Performático. Teoria delle arti dinamiche
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Mediologia della performance
Arti performátiche
nell’epoca della riproducibilità digitale
Roma, Bulzoni, 2012, 241 pp.
Firenze, Le Lettere, 2013, 168 pp.
Nonostante la loro collocazione editoriale separata, Performático. Teoria delle arti dinamiche e Mediologia della performance. Arti performátiche nell'epoca della riproducibilità digitale costituiscono il frutto di un lavoro di ricerca unitario e coerente, tale che, come suggerisce in più occasioni lo stesso autore, soltanto la lettura di entrambi i volumi sarebbe in grado di metterne in luce la fitta rete di connessioni. La riflessione condotta da Deriu in questi due saggi si pone in primo luogo come compito la definizione delle cosiddette arti dinamiche, quali oggetto d'indagine che, riformulando «la nozione più tradizionale e ristretta di 'teatro'» (2012: 12) in modo da ricomprendere altre forme artistiche come la danza e la musica, si presenta contemporaneamente come un campo limitato e specifico rispetto alla più generale nozione di performatività. Con il ricorso al termine «performático» – richiamato
nei titoli di entrambi i volumi – si intende infatti mettere a fuoco le caratteristiche fondamentali di determinate forme di espressione artistica che, se da una parte esigono di essere analizzate in un rapporto di contiguità e continuità rispetto all'insieme di attività e comportamenti performativi «fuori dalle arti» (nella prospettiva dei Performance Studies inaugurati dall'opera di Richard Schechner, dei quali Deriu passa in rassegna i concetti basilari, ripercorrendo inoltre alcuni momenti fondamentali del dibattito intorno ad essi), dall'altra si contraddistinguono per la loro irriducibile specificità rispetto al sistema delle cosiddette «arti diottriche» (basate cioè sulla visione) al quale sono pur state a lungo ricondotte: l'azione dal vivo intesa come loro «materiale di costruzione» (ibid.: 96), l'iteratività del twice-behaved-behaviour (poiché ogni atto performativo si dà essenzialmente come ri-esecuzione), lo stretto legame con l'oralità (inteso come mezzo espressivo, compositivo e di conservazione del sapere) sono indicati in questo senso come elementi imprescindibili che separano le arti dinamiche dagli altri fenomeni artistici (come il cinema, la cui radicale differenza rispetto al teatro era stata oggetto dell'analisi di Walter Benjamin, da Deriu accuratamente riletta e ridiscussa) facendo di queste ultime delle forme riconducibili, in una prospettiva antropologica, a «modalità primitive se non arcaiche di creazione e immagazzinaggio delle conoscenze» (ibid.:171). Dato dunque il suo carattere di strumento cognitivo pretecnologico di conservazione e trasmissione dei saperi, qual è il destino del «performático» in una realtà quale quella contemporanea in cui l'avvento delle tecnologie digitali ha radicalmente rivoluzionato le modalità di archiviazione delle conoscenze umane? Una risposta a tale quesito, che costituisce un altro punto focale della riflessione condotta nei due volumi, può essere avanzata, secondo quanto suggerisce Deriu, soltanto in una prospettiva «mediologica» (ovvero di studio delle trasformazioni di mentalità e comportamenti determinate da un'innovazione tecnica) con un'attenta analisi delle modalità attraverso le quali la riproducibilità (ed in particolare quella digitale) si è innestata all'interno di quel rapporto tra oralità e scrittura, repertorio e archivio, che costituisce una delle problematiche fondamentali relative alla funzione cognitiva delle arti
dinamiche. Partendo dal presupposto che queste tre forme di trasmissione del sapere debbano essere considerate (secondo l'approccio suggerito da Jack Goody) non in termini oppositivi, quanto piuttosto nella complessità delle loro interazioni e stratificazioni, l'autore osserva come l'affermazione della riproducibilità tecnica (e digitale in particolare) abbia due conseguenze fondamentali: da una parte essa si pone in un rapporto di continuità con la “tecnologia” della scrittura, in quanto amplificazione delle possibilità di registrazione e di «congelamento» (2013: 136) di quest'ultima (carattere sulla base del quale viene interpretata, nel quarto capitolo di Mediologia della Performance, la diffidenza di Jerzy Grotowski nei confronti dell'audiovisivo così come della parola scritta); dall'altra, esaltando la natura fluida e dinamica del movimento e del suono, getta le basi per una nuova specie di oralità, «di ritorno», secondo la definizione di Walter Ong, o «postalfabetica» (ibid.: 133). La realtà contemporanea, caratterizzata dall'avvento dei “nuovi media”, vede dunque la nascita e l'affermazione di fenomeni performátici che sembrano rivitalizzare modalità di espressione, composizione e trasmissione legate ad un'oralità primitiva o arcaica: il cosiddetto “teatro di narrazione” (del quale vengono evidenziate le affinità con la poesia epica), il successo della “canzone” quale forma estremamente adatta alla memorizzazione orale così come la proliferazione di cover e tribute band sono tutti casi paradigmatici, analizzati all'interno di Mediologia della Performance (volume che costituisce, a detta dello stesso autore, il momento applicativo dell'apparato teorico esposto in Performático), di come il repertorio – inteso come patrimonio, costantemente aperto alla variazione, di «memoria incarnata» (ibid.: 217) – costituisca una forma di «immagazzinaggio» culturale e di creatività culturale che si affianca e interagisce con gli archivi prodotti dalle tecnologie di registrazione-riproduzione. In definitiva, sembra suggerire Deriu, le arti performátiche non soltanto continueranno ad avere un loro spazio nella società nata dalla rivoluzione digitale (anche se sotto forme e funzioni probabilmente inedite), ma rivestiranno un ruolo imprescindibile di «resistenza», laddove il progresso tecnico sembrerebbe «giunto forse a una soglia critica che mette a rischio nella
specie umana qualche capacità cognitiva ed espressiva della propria specie» (ibid.: 80): se è vero che, come ha affermato Grotowski, «quando le macchine dominano, bisogna cercare il vivente» (2013: 103), allora l'investimento su quella che Benjamin ha indicato come la «prima tecnica» – quella cioè che «usa l'uomo il più possibile» laddove «la seconda lo fa il meno possibile» (cfr. 2012: 48) – può costituire una «spinta di controbilanciamento» (2013: 102) che, a fronte di una crescente «obsolescenza dell'umano» (2012: 80), punti verso la riconquista di uno «spazio di gioco» – Spielraum (cfr. ibid.: 74) – per l'attività e la creatività artistica.
L’autrice
Francesca Agamennoni
Dottoranda in Generi Letterari presso il Dipartimento di Scienze Umane dell’Università degli Studi dell’Aquila
Email: francesca.agamennoni@gmail.com
La recensione
Data invio: 30/04/2014
Data accettazione: 15/05/2014 Data pubblicazione: 30/05/2014
Come citare questa recensione
Agamennoni, Francesca, “Fabrizio Deriu, Performático. Teoria delle arti dinamiche; Id., Mediologia della performance. Arti performátiche nell’epoca della riproducibilità digitale”, Between, IV.7 (2014), http://www.Between-journal.it/