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La giustizia di transizione tra fascismo e democrazia. La Corte d'Assise straordinaria e l'amnistia Togliatti a Venezia (1945-1947).

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Corso di Laurea Magistrale in

Storia dal medioevo all’età contemporanea

ordinamento LM-84

Tesi di Laurea

La giustizia di transizione tra fascismo e

democrazia. La Corte d’Assise straordinaria e

l’amnistia Togliatti a Venezia (1945-1947)

Relatore

Ch. Prof. Simon Levis Sullam

Laureando

Mauro Luciano Malo

Matricola 855495

Anno Accademico

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ancora a Bianca…

e con un sincero e particolare ringraziamento al mio relatore,

Professor Simon Levis Sullam

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1

Introduzione………p. 5

Capitolo primo

Atto primo - L’avvio della defascistizzazione del Paese. Dall’epurazione dei governi Badoglio all’istituzione delle Corti d’Assise straordinarie...p. 9 Scena prima - Dall’arresto del duce ai primi provvedimenti epurativi

1. Uno scontro solo rinviato………..…………..….p. 9 2. False trasformazioni, comode continuità………....p. 12 3. Primi segnali di rottura?………...p. 16

Scena seconda - Da Badoglio a Bonomi; la defascistizzazione del governo italiano

1. Defascistizzare il Mezzogiorno. Settembre 1943 - marzo 1944……..………p. 18 2. Dalla “svolta di Salerno” alla liberazione di Roma………..………..p. 24 3. La “Magna Charta” dell’epurazione e il governo Bonomi……….p. 29

Scena terza - Una sfida difficile per gli angloamericani

1. I provvedimenti Alleati………p. 35

Scena quarta - La giustizia del fronte resistenziale e dei comitati di liberazione

1. La Resistenza e le bande partigiane……….…p. 41 2. Le direttive del CLNAI………p. 44 3. Il linciaggio di Carretta………..…p. 52

Scena quinta - L’istituzione delle Corti d’Assise straordinarie

1. 22 aprile 1945. Il giorno delle CAS……….…….p. 56 2. Alcune problematiche del decreto……….p. 63

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Capitolo secondo

Atto secondo - Fascicoli e sentenze: l’attività della Corte d’Assise Straordinaria di Venezia………...p. 69 Scena prima - La composizione delle contraddittorie giurie istituzionali alla ricerca del monopolio dell’epurazione

1. La Liberazione tra epurazione selvaggia e giustizia privata………..…p. 69 2. Evidenti contraddizioni. “Sotto la toga con la camicia nera”………....p. 73 3. Giudici popolari ed avvocati: espressione degli interessi ciellenistici………..p. 82

Scena seconda - Fascisti alla sbarra

1. Il territorio lagunare in fermento e l’apertura della CAS veneziana……….p. 87 2. Nelle aule di giustizia di Venezia. Le prime udienze “arroventate”………..p. 90 3. Inaugurare i processi con una condanna a morte. Il racconto del caso Pepi………..p. 94 4. Considerazioni sul processo………....p. 103

Scena terza - Tra l’accusa e la difesa. Analisi di alcuni fascicoli processuali della CAS veneziana

1. Una difesa insolita……….p. 107 2. Pio Leoni. Benefattore o collaborazionista?...p. 111 3. Incastrato per una gamba di legno. La condanna di Gino Carrer………..……p. 119

Scena quarta - Un primo bilancio dell’attività della CAS lagunare

1. Gli imputati e la folla nelle aule di giustizia: emozioni e comportamenti differenti………...p. 125 2. Qualche dato sui primi mesi………p. 128 3. Migliorare il decreto: tra arresti sommari, giudizi differenziati ed intervento

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3

Capitolo terzo

Atto terzo - Le svolte della giustizia di transizione italiana nella strada verso la pacificazione nazionale………..p. 135 Scena prima - La polarizzazione del discorso epurativo

1. Il dibattito politico sull’epurazione fra il tramonto delle CAS e il varo del decreto n. 625……….……p. 135 2. Un autunno di cambiamenti. Provvedimento d’ottobre, “legge Nenni”, caduta del governo Parri e nuovo esecutivo De Gasperi………..p. 140 3. Rispondere ai timori dell’epurazione……….p. 146

Scena seconda - Tribunali e cittadini alle prese con il nuovo decreto n. 625

1. Contrari a voltar pagina………...p. 152 2. Le direttive conservatrici della Cassazione romana………...p. 155 3. Ritorno nelle aule di giustizia di Venezia………..p. 158

Scena terza - Qualche aspetto sull’amnistia Togliatti

1. La fine di una parentesi………...……….p. 164 2. L’applicazione del decreto presidenziale n. 4 ……….p. 168 3. “Sevizie particolarmente efferate”: le storture dell’ art. 3 dell’amnistia e il discutibile

operato delle Corti ………..……….p. 177

Capitolo quarto

Atto quarto - L’epurazione cala il sipario……….p. 185 Scena prima - Venezia e Rovigo: alcune considerazioni sui processi tra 1945 e 1946

1. Gli effetti dell’amnistia Togliatti sui processi della Corte veneziana……….………p. 185 2. Un ultimo processo veneziano: il fascicolo di Carlo Aprile………..………p. 189 3. Uno sguardo ai fascicoli dell’Archivio di Stato di Rovigo………....p. 192

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4

Scena seconda - La conclusione della defascistizzazione

1. Gli ultimi provvedimenti di clemenza (fine degli anni ’40 - primi anni ’50) e lo svuotamento delle scarceri……….….p. 198

Conclusioni

1. Amnistia, memoria e oblio………...p. 203 2. Le ombre della giustizia e il ruolo dello storico…...p. 207

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5

Introduzione

Il desiderio di affrontare un ampio lavoro di ricerca all’intersezione tra storia contemporanea e storia delle istituzioni, basato su carte giudiziarie inedite, deriva non solo dalla mia passione e dall’interesse per queste discipline, ma dalla volontà di gettare luce sulle vicende che seguirono la caduta di Mussolini. Un desiderio orientato a ricordare un passato allo stesso tempo tragico e fondamentale, ed ancora un desiderio di ricordare coloro che subirono, negli atti conclusivi della guerra, vessazioni di ogni genere senza mai ottenere giustizia. Ma questa tesi scaturisce anche da una necessità presente ad ogni storico: quella di ricostruire gli eventi nella speranza di poter contribuire a rendere più chiaro il passato, ed in questo caso anche con lo scopo di denunciare alcuni dei crimini compiuti nel Secondo conflitto mondiale e nella guerra civile del 1943-1945 in Italia. La speranza è quella di contribuire, attraverso le tracce del passato giunte sino a noi1, a ricomporre un mondo più consapevole della propria storia e più giusto e libero per il futuro.

Oltre questa premessa, la tesi analizza la giustizia di transizione tra fascismo e democrazia, con uno sguardo particolare ad alcuni processi dibattuti davanti alla Corte d’Assise straordinaria di Venezia divenuta in seguito Sezione speciale della Corte d’Assise ordinaria. L’attenzione principale è per l’attività di tale Corte di giustizia negli anni 1945-1947, anche se è preso, più largamente, in considerazione il periodo dal 1943, caratterizzato dai primi regi decreti legge e provvedimenti luogotenenziali, e gli anni successivi, 1948-1953 (e infine 1959), al fine di presentare le ultime decisioni e linee istituzionali adottate dal governo italiano in tema di defascistizzazione e le loro conseguenze. Dall’arresto di Mussolini all’amnistia Azara, l’iter epurativo decennale viene qui suddiviso in quattro capitoli. Il primo è volto a presentare il quadro generale delle vicende legate all’avvio della giustizia transitoria attraverso l’istituzione delle CAS il 22 aprile 1945 - mediante il provvedimento n. 142 -, e i precedenti decreti emanati dai governi Badoglio e Bonomi. Il secondo

1 Rimando a due pietre miliari della storiografia Novecentesca: M.B

LOCH,Apologia della storia o Mestiere di storico, Einaudi, Torino, 2009 e C. GINZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in C. GINZBURG,Miti, emblemi, spie, Einaudi, Torino, 1986, pp. 158-209.

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capitolo presenta le contraddizioni del sistema giuridico italiano per la punizione dei criminali fascisti trattando non solo l’istituzione di insolite corti straordinarie composte da giudici popolari, ma pure lo stretto legame che molti dei magistrati, cooptati nei lavori di epurazione, avevano avuto da una parte - e principalmente -, con il cessato regime fascista, dall’altra col fronte Resistenziale. Nella seconda parte il capitolo si volge ad analizzare specificamente la giustizia epurativa in territorio lagunare, presentando i processi (rinvenuti in archivio) di alcuni esponenti di notevole importanza del collaborazionismo fascista repubblicano (cioè del periodo della RSI). Il terzo capitolo riprende il dibattito politico e della società sulla defascistizzazione e sulla trasformazione delle CAS: sono presentate in sintesi le diverse opinioni e proposte degli esponenti politici più o meno favorevoli all’esperienza delle Assise straordinarie e la successiva trasformazione delle CAS in Sezioni speciali delle Corti d’Assise ordinarie, grazie al decreto legge luogotenenziale n. 625/1945. Questo decreto, con relativa trasformazione delle corti giudicanti, segnò la prima rilevante modifica sul terreno della giustizia di transizione, giunta appena otto mesi dopo la fine della guerra. Ma l’aspetto più importante trattato nel terzo capitolo è il celebre decreto presidenziale n. 4 del 22 giugno 1946, passato alla storia sotto il nome di “amnistia Togliatti”. Tale provvedimento determinò la trasformazione più importante ed influente della politica epurativa, annullando la grandissima parte delle sentenze di condanna pronunciate dalle CAS e - di fatto - riabilitando i collaborazionisti della Repubblica sociale. La parte finale del terzo capitolo, e il successivo, delineano vari aspetti dell’amnistia Togliatti e i suoi effetti sulla società. Il quarto e conclusivo capitolo presenta nella sua parte inziale le conseguenze dell’amnistia del giugno 1946 specificamente sui processi dibattuti a Venezia: l’esito finale, anche nella città lagunare, sarà la quasi completa scarcerazione di coloro che in precedenza erano stati condannati a decine d’anni di carcere o alla pena di morte. Prima di presentare i provvedimenti d’amnistia e indulto conclusivi, tra cui appunto l’amnistia Azara del 1953 - considerata generalmente come punto d’arrivo della giustizia di transizione -, le pagine centrali di questo ultimo capitolo sono invece dedicate ad una rapida analisi di alcuni processi della Corte d’Assise straordinaria di Rovigo. Il vaglio di questi

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7

documenti in sede rodigina mi ha permesso di ampliare con qualche informazione e qualche dato aggiuntivo la ricerca archivistica; (si tratta di una breve parentesi di studio resasi necessaria per la chiusura prolungata di alcune sedi archivistiche, tra cui Venezia, in seguito alla pandemia da Covid-19).

Una nota sul testo: per ciò che riguarda, come si vedrà, la scelta di affiancare a “capitolo” la parola “atto” e di sostituire con “scena” l’indicazione dei paragrafi, essa deriva dalla volontà di presentare al lettore una struttura del lavoro che ricordi quella delle rappresentazioni teatrali. Durante la stesura della tesi, la lettura dei volumi e l’esame delle carte processuali, mi sono imbattuto spesso in vicende storiche che richiamavano sotto molti punti di vista opere e contesti melodrammatici; penso, principalmente, ai dibattimenti, agli episodi verificatesi dentro e fuori le aule di giustizia, all’interesse pubblico nell’assistere ai processi, all’eco dei quotidiani sui pronunciamenti e sugli umori della folla, e poi alla progressiva riduzione di interesse nel voler fare i conti con il passato2. Ciò fu conseguenza non solo dell’allontanarsi cronologico del conflitto ma anche delle prime elezioni dell’Italia repubblicana, che determinarono mutamenti degli scenari politici: tutti elementi che sembrano riportaci entro le quinte di un palcoscenico e ci rendono in qualche modo spettatori di anni complessi, interessanti e allo stesso tempo tragici e desolanti. Il periodo trattato, con le sue peculiarità, fa intensamente riflettere: ci troviamo di fronte a fondamentali passaggi della nostra storia e della nostra società, agli “atti” e alle “scene” che uniti costituiscono il mosaico della vicenda epurativa in Italia, tra la dittatura del Ventennio fascista e il boom economico. Legato a questo tema di “rappresentazione scenica” mi è parso di imbattermi in attori, protagonisti e comparse, tutti con un loro ruolo definito e inseriti in ambienti che sembrano proporre una molteplicità di scene e palcoscenici: le aule di giustizia, i poligoni di tiro per le (rare) esecuzioni capitali degli imputati ritenuti colpevoli di aver collaborato con nazisti e fascisti, ma anche gli spazi del confronto politico, le piazze gremite antistanti i tribunali, ecc. Nel complesso le vicende storiche

2 Utilizzo qui le note parole del titolo di un importante saggio sulla giustizia di transizione: H.W

OLLER,I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1948, Il Mulino, Bologna, 1996.

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qui trattate, con uno sguardo particolare a quelle avvenute appunto nelle aule di giustizia tra il 1945 ed il 1947, rappresentano altrettante scene del nostro passato, un passato ancora assai vivo per ricordi, racconti ed esperienze. In aggiunta specifico che l’utilizzo della parola “scena” è derivato dall’ispirazione suggeritami da alcuni saggi affrontati per costruire proprio questo lavoro: in primis dal titolo e dalla struttura di un volume del mio relatore Simon Levis Sullam3 e poi da diversi termini e suggestioni contenuti in due testi sulla giustizia di transizione, uno relativo al contesto nazionale di Andrea Martini4, l’altro relativo al contesto internazionale, curato da Luca Baldissara5. Come si avrà modo di vedere, l’analisi dei temi qui trattati si basa ampiamente da una parte sulla storiografia, sviluppatasi particolarmente negli ultimi anni, sulla giustizia del dopoguerra e dall’altra sulle carte processuali da me consultate nei due archivi citati di Venezia e Rovigo. Per la sede lagunare mi sono servito in particolare degli studi di Marco Borghi sui “fascisti alla sbarra”6. In conclusione, ho cercato di interfacciare le interpretazioni degli storici con le vicende estrapolate dalle fonti archivistiche rinvenute, nella volontà di narrare7 degli spaccati di vita del tempo, ma anche di ricostruire, per quanto possibile, il contesto storico e il quadro socio-istituzionale in cui hanno vissuto coloro che ci hanno preceduto.

3

S.LEVIS SULLAM,I carnefici italiani. Scene dal genocidio degli ebrei, 1943-1945, Feltrinelli, Milano, 2015.

4 A.M

ARTINI,Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953), Viella, Roma, 2019.

5 L.B

ALDISSARA, Giudizio e castigo. La brutalizzazione della guerra e le contraddizioni della “giustizia politica”, in L. BALDISSARA,P.PEZZINO,(a cura di), Giudicare e punire, L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 2005.

6

M. BORGHI, A. REBERSCHEGG, (a cura di), Fascisti alla sbarra. L’attività della Corte d’Assise Straordinaria di Venezia 1945 - 1947, Istituto veneziano per la storia della resistenza e della società contemporanea e Comune di Venezia, Venezia, 1999.

7 Sul tema della narrazione storica rinvio ancora a C. G

INZBURG, Spie. Radici di un paradigma indiziario, op. cit. e al saggio di A.CASELLATO,Il figlio dell’eroe. Una fonte orale, in S.LUZZATTO,(a cura di), Prima Lezione di metodo storico, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 169.

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Capitolo primo

Atto primo - L’avvio della defascistizzazione del Paese. Dall’epurazione dei governi Badoglio all’istituzione delle Corti d’Assise straordinarie

Scena prima - Dall’arresto del duce ai primi provvedimenti epurativi

1. Uno scontro solo rinviato

Per quanto il fascismo e la guerra avessero lentamente annientato psicologicamente e fisicamente la popolazione italiana, al momento del crollo del regime, avvenuto con l’arresto del duce il 25 luglio 1943, non ci fu inaspettatamente alcuna reazione popolare volta ad un’intensa e sistematica resa dei conti. In tal senso l’esito di quei momenti fu davvero sorprendente. Infatti anche se gli eventi verificatisi nelle ultime settimane avevano messo a dura prova tutto il territorio della Penisola - a cominciare dai bombardamenti Alleati -, la domenica dell’arresto di Mussolini e l’inizio del nuovo governo Badoglio non fecero registrare, come invece si potrebbe pensare, l’avvio di un’epurazione drastica delle personalità fasciste8. Al contrario, le prime manifestazioni popolari che si verificarono furono solamente di gioia ed entusiasmo. La popolazione italiana era scesa spontaneamente nelle piazze e nelle strade partecipando autenticamente e senza costrizioni ad una celebrazione collettiva9 di liberazione; per la prima volta dopo l'età liberale la folla si riuniva senza partecipare ad un'adunata del regime, organizzata, predefinita, coatta, ma si raccoglieva spontaneamente per esprimere una sincera partecipazione. Si cantava, si ballava, ci si abbracciava anche tra persone che mai si erano viste prima10. Si pensava fosse l’ora della fine, la fine della guerra, la fine delle sofferenze, la fine di un periodo drammatico dal quale ora ci si poteva finalmente allontanare. Ma non era così, gli italiani avevano frainteso. Il nuovo governo rappresentato dal maresciallo Badoglio, ed appoggiato dal re Vittorio Emanuele III, non aveva firmato alcun armistizio o trattato

8 Si veda M.F

RANZINELLI,L’amnistia Togliatti. 1946. Colpo di spugna sui crimini fascisti, Feltrinelli, Milano, 2016, pp. 9-34 e M.FRANZINELLI,Il 25 luglio, in M. ISNENGHI, (a cura di), I luoghi della memoria. Personaggi e date dell’Italia unita, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 219-240. Si veda anche R.CANOSA,Storia dell’epurazione in Italia. Le sanzioni contro il fascismo 1943-1948, Baldini e Castoldi, Milano, 1999, pp. 3-5.

9 Cfr. G.O

LIVA,I vinti e i liberati. 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945. Storia di due anni, Mondadori, Milano, 1994, pp.19-30.

10 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., p.19-31 e L.MERCURI,L’epurazione in Italia 1943-1948, L’arciere, Cuneo, 1988, pp. 9-16.

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di pace; la guerra continuava. In quelle ore la felicità, per la presunta fine della guerra, stemperava la voglia di rivalsa. Va però sottolineato che se la maggior parte dei cittadini era scesa in piazza a fini pacifici, appoggiando fedelmente la monarchia ed il nuovo esecutivo, non pochi furono in ogni caso gli episodi di insofferenza verificatisi in quelle ore contro sedi del partito e figure legate al regime. Comparvero le prime scritte patriottiche sui muri che inneggiavano a Re Vittorio Emanuele III, a Badoglio, all’esercito, ed accanto a queste altrettanti slogan contro Mussolini, da tempo odiato dalle masse11. Poi si passò alle prime «invasioni» e «devastazioni delle sedi del Fascio», «distruzioni di simboli, roghi di materiale propagandistico, rimozione di busti, di ritratti e di bandiere»12. Non furono risparmiati nemmeno i giornali fascisti, le scuole, gli uffici e i ministeri dove ogni oggetto che richiamasse il fascismo venne bruciato13; si assistette ad una sorta di reazione iconoclasta14. Dai piccoli borghi del Sud ai confini italiani col Reich, «la volontà di [rimuovere] il passato […] e sanzionare materialmente la fine del regime trovavano una forma elementare di espressione»15. Tra la massa vi erano poche persone politicizzate, e progressivamente, grazie al supporto di quest’ultimi, gli obiettivi si fecero più definiti16; la presenza dell’antifascismo

organizzato rimaneva in queste prime fasi ancora del tutto marginale ed acerba.

Va però rammentato un elemento importante: manifestazioni violente della popolazione, come descritto sopra, si verificarono ma non innescarono alcuno scontro di grandi proporzioni con i membri del partito fascista né con altri elementi legati alla dittatura. Le distruzioni e i danni maggiori si concentrarono sugli elementi e i simboli fascisti e attacchi alle sedi del Fascio; nessun fascista perse la vita nel corso dei tumulti, anche se rari episodi di collera popolare indirizzata verso

11 Marco Fincardi descrive Mussolini come «squalificato agli occhi delle folle e depresso». M.F

INCARDI,Gli italiani e l’attesa di un bombardamento della capitale 1940-1943, in «Italia contemporanea», n. 263, 2011, p. 201.

12 G.O

LIVA,I vinti e i liberati, op. cit., p. 16.

13 Ivi, pp. 19-31. 14 Si consulti M.D

ONDI,La lunga liberazione. Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, Editori Riuniti, Roma, 1999, p. 13-14.

15 Cfr. G.O

LIVA,I vinti e i liberati, op. cit., p. 17.

16 Significative furono le comparse di alcuni esponenti della flebile politica antifascista nelle piazze di alcuni centri

come Milano, dove in piazza Duomo la mattina del 26 luglio parlava il sindacalista Giovanni Roveda, e Venezia dove tra i tavoli del caffè Florian in piazza San Marco Armando Gavagnin, del Partito d’azione, improvvisava un comizio. Inoltre ci furono i primi attacchi alle carceri cittadine al fine di liberare i detenuti antifascisti. Ivi, pp. 13-19.

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i sostenitori del regime finirono inesorabilmente per verificarsi17. Furono tuttavia poche le vicende con spargimento di sangue, facilmente sedate dall’intervento delle autorità militari e dei carabinieri18. Va quindi sottolineato che una vera resa dei conti, una vendetta, uno scontro acceso con “caccia al fascista” né il 25 luglio né, tantomeno, i giorni che seguirono, avvenne. Illuminanti le parole di Gianni Oliva al riguardo, il quale delinea alcuni fattori essenziali per capire meglio le vicende del dopo-Mussolini:

Le spiegazioni del fenomeno possono essere diverse: il carattere improvviso e liberatorio con cui il colpo di stato veniva percepito dalla popolazione, tale da creare una condizione psicologica dove l’entusiasmo per il presente e l’ottimismo per il futuro prevalevano sulla volontà di rivalsa sul passato; la cornice di continuità dello stato garantita dalla decisione del re e la contemporanea assenza di un tessuto organizzativo capace di imprimere un carattere rivoluzionario al trapasso di poteri; lo sgretolamento completo del PNF19 e delle sue strutture e la conseguente mancanza di una controparte contro cui scaricare le tensioni; il sottofondo di stanchezza e di passività rassegnata prodotto da tre anni di guerra, che non inibiva l’euforia del momento, ma impediva confronti altrimenti impegnativi. Certo è che all’annuncio della caduta di Mussolini l’Italia non veniva attraversata dai lampi della guerra civile e nello spontaneo manifestare della popolazione in piazza l’ottimismo liberatorio risultava prevalente sugli aspetti conflittuali20.

Un momento di trapasso, quindi, in linea generale pacifico; la mancanza di organizzazione del partito al momento dell’arresto del duce fu un colpo di fortuna sia per gli stessi fascisti, che non incapparono in reazioni violente da parte della popolazione infiammata dalla sete di vendetta - ed ebbero quindi modo di riorganizzarsi a fine estate -, sia per l’ordine pubblico, che non subì forti sconquassi. La guerra civile21 era stata evitata, per ora, ma non per questo definitivamente scongiurata. L’ultima settimana di luglio non assomigliò quindi per nulla all’ultima settimana di aprile (e le prime di maggio) del 1945, quando un’aspra e violentissima resa dei conti avrebbe segnato in particolare le regioni del Nord (in misura minore quelle del centro e ancor meno quelle del Sud) con una “caccia al fascista” così feroce che condusse alla morte migliaia di individui22

.

17

Si veda H.WOLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 19-31.

18 Cfr. G.O

LIVA,I vinti e i liberati, op. cit., pp.19-30.

19 Acronimo per Partito Nazionale Fascista. 20 G.O

LIVA,I vinti e i liberati, op. cit., p. 25.

21 Cfr. C.P

AVONE,Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

22

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In linea con quanto espresso da Oliva gli studi di Hans Woller confermano come «il desiderio di vendetta non [fosse] all’epoca molto forte e radicato»23

; alla caduta del regime fascista non si verificarono forti violenze perché milioni di italiani erano ben consci di essere scesi a patti in un modo o nell’altro con il regime stesso e di averlo, in talune occasioni, anzi appoggiato con entusiasmo24. Il fascismo quindi era stato sì dittatura, ma anche parte della storia degli italiani, ben più di quanto si volesse affermare e ricordare. Pertanto la maggioranza degli italiani si sarebbe accontentata di una soluzione intermedia e comoda: allontanare il duce e i suoi seguaci senza liquidarli fisicamente, chiudendo una parentesi e cancellando i legami col Ventennio; nessuno avrebbe dovuto rispondere delle sue precedenti colpe. E se nell’autunno dello stesso 1943 il partito fascista non fosse stato ricostituito25, la popolazione sarebbe stata soddisfatta nell’assistere alla punizione di qualche figura compromessa e con un rinnovamento politico (per quanto superficiale) ai vertici dello stato26. La questione si sarebbe verosimilmente conclusa.

2. False trasformazioni, comode continuità

I primi passi mossi dal nuovo governo sul terreno della demolizione del regime furono assai cauti ed incerti27. Stretti tra i tedeschi in marcia verso l’occupazione di gran parte del Paese, gli angloamericani in lenta risalita dal Sud, gli scioperi operai, e la volontà del popolo di siglare almeno materialmente la fine della dittatura, Badoglio e il re si videro costretti ad adottare le prime misure del lungo iter di defascistizzazione, che però, come ben presto si comprenderà, furono per larghi tratti solo una questione di mera forma.

23 H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., p. 8.

24 Ivi, pp. 7-17.

25 Nella forma di Repubblica Sociale Italiana, RSI. 26

Ibidem.

27 Se si considera la circolare del generale Roatta emanata alle forze militari il 26 luglio, la quale prevedeva la

repressione a colpi di arma da fuoco di qualsiasi manifestante che avesse turbato l’ordine pubblico, sembrerebbe che il nemico fosse individuato più nel popolo “esausto ma infervorato” che nel regime “abbattuto”. In merito R.CANOSA, Storia dell’epurazione in Italia, op. cit., pp. 3-5. L’autore riporta qualche dato: l’applicazione dell’ordine del generale portò a 93 morti, 536 feriti e 2276 arresti. Si consulti anche C.PAVONE,Una guerra civile, op. cit., pp. 9-23.

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I primi provvedimenti arrivarono già l’indomani dell’arresto del duce: «un manifesto con la firma del capo del governo annunciava che la milizia» sarebbe entrata a far parte da quel momento «delle forze armate regie»28. Il giorno seguente, il 27 luglio, si decideva la soppressione del Partito Nazionale Fascista29, l’abolizione del Gran Consiglio del fascismo30 e del Tribunale speciale per la difesa dello Stato31 e la liberazione di alcuni detenuti politici dalle carceri. Il governo si guardò bene, però, dal liberare gli elementi considerati più pericolosi come i comunisti e gli anarchici. Il giorno 30 veniva annunciato lo scioglimento della Camera dei fasci e delle corporazioni32. «L’insieme di questi provvedimenti aveva un evidente valore propagandistico (basti pensare all’annuncio relativo alla milizia, che delle forze armate faceva parte sin dal 1924) e serviva a dimostrare all’opinione pubblica la volontà di procedere allo smantellamento dell’apparato fascista»33. Era una rottura con il passato più in linea teorica che pratica poiché tutti i membri dell’attuale governo erano non solo legati alla dittatura ma si mostravano piuttosto oculati a concedere solo piccole modifiche mantenendo invece una struttura istituzionale ed una linea politica a dir poco conservatrice. In primis il nuovo capo del governo Badoglio, come ricordato, aveva solennemente dichiarato la propria appartenenza al partito negli anni precedenti e vi era entrato anche con moglie e parenti. Non meno discutibili erano i trascorsi del ministro della Guerra, Antonio Sorice, e del ministero di Giustizia, Gaetano Azzariti. Per non parlare del re, Vittorio Emanuele III, che aveva appoggiato e sostenuto fin dalla nascita il regime condividendo tutte le sue nefaste scelte, dalla colonizzazione razzista dell’Africa negli anni ’30, al Manifesto della Razza del 1938, per giungere allo scellerato appoggio al duce nell’entrata in guerra al fianco di una Germania

28

G.OLIVA,I vinti e i liberati, op. cit., p. 64.

29 Si veda Regio decreto legge n. 704 del 2 agosto 1943 e Regio decreto legge n. 739 del 21 agosto 1943. 30 Si veda Regio decreto legge n. 706 del 2 agosto 1943.

31 Si veda Regio decreto legge n. 668 del 29 luglio 1943, Soppressione del Tribunale speciale per la difesa dello Stato. 32

Si veda Regio decreto legge n. 705 del 2 agosto 1943.

33 G.O

LIVA,I vinti e i liberati, op. cit., p. 64. Va però considerato come Badoglio pur non vedendo di buon occhio la milizia, fedele alla sola figura del duce, si limitò a incorporarla nell’esercito senza scioglierla (ipotesi che senz’altro avrebbe preferito), poiché lo scioglimento del corpo avrebbe portato migliaia di camicie nere allo sbando, senza ordini precisi, un pericolo da evitare che si rivelava ben più rischioso che mantenere in assetto le formazioni già esistenti. Cfr. H.WOLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 19-31.

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nazista mossa dagli ideali più bui e nefasti della storia dell’umanità34. Per concludere, la squadra di governo poteva contare su altri ministri che, se non erano stati negli ultimissimi anni ferventi sostenitori di Mussolini, non potevano però nemmeno dirsi convinti antifascisti35. Woller chiarisce acutamente i profili dei nuovi vertici di governo e i confini entro cui volevano mantenersi:

Del “colpo si stato” contro Mussolini si erano fatti promotori vecchi personaggi noti più che altro per il loro servilismo, nonché profittatori e attivisti del fascismo che, dalla caduta del duce, avrebbero potuto trarre vantaggio in termini di potere, soprattutto se non erano tra i più screditati esponenti del regime. Niente era più lontano dai congiurati dell’idea di affidare in tutto o in parte responsabilità di governo all’opposizione antifascista, che reclamava un profondo rinnovamento in senso democratico dello stato e della società. Ben altri erano gli scopi e gli interessi di quanti avevano provocato la caduta di Mussolini. Certo, erano disposti a qualche piccola concessione - lo esigeva il nuovo “spirito del tempo” - ma ad essi premeva soprattutto poter garantire la continuità dello stato monarchico e le basi stesse del loro potere […]36.

Lo status quo doveva essere mantenuto e in linea con questa tendenza si effettuarono limitati arresti di fascisti. Per contenere ogni agitazione, oltre a porre lo stato d’assedio, il capo del governo proibì gli scioperi e le riunioni, obbligò il passaggio dei poteri dalle autorità civili (prefetti) a quelle militari, ed infine sancì il coprifuoco notturno. D’altra parte era impossibile non iniziare a fare qualche minima concessione all’opinione pubblica, ma più i giorni passavano più l’impressione che il governo Badoglio fosse solamente un «fascismo senza Mussolini» cresceva37. Bisognava intervenire nell’ambito quanto meno della defascistizzazione “di facciata” attraverso un cauto smantellamento dell’apparato di potere fascista accompagnato da una epurazione altrettanto cauta, prudente, misurata, volta ad accrescere il prestigio del governo. «Quel che è certo, comunque, è che dell’epurazione politica in quanto tale - al maresciallo - non […] interessava nulla, e che egli vi intravedeva solo una concreta chance per prendere le distanze dal vecchio regime»38. Le prudenti misure del nuovo esecutivo dopo la prima settimana di governo non avevano che confermato la

34 Il re, per quanto avesse voltato le spalle a Hitler e Mussolini rimaneva comunque un personaggio troppo

compromesso ed ambiguo. Condivisibili le parole di Gaetano Salvemini, proprio a riguardo di Vittorio Emanuele III, «un malfattore non diventa galantuomo quando tradisce un altro malfattore». Si veda C.PAVONE,Una guerra civile, op. cit., p. 45, che riporta la citazione.

35 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 19-31.

36 Ivi, pp. 23-24.

37 Ivi, pp. 31-47. Si veda anche L.M

ERCURI,L’epurazione in Italia 1943-1948, op. cit., pp. 9-16.

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situazione precedente al 25 luglio: le trattative di pace erano un affare ancora piuttosto sfuocato, i metodi repressivi non si attenuavano, i campi di internamento non venivano aperti né tantomeno soppressi, le leggi razziali rimanevano in vigore e, per finire, l’Ovra non era ancora stata sciolta39

. Ad un livello periferico una grande maggioranza di prefetti, questori e sindaci erano rimasti al loro posto e i dipendenti fascisti avevano mantenuto praticamente tutte le posizioni di vertice occupate in precedenza40. La strada del rinnovamento, evidentemente, non era ancora stata imboccata.

Con l’andare dei giorni e delle settimane le misure di rottura adottate si fecero meno infrequenti. Cessarono le pubblicazioni che erano diretta emanazione del partito fascista, anche se la censura rimase ampiamente in vigore. Mossero i primi passi le prime commissioni sull’epurazione della pubblica amministrazione. Nelle università qualche rettore venne rimosso dal suo incarico e sostituito da figure meno legate al fascismo. Infine un buon numero di prefetti fu sostituito41. «Ma la decisione più clamorosa che Badoglio prese, per venire incontro alle richieste e alle attese dell’opinione pubblica antifascista, fu quella di dare vita ad una commissione di esperti con il compito di indagare sulla situazione patrimoniale dei fascisti sospettati di essersi arricchiti illegalmente ed eventualmente di procedere al sequestro dei loro beni»42. La notizia venne annunciata all’opinione pubblica il giorno successivo alla promulgazione del Regio decreto legge43 i primi giorni di agosto44. Non va dimenticato, e lo sottolinea ampiamente la storiografia, che questa mossa, nello specifico, fu essenzialmente propagandistica; si agì con cautela senza comportare forti scossoni tra i vertici del Paese. Se il provvedimento fosse stato seguito ed applicato perentoriamente, lo stesso Badoglio, autore della decisione, sarebbe stato probabilmente il primo ad essere indagato dalla commissione in quanto negli anni ’30 si era arricchito smisuratamente grazie agli onori conferitigli dal regime. La composizione medesima della commissione per l’epurazione e

39 Cfr. L.M

ERCURI,L’epurazione in Italia 1943-1948, op. cit., pp. 9-16.

40 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 31-47.

41

Ibidem.

42 Ivi, p. 40. Rimando ad un saggio, uscito da poco, sul tema della corruzione e degli arricchimenti degli esponenti del

regime: P. GIOVANNINI, M. PALLA, (a cura di), Il fascismo dalle mani sporche. Dittatura, corruzione, affarismo, Laterza, Roma-Bari, 2019.

43 Si veda Regio decreto legge n. 720 del 9 agosto 1943. 44

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il numero di sequestri che portò a compimento furono, invece, una contraddizione palese. Badoglio affidò a Ettore Casati la presidenza, figura antifascista che poteva all’apparenza garantire l’operato del gruppo di lavoro, ma, d’altro canto, assegnò il compito di effettuare le indagini all’Ovra e al suo ex capo Guido Leto. Il sequestro dei beni di una decina di gerarchi fu il parziale risultato45.

In conclusione le misure adottate erano destinate prevalentemente a «gettare fumo negli occhi»46. La politica di quei giorni era per molti versi in un equilibrio incerto: da una parte la volontà di innovare al fine di placare gli animi del popolo e distanziarsi dal fascismo, dall’altra il tentativo di non rinnegare il conservatorismo del re (che avrebbe preferito lasciare tutto com’era) e dei vertici politici assolutamente contrari anche alle pur minime epurazioni. Badoglio si trovava come un equilibrista sopra ad un filo sospeso nel vuoto, esposto alle pressioni, ai soffi di vento, che provenivano da una parte e dall’altra. Senza considerare poi che i bombardamenti angloamericani avevano energicamente ripreso a funestare il Paese i primi di agosto47 e i tedeschi si preparavano, insieme ai gerarchi fascisti emigrati oltre le Alpi48, a lanciare un’offensiva contro i “traditori”. Tra un passo in avanti della politica e due indietro l’8 settembre si avvicinava inesorabilmente.

3. Primi segnali di rottura?

Il 23 agosto Badoglio, sempre più in contrasto col re, decise di prendere l’iniziativa sul terreno del rinnovamento. Ordinò un’epurazione più drastica e strutturata della precedente e condusse in carcere diversi esponenti di spicco del partito fascista. Figure eminenti come Starace, Cavallero e Galbiati vennero arrestati dai carabinieri. Stupisce questo cambio di marcia così repentino da parte di Badoglio, figura assai calcolatrice ed attenta a centellinare ogni mossa. Il motivo è semplice: il maresciallo aveva cominciato ad intavolare, grazie a missioni diplomatiche via via sempre più incisive, qualche rapporto con gli angloamericani. Essendo quindi l’Italia ormai vicina ad un

45 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 31-47.

46 Ivi, p. 41.

47 Sul tema dei bombardamenti aerei rinvio a M.F

INCARDI,Gli italiani e l’attesa di un bombardamento della capitale 1940-1943, op. cit., pp. 183-206.

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accordo armistiziale con i nemici, non rimaneva altro per Badoglio che presentarsi a Roosevelt e Churchill nel migliore dei modi, ovvero come uomo interessato alla rottura completa col fascismo. Stando così le cose «la decisione di passare all’azione contro i fascisti non poteva certo nuocergli»49. Questa mossa, che condusse all’arresto di circa millecinquecento fascisti, migliorò molto la credibilità del maresciallo nei confronti degli Alleati. Infatti Badoglio stesso, considerato in precedenza uno dei più importanti militari fascisti a causa delle campagne africane, veniva ora visto come unica figura politicamente affidabile; le trattative per l’armistizio rinsaldarono ancor più i rapporti. Badoglio era individuato come unica autorità credibile in una situazione che non presentava molte altre valide alternative50.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943 il quadro degli eventi in Italia precipitò definitivamente51

. Il totale sfaldamento dell’esercito, l’occupazione violenta dei nazisti, la liberazione del duce, la costituzione della Repubblica sociale italiana (RSI), la fuga del re e del maresciallo in Puglia presso gli angloamericani e l’inizio della cruenta guerra civile52

furono gli eventi che aprirono ad una delle pagine più drammatiche della storia d’Italia53

, tra speranze di epurazione e cesura col passato da una parte e desideri di continuità dall’altra.

49 H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., p. 47.

50

Se il governo Badoglio si rivelava incerto e discontinuo in quanto a misure epurative da adottare, non meno chiare in verità erano le linee previste dai governi di Gran Bretagna e Stati Uniti. Se da una parte Roosevelt aveva optato inizialmente per un intervento drastico volto a sradicare gli ex fascisti dai loro ruoli, dall’altra Churchill aveva ritenuto invece inutile, se non dannoso, muoversi verso un’epurazione politica troppo radicale. Il timore che un licenziamento in massa dei funzionari pubblici e la punizione dei fascisti o simpatizzanti del regime potessero creare caos in Italia determinavano le scelte del governo inglese che preferiva trovare la Penisola certamente non in preda a rivolte e tumulti incontrollabili. Gli eserciti angloamericani avevano come priorità assoluta l’occupazione dell’Italia, non l’epurazione della pubblica amministrazione. In più non va dimenticato che a differenza di quanto gli Alleati fecero in Germania, in Italia non vennero presi in considerazione programmi di democratizzazione e rieducazione tali da immunizzare la società contro una possibile rinascita della “malattia fascista”; il popolo italiano era descritto spesso come un “bravo ragazzo” che si era lasciato influenzare negativamente dal gangster fascista che lo aveva portato sulla “brutta strada”. Ma eliminato il gangster, il bravo ragazzo sarebbe tornato alla disciplina; in questo modo fin dall’inizio si evitò un intervento epurativo drastico. Ivi, pp. 47-58.

51 Silvio Bertoldi, per sottolineare la drammaticità del momento ha paragonato l’8 settembre 1943 ad una disfatta

epocale per la Penisola; «una nuova Caporetto moltiplicata per cento, per mille», S. BERTOLDI,Contro Salò. Vita e morte del regno del Sud, Bompiani, Milano, 1984, p. 17.

52

«Il dato comune a tutte le guerre civili è l’esasperazione della violenza. Non si tratta, beninteso, di un problema numerico […], e non si tratta, neppure, di “legittimità” della violenza […]. Si tratta, invece, di un’atmosfera di violenza che attraversa in profondità l’intero corpo sociale, contagiandolo in tutte le sue componenti ed assuefacendolo ad uno scenario di morte». G.OLIVA,La resa dei conti. Aprile – maggio 1945: foibe, piazzale Loreto e giustizia partigiana, Mondadori, Milano, 1999, p. 59.

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Tra gli «invincibili»54 nazisti da una parte, detentori dei due terzi della Penisola, e gli «onnipotenti»55 Alleati dall’altra56, si consumò lo scontro fratricida degli italiani spaccati in due grandi schieramenti: i collaborazionisti di Salò (della neocostituita Repubblica) e la Resistenza57.

Scena seconda - Da Badoglio a Bonomi; la defascistizzazione del governo italiano

1. Defascistizzare il Mezzogiorno. Settembre 1943 - marzo 1944

Sebbene la priorità assoluta tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1944 non fosse la defascistizzazione del Mezzogiorno, si procedette per fasi ed umori alterni anche su questa linea. Dopo anni di regime, seppur in molti non si fossero identificati con esso e si fossero piegati alla dittatura solo per interessi o in maniera quasi necessaria58, troppi italiani erano stati legati al fascismo. Appare chiaro in questa prospettiva come al momento della defascistizzazione l’opinione pubblica si divise tra chi, timoroso di incorrere in sanzioni, cercò di contrastare l’epurazione e chi, al contrario, invocò punizioni severe59. Quest’ultima categoria si divideva ulteriormente in due: coloro che credevano davvero nella possibilità ed esigenza morale di punire i fascisti e chi invece auspicava l’epurazione per semplice opportunismo, approfittando della sospensione dal lavoro del collega per avanzare di carriera, o per presentarsi politicamente come uomo nuovo. La situazione che venne a crearsi fu molto complessa. Nel settembre 1943, inoltre, prima che l’epurazione prendesse avvio attraverso i provvedimenti legislativi, la popolazione sempre più impaziente in alcune località dell’Abruzzo, della Puglia e della Basilicata cominciò a protestare furiosamente per le pessime condizioni di vita nei paesi scaricando la tensione contro coloro che si erano arricchiti ed avvantaggiati durante il Ventennio. In aggiunta nel mirino delle proteste finirono alcune personalità

54 C.P

AVONE,Una guerra civile, op. cit., p. 13.

55 Ibidem. 56 Cfr. F.C

HABOD,L’Italia contemporanea 1918-1948, Torino, Einaudi, 1961, pp. 117-119.

57

In realtà i gruppi, le fazioni, gli schieramenti dopo l’8 settembre furono numerosissimi. Per semplificare indico qui però i due blocchi più noti, appunto i collaborazionisti del nuovo regime saloino e la Resistenza.

58 Come rimuovere gli ostacoli? «Come […] distinguere “i conformisti apolitici (che si erano iscritti al partito prima di

tutto per conservare il loro lavoro)”, dagli “opportunisti politici (che si erano iscritti al partito per avere un lavoro)”, e quest’ultimi, a loro volta, dai fascisti più pericolosi?». H.WOLLER,I conti con il fascismo, op. cit., p. 80.

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di rilievo delle piccole comunità, le quali vennero aggredite violentemente dalla popolazione accecata dalla volontà di vendicarsi dei soprusi subiti. D’altra parte questi episodi di violenza aumentarono a causa anche dell’insoddisfazione dovuta alla fuga di personalità fasciste60

ed in quanto i provvedimenti adottati dal governo italiano e dal governo militare Alleato erano stati fin lì poco incisivi: al di là di qualche rara sostituzione di personaggi implicati negli alti vertici della pubblica amministrazione, nelle università, nelle accademie e negli enti locali, il banco di prova inizialmente rappresentato dalla Sicilia, dimostrò una completa impreparazione dei comandi61 (soprattutto angloamericani62).

Dopo i fumosi provvedimenti adottati da Badoglio in estate, e nei mesi di settembre e ottobre (quando dietro le sbarre finirono non più di 4-5000 tra squadristi ed esponenti di spicco del PNF63), i primi giorni di novembre registrarono un nuovo interessamento per la questione epurativa. Influenzati dalle notizie provenienti dal Nord sugli scontri in corso e le stragi dei nazi-fascisti, Badoglio propose, attraverso una circolare indirizzata ai prefetti, l’adozione di un programma che prevedeva misure epurative diverse a seconda dei gradi di colpevolezza dei fascisti. Badoglio stesso individuò quattro categorie: la prima doveva includere tutti gli iscritti al PNF che avevano ricoperto incarichi nell’apparato statale in modo degno e senza trarre profitto. Nel loro caso non si dovevano adottare misure punitive, in quanto considerati inoffensivi. La seconda riguardava chi aveva assunto cariche pubbliche per meriti fascisti ricavandone vantaggi e chi aveva commesso violenze contro antifascisti: costoro sarebbero stati puniti con sanzioni penali. Il terzo gruppo era rappresentato

60 Con la ritirata tedesca molti fascisti del Mezzogiorno erano riusciti a fuggire consapevoli che, mancato l’appoggio e

la protezione dell’alleato nazista, l’eventualità di trovarsi allo scoperto in balia degli umori della folla era una situazione da scongiurare. Numerosi ex fascisti erano tornati alla spicciolata nei luoghi di residenza dopo il giorno della Liberazione; «speravano di passare inosservati di potersi discolpare, di poter contare a volte […] su uno stemperamento dei rancori, e comunque di cavarsela con punizioni più o meno gravi, ma di salvare la vita». Il risultato non fu quello previsto: finita la guerra non pochi furono i casi in cui scoppiarono cruente ondate di violenza contro gli ex fascisti tornati nelle loro comunità di origine. Evidentemente il tempo non era bastato ad affievolire la sete di vendetta dei compaesani. G.RANZATO,Il linciaggio di Carretta, Roma 1944. Violenza politica e ordinaria violenza, Il Saggiatore, Milano, 1997, p. 163.

61

Cfr. H.WOLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 80-102. Lo stesso autore però fa riflettere su un aspetto: per quanto il governo Badoglio certamente non fosse determinato nell’adottare provvedimenti epurativi va sottolineato che la lentezza nelle decisioni era dovuta anche ad un altro fattore ovvero ogni proposta doveva essere autorizzata dal governo Alleato, che dopo l’armistizio sorvegliava pressantemente il governo italiano.

62 Si veda L.M

ERCURI,L’epurazione in Italia 1943-1948, op. cit., pp. 21-43.

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dagli squadristi, anche loro punibili con sanzioni penali. All’ultima categoria invece appartenevano coloro che pur non svolgendo attività politica, avevano beneficiato della protezione o dell’aiuto di qualche gerarca: anche loro non sarebbero stati esenti da duri provvedimenti64; anzi, per Badoglio rappresentavano la categoria più pericolosa, «i vermi più luridi del letamaio fascista» che occorreva «colpire inflessibilmente»65. L’obiettivo dichiarato del maresciallo era quello di estirpare ogni avanzo fascista, e questo compito veniva affidato ai prefetti. Che queste parole fossero pronunciate proprio da una delle figure più note del Ventennio, come specificato, strideva, e non poco, con gli obiettivi posti dal governo stesso per la defascistizzazione. Badoglio avrebbe potuto essere il primo degli indagati ed il primo dei condannati, con ingenti prove a suo carico. Appare piuttosto chiaro, quindi, come le proposte del capo di governo avessero come obiettivo innanzitutto quello di rassicurare ancora una volta il fronte antifascista66 che invocava da mesi, e sempre più a gran voce, provvedimenti epurativi. Si esigeva ormai da parte del popolo un intervento incisivo e non importava se a pagare fossero vecchi fascisti e non le feroci truppe della RSI67. Ma il risultato della proposta badogliana, a parte qualche rarissima eccezione, fu del tutto circoscritto: tra l’altro i provvedimenti non prevedevano ancora l’apertura d’indagini nei confronti dei delatori o dei vertici dell’Ovra.

Più energico, anche se ancora troppo in linea con la volontà di non colpire duramente i fascisti, fu il provvedimento del 28 dicembre 1943. Questo provvedimento, in verità, fu anticipato il primo dicembre da disegni di legge sulla “devoluzione dei patrimoni di non giustificata provenienza” e, una settimana più tardi, sulla “reintegrazione degli ebrei nei diritti civili”; quest’ultimo abrogava tutte le leggi razziali approvate nel 1938 e in seguito68. Il passo successivo fu appunto l’emanazione del Regio decreto legge n. 29/B, del 28 dicembre, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del Regno

64 Cfr. A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 23-31.

65

Cfr. R.CANOSA,Storia dell’epurazione in Italia, op. cit., p. 20.

66 In merito A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 23-31.

67 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 101-169.

68 Ibidem. In aggiunta si specifica che la legislazione razziale fascista venne abolita al Sud il 20 gennaio 1944 grazie ad

un decreto reale che rispristinava i diritti civili e politici dei cittadini italiani di religione ebraica. Cfr. L.MERCURI, L’epurazione in Italia 1943-1948, op. cit., pp. 21-43.

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d’Italia il giorno successivo, che sanzionava gli squadristi, i partecipanti alla marcia su Roma, i gerarchi e le “sciarpe littorio”, che ricoprivano incarichi amministrativi presso lo Stato, rimuovendoli dall’incarico69

. Questo Regio decreto costituì a tutti gli effetti il «primo testo di legge in materia di epurazione delle amministrazioni pubbliche, degli enti locali e delle imprese esercenti servizi pubblici»70. Tre rilevanti problemi di fondo condizionavano però il provvedimento. Il primo consisteva nel fatto che il decreto affrontava unicamente il nodo dell’epurazione amministrativa tralasciando le questioni penali, ed inoltre presentava un’esenzione dalla pena per chiunque si fosse opposto all’occupante tedesco o avesse posseduto competenze tecniche fondamentali per il Paese71

. Il secondo riguardava la durata del provvedimento: tre mesi. Entro un centinaio di giorni scarso, dalla pubblicazione del provvedimento, il processo epurativo avrebbe dovuto concludersi nelle aree sottoposte all’amministrazione italiana. Per le province liberate in seguito, si pensava di applicare il decreto con la medesima modalità, dal momento del passaggio all’amministrazione del Regno del Sud, e ancora per la durata di soli tre mesi72. La conduzione di migliaia e migliaia di inchieste in novanta giorni era il progetto delineato: il governo dimostrava pertanto di non avere le idee così chiare sulla conduzione dell’epurazione o all’opposto celava un’astuta mancanza di volontà di provvedervi. Il terzo problema, il più evidente, era di natura sostanziale: si era affidato l’intero procedimento epurativo ad un organo che avrebbe dovuto a sua volta essere epurato. Ma del resto c’erano sufficienti magistrati non compromessi col fascismo tali da formare intere commissioni? Ed ancora: sarebbero stati in grado di giudicare in modo imparziale?73 Le risposte non erano positive. Dopo sei mesi di lavori, migliaia di denunce (di cui solo una minima parte esaminate) e ben 238 funzionari che secondo gli organi inquirenti sarebbero dovuti essere rimossi dalla carica, appena

69 Il Regio decreto legge n. 29/B: Defascistizzazione delle amministrazioni dello Stato, degli Enti locali e parastatali,

degli Enti comunque sottoposti a vigilanza o tutela dello Stato e delle aziende private esercenti servizi pubblici o di interesse nazionale, in «Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia», n. 006/B, 29 dicembre 1943. Il testo è facilmente consultabile grazie al sito online dell’Archivio della Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia 1860-1946,

http://augusto.agid.gov.it/gazzette/index/download/id/194306B_P1S, consultato in data 3 ottobre 2020.

70 R.C

ANOSA,Storia dell’epurazione in Italia, op. cit., p. 10.

71 Cfr. Regio decreto legge n. 29/B, 28 dicembre 1943, art. 4, punto (d). 72 Ivi, art. 12.

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qualche dipendente fu licenziato. Un completo fallimento; il provvedimento non ottenne gli effetti auspicati. L’unico risultato ottenuto fu la diffusa percezione da parte della popolazione «che Badoglio non disponesse della forza e dell’autorevolezza necessarie per portare avanti con efficacia l’opera di epurazione»74

.

Nemmeno l’istituzione dell’Alto Commissario per l’epurazione nazionale dal fascismo, affidato il 24 febbraio al noto antifascista socialista Tito Zaniboni, fece registrare significativi passi in avanti. La nuova carica di Alto Commissario per l’epurazione era stata voluta da Badoglio in seguito al Congresso di Bari del 28-29 gennaio 1944, in cui i partiti antifascisti avevano reclamato un maggiore impegno del governo anche in virtù del fatto che episodi più frequenti di giustizia sommaria si erano verificati nel Mezzogiorno75. La concessione era dovuta alle accuse, per il momento non così determinanti da comportare scossoni politici, da parte di diversi partiti e influenti personalità presenti al Congresso, ai danni di Badoglio e del re. L’istituzione della nuova carica era risultata inutile dal momento che al titolare della nuova mansione non vennero assegnati poteri di alcun genere76 e lo stesso Zaniboni era considerato un personaggio assai influenzabile77. La sua elezione non fu considerata altro che l’ennesima trovata propagandistica del maresciallo. A metà maggio Zaniboni, conscio che l’incarico assegnatogli era sostanzialmente inefficace, presentò le dimissioni. Meno insensibile alle richieste antifasciste di giustizia fu Ettore Casati, ministro compromesso col fascismo e con la Repubblica sociale ma che, abbandonato ogni incarico ricoperto sotto la RSI, si era rifugiato nel Regno del Sud dove tra febbraio e marzo del 1944 stilò una proposta di legge in qualità di Ministro di Grazia e giustizia del secondo governo Badoglio78. Tale provvedimento era volto all’abolizione dei termini di prescrizione per i delitti compiuti dai fascisti,

74 Ivi, p. 136. 75 Cfr. A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 23-31.

76 Si consideri innanzitutto che la carica che Zaniboni ricoprì non era ancora stata istituita con apposita legge e per

questo motivo i poteri erano ancora tutti da definire. Il suo compito esulava dall’occuparsi dell’epurazione in campo amministrativo mentre si concentrava sulla promozione dell’azione penale, un campo quest’ultimo ancora sprovvisto sia di legge che di abbozzo. In merito H.WOLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 101-169.

77 Ibidem.

78 Si consulti la voce “Ettore Casati” a cura di Giorgio Rebuffa in

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all’annullamento delle amnistie concesse dal regime e alla revisione delle sentenze pronunciate durante il Ventennio79. Casati propose inoltre sanzioni penali per chi aveva partecipato alla marcia su Roma, per chi aveva tratto vantaggio dall’adesione al partito80

, contribuendo a mantenere in vita il regime e, infine, per coloro che avevano causato il dissolvimento delle forze armate81. I codici da utilizzare per stabilire le pene sarebbero stati, secondo il decreto, il codice penale Rocco (del 1930) ed il Codice militare di guerra (risalente al 1940). Il motivo per cui si era scelto di utilizzare un codice fascista e non il codice Zanardelli (del “lontano” 1889) era rappresentato dal fatto che il primo prevedeva sanzioni e pene molto più pesanti (compresa la pena di morte), mentre il secondo era più mite e inadeguato per una situazione di tale rilevanza. La proposta di legge prevedeva anche l’istituzione di Tribunali distrettuali, per processare fascisti e collaborazionisti, composti da magistrati ordinari e da giudici popolari dal passato antifascista82. Il progetto di Casati ottenne, pur con qualche modifica legata più alla forma che alla sostanza giuridica, la fiducia del governo militare Alleato83. Aspre critiche vennero mosse invece dai colleghi di governo, Badoglio su tutti, in quanto la proposta avanzata venne ritenuta troppo radicale. Si vedeva in essa la volontà di allargare a dismisura il campo dei punibili incoraggiando vendette personali84; il ministro dei Lavori pubblici del governo in carica arrivò persino a sostenere che il decreto rappresentasse una “dichiarazione di guerra civile”85

. Anche se il provvedimento in casi particolari individuava possibilità di mitigare la pena per i condannati fascisti, i punti tracciati dal ministro della Giustizia compromettevano seriamente la politica adottata dal capo del governo fino a quel momento; firmare il decreto, per Badoglio, avrebbe significato tracciare il proprio nome, quello del re e quello di molti altri vertici statali, sulle liste degli indagati86. Non rimaneva altro che agire in modo astuto, e Badoglio in

79

Si consulti a tal proposito R.CANOSA,Storia dell’epurazione in Italia, op. cit., pp. 36-37.

80 A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 23-31.

81 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 101-169.

82 Ibidem. 83

Allied Military Government of Occupied Territories (Amgot). Il governo Alleato confermò le proposte del ministro Casati modificandole denominazioni del provvedimento: si sostituì “national epuration” con “fascist epuration” e si mutò “campi di concentramento” con “colonia di epurazione”.

84 In particolare queste accuse vennero mosse dal ministro dell’Industria, Commercio e Lavoro Corbino. 85 Cfr. A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 23-31.

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questo era maestro: sottopose il decreto al vaglio del suo gabinetto e ad una commissione di giuristi affidabile rispetto ai suoi propositi87, composta dai pubblicisti Enrico Altavilla, Ugo Forti ed Enrico De Nicola. Non fu difficile per la commissione esprimere pareri negativi sul disegno di legge del Casati, il quale offriva diversi cavilli per opporvisi. I giuristi disapprovarono in particolare l’illegittima retroattività della legge (avversa ai dogmi fondamentali della giustizia punitiva) e la composizione della giuria delle Corti speciali costruite da giudici popolari. Si sosteneva che essendo il compito di giudizio assai delicato sarebbe stato preferibile affidare il compito alla sola magistratura ordinaria. Il Casati venne quindi accusato di voler «raggiungere la “pacificazione sociale” mediante l’intensificazione dell’opera di epurazione», mentre la commissione riteneva che lo stesso risultato «si potesse e si dovesse ottenere mediante una decisa attenuazione della stessa»88. L’inaspettata “svolta di Salerno” comportò un terremoto nel contesto italiano e pose momentaneamente in secondo piano gli scontri sul decreto Casati e la questione epurativa.

2. Dalla “svolta di Salerno” alla liberazione di Roma

Dopo aver preso parte il 31 marzo al Iº Congresso nazionale del PCI89, il giorno successivo Togliatti annunciò la nota “svolta” in una conferenza stampa90

. Il leader comunista sosteneva la necessità di superare la situazione creatasi nei mesi precedenti, la quale aveva legittimato un governo al potere senza autorità e non aveva dato il giusto riconoscimento ad un movimento antifascista popolare che aveva all’opposto l’autorità ma non il potere. Le conseguenze della

87

Ibidem.

88 Ivi, p. 150. Si veda anche R.C

ANOSA,Storia dell’epurazione in Italia, op. cit., pp. 37- 38.

89 Togliatti era tornato in Italia nel il 27 marzo ’44, dopo l’esilio moscovita, al fine di superare la situazione di impasse

che bloccava il dialogo tra il governo Badoglio e la monarchia, da una parte, e le forze antifasciste, dall’altra, rappresentate dai Comitati di Liberazione Nazionale ormai diffusi in tutto il territorio italiano e con una forza politica ormai non più trascurabile. La necessità era quella di unire le forze e contrastare l’occupante tedesco e la Repubblica sociale. In questo senso era indispensabile accantonare, almeno momentaneamente, la pregiudiziale monarchica e costituire un governo attraverso una convergenza di intenti. Le forze ciellenistiche non potevano più essere lasciate in disparte e questo era percepito nitidamente dagli americani (che consideravano possibile una “sana” ricostruzione dell’Italia solo ponendo da parte le figure compromesse col fascismo), mentre numerosi inglesi conservatori cappeggiati da Churchill consideravano ancora Badoglio e la monarchia come garanti dell’unità del Paese. Cfr. G.OLIVA,I vinti e i liberati, op. cit., pp. 288-295.

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proposta91 furono clamorose: oltre a compattare, per quanto inizialmente in modo turbolento, il fronte antifascista che in tal modo giungeva a patti con i cosiddetti “traditori” (il maresciallo e il monarca) per costituire un nuovo governo, causò un vero terremoto istituzionale. Il re fu costretto ad annunciare, il 12 aprile 1944, il suo ritiro definitivo dalla vita pubblica e la nomina del figlio, il principe Umberto, a luogotenente generale del regno, una volta liberata la capitale. La proposta togliattiana ebbe il merito di “convincere” forze come i socialisti e gli azionisti a giungere ad un accordo con l’odiato Badoglio, al fine di collaborare in un governo che si prendesse carico delle sorti del Paese senza compromettere l’unità del fronte resistenziale. In questo modo il primo grande cambiamento della politica italiana dopo l’arresto di Mussolini ebbe come protagoniste le forze della Resistenza e non gli Alleati92. Il risultato della svolta si concretizzò il 24 aprile quando poté finalmente insediarsi il primo governo di unità nazionale, presieduto ancora da Badoglio (un segno di continuità col precedente) ma con ministri antifascisti (i quali pesavano nelle scelte molto più del capo del governo)93. Il programma era limitato: condurre la guerra contro tedeschi e fascisti ed agire sul terreno dell’epurazione. La decisione tra monarchia e repubblica era rinviata alla fine della guerra. Questi pochi punti programmatici non fecero che sottolineare la debolezza di un governo di transizione94 e fomentare le rimostranze di alcuni oppositori che lo sanzionavano come governo illegittimo. Il risultato fu comunque quello desiderato e tra la fine di aprile e il 5 maggio il nuovo esecutivo ottenne l’appoggio anche del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI), e del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) romano.

Il Ministero di Grazia e giustizia venne affidato a Vincenzo Arangio Ruiz, il quale si ritrovò, a pochi giorni dalla sua nomina, di fronte allo scoglio rappresentato dall’epurazione. Sul suo tavolo venne collocato il “rigido progetto di legge” dell’ex ministro della Giustizia Casati, che prevedeva

91 Che divenne appunto “svolta di Salerno”. 92 Cfr. H.W

OLLER,I conti con il fascismo, op. cit., pp. 101-169.

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Adolfo Omodeo, energico antifascista divenne ministro della Pubblica istruzione, Umberto Tarchiani venne assegnato al ministero dei Lavori pubblici. Va rammentato però che, se i ministri antifascisti ricoprirono quasi tutti i ministeri, gli Alleati non concessero loro quelli legati alle competenze delle forze armate. Queste pedine vennero infatti difese dall’intervento degli angloamericani che non gradivano un cambiamento sostanziale in settori così delicati, determinanti per la condotta della guerra.

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la messa in stato di accusa di tutti i fascisti, da quelli che avevano ricoperto incarichi di peso a quelli semplicemente iscritti al partito fascista: una proposta ritenuta troppo punitiva. Questo fascicolo era affiancato dalla proposta di legge formulata dai giuristi Forti e Altavilla, più “morbida” ma parimenti criticata (in particolare da Togliatti, Omodeo e Sforza). Gli sviluppi del confronto portarono il Guardasigilli Arangio Ruiz a stendere una relazione, poi sottoposta al giudizio del governo, in cui si sosteneva come migliore il disegno di legge della coppia Forti-Altavilla. L’idea di annullare le sentenze pronunciate precedentemente dal regime, come avrebbe previsto il Casati, costituiva una nota negativa del provvedimento che Arangio Ruiz sottolineò apertamente, sostenendo che in tal modo

[si sarebbe] violato il principio della irretroattività della legge penale (nulla poena sine praevia lege poenali), un vero e proprio caposaldo del diritto. Un’ulteriore criticità era rappresentata dalla presenza nelle Corti distrettuali dei giudici popolari che non sarebbero stati in grado di pronunciare verdetti equilibrati. Sarebbe stato più opportuno servirsi di personale togato […] anche se affidarsi alla magistratura avrebbe suscitato il malcontento dell’opinione pubblica95

.

Era chiaro che la popolazione voleva giustizia e i giudici popolari rappresentavano una sicurezza maggiore agli occhi della comunità rispetto a magistrati che potevano essere collusi col regime. L’incognita che però impensieriva il governo, tra cui Croce che lo espose chiaramente in un discorso, era che la giustizia potesse tramutarsi in vendetta o di sanguinosa resa dei conti. L’antifascismo avrebbe dunque dovuto normalizzare il processo di giustizia senza però tramutarsi in un movimento di vendetta. Nonostante le non poche riserve di Croce, del ministro Arangio Ruiz e di molti membri del governo, la proposta approvata, - pur con qualche modifica -, fu comunque quella del Casati96. Questa mossa era stata frutto di una riflessione: se la defascistizzazione non avesse imboccato una strada più credibile, probabilmente al Sud i disordini sarebbero aumentati e al Nord non era da escludere che la popolazione si sarebbe convinta che l’epurazione in mano allo Stato ed alle autorità angloamericane significasse la totale impunità dei fascisti. In tal modo entrò in

95 A.M

ARTINI,Dopo Mussolini, op. cit., pp. 28-29.

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