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LA CONTABILITÀ ANALITICA NELLE AZIENDE SANITARIE: IL CASO DELLA AZIENDA U.S.L. DI GROSSETO

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INDICE

PREMESSA

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CAPITOLO 1

IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

1.1 Definizione e principi del Servizio Sanitario Nazionale 6

1.2 I principali modelli sanitari 7

1.2.1 I modelli universali o welfare 8

1.2.2 I modelli di assicurazione privata 9

1.2.3 I modelli mutualistici 10

1.3 Evoluzione normativa in Italia 11

CAPITOLO 2

IL SISTEMA DI FINANZIAMENTO IN SANITA'

2.1 L'indirizzo verso il quasi - mercato sanitario 40

2.2 Le Aziende Sanitarie Locali all'interno del modello concorrenziale 49

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CAPITOLO 3

LA CONTABILITA' ANALITICA NELLE AZIENDE

SANITARIE

3.1 Il controllo di gestione: definizione e linee generali 61 3.1.1 Obiettivi, benefici e criticità del controllo di gestione 63

3.1.2 La cultura del controllo 64

3.1.3 Le dimensioni del controllo 65

3.2 La contabilità analitica in sanità 69

3.3 Finalità e funzionamento della contabilità analitica per centri di costo 84 3.4 Progettazione di un sistema di contabilità analitica per centri di costo 94

3.5 Il concetto di costo 109

CAPITOLO 4

L'AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE DI GROSSETO:

COSTI DI UN SETTING DI DEGENZA

4.1 Il contesto di riferimento: Azienda U.S.L. di Grosseto 117 4.2 La logica del piano dei centri di costo aziendali 121

4.3 Il caso aziendale: Setting di degenza N 125

CONCLUSIONI

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PREMESSA

Il Servizio Sanitario Nazionale ha subito notevoli cambiamenti immettendosi all'interno di un mercato concorrenziale, ponendo così il problema di applicare al settore sanitario le discipline economico-aziendali. Le riforme promosse dal legislatore nazionale hanno espresso la volontà di introdurre e promuovere, all'interno del sistema sanitario, una cultura manageriale. Gli istituti che rientrano nel Servizio Sanitario Nazionale si sono ritrovati a dover affrontare problematiche di tipo economico, come la scarsità di risorse finanziarie, a fronte di una sempre crescente domanda di servizi sanitari qualitativamente superiori. L'aziendalizzazione delle strutture sanitarie ha comportato l'esigenza di sviluppare maggiore attenzione sul tema dei costi, con l'obiettivo di ottimizzare il processo di programmazione e controllo dei servizi erogati. Diventa indispensabile lo sviluppo della conoscenza sul "cost accounting", con l'intento di ottenere informazioni utili sui costi, per supportare il management aziendale ai fini del controllo di gestione. Anche se la contabilità dei costi nasce nell'ambito di un contesto aziendale, ed ha come riferimento la funzionalità dell'azienda, gli strumenti di analisi e contabilità dei costi possono fornire adeguate informazioni al management sanitario circa le possibilità di miglioramento delle performance. Il presente elaborato si articola su quattro capitoli, di cui i primi tre di tipo descrittivo ed analitico, mentre l'ultimo si concretizza su di un caso aziendale, prendendo come riferimento la specifica realtà dell'Azienda Unità Sanitaria Locale di Grosseto. Nel primo capitolo verranno introdotti i principi ed il quadro normativo di riferimento che caratterizzano il Servizio Sanitario Nazionale, analizzando le tappe fondamentali della sua evoluzione. Nel secondo capitolo si farà specifico riferimento al sistema di finanziamento in sanità, così da evidenziare la crescente attenzione verso la razionalizzazione delle risorse ed i cambiamenti avvenuti nel sistema, collocando le aziende sanitari all'interno del modello concorrenziale che si è andato creando. Il terzo capitolo si concentrerà sull'esposizione dell'importanza che la contabilità analitica assume come supporto contabile - informativo per le decisioni del management. Si focalizza

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l'attenzione sulla contabilità analitica per centri di costo, evidenziando come questa si inserisce nella realtà delle aziende sanitarie, considerando le finalità, il funzionamento e la progettazione di tale sistema. Infine, nell'ultimo capitolo, si propone un caso aziendale applicando alcuni concetti analizzati nei capitoli citati in precedenza, con l'intento di costruire un report che evidenzi l'assorbimento delle risorse da parte di un modulo di degenza specifico all'interno del presidio ospedaliero rientrante nell'ambito dell'Azienda.

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CAPITOLO 1

IL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE

1.1 Definizione e principi del Servizio Sanitario Nazionale

Il Servizio Sanitario Nazionale si configura come un "sistema di servizi", legato alla disponibilità di risorse, destinato a soddisfare il bisogno di salute della collettività. Attraverso il SSN viene garantita la tutela della salute come "libertà dalla malattia, dal dolore e dalla morte prematura, o altrimenti, come condizione di efficienza fisica e mentale". Attualmente la tutela della salute viene definita a livello internazionale dall'Organizzazione Mondiale della sanità come "uno stato di completo di benessere fisico, mentale e sociale e non solamente l'assenza di malattia o di inabilità". In Italia la tutela della salute è garantita a livello costituzionale come citato dall'art. 32 della Costituzione della Repubblica Italiana, che sancisce la stessa come "fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività", nel rispetto della dignità e delle libertà della persona umana. Si ritiene necessario evidenziare che per lungo tempo il dettato costituzionale è rimasto "lettera morta" in quanto, originariamente, la salute veniva considerata come un problema di ordine pubblico. La tutela della salute era, inizialmente, regolamentata dal Testo unico delle leggi sanitarie, approvato con Regio decreto n. 1265 del 27 luglio 1934, che affidava le competenze in materia sanitaria al Ministero dell'Interno. In un momento successivo l'intervento sanitario è stato affidato a sistemi di assicurazione obbligatoria gestiti da enti pubblici, le mutue, sui quali vigilava il Ministero del Lavoro, che verranno analizzate nel proseguo della trattazione.

Attraverso la legge quadro del 23 dicembre 1978 n. 833 viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale, portando così alla "effettiva" attuazione dell'art. 32 della Costituzione, determinando una tappa fondamentale nell'evoluzione della sanità italiana. Il legislatore ha voluto portare, dunque, ad un superamento del preesistente sistema mutualistico, detto anche modello Bismarck, incentrato sulla

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presenza di mutue assicuratrici, basate sulla solidarietà all'interno di un gruppo di individui, i quali decidono di tutelarsi finanziando società di mutuo soccorso. Con l'intento di eliminare l'eccessiva frammentazione nell'offerta dei servizi e garantire, al contempo, un maggiore controllo della spesa sanitaria si è giunti all'affermazione di quelli che sono i principi cardine della legge n. 833 del 1978:

• assicurare la salute "fisica e psichica" di tutta la popolazione;

• garantire l'equità e l'universalità nell'accesso alle prestazioni sanitarie; • dare competenza allo Stato, alle regioni ed agli enti locali territoriali

sull'attuazione del Servizio Sanitario Nazionale; • rivalutare la funzione di prevenzione.

Nel prossimo paragrafo saranno analizzati con maggiore dettaglio i differenti modelli sanitari, evidenziandone le principali caratteristiche, così da fornire un quadro completo all'interno del quale si inserisce il Servizio Sanitario Nazionale. 1.2 I principali modelli sanitari

In questo paragrafo si propone una visione dell'organizzazione dell'assistenza sanitaria, concentrando l'analisi in relazione a differenti variabili quali la pervasità dell'intervento pubblico nel campo del finanziamento e della produzione, il grado di universalità dei servizi e la presenza o meno di scenari di competizione. E' possibile individuare una logica differente che sottende alla concezione del sistema sanitario:

SISTEMI PUBBLICI SISTEMI PRIVATISTICI

Nei sistemi pubblici lo Stato ha un elevato controllo sul sistema in quanto svolge funzioni di pianificazione degli interventi per la tutela della salute, prende decisioni in merito alla distribuzione delle risorse assicurando, dunque, il finanziamento del sistema e si adopera per l'istituzione di ospedali ed organizzazioni per l'erogazione diretta del servizio. Il sistema così impostato tende a garantire l'universalità nell'accesso ai servizi, indipendentemente dal

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reddito personale degli utenti o dai nuclei familiari. Lo Stato finanzia i soggetti erogatori del servizio, sia pubblici che privati, attraverso il gettito derivante dal prelievo fiscale, attuando una redistribuzione del reddito, così da garantire l'assistenza sanitaria a tutte le categorie di soggetti.

Nei sistemi privatistici, invece, l'intervento dello Stato non è così preponderante e le funzioni di controllo ed erogazione dei servizi sanitari vengono demandate all'iniziativa privata. Attraverso questo modello diviene centrale il ruolo delle compagnie assicuratrici che, dietro la corresponsione di un premio in denaro, assicurano il proprio assistito contro l'insorgere di future malattie o altre situazioni che vanno ad intaccare la salute dell'individuo. L'intervento statale viene posto in essere per garantire l'accesso ai servizi solo ad alcune categorie di soggetti che si trovano in uno stato di forte svantaggio economico e/o sociale. Bisogna precisare che in entrambi i sistemi e nei modelli di governance che verranno esposti di seguito si ravvisa la presenza dei cittadini quali "soggetti pagatori", indipendentemente dal fatto che sia attuato un prelievo fiscale o si faccia ricorso a contratti tra privati ed assicurazioni.

1.2.1 I modelli universali o welfare

In questo modello lo Stato garantisce l'assistenza sanitaria all'intera popolazione coordinando un insieme di soggetti e strutture, i quali possono essere pubblici o privati. Il governo centrale attua e coordina il sistema sanitario attraverso due funzioni fondamentali: la pianificazione degli interventi ed il finanziamento. In questa impostazione lo Stato si pone quale "soggetto pagatore" per conto dei cittadini, destinando le risorse finanziarie, ricavate dall'imposizione fiscale, a tutti quei soggetti e strutture che compongono la rete del sistema sanitario. Si riscontrano due tipologie di soggetti nel modello, coloro che acquistano prestazioni sanitarie per conto dei cittadini e le strutture che erogano il servizio, cioè i "produttori" della prestazione. Nel modello in esame la quasi totalità dei soggetti, sia acquirenti che produttori, hanno natura pubblica, mentre i privati vanno ad integrare l'offerta di servizi. L'assistenza sanitaria viene considerata di

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pubblico interesse e mantenuta sotto il controllo statale per la presenza di molteplici servizi caratterizzati dall'indivisibilità e dalla non escludibilità e per cercare di contrastare la forte asimmetria informativa tra medico e paziente, nonché la necessità di tutelare i ceti più deboli.

1.2.2 I modelli di assicurazione privata

In questa tipologia di modelli la salute è caratterizzata da "imprevedibilità ed irregolarità", così che l'individuo è indotto a ricorrere da un "assicuratore" per tutelarsi dal rischio di un evento negativo di futura ed incerta manifestazione, sia nel tempo che nell'ammontare. E' bene precisare sin da subito che questo schema si può riscontrare anche nei modelli a controllo pubblico, all'interno dei quali lo Stato svolge il ruolo di un ente assicuratore. Nel modello classico di assicurazione privata ricorrono determinate condizioni tra le quali:

• l'indipendenza dei rischi, in modo che l'assicuratore non si ritrovi a dover pagare tutti gli assistiti contemporaneamente;

• l'incertezza dell'evento futuro;

• la possibilità di stimare il danno futuro con sufficiente approssimazione; • l'informazione perfetta tra assicuratore ed assistito riguardo le condizioni

cliniche di quest'ultimo.

E' logico pensare che nell'assicurazione sanitaria le condizioni prima citate non si verifichino, dunque è reale la possibilità che si verifichino fenomeni di Adverse

Selection e Moral Hazard. Ipotizzando un rapporto principale-agente, dove il

primo soffre di asimmetria informativa, ed il secondo dispone di informazione completa, si ha selezione avversa quando il principale ignora alcune caratteristiche dell'agente prima della stipula del contratto e che sono rilevanti ai fini della conclusione dello stesso. Nell'azzardo morale il principale non è in grado di controllare un'azione che l'agente può svolgere dopo la stipulazione del contratto che influisce sul costo della transazione, nel caso specifico della tutela della salute, l'assicurazione non è in grado di distinguere quali clienti manterranno un comportamento prudenziale, avendo questi ultimi scaricato

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sull'assicuratore il rischio economico dell'insorgenza del danno. Nel mercato assicurativo privato il principale si identifica con l'assicuratore, mentre l'agente diventa l'assicurato. Nel modello dell'assicurazione sanitaria si intuisce come l'assicuratore, per tutelarsi, commisuri il premio in base alla propensione al rischio dell'assistito, portando così alcuni soggetti ad evitare di assicurarsi ed imponendo il pagamento di un premio eccessivo per gli individui ad alto rischio. Come si evince da quanto enunciato in questo schema l'assicurazione si configura come soggetto "pagatore/acquirente" per conto dei suoi assicurati, mentre le aziende sanitarie private sono gli effettivi produttori del servizio e quest'ultime possono essere controllate o meno dall'ente assicuratore. Nella realtà non esistono mercati assicurativi "puri" per quanto riguarda l'assistenza sanitaria e lo stesso modello Americano, da sempre considerato il classico esempio di modello privatistico, è passato, nel tempo, ad un sistema misto.

1.2.3 I modelli mutualistici

Il principio di solidarietà è alla base dei sistemi mutualistici e si sostanzia nella volontà da parte di una categoria di individui di tutelarsi da future malattie attraverso la costituzione di società di mutuo soccorso. Il finanziamento di questo sistema avviene attraverso i contributi della categoria di soggetti ai quali la società si rivolge secondo premi correlati al reddito personale. La tutela della salute, quindi, non viene ancorata allo status del soggetto di essere cittadino, ma al solo fatto di essere ricompreso in una determinata categoria di lavoratori, od essere considerato tra i familiari fiscalmente a carico del lavoratore. Secondo questa impostazione risulta mancante il collegamento al rischio cui l'individuo è soggetto, lasciando che il premio venga commisurato esclusivamente al reddito. Lo Stato si pone in una posizione di vigilanza rispetto alle mutue, che si configurano come soggetto "pagatore", incrementando i trasferimenti a favore delle assicurazioni sociali per i soggetti che non possiedono reddito sufficiente o non rientrano nelle categorie assicurate. Nell'impostazione del modello mutualistico avviene una sperequazione tra gli stessi assistiti, poiché le diverse casse mutue possono garantire prestazioni anche altamente differenti. La

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conseguenza di questo sistema diventa il rischio dell'eccesso di costi e del mancato controllo della spesa sanitaria, così come l'impossibilità di garantire l'universalità nell'accesso alle cure per quei cittadini che risultano senza lavoro. 1.3 Evoluzione normativa in Italia

Come già precedentemente introdotto l'art. 32 della nostra Costituzione trova attuazione nella legge n.833 del 1978, che porta ad un totale ridimensionamento della sanità nazionale. Lo Stato assume un ruolo centrale nel coordinamento di una pluralità di soggetti, pubblici e privati, con il fine di garantire la tutela della salute per tutta la cittadinanza in modo equo ed omogeneo. Con l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale si vengono ad individuare diversi centri di responsabilità, in cui lo Stato assolve a diverse funzioni tra cui:

• la determinazione dei fabbisogni di tipo sanitario; • l'entità del finanziamento da attribuire;

• l'attività di indirizzo e coordinamento delle attività sanitarie.

Il processo di pianificazione nazionale si conclude con la stesura del Piano Sanitario Nazionale (PSN), il quale è definito come un documento a valenza strategica di durata pluriennale, che individua il quadro degli obiettivi prioritari del Servizio Sanitario Nazionale e le linee di indirizzo alla luce della quantità di risorse finanziarie destinate al sistema sanitario. A tal proposito si fa riferimento al Consiglio Sanitario Nazionale con funzioni di consulenza e di proposta nei confronti del Governo per la determinazione delle linee generali della politica sanitaria nazionale e per l'elaborazione e l'attuazione del Piano Sanitario Nazionale. Il Consiglio Sanitario Nazionale è stato soppresso con Decreto Legislativo 30 giugno 1993 n. 266, al quale si sostituisce il Consiglio Superiore di Sanità (CSS) come organo consultivo tecnico del Ministro della Salute. L'Istituto Superiore di Sanità (ISS) è, invece, l'organo tecnico-scientifico che collabora con il Ministero della Salute e con le regioni, assolvendo alle seguenti funzioni:

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• ricerca scientifica nell'ambito delle materie definite dal Piano Sanitario Nazionale;

• sperimentazione clinica;

• controlli nell'ambito dei suoi compiti istituzionali, nonché su richiesta del Ministero della Salute e delle regioni;

• consulenza in ordine alla tutela della salute pubblica; • sviluppo ed innovazione della formazione in sanità.

Ad un livello intermedio si trovano le regioni, le quali godono di competenze legislative in materia di assistenza sanitaria, in conformità con quanto espresso dalla normativa statale. Alle regioni viene affidato il compito di individuare i modelli organizzativi in relazione alla gestione del personale e di predisporre i supporti di natura contabile - amministrativa ed informativa, per la gestione delle Unità Operative. In merito alle funzioni di programmazione, spetta alla Regione realizzare i piani sanitari regionali triennali, mentre con riguardo alla gestione territoriale è loro prerogativa determinare gli ambiti delle Unità Sanitarie Locali (USL), creando un'elevata coordinazione con i servizi sociali presenti nel territorio e stabilisce i criteri con i quali il Fondo Sanitario Regionale viene ripartito tra le varie USL.

A livello locale, periferico, ci sono i Comuni, ai quali sono demandate le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera che non siano espressamente riservate allo Stato ed alle regioni. L'organo tecnico di erogazione del servizio, denominato Unità Sanitaria Locale, assume i connotati di un'azienda speciale municipalizzata, diventando lo strumento operativo per la realizzazione degli obiettivi citati nella legge quadro di riferimento. Le USL sono definite dalla legge n. 833 del 1978 come il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei Comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale di cui alla presente legge. Le attività delle USL mirano ad un concetto di salute esteso, comprendendo, oltre il momento della malattia e della cura, la tutela

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globale dell'individuo, tenendo conto della prevenzione. Nello specifico il testo normativo indica le seguenti "categorie di prestazioni":

PREVENZIONE CURA

RIABILITAZIONE MEDICINA LEGALE

Gli organi gestionali che compongono le USL sono: l'assemblea generale, il comitato di gestione e il suo presidente, il collegio dei revisori, quest'ultimo composto da tre membri, dei quali uno è nominato dal Ministro del tesoro ed uno dalla Regione. L'assemblea generale è l'organo di governance della USL composto dai membri del consiglio comunale, quando il territorio del comune coincide con l'ambito territoriale dell'unità sanitaria locale. All'assemblea generale spetta, tra gli altri, il compito di nominare il comitato di gestione che, a sua volta, nomina il proprio presidente. Il comitato di gestione è l'organo dell'ente che compie "tutti gli atti di amministrazione dell'USL": la predisposizione dei bilanci e dei conti a consuntivo, la programmazione che copre un orizzonte temporale di più esercizi, la pianta organica del personale, i regolamenti e le convenzioni. Tali atti sono predisposti dal Comitato di Gestione per poi essere approvati dalle competenti assemblee generali. I compiti del collegio dei revisori, disciplinati da legge regionale, includono la sottoscrizione dei rendiconti e la redazione di una relazione trimestrale sulla gestione amministrativo-contabile delle unità sanitarie locale, da trasmettere alla regione ad ai Ministeri della sanità e del Tesoro. E' previsto, inoltre, un Ufficio di direzione, suddiviso per la responsabilità sanitaria ed amministrativa, preposto all'organizzazione, al coordinamento, al funzionamento di tutti i servizi ed alla direzione del personale. "Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale i comuni, singoli o associati, o le comunità montane articolano le Unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-funzionali per l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento". Come previsto dalla legge 833/1978 i distretti si inseriscono nel contesto ambientale e sociale, divenendo uno strumento di

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raccordo tra il medico di base e l'ospedale. Il distretto sanitario nasce con l'intento di provvedere ad un'integrazione operativa tra sociale e sanitario, favorendo l'interazione tra il territorio, i servizi offerti e gli individui destinatari del servizio. Il distretto si caratterizza per una struttura organizzativa di tipo orizzontale, senza dipendenza da altri servizi e con decisioni operative proprie, sempre nel rispetto dei programmi derivanti dall'USL. La legge non definisce un modello unico di distretto, rinviando alle regioni le decisioni su come debbano essere articolati sul territorio, prendendo in considerazione elementi quali la variabilità della popolazione in una determinata area e le varie esigenze tipiche di insediamenti specifici ristretti a "porzioni" di territorio. L'attività del distretto si caratterizza per la sua vicinanza al cittadino, risultando la struttura, o insieme di strutture, più periferiche nell'erogazione dei servizi, non solo in senso tecnico-pratico, ma anche in senso socio-assistenziale. Specificando le attività del distretto:

• controllo e miglioramento dell'ambiente di vita e di lavoro; • tutela sanitaria delle attività fisico-ricreative;

• attività di prevenzione contro le malattie trasmissibili, vaccinazioni e altre forme di profilassi;

• prevenzione individuale e collettiva;

• attività diagnostiche e terapeutiche correnti, domiciliari e ambulatoriali; • distribuzione dei farmaci;

• informazione ed educazione dei cittadini; • vigilanza, profilassi ed assistenza veterinaria;

• coordinamento ed integrazione dei servizi socio-assistenziali.

Gli ospedali vengono ricompresi all'interno della struttura delle Unità Sanitarie Locali e la legge detta i requisiti minimi che devono essere rispettati, nonché la loro struttura interna. La gestione della struttura ospedaliera rientra nei compiti degli organi della USL. Per quanto riguarda la struttura organizzativa viene rimandata alle regioni, in sede di programmazione ed organizzazione degli ospedali, l'articolazione in "dipartimenti" secondo un'integrazione tra divisioni,

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sezioni, servizi affini e complementari. In riferimento ai requisiti ed alla struttura interna degli stabilimenti ospedalieri la legge quadro specifica che gli ospedali, oltre a soddisfare le esigenze dell'igiene e della tecnica ospedaliera, devono essere dotati dei requisiti minimi, come specificato all'art.19, primo comma, della Legge 12 febbraio 1968, n. 132, che comprendono:

• un servizio di accettazione, fornito di necessari apprestamenti per l'igiene personale dei malati e di locali adeguati per l'osservazione dei ricoverati, divisi per sesso;

• idonei locali di degenza distinti a seconda della natura delle prestazioni, del sesso ed età dei malati;

• locali separati per l'isolamento e la cura degli ammalati di forme diffusive; • adeguati spazi speciali di radiologia e di analisi;

• servizi speciali di trasfusione e d'anestesia; • biblioteca e sala di riunione per i sanitari;

• servizi di disinfezione, lavanderia, guardaroba, fardelleria, bagni, cucina, dispensa;

• servizio di pronto soccorso con adeguati mezzi di trasporto;

• poliambulatori da utilizzarsi anche per la cura post-ospedaliera dei dimessi, per le attività di medicina preventiva e di educazione sanitaria in collegamento con le altre istituzioni sanitarie della zona;

• servizi di assistenza religiosa;

• sala mortuaria e di autopsia secondo le prescrizioni del regolamento di polizia mortuaria e di quella locale.

Il modello così delineato permette di eseguire delle scelte in materia sanitaria con il contributo di diversi soggetti, data la suddivisione per centri di responsabilità, ma l'eccessiva frammentazione nelle competenze può far nascere una serie di conflittualità tra i differenti livelli di governo a discapito del buon funzionamento del sistema. Lo Stato estrinseca la sua funzione di pianificazione attraverso la stesura del Piano Sanitario Nazionale, il quale assicura il coordinamento ed il buon funzionamento del sistema attraverso la definizione degli obiettivi prioritari

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e le linee generali di sviluppo del servizio sanitario. Il PSN ha valenza pluriennale ed individua le risorse finanziarie destinate a costituire il Fondo Sanitario Nazionale (FSN). Il Fondo, nell'impostazione delle legge 833/1978, viene alimentato dal gettito derivante dall'imposizione fiscale generalizzata, alla quale vengono sottoposti tutti i cittadini in base alla propria capacità contributiva. Esso trova un'apposita voce nel Bilancio dello Stato ed è annualmente definito con legge in conformità alle linee generali di indirizzo definite dal Piano Sanitario Nazionale, specificando che "gli importi relativi devono risultare stanziati in distinti capitoli della parte corrente e della parte in conto capitale da iscriversi, rispettivamente, negli stati di previsione della spesa del Ministero del Tesoro, del Ministero del Bilancio e della programmazione economica". Una volta iscritti nel bilancio dello Stato le quote in conto capitale e quelle per la parte corrente vengono suddivise tra le regioni, comprese quelle a statuto speciale, attraverso una delibera del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), sulla base di indici e standards che devono tendere a garantire i livelli di prestazioni sanitarie stabiliti, attraverso un'equilibrata organizzazione dei servizi, "anche attraverso una destinazione delle risorse per settori fondamentali di intervento, con limiti differenziati per gruppi di spese correnti e per gli investimenti, prevedendo in particolare gli indici nazionale e regionali relativi ai posti letto e la ripartizione quantitativa degli stessi". Il Fondo Sanitario Regionale che si viene a formare è la base per la successiva distribuzione delle risorse alle Unità Sanitarie Locali, infatti le regioni devono provvedere all'attuazione del Servizio Sanitario Nazionale conformando i Piani Sanitari Regionali alle disposizioni dettate a livello nazionale, facendo coincidere l'orizzonte temporale dei tre anni con quello del PSN. La giunta regionale predispone il Piano Sanitario Regionale e, secondo la procedura prevista nei rispettivi statuti, consulta gli enti locali e le altre istituzioni ed organizzazioni interessate. Successivamente il Piano viene approvato con legge regionale almeno 120 giorni prima della scadenza di ogni triennio. L'assegnazione delle risorse alle USL viene effettuata attraverso una "quota capitaria corretta" che prende in considerazione diversi elementi che presenta la popolazione ed il

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territorio che rientrano nell'ambito della USL in oggetto, sentiti i Comuni. Le Unità Sanitarie Locali hanno a disposizione, inoltre, le risorse derivanti dal pagamento dei "Ticket" da parte degli utenti, che si configurano come una "compartecipazione" alla spesa sanitaria per le prestazioni mediche e gli esami diagnostici.

Dalla legge 833/1978 emergono una serie di criticità sia con riguardo alla reale capacità di creare le condizioni di efficienza ed efficacia alla base del dettato normativo, sia per la scarsa separazione che si riscontra tra gli organi politici e gli organi gestionali. Le Unità Sanitarie Locali, gestite da un Comitato composto per la maggior parte da membri del Consiglio Comunale, erano di fatto prive di autonomia amministrativa e gestionale, creando così un problema di Governance del sistema. Il sistema di finanziamento impostato sulla spesa storica e sulla compensazione annuale per il ripianamento dei debiti, porta come naturale conseguenza all'impiego non ottimale delle risorse, impedendo, così, la definizione di serie politiche di risparmio della spesa sanitaria. In seguito all'emanazione della legge non si è pervenuti alla definizione di un preciso fabbisogno finanziario da inserire all'interno del PSN, che fosse congruo con le risorse da assegnare alle Unità Sanitarie Locali, lasciando così che lo Stato assumesse la funzione di mero "pagatore", senza avere a disposizione leve decisionali per il controllo della spesa sanitaria. Di rilievo, inoltre, il problema del raccordo tra i diversi livelli di governo, nella definizione dei ruoli, delle funzioni e la mancata, successiva, emanazione del Piano Sanitario Nazionale. Il sistema così delineato "quasi esclusivamente pubblico" è privo di un meccanismo di concorrenza, che possa permettere di evidenziare le esigenze del cittadino-utente.

Con l'intento di superare i limiti evidenziati nella legge n. 833 del 1978 il legislatore ha introdotto quella che può essere definita come "riforma bis del Sistema Sanitario Nazionale": il Decreto Legislativo n. 502 del 1992, successivamente modificato ed integrato dal Decreto Legislativo n. 517 del 1993. In un momento successivo con la riforma Ter della sanità ad opera del Decreto

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Legislativo n. 229 del 1999 si è assistito ad un'ulteriore modifica ed integrazione, la quale non ha comunque portato a grandi "stravolgimenti" del testo originale di riforma, mantenendo quindi intatti i principi di base che hanno portato all'introduzione della stessa. La legge di riforma introduce le seguenti novità:

modifica dell'assetto di governance del sistema; • riconoscimento di una forte autonomia regionale;

• mutamento della natura giuridica delle Unità Sanitarie Locali;

• cambiamento nella gestione e nella disciplina contabile delle Aziende sanitarie;

• differente sistema di finanziamento; • introduzione di una prassi concorrenziale.

La governance è definibile come l'insieme degli organi, delle responsabilità, delle funzioni e dei meccanismi che portano alla determinazione di migliori condizioni di efficacia nell'offerta dei servizi assistenziali e di efficienza produttiva con il fine di contenere la spesa pubblica. Con il D.lgs. n. 502/1992 si cerca di separare definitivamente il ruolo della "politica", cui spetta il compito di determinare il fabbisogno socio-sanitario, dalla dirigenza amministrativa, così che quest'ultima possa provvedere alla sua soddisfazione. La motivazione di tale cambiamento sta nella volontà di creare, almeno teoricamente, un sistema maggiormente orientato all'efficienza, all'efficacia ed all'equità nella tutela della salute. In ottemperanza al principio di sussidiarietà verticale, secondo il quale gli organi più distanti dalla collettività intervengono in modo diretto solo in caso di fallimento degli organi subordinati, lo Stato interviene quando le regioni non sono in grado di garantire adeguati livelli di efficienza, efficacia ed equità. Questo principio porta, dunque, al decentramento di funzioni, poteri e responsabilità che, dallo Stato, ricadono nella sfera di competenza regionale, configurando un modello di sistema sanitario strutturato su tre livelli:

→ AREA CENTRALE

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→ AREA LOCALE

Al primo livello si colloca lo Stato che, attraverso il Ministero della Salute, assolve alle funzioni di pianificazione strategica e di indirizzo generale del Servizio Sanitario, le quali portano alla predisposizione del Piano Sanitario Nazionale da parte del Governo, "sentite le commissioni permanenti competenti per materia e tenendo conto delle proposte derivanti dalle regioni". Le commissioni parlamentari si esprimono entro 30 giorni dalla data di presentazione dell'atto ed il Piano è adottato d'intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Provincie Autonome. Il PSN copre un orizzonte temporale di medio termine, tre anni, ed ha la finalità di stabilire gli obiettivi prioritari da raggiungere, con riferimento ai servizi di prevenzione, cura e riabilitazione, coerentemente con le risorse finanziarie definite dal Documento di Economia e Finanza (DEF). Come disposto dal D.lgs. n. 229/1999 il Piano Sanitario Nazionale indica:

 le aree prioritarie di intervento, anche ai fini di una progressiva riduzione delle disuguaglianze sociali e territoriali nei confronti della salute;

 i livelli essenziali di assistenza sanitaria da assicurare per il triennio di validità del Piano;

 la quota capitaria di finanziamento per ciascun anno di validità del Piano e la sua disaggregazione per livelli di assistenza;

 gli indirizzi finalizzati a orientare il Servizio Sanitario Nazionale verso il miglioramento continuo della qualità dell'assistenza, anche attraverso la realizzazione di progetti di interesse sovraregionale;

 i progetti-obiettivo, da realizzare anche mediante l'integrazione funzionale e operativa dei servizi sanitari e dei servizi socioassistenziali degli enti locali;

 le finalità generali e i settori principali della ricerca biomedica e sanitaria, prevedendo altresì il relativo programma di ricerca;

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 le esigenze relative alla formazione di base e gli indirizzi relativi alla formazione continua del personale, nonché al fabbisogno e alla valorizzazione delle risorse umane;

 le linee guida e i relativi percorsi diagnostico-terapeutici allo scopo di favorire, all'interno di ciascuna struttura sanitaria, lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e valutazione della pratica clinica e assistenziale e di assicurare l'applicazione dei livelli essenziali di assistenza;

 i criteri e gli indicatori per la verifica dei livelli di assistenza assicurati in rapporto a quelli previsti.

E' necessario porre l'attenzione sulla definizione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) come richiamato dal decreto, i quali devono essere garantiti in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. I LEA rappresentano l'insieme di prestazioni assistenziali sanitarie che il Servizio Sanitario Nazionale deve erogare a tutti i cittadini, attraverso le proprie strutture, in modo uniforme su tutto il territorio a titolo gratuito o con forme di compartecipazione alla spesa, definendo, di conseguenza, uno standard minimo garantito di diritto a tutta la cittadinanza. Originariamente si parlava di Livelli Uniformi di Assistenza (LUA), già introdotti nella legge n. 833/1978, garantendo un livello minimo anche in termini di qualità delle prestazioni, configurandosi come obiettivi programmatici, senza alcuna pretesa di obbligatorietà per gli enti del Servizio Sanitario Nazionale. L'evoluzione normativa in termini di LEA ha portato ad una specificazione nella determinazione di tali livelli, inserendosi all'interno del Piano Sanitario Nazionale come contenuto e strumento necessario. Il D.lgs. n. 299 del 1999 definisce i LEA come quelle prestazioni che presentano "specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate". Questa definizione comporta tutta una serie di implicazioni, prima tra tutte l'escludibilità di alcuni servizi e prestazioni, tra i quali: quelli che non prevedono le necessità assistenziali tutelate in base ai principi che ispirano il Servizio Sanitario Nazionale; quelli che non soddisfano i principi di efficacia ed

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appropriatezza e quelle prestazioni che, a parità di altre prestazioni che soddisfano la medesima esigenza, non rispettano il principio dell'efficiente utilizzo delle risorse economiche. Quest'ultimo aspetto è di particolare importanza perché indica la necessità di trovare delle alternative, nell'assistenza sanitaria, che privilegiano l'efficienza nell'impiego delle risorse, definendo un servizio come "essenziale" quando, a parità di efficacia terapeutica, viene soddisfatto il principio di economicità nell'erogazione dello stesso. A titolo di esempio si può far riferimento alla chirurgia estetica che non rientra nelle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale, poiché non vi è evidenza di specifiche condizioni cliniche o di rischio, fermo restando solo quelle procedure, individuate come erogabili dal Sistema Sanitario Nazionale, utili a curare condizioni “conseguenti a incidenti, malattie o malformazioni”.

Il concetto sopra esposto si può riassumere, su indicazione del Ministero della Salute, come l'esclusione dai LEA "delle prestazioni, dei servizi e delle attività che non rispondono a necessità assistenziali, le prestazioni di efficacia non dimostrabile o che sono utilizzate in modo inappropriato rispetto alle condizioni cliniche dei pazienti e le prestazioni che, a parità di beneficio per i pazienti, comportano un impiego di risorse superiore ad altre".

Al livello di area territoriale intermedia si trovano le regioni e le Provincie Autonome, alle quali viene riconosciuta una maggiore autonomia, rispetto a quella garantita nella Legge 833/1978, dalla quale derivano anche maggiori responsabilità. Come già richiamato nel paragrafo si applica quello che è denominato principio di sussidiarietà verticale, distribuendo le competenze amministrative su più livelli di governo territoriale, lasciando che gli organi superiori intervengono solo se il livello inferiore non è in grado di assolvere adeguatamente alle sue funzioni per il raggiungimento degli obiettivi. Con il D.lgs. 502/1992 si giunge a favorire il decentramento delle decisioni dallo Stato alle regioni, nonché il passaggio della titolarità delle funzioni sanitarie dagli Enti Locali, Provincie e Comuni, alle regioni. All'art.2, comma 1, della citata legge viene espressamente indicato che "spettano alle regioni e alle provincie

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autonome, nel rispetto dei principi stabiliti dalle leggi nazionali, le funzioni legislative ed amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera". Si tenta, dunque, di garantire una diversità nelle soluzioni, così da favorire la governabilità dei servizi, ponendo in capo alle regioni la responsabilità di rispondere in maniera adeguata ai bisogni espressi dalla popolazione. La Regione viene assoggettata al giudizio dei cittadini, ai quali devono rispondere dei risultati conseguiti e dei fallimenti nella gestione, in caso di disavanzo, e non più allo Stato, come avveniva in precedenza. Si possono distinguere le competenze in tema di pianificazione a livello macro tra le "competenze statali" a cui si riserva l'elaborazione delle politiche sanitarie nazionali, come l'indicazione degli obiettivi di fondo nella tutela della salute, la priorità da assegnare a detti obiettivi e le "competenze regionali", quali l'ulteriore specificazione degli obiettivi e l'elaborazione di programmi dettagliati con riferimento alle risorse fisiche e finanziarie necessarie alle differenti aree territoriali. All'interno del Decreto viene specificato, al comma 2 dell'art.2, che spetta alle regioni "la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attività destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attività di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette unità sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualità delle prestazioni sanitarie." In particolare le regioni determinano il Piano Sanitario Regionale circa:

• i livelli di assistenza, che possono essere superiori a quelli indicati dalla normativa nazionale;

• la rete dei distretti;

• la rete dei servizi e dei presidi;

• l'organizzazione formale interna delle aziende; • il sistema di emergenza.

Si fa presente che all'interno del D.lgs. 502/1992, all'art. 1, viene specificato che "il piano sanitario regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze

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specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale. Le regioni, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, adottano o adeguano i Piani sanitari regionali, prevedendo forme di partecipazione delle autonomie locali, ai sensi dell'articolo 2, comma 2-bis, nonché delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell'assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale."

Con le successive modifiche apportate dal D.Lgs. 229/1999, si vengono ad individuare una serie di funzioni specifiche con riguardo :

• alla suddivisione del territorio regionale in Aziende Sanitarie Locali (ASL), compresa l'articolazione territoriale delle stesse, attraverso l'individuazione delle aree distrettuali;

• al sistema di finanziamento che, tramite la ripartizione del Fondo Sanitario Regionale alle ASL, definisce la "quota capitaria" loro assegnata, secondo parametri che tengano in considerazione le differenti caratteristiche della popolazione residente ricompresa nell'ambito territoriale dell'azienda; • all'organizzazione ed al funzionamento delle attività relative

all'individuazione delle modalità e degli strumenti di verifica per l'attuazione del modello di accreditamento;

• alle modalità di vigilanza e controllo delle ASL e di valutazione dei risultati delle stesse;

• alle modalità di erogazione dei servizi e delle prestazioni tramite le ASL che non rientrano nei LEA.

In conclusione questo processo di "regionalizzazione" tende al coinvolgimento delle regioni nel controllo della spesa e nell'erogazione dei servizi e non soltanto all'attribuzione alla Regione di funzioni legislative ed amministrative in materia sanitaria. L'intento è quello che si venga a creare un meccanismo di controllo della spesa sanitaria, ad un livello intermedio tra lo Stato ed

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i Comuni, orientando alla creazione di sistemi di offerta di servizi maggiormente attenti al fabbisogno della popolazione dei rispettivi ambiti territoriali regionali, in maniera coerente con quelli che sono gli obiettivi fissati a livello nazionale. Il sistema di finanziamento si ridimensiona, portando ad un progressivo "sganciamento" della spesa sanitaria dal bilancio dello stato, infatti, in una prima fase, il Fondo Sanitario Nazionale viene ripartito tra le regioni attraverso una "quota capitaria", in relazione a parametri che esprimono in via "indiretta" il bisogno di salute prospettico della popolazione, quali l'anzianità della popolazione, il tasso standard di mortalità, il tasso di mortalità infantile, ecc. In base a questa impostazione viene garantita la copertura dei livelli essenziali di assistenza, lasciando alle regioni la possibilità di innalzare tali livelli ricorrendo all'autofinanziamento, senza necessità di un intervento integrativo da parte del governo centrale. Alla Regione è stata riconosciuta la facoltà di aumentare i contributi sanitari, le tasse locali e la compartecipazione alla spesa, diminuendo di conseguenza la quota del Fondo Sanitario Nazionale destinato alle regioni. In una seconda fase il distacco è divenuto definitivo, attraverso la riduzione del fondo e la sua destinazione, sempre secondo quote pro-capite corrette, alla perequazione a favore delle regioni svantaggiate. L'elemento che sta alla base del rinnovamento del sistema di finanziamento introdotto con il D.lgs. 502/1992 è la responsabilizzazione della Regione al controllo della spesa sanitaria e, come già evidenziato, al distacco dal bilancio dello Stato. Alla Regione viene riconosciuta la più ampia autonomia, con il fine ultimo di individuare le soluzioni maggiormente appropriate ed efficienti per il soddisfacimento dei bisogni assistenziali.

Il livello di governo locale del Servizio Sanitario Nazionale è rappresentato dalle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e dalle Aziende Ospedaliere (AO) autonome. Dal D.Lgs. 502/1992 si è assistito al processo di "aziendalizzazione" delle Unità Sanitarie Locali, volendo indicare con questo termine l'introduzione di mezzi e strumenti per perseguire la finalità aziendale, cioè l'equilibrio economico a

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funzioni riservate alle ASL. La trasformazione in Aziende di diritto pubblico sottende all'esigenza di connotare le organizzazioni sanitarie a caratteri di efficienza ed efficacia relativamente all'attività svolta, come si riconosce nel settore privato, per le realtà aziendali che producono beni di altra natura. La necessità di questa trasformazione è dovuta alla constatazione che, in organizzazioni complesse come quelle sanitarie, si assiste ad uno "spreco" generalizzato essendo queste ultime produttori di una gamma di servizi assai ampia. Alle nuove Aziende Sanitarie viene richiesto un impegno di produttività, cioè nell'utilizzo ottimale delle risorse loro assegnate, senza scendere al di sotto di un livello accettabile di qualità nell'erogazione dei servizi. Il legislatore nazionale e quelli regionali hanno provveduto ad indicare delle direttive con riguardo alle ASL:

• "riduzione della frammentazione amministrativa e concentrazione delle risorse mediante la creazione di Aziende Unità sanitarie locali che, per dimensioni territoriali e capacità di offerta, consentano di ricondurre la programmazione sanitaria su aggregazioni di popolazione significative, sia sotto il profilo funzionale che economico, tenendo ferma la centralità del distretto quale articolazione funzionale e organizzativa dell'Azienda; • organizzazione e funzionamento delle nuove Unità Sanitarie Locali

secondo il modello aziendale basato sul controllo di gestione, come metodo permanente di verifica dei risultati, nonché sull'individuazione precisa dei livelli e ambiti di responsabilità di programmazione e controllo e delle attività gestionali e tecniche rivolte all'erogazione delle prestazioni"

Si ricorda che alla Regione è stata demandata la responsabilità di stabilire la numerosità, le dimensioni e l'articolazione territoriale delle ASL, nonché le modalità organizzative e di funzionamento ed i criteri di finanziamento delle stesse. Le ASL si trovano a ricoprire un ambito sovracomunale, coincidente "di norma" con il territorio provinciale e si articolano in tre fondamentali strutture:

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Distretti Territoriali Presidi Ospedalieri

Dipartimento di Prevenzione

Alle strutture suddette è assegnata un'autonomia economico-finanziaria, con bilanci separati all'interno del sistema informativo - contabile delle Aziende Sanitarie Locali. Si prevede che le ASL siano "sostanzialmente integrate", potendo così garantire il bisogno di salute della popolazione attraverso proprie strutture di produzione.

I distretti territoriali assicurano i servizi di assistenza primaria relativi alle attività sanitarie e sociosanitarie, divenendo essenziali nel processo di riordino del sistema sanitario rivestendo un ruolo organizzativo centrale, coordinando le proprie attività con quelle dei dipartimenti e dei servizi aziendali, compresi i presidi ospedalieri, inserendosi organicamente all'interno della programmazione della attività svolte sul territorio. Le principali attività sono disciplinate dalla normativa regionale e comprendono:

• l'assistenza primaria, ivi compresa la continuità assistenziale, attraverso il necessario coordinamento e l'approccio multidisciplinare, in ambulatorio e a domicilio, tra medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, servizi di guardia medica notturna e festiva e i presidi specialistici ambulatoriali;

• il supporto all'attività dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, coordinandoli con le strutture operative a gestione diretta, organizzate su base dipartimentale, nonché con i servizi specialistici ambulatoriali e le strutture ospedaliere ed extraospedaliere accreditate; • l'erogazione delle prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, connotate da

specifica ed elevata integrazione, nonché delle prestazioni sociali di rilevanza sanitaria se delegate dai Comuni.

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Il distretto garantisce assistenza specialistica ambulatoriale, le attività o i servizi per la prevenzione e la cura delle tossicodipendenze, le attività e i servizi di consultorio per la tutela della salute dell'infanzia, delle donna e della famiglia, attività o servizi rivolti a disabili ed anziani, le attività o i servizi di assistenza domiciliare integrata, per fornire prestazioni sanitarie e socio-assistenziali evitando il ricovero, le attività di ospedalizzazione domiciliare, le attività o i servizi per le patologie da HIV e per le patologie in fase terminale. Fanno capo al distretto territoriale la gestione coordinata degli accessi ai servizi attraverso centri unificati di prenotazione (CUP), gli uffici decentrati per l'espletamento di procedure amministrative, i punti di rilievo per indagini chimico-cliniche e gli sportelli informativi. Volendo fornire una sintesi delle novità che hanno interessato il distretto:

 viene individuato come la sede in cui si collocano, tendenzialmente, tutti i servizi extraospedalieri così da essere gestiti in un'ottica di integrazione socio-sanitaria;

 viene riconosciuta un'autonomia gestionale ed economico-finanziaria basata sull'attribuzione di risorse secondo una logica di budget;

 viene riconosciuta una responsabilità complessiva di gestione;

 viene esteso l'ambito territoriale, suddividendolo per aree in base alla fascia di utenza;

 viene formalizzato il rapporto fra il responsabile del Distretto e le amministrazioni locali.

Con riferimento all'art. 4 del D.lgs. 502/1992 gli ospedali che non siano costituiti in azienda ospedaliera conservano la natura di presidi dell'unità sanitaria locale. Le strutture ospedaliere configurate come presidi sono quelle attraverso le quali l'Azienda Sanitaria Locale fornisce prestazioni in regime di ricovero di primo livello e di specialistica ambulatoriale. Ai fini funzionali possono essere accorpati più presidi ospedalieri che rientrano nell'ambito della stessa Azienda Sanitaria Locale. La struttura direttiva dei presidi ospedalieri è composta da un dirigente medico, responsabile delle funzioni igienico - organizzative e da un

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dirigente amministrativo, responsabile delle funzioni di coordinamento amministrativo. La Regione deve provvedere alla riorganizzazione di tutti i presidi ospedalieri facendo riferimento alle disposizioni enunciate dalla legge 412/1991, ristrutturando la rete ospedaliera attuando le modifiche di accorpamento e di disattivazione, necessarie al raggiungimento di parametri stabiliti con riguardo alla dotazione ed all'utilizzazione dei posti letto, compresi quelli per riabilitazione e lungodegenza, nonché la riconversione degli ospedali che non raggiungono lo standard minimo di posti letto indicati nella normativa. Il dipartimento di prevenzione, come indicato dalla legge, è la struttura organizzativa dell'Azienda Sanitaria Locale che garantisce la tutela della salute collettiva, perseguendo gli obiettivi di promozione della salute, prevenzione delle malattie e delle disabilità e di miglioramento della qualità della vita. Per perseguire tali finalità, come introdotto dal D.lgs. 299/1999, il dipartimento promuove azioni volte a individuare e rimuovere le cause di nocività e malattia di origine ambientale, umana e animale, mediante iniziative coordinate con i distretti, con i dipartimenti dell'azienda sanitaria locale e delle aziende ospedaliere, prevedendo il coinvolgimento di operatori di diverse discipline. Viene consentito al dipartimento di partecipare alla formulazione del programma di attività dell'azienda, formulando proposte d'intervento nelle materie di competenza e indicazioni in ordine alla loro copertura finanziaria Secondo l'indicazione dell'art. 7 della legge, il dipartimento di prevenzione è articolato, in ciascun distretto, "almeno" nei seguenti servizi:

• igiene e sanità pubblica;

• prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro; • igiene degli alimenti e della nutrizione;

• veterinari

Questi ultimi sono distinti nelle tre aree funzionali della sanità animale, dell'igiene della produzione, trasformazione, commercializzazione, conservazione e trasporto degli alimenti di origine animale e loro derivati, e

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dell'igiene degli allevamenti e delle produzioni zootecniche. I servizi veterinari si avvalgono delle prestazioni e della collaborazione tecnico-scientifica degli istituti zooprofilattici sperimentali. Attraverso la Regione, il dipartimento della prevenzione acquisisce tutte le informazioni utili ai fini della conoscenza dei rischi per la tutela della salute e per la sicurezza degli ambienti di lavoro. Le informazioni sono richieste all'Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro ed all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, i quali provvedono alla loro trasmissione anche attraverso strumenti telematici. Il dipartimento di prevenzione si adegua in base alle definizioni dei livelli essenziali di assistenza, assolvendo alle seguenti funzioni:

• profilassi delle malattie infettive e parassitarie;

• tutela della collettività dai rischi sanitari degli ambienti di vita anche con riferimento agli effetti sanitari degli inquinanti ambientali;

• tutela della collettività e dei singoli dai rischi infortunistici e sanitari connessi agli ambienti di lavoro;

• sanità pubblica veterinaria, che comprende sorveglianza epidemiologica delle popolazioni animali e profilassi delle malattie infettive e parassitarie; • farmacovigilanza veterinaria;

• igiene delle produzioni zootecniche;

• tutela igienico-sanitaria degli alimenti di origine animale; • tutela igienico-sanitaria degli alimenti;

• sorveglianza e prevenzione nutrizionale; • tutela della salute nelle attività sportive.

Inoltre il dipartimento di prevenzione, in collaborazione con gli altri servizi e dipartimenti aziendali, contribuisce alle attività di promozione della salute e di prevenzione delle malattie cronico - degenerative. Il dipartimento di prevenzione gode di autonomia organizzativa e contabile ed è suddiviso per centri di costo e di responsabilità, operando nell'ambito del piano attuativo locale. La gestione, l'assetto organizzativo ed il perseguimento degli obiettivi aziendali sono affidati

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ad un direttore di dipartimento, scelto direttamente dal Direttore Generale, tra i direttori di struttura complessa del dipartimento, con almeno cinque anni di anzianità di funzione. Il direttore del dipartimento di prevenzione risponde direttamente alla direzione aziendale del suo operato, in relazione alle risorse assegnate al dipartimento. La struttura organizzativa è articolata in aree dipartimentali, specificamente dedicate ai servizi "essenziali" indicati all'art 7 del testo normativo, a loro volta si distinguono in servizi o in unità operative, in rapporto all'omogeneità della disciplina di riferimento e alle funzioni attribuite, nonché alle caratteristiche e alle dimensioni del bacino di utenza.

Le Aziende Ospedaliere sono state originariamente introdotte dal D.lgs. 502/1992 che conferiva alle regioni il compito di trasmettere al Ministro della sanità le indicazioni per l'individuazione degli ospedali di rilievo nazionale e di alta specializzazione, definendo gli stessi come quelli che possiedono determinati requisiti, successivamente richiamati anche dal D.lgs. 229/1992. Nello specifico è stato conferito il potere alla Regione di trasformare i presidi ospedalieri di rilievo nazionale o interregionale, nonché gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, in aziende con personalità giuridica pubblica e con autonomia imprenditoriale, così come riconosciuta per le Aziende Sanitarie Locali. Lo stesso decreto precisa che per la conferma e la costituzione dei presidi ospedalieri in Aziende Ospedaliere devono essere rispettati i seguenti requisiti:

• organizzazione dipartimentale di tutte le unità operative presenti nella struttura;

• disponibilità di un sistema di contabilità economico patrimoniale e di una contabilità per centri di costo;

• presenza di almeno tre unità operative di alta specialità secondo le specificazioni di cui al decreto del Ministro della sanità 29 gennaio 1992 e successive modificazioni;

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• ruolo di ospedale di riferimento in programmi integrati di assistenza su base regionale e interregionale, così come previsto dal Piano sanitario regionale e in considerazione della mobilità infraregionale e della frequenza dei trasferimenti da presidi ospedalieri regionali di minore complessità;

• attività di ricovero in degenza ordinaria, nel corso dell'ultimo triennio, per pazienti residenti in regioni diverse, superiore di almeno il dieci per cento rispetto al valore medio regionale, salvo che per le aziende ubicate in Sicilia e in Sardegna;

• indice di complessità della casistica dei pazienti trattati in ricovero ordinario, nel corso dell'ultimo triennio, superiore ad almeno il venti per cento rispetto al valore medio regionale;

• disponibilità di un proprio patrimonio immobiliare adeguato e sufficiente per consentire lo svolgimento delle attività istituzionali di tutela della salute e di erogazione di prestazioni sanitarie.

I requisiti sopra elencati non si applicano agli ospedali specializzati ed, inoltre, non è prevista la costituzione o la conferma in Azienda Ospedaliera quando essa costituisce il solo presidio ospedaliero pubblico presente nell'Azienda Sanitaria Locale.

Come disposto dal D.lgs. 502/1992 e dalla Circolare "Linee di Guida n. 2/96", l'Azienda Sanitaria Locale viene dotata di:

PERSONALITA' GIURIDICA PUBBLICA AUTONOMIA AMMINISTRATIVA AUTONOMIA ORGANIZZATIVA AUTONOMIA PATRIMONIALE AUTONOMIA CONTABILE AUTONOMIA GESTIONALE AUTONOMIA TENICA

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L'art. 3 del D.lgs. 502/1992 modificato dal D.lgs. 299/1999 attribuisce alle ASL un'autonomia IMPRENDITORIALE. Questa espressione indica un'autonomia "piena", che si estrinseca attraverso un'ampia discrezionalità, ravvisabile nei più classici organismi di tipo imprenditoriale e direttamente collegata al rischio d'impresa. Il potere decisionale dell'azienda si esplica, in concreto, nelle scelte che collocano l'impresa in certi business, con determinati prodotti, competere in alcuni mercati invece che in altri. Bisogna ravvisare che l'autonomia concessa alle Aziende Sanitarie Locali ed alle Aziende Ospedaliere non è da considerarsi "illimitata" e quindi non rispecchia fedelmente la definizione appena menzionata, essendo queste degli enti pubblici economici, privi di capitali di rischio e legati finanziariamente alla Regione attraverso il fondo di dotazione. Per meglio comprendere questo aspetto si precisa che il fondo di dotazione iniziale è rappresentato dall'insieme dei mezzi finanziari e patrimoniali necessari ad assicurare, in fase di costituzione dell'azienda, le condizioni iniziali di funzionamento delle Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere. Secondo le disposizioni normative nel fondo di dotazione iniziale è confluito il controvalore dei beni mobili ed immobili assegnati alle Aziende Sanitarie Locali dai Comuni nel momento in cui sono state "scorporate" da quest'ultimi, considerando, inoltre, il valore dei beni loro trasferiti dallo Stato e da altri enti pubblici in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi. Questo processo ha incontrato alcune difficoltà, sopratutto in merito dalla valutazione dei beni durevoli, essendo molti Comuni sprovvisti di una attendibile situazione inventariale al momento della determinazione del fondo e non essendo stato possibile risalire alle fatture di acquisto originarie. Con il riconoscimento della personalità giuridica l'Azienda Sanitaria Locale si "distacca" dalla precedente collocazione come struttura operativa del Comune, godendo di una soggettività giuridica propria e, dunque, della capacità di essere titolare di rapporti giuridici attivi e passivi. L'autonomia organizzativa individua il potere di identificare, in maniera autonomia e nell'ambito delle funzioni assistenziali assegnate, la struttura organizzativa dell'apparato aziendale. La struttura viene intesa come l'insieme degli elementi che compongono il sistema organizzativo interno, quali

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l'alta direzione, lo staff di supporto la line operativa, nonché come meccanismi e livelli di decentramento dei poteri di gestione, di coordinamento, di comunicazione e di controllo. Con autonomia amministrativa si individua il potere dell'azienda di adottare in via autonoma provvedimenti amministrativi implicanti l'esercizio di una potestà pubblica. L'autonomia patrimoniale indica la capacità di disporre del patrimonio mediante atti di acquisizione, amministrazione ed alienazione dello stesso, così da realizzare opportune strategie di valorizzazione. L'autonomia contabile investe l'area della gestione economico-finanziaria e patrimoniale, indicando la presenza di un sistema informativo - contabile che racchiude la contabilità generale, la contabilità analitica, il bilancio e i documenti di programmazione. E' con il D.lgs. 502/1992 che si ha l'introduzione di una contabilità economica, a differenza di quella finanziaria che aveva prevalso nel sistema dell'Unità Sanitaria Locale, e il conseguente sviluppo di sistemi di controllo di gestione in grado di rilevare i costi dei servizi e i rendimenti dei programmi. L'autonomia gestionale si sostanzia nel potere di determinare in maniera autonomia, attraverso i propri organi di governo, gli obiettivi dell'azione e la programmazione delle attività, entro i limiti concessi dagli indirizzi regionali. Rientra, inoltre, nell'autonomia gestionale:

• la definizione delle modalità di svolgimento delle attività;

• l'allocazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie in relazione agli obiettivi ed ai programmi definiti;

• la determinazione dell'organizzazione del lavoro, procedendo al conferimento dei poteri e all'attribuzione delle connesse responsabilità all'interno della struttura organizzativa,

• il controllo dell'andamento della gestione, con conseguente verifica dei risultati conseguiti.

Il profilo "tecnico" dell'attività da svolgere, indicando così le modalità e le procedure per l'impiego delle risorse e l'organizzazione dei processi produttivi,

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rientrano nell'autonomia tecnica dell'Azienda Sanitaria Locale, fermo restando le linee guida e i percorsi assistenziali definiti a livello politico.

Nel rispetto dei principi e dei criteri generali definiti a livello regionale l'organizzazione ed il funzionamento delle aziende è regolato da atti di diritto privato inoltre, secondo la normativa, l'atto aziendale individua all'interno dell'Azienda Sanitaria Locale le strutture operative, dotate di autonomia gestionale e tecnico-professionale che sono soggette a rendicontazione analitica. Le Aziende Sanitarie Locali "informano la propria attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità e sono tenute al rispetto del vincolo di bilancio, attraverso l'equilibrio di costi e ricavi, compresi i trasferimenti di risorse finanziarie". L'economicità viene intesa come la capacità dell'azienda di realizzare gli obiettivi di salute determinati, mantenendo nel tempo l'equilibrio economico-finanziario della gestione, così da avere la possibilità in futuro di dare risposta ai bisogni di salute espressi dalla popolazione, senza la necessità di ricorrere ad ulteriori sovvenzionamenti statali. Come conseguenza dell'ampliamento della sfera di autonomia concessa, agli organi di governo è affidata la responsabilità di raggiungere il pareggio di bilancio, quale espressione quantitativa dell'andamento gestionale.

Gli organi dell'Azienda Sanitaria Locale sono: IL DIRETTORE GENERALE

IL COLLEGIO DI DIREZIONE E IL CONSIGLIO DEI SANITARI IL COLLEGIO SINDACALE

Il Direttore Generale costituisce l'organo monocratico di governo dell'Azienda Sanitaria Locale al quale vengono riconosciuti tutti i poteri di gestione e di rappresentanza dell'Azienda Sanitaria. Il Direttore Generale viene nominato dalla Regione in base a liste di candidati che possiedono determinati requisiti, quali un'età non superiore ai sessantacinque anni, il titolo di laurea ed il possesso di documentate esperienze manageriali quinquennali di direzione tecnica o amministrativa. Esso è legato alle aziende da un contratto di lavoro di diritto

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privato a tempo determinato con scadenza non inferiore a tre anni e non superiore a cinque, rinnovabile e comunque non oltre il settantesimo anno di età. Al Direttore Generale è affidato dal legislatore il compito di verificare la correttezza ed economica gestione delle risorse, nonché di garantire l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa. I criteri per la valutazione dell'operato dei

manager sono determinati preventivamente a livello regionale, con riferimento

specifico agli obiettivi di salute assegnati in sede di programmazione, all'efficienza, all'efficacia ed alla funzionalità dei servizi sanitari, nonché al rispetto degli equilibri economico-finanziari di bilancio concordati. Gli obiettivi con riguardo al bisogno di salute ed al funzionamento dei servizi vengono definiti all'atto di nomina del Direttore Generale, in conformità con quelle che sono le risorse assegnate, fermo restando l'autonomia gestionale riconosciuta ai direttori. All'art. 3-bis viene indicato che la regione ha la facoltà di risolvere il contratto dichiarando la decadenza del Direttore Generale e provvedere alla sua sostituzione, nel caso in cui ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo, nonché quando sussistano casi di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione. Alle regioni spetta la definizione degli specifici criteri in base ai quali una situazione economico-finanziaria presenta le caratteristiche della "gravità". Il Direttore Generale è coadiuvato da un Direttore Amministrativo e da un Direttore Sanitario da lui stesso nominati con atto motivato. Il Direttore Amministrativo deve possedere caratteristiche simili a quelle del Direttore Generale quali un'età non superiore ai sessantacinque anni, una laurea in discipline economiche o giuridiche, esperienza di almeno cinque anni in una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa, in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di medie/grandi dimensioni. Si precisa, infatti, che in caso di vacanza, assenza o impedimento del Direttore Generale, le relative funzioni sono svolte dal Direttore Amministrativo o dal Direttore Sanitario, su delega dello stesso Direttore Generale o, in caso di mancata delega, dal Direttore più anziano. Le funzioni del Direttore Amministrativo sono quelle di dirigere i servizi amministrativi dell'Azienda Sanitaria Locale e fornire un parere obbligatorio al

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