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RISPOSTA ALLA STIMOLAZIONE OVARICA NEI DIVERSI FENOTIPI DI PCOS (SINDROME POLICISTICA DELL'OVAIO)

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(1)

U

NIVERSITÀ

D

I

P

ISA

D

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R

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RASLAZIONALE E DELLE

N

UOVE

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ECNOLOGIE IN

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AGISTRALE IN

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HIRURGIA

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D

I

L

AUREA

“ Risposta alla stimolazione ovarica nei diversi fenotipi di

PCOS (Sindrome dell’Ovaio Policistico)

R

ELATORE

Chiar.mo Prof. Paolo Giovanni ARTINI

C

ANDIDATO

Ylenia ALBERGA

(2)

Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella realizzazione e stesura della tesi con suggerimenti, critiche e osservazioni; a loro la mia gratitudine. Un ringraziamento particolare va al mio Relatore, il Prof. Paolo Giovanni Artini, sempre presente e disponibile. Egli mi ha seguito costantemente in questo lavoro fornendomi sempre giuste indicazioni e fondamentali suggerimenti che mi hanno consentito di raggiungere lo scopo nel migliore dei modi.

Ci tengo a ringraziare la Dott.ssa Mariaelena Obino che mi è stata di supporto e che ha collaborato con me a tempo pieno in questo lavoro.

Ringrazio il Dott. Vito Cela, che mi ha accolto nel reparto di PMA di Pisa permettendomi di lavorare a questo nuovo studio sperimentale.

Ringrazio il Prof. Tommaso Simoncini, Direttore della UOC di Ginecologia e Ostetricia Universitaria I, il quale mi ha permesso di accedere a questo reparto, dimostrandosi estremamente disponibile, offrendomi la possibilità di lavorare col Prof. Artini.

Ringrazio infine le persone a me più care, a cui questo lavoro è dedicato.

A mia madre e mio padre, che mi sono stati vicino in ogni momento, sostenendomi in ogni circostanza e che sempre hanno creduto nella mia forza di volontà; vi voglio un bene infinito.

Ringrazio Peppino, il mio compagno di vita, che mi è sempre stato accanto riuscendo a tirare fuori il mio lato migliore e che è riuscito ad incitarmi anche nei momenti più difficili, dimostrandosi la migliore persona di cui potessi innamorarmi.

Un sincero ringraziamento va alle mie amiche Cristina, Siriana, Valeria, Michela e Giulia. In particolar modo ringrazio Ada e Silvia, due sorelle, accanto a me da sempre. Mi hanno sostenuto anche durante questo percorso e si sono dimostrate per l’ennesima volta le migliori amiche di sempre.

Grazie mille a tutte le persone che mi hanno permesso di raggiungere questo obiettivo e che mi hanno sostenuto nel farlo.

(3)
(4)

4.2.7 DEFINIZIONE DEI RISULTATI ... 61

4.2.8 ANALISI STATISTICA ... 62

4.3 RISULTATI ... 63

5 CONCLUSIONI ... 73

5.1 DISCUSSIONE DEI RISULTATI ... 73

5.2 RIFLESSIONI FINALI ... 75

(5)

R

IASSUNTO

A

NALITICO

La Sindrome dell’Ovaio Policistico (PCOS) rappresenta una delle endocrinopatie più diffuse in età pre-menopausale ed una comune causa di infertilità femminile. I criteri attualmente utilizzati per diagnosticare la PCOS sono quelli di Rotterdam, basati sulla presenza di due dei seguenti tre parametri: cicli anovulatori/irregolari (OD); iperandrogenismo clinico/biochimico (HA); aspetto multifollicolare di almeno un ovaio (PCOM). Un approccio diagnostico recente si basa sulla distinzione di quattro fenotipi di PCOS: A (HA, OD e PCOM); B (HA, OD); C (HA, PCOM); D (OD, PCOM). Lo scopo dello studio è quello di valutare, in ambito di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita), se esistono delle differenze nella risposta alla stimolazione ovarica tra i differenti fenotipi di PCOS. Il lavoro, di tipo retrospettivo, è stato condotto su 71 pazienti affette da PCOS, che si sono rivolte al centro di PMA di Pisa per intraprendere un percorso di Fecondazione Assistita con tecniche di secondo livello (ICSI/FIVET). A Tutte le pazienti reclutate è stato dato il medesimo protocollo (FSH-ricombinante, GnRH-antagonista) monitorate con ecografie transvaginali seriate, dosaggi di Estradiolo e Progesterone e sottoposte a Pick-up Ovocitario (PO) con successivo Embrio-Transfer (ET). 61 di queste pazienti sono state indotte con hCG e 10 con GnRH-agonista, per maggior rischio di Sindrome da Iperstimolazione Ovarica (OHSS). I parametri analizzati sono stati: unità di gonadotropine utilizzate; durata della stimolazione ovarica; livelli di estrogeni e progesterone all’induzione; spessore endometriale; numero di follicoli visualizzati all’ecografia (classificati per dimensione); numero di ovociti recuperati (classificati in base alla maturità ovocitaria); numero di ovociti inseminati e fecondati; numero di embrioni ottenuti (classificati in base al grado); numero di embrioni e ovociti congelati. Nelle pazienti con maggior rischio di Sindrome da Iperstimolazione Ovarica (OHSS), che hanno proseguito il ciclo con GnRH-agonista all’induzione, seguito da congelamento embrionale e/o ovocitario, lo studio è stato analizzato fino al momento della vitrificazione.

I risultati hanno mostrato un maggior rischio di iperstimolo nelle pazienti del fenotipo A (HA, OD, PCOM), dovuto a livelli più elevati di estrogeni e ad un maggior numero di follicoli di piccole dimensioni (8-12 mm di diametro). Il numero di ovociti recuperati allo stato di MII ed il numero di embrioni ottenuti di buona qualità (grado I-II) , nell’ ambito del fenotipo A, sono risultati nettamente

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maggiori nei cicli in cui è stato seguito il protocollo antagonista e GnRH-agonista all’induzione, rispetto a quelli in cui è stato utilizzato il classico protocollo (GnRH-antagonista e hCG all’induzione ). Questi risultati evidenziano come ci sia una risposta ovocitaria generale peggiore nel fenotipo A, rispetto agli altri fenotipi, che, pero, potrebbe essere migliorata dall’impiego del GnRH-agonista all’induzione, in particolar modo nelle pazienti ad elevato rischio di OHSS.

(7)

1 PCOS

1.1 LA

SINDROME

DELL’

OVAIO

POLICISTICO

1.1.1 CENNIEPIDEMIOLOGICI

La sindrome dell’ovaio policistico (Polycystic Ovary Syndrome, PCOS) è uno dei disordini ormonali più diffuso nelle donne, costituendo la più comune endocrinopatia dell’ età premenopausale. La prevalenza della sindrome varia secondo i criteri diagnostici usati che solitamente includono: estensione dell’irsutismo, livello degli androgeni circolanti, grado di irregolarità delle mestruazioni, morfologia dell’ ovaio.

Tuttavia va considerato che, il numero di piccoli follicoli subcapsulari richiesto per considerare un ovaio micropolicistico, è variabile. Lo stesso concetto vale anche per la designazione di irregolarità mestruali, considerata generalmente il

sine qua non della sindrome. In Inghilterra Polson et al. (Ford WC 2000)

esaminarono un campione di volontarie nella popolazione generale e trovarono che il 22% delle donne mostrava le ovaie policistiche all’ ecografia ma un terzo delle stesse aveva cicli regolari. Quando poi un gruppo di donne con ovaio policistico venne esaminato dal punto di vista endocrinologico, risultò che l’ 80% delle donne reclutate per oligomenorrea aveva le ovaie con ecostruttura tipo PCO (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010). Ancora più complessa risulta la valutazione del livello di Testosterone, tipico della sindrome, in considerazione del vastissimo range di valori dell’ormone.

La prevalenza della PCOS nella popolazione sterile è tra il 4 e 12% delle donne in età fertile (Ford WC 2000). Tuttavia la prevalenza delle ovaie policistiche, dopo l’introduzione dei criteri di Rotterdam(ESHRE/ASRM 2004), andrebbe rivalutata, in quanto circa il 22% delle donne normali presentano ovaie micropolicistiche alla valutazione ecografica (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010) (E. 2009).

1.1.2 DEFINIZIONE

La sindrome dell’ovaio policistico (PCOS) (Azziz R 2004) (Yildiz BO 2012) è una causa comune di infertilità femminile e interessa il 15-25% delle donne, basandoci sui criteri di Rotterdam (ESHRE/ASRM 2004). La PCOS è una

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patologia molto diffusa che colpisce molteplici aspetti della salute generale delle donne, con effetti a lungo termine che vanno ben oltre l’età riproduttiva (Puurunen J 2011) (Shaw LJ 2008). Il termine “ sindrome dell’ovaio policistico ” non riflette completamente la complessità di questa sindrome (Diamanti-Kandarakis E 2012) che manifesta un ampio spettro di manifestazioni cliniche e comorbidità (Daria Lizneva 2016).

Le caratteristiche principali della PCOS sono iperandrogenismo, oligo-anovularietà ed alterazioni morfologiche dell’ovaio.

Uno dei più rivoluzionari concetti degli ultimi decenni è l’interpretazione della PCOS come disordine non squisitamente riproduttivo ma sistemico, con importanti implicazioni metaboliche (Vugnesh 2007). Studi prospettici e randomizzati, infatti, hanno evidenziato nelle pazienti con PCOS, un aumentato rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2, dislipidemie, tumori e malattie cardiovascolari (M. P.-J. Daria Lizneva 2016). La PCOS si associa inoltre ad una ridotta attività fibrinolitica, dovuta all’ aumento dei livelli circolanti dell’ inibitore dell’attivatore del plasminogeno (Orio 2006). La riduzione della capacità fibrinolitica sarebbe connessa alla PCOS, indipendentemente dal BMI (Body Mass Index), in quanto si riscontra anche in donne magre affette da questa sindrome. L’iperplasia endometriale atipica, la cui incidenza risulta aumentata, sembra invece essere dovuta sia alla cronica esposizione a elevati livelli di Estrogeni, non bilanciati da adeguata quantità di Progesterone, sia in parte all’Insulina (Coulam 1983).

Le pazienti con PCOS presentano inoltre alterazioni riproduttive, evidenza di insulino-resistenza, morbidità cerebro-vascolari, ansia e depressione. Se gravide, queste donne hanno un notevole aumento di rischio di sviluppo di complicanze gestazionali che sono principalmente:

• Aborto spontaneo. La causa della maggiore incidenza è poco chiara. Si suppone che sia associata ad obesità e a insulino- resistenza;

• Diabete gestazionale. L’insulino-resistenza potrebbe essere considerato il preponderante fattore di rischio nelle donne PCOS;

• Pre-eclampsia. E’ caratterizzata da un improvviso rialzo pressorio dopo la 20a settimana di gestazione;

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• Nascita pretermine (Boomsma CM 2006) (Kjerulff LE 2011).

I problemi che più frequentemente le pazienti affette da PCOS lamentano sono quelli sopra descritti, ovvero:

• Irregolarità mestruali. Sono di solito associate ad anovulazione che è la causa di oligomenorrea (meno di nove cicli mestruali all’anno; cicli di durata media superiori a 36-40 giorni). L’anovulazione nel 30% dei casi è accompagnata da amenorrea secondaria, che insorge dopo un periodo di oligomenorrea variabile;

• Iperandrogenismo. Le manifestazioni cliniche più caratteristiche sono irsutismo e acne. Frequente è il riscontro di seborrea e cute grassa mentre di solito non si riscontrano segni di virilizzazione, tipici delle forme di iperandrogenismo grave quali alopecia temporale, modificazione in senso maschile del timbro della voce e ipertrofia del clitoride. La valutazione dell’iperandrogenismo biochimico è legata ai livelli di Testosterone totale e libero, Androstenedione, Deidroepiandrosterone (DHEA) e il suo metabolita Deidroepiansterone solfato (DHEAS);

• Ecostruttura policistica dell’ovaio. Il solo riscontro ecografico della presenza di microcisti ovariche non è patognomonico della PCOS, in quanto si può riscontrare anche in altre endocrinopatie non caratterizzate da iperandrogenismo (es. iperprolattinemia e amenorrea da stress). Secondo i criteri di Rotterdam, sono definite policistiche le ovaie in “presenza di almeno un ovaio che mostri 12 o più follicoli con diametro medio 2-9 mm, a prescindere dalla loro disposizione, e/o un volume ovarico totale > 10 ml3, esaminate con sonda transvaginale. E’ sufficiente che una sola ovaia abbia questi caratteri (RJ. 2004).

I sintomi esordiscono solitamente in età puberale ma possono modificarsi spontaneamente nel tempo.

I criteri utilizzati per diagnosticare la PCOS hanno subito diversi cambiamenti che nel corso del tempo hanno portato ad una vera e propria evoluzione degli stessi e a differenti strumenti di classificazione. Negli ultimi tempi ha preso sempre più piede l’approccio fenotipico (M. P.-J. Daria Lizneva 2016).

Nelle tre decadi passate sono stati proposti tre differenti criteri diagnostici (Zawadzki JK 1992) (ESHRE/ASRM 2004) (ESHRE/ASRM 2004). Il primo

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tentativo formale venne effettuato al National Institute of Child Healt and Human Development durante la conferenza del US National Institutes of Healt (NIH) nell’ Aprile del 1990 (Zawadzki JK 1992).

Dal risultato di tale evento venne fuori che l’iperandrogenismo clinico o biochimico (HA) e la cronica oligo-anovulazione (OA), dopo l’ esclusione dei disturbi correlati, erano considerate la chiave diagnostica della PCOS. Entrambi i criteri erano necessari per porre diagnosi di PCOS.

La seconda definizione era basata sull’opinione comune di 27 esperti di PCOS, che si incontrarono a Rotterdam, in Olanda, nel Maggio 2003 (ESHRE/ASRM 2004) (ESHRE/ASRM 2004). La conferenza fu parzialmente sponsorizzata dalla European Society for Human Reproduction and Embryology (ESHRE) e l’ American Society for Reproductive Medicine (ASRM). A seguito di questo incontro, le caratteristiche morfologiche ecografiche dell’ ovaio policistico (PCOM ) furono inglobate nella definizione del NIH del 1990, rendendola così più complessa. I criteri di PCOS 2003 dell’ESHRE/ASRM, pertanto, richiedevano la presenza di almeno due dei seguenti tre parametri:

• Segni clinici o biochimici di iperandrogenismo (HA): presenza di irsutismo, acne severo e alopecia o concentrazione di Testosterone totale >0,5 ng/mL e/o Testosterone libero >3,5 pg/mL e/o DHEAS >320 µg/dL; • Disfunzione ovulatoria cronica (OD): durata del ciclo <26 giorni o >35

giorni o variazioni tra cicli consecutivi >10 giorni e/o cicli anovulatori; • PCOM, dopo esclusione di cause secondarie: 12 o più follicoli con

diametro compreso tra 2 e 9 mm in un singolo ovaio e/o un volume ovarico ≥10 cm3);

first formal attempt to classify PCOS was carried out at a National Institute of Child Health and Human Development of the US National Institutes of Health (NIH) conference, April 1990 (18). A tabulation of participant impressions indicated that clinical or biochemical hyperandrogenism (HA) and chronic oligo-anovulation (OA), after the exclusion of related disorders were considered key diagnostic PCOS fea-tures. The second definition was based on the consensus opinion of 27 PCOS experts, who met in Rotterdam, the Netherlands, May 2003 (19, 20). The conference was partially sponsored by the European Society for Human Reproduction and Embryology (ESHRE) and the American Society for Reproductive Medicine (ASRM). As a result of this meeting, ultrasound characteristics for polycystic ovarian morphology (PCOM) were added to the NIH 1990 definition, making it more complex. The ESHRE/ASRM 2003 PCOS criteria required the presence of two of the following three findings: [1] signs of clinical or biochemical HA; [2] chronic ovulatory dysfunction (OD); and [3] PCOM, after exclusion of secondary causes(19, 20)(Table 1). This definition essentially expanded the diagnosis of PCOS to include women who either had PCOM in combination with HA, or PCOM in combination with OD (OD is a slightly broader term than OA, and includes other forms of OD beyond just oligo-anovulation, possibly reflected in, e.g., pol-ymenorrhea) (Table 2). Importantly, the introduction of Rot-terdam criteria led to a substantial increase in the number of patients diagnosed with PCOS, as well as broadened the heterogeneity of PCOS phenotypes as compared with the NIH definition(26).

Subsequently, an increasing body of evidence suggested that HA seemed to be the strongest determinant of the PCOS pathophysiology and a key predictor of the associated metabolic dysfunction (27–29). Therefore, it has been suggested that non-hyperandrogenic PCOS patients (i.e., those with chronic anovulation and PCOM) do not truly repre-sent patients with the syndrome and are etiologically distinct from hyperandrogenic PCOS(24, 25). In 2006 a task force assembled by the Androgen Excess & PCOS Society (AE-PCOS), composed of five investigators from the United States and six from Europe and Australia, conducted a

systematic review of published literature to identify the link between PCOS phenotypes and independent morbidity. They concluded that PCOS is a disorder predominantly of androgen excess and that a concise diagnosis of PCOS should be based on the presence of clinical or biochemical HA in combination with ovarian dysfunction (i.e., OD or PCOM), excluding other causes(24, 25). Therefore, the AE-PCOS 2006 criteria excluded the non-hyperandrogenic phenotype (i.e., phenotype D, including PCOM plus OD) that was proposed by the 2003 Rotterdam definition(19, 20)

(Table 2).

The global use of varying PCOS diagnostic criteria raised issues of compatibility for PCOS research worldwide, which then resulted in confusion within clinical practice and a ‘‘delay in progress in understanding the syndrome’’ (23). Therefore, the NIH in 2012 undertook an Evidence-Based Methodology PCOS Workshop which, among other topics, ad-dressed the ‘‘benefits and drawbacks’’ of existing diagnostic criteria(23). The meeting was organized in accordance with standard NIH criteria for Consensus Development Programs, and all available evidence was presented by 29 PCOS experts from different countries to four workshop panel members whose research expertise was not in PCOS(23). As a result the panel recommended the use of the broader ESHRE/ ASRM 2003 criteria, but accompanied with a detailed descrip-tion of the PCOS phenotype included(23). As previously pro-posed by Azziz et al. (24), the NIH consensus panel recommended use of the following phenotype classification: phenotype A: HA (clinical or biochemical presence) þ OD þ PCOM; phenotype B: HA þ OD; phenotype C: HA þ PCOM; and phenotype D: OD þ PCOM(23).Table 2summarizes these four PCOS phenotypes and their relationship to current criteria.

The proposed phenotypic approach is highly convenient for clinical practice and epidemiologic research. Notwith-standing the ongoing discussion about the validity of current PCOS criteria, phenotypic classification allows for the charac-terization of PCOS populations according to the presence and/ or absence of key features. As long as the presence of HA, OD, and PCOM are considered the core PCOS features and are re-ported as such, the specific criteria (NIH 1990, ESHRE/ASRM

TABLE 1

Evolution of the diagnostic criteria for polycystic ovarian syndrome.

Parameter NIH 1990(18) ESHRE/ASRM2003(19, 20) AE-PCOS 2006(24, 25) ESHRE/ASRM 2003NIH 2012 extension of(23)

Criteria HA

OA HAOD

PCOM

1. HA

2. Ovarian dysfunction (OD and/or PCOM)

1. HA 2. OD 3. PCOM Limitations 1.Two of two

criteria required 1. Two of threecriteria required 1. Two of two criteriarequired 1. Two of three criteria required; and2. Identification of specific phenotypes included: A: HA þ OD þ PCOM B: HA þ OD C: HA þ PCOM D: OD þ PCOM Exclusion of related or mimicking etiologies

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in assenza di iperplasia surrenale congenita, sindrome di Cushing e tumori surrenalici o ovarici secernenti androgeni. Nel caso tali criteri non siano soddisfatti totalmente, si può parlare di un quadro PCOS-like. La PCOS viene in

questo modo definita come una patologia funzionale e non primariamente come un’alterazione anatomica dell’apparato genitale: l’ingrandimento delle ovaie e la loro presentazione cistica (cioè proprio ciò che indusse Stein e Leventhal a dare questo nome alla sindrome) non sono strettamente necessari per fare diagnosi di PCOS e la loro sola presenza non permette di fare diagnosi. (Tresoldi 2009).

Secondo i criteri di Rotterdam, sono definite policistiche le ovaie in “presenza di almeno un ovaio che mostri 12 o più follicoli con diametro medio 2-9 mm, a prescindere dalla loro disposizione, e/o un volume ovarico totale > 10 ml3, esaminate con sonda transvaginale” e la valutazione deve essere effettuata sia in scansione longitudinale sia trasversale. E’ sufficiente che una sola ovaia abbia questi caratteri, se valutata in fase follicolare e in assenza di utilizzo di terapia estroprogestinica. La distribuzione periferica dei follicoli e l’ipertrofia dello stroma ovarico possono essere presenti, ma non sono necessari per la diagnosi, in quanto la misura del volume ovarico si è dimostrata un indicatore sufficiente nella pratica clinica. Non è attendibile una valutazione ecografica per via soltanto transaddominale, soprattutto in donne che sono spesso in sovrappeso (RJ. 2004) Questa definizione sostanzialmente espandeva la diagnosi di PCOS, includendo donne che avevano PCOM con HA oppure PCOM con OD. L’introduzione dei criteri di Rotterdam ha pertanto portato ad un sostanziale incremento del numero di pazienti PCOS diagnosticate, nonché l’ eterogeneità dei fenotipi PCOS rispetto alla definizione NIH.

Successivamente, l’iperandrogenismo risultò essere uno dei fattori più determinanti nella fisiopatologia della PCOS e un fattore predittivo della disfunzione metabolica (Rosencrantz MA 2011) (Georgopoulos NA 2014) (Carmina E 2005). Perciò, questo suggeriva che le pazienti PCOS senza iperandrogenismo (es. con cicli anovulatori e PCOM) non rappresentavano realmente delle pazienti PCOS e vennero eziologicamente distinte dalle forme PCOS iperandrogeniche (C. E.-K.-M. Azziz R, Positions statement: criteria for defining polycystic ovary syndrome as a predominantly hyperandrogenic syndrome: an Androgen Excess Society guideline 2006) (C. E.-K.-M. Azziz R,

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The Androgen Excess and PCOS Society criteria for the polycystic ovary syndrome: the complete task force report 2009).

Nel 2006 venne riunita una task force da parte della Androgen Excess et PCOS Society (AE.PCOS), composta da cinque ricercatori degli USA e sei dell’ Europa e Australia, che condussero una revisione della letteratura pubblicata per identificare il collegamento tra i fenotipi PCOS e le morbidità, in maniera indipendente. Conclusero che la PCOS è un disturbo con un predominante eccesso di Androgeni e che una diagnosi concisa di PCOS si sarebbe dovuta basare sulla presenza di segni clinici o biochimici di HA in associazione a disfunzione ovarica, escludendo cause secondarie. I criteri della AE-PCOS 2006 esclusero il fenotipo senza iperandrogenismo che fu proposto nella definizione di Rotterdam del 2003.

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1.1.3 VALUTAZIONECLINICO-DIAGNOSTICA

Davanti ad una paziente che lamenta i sintomi suddetti è necessario porre diagnosi differenziale con tutti quei quadri che generano sintomi o segni simili a quelli della PCOS.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DELLA PCOS

• Amenorrea delle sportive • Iperprolattinemia/prolattinoma • Ipotiroidismo primitivo

• Tumori virilizzanti ovarici o surrenalici

• Iperplasia surrenalica congenita ad esordio tardivo • Acromegalia

• Sindrome di Cushing • Menopausa precoce • Obesità semplice

• Condizioni correlate all’ uso di farmaci( androgeni, ac. valproico, ciclosporina, ecc.)

Tabella 1:diagnosi differenziale della PCOS

Durante l’anamnesi va considerato lo sviluppo puberale, l’epoca del menarca, le caratteristiche del ciclo mestruale e il momento di inizio delle irregolarità mestruali. È fondamentale inoltre, verificare le modalità di esordio dei segni di iperandrogenismo e la loro evoluzione, in modo tale da escludere il sospetto di un tumore adreno-secernente che è caratterizzato da un cambiamento improvviso del paziente. Al contrario, un andamento più graduale è più tipico della PCOS. È necessario indagare anche sulla possibile assunzione di farmaci ad azione androgenica.

L’esame obiettivo ha invece lo scopo di accertare e quantificare i segni di iperandrogenismo, constatare la presenza di obesità attraverso il calcolo del BMI e l’osservazione della distribuzione dell’ adipe, e verificare la presenza di ipertensione arteriosa, presenza di segni e sintomi associabili alla sindrome di Cushing e l’acanthosis nigricans.

Da un punto di vista laboratoristico i migliori risultati di predittività sono stati ottenuti con la valutazione dei livelli plasmatici totali di Testosterone (sensibilità

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del 70%) o dell‘indice degli androgeni liberi - free Androgen Index, FAI (sensibilità del 94%).

L’elevato rapporto LH/FSH rappresenta un criterio con alta specificità ma bassa sensibilità, dal momento che meno del 50% delle donne con PCOS ha un valore superiore a 2; un valore normale, quindi, non permette di escludere la diagnosi. Gli esami di laboratorio utili per un corretto iter diagnostico si dividono in:

• Indagini di I livello: LH, FSH, Testosterone totale e libero, δ4- Androstenedione (δ4-A), DHEA-s, 17-OH-Progesterone (17-OH-Pg), Progesterone (Pg), Prolattina (PRL), Insulinemia;

• Indagini di II livello: SHBG; Estrone e 17β2 Estradiolo (E2); test di soppressione surrenale con Desametasone, che mostra riduzione dei livelli ematici di DHEA-s e Cortisolo, mancata riduzione di Testosterone libero; test di soppressione con analoghi del GnRh, che mostra una risposta esagerata del LH e una risposta ridotta del FSH, accompagnati

da un prolungato aumento di E1 , δ4-A e 17-OH-Pg ; Colesterolo totale

(CT) e HDL, Trigliceridi (Tg), Glucosio, OGTT.

La valutazione laboratoristica deve essere eseguita nella fase follicolare del ciclo e, in caso di amenorrea, dopo induzione del flusso mestruale mediante somministrazione di un progestinico. Hanno alto valore diagnostico:

• Concentrazioni sieriche elevate di LH, con aumento della pulsatilità sia in frequenza che in ampiezza;

• Concentrazioni di FSH normali o ridotte;

• Rapporto LH/FSH >2,5. Dal momento che l’obesità diminuisce i valori basali di LH, la valutazione dei livelli di LH e del rapporto LH/FSH ha un valore diagnostico solo in rapporto all’ IMC (Indice di Massa Corporea);

• Livelli normali o aumentati di E2;

• Elevate concentrazioni di Estrone (E1), con livelli circolanti di E1 maggiori di quelli di E2. L’iperestrogenismo è più evidente e frequente nelle pazienti obese;

• Iper-prolattinemia (15% dei casi). Si ritiene dovuta ad un deficit ipotalamico, primitivo o secondario, di Dopamina. Generalmente i livelli

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di PRL nelle pazienti affette da PCOS sono solo modicamente aumentati (< 30ng/ml);

• Livelli circolanti di Androgeni (T, δ4-A, DHEA-s, DHT) aumentati. La loro concentrazione, tuttavia, non è proporzionale alla gravità del quadro clinico;

• Livelli di SHBG diminuiti, soprattutto nelle donne obese.

Un esame molto utile per le informazioni che può fornire sullo stato di tolleranza glucidica è il carico orale di glucosio (OGTT): è un test che si esegue con l’assunzione p.o., alle ore 8 del mattino e a digiuno, di 75 g di Glucosio con acqua. Dal momento dell’assunzione si eseguono prelievi seriati di sangue per la determinazione della glicemia. Un aspetto ancora controverso è come valutare l’iperinsulinismo e l’IR.

Riguardo agli esami strumentali è fondamentale l’esecuzione dell’ecografia pelvica. I criteri oggi usati, come già accennato, sono quelli di Rotterdam (“presenza di almeno un ovaio che mostri 12 o più follicoli con diametro medio 2-9 mm, a prescindere dalla loro disposizione, e/o un volume ovarico totale > 10 ml3”).

Nella pratica diagnostica strumentale ha preso piede anche l’utilizzo del color Doppler, attraverso cui è possibile valutare le dinamiche dei flussi vascolari ovarici e pelvici. Oggetto della diagnosi sono sia i vasi di grosso calibro, quali l’a. uterina e quella ovarica, sia i piccoli vasi dello stroma ovarico. Infatti, si è visto che le pazienti affette da PCOS presentano cambiamenti della vascolarizzazione intraovarica, probabilmente associabili agli alti livelli di LH che provocano una maggiore vascolarizzazione stromale. I meccanismi alla base di questo fenomeno sono: neoangiogenesi, stimolazione catecolaminica, e stimolazione citochinica. Inoltre, l’aumentato PI (Pulsatility Index) delle pazienti PCOS sembra correlare con gli alti livelli di androgeni, a supportare l’ipotesi di un loro possibile effetto vasoattivo attraverso specifici recettori presenti sulle pareti dei vasi. Alla luce di questi dati, i due quadri ecografici sopra citati (distribuzione dei follicoli in sede sottocorticale e diffusa) sono stati interpretati come una fase evolutiva dello stesso dissesto funzionale dell’ovaio. Infatti, il Doppler ha dimostrato che le resistenze tendono ad aumentare dal quadro con distribuzione intraparenchimale a quello con distribuzione sottocorticale, permettendo quindi di ipotizzare che l’aspetto multifollicolare del primo diventi

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micropolicistico nel secondo, grazie all’effetto degli Androgeni sui vasi e del LH sul parenchima. Lo studio della morfologia ovarica tramite sonda transvaginale e utilizzazione del Doppler permettono, in pratica, di ottenere maggiori informazioni sullo stadio di evoluzione della disfunzione a carico dell’ ovaio in presenza di una situazione di iperandrogenismo e/o di PCOS vera.

Figura 2 : immagine ecografica di un ovaio policistico

Particolare attenzione va posta alla diagnosi differenziale tra ovaie PCOS e ovaie multifollicolari (di volume nella norma o lievemente superiore, contenenti 7-9 follicoli del diametro di 5-10 mm sparsi nello stroma), le quali ultime non soddisfano i criteri precedentemente descritti di policistosi ovarica.

1.1.4 FENOTIPIDELLAPCOS

L’uso globale di differenti criteri diagnostici di PCOS ha generato confusione nella diagnosi di PCOS, che risulta confusionaria nell’ ambito della clinica e “ritarda la comprensione della sindrome” (Health 2016).

Nel 2012 durante un Workshop organizzato dalla NIH, sono stati evidenziati vantaggi e svantaggi dell’esistenza di criteri diagnostici per la PCOS (Health 2016).

Il congresso fu organizzato secondo i criteri NIH e tutti i lavori disponibili vennero presentati da 29 esperti di PCOS provenienti da differenti Paesi a quattro membri del seminario, le cui competenze di ricerca riguardavano la PCOS. Dai

Le aree circolari sono follicoli s o n o f o l l i c o l i s o n o f o l l i c o l i

(17)

17

risultati venne consigliato l’ uso più ampio dei criteri ESHRE/ASRM del 2003, ma accompagnati da una dettagliata descrizione dei fenotipi PCOS inclusi. Come in precedenza proposto da Azziz, il consenso dei membri del NIH raccomandava l’uso della seguente classificazione fenotipica:

A. HA (clinico o biochimico)+OD+PCOM; B. HA+OD; C. HA+PCOM; D. OD+PCOM

L’approccio fenotipico proposto è altamente conveniente per la pratica clinica e la ricerca epidemiologica. Nonostante la discussione in corso riguardo la validità dei correnti criteri di PCOS, la classificazione fenotipica consente la caratterizzazione della popolazione PCOS secondo la presenza o assenza delle principali caratteristiche. Fintanto che la presenza di HA, OD e PCOM vengono considerate il nucleo delle caratteristiche. La presenza di HA, OD e PCOM sono infatti il nucleo delle caratteristiche PCOS e i fenotipi PCOS sono delle “building box” di tutte le esistenti definizioni (M. P.-J. Daria Lizneva 2016). Va sottolineato che l’ approccio fenotipico per definire la PCOS ha un certo numero di applicazioni pratiche. Per esempio, nella pratica clinica potrebbe facilitare l’identificazione di quelle donne con PCOS che hanno un maggior rischio di disfunzione metabolica (quelle con il “classico” fenotipo PCOS- fenotipo A e B-) (C. E.-K.-M. Azziz R, Positions statement: criteria for defining polycystic ovary syndrome as a predominantly hyperandrogenic syndrome: an Androgen Excess Society guideline

2003, or AE-PCOS 2006) being used to define PCOS are of limited consequence, because essentially the PCOS pheno-types are the ‘‘building blocks’’ of all existing definitions.

The phenotypic approach to defining PCOS has a number of practical applications. For example, in routine clinical practice it would be helpful to identify those women with PCOS who are at the highest risk for metabolic dysfunction— those with ‘‘classic’’ PCOS phenotypes (i.e., phenotypes A and

B)(24).Anotherimportantapplicationofthisapproachisseen

when conducting epidemiologic research and clinical trials

(23), in which the use of this classification allows researchers

to categorize their outcomes on a finite number of PCOS phe-notypes, permitting comparisons with other well-defined PCOS populations.

PCOS Criteria in Adolescents

Although essentially the definition of PCOS in adolescents follows the general principles outlined for adult women, there areanumberofcaveatsthatneedtobeconsideredwheneval-uating this age group, particularly in girls whose presentation does not meet the full presentation seen in adults. Clinicians and researchers alike should keep in mind that this is a period of hormonal and reproductive transition, such that whereas some of these girls will present with clearly mature PCOS fea-tures, others will present with less clear and more subtle signs only suggestive of the disorder. However, by age 18 years, the vast majority of girls who have PCOS will have developed the phenotype clearly.

It is possible that PCOS may begin to manifest itself in adolescence but may not be readily diagnosable until adult-hood. There is no general consensus on how PCOS should

be defined in adolescents(30). Several features suggestive

of PCOS are also common during the normal pubertal transi-tion to adulthood. For example, multifollicular ovaries can be

found in approximately 26% of adolescents(31). Moreover,

during puberty ovarian volume is typically greater compared

with adults (32). However, limited evidence suggests that

2yearsaftermenarchethethresholdforovariansizeissimilar

to that of adults(32). Despite the fact that menstrual

dysfunc-tion is a common feature of normal reproductive maturadysfunc-tion

(33),prolongedadolescentoligomenorrheaatage14–19years

hasbeenfoundtobepredictiveofpersistentovariandysfunc-tion later in life(34).

Total and free T levels in adolescents 1 to 2 years after menarche are generally comparable to those in adults

(35, 36). Alternatively, there are no data documenting the progression of terminal hair growth over time from adolescence through adulthood, although it is likely that by age 18 years the modified Ferriman-Gallwey hirsutism scores arethoseofanadult.Inastudyof633unselectedwomenpre-senting for a pre-employment physical examination, mostly aged 18 through 45 years, the modified Ferriman-Gallwey

score was not associated with age(37). Therefore, it is likely

that adult criteria for HA and ovarian volume, but not follic-ular count, could be used in adolescents that are 2 years after

menarche(30).

Recently two sets of adolescent PCOS criteria were

sug-gested, one by an ESHRE/ASRM working group(38)and the

other by a clinical practice guidelines committee of the

Endo-crine Society(30)(Table 3). According to these

recommenda-tions, when PCOS is not clearly evident by adult standards, in adolescents the disorder could be considered on the basis of the presence of increased serum androgens levels and/or pro-gressive hirsutism, in association with persistent oligo/amen-orrhea for at least 2 years after menarche and/or primary amenorrhea by age 16 years, and/or an ovarian volume

>10 cm3, after exclusion of secondary causes. It should be

TABLE 3

Diagnostic criteria for polycystic ovarian syndrome in adolescents. Parameter ESHRE/ASRM2012(38) Endocrine Society2013(30) Criteria 1. Clinical or biochemical

hyperandrogenisma 2. Oligo-/anovulationb 3. Polycystic ovarian morphologyc 1. Clinical or biochemical hyperandrogenisma 2. Persistent oligo-/ anovulationb Limitation Three of three criteria

required with exclusion of other etiologies

Two of three criteria required with exclusion of other etiologies

Note: ASRM ¼ American Society for Reproductive Medicine; ESHRE ¼ European Society for Human Reproduction and Embryology.

aIncreased serum androgens and/or progressive hirsutism.

bOligo-/amenorrhea for at least 2 years, or primary amenorrhea by age 16 years. cOvarian volume >10 cm3.

Lizneva. Criteria, prevalence, and phenotypes of PCOS. Fertil Steril 2016.

TABLE 2

Classification of polycystic ovarian syndrome phenotypes.

Parameter Phenotype A Phenotype B Phenotype C Phenotype D

PCOS features HA/OD/PCOM HA/OD HA/PCOM OD/PCOM

HA þ þ þ # OD þ þ # þ PCOM þ # þ þ NIH 1990 criteria X X Rotterdam 2003 criteria X X X X AE-PCOS 2006 criteria X X X

Note: AE-PCOS ¼ Androgen Excess & PCOS Society; HA ¼ hyperandrogenism; NIH ¼ National Institutes of Health; OD ¼ ovulatory dysfunction; PCOM ¼ polycystic ovarian morphology. Modified from reference(24).

Lizneva. Criteria, prevalence, and phenotypes of PCOS. Fertil Steril 2016.

VIEWS AND REVIEWS

(18)

2006). Un’altra importante applicazione risiede nella conduzione della ricerca epidemiologica e negli esami clinici, nei quali l’uso della classificazione permette ai ricercatori di organizzare i risultati in base ad un numero di fenotipi, permettendo il confronto con il resto della popolazione PCOS ben definita.

1.1.5 FISIOPATOLOGIA

Una chiara eziologia della malattia ancora non è stata del tutto identificata. Le principali alterazioni endocrine sono rappresentate da: iperandrogenismo, ipersecrezione di LH e iperinsulinismo.

I meccanismi con cui questi fattori interagiscono tra loro nella PCOS sono estremamente complessi e, per certi aspetti, non ancora completamente chiariti . I meccanismi alla base dell’Insulino-resistenza (IR) potrebbero essere:

• Eccessiva fosforilazione in Serina della subunità β del recettore dell’ Insulina;

• Mutazioni del gene per il recettore dell’Insulina o per l’IRS-1 (substrato del recettore per l’Insulina), fosforilato dalla sua attività Tirosin-chinasica, (Tyr-K);

• Deplezione di adenosina intracellulare; • Deficit di PPAR-γ;

• Difetto post-recettoriale del trasporto di Glucosio; • Alterata clereance dell’Insulina nei tessuti periferici.

Gli altri fattori che entrano in gioco nella patogenesi della PCOS sono rappresentati da:

• Fattori dietetici. Una dieta ricca di lipidi a breve e lunga catena provocherebbe una riduzione della sintesi epatica di SHBG e continuerebbe ad esacerbare l’iperandrogenismo;

• Iperandrogenismo funzionale. L’iperattività del p450c17 (che trasforma il 17-OH Pregnenolone in DHEA-s e il 17-OH Progesterone in δ4-A) e la 17α idrossilasi (che trasforma il Pregnenolone in 17-OH-Pregnenolone e il

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aumentata biodisponibilità di Insulina e IGF. Questi da una parte stimolerebbero direttamente l’ attività dell’ enzima ovarico e dall’ altra, inibendo la maturazione dei follicoli e quindi delle cellule della granulosa provocherebbero un deficit di Aromatasi con un aumento delle concentrazioni di androgeni (Rodin 1994);

• Iperestrogenismo funzionale. Nella PCOS c’è una produzione aciclica di Estrogeni, che, stimolando la secrezione di LH e inibendo quella di FSH, altererebbe il rapporto LH/FSH e provocherebbe anovularietà. Inoltre, l’aumento di LH, determinando ipertecosi, metterebbe a disposizione dei tessuti periferici una maggiore quantità di androgeni da aromatizzare nell’Estrogeno debole Estrone. Quest’ultimo opererebbe un feedback positivo sul LH, contribuendo a perpetuare l’anovularietà;

• Secrezione di molecole da parte del tessuto adiposo. Il tessuto adiposo è un organo endocrino altamente attivo, capace di produrre una serie di sostanze che pure potrebbero essere implicate nella patogenesi della PCOS: Leptina, TNF-α, IL-6, Adiponectina. Nelle donne con PCOS c’è una marcata resistenza alla Leptina che contribuisce a favorire il deposito di grasso a livello addominale (Escobar-Morreale 2007);

• Alterazioni del gene PPAR-γ, che si associano a IR, iperinsulinemia, lipodistrofia, sindrome metabolica, oligomenorrea, irsutismo (Barber 2006);

• Fattori neuroendocrini: aumento di ampiezza e frequenza della pulsatilità del LH, mediato dal GnRh. Non si sa se tale fenomeno sia dovuto ad una alterazione primitiva dell’asse ipotalamo-ipofisi o secondario ad alterazioni del segnale periferico.

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Figura 4: patogenesi della PCOS

Per tali ragioni, l’eziopatogenesi della PCOS non è stata ancora accertata, poiché non è stato possibile determinare se la causa primaria risieda nell’ovaio, nell’asse ipotalamo-ipofisi o nel surrene, cioè se l’iperandrogenismo sia causa o l’effetto degli aumentati livelli di LH.

Le ipotesi patogenetiche più recenti suggeriscono che alla base della PCOS ci sia una disregolazione dell’attività dell’enzima cit. p450c17 (una sua anomala attività potrebbe spiegare sia l’iperandrogenismo ovarico che quello surrenalico) (Tiras 1999). La conversione degli androgeni a livello del tessuto adiposo comporta un’aumentata produzione di estrogeni, in particolare di Estrone. A livello ipotalamico, l’eccesso di Estrone e di androgeni aumenta la pulsatilità e la liberazione di GnRh e, a livello ipofisario, esalta la sensibilità delle cellule gonadotrope al GnRh, con produzione preferenziale di LH e perdita della sua secrezione ciclica. Gli alti livelli di LH, pertanto, stimolano ulteriormente la produzione di Androgeni da parte delle cellule tecali e questo fa sì che si crei un circolo vizioso. A livello del follicolo, gli androgeni prodotti in eccesso dalle cellule della teca, non vengono tutti convertiti in Estrogeni. Tutti questi fattori (elevati livelli di Insulina circolante, insufficiente stimolazione da parte del FSH ed eccesso di Androgeni) impediscono lo sviluppo follicolare e l’ovulazione con la presenza di follicoli bloccati nella fase antrale che determinano il caratteristico quadro “multicistico” delle ovaie.

(21)

1.1.6 APPROCCIOTERAPEUTICO

Le scelte terapeutiche saranno in funzione del tipo e dell’entità dei disturbi. Nel caso in cui vi sia desiderio di gravidanza, infatti, la terapia avrà come obiettivo principale la ricerca del concepimento e non potrà invece risolvere alcuni dei disturbi legati all’iperandrogenismo.

Gli obiettivi dell’azione terapeutica sono:

• Ridurre gli androgeni circolanti e i segni di androgenizzazione;

• Ridurre la resistenza all’Insulina e prevenire le complicanze metaboliche a lungo termine e diminuire il rischio cardiovascolare;

• Cercare di raggiungere il peso ideale;

• Controllare la ciclicità mestruale e/o dei sanguinamenti disfunzionali e individuare la forma di contraccezione più adatta;

• Correggere l’infertilità mediante induzione dell’ovulazione spontanea e/o migliorando la risposta alle terapie di induzione dell’ ovulazione;

• Proteggere l’endometrio e prevenire il carcinoma dello stesso; • Prevenire le apnee notturne (Tresoldi 2009).

1.2 INDUZIONE

DELL’OVULAZIONE

NELLA

PCOS

Nel caso in cui l’obiettivo sia la ricerca di una gravidanza e il problema principale siano i cicli anovulatori, l’induzione dell’ovulazione sarà l’obiettivo terapeutico principale. Ci sono varie strategie terapeutiche utilizzate nell’induzione dell’ovulazione in donne con la sindrome dell’ovaio policistico. I trattamenti più efficaci agiscono sull’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio.

I trattamenti per indurre l’ovulazione nelle donne PCOS possono essere divisi in quelli che agiscono direttamente sull’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio e quelli che agiscono su fattori metabolici e che probabilmente interagiscono per via indiretta con l’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio. Le strategie terapeutiche che mirano a determinare un’efficace stimolazione follicolare e successiva ovulazione, mediante l’approccio riproduttivo, prevedono l’utilizzo di:

• Clomifene Citrato. E’ uno dei più comuni modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni utilizzato (SERM) nell’ induzione ovarica delle donne con PCOS (Homburg R 2012). Nello specifico funzionano come

(22)

antagonisti dei recettori degli Estrogeni a livello ipotalamico e stimolano la secrezione del GnRh e di conseguenza quella del FSH. Inoltre il Clomifene determina un aumento del SHBG (sex hormone binding globulin) anche a seguito di brevi esposizioni al farmaco.

Figura 5: farmacodinamica del Clomifene Citrato

Lo schema classico prevede la somministrazione di 50 mg/die per 5 giorni a partire dal 3°-5° giorno del ciclo. Il trattamento dovrebbe essere limitato a 6 cicli ovulatori (EY. 1984). È possibile, tuttavia, aumentare la dose in caso di fallimento fino a 150 mg/die se non si ottiene l’ovulazione;

• Gonadotropine. Le gonadotropine ricombinanti o menopausali sono state utilizzate in passato come trattamento di seconda linea per indurre l’ovulazione, anche se diversi studi hanno evidenziato un maggior numero di gravidanze rispetto al Clomifene (Homburg R 2012). Dato che le pazienti con PCOS hanno un aumentato rischio di effetti collaterali dovuti all’ utilizzo di gonadotropine (sindrome da iperstimolazione ovarica e gravidanza multipla) dovrebbero essere utilizzati bassi dosaggi;

(23)

• GnRh pulsatile. È stato somministrato a donne con PCOS ed ha prodotto ottimi risultati in termini di ovulazione e gravidanza. Tuttavia resta scomoda la modalità di somministrazione del farmaco che avviene attraverso infusione, rispetto a quella per o.s. (Richard S. Legro 2016). Gli inibitori dell’aromatasi in passato erano utilizzati per indurre l’ovulazione in donne con PCOS attraverso la riduzione dell’inappropriato feedback degli Estrogeni deboli circolanti (Estrone). Quest’ultimo determinerebbe, infatti, un aumento della secrezione di FSH e dello sviluppo follicolare. Il farmaco più studiato ed utilizzato è stato il Letrozolo che sembrava provocare un minor reclutamento follicolare e un minore effetto anti- estrogenico sull’ endometrio, rispetto ai modulatori selettivi dei recettore degli Estrogeni (Bethesda s.d.) (Casper RF 2006). Tuttavia, in Italia, il suo utilizzo è off-label poiché il suo effetto teratogeno è discusso (M.M.Biljan s.d.).

Gli approcci metabolici finalizzati all’induzione dell’ovulazione utilizzano:

• La Metformina, che è una biguanide utilizzata per il trattamento del Diabete di tipo 2 come ipoglicemizzante. Studi passati hanno evidenziato che la Metformina è associata ad una riduzione degli Androgeni circolanti, probabilmente dovuto ad un effetto diretto sulle ovaie, e un miglioramento dei tassi di ovulazione rispetto al placebo (Bethesda s.d.) (Nestler JE 1996) (NestlerJE 1998). Nonostante ciò, diversi studi che hanno comparato la Metformina con il Clomifene hanno dimostrato che le gravidanze e il numero di nati vivi sono significativamente più bassi utilizzando la Metformina da sola (Tang T s.d.). Il dosaggio ideale per le donne con PCOS è dibattuto, anche se dosi più elevate potrebbero dare una maggiore perdita di peso (Harborne LR 2005). Nella maggior parte degli studi è stata utilizzata una dose totale che va da 1500 a 2550 g al giorno, somministrata in diversi dosaggi (BID o TID) ;

• Tiazolindinedioni. Utilizzati per il trattamento del Diabete di tipo 2 e come insulino-sensibilizzanti periferici. Il capostipite della famiglia, il Troglitazone, fu studiato ampiamente nella PCOS, ma fu rimosso dal commercio per via della sua epatotossicità. Anche le altre molecole (Rosiglitazone e Pioglitazone) hanno mostrato importanti effetti collaterali,

(24)

ragione per la quale questa classe farmaceutica riveste un ruolo di marginale importanza nell’induzione ovarica delle donne con PCOS; • Inositolo. L’interesse per l’inositolo, nel trattamento della PCOS, nasce da

uno studio randomizzato che mostrava come un isomero dell’inositolo (d-chiro-inositolo) migliorasse la sensibilità insulinica e il tasso di ovulazione e abbassasse il valore del Testosterone (J. D. Nestler JE 1999).

All’approccio farmacologico, infine, è necessario associare sempre comportamenti finalizzati alla perdita di peso. Il primo step consiste nella modificazione dello stile di vita (dieta equilibrata e attività fisica) e solo secondariamente vi è la possibilità di ricorrere a farmaci dimagranti o eventualmente alla chirurgia bariatrica (Johansson K 2015).

(25)

2 TECNICHE

DI

FERTILIZZAZIONE

IN

VITRO

2.1 FOLLICOLOGENESI

E

REGOLAZIONE

DELLA

MATURAZIONE

OVOCITARIA

Nella gonade femminile (l’ovaio) l’unità funzionale è rappresentata dal follicolo ovarico. Durante la vita fetale, le cellule germinali primordiali (oogoni) si dividono rapidamente per meiosi nell’ovaio in via di sviluppo, diventando poi ovociti che si arrestano allo stadio di PI (profase I). In questa fase l’ovocita, assieme alle cellule della granulosa che lo circondano, forma una struttura che prende il nome di follicolo primordiale. Questi ultimi, a piccoli gruppi, danno inizio al processo di follicologenesi, durante il quale il follicolo cresce e si differenzia. Il processo è caratterizzato da due fasi:

- Fase gonadotropino-indipendente (più lunga). L’inizio della crescita dei

follicoli primordiali è indipendente dal controllo ormonale e porta alla

formazione del follicolo primario che a sua volta darà origine al follicolo

secondario-preantrale ed in seguito antrale iniziale;

- Fase gonadotropino-dipendente, che inizia pochi giorni prima del menarca e interessa una coorte di follicoli secondari di classe V. Tale fase può essere a sua volta suddivisa in diversi step: reclutamento, accrescimento dei follicoli selezionati, selezione del follicolo dominante, ovulazione e luteinizzazione (ciclo ovarico fisiologico). Alla fine un solo follicolo darà origine ad un ovocita maturo, mentre gli altri andranno incontro ad atresia.

(26)

Gli ormoni che guidano questa seconda fase (gonadotropino-dipendente) sono il LH e FHS, prodotti dall’ipofisi in risposta alla stimolazione pulsatile dell’ormone ipotalamico GnRh. Nel ciclo ovarico fisiologico, i livelli plasmatici ormonali sono caratterizzati da un iniziale aumento di FSH durante la transizione luteale-follicolare (Hall JE 1992) e da concentrazioni più basse nella fase luteale-follicolare tardiva. Al contrario, i livelli ematici di LH nella fase follicolare sono inizialmente bassi e poi aumentano progressivamente fino al picco pre-ovulatorio di LH (Filicori M 1986). La prevalenza di FSH nella fase follicolare precoce è fondamentale per il reclutamento follicolare mentre il progressivo incremento di LH nella fase tardiva è critico per la selezione del follicolo dominante (Zeleznik AJ 1984).

(27)

L’ovocita rimane quiescente nel follicolo dominante espanso e si riattiva dopo il picco pre-ovulatorio di LH. Successivamente l’ovocita viene ovulato e rimane arrestato nello stadio di MII (metafase II) fino al momento della fecondazione, durante la quale porterà a termine la seconda divisione meiotica.

2.2 CONCETTO

DI

INFERTILITA’

L’infertilità fa riferimento ai problemi connessi con l’attecchimento o con lo sviluppo dell’embrione, con conseguente incapacità di portare a termine la gravidanza per la donna. Al contrario, la sterilità si definisce come condizione di ostacolo per la fecondazione con conseguente mancanza di capacità procreativa sia nell’uomo che nella donna. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) e l’American Fertility Society (A.F.S.) una coppia è da considerarsi infertile quando non è in grado di concepire e di avere un bambino dopo un anno o più di rapporti sessuali. Si distingue inoltre un’infertilità secondaria, tipica di quelle coppie che non riescono nuovamente a procreare a seguito di una precedente gravidanza coronata con successo. Le cause di infertilità femminile possono essere dovute a:

fattore endocrino. E’ responsabile nel 30-40% dei casi di sterilità

femminile e la sua espressione più tipica consiste nella mancanza di

ovulazione, meno frequentemente può essere dovuta a un’alterata funzione del corpo luteo, a una secrezione ormonale patologica

(iperprolattinemia, eccesso di androgeni) oppure a una risposta dei tessuti e organi bersaglio inadeguata per una normale attività riproduttiva (R. Palermo et al. 1994);

• fattore tubarico (o tubo-peritoneale). Interviene nel 35% dei casi ed in genere dipende da modificazioni funzionali o anatomiche delle tube di Falloppio e del peritoneo circostante, capaci di interferire con la funzione tubo-ovarica;

• il fattore uterino endometriale partecipa nel 5% dei casi. Le alterazioni uterine che possono portare a sterilità sono rappresentate da malformazioni (soprattutto agenesia uterina, setti, utero bicorne), anomalie di posizione (rare), processi infiammatori, lesioni traumatiche, fibromi e grossi polipi.

(28)

• il fattore cervicale ha una frequenza del 5-10%, questo viene chiamato in causa in tutte quelle condizioni nelle quali la sterilità dipende da un’alterazione dei meccanismi di penetrazione, sopravvivenza e migrazione degli spermatozoi nel muco cervicale. Questo può dipendere da alterazioni di natura anatomica, infettiva, funzionale o immunologica. • il fattore vaginale, come l’agenesia vaginale rappresenta una sicura causa

di sterilità, rimane dubbio il valore di altre malformazioni (setti trasversali, stenosi, etc.). È possibile che queste anomalie possano in certi casi diventare causa di sterilità, sia ostacolando il rapporto sessuale, sia impedendo una normale deposizione di liquido seminale in vagina; • la presenza di anticorpi anti-sperma (nel muco cervicale, negli altri tratti

dell’apparato riproduttivo, nel siero etc.), anticorpi anti embrione, malattie autoimmuni, trombofilia, aborti ricorrenti, può determinare sterilità che in questi casi viene definita da causa immunologica;

• infine, anche cause recettoriali come un’alterata recettività della mucosa cervicale o endometriale all’azione dell’estradiolo e/o del progesterone (muco cervicale non favorevole-irregolare maturazione dell’endometrio) possono provocare sterilità.

In qualche caso nella stessa paziente possono concorrere a determinare la sterilità più fattori associati.

Nella valutazione complessiva della donna bisogna tener conto anche della durata della sterilità, dell’uso di droghe e farmaci (soprattutto chemioterapici), di una pregressa radioterapia, dell’ eccesso o del ridotto peso corporeo e di fattori psico-emotivi come lo stress; inoltre è importante valutare l’eventuale presenza di abitudini di vita che possono interferire con la fertilità della donna, quali il fumo di sigaretta, l’eccesso di alcool e caffè, una dieta squilibrata e l‘eccessivo esercizio fisico.

2.3 TECNICHE

DI

PROCREZIONE

MEDICALMENTE

ASSISTITA

Per Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) si intende l’insieme di tutti quei trattamenti per la fertilità nei quali i gameti, sia femminili (ovociti) che maschili

(29)

Queste tecniche sono utilizzate per favorire il concepimento in tutte le coppie, laddove questo non possa avvenire spontaneamente. La PMA comprende tecniche di primo e secondo livello. Nelle tecniche di primo livello la fecondazione avviene all’interno dell’apparato genitale femminile. La IUI (inseminazione intrauterina) prevede l’introduzione del seme maschile nella cavità uterina contemporaneamente al monitoraggio dell’ovulazione della donna per favorire l’incontro spontaneo dei due gameti nel corpo femminile (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010).

Le tecniche di secondo livello prevedono invece che la fecondazione avvenga in vitro. Queste sono rappresentate dalla FIVET (fFcondazione in Vitro Embrio Transfer) o IVF (In Vitro Fertilization) e dalla ICSI (Iniezione Intracitoplasmatica di un Singolo Spermatozoo).

La FIVET prevede una serie di azioni:

• Induzione e monitoraggio della crescita follicolare multipla; • Il prelievo degli ovociti;

• L’identificazione e classificazione degli ovociti; • La preparazione del liquido seminale;

• L’inseminazione

• Il controllo della fertilizzazione; • Il transfer degli embrioni nell’utero.

La ICSI è una particolare metodica di fertilizzazione, che prevede gli stessi passaggi della FIVET, fino al momento della fecondazione che, come abbiamo già anticipato, avviene tramite iniezione diretta di un singolo spermatozoo all’interno del citoplasma dell’ ovocita.

Tra le varie indicazioni delle tecniche di secondo livello (patologia tubarica, infertilità idiopatica, endometriosi, fattore maschile) vi è l’anovularietà cronica. In tal caso la FIVET è indicata se dopo 12 cicli di induzione dell’ovulazione e poi dopo 4-6 cicli di inseminazione intrauterina non si è ottenuta una gravidanza.

2.4 STRATEGIE

DI

INDUZIONE

DELLA

CRESCITA

FOLLICOLARE

MULTIPLA

La stimolazione ovarica ormonale con conseguente induzione dello sviluppo di follicoli multipli è diventata una tappa di fondamentale importanza nei cicli

(30)

FIVET permettendo un miglioramento significativo dei risultati clinici (Gd 1990) (P. 2003), rispetto al trasferimento di un singolo embrione.

Dal punto di vista della fisiologia della funzione ovarica, è noto che a seguito della caduta di estrogeni, Inibina A e progesterone durante la fase luteale tardiva, si ha un aumento della frequenza secretoria del GnRh che a sua volta induce un incremento sierico di FSH (Le Nestour E 1993).

Quando le concentrazioni di FSH raggiungono i livelli soglia, i follicoli antrali vengono reclutati e iniziano la loro crescita (GD 1982) (J. 1990). Nella fase follicolare iniziale vi è un aumento della produzione di estrogeni che determina a sua volta una caduta dei livelli sierici di FSH (AA. 1990) al di sotto del livello soglia. A seguito di ciò, mentre il follicolo dominante continua la sua crescita, gli altri vanno incontro ad atresia (AM. 1997). La crescita del follicolo dominante potrebbe anche essere dovuta al ruolo centrale svolto dal LH nella fase di selezione e dominanza follicolare. Da tali meccanismi fisiologici di selezione follicolare si può comprendere come la prosecuzione mediante somministrazione di gonadotropine esogene del momentaneo incremento delle concentrazioni sieriche di FSH al di sopra della soglia di stimolo per quella determinata paziente impedisca la fase di selezione e dominanza follicolare permettendo lo sviluppo sincrono fino allo stadio di maturità di parte o tutti i follicoli reclutati che fisiologicamente sarebbero altrimenti andati incontro ad atresia. Questo è il concetto alla base di tutti i protocolli di induzione farmacologica della crescita follicolare multipla (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010).

Fino a prima dell’impiego routinario degli agonisti del GnRh, i protocolli di induzione di crescita della crescita follicolare multipla si basavano sull’uso del Clomifene citrato solo o associato a gonadotropine. Tuttavia questi protocolli provocavano un elevato tasso di cancellazioni dei cicli (per picchi prematuri di LH, secondari al feed-back positivo degli alti valori di estradiolo). L’introduzione degli agonisti del GnRh ha permesso di bloccare il rilascio intempestivo di gonadotropine ipofisarie durante i protocolli di stimolazione ovarica azzerando praticamente il rischio di picchi prematuri di LH e conseguenti luteinizzazioni precoci (Fleming R 1986).

(31)

2.4.1 PROTOCOLLIDISTIMOLAZIONECONAGONISTIDELGNRH

Esistono due tipi di protocolli: protocollo lungo o “long protocol” e protocollo corto o “flare up”. La caratteristica del protocollo lungo è quella di indurre una desensibilizzazione ipofisaria prima di iniziare la stimolazione con le gonadotropine. Questo si può ottenere grazie ad una continua azione del GnRh agonista a livello ipofisario che dopo un iniziale potente stimolo con conseguente rilascio di elevate concentrazioni di FSH e LH induce dopo 10-15gg uno stato di quiescenza (MD 1999).Generalmente l’agonista viene iniziato nella fase medio luteale del ciclo precedente evitando così che il potente rilascio iniziale di FSH endogeno possa far iniziare una traiettoria di crescita a follicoli reclutabili (Hughes EG 1992). I principali aspetti negativi di questo trattamento sono rappresentati dalla lunghezza del trattamento, dall’aumento del consumo di gonadotropine, dall’aumento del rischio di sindrome di iperstimolazione ovarica severa nella pazienti normo o iper responder.

Nel protocollo corto l’agonista del GnRh viene iniziato al secondo giorno del ciclo mentre le gonadotropine al terzo (Huirne JA 2004). La potente azione stimolante iniziale dell’ agonista del GnRh sull’ ipofisi induce la secrezione di elevate concentrazioni di FSH e LH che vengono sfruttate per l’iniziale reclutamento follicolare alle quali si aggiungono le concentrazioni di gonadotropine esogene. In questo modo si raggiunge una corretta maturazione follicolare nell’arco di 10-12 gg di stimolazione.

2.4.2 PROTOCOLLI DI STIMOLAZIONE CON ANTAGONISTI DEL GNRH

Gli antagonisti del GnRh prevengono l’insorgenza di picchi prematuri di LH legandosi in maniera competitiva e dose dipendente ai recettori ipofisari del GnRh senza indurre la loro attivazione (Matikainen T 1992). In questo modo non si viene a determinare un potente rilascio di gonadotropine endogene prima di raggiungere la desensibilizzazione ipofisaria ma una soppressione immediata e reversibile della secrezione gonadotropinica. Gli antagonisti, quindi, possono essere utilizzati esclusivamente nella fase follicolare medio-tardiva permettendo di iniziare la stimolazione con gonadotropine nella fase follicolare iniziale. Questo approccio permette di sfruttare l’azione di FSH endogeno piuttosto che di inibirla

(32)

con conseguente riduzione della durata della somministrazione e del consumo di gonadotropine esogene.

In base alla dose e alla tempistica di inizio dell’antagonista del GnRh durante la stimolazione con gonadotropine, esistono due protocolli:

• Protocollo a dose singola. L’antagonista viene somministrato in una singola dose di 3mg il 7°-8° giorno del ciclo o quando il follicolo dominante raggiunge 13-14 mm in diametro medio. In questo modo il picco prematuro di LH viene bloccato per 3-4 giorni (Olivennes F 1998); • Protocollo a dosi multiple. La dose giornaliera può essere iniziata in

maniera fissa a partire dal sesto giorno di somministrazione delle gonadotropine o in base alle dimensioni del follicolo dominante (Klipstein S 2004) (Ludwig M 2002) e continuata fino alla sera della somministrazione di hCG esogeno per indurre la maturità finale ovocitaria. La somministrazione delle gonadotropine a più basso dosaggio (“mild stimulation”) può essere posticipata fino alla fase follicolare medio-tardiva, un paio di giorni prima dell’inizio dell’antagonista del GnRh, prevenendo da una parte il decremento delle concentrazioni di FSH endogeno e quindi la crescita monofollicolare e dall’altra assecondando l’iniziale reclutamento e selezione follicolare fisiologica (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010).

2.4.3 DOSAGGI DI GONADOTROPINE E MONITORAGGIO DELLA CRESCITAFOLLICOLAREMULTIPLA

La dose iniziale di gonadotropine esogene dovrebbe essere compresa tra 100 UI e 300 UI al giorno per i primi 4-5 giorni di FSH ricombinante o urinario o menotropine urinarie purificate a seconda dell’età, della riserva ovarica della paziente e dei risultati di eventuali precedenti stimolazioni ovariche.

Dopo la somministrazione per 4-5 giorni della dose gonadotropinica di partenza, la risposta alla stimolazione ormonale viene monitorata con misurazioni seriate sia delle concentrazioni sieriche di Estradiolo che dei follicoli mediante ecografie transvaginali effettuate successivamente ogni 1-3 giorni. Una corretta dose quotidiana di gonadotropine di partenza corrisponde dopo 4-5 giorni ad una

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follicolari comprese tra 10-12 mm (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010). Le dimensioni medie dei follicoli aumentano dell’80-100% ogni 48 ore e la dimensione di circe 1-1,5 mm al giorno. La durata della stimolazione è di circa 9-12 giorni e lo scopo dell’induzione di crescita follicolare multipla è quello di ottenere almeno 2-3 follicoli con diametro medio di 17-18 mm e concentrazioni sieriche di estradiolo corrispondenti e commisurate alla coorte di follicoli maturati (circa 150 pg/ml per follicolo > 14 mm).

Quando si sono raggiunte queste caratteristiche follicolari ed endocrine, la maturazione follicolare viene ottenuta somministrando 500-1000 UI di gonadotropina corionica (HCG) o l’equivalente dose (250 µg) della forma ricombinante di HCG (D. K. Ludwig M 2003) (SA 2003) e 36-48 ore dopo viene quindi eseguito il prelievo ovocitario.

2.5 PRELIEVO

OVOCITARIO

E

TRASFERIMENTO

EMBRIONARIO

Il PO (prelievo ovocitario) consiste nell’aspirazione dei liquidi follicolari ovarici e degli ovociti in essi contenuti ed è uno dei passaggi clinico-biologici di tutte le tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita di II livello. Il PO ecoguidato (POE) può essere eseguito per via transvaginale, transaddominale o transuretrale (non più utilizzata). L’approccio transvaginale è quello maggiormente utilizzato e viene programmato ed eseguito entro e non oltre 36 ore dall’ inizio del picco spontaneo di LH nei casi di ciclo spontaneo e 34-38 ore dopo la somministrazione di HCG (Andrea Borini,Filippo Maria Ubaldi 2010)

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Il trasferimento embrionario (TE) è il trasferimento in utero o in tuba degli embrioni ottenuti in laboratorio dopo inseminazione extracorporea degli ovociti soprattutto per via transvaginale transcervicale e rappresenta l’ultimo passaggio clinico-biologico di tutte le tecniche di PMA di II livello. Nella stragrande maggioranza dei casi il TE viene eseguito 48-72 ore dopo il PO. In realtà può essere eseguito anche 5-6 giorni dopo il PO con gli embrioni allo stadio di blastocisti.

2.5.1 CARATTERISTICHE MORFOLOGICHE DELL’OVOCITA AL PRELIEVOOVOCITARIO

Al momento dell’ovulazione l’ovocita è circondato dalle cellule del cumulo ooforo (CCO) (Sandrine Chamayou s.d.). Il tutto forma il COCC (complesso ovocita corona-cumulo) che ha un diametro di diversi millimetri ed è costituito da una massa cellulare di oltre 20000 cellule (Ortiz ME 1982). Al momento del prelievo ovocitario vengono valutate sia la dimensione che l’espansione delle cellule della granulosa che circondano strettamente l’ovocita (corona radiata) ed il colore e la forma dell’ovocita stesso. La morfologia delle CCO cambia a seconda dello stato di maturazione ovocitaria. La maturità ovocitaria viene classificata nella pratica clinica sulla base delle seguenti caratteristiche del COCC:

• Tipo 1: l’ovocita è immaturo allo stato meiotico PI (VG). Le cellule della granulosa si presentano compattate e disposte a multi-strato;

• Tipo 2: l’ovocita è ancora immaturo, detto in uno stato intermedio. E’ circondato da uno strato sottile di cellule della corona disposte sotto le cellule del cumulo. Il diametro complessivo del COCC non è superiore a 5 volte il diametro dell’ovocita. L’ovocita è in MI;

• Tipo 3: l’ovocita è maturo o pre-ovulatorio. Questo stadio corrisponde alla maturità meiotica MII. L’ovocita è idoneo per essere utilizzato nelle tecniche in vitro di PMA;

• Tipo 4: l’ovocita è molto maturo. Le cellule della corona radiata sono poco numerose e dissociate dall’ovocita. Il cumulo è ancora una massa abbondante ed è sotto forma cellulare;

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