiettivi ed eseguendo misurazioni sistematiche (Brunas-Wagstaff, 1999).

Kretschmer si è occupato, invece, dello studio delle differenze individuali in relazione all’adattamento psicologico di ciascun soggetto ed ha introdotto una teoria delle differenze individuali basata sulla morfologia (Kretschmer, 1921). Secondo questo psicologo, è possibile distinguere tre tipi di temperamento, ciascuno è associato a una costituzione fisica, che predispone l’individuo a sviluppare un disturbo mentale specifico: il tipo astenico è caratterizato da tronco esile, arti lunghi, e volto scarno, e viene descritto come introverso, timido, spesso freddo e calcolatore e ha pochi rappporti sociali. Questo carattere predipone alla schizofrenia; il tipo picnico è caratterizzato da arti brevi, volto tondeggiante, una orpuratura robusta e una certa tendenza alla pinguedine. Questo tipo di temperamento mostra ampia fluttuazione d’umore, che variano dalla profonda depressione all’euforia e tende così a manifestare i sintomi clinici della condizione maniaco-depressivo; in fine, il tipo atletico è caratterizzato da una complessione equilibrata, è muscoloso, ed ha una personalità caratterizzata da energia e decisione. Questo tipo di temperamento è predisposto all’aggressività (Brunas-Wagstaff, 1999).

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9 Kretschmer, inoltre, riteneva che la differenza tra i disturbi mentali e la normalità fosse solo di grado, quindi di quantità e non di qualità, per cui la personalità “normale” può essere spiegata in base agli stessi principi dei disturbi mentali.

Un’altra teoria della personalità basata sulla moroflogia è quella di W.H. Sheldon. La sua teoria si basa su ricerche condotte, negli anni ‘40 e negli ‘50, su persone normali dove hanno sottoposto studenti universitari, di genere maschile, ad accurate misurazioni per studiare la relazione tra il tipo fisico e le caratteristiche della personalità (Sheldon, 1942; Sheldon et al., 1940). Sheldon ha descritto tre tipi fisici: l’endomorfo caratterizzato da corportatura molle e tondeggiante con pancia prominente; il mesomorfo caratterizata da corporatura muscolosa, squadrata e forte; l’ectomorfo caratterizzato da corporatura alta, sottile e con testa grande (Brunas-Wagstaff, 1999). Ad ogni tipo, poi, corrispondono caratteri specifici: gli enodomorfi sono individui socievoli; i mesomorfi sono atletici, decisi coraggiosi ed energici: gli ectomorfi sono inbiti, entroversi ed intelletuali. Inoltre Sheldon riteneva che le caratteritiche fisiche e quelle di personalità fossero determinate geneticamente, quindi dipendono dal patrimonio genetico ereditato dai genitori (Brunas-Wagstaff, 1999).

Come già visto, la medicina ha avuto una progrossiva influenza sullo studio della personalità e delle differenze inidividuali. L’idea principale degli approcci medici sta nell’assunzione che le differenze individuali nei tipi di comportamento abbia un fondamento genetico o fisiologico e che i comportamenti psicopatologici differiscano da quelli non patologici in quanto le persone differiscono l’una dall’altra in termini fisiologici. Questa concezione è tutt’ora viva negli approcci psicoanalitici alla personalità e nella moderna psichiatria.

 La psicometria e la psicofisica

La psicometria è la scienza della misurazione psicologica. Essa ha permesso di misurare gli aspetti del funzionamento psicologico umano che sono fuori dalla nostra portata in quanto tutto ciò che fa parte della nostra esperienza è implicito, ovvero inosservabile, e perciò inverificabile (Brunas-Wagstaff, 1999).

Inizialmente la psicologia si basava sull’introspezione, ovvero sul resoconto da parte dei soggetti delle proprie emozioni ed esperienze e quindi non era una scienza in senso moderno. I metodi psicometrici hanno contribuito a far sì che la psicologia venisse riconosciuta come una scienza vera e propria.

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10 L’essenziale della metodologia psicometrica può risalire alle ricerche svolte in psicofisica da E. H. Weber, un professore di anatomia e fisiologia (Eysenck et al., 1975). Lo scopo delle sue ricerche era determinare la differenza minima che può essere rilevata tra due punti di stimolazione sulla pelle; ad esempio, quando due aghi vengono leggermente premuti sul dorso della mano di una persona bendata, viene riferito di percepire due punti di contatto e man mano che la distanza tra i due aghi viene diminuita, l’individuo a un certo punto riferisce di aver percepito solo un punto. Weber ha dedotto da queste ricerche che quando i punti di stimolazione sono molto vicini, esse vengono percepite come equivalenti, supponendo che la stimolazione di fibre nervose in stretta vicinanza faccia sì che arrivi un singolo messaggio nervoso. Inoltre egli ha rilevato che l’intensità dello stimolo e la sua grandezza hanno un effetto sulla nostra capacità di distinguere tra due stimoli. Questi principi sembrano applicarsi ad ogni genere di sensazione.

Successivamente queste osservazioni sono stata approfondite da G. Fechner. Egli è stato uno dei primi a sostenere che ci potesse essere una relazione osservabile, e quindi misurabile, tra il mondo esterno e la nostra risposta interna ad esso (Eysenck et al., 1975). Il contributo di Weber e Fechner, per la moderna psicometria, sta nel mettere a punto una relazione quantificabile tra la sfera fisica e quella mentale, da cui è possibile inferire le caratteristiche psicologiche implicite, quindi quelle inosservabili, delle persone, e misurare le differenze individuali in base ad esse. Questa tesi è alla base dei moderni test psicometrici di perosnalità (Brunas-Wagstaff, 1999).

I metodi psicometrici sono diventati poi utilizzabili, in modo concreto, grazie all’introduzione delle tecniche statistiche; Spearman, ad esempio, nel 1904 ha sviluppato una metodologia statistica, ovvero l’analisi fattoriale, per misurare l’intelligenza, ponendo così le basi per la misurazione statistica dei tratti della personalità (Brunas-Wagstaff, 1999).

 Il comportamentismo

La scuola comportamentista è stata influenzata dalla dottrina filosofica del dualismo mente-corpo riconducibile a René Descartes (Eysenck et al., 1975). Egli ha sottolineato la distinzione tra mente e corpo definendole come sostanze radicalmente separate e incompatibili che tuttavia interagiscono l’una con l’altra. Per Descartes, inoltre, il corpo occupa spazio (la materia) e può essere oggetto di studio scientifico mentre la mente è incorporea e non conoscibile se non attraverso l’indagine metafisica (Brunas-Wagstaff, 1999). Tuttavia, nonostante che Decartes ha

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11 riconosciuto che mente e corpo interagiscono, egli non è riuscito a spiegare la natura di questa relazione.

Il comportamentismo, sviluppato tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, ha ripreso alcune nozioni poste da Descartes e giunto alla conclusione che per studiare il comportamento umano in modo scientifico, era necessario rfiutare il concetto di mente (Brunas-Wagstaff, 1999); la mente, infatti, viene chiamata la black box, ovvero la scatola nera che è impossibile da studiare e và conosiderata irrilevante, e introducono le basi per uno studio obiettivo e scientifico tramite il comportamento che è osservabile.

Il fondatore del comportamentismo è J.B.Watson. Egli ha cercato di spiegare come l’apprendimento di associazioni tra eventi, potesse evocare un cambiemento nel comportamento. Uno degli esperimenti più noti è quello del “piccolo Albert” a cui veniva presentato un ratto bianco (Watson & Raynor, 1920); inizialmente, il piccolo Albert mostrava un comportamento di fiducia e curiosità di fronta al ratto mentre quando il ratto è stato presentato insieme a un forte rumore, il bambino è scoppiato a piangere, mostrando una risposta di paura. Dopo una serie di associazioni tra il ratto e il forte rumore, il bambino reagiva al ratto con paura e il suo comportamento di fiducia, mostrato inizialmente, è scomparso.

Watson, inoltre, confutava l’idea che le esperienze soggettive potessero essere un oggetto di studio per la psicologia e di conseguenza le moderne teorie della personalità influenzate dalla scuola comportamentista, tendono a sottolineare il ruolo di ciò che apprendiamo nel corso della vita, piuttosto che delle nostre caratteristiche fisiologiche o psicologiche di base. Queste teorie, dunque, sono in contrasto con gli approcci psicoanalitici alla personalità poiché rifiutano i modelli medici del comportamento normale e patologico. Inoltre secondo questa scuola, le differenze individuali possono essere meglio spiegate in termini di differenti ambienti di apprendimento, ovvero esperienza o educazione, e non in termini di fisiologia, biochimica o genetica, ovvero natura o disposizioni innate. Quindi le teorie comportamentiste sono in contrasto con qualunque teoria della personalità che sostenga che le personalità venga trasmessa geneticamente. Da qui è nato il cosiddetto dibattito natura/ambiente (nature/nurture) dove la disitnzione è tutt’ora discutibile nel caso della personalità e le differenze individuali.

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12 Il termine tedesco Gestalt corrisponde, approssimativamente, ai termini italiani forma, figura, configurazione o struttura (Brunas-Wagstaff, 1999). La scuola di psicologia della Gestalt è stata fondata nel 1912 da M. Wertheimer (Beardslee & Wertheimer, 1958). L’oggetto degli studi di Wertheimer era, originariamente, la percezione e i processi percettivi. Gli psicologi di questa scuola mettevano l’accento sulla complessità piuttosto che sugli stimoli semplici, e al centro dei loro interessi era la natura olistica della percezione. Wertheimer, infatti, sosteneva che vi sono relazioni nelle quali ciò che avviene non dipende dalla natura delle singole parti e né da come queste si combinano (Beardslee & Wertheimer, 1958). Secondo la concezione gestaltica, i principi che usiamo per raggruppare gli oggetti del mondo esterno hanno origine nel nostro sistema interno e ciò che vediamo non corrisponde necessariamente a qualcosa che esiste al di fuori di noi. Inoltre questi principi, per cui raggruppiamo insieme degli stimoli in ingresso o percepiamo delle sensazioni come distinte, sono innati o ereditari. La tesi gestaltica, dunque, si può riassumere con “il tutto è più che la somma delle parti”.

L’influenza di questa scuola è evidente nelle teorie di personalità che considerano la persona nella sua totalità, come le teorie fenomenologiche o umanistiche e alcune teorie della percezione sociale. Queste teorie, influenzate dalla psicologia della Gestalt, in contrasto con le teorie dell’apprendimento basate su principi comportamentistici, poiché i comportamentisti sottolineano il ruolo degli stimoli esterni nel determinare il comportamento. Inoltre le stesse teorie sono in contrasto anche con gli approcci psicometrici, poiché la tesi psicometrica per cui possiamo misurare le differenze tra specifici aspetti dell’organizzazione psicologica è in conflitto con la tesi gestaltica che “il tutto è più che la somma delle parti” (Brunas-Wagstaff, 1999).

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1.3 Le principali teorie della personalità

È possibile distinguere tra approcci idiografici e approcci nomotetici. I primi mirano a cogliere le peculiarità di ciascun individuo e utilizza tecniche flessibili adatte al singolo individuo; infatti il termine deriva dal greco idios, che significa “personale”. I secondi, invece, si propongono di individuare delle leggi generali applicabili allo stesso modo a tutti gli individui; il termine nomotetico, deriva dal greco nomos, che significa “legge”.

Entrambi gli approcci assumono che al comportamento, ai pensieri e alle percezioni siano sottesi temperamenti o disposizioni della personalità. Tuttavia, secondo l’approccio idiografico confrontare un gruppo di individui con un altro gruppo in relazione a una dimensione disposizionale, come ad esempio l’ansia, non può dare un quadro completo della personalità, perché essa è idiosincratica e il temperamento di ciascun individuo è unico. Tra le teorie che adottano un approccio idiografico vi sono le teorie psicodinamiche e le teorie comportamentali e cognitive, mentre le teorie dei tratti adottano un approccio nomotetico.

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1.3.1 Le teorie psicodinamiche

L’approccio psicoanalitico alla personalità nasce dalle osservazioni cliniche di S. Freud, la cui opera ha influenzato gli studiosi di orientamento psicoanalitico successivi. Le osservazioni di Freud erano basate sull’osservazione dei pazienti clinici, soprattutto di sesso femminile, con sintomi nevrotici. L’approccio psicoanalitico è stato poi applicato allo studio della personalità, in particolare ai disturbi di personalità, sia da Freud stesso (Freud, 1905) che da altri studiosi di scuola post-freudiana, focalizzandosi sull’interpretazione dei casi clinici. Molti psicologi, infatti, hanno criticato Freud per aver dato un’immagine negativa della natura umana (Erikson, 1963), e nel tempo le sue idee di fondo sono state modificate notevolmente.

L’assunzione di base degli psicologi che adottano questo approccio è che la personalità e l’individualità derivino dai conflitti che emergono nel corso dello sviluppo, e che i vari modi in cui i conflitti vengono risolti dipendano da ciò che accade nella prima infanzia. In questo senso, le persone condividono gli stessi conflitti fondamentali, ma il modo in cui vengono risolti variano da una persona all’altra. Inoltre a seconda del maggiore o minor successo nel superare i conflitti, nel corso dello sviluppo, sono destinati a diventare individui, più o meno, sani psicologicamente.

 La teoria psicoanalitica di Freud

Secondo Freud, la struttura della personalità è costruita da tre istanze: Es, Io, e Super-io. Questi tre elementi interagiscono tra di loro ma ognuno ha le proprie caratteristiche.

L’Es: rappresenta il serbatoio mentale innato e di origine ereditaria, in particolare, gli istinti, e

sta alla base della personalità. Esso poi dà origine alle altre due istanze psicologiche.

Le pulsioni producono una tensione che l’Es non riesce tollerare per cui cerca un immediato sollievo, ovvero una scarica, indipendentemente da ciò che questo può comportare. Questa tendenza a scaricare le pulsioni viene chiamata principio di piacere.

Freud (1940) ha classificato gli impulsi in due categorie: i primi sono gli impulsi di vita, dette anche istinti sessuali e i secondi sono quelli di morte, o istinti aggressivi. Per scaricare la tensione, l’Es va a formare immagini interne. Anche i sogni e le allucinazioni sono un tentativo per scaricare la tensione. Questi tentativi, che sono irrazionali e hanno lo scopo di soddisfare i propri bisogni, Freud li chiama processi psichici primari;

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L’Io: ha un contatto diretto con il mondo esterno, ed è continuamente impegnato a differenziarsi

dalle rappresentazioni mentali e gli elementi provenienti dal mondo esterno. Lo scopo dell’Io, quindi, è quello di far sì che la pulsione si versasse su un oggetto, esterno e reale, e ottenerne soddisfazione mantenendo una propria integrità. Questa funzione dell’Io opera all’interno del cosiddetto processo secondario in cui l’immediata gratificazione degli impulsi è rimandata finché non si abbia la condizione appropriata per scaricala;

Il Super-io: si costruisce in relazione all’interiorizzazione dell’influenza dei genitori. Essa

rappresenta i principi e gli standard morali della società così come sono entrati a far parte del mondo interno dell’individuo nel corso dello sviluppo della sua personalità (Mischel W. , 1986). In altri termini, il Super-io è guidato dalla coscienza, ed opera in relazione a ciò che è giusto o sbagliato. Il Super-io, inoltre, rappresenta gli ideali muovendosi verso la perfezione.

Secondo Freud (1915) queste tre componenti della struttura psichica sono in continuo conflitto. La personalità, dunque, è il risultato di dinamiche che sono in continua interazione e scontro tra gli impulsi dell’Es, e le forze inibitorie e costrittive dell’Io che gli oppongono. Il conflitto si sviluppa in relazione all’ambiente, in particolare a quelli che lo rappresentano come, ad esempio, i genitori, che esercitano una funzione di controllo diretta a punire o reprimere l’espressione immediata dell’impulso. Con il tempo, i valori sociali, nel quale è cresciuto, vanno a incorporarsi all’interno dell’individuo, attraverso il processo di interiorizzazione dei caratteri, e delle regole poste dai genitori. In altri termini, vi è un continuo conflitto tra l’individuo e l’ambiente e man mano che i valori sociali vengono interiorizzati, il conflitto va a svolgersi internamente tra le varie componenti della personalità, e questo produce ansia.

Freud, infatti, distingue tre tipi di angoscia: l’angoscia nevrotica in cui l’individuo teme di perdere il controllo sui propri istinti e di assumere un comportamento che avrebbe come conseguenza la punizione; l’angoscia morale in cui l’individuo prova rimorso e colpa per qualcosa che ha fatto o solo ha contemplato di fare e per lui è inaccettabile. Entrambe, l’angoscia nevrotica e quella morale, derivano dall’angoscia di realtà, la paura che si sviluppa di fronte a pericoli reali provenienti dal mondo esterno. Questa angoscia corrisponde ad uno stato penoso di tensione e l’organismo tende a una sua riduzione. Per riuscire ad evitare l’angoscia e venire a capo dei propri impulsi istintuali nel momento in cui questi entrano in conflitto con il mondo esterno e con le inibizioni interne, l’individuo mette in atto un elaborato sistema di difesa.

Sono stati identificati diversi meccanismi di difesa che hanno luogo nel momento in cui la paura diventa qualcosa di estremamente intenso. Uno dei primi meccanismi di difese individuati da

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16 Freud è la rimozione, la quale ha luogo quando l’Io può avere consapevolezza che la scarica di una determinata pulsione potrebbe risultare pericolosa e per cui tende a sopprimerla, rimuoverla o disattivarla. Un altro meccanismo è la negazione, la quale si esprime nel momento in cui l’individuo non può né sfuggire al pericolo, e né affrontarlo. Freud (1920) riteneva che i meccanismi di negazione e la rimozione fossero le forme di difesa fondamentali e primitive, e che avessero luogo in altri tipi di difesa.

Un altro meccanismo di difesa è la proiezione, consiste nel inibire gli impulsi inaccettabili e attribuire l’angoscia ad un’altra persona. La formazione reattiva, invece, si esprime attraverso la messa in atto dei comportamenti che sono in conflitto con le proprie emozioni. È proprio attraverso la proiezione e la formazione reattiva che si esprimono gli impulsi dell’Es, ma in forma che l’Io è in grado di accettarli (Mischel W. , 1986).

Vi sono altri meccanismi come La razionalizzazione, in cui la realtà è distorta per preservare la propria autostima, e come La sublimazione, in cui la pulsione può essere deviata verso attività in relazione alla propria cultura. Infine lo spostamento, ha luogo nel momento in cui un impulso viene rivolto verso un oggetto meno minaccioso.

Riassumendo, secondo Freud, la vita adulta si snoda attraverso una seria di conflitti tra le richieste degli istinti dell’Es e i vincoli posti dalla società, rappresentati dall’Io (vincoli esterni) e dal Super-io (vincoli interiorizzati) (Brunas-Wagstaff, 1999). Gli individui, quindi, si differiscono a seconda del loro successo nel raggiungere un equilibrio tra queste strutture. Tuttavia vi è un meccanismo di difesa che Freud riteneva fosse, più di ogni altro, responsabile delle differenze individuali relative alla personalità ed è la fissazione, per cui comportamenti appartenenti a stadi di sviluppo precedenti perdurano nella vita adulta. Una persona dominata da strutture primitive, manifesta disturbi di comportamento; ad esempio un individuo che è dominato dall’Es, mostra una personalità prevalentemente impulsiva, egoista e narcisistica, e senza il controllo dell’Io e il Super-io agisce solo per raggiungere l’autogratificazione, indipendentemente dalle conseguenze che può causare.

Freud individua stadi molto specifici dello sviluppo psicosessuale dove potrebbe avere luogo la fissazione, e ogni studio è associato a determinate caratteristiche della personalità. Le fasi orale, anale e fallica avvengono nei primi cinque anni di vita, dopodiché si instaura un periodo di cinque o sei anni chiamato periodo di latenza. Nell’adolescenza poi gli impulsi pregenitali vengono attivati di nuovo al momento della pubertà, e se sono utilizzati in modo opportuno, l’individuo accede alla fase genitale matura.

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17 Nonostante che la teoria freudiana è la base del metodo psicoanalitico ed ha influenzato profondamente gli studiosi di questo orientamento, è stata discussa la sua verificabilità empirica. In pratica questa teoria si basa su dati empirici che derivano dalla metodologia psicoanalitica, che era stata concepita come uno strumento clinico. la psicoanalisi, infatti, si rivolge a pazienti che mostrano vari sintomi di nevrosi che Freud riteneva rappresentassero la manifestazione di esperienze ed emozioni rimosse ed inconsce. Secondo alcuni seguaci di Freud, l’efficacia della psicoanalisi è per se stessa una prova della sua validità (Kline, 1984). Altri fanno notare che la psicoanalisi non è sempre efficace e che comunque non ci sono prove riguardo la sua applicabilità allo sviluppo della personalità normale (Stevens, 1983). Inoltre i tentativi di verificare empiricamente la teoria psicosessuale di Freud per mezzi di metodi della moderna psicologia sperimentale non hanno portato a conclusioni definitive (Eysenck, 1986). La teoria di Freud, inoltre, ha ricevuto critiche più specifiche, tra le quali è che la teoria è troppo deterministica in quanto secondo questa teoria, la personalità si forma molto presto nell’infanzia, e quindi le persone possono far ben poco per cambiare le caratteristiche della propria personalità nel corso della vita. Inoltre l’accento da lui posto sul sesso e sull’aggressività come principali motivi del comportamento trascura i molti aspetti sociali del comportamento stessa sembra dare un’immagine pessimistica della personalità umana (Hjelle & Ziegler, 1981a).

 Nuovi sviluppi della psicoanalisi: le teorie neo-freudiane

Fin dai tempi di Freud, sono stati molti gli psicoanalisti che hanno proposto modificazioni alla teoria freudiana. La maggior parte di queste proposte si basano sull’esperienza personale con pazienti in psicoterapia. Inoltre molti di loro hanno contribuito all’elaborazione della teoria psicoanalitica e al suo sviluppo verso nuove direzioni.

Carl Jung (1912), collega di Freud, dal quale si è distinto e ha sviluppato una propria teoria psicoanalitica, nota come psicologia analitica; egli introduce il concetto di inconscio collettivo. Il contenuto di questo inconscio è costituito dagli archetipi, ovvero immagini primordiali che hanno origine ereditaria.

Inoltre Jung descrive quattro modalità fondamentali di fare esperienza (sviluppare il contatto) con il mondo: il percepire sensoriale, l’intuire, il sentire, il pensare; gli individui differiscono in relazione alla loro modalità preferenziale di fare esperienza del mondo.

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18 Jung introduce, poi, un modello integrato del funzionamento della personalità. Secondo questo modello, è possibile individuare una polarità estroversione-introversione che va definita a seconda dell’atteggiamento dell’individuo di fronte a un oggetto o evento. Da questa polarità, infatti, è possibile distinguere due tipi psicologici: il tipo introverso che è orientato verso il mondo interno, ovvero verso le fantasie e gli oggetti interni, si tratta dunque di un atteggiamento autoriflessivo; il tipo estroverso, invece, è orientato verso il mondo esterno in cui mostra personalità aperta, cordiale, socievole, e con scarsa capacità di autoriflessione.

La personalità per Jung, dunque, è la combinazione tra le modalità di funzionamento, ovvero pensiero, sentimento, sensazione e intuizione, e l’orientamento, rappresentato dalla funzione dominante e cosciente e da quella opposta e inconscia, e la disposizione generale estroverso/introverso.

Tuttavia il concetto dell’Io è quello che ha subito più elaborazioni da parte degli psicoanalisti post-freudiani. I principali influenti scolastici di questo concetti sono la psicologia dell’Io e la

psicologia del sé (Lingiardi, 2001).

Tra gli analisti a rielaborare il concetto dell’Io, vi è Heinz Hartmann. Egli ha operato una distinzione tra Io, considerandolo come sottostruttura della personalità e va definito dalle proprie funzioni, e Sé.

Con il termine Sé, gli autori si riferivano, di volta in volta, alla consapevolezza della propria identità, a una dimensione di autorappresentazione dell’individuo, all’istanza irriducibile e strutturante della personalità (Ammaniti, 1989). In anni più recenti, il concetto di Sé è stato considerato in termini di organizzatore dello sviluppo biopsicologico (Stern, 1985; Lichtenberg, 1989).

Il concetto di Sé viene implicato anche in relazione alla diade madre-bambino. Margaret Mahler, ad esempio, individua un processo di sviluppo del bambino proprio in relazione a questa diade, e prende il nome di separazione-individuazione. Oggi è stata rivisitata in molti punti e in parte rinnegata dai risultati dell’infant research (Stern, 1998).

Questo processo prevede quattro fasi:

1) la fase autistica normale: il neonato funziona come sistema chiuso, lontano dal mondo esterno nelle prime settimane di vita;

2) la fase simbiotica normale: il bambino mostra una maggiore sensibilità agli stimoli esterni e dall’assenza di differenziazione tra il Sé infantile e la madre;

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19 3) al fase di separazione-individuazione: essa a sua volta comprende tre sottofasi: una di

differenziazione, che va dai quattro ai cinque mesi, in cui il bambino comincia ad esplorare

la madre, e manifesta le prime manifestazioni di angoscia di fronte agli estranei; quella di

sperimentazione, in cui il bambino, a partire dai dieci anni, riesce ad allontanarsi dalla

madre, ma continua a rivolgersi ad essa come “rifornimento emotivo”, in questa fase inoltre sviluppa una relazione d’amore con il mondo esterno; quella di ravvicinamento, in cui il bambino, a metà del secondo anno, è in grado di funzionare lontano dalla madre e allo stesso tempo comincia a sentire che la sua separazione da essa e manifesta reazioni di angoscia per paura di perderla; e infine quella della costanza dell’oggetto libidico, che si stabilizza alla fine del terzo anno di vita, e consiste nella formazione di un concetto stabile di sé e dell’altro e presuppone l’integrazione delle rappresentazioni buone e cattive del Sé e dell’oggetto, e dunque delle pulsioni amorose e di quelle aggressive.

Riassumendo, è possibile osservare che nell’impostazione psicoanalitica classica, viene posto l’accento prevalentemente sulla dimensione storico-evolutiva della personalità mentre nelle elaborazioni post-freudiane, l’attenzione si dirige verso una dimensione relazionale del mondo interno. Si tratta delle cosiddette relazioni oggettuali, definite come le interazioni fantastiche tra il sé e gli oggetti interni, ritenendo che mondo interno e realtà esterna si influenzino in modo reciproco (Greenberg & Mitchell, 1983). Altri autori hanno posto l’accento, invece, sulle relazioni reali e osservabili tra il soggetto e le persone che lo circondano, prendendo in considerazione queste relazioni come la chiave del funzionamento mentale.

Vi sono due movimenti principali che si sono distinti per quanto riguarda gli aspetti del funzionamento mentale. Il primo è la prospettiva interpersonale, i cui esponenti sono H.S. Sullivan, E. Fromm e K. Horney. Per questi autori, il contesto culturale e sociale gioca un ruolo fondamentale nella formazione della personalità. Il secondo movimento è rappresentato dalla

scuola delle relazioni oggettuali, tra cui esponenti vi è Melanie Klein, che mette in evidenza

l’importanza le prime relazioni fantasmatiche con gli oggetti parziali e successivamente con le figure genitoriali che vanno a formare il mondo interno del bambino. Gli altri esponenti di questo movimento come R. Faibrain, M. Balint e D. Winnicott ritengono che l’Io sia sempre legato agli oggetti e che la pulsione, sia sessuale che aggressiva, coesista con la relazione oggettuale poiché il bambino è orientato verso gli altri fin dalla nascita.

Molti sono gli autori contemporanei che hanno aggiunto nuove nozioni al pensiero psicoanalitico in riferimento alla personalità. In particolare due autori: Otto Kernberg e Heinz Kohut. Nella teoria dello sviluppo elaborata da Kernberg, gli affetti espressi in pulsioni

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20 aggressive e libidiche, e associati a rappresentazioni di sé in relazione con gli oggetti, assumono un ruolo cruciale come sistema motivazionale indipendente (Lingiardi, 2001). Kernberg inoltre ha introdotto un modello delle organizzazioni patologiche della personalità.

Il secondo autore contemporaneo, Kohut, introduce una teoria chiamata la psicologia del sé. Essa consiste nell’interpretazione di quelle funzioni attribuite a esperienze con gli oggetti esterni. Questo oggetti hanno il compito di contribuire alla formazione di una struttura del Sé ben integrata, chiamati oggetti Sé. Le esperienze necessarie alla formazione della personalità del bambino possono essere distinte, secondo Kohut, in tre configurazioni fondamentali:

l’oggetto-Sé speculare che riconosce, accetta, conferma e ammira il Sé nella sua grandezza,

bontà e interezza; l’imago parentale idealizzata che consente al Sé di fondersi con la sua “onnipotenza”, calma, saggezza e forza; infine, l’oggetto-Sé gemellare che consente l’esperienza di similitudine essenziale con un altro essere umano (Lingiardi, 2001). Successivamente, le prime immagini degli oggetti, che inizialmente il Sé infantile non è differenziato da esse, e che danno vita ai cosiddetti oggetti-Sé infantili, si trasformano in immagini e bisogni più realistici fino alla formazione del Sé nucleare, ovvero l’elemento fondamentale per la strutturazione della personalità individuale.

Tuttavia i diversi approcci di Kohut e Kernberg hanno dato vita ad accese controversie in ambito clinico e teorico soprattutto in riferimento al trattamento delle personalità borderline e narcisistica.

Un ultimo autore che va menzionato in riferimento alle teorie di personalità è Lichtenberg (1989). Secondo questo autore, il Sé è inteso come un sistema sovraordinato che avvia, organizza e relazione i comportamenti. Integrando la teoria di Stern (1985,1998) sull’evoluzione del senso del Sé, Lichtenberg avanza l’ipotesi per cui i modelli comportamentali, ripetuti con una certa costanza in un certo periodo della vita, sono funzionali alla soddisfazione di bisogni (Lingiardi, 2001). Inoltre egli sostiene che i bisogni sono alla base di cinque sistemi motivazionali e sono: regolazione psichica delle richieste fisiologiche, attaccamento-affiliazione, avversività, esplorazione-assertività e infine, piacere sessuale-eccitazione sessuale. Questi sistemi interagiscono reciprocamente e sono alla base del comportamento. Tuttavia, in questo approccio è nota della psicologia del Sé, dell’infant

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1.3.2 Le teorie dei tratti

In questa ottica, la personalità è definita in base alla diversa rilevanza dei tratti che ne costituiscono l’architettura generale. I metodi psicometrici costituiscono la base delle teorie dei tratti, nei quali vengono utilizzati metodi di analisi di fattori e dei cluster che cercano di identificare i fattori costitutivi della personalità oppure le sue dimensioni di base che poi vengono raggruppati in diverse combinazioni che corrispondono a varie descrizioni della personalità. Generalmente, si tratta di modelli che, pur differenti, privilegiano l’architettura della personalità e la ricerca di tratti stabili e distintivi di essa.

Vi sono due orientamenti alla base dello studio dei tratti di personalità: Il primo è l’orientamento nomotetico, che considera i tratti di personalità come universali e uguali per tutti mentre il secondo, invece, è quello idiografico, che studio i tratti in relazione al singolo caso e dunque mette in luce la complessità individuale. Per Gordon Allport, un esponente fondamentale della teoria dei tratti, “l’individuo è un’organizzazione internamente coerente e unica di processi organici e mentali, e proprio perché è unica mette in imbarazzo la scienza, che essendo una disciplina nomotetica si occupa soltanto di leggi vaste, preferibilmente universali; l’individualità, dunque, non può essere studiata dalla scienza, ma solo dalla storia, dall’arte o dalla biografia, i cui metodi non sono nomotetici ma idiografici”.

Secondo Allport (1961) la personalità è un’organizzazione dinamica in relazione con l’ambiente sociale e influenzata da fattori psicologici e biologici. Egli definisce il termine tratto come una dimensione stabile dell’individuo ed essa determina la messa in atto dei comportamenti coerenti. Un aspetto fondamentale della sua teoria è quello del principio dell’autonomia funzionale, ovvero un comportamento originariamente motivato da un bisogno può diventare per sé stesso uno scopo. Allport, infatti, ritiene che il comportamento dell’individuo non sia completamente determinato dagli eventi di un passato personale più o meno remoto, ma sia strettamente legato all’hic et nun, “qui ed ora”, e inserito in una dimensione in cui la progettualità assume un ruolo particolarmente rilevante (Lingiardi, 2001). In altre termini, le intenzioni di una persona sono più importanti della sua storia personale per comprendere il suo presente; Questa convinzione mostra la distanza di Allport dalla teoria freudiana.

H. Murray è noto esponente della personologia, essa si basa sull’assunto di base che “la conoscenza della personalità umana può essere fatta avanzare solo mediante lo studio sistematico e approfondito della persona individuale” (Stolorow & Atwood, 1992, p.242).

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22 Murray, a differenza di Allport, rivolge la sua attenzione verso l’analisi del contesto; concetti fondamentali della sua teoria sono, infatti, quelle di campo e di pressione ambientale. Per questo autore, il concetto di personalità non può essere definito tramite la descrizione del comportamento dell’individuo e si oppone all’ipotesi che la personalità possa essere qualcosa di osservabile. Questo autore, dunque, sottolinea il ruolo del passato per la formazione della personalità.

L’importanza delle teorie psicoanalitiche freudiane sulla teoria di Murray, si dimostra nella rilevanza data alle istanze psichiche dell’Es, dell’Io e del Super-io. Anche l’analisi motivazionale ha un grande rilievo per Murray in quanto introduce un’articolata classificazione dei bisogni distinguendo: tra bisogni viscerogeni, corrispondono ai bisogni organici primari, e bisogni psicogeni, indipendenti dai bisogni organici; tra bisogni manifesti, consapevoli ed espressi e bisogni latenti, inibiti, repressi o rimosse; tra bisogni focali, che si limitano a una ristretta classe di oggetti, e bisogni diffusi, sono più generali e pervasivi. Con il termine

pressione, si riferisce agli aspetti ambientali che evocano determinati comportamenti, talvolta

aspetti oggettivi o reali di un dato ambiente, chiamati alfa, e talvolta percezioni e interpretazioni individuali di uno specifico aspetto dell’ambiente, chiamati beta. Per concettualizzare la totalità del comportamento, che risulta dall’interazione tra bisogni e pressioni, Murray introduce il termine Thema.

Lo sviluppo delle tecniche statistiche, in particolar modo, l’introduzione dell’analisi fattoriale ho permesso di formulare teorie dei tratti di personalità con fondamenti più quantitativi e con notevoli risvolti di applicazione pratica.

Lo psicologo R.B. Cattell (1943) adotta il termine tratto facendolo diventare un oggetto di indagine soprattutto quantitativo. Egli ha isolato un numero elevato di tratti e identificato l’incidenza di ciascuno di essi su una serie di punteggi ottenuti attraverso diversi strumenti di valutazione, quali interviste, questionari, e test di situazione, utilizzando l’analisi fattoriale. Questo approccio ha lo scopo di identificare il fattore che accomuna un determinato numero di tratti attraverso la verifica delle loro correlazioni statistiche. Cattell distingue fra tratti

superficiali e tratti originari: i primi sono identificabili osservando un individuo mentre i

secondi sono isolabili attraverso tecniche di comparazione e analisi fattoriale. I tratti originari permettono di fare inferenze sulla struttura mentale, di cui costituiscono la base. Cattell, infatti, definisce la personalità come ciò che permette di predire il comportamento di una persona in una determinata situazione.

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23 Cattell è giunto ad isolare 16 dimensioni della personalità, tratti bipolari che egli indica tramite lettere e parole inconsuete e neologismi (Lingiardi, 2001). I 16 tratti originari del modello di Cattell danno origine a sette fattori di secondo ordine: creativo-convenzionale; indipendente-dipendente; insensibile-sensibile; nevrotico-stabile; leader-gregario; ansioso-tranquillo; estroverso-introverso (Lingiardi, 2001), e sono misurabili attraverso l’utilizzo del questionario 16 personality factors, la prima versione è stata pubblicata 1949.

Lo psicologo clinico Hans Eysenck si è interessato principalmente a costruire un modello globale della personalità in grado di fornire una collocazione anche alle componenti biogenetiche. In particolare ha cercato di spiegare i disturbi nevrotici tramite il paradigma stimolo-risposta, ovvero la teoria dell’apprendimento. In questo senso, ogni comportamento nevrotico è da considerare come una reazione condizionata di paura, ovvero un comportamento appreso a causa di una “debolezza costituzionale”. Questa formulazione teorica contrasta quella psicoanalitica che considera il disturbo nevrotico come un conflitto inconscio. Gli studi di Eysenck cercano di dimostrare che bastano pochi principi dell’apprendimento per spiegare molti fenomeni o addirittura disturbi della personalità.

Il modello di Eysenck si distingue per il limitato numero di dimensioni su cui si basa il suo sistema. Inizialmente queste dimensioni erano due: introversione-estroversione e stabilità-instabilità (o nevroticismo), esse vengono trasferite su un sistema ortogonale. Successivamente Eysenck aggiunge, nel 1975, un’altra dimensione, lo psicoticismo. Per cui il modello di personalità di Eysenck si basa principalmente su tre grandi dimensioni della personalità: estroversione (E), nervroticismo (N) e psicoticismo (P), ciascuno è associato a determinate attività neurochimiche cerebrali.

L’estroversione mette in relazione caratteristiche quali socievolezza, vivacità, impulsività, attività ed eccitabilità; sul polo opposto, l’introversione, include riservatezza, scarsa ricerca di emozioni, riflessività e tendenza al pessimismo. Il nevroticismo comprende tratti come la variabilità del tono dell’umore e la predisposizione all’ansia e quindi misura la stabilità emotiva. lo psicoticismo mette in risalto aspetti quali impulsività, aggressività, autonomia, ricerca di sensazioni e insensibilità; esso ha a che fare con la psicopatia piuttosto che con la psicosi. Queste dimensioni Sono misurabili attraverso l’utilizzo del questionario Eysenck Personality (EPQ) che rappresenta il punto d’arrivo dell’autore nello sviluppo della teoria della personalità. Nell’ultimo decennio, alcuni modelli accomunati si sono affermati dalla necessità di coniugare l’operatività dei sistemi nati in ambito clinico con la complessità di quelli di derivazione fattorialistica e psicolessicali. Questi modelli si propongono di considerare la personalità

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24 attraverso l’individuazione di un insieme di dimensioni. Tra i modelli che hanno raccolto maggior credito, si fondano su cinque grandi fattori, detti Big Five. Gli esponenti più importanti di questo approccio dimensionale allo studio della personalità sono P. Costa, R. McCrae e T. Widiger.

I fattori dei Five Factors Models sulla cui definizione è presente una sostanziale accordo sono quattro mentre il quinto manca ancora un accordo completo fra i vari autori (Lingiardi, 2001):

1. Estroversione (vs introversione): le sue caratteristiche sono l’attività, l’assertività, la ricerca di stimoli e sensazioni, la predilezione per la compagnia di altre persone e il calore nelle relazioni interpersonali;

2. Gradevolezza (vs ostilità): comprende aspetti quali fiducia negli altri, altruismo, schiettezza, scarsa aggressività, empatia vs egoismo, astiosità, indifferenza per il polo dell’ostilità;

3. Coscienziosità: contempla il senso del dovere, autodisciplina, ordine e organizzazione, perseveranza, scrupolosità, ponderatezza;

4. Stabilità (vs instabilità) emotiva – nevroticismo di Eysenck: raccoglie le caratteristiche di stabilità, sicurezza, calma vs ansietà, insicurezza, instabilità, vulnerabilità emotiva sull’altro polo;

5. Apertura all’esperienza (chiamato così da Costa e McCrae) – vi sono altre definizioni come cultura e intelletto: comprende elementi quali fantasia, originalità, creatività, curiosità intellettuale ecc.

La definizione dei Big Five si è servita di due approcci. Il primo è quello lessicale, dove le categorie descrittive derivano dal linguaggio comune mentre il secondo è quello strutturale che definisce i tratti sia attraverso l’analisi fattoriale di questionari di personalità sia tramite una riflessione teorica sui principi riportata dai vari modelli di personalità. Progetti di ricerca transculturali condotti su lingue non appartenenti al ceppo indoeuropeo hanno selezionato alla fine gli stessi fattori, che sono stati dunque interpretati come universali specie-specifici selezionati, secondo alcuni, in funzione della sopravvivenza della specie (Lingiardi, 2001). Nel 1985, Costa e McCrae hanno costruito un questionario per la misurazione dei cinque fattori, il NEO-PI (Neuroticim, Extroversion, Openness to Experience-Personality Inventory) e hanno confrontato questo questionario con i principali questionari di personalità con successo. Nell’ambito dei modelli multidimensionali della personalità va ricordata la teoria di Theodor Millon (1969), fondatore del Journal of Personality Disorders. Questo autore considera la

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25 struttura della personalità in relazione alle tre polarità poste da Freud e che stanno alla base della vita psichica di ogni individuo, ovvero attività/passività, sé/oggetto, piacere/dispiacere. Le possibili modificazioni di queste polarità, in relazione a uno stato disfunzionale, mostrano una buona corrispondenza con le categorie diagnostiche dei disturbi della personalità.

Millon utilizza elementi psicoanalitici e descrittivi sottolineando come normalità e patologia siano concetti relativi, collocati ai poli opposti di un lungo continuum. Secondo il modello evoluzionistico di Millon, gli elementi che portano a distinguere tra normalità e patologia sono tre:

1. La rigidità nell’adattarsi alle esigenze ambientali;

2. La tendenza a ripetere gli stessi atteggiamenti (così si formano dei circoli viziosi); 3. La scarsa stabilità di fronte a condizioni stressanti.

Millon, inoltre, distingue tra:

a) Pattern di personalità: dotati di autonomia interna all’individuo, sono pervasivi e difficilmente modificabili nel tempo;

b) Disturbi somatici: rispondono a complicate strategie interpersonali dettate dall’esperienza passata e sono relativamente indipendenti dalla dimensione presente; c) Reazioni comportamentali: sono risposte espresse in modo dirette e sono ristrette a

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1.3.3 Le teorie comportamentali e cognitive

Il comportamentismo affonda le sue radici epistemologiche e metodologiche rifacendosi al pragmatismo, al positivismo logico e a tecniche di ricerca prettamente sperimentali. L’operazionalizzabilità di un costrutto, e l’oggettività che ne consegue, erano ritenute l’unica garanzia della sua legittimità in quanto oggetto d’indagine scientifica.

J. Rotter (1966) concepisce la personalità in una dimensione sistematica come un costrutto unitario e ritiene che si sviluppi in funzione della particolare interazione tra il soggetto e l’ambiente percepito. L’autore individua nelle mete e nelle aspettative come i principali agenti motivanti del comportamento, ed ipotizza che alcune aspettative possano divenire così radicate e centrali per il soggetto tanto da definirli nei termini di tratti di personalità. Inoltre, secondo Rotter il locus of control e la fiducia interpersonale sono le principali dimensioni che differenziano gli individui.

W. Mischel (1990), invece, propone una concezione condizionale dei tratti di personalità per cui la personalità è considerata come il prodotto dell’interazione tra situazioni, cognizioni e comportamenti.

L’influenza dell’ambiente sullo sviluppo della personalità è stata a lungo studiata da A. Bandura (1962,1994). Secondo la sua teoria, chiamata teoria dell’apprendimento sociale, il comportamento è dato dell’interazione multipla tra l’ambiente, la persona e il suo comportamento. Questo processo interattivo è definito reciproco determinismo. Le strutture cognitive hanno un ruolo centrale nella modulazione dell’esperienza, nella regolazione della condotta e ne assicurano unità e coerenza; i processi più importanti sono quelli di autoregolazione e di autoriflessione, simbolizzazione, anticipazione dell’esperienza altrui. Un costrutto di particolare rilievo è la perceived self-efficacy, ovvero il senso di fiducia nella propria capacità di padroneggiare con successo specifiche attività e situazioni.

I metodi di apprendimento dei comportamenti più studiati sono l’imitazione e il modellamento (modeling), attraverso i quali le esperienze di successo e di fallimento dei comportamenti attuati da un modello vengono utilizzate come fonte di apprendimento. L’osservazione di un modello consente di confrontare l’efficacia di varie condotte in differenti condizioni e di monitorarne gli effetti senza esporsi direttamente al rischio dell’insuccesso, cosi come rappresenta uno stimolo alla sperimentazione di nuove condotte e, infine, può favorire il progressivo abbandono di un comportamento disfunzionale.

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27 Nella prospettiva del comportamentismo psicologico di Staats, la personalità è definita come l’insieme di comportamenti di base suddivisi in tre ambiti: linguitistico-cognitivo, emotivo-motivazionale e senso-motorio. In quest’ottica, lo sviluppo della personalità è funzione della complessità dei vari repertori comportamentali e della loro interazione.

Negli anni ’60 del secolo scorso con l’affermazione della psicologia cognitiva come paradigma unitario cambia la prospettiva dello studio della personalità. Neisser (1967) ipotizza l’esistenza di una processazione multipla inconscia, automatica, approssimativa e che precede quella cosciente e seriale. Secondo la prospettiva costruttivista la mente umana seleziona ed elabora attivamente gli input ambientali, per cui il comportamento è un’applicazione di piani formulati a partire dall’informazione in entrata e la cui elaborazione è funzionale alla soluzione dei problemi. Fondamentale è la concezione dell’unità TOTE (Test-Operate-Test-Exit) con la quale si inserisce una funzione di controllo retroattivo nell’esecuzione delle operazioni (Miller et al., 1960).

Secondo la concezione cognitivista, inoltre, la maggior parte delle attività di elaborazione delle informazioni e di preparazione dell’azione hanno una loro qualità inconscia, a queste viene dato il nome di inconscio cognitivo. In altri termini, la coscienza rappresenta una piccola parte dei processi cognitivi che emerge da una mole molto maggiore di processi di elaborazione inconscia; la dinamica tra coscienza e inconscio non è di tipo conflittuale ma piuttosto complementare.

Uno degli sviluppi più importanti della riflessione cognitivista su coscienza e inconscio è il concetto di struttura narrativa della coscienza, da cui emerge il senso di identità e continuità del Sé. Markus e Wurf (1987) ipotizzano l’esistenza di veri e propri schemi del sé, reali o potenziali, presenti nella memoria semantica. Questi schemi sono stabili e costituiscono un working

self-concept, che funge da regolatore dinamico del comportamento. In questo senso, il sé è costituito

da un nucleo in cui sono presenti le rappresentazioni più significative per il soggetto, le sue relazioni interpersonali più importanti e una valutazione affettiva del sé e di queste relazioni significative.

Anche Neisser (1988), nella prospettiva del cognitivismo ecologico, sostiene che il sé e la conoscenza relativa a sè stessi è variamente articolata in:

1. Un sé ecologico, che coincide con l’informazione relativa alla propria persona basata in ogni momento sulla percezione e sull’azione nel qui e ora;

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28 2. Un sé interpersonale, percepito nelle interazioni sociali connotate affettivamente e/o a

valenza comunicativa;

3. Un sé esteso (temporalmente), che si costituisce sulla base delle informazioni immagazzinate nella memoria autobiografica per mezzo della rievocazione degli eventi relativi al proprio passato;

4. Un sé privato, che riguarda la dimensione interiore e le esperienze che appaiono parzialmente scisse dalle circostanze attuali;

5. Un sé concettuale, costituito dalle teorie relative ai ruoli sociali e dalle auto-attribuzioni di tratti secondo dimensioni socialmente e culturalmente stabilite.

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1.4 La valutazione della personalità

I fenomeni esaminati dalla psicologia della personalità riguardano:

 Le differenze interpersonali, ovvero le propensioni, le disposizioni e i tratti comportamentali che distinguono gli individui tra loro;

 La coerenza intrapersonale, ovvero la modalità attraverso cui i diversi processi psicologici funzionano come sistemi coerenti;

 L’interazione tra i fattori biologici e i socio-culturali che influenzano lo sviluppo della personalità;

 I meccanismi psicologici che, insieme ai processi biologici e sociali, forniscono un senso continuo dell’identità personale e dell’individualità;

 Le relazioni interpersonali che contribuiscono allo sviluppo della personalità e che mediano l’influenza esercitata dalle strutture sociali sull’individuo.

1.4.1 Le variabili interpersonali e intrapersonali

I test di personalità misurano due tipi di variabili differenti: interpersonali (o interindividuali) e intrapersonali (o intraindividuali). Le variabili interpersonali riguardano le somiglianze e le differenze di una persona rispetto ad un'altra. Analogamente a variabili fisiche quali altezza e peso, dal punto di vista personologico gli individui si possono differenziano tra loro per un diverso grado nella manifestazione dei tratti di personalità come, ad esempio, i tratti di estroversione, coscienziosità o stabilità emotiva. Ne deriva che l’analisi a livello interpersonale è utile a descrivere le differenze fra individui secondo un principio tassonomico o di classificazione delle caratteristiche o dei comportamenti individuali.

Le variabili intrapersonali, invece, non riguardano le differenze fra individui, bensì si riferiscono al funzionamento della singola persona. Piuttosto che confrontare un maggior numero di individui fra di loro per stabilire uno standard di riferimento, l'analisi a livello intrapersonale ha come finalità principale quella di spiegare la motivazione che porta un individuo ad agire in un determinato modo, in accordo a un principio di unicità delle caratteristiche o dei comportamenti specifici per ogni individuo. L’obiettivo è, quindi, quello di comprendere come e perché si manifesta un determinato tratto.

Questa distinzione si può porre in termini di differenza fra approccio nomotetico e approccio idiografico. L'analisi condotta a livello interpersonale utilizza quasi esclusivamente metodi nomotetici (come ad esempio le teorie dei tratti), mentre quella condotta a livello intrapersonale

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