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Academic year: 2021

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Clima

1 INTRODUZIONE

Clima Insieme dei fenomeni meteorologici che caratterizzano nel lungo termine una data regione geografica. È determinato da fattori quali la latitudine, l'altitudine, la continentalità e la morfologia locale ed è caratterizzato da elementi quali i venti, la pressione atmosferica, l'umidità dell'aria, i regimi di precipitazione e la temperatura. Il termine deriva dal greco klima, che significa inclinazione.

Il clima determina il tipo di flora e di fauna presente in una data area e il tipo di attività umane che vi si possono svolgere. Influenza i processi fisiologici degli organismi viventi, la loro salute e la diffusione delle malattie. Con le proprie attività l'uomo ha introdotto nell'ambiente sostanze chimiche e inquinanti di vario genere, prima fra tutte l’anidride carbonica, provocando cambiamenti climatici riscontrabili a livello sia locale che planetario, come il riscaldamento globale oggi in atto.

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CLIMATOLOGIA E METEOROLOGIA

Il clima è l'oggetto di studio della climatologia, la scienza che analizza l'andamento stagionale e annuale delle grandezze meteorologiche (temperatura, umidità, precipitazione, pressione) per ricavarne valori medi. Le variazioni puntuali, nello spazio e nel tempo, di queste stesse grandezze meteorologiche sono invece il campo di indagine di un'altra disciplina legata allo studio del clima, la meteorologia. Tali variazioni vengono misurate direttamente mediante appositi strumenti, quali termometri, igrometri, pluviometri o barometri. Lo studio del clima, al contrario, consiste nel rilevamento e nell’analisi di dati statistici, oggi completamente trattati dai computer, vale a dire nell’elaborazione di valori medi, validi entro ampie regioni e lunghi periodi. Una sintesi delle variazioni meteorologiche registrate in una data area non basta, tuttavia, a definirne con precisione le caratteristiche climatiche. Per fare ciò, la climatologia ricorre all'individuazione e all'analisi di modelli meteorologici rilevabili a intervalli regolari. L'indagine dei cambiamenti climatici occorsi nell'arco delle passate ere geologiche è oggetto della paleoclimatologia, una disciplina che si serve di strumenti di ricerca utilizzati anche dai geologi.

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DA CHE COSA DIPENDE IL CLIMA?

La latitudine è uno dei principali fattori che condizionano il clima di una regione; da essa dipende infatti l’angolo di incidenza dei raggi solari sulla superficie terrestre, e quindi l’intensità di insolazione della regione. Oltre che dalla latitudine, il clima è influenzato dalla complessa conformazione e composizione dell'atmosfera e dai diversi sistemi di trasferimento di calore che agiscono sul pianeta (tra cui le correnti oceaniche, le correnti atmosferiche, l’irraggiamento). Le masse continentali e quelle oceaniche, inoltre, reagiscono in modo differente alle sollecitazioni dell'atmosfera, che si muove per effetto della rotazione terrestre ed è costantemente interessata dallo spostamento di grandi masse d'aria. Determinanti ai fini della definizione dei modelli climatici locali sono pure fattori quali l'altitudine, la topografia, la distanza dal mare e la presenza di sistemi montuosi o bacini lacustri.

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SCALE CLIMATICHE

In base all'ampiezza dell'area presa in esame è possibile distinguere tre "scale" di clima: il macroclima, che interessa le grandi zone climatiche, il mesoclima, che interessa regioni di dimensioni variabili (da 200 km a poche decine di metri di diametro) e il microclima, che interessa aree molto limitate.

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SISTEMA CLIMATICO GLOBALE

Generalmente le masse d'aria tendono a scaldarsi in corrispondenza dell’equatore, a sollevarsi e a riaffondare, dopo essersi raffreddate, all'altezza dei poli. Per questo motivo, la fascia equatoriale è caratterizzata da condizioni di bassa pressione e calme, spesso interrotte da abbondanti precipitazioni associate a nubi cumuliformi torreggianti. Staccandosi dall'equatore, le masse d'aria calda tendono (nei rispettivi periodi estivi) a spostarsi verso nord nell'emisfero boreale e verso sud in quello australe; ricadendo sopra i poli, creano, quindi, aree di alta pressione e, raffreddandosi, danno origine a venti gelidi e secchi che dai poli spirano verso sud.

Questo semplice sistema di circolazione delle masse d'aria è complicato dagli effetti prodotti dal moto di rotazione della Terra che, per effetto della forza di Coriolis, fa deviare le masse d'aria verso destra nell'emisfero boreale e verso sinistra in quello australe. Ecco perché i venti tropicali e quelli polari tendono a soffiare da est. In entrambi gli emisferi, intorno a 30° di latitudine, si estende una zona di alte pressioni subtropicali in cui grandi masse d'aria scendono dalla stratosfera nella troposfera, in correnti d'aria che spirano verso l'equatore, dando origine ai cosiddetti alisei, venti costanti che soffiano da nord-est nell'emisfero boreale e da sud-est in quello australe.

Nella fascia interessata dalle alte pressioni subtropicali il clima è in genere molto secco sopra le masse continentali e molto umido sopra quelle oceaniche, per effetto dell'intensa evaporazione. Gli alisei provenienti dagli oceani trasportano, quindi, aria carica di umidità che, in prossimità di un'isola o delle coste continentali, per l'effetto dei diversi gradienti termici, viene spinta verso quote più elevate e, raffreddandosi, tende a ricadere in piogge torrenziali.

Tra i 30° e i 60° di latitudine di entrambi gli emisferi, si estende una fascia caratterizzata da venti prevalenti da ovest, relativamente temperati e umidi. L'umidità trasportata da questi venti spesso si scarica sulle regioni litoranee occidentali dei continenti e provoca la formazione di masse di aria calda e umida, sotto le quali vanno a incunearsi le masse di aria fredda dei venti polari provenienti da est. Quando ciò avviene, le masse di aria calda sovrastanti, raffreddandosi, scaricano la propria umidità sotto forma di pioggia o di neve. Tra i 50° e i 60° di latitudine si estende una fascia di basse pressioni subpolari, alla quale fa seguito una fascia caratterizzata da gelidi venti polari da est.

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CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI

Il sistema di classificazione dei climi normalmente adottato, basato sulle differenze di temperatura e precipitazioni, è quello formulato dal climatologo tedesco Wladimir Köppen all’inizio del XX secolo. Il suo fondamento consiste nell’osservazione che l’effetto più evidente e diretto del clima è il tipo di vegetazione associato. Ne risulta una suddivisione della Terra in cinque grandi aree climatiche, ciascuna corrispondente all’area di distribuzione di una particolare categoria di piante.

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Queste ultime si distinguono infatti in cinque classi, a seconda delle condizioni ambientali di cui abbisognano: le megaterme crescono in presenza di temperature medie superiori ai 20 °C; le mesoterme sono tipiche delle temperature comprese tra i 15 e i 20 °C; le microterme sono caratteristiche delle temperature comprese tra 0 e 15 °C; le echistoterme crescono in presenza di temperature molto basse, oltre il limite della vegetazione arborea; infine le xerofite sono le piante adattate ad ambienti aridi, caratterizzati da lunghi periodi di siccità.

In base a questa classificazione della vegetazione si distinguono cinque grandi fasce climatiche: quella del climi tropicali umidi, corrispondente all’area di diffusione delle piante megaterme; quella dei climi aridi, in cui crescono le piante xerofite; quella dei climi temperato-caldi, in cui si trovano le piante mesoterme, quella dei climi boreali, corrispondente alla zona di distribuzione delle piante microterme e, infine, la zona polare, in cui crescono le piante echistoterme.

6.1

Climi tropicali umidi

Tipici della fascia equatoriale calda compresa tra i due tropici, i climi tropicali umidi sono del tutto privi di una stagione invernale. La temperatura media è costantemente superiore ai 18 °C e l’escursione termica è molto ridotta. Nell’ambito di questa zona climatica si distinguono ulteriormente il clima della foresta pluviale, o clima equatoriale, e il clima della savana. Il primo è caratterizzato da precipitazioni frequenti, il cui effetto più evidente è la vegetazione estremamente rigogliosa della foresta pluviale; lo si trova nella regione amazzonica, nell’Africa centrale e nelle regioni costiere dell’oceano Indiano. Il secondo, quello della savana, è il clima di transizione tra quello equatoriale umido e quello arido della fascia desertica. Presenta una stagione asciutta e una vegetazione dominata dalla prateria erbacea, interrotta da qualche specie arborea di tipo xerofitico.

6.2

Climi aridi

I climi aridi, caratteristici delle latitudini basse e medie a cavallo dei tropici, sono quelli in cui la quantità di precipitazioni non riesce a compensare l’acqua persa per effetto dell’evaporazione. Nell’ambito di questa categoria si distinguono i climi semiaridi, a cui sono associate le steppe predesertiche, e i climi desertici veri e propri. A seconda della posizione geografica, poi, si distinguono ulteriormente regioni desertiche calde, con temperature medie superiori ai 18 °C (tra cui il Sahara, il deserto libico e i deserti iraniani a nord, e il Kalahari e il Gran Deserto Sabbioso australiano a sud), e regioni aride fredde, con temperature medie inferiori ai 18 °C, situate all’interno delle aree continentali (come il deserto di Gobi e le zone aride della Patagonia meridionale). La vegetazione, molto scarsa, si riduce a poche specie erbacee o arbustive di tipo xerofitico.

6.3

Climi temperati caldi

All’interno di questa ampia categoria si distinguono diversi tipi di climi: quello subtropicale umido, caratteristico delle regioni orientali dei continenti (come le coste orientali della Cina) comprese tra i 25° e i 40° di latitudine; presenta estati calde e afose con abbondanti precipitazioni e inverni anch’essi molto piovosi, ma relativamente freddi; la vegetazione che ne risulta è la foresta subtropicale umida, in cui convivono piante caducifoglie, come il faggio e la quercia, con conifere e piante tropicali come il bambù. I climi marittimi temperato-freschi, caratteristici delle coste occidentali dei continenti comprese tra i 40° e i 60° di latitudine, presentano estati fresche e inverni

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miti; la temperatura media non scende al di sotto dello 0 °C e non sale al di sopra dei 15 °C; è il clima tipico delle regioni atlantiche europee, che produce una vegetazione di foreste miste di sempreverdi e caducifoglie. I climi mediterranei invece, tipici delle zone occidentali comprese tra le latitudini 30° e 45°, e in particolare delle regioni affacciate sul bacino del Mediterraneo, presentano un massimo di precipitazioni durante l’inverno. L’escursione termica annua è mitigata dalla presenza del mare e la vegetazione tipica è la macchia.

6.4

Climi boreali

Sono i climi caratterizzati da inverni freddi, presenti nelle zone continentali più interne, alle medie latitudini. Sono quindi caratteristici dell’emisfero boreale (da cui il nome), dal momento che in quello australe le masse continentali sono di gran lunga meno estese. Anche all’interno di questa fascia climatica si può operare un’ulteriore distinzione, tra clima umido continentale e clima subartico. Il primo, presente nelle regioni centrorientali del Nord America e dell’Eurasia comprese tra i 40 e i 50° di latitudine, presenta una stagione fredda di circa 8 mesi, in cui le temperature rimangono inferiori allo 0 °C, e una stagione calda con temperature di circa 20 °C. Le precipitazioni sono più abbondanti in estate; quelle invernali sono parzialmente nevose. La vegetazione associata è quella della foresta di piante decidue (querce, faggi, castagni, betulle, aceri, tigli) e delle steppe, queste ultime presenti soprattutto nelle pianure della Russia e di alcune zone del Nord America. Il clima definito subartico è quello presente tra i 50° e i 70° di latitudine, vale a dire dove si estendono le foreste della taiga, dominate dalle conifere sempreverdi. È caratterizzato da inverni lunghi e freddi e da estati che, seppur brevi, raggiungono comunque temperature relativamente miti.

6.5

Climi polari

Sono definiti polari i climi in cui la temperatura della stagione più calda si mantiene sempre al di sotto dei 10 °C. Nell’ambito di questa classe climatica si distinguono il clima subpolare e il clima di gelo perenne. Il primo, con inverni molto rigidi, estati fresche e precipitazioni scarse durante tutto l’anno, produce una vegetazione priva di specie arboree, costituita essenzialmente da muschi e licheni (tundra). Il clima di gelo perenne, invece, presenta temperature costantemente inferiori allo 0 °C e una vegetazione praticamente assente. Nella fascia interessata da questo clima, in Antartide, nella stazione meteorologica di Vostok, è stata registrata la più bassa temperatura mai misurata sul pianeta, pari a -91,5 °C.

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Regione

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INTRODUZIONE

Regione (geografia): Estensione di territorio con caratteristiche unitarie determinate da una serie di fattori topografici, climatici, economici, storici e culturali. Il concetto di regione, studiato e frequentemente utilizzato in geografia, in particolare da Vidal de la Blache e dalla sua scuola, è definito in vari modi, alcuni assai precisi, altri più generici ed equivocabili.

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IL CONCETTO DI REGIONE

Gli elementi naturali (climatici, idrografici, topografici) costituiscono il fondamento della suddivisione del globo in aree caratterizzate da una certa omogeneità (ad esempio la Siberia o l’Amazzonia). La combinazione di questi elementi, considerati come risorse ma al contempo come fattori condizionanti l’economia di un territorio, ha portato all’individuazione delle regioni agricole in termine di colture predominanti (ad esempio il Corn Belt negli Stati Uniti).

L’etimologia stessa del termine (che deriva dal latino regio, “spazio sottoposto al medesimo regime politico”) porta a considerare la regione come un territorio identificabile dal fatto di essere amministrato da un’unica entità politica, e quindi di essere popolato e gestito da un gruppo sociale che ha sviluppato una serie di attività economiche specifiche e peculiari di quel territorio. Il costituirsi delle unità regionali nel corso dei secoli ha portato all’introduzione del concetto di

regione storica; ma l’identità storica non è sufficiente a giustificare l’unità regionale, che è invece

supportata dalla vita economica e sociale contemporanea, incentrata nella rete urbana e nelle città (ad esempio la Lombardia si identifica con la rete urbana che ha il suo centro in Milano).

In genere l’identità e la vita di una regione sono definite da una combinazione di fattori passivi (come il condizionamento determinato dagli elementi naturali, che mettono a disposizione solo un certo tipo di risorse) e di fattori attivi, storico-sociali (come le innovazioni tecniche ed economiche o la pianificazione nell’uso delle risorse da parte degli abitanti di uno specifico territorio).

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EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI REGIONE

Gli studiosi hanno individuato unità regionali di dimensioni assai varie, che vanno dalle microregioni dell’Europa, con un’alta densità di popolazione e fittamente urbanizzate, alle macroregioni dei grandi stati continentali, come il Brasile o gli Stati Uniti. L’analisi storico-geografica dei paesi industrializzati ha dimostrato che gli stati si sono formati organizzandosi in sistemi regionali gerarchici, caratterizzati da regioni più piccole incluse in altre più grandi. Al contrario, la realtà dei paesi in via di sviluppo sembra non aver conosciuto questo meccanismo, essendo invece caratterizzata o da grandi entità nazionali dominate da un’unica metropoli, in genere la capitale, o dalla parcellizzazione di diverse entità territoriali.

Le entità statali hanno comunque reso necessaria la creazione di regioni amministrative, più o meno autonome rispetto al potere centrale. Queste, dotate di un capoluogo, si integrano senza interferire l’una con l’altra, essendo tutte poste allo stesso livello gerarchico. La suddivisione di uno stato in

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regioni consente lo sviluppo di diverse politiche locali, che tengono in considerazione e valorizzano le diversità e le peculiarità delle singole aree.

Alla fine del XX secolo, l’intensificarsi degli scambi, la rapida trasformazione del lavoro, la mobilità delle persone e delle imprese hanno indotto profonde trasformazioni nelle tradizionali strutture regionali. Emergono oggi vasti insiemi sovranazionali, come la megalopoli europea che, dal Mare del Nord alla Pianura Padana, include una grande varietà di regioni storico-geografiche. La scomparsa delle barriere politiche e dei principi amministrativi dei paesi a economia pianificata, in particolare nell’Europa centrale, ha favorito la nascita di nuove relazioni territoriali. Alcuni geografi contestano oggi persino la pertinenza del concetto stesso di regione, ritenendolo superato in un mondo tendente sempre più alla globalizzazione.

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Cartografia

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INTRODUZIONE

Cartografia :Arte e scienza della rappresentazione del territorio. Citiamo queste due significative definizioni: "La cartografia è la più scientifica delle arti e la più artistica delle scienze" (Paul Theroux). "L'uomo ha sviluppato tre grandi forme di comunicazione: il linguaggio, la musica e la cartografia. Quest'ultima è di gran lunga la forma di comunicazione più antica" ("The Times", 14 ottobre 1992).

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CHE COS'È LA CARTOGRAFIA?

Con il termine cartografia si intende tutto ciò che riguarda la realizzazione e lo studio delle carte geografiche. Per creare una carta sono necessari alcuni requisiti: la capacità di trovare e selezionare le informazioni provenienti da varie fonti della geografia per poi sintetizzarle in un corpo informativo organico e compatto; la capacità di illustrare correttamente il messaggio della carta, che deve risultare chiaro a una gamma di utenti che differiscono profondamente nelle loro capacità di leggere la carta stessa; l'abilità grafica nel trasmettere le informazioni attraverso il ricorso a simboli, a linee e a colori, rendendo semplici i messaggi più complessi e assicurando la piena leggibilità della carta geografica.

Le carte geografiche non sono soltanto creazioni artistiche che esaltano le capacità dei loro creatori, ma sono soprattutto documenti di carattere storico e sociologico. Nei paesi più avanzati nell'amministrazione dello stato, come la Francia e la Gran Bretagna, il servizio per il rilevamento topografico ha iniziato a produrre delle carte fin dai primi anni del XIX secolo. Esse oggi permettono di seguire gli sviluppi del territorio attraverso i secoli fino ai nostri giorni: ci raccontano di attività industriali chiuse da tempo e di tracciati ferroviari abbandonati da decenni, di insediamenti noti come borghi e divenuti in seguito città popolose ecc.

La cartografia è stata spesso impiegata per rappresentare la realtà territoriale in funzione di certi obiettivi, falsandola per ragioni politiche o di propaganda: così fece il regime nazista per dimostrare la "minaccia" rappresentata per il popolo tedesco dalla Polonia e dagli altri paesi dell'Europa orientale. Così fece l'Unione Sovietica falsando la cartografia ufficiale per meglio tener celati i suoi segreti militari. Altro esempio di uso distorto della cartografia: in passato il ricorso alle carte con la proiezione di Mercatore permise di far apparire esageratamente grandi i possedimenti britannici in Canada rispetto alle colonie francesi che si trovavano in prossimità dell'equatore. Proprio per questa capacità di riflettere intendimenti storici e sociali la cartografia è diventata oggetto di studi approfonditi, in quanto offre una valida documentazione sulla vita di una società o di uno stato. La realizzazione di una carta geografica non segue una formula rigida, assoluta. Essa dipende dagli strumenti di cui si dispone, dagli scopi della carta e dalle conoscenze generali del realizzatore. Esistono comunque alcune regole generali che possono guidare chi si avvicina a questa professione.

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I DIVERSI TIPI DI CARTE

La suddivisione più comune è quella tra carte topografiche e carte tematiche. Le prime mostrano parti di superficie terrestre in cui sono inserite anche le opere dell'uomo: generalmente sono indicate le principali vie di trasporto (strade, linee ferroviarie, canali navigabili, sentieri, aeroporti), gli insediamenti umani (villaggi, paesi e città) sullo sfondo dello spazio naturale, rappresentato con i fiumi, le coste, i rilievi. Le carte tematiche sviluppano invece temi specifici come, ad esempio, la geologia di una determinata area.

Una ulteriore distinzione viene fatta tra le carte a grande o a piccola scala. Le carte a grande scala dell'Europa e di alcune altre parti del mondo arrivano a mostrare le singole costruzioni sul terreno. Di solito le carte più dettagliate sono quelle delle proprietà agrarie: in Svezia vengono aggiornate dall'inizio del XVIII secolo e normalmente hanno una scala compresa tra 1:500 e 1:5000.

Le carte geografiche a piccola scala, come le carte murali che si usano nelle scuole, ammettono delle generalizzazioni. Strade e linee ferroviarie, ad esempio, possono essere deviate rispetto al loro percorso reale per ridurre la confusione, a patto che tutti gli elementi rappresentati vengano indicati nella loro corretta interrelazione. Nei casi estremi (carte di scala 1:1.000.000 o anche più piccole), il risultato è quello di un'illustrazione che offre un buon colpo d'occhio d'insieme ma ben poche informazioni affidabili (ad esempio la distanza tra due punti). Il tipo di proiezione scelta per produrre la carta può incidere in maniera determinante sul risultato.

La maggior parte di ciò che è stato prodotto dalla cartografia tradizionale è il risultato di un lavoro compiuto per conto di organismi che fanno parte del servizio pubblico. Praticamente ogni paese ha un proprio servizio cartografico che dipende dallo Stato, il quale provvede alla realizzazione delle carte di base del territorio nazionale: ciò a fini amministrativi, statistici, militari ecc. In Italia l'IGM (Istituto geografico militare) sin dagli anni successivi all'unità ha realizzato il rilevamento del territorio, traducendolo in una serie di tavole alla scala 1:25.0000 (e alla scala 1:200.000). Da queste derivano generalmente tutte le carte che usualmente vengono pubblicate per i più vari scopi. Raramente infatti gli editori privati possono permettersi di produrre carte di interesse nazionale, preferendo concentrarsi su quei settori che per ragioni diverse, di carattere o turistico o imprenditoriale, sono in grado di assicurare una ricca clientela ai loro prodotti.

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STORIA DELLA CARTOGRAFIA

Le più antiche carte geografiche di cui abbiamo notizia furono realizzate dai babilonesi intorno al 2300 a.C. Disegnate su supporti di terracotta, consistevano essenzialmente in rilevamenti delle proprietà agricole compiuti allo scopo di tassarle. Carte regionali di maggiore dettaglio e completezza furono invece tracciate sulla seta nella Cina del II secolo a.C. La capacità di realizzare carte geografiche si afferma comunque in diverse parti del mondo antico; straordinaria la particolare mappa realizzata fin dai tempi antichi dagli abitanti delle isole Marshall che, utilizzando una corda di fibra vegetale opportunamente annodata, riuscivano a rappresentare la posizione delle isole nell'oceano. L'arte della cartografia era conosciuta e praticata dai maya e dagli inca, che realizzarono carte dei luoghi conquistati fin dal XII secolo d.C.

Il primo tentativo di rappresentare il mondo conosciuto risale al VI a.C. ed è attribuito al filosofo greco Anassimandro. La carta che egli disegnò aveva forma circolare e rappresentava le terre allora

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conosciute che si estendevano intorno al mare Egeo, a loro volta circondate dai misteriosi oceani. Tra le carte più note della classicità vi è quella attribuita a Eratostene (200 ca. a.C.) che rappresenta il mondo conosciuto, i cui margini erano le Isole britanniche a nord-ovest, il fiume Gange (in India) a est, la Libia a sud. Questa fu la prima carta a essere dotata di linee parallele che indicavano la latitudine, oltre ad alcuni meridiani di longitudine che erano però riportati a distanze irregolari. Intorno al 150 d.C. lo studioso egiziano Tolomeo produsse il suo trattato di geografia, che conteneva alcune carte del mondo. In esse veniva utilizzata per la prima volta una forma di proiezione conica basata sui precetti della matematica, facendo uso di un rudimentale reticolo di meridiani e paralleli; gli errori nella descrizione delle dimensioni dell'Asia sono comunque molti. Con la caduta dell'impero romano (la cui produzione di carte culmina nella cosiddetta Tabula

Peutingeriana) l'attività cartografica in Europa subì un quasi totale arresto; rimasero le carte

prodotte dai monaci, che avevano come unico scopo quello di mostrare la centralità di Gerusalemme nel mondo e che per questo erano disposti a tradire i principi affermati della geografia scientifica.

Ai secoli bui dell'Europa si contrappose la vivace produzione cartografica dei naviganti e dei geografi arabi: nel 1154 il geografo Al-Idrisi produsse una particolare carta del mondo. A partire dal XIII secolo i navigatori cominciarono a realizzare accurate carte marittime, note come portolani, che solitamente non avevano meridiani e paralleli ma che usavano come sistema di riferimento un insieme di linee tratteggiate che indicavano le rotte per raggiungere i principali porti.

Nel XV secolo furono nuovamente pubblicate le carte tolemaiche, che per molti secoli successivi avrebbero influenzato in maniera determinante i cartografi europei. Nel 1507 la carta di Martin Waldseemüller fu la prima a riportare con il nome di America (in onore di Amerigo Vespucci) la "nuova" terra scoperta in quegli anni a occidente dell'oceano Atlantico. L'opera del cartografo tedesco, realizzata su dodici fogli separati, fu inoltre la prima a distinguere con chiarezza i continenti americano e asiatico.

Nel 1570 il fiammingo Abramo Ortelio pubblicò il primo atlante moderno, dal titolo Orbis

Terrarum, che conteneva 70 carte, dando vita a una scuola fiamminga di cartografia che realizzerà

in seguito carte e atlanti (come quello di Blaeu) apprezzati ancora oggi come capolavori dell'arte cartografica. A questa diedero fondamentali contributi anche diversi cartografi italiani.

I grandi sviluppi della cartografia si ebbero nel corso del XVI secolo, quando molti cartografi raccolsero nei loro lavori la grande messe di informazioni che navigatori ed esploratori riportavano dai loro viaggi. Fu comunque Gerardo Mercatore che si elevò al di sopra di tutti i suoi contemporanei, mettendo a punto un tipo di proiezione cartografica che si dimostrò di valore inestimabile per tutti i navigatori del suo secolo e di quelli successivi.

Con il passare dei secoli le carte del mondo diventavano via via più precise grazie alla determinazione della latitudine e della longitudine e alle maggiori informazioni sulle dimensioni e sulla forma della terra. Le prime carte a mostrare le variazioni dei campi magnetici suscettibili di interessare la bussola apparvero nella prima metà del XVII secolo, mentre nel 1665 fu prodotta la prima carta geografica che forniva indicazioni sulle correnti oceaniche. Con l'inizio del XVIII secolo tutti i principi scientifici che stanno alla base della cartografia moderna erano stati fissati: gli

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errori nella rappresentazione cartografica riguardavano ormai solamente le zone inesplorate del mondo e in particolare certe zone interne dei continenti.

Nella seconda metà del XVIII secolo alcuni paesi europei iniziarono il rilevamento sistematico del proprio territorio. Nel 1793 fu ultimata la prima carta completa della Francia: misurava circa 11 m di lato ed era di forma quadrata. Gran Bretagna, Spagna, Austria, Svizzera e altri paesi fecero lo stesso negli anni immediatamente successivi. Negli Stati Uniti il primo rilevamento geologico del territorio fu avviato nel 1879 e due anni più tardi il Congresso geografico internazionale propose la realizzazione della carta del mondo in scala 1:1.000.000, un progetto che deve ancora essere completato.

Nel XX secolo la tecnica cartografica si è arricchita della fotografia aerea, che fu sviluppata nel corso della prima guerra mondiale e fu utilizzata in maniera sistematica in quella successiva. Nel 1966, il lancio del satellite Pageos e, negli anni Settanta, dei tre satelliti Landsat, rappresentarono una svolta ulteriore per la ricerca cartografica, assicurando carte di altissima precisione di molte zone poco conosciute del mondo. Nonostante tutto restano comunque ancora prive di carte dettagliate importanti porzioni della superficie terrestre.

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LA NASCITA DELLA NUOVA CARTOGRAFIA

La cartografia classica si sviluppò dopo l'invenzione della stampa. Da allora i cartografi lavorarono sulla carta. Anteriormente erano stati utilizzati i supporti più diversi, quali le pietre e la ceramica. Nel corso degli ultimi trent'anni, e in particolar modo dal 1990, la situazione della cartografia è cambiata radicalmente. Questo è stato possibile grazie all'introduzione del computer che ha modificato il lavoro di creazione delle carte geografiche. I primi tentativi in questa direzione furono fatti dai meteorologi in Svezia, Gran Bretagna e Stati Uniti, ma il grande balzo nella nuova tecnologia fu compiuto tra il 1968 e il 1973 dall'Unità sperimentale di cartografia, in Gran Bretagna, e dai cartografi dell'Università di Harvard.

Da allora l'arte e la tecnica di realizzazione delle carte geografiche e topografiche ha subito alcuni cambiamenti irreversibili.

Innanzitutto le carte vengono ora realizzate sulla base delle informazioni contenute in un database. Esse sono dei sottoprodotti del database. Il computer non viene più utilizzato solamente per automatizzare le tecniche descrittive dei cartografi ma è diventato lo strumento di valutazione della qualità dei dati, l'elemento che fonde i dati tra loro e ne valuta la compatibilità; viene utilizzato sia dal ricercatore che cerca fonti e materiali interessanti ai fini del lavoro, sia dal cartografo e dal grafico, che riproducono i dati raccolti.

Il Servizio di rilevamento, come quello in funzione in Gran Bretagna e altri paesi, consente, attraverso lo schermo di un computer, di crearsi la propria carta geografica selezionando l'area di interesse. Essa viene poi stampata su carta; il tipo e la quantità di informazioni che saranno contenute in questa carta "fai da te" dipenderanno dall'utente, che ne potrà scegliere anche la scala in un ambito compreso tra 1:100 e 1:5000.

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Le informazioni e i programmi per realizzare delle carte geografiche sono sempre più accessibili e, grazie a questo, non vi sono mai state tante carte geografiche in circolazione come in questi anni. Grazie alle nuove tecnologie informatiche oggi la distorsione geometrica delle fotografie aeree e satellitari, che sono di particolare utilità in zone di difficile accesso come estuari e paludi, può essere rimossa ricorrendo al computer.

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I SISTEMI INFORMATIVI GEOGRAFICI (GIS)

Fino al 1985 la divisione dei ruoli e delle professionalità nel settore della mappatura topografica erano chiari e inequivocabili. I geodeti si occupavano delle prove strumentali e analizzavano i risultati che permettevano di definire con sempre maggior esattezza la forma dell'area studiata. Da queste prime informazioni i topografi, operando sul terreno, iniziavano a colmare gli spazi bianchi con i dettagli, lavoro che in alternativa poteva essere compiuto dai fotogrammetristi anche ricorrendo alla fotografia aerea.

Nel corso degli ultimi dieci anni la situazione è però radicalmente cambiata. Gran parte delle professionalità legate alla cartografia è stata eliminata dall'introduzione dei sistemi satellitari del tipo Global Positioning System. I ricercatori hanno la possibilità di utilizzare programmi informatici che permettono loro di produrre carte che, per eleganza e leggibilità, competono con quelle realizzate con sistemi tradizionali.

D'altra parte è sbagliato pensare di trovarsi di fonte a un settore in declino. La diffusione dell'uso dei computer ha portato allo sviluppo di una nuova serie di strumenti di studio che collettivamente vengono chiamati Sistemi informativi geografici, noti con l'acronimo inglese GIS (Geographic Information System). Il primo di questi sistemi fu costruito in Canada nel 1965 per realizzare l'inventario della fauna e della flora del paese. Oggi ve ne sono decine di migliaia in tutto il mondo. I GIS assicurano poi un altro grande vantaggio: sono infatti gli unici strumenti capaci di intrecciare le informazioni raccolte da diverse organizzazioni di ricerca. Queste possono ad esempio compiere valutazioni sulla produttività agricola di una determinata regione e accantonare i dati raccolti: grazie al GIS milioni di dati possono essere comparati automaticamente con quelli raccolti da un'altra società, per ragioni completamente diverse, sulla medesima area di interesse.

In che modo queste nuove tecnologie possono incidere sulla scienza della cartografia? L’ipotesi, prospettata da alcuni, che le nuove tecnologie per la trasmissione delle informazioni geografiche possano cancellare il ricorso alle carte non ha fondamento. Sono infatti due strumenti che convivono e si alimentano reciprocamente perché, se è vero che il supporto cartaceo non è in grado di contenere la complessità delle informazioni di un sistema GIS, d'altra parte questo non è in grado di rappresentare con la chiarezza e l'immediatezza di una carta topografica le variazioni qualitative e quantitative che si verificano sul territorio. Lo sviluppo combinato del GIS e della più recente tecnica cartografica basata sui computer sta provocando una rapida espansione dell'uso delle carte che, come si capisce, non hanno più molto a che spartire con le carte geografiche tradizionali.

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Carta geografica

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INTRODUZIONE

Carta geografica: Rappresentazione grafica di una sezione della superficie terrestre, ottenuta riproducendo in due dimensioni gli elementi caratterizzanti la superficie stessa. Tali elementi possono essere naturali (fiumi, laghi, montagne, coste ecc.) o artificiali (case, campi, strade, città ecc.), e vengono rappresentati mediante simboli grafici (linee, colori ecc.).

Caratteristica fondamentale di ogni rappresentazione cartografica è la scala, cioè la riduzione che la superficie rappresentata subisce nel passaggio dalla realtà alla carta. La riduzione definisce il tipo di carta: a seconda della scala è infatti possibile rappresentare una superficie molto vasta, come un continente, o una molto piccola, come un campo coltivabile. Si hanno così carte di vario tipo: le carte geografiche, regionali e corografiche (che riproducono ampi tratti della superficie terrestre), le carte topografiche (che rappresentano piccole superfici in scala relativamente grande) e infine i planisferi, che rappresentano l'intera superficie terrestre.

Le carte si caratterizzano anche a seconda degli oggetti cui si vuole dare particolare risalto nella rappresentazione: possono privilegiare, ad esempio, la rete dei fiumi o altri elementi fisici, oppure coltivazioni, insediamenti e strade. Le carte generali forniscono le informazioni fondamentali, dal punto di vista naturale o antropico, per conoscere un paese o un territorio; le carte il cui scopo è quello di rappresentare graficamente determinati fenomeni sono dette carte tematiche.

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LA REALIZZAZIONE DELLE CARTE

La costruzione di una carta comporta una serie complessa di operazioni. Fondamentale è il rilevamento della superficie considerata e la sua rappresentazione fedele, ovvero il rispetto delle distanze tra punti di riferimento; altrettanto importante è il rilevamento dei singoli elementi che la caratterizzano, la loro classificazione in categorie e la loro collocazione gerarchica.

I sistemi di rilevamento, molto rudimentali prima che si imponesse la cartografia moderna, si sono affinati a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, con il perfezionamento della fotogrammetria e, successivamente, con l'avvento della aerofotogrammetria, basata sul rilevamento da aerei. Oggi un notevole contributo è dato dalle immagini dei satelliti (telerilevamento), che forniscono dati di precisione estrema.

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TIPI DI CARTE

3.1

Carte topografiche

Vengono utilizzate per rappresentare parti delimitate di territorio. Rappresentano gli elementi naturali e quelli introdotti dall’uomo. Data la varietà e la complessità delle informazioni in esse contenute, le carte topografiche fungono da riferimento per le attività più varie e sono utilizzate da costruttori, pianificatori, amministratori pubblici, militari, geologi, escursionisti ecc.

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3.2

Carte tematiche

Sono destinate a impieghi particolari, nella ricerca scientifica, nella pianificazione territoriale, nell'amministrazione ecc. Esistono diverse categorie di carte tematiche. Particolarmente importanti sono le carte nautiche e quelle aeronautiche. Le prime indicano le rotte delle navi e coprono la superficie degli oceani e degli specchi d'acqua navigabili; indicano inoltre le profondità e le escursioni di marea, le correnti dominanti, le secche, i canali e altri elementi necessari alla sicurezza della navigazione, quali la natura del fondale e l'esatta posizione dei fari e degli scogli affioranti. Le carte aeronautiche rappresentano le aerovie e indicano la posizione dei radiofari.

Carte tematiche sono inoltre quelle politiche (che indicano i confini di stato, di regione e di altre circoscrizioni minori), quelle geologiche, quelle agrarie e molte altre carte di carattere scientifico. Tra le carte tematiche rientrano anche quelle che rappresentano fenomeni privi di un impatto diretto sul territorio, come ad esempio la percentuale di lavoratori addetti all'industria o dei malati di AIDS di un paese o di una regione.

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GLI ELEMENTI FONDAMENTALI DI UNA CARTA

Perché una carta possa contenere un gran numero di informazioni è necessario ricorrere a un sistema di simboli. Quelli utilizzati con maggior frequenza sono stati accettati da tutti i cartografi e si ritrovano sulle carte di tutto il mondo. Il cartografo dispone comunque di una grande varietà di simboli per soddisfare le diverse esigenze: un punto può ad esempio indicare la presenza di 10.000 capi di bestiame mentre una coppia di martelli incrociati può indicare una miniera. I simboli utilizzati vengono solitamente resi espliciti in un’apposita legenda.

4.1

Il reticolo geografico

Per la costruzione di una carta è fondamentale avere un sistema di riferimento a cui riportare gli elementi da rappresentare. Tale sistema, utilizzato per la prima volta da Tolomeo, è quello del reticolo di meridiani e paralleli: linee immaginarie che circondano il globo terrestre in senso tra loro perpendicolare. I meridiani si ricavano immaginando di sezionare il globo verticalmente, da un polo all'altro; i paralleli si ricavano invece immaginando di sezionare la Terra orizzontalmente ossia trasversalmente ai meridiani. Ai paralleli corrisponde la latitudine, a meridiani la longitudine. Convenzionalmente la longitudine si calcola in 180° est e 180° ovest a partire dal meridiano di Greenwich, in Inghilterra. La latitudine è indicata in 90° nord e 90° sud a partire dall'equatore. Qualsiasi punto della carta può essere definito con precisione esprimendo le coordinate in gradi, minuti e secondi di latitudine e longitudine. Le carte sono generalmente orientate con il nord nella parte superiore.

4.2

La scala

La scala della carta geografica offre la chiave per tradurre la distanza di due punti sulla carta nella distanza reale che sulla superficie terrestre separa tali punti. La scala è solitamente rappresentata da una frazione. Ad esempio, scala 1:100.000 significa che l’unità di misura della carta (per esempio 1 cm) rappresenta 100.000 unità di misura nella realtà (100.000 cm, cioè 1 km). Solitamente la scala è

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riportata al margine della carta accanto a un segmento di riferimento che corrisponde a una distanza indicata (1, 5, 10 o 100 km).

4.3

Il rilievo

Uno dei maggiori problemi che sin dalle origini si sono imposti ai cartografi è stato la rappresentazione del rilievo, cioè di colline e montagne, valli e gole. Nelle prime carte geografiche i rilievi erano riportati in maniera generica, senza la minima pretesa di precisione. La rappresentazione è divenuta realistica solo con l'introduzione delle cosiddette curve di livello, o isoipse. Le curve di livello sono linee che raccordano sulla carta tutti i punti situati a una stessa quota altimetrica: l'intervallo tra una quota e l’altra, o equidistanza, viene scelto in base all’opportunità. Nel caso di un intervallo fissato in 50 m le curve di livello indicheranno tutti i livelli multipli della misura di riferimento (50, 100, 150 m ecc.).

Altri metodi per indicare i rilievi del terreno prevedono il ricorso a colori (tinte altimetriche) e ombre, al rilievo a sfumo e al rilievo a tratteggio. Quando vengono utilizzati i colori si ricorre a una scala di intensità decrescente collegata in ciascuna tonalità a un'altezza media; ad esempio, tutto il terreno compreso tra 0 e 100 m viene colorato in verde chiaro, quello tra 100 e 200 m in verde di intensità media e così via.

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LA PROIEZIONE CARTOGRAFICA

Per rappresentare l'intera superficie della Terra senza alcun tipo di distorsione una carta geografica dovrebbe avere una superficie sferica; una carta di questo tipo è il mappamondo o globo, che però è ingombrante, poco pratico, e non riporta molti dettagli. Per questo si preferisce ricorrere a rappresentazioni bidimensionali, le quali però non possono rappresentare in maniera accurata la superficie della Terra se non in sezioni di dimensioni ridotte, in cui l'effetto della curvatura terrestre risulta trascurabile.

Per descrivere una porzione importante della superficie terrestre in maniera accurata la carta deve essere disegnata in modo da ottenere un compromesso tra distorsione delle superfici, distanze e angoli. Spesso la precisione di uno di questi parametri va a scapito di quella degli altri. I vari metodi utilizzati per riprodurre la superficie terrestre su una superficie piana sono detti proiezioni; esse vengono classificate come geometriche o analitiche. Le proiezioni geometriche vengono classificate in relazione al tipo di superficie che devono rappresentare e indicate come proiezioni di sviluppo cilindriche, coniche o piane. Le proiezioni piane sono note anche come proiezioni azimutali o zenitali. Le proiezioni analitiche sono sviluppate sulla base di calcoli matematici.

5.1

Proiezioni cilindriche

Nel realizzare una proiezione cilindrica il cartografo immagina la carta come un cilindro tangente la Terra in corrispondenza dell'equatore. I paralleli sono la proiezione sullo stesso cilindro dei piani paralleli che tagliano il globo. A causa della curvatura della Terra, procedendo verso poli i paralleli vanno avvicinandosi progressivamente tra loro, mentre i meridiani vengono rappresentati come linee parallele perpendicolari all'equatore. Completata la proiezione, immaginiamo che il cilindro venga “tagliato verticalmente” e srotolato sul piano. Il risultato è quello di una carta che rappresenta

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la superficie terrestre come un rettangolo con le linee di longitudine parallele ed equidistanti e quelle di latitudine anch'esse parallele ma non equidistanti: per quanto le forme delle superfici siano distorte in maniera crescente via via che ci si avvicina ai poli, le superfici relative tra le diverse aree sono equivalenti a quelle calcolate sul mappamondo.

La proiezione di Mercatore, sviluppata dal cartografo fiammingo Gerardo Mercatore è affine, pur con qualche adattamento, alla proiezione cilindrica. Una carta di questo tipo è accurata nelle regioni equatoriali ma notevolmente distorta alle alte latitudini. Gli angoli sono comunque rappresentati fedelmente e per questo le carte costruite mediante proiezioni cilindriche sono utilizzate dai naviganti per la determinazione delle rotte. Ciascuna linea che taglia due o più meridiani con lo stesso angolo è rappresentata nelle carte di Mercatore come una linea retta. Questa linea viene detta lossodromica e rappresenta la rotta ideale di una nave o di un aereo che seguono senza deviazioni una direzione indicata dalla bussola.

5.2

Proiezione azimutale

Deriva dalla proiezione del globo su un piano con cui può entrare in contatto in un punto qualsiasi. Questo gruppo comprende le proiezioni gnomoniche, ortografiche e stereografiche. Altre due proiezioni piane sono note come azimutali equivalenti (conservano le proporzioni delle superfici) e azimutali equidistanti (conservano la proporzione delle distanze): non possono essere proiettate ma si sviluppano in una tangente piana. La proiezione gnomonica, o centrografica, è prodotta da una sorgente luminosa immaginaria posta al centro della Terra, mentre in quella ortografica la fonte di proiezione è posta all'infinito. La posizione della fonte luminosa nella proiezione stereografica è quella del punto agli antipodi di quello di tangenza della sfera con il foglio.

La natura della proiezione varia in funzione della fonte scelta. La proiezione gnomonica copre un'area inferiore a metà di un emisfero, la proiezione ortografica copre un intero emisfero, l'azimutale equivalente e la stereografica possono coprire superfici maggiori, mentre l'azimutale equidistante può rappresentare l'intero globo terrestre. In tutte queste proiezioni (con la sola eccezione dell'azimutale equidistante), la porzione di Terra rappresentata dipenderà dal punto di contatto scelto tra il piano immaginario e la Terra stessa. Una proiezione piana tangente all'equatore rappresenterà appunto la zona equatoriale ma non sarà in grado di rappresentarla nella sua interezza su una sola carta; se il punto di tangenza sarà invece uno dei due poli, la carta rappresenterà la corrispondente regione polare.

5.3

Proiezioni coniche

Nel preparare una proiezione di sviluppo di questo tipo si deve immaginare di porre la sfera terrestre dentro un solido di forma conica, di collocare all'interno della sfera stessa la sorgente luminosa che proietterà il reticolo sulla superficie del solido e quindi di tagliare lungo una generatrice questa superficie per poi svolgerla in una superficie piana. Il solido è tangente con la sfera terrestre in tutti i punti di uno stesso parallelo di latitudine e sarà proprio quella la zona di maggior accuratezza della carta che verrà prodotta mentre la distorsione andrà crescendo via via che ci si allontana dal parallelo di tangenza.

(16)

Notevolmente più precisa ma assai più complessa da realizzare è la proiezione policonica, in cui si immagina una serie di coni, ciascuno dei quali è tangente alla Terra a una divera latitudine. La carta che ne deriva sarà composta dalla somma dei singoli rilevamenti.

5.4

Proiezioni matematiche

Per realizzare le carte di piccola scala di grandi aree della superficie terrestre sono state elaborate proiezioni dette “a sviluppo matematico”. Queste carte rappresentano l'intera superficie della Terra in forma di cerchi, ovali e in altre forme. Vengono chiamate anche carte a proiezione interrotta.

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I METODI PER REALIZZARE UNA CARTA GEOGRAFICA

La cartografia ha avuto enormi sviluppi a partire dalla seconda guerra mondiale. Le nuove tecnologie utilizzate per la raccolta delle informazioni, la fotografia aerea e satellitare, le triangolazioni satellitari rese disponibili dal sistema GPS (Global Positioning System) hanno sensibilmente ridotto i margini di errore nel rilevamento dei punti sulla superficie della Terra. Tra le grandi innovazioni di questi anni non va dimenticato il ricorso al computer per il disegno di precisione delle carte.

6.1

L'osservazione

La moderna cartografia si avvale della precisione del rilevamento aereo, che integra le informazioni ottenute dal rilevamento topografico tradizionale. Le fotografie satellitari, oltre a indicare con precisione la posizione relativa degli elementi che costituiscono la superficie terrestre, possono fornire indicazioni accurate sulla posizione dei giacimenti minerali, sullo sviluppo dei centri urbani, sulla distribuzione della vegetazione e anche sulla qualità dei suoli.

6.2

Compilazione e riproduzione

Una volta raccolte le informazioni, è necessario compiere un'attenta pianificazione per assicurarsi che tutte le indicazioni rilevanti siano esposte con chiarezza e precisione. I dati raccolti vengono inseriti in forma di punti in una griglia realizzata sulla base della proiezione piana o di sviluppo che si è adottata. I rilievi sono indicati, quando richiesto, facendo ricorso alle curve di livello che vengono tracciate utilizzando coppie di fotografie stereoscopiche. Nello stesso modo si tracciano le strade, i fiumi e via via tutti gli altri elementi di riferimento.

Sempre più diffusa è inoltre la carta ortofotografica, composta da un mosaico di porzioni di fotografie aeree. Le immagini di queste carte vengono registrate con uno strumento speciale noto come ortofotoscopio, che permette di eliminare le distorsioni di scala e di angolo di ripresa. L'uso massiccio delle banche dati informatiche ha inoltre permesso la realizzazione di carte-video che mostrano sullo schermo del computer i cambiamenti verificatisi in una determinata zona in un certo intervallo di tempo.

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Ere Geologiche

I paleontologi suddividono gli ultimi 570 milioni di anni della storia terrestre in ere, periodi e piani. Tutta la parte precedente di storia, dalla nascita della Terra, avvenuta circa quattro miliardi e mezzo di anni fa, viene denominata Precambriano. La maggior parte dei fossili precambriani è costituita da tracce di semplici organismi perlopiù unicellulari, muniti di esoscheletri rigidi o parti dure che si sono conservate nel corso delle ere geologiche; la maggior parte delle forme animali precambriane più evolute aveva corpo molle, soggetto a rapida decomposizione, e proprio per questo non ne è rimasta traccia. Le prime forme di vita sono rappresentate da piccolissimi batteri vissuti oltre 3,4 miliardi di anni fa; le prime vere e proprie forme animali comparvero non prima di 600 milioni di anni fa.

1

L'ERA PALEOZOICA

L'era paleozoica, seguita al Precambriano, copre circa 345 milioni di anni e comprende sei periodi: Cambriano, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero e Permiano. I principali fossili guida della prima metà dell'era sono costituiti da invertebrati come trilobiti, graptoliti e crinoidei; nella seconda metà sono presenti anche resti di piante e di vertebrati (pesci e rettili).

1.1

Cambriano

All'inizio del Cambriano, circa 570 milioni di anni fa, le forme di vita animale erano limitate all'ambiente marino; già alla fine del periodo, tuttavia, si erano sviluppate la maggior parte delle forme acquatiche conosciute, a eccezione dei vertebrati. Gli animali più caratteristici del Cambriano sono i trilobiti, forme di artropodi primitivi che raggiunsero il pieno sviluppo in questo periodo e si estinsero verso la fine dell'era paleozoica. Altri gruppi ben rappresentati erano i brachiopodi, i briozoi e i foraminiferi; comparvero inoltre i primi molluschi. Per ciò che riguarda il regno vegetale, erano presenti alghe in ambiente marino e licheni sulla terraferma.

1.2

Ordoviciano

In questo periodo, iniziato 500 milioni di anni fa, le forme animali più caratteristiche erano i graptoliti, piccoli organismi coloniali di aspetto bizzarro. Comparvero inoltre i primi vertebrati, sotto forma di pesci primitivi, e i coralli. L'animale di dimensioni maggiori era un cefalopode dotato di conchiglia, che raggiungeva la lunghezza di 3 m. Le forme vegetali erano simili a quelle del periodo precedente.

1.3

Siluriano

Durante questo periodo, iniziato 430 milioni di anni fa, comparvero i primi invertebrati terrestri, capaci di respirare fuori dall'acqua. Si svilupparono inoltre le piante vascolari (dotate di tessuti specializzati nel trasporto dell’acqua e delle sostanze nutritive), che erano comunque estremamente semplici, prive di un fusto differenziato e di vere e proprie foglie.

(18)

1.4

Devoniano

Le forme animali dominanti in questo periodo, iniziato circa 395 milioni di anni fa, erano pesci primitivi tra cui condroitti, dipnoi, placodermi corazzati e crossopterigi. Alcuni resti fossili della Pennsylvania e della Groenlandia sembrano indicare anche la comparsa dei primi anfibi. In rocce di età devoniana si trova il più antico insetto conosciuto. Si svilupparono inoltre le prime piante legnose; verso la fine del periodo le forme vegetali di terraferma comprendevano felci primitive, equiseti e licopodi in forma arborea, che costituivano vere e proprie foreste: alcuni fusti mineralizzati di piante del Devoniano pervenute fino a noi hanno un diametro di 60 cm.

1.5

Carbonifero

Durante la prima parte di questo periodo, iniziato circa 345 milioni di anni fa, i mari contenevano una grande varietà di echinodermi e foraminiferi, oltre alla maggior parte delle forme animali del periodo precedente. È da menzionare l'ampia colonizzazione della terraferma da parte degli anfibi labirintodonti, il primo gruppo di vertebrati uscito dall'ambiente marino. Le flore continentali si diversificarono particolarmente in ambiente palustre.

La seconda parte del Carbonifero vide l'evoluzione dei primi rettili a partire da un gruppo di anfibi. Altri animali colonizzarono la terraferma, tra cui ragni, scorpioni, lumache, oltre 800 specie di blatte e il più grande insetto mai esistito: una specie simile a una libellula con apertura alare di circa 75 cm. Le piante più grandi erano alberi dalla corteccia embricata con tronchi di quasi 2 m di diametro e altezza di circa 30 m. Alcune gimnosperme primitive, le cordaitali, erano più alte e sottili. In questo periodo si svilupparono anche le prime conifere.

1.6

Permiano

Durante il Permiano, iniziato circa 280 milioni di anni fa, si verificò la più grande estinzione di massa della storia della Terra: scomparvero molte specie marine, vale a dire la maggior parte degli invertebrati che avevano popolato le acque del pianeta nei periodi precedenti. Nello stesso periodo, sulla terraferma, ebbe inizio la rapida evoluzione dei rettili, che portò alla differenziazione di due gruppi distinti: da una parte si diffusero forme simili a lucertole, prettamente terrestri, dall’altra le prime forme semiacquatiche. Apparve inoltre un gruppo minore di rettili, i teromorfi, con caratteri simili a quelli dei primissimi mammiferi. Gran parte della vegetazione permiana era costituita da felci e conifere.

2

L'ERA MESOZOICA

L'era mesozoica, durata circa 160 milioni di anni, è anche detta "era dei rettili" perché dominata da questa classe di vertebrati. Comprende tre periodi: Triassico, Giurassico e Cretaceo. I suoi fossili guida principali sono le ammoniti.

2.1

Triassico

Questo periodo, iniziato 225 milioni di anni fa, vide la comparsa dei primi dinosauri. Si trattava di animali di dimensioni contenute, non ancora sviluppati quanto quelli che si sarebbero affermati nei periodi successivi; correvano sugli arti posteriori bilanciando il corpo con pesanti code e raramente

(19)

superavano i 4,5 m di lunghezza. Accanto ai dinosauri si evolvettero altri ordini di rettili, tra cui alcuni acquatici (ad esempio, gli ittiosauri), e altri capaci di volare (pterosauri).

Durante questo periodo fecero la loro comparsa anche i primi mammiferi; sebbene i resti fossili siano frammentari, si pensa che questi animali fossero generalmente di piccole dimensioni e avessero un aspetto simile a quello dei rettili. La vita vegetale marina comprendeva una grande varietà di alghe. Sulla terraferma, erano dominanti piante sempreverdi come le ginkgoali, le conifere e le palme; i piccoli equiseti e le felci continuavano a prosperare, ma le forme più grandi di questi gruppi erano ormai estinte.

2.2

Giurassico

Durante il Giurassico, periodo iniziato circa 195 milioni di anni fa, i dinosauri continuarono a evolversi in specie di forma e dimensioni svariate: da pesanti sauropodi come Apatosaurus (un tempo noto come Brontosaurus), che camminavano su quattro zampe, a carnivori bipedi come

Tyrannosaurus, a erbivori bipedi come Trachodon e a dinosauri corazzati quadrupedi come Stegosaurus. Anche tra i rettili alati vi erano specie estremamente piccole e altre che presentavano

aperture alari di oltre un metro. I rettili marini comprendevano i plesiosauri, animali dal corpo largo e appiattito come quello delle testuggini, con lungo collo e grandi pinne natatorie, gli ittiosauri, che assomigliavano a delfini, e loricati primitivi.

I mammiferi del Giurassico avevano taglia mediamente più piccola di quella dei cani attuali. Nello stesso periodo comparvero molti insetti degli odierni ordini, tra cui mosche, cavallette e termiti. Tra i crostacei erano già presenti aragoste e gamberi; tra i molluschi erano assai diffuse le ammoniti e le belemniti, specie di calamari con conchiglia interna a forma di sigaro. La flora era dominata dalle cicadine (vedi Cycas), che assomigliavano a palme dal fusto ispessito. Fossili della maggior parte delle specie vegetali giurassiche sono ampiamente distribuiti in zone temperate e nelle regioni polari, indicando come in quel periodo il clima dovesse essere piuttosto uniforme e mite.

2.3

Cretaceo

Durante il Cretaceo, iniziato circa 136 milioni di anni fa, i rettili erano ancora le forme animali dominanti; la maggior parte di essi, tuttavia, si estinse circa 65 milioni di anni fa, alla fine del periodo. Nel Cretaceo vissero i più grandi pterosauri: alcuni dei loro fossili portati alla luce nel Texas presentano un’apertura alare superiore ai 15 m. Comparvero inoltre i primi serpenti e molti tipi di uccelli; Hesperornis, ad esempio, era un uccello con ali vestigiali inadatte al volo, capace di immergersi, come i pinguini attuali. Tra i mammiferi del Cretaceo si trovano i primi marsupiali, che assomigliavano molto al moderno opossum, e i primi placentati insettivori.

Il più importante avanzamento evolutivo nel regno vegetale fu lo sviluppo delle angiosperme, o piante con fiore, i cui primi fossili appaiono in formazioni rocciose del Cretaceo inferiore. Il fico, la magnolia e il pioppo furono tra le prime piante decidue. Verso la metà del periodo comparvero faggi, agrifogli, aceri e querce. Al termine del Cretaceo erano ormai apparse molte delle varietà attuali di alberi e piante a basso fusto.

(20)

Il Cenozoico, iniziato 65 milioni di anni fa, è anche chiamato era terziaria, o era dei mammiferi; questi ultimi, infatti, dopo l’estinzione dei dinosauri, divennero le forme di vita dominanti sul pianeta. I fossili guida del periodo sono i minuscoli gusci dei foraminiferi e le numerose varietà di pollini fossili, utilizzati per datare gli strati rocciosi dei vari periodi dell’era cenozoica: Paleocene, Eocene, Oligocene, Miocene e Pliocene.

3.1

Paleocene

Sono noti sette gruppi di mammiferi paleocenici, che sembrano essersi sviluppati in Asia settentrionale ed essere migrati successivamente nelle altre parti del mondo. Erano mediamente più piccoli di un orso moderno, erano quadrupedi e plantigradi, quasi tutti dotati di una scatola cranica piuttosto contenuta. Le specie dominanti erano parte di gruppi oggi estinti, come creodonti e condilartri; tra i mammiferi del paleocene rappresentati da forme viventi vi sono i marsupiali, gli insettivori, i primati e i roditori.

3.2

Eocene

All'Eocene, iniziato circa 54 milioni di anni fa, risale la comparsa di numerosi diretti antenati evolutivi di animali attuali. I creodonti continuarono a svilupparsi, ma i condilartri si estinsero prima del termine del periodo. Apparvero i primi mammiferi acquatici, predecessori dei moderni cetacei, e uccelli come aquile, pellicani, quaglie e avvoltoi.

3.3

Oligocene

Durante questo periodo, iniziato circa 37 milioni di anni fa, scomparve gran parte delle forme arcaiche dei mammiferi precedenti, creodonti compresi, via via sostituiti da un gran numero di mammiferi attuali: ad esempio i primi veri carnivori. Risalgono all’oligocene anche le prime scimmie antropomorfe.

3.4

Miocene

Lo sviluppo dei mammiferi in epoca miocenica, iniziata circa 26 milioni di anni fa, fu influenzata da un importante sviluppo evolutivo del regno vegetale: la comparsa delle piante erbacee, le quali, ideali per il pascolo, incentivarono lo sviluppo di animali come cavalli, cammelli e rinoceronti. Si evolvettero i mastodonti, predecessori degli elefanti, i carnivori, e, in Europa e in Asia, si diffuse un primate simile al gorilla, Dryopithecus.

3.5

Pliocene

La paleontologia del Pliocene, iniziato circa 5,2 milioni di anni fa, non si discosta molto da quella dell'epoca precedente; molti zoologi, tuttavia, considerano questo periodo come l'apice dell'era dei mammiferi.

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Con la fine del Pliocene, circa 1,6 milioni di anni fa, si chiude l'era cenozoica e si passa all'ultima suddivisione della scala dei tempi geologici: l'era quaternaria o Neozoico, distinta nei due periodi Pleistocene e Olocene. Nel primo si diffusero in Nord America e in Europa molte delle specie di grandi mammiferi (alcune delle quali ancora rappresentate nella fauna attuale), quali bisonti, elefanti, mammut e mastodonti. In Europa vivevano anche antilopi, leoni e ippopotami. Tra i carnivori spiccavano il tasso, la volpe, la lince, la lontra, i puma e la moffetta, nonché specie oggi estinte, come i felidi dai denti a sciabola. In Nord America comparvero i primi orsi, provenienti dall'Asia. Fu in questo periodo che apparvero i primi esponenti del genere Homo (vedi Evoluzione umana). L'Olocene, che si fa iniziare convenzionalmente 10.000 anni fa, è l'ultimo periodo della storia geologica ed è quello in cui stiamo vivendo.

(22)

Le Rocce

In geologia e geomorfologia, qualunque aggregato naturale di minerali. A seconda dell'origine, si parla di rocce sedimentarie, rocce metamorfiche e rocce ignee.

Rocce ignee

1

INTRODUZIONE

Rocce generate per raffreddamento e conseguente solidificazione di una massa di minerali fusi. Il processo può avvenire in profondità, oppure in superficie, in seguito a un qualche fenomeno vulcanico effusivo; nel primo caso, il materiale fuso che si solidifica prende il nome di magma; nel secondo la massa fluida, ormai priva dei gas sprigionatisi durante la risalita in superficie, prende il nome di lava. In base a questa distinzione, le rocce ignee che derivano dal raffreddamento di un magma sono dette plutoniche o intrusive; quelle che derivano dal raffreddamento di una massa lavica sono dette vulcaniche o effusive.

2

FORMAZIONE E STRUTTURA DELLE ROCCE IGNEE

La struttura delle rocce ignee dipende, oltre che dalla composizione chimica, dalle condizioni in cui ha luogo la solidificazione: le rocce presentano infatti una tessitura diversa a seconda che si siano formate in seguito a una lenta cristallizzazione, o a un raffreddamento istantaneo.

2.1

Struttura granitica

Per le rocce plutoniche, il raffreddamento avviene gradualmente, in profondità, dove vi sono le condizioni di pressione e temperatura ideali per consentire alle componenti del magma di disporsi in cristalli ordinati di dimensioni apprezzabili. Le rocce plutoniche presentano dunque una struttura a grana grossa, detta anche granitica (dal nome della più tipica roccia plutonica che presenta questa struttura, il granito).

2.2

Struttura riolitica e struttura vetrosa

Se il raffreddamento avviene in modo più rapido, gli atomi non fanno in tempo a disporsi in cristalli di grosse dimensioni, e creano tanti piccoli cristalli. Le rocce che ne derivano presentano quindi una struttura a grana fine, detta anche riolitica, dal nome della roccia riolite, che ha la stessa composizione chimica del granito, ma una tessitura molto più fine. È il caso delle rocce vulcaniche, che si formano quando la lava, risalita da grandi profondità, riempie fratture della crosta o effonde in superficie, emessa da un vulcano, raffreddando rapidamente. Al limite, quando la solidificazione della lava è istantanea, gli atomi si dispongono in modo casuale, conferendo alla roccia una struttura non cristallina, ma amorfa (vetrosa); ne è un tipico esempio l’ossidiana.

(23)

2.3

Struttura porfirica

Nel caso in cui la solidificazione avvenga in più fasi, ciascuna caratterizzata da condizioni di temperatura e pressione diverse, si possono produrre rocce porfiriche. Queste si riconoscono per la trama disomogenea, in cui si distinguono cristalli di dimensioni differenti: quelli più grandi si sono formati lentamente, quando ancora il magma si trovava in profondità; quelli più piccoli si sono formati con un processo più rapido, magari in seguito a una risalita improvvisa del magma già in via di cristallizzazione.

2.4

Struttura vescicolare

Una caratteristica strutturale di molte rocce ignee vulcaniche è la presenza di piccole cavità dette vescicole. Queste, che prima dell’effusione contenevano bolle di gas, sono rimaste vuote in seguito alla rapida fuoriuscita di tutta la componente gassosa del magma. Un esempio tipico di roccia a struttura vescicolare è la pomice.

3

COMPOSIZIONE CHIMICA E CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE

Costituite quasi interamente da minerali silicati, le rocce ignee vengono classificate in base al loro contenuto in silice: quelle che ne sono molto ricche, come il granito e la riolite, sono dette rocce acide; quelle che ne contengono una percentuale inferiore, come il basalto e il gabbro, sono dette invece basiche. Le prime, composte principalmente di feldspati e silice, vengono dette anche “felsiche” (dalle iniziali di questi due minerali); le seconde, contenenti percentuali importanti di magnesio e ferro, sono dette anche “mafiche”.

Rocce metamorfiche

1

INTRODUZIONE

Categoria di rocce derivanti dalla trasformazione di rocce preesistenti sottoposte a forti variazioni di temperatura e/o di pressione. Il processo di metamorfismo ha luogo generalmente nelle profondità della crosta terrestre, dove la temperatura e la pressione sono maggiori che in superficie, in misura crescente al crescere della profondità. Perché un processo di trasformazione possa essere definito metamorfico e non igneo, la roccia non deve andare incontro a fusione, ma limitarsi a divenire plastica; il processo può consistere in una semplice compattazione, o in una vera e propria riorganizzazione riorganizzazione dei cristalli.

2

FATTORI RESPONSABILI DEL METAMORFISMO

Una roccia subisce un processo di metamorfismo se viene sottoposta ad alte temperature e/o ad alte pressioni. A seconda che il metamorfismo sia dovuto a entrambi i fattori – calore e pressione – o al solo calore, prende il nome di metamorfismo dinamotermico o regionale, oppure di metamorfismo termico o di contatto. Il primo ha luogo quando una massa rocciosa sprofonda all’interno della

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crosta terrestre, magari nell’ambito di un processo di orogenesi; il secondo, quando la massa rocciosa viene a trovarsi a contatto con del magma caldo, magari nell’ambito di un fenomeno di vulcanismo. Le rocce possono presentare vari gradi di metamorfismo, a seconda della temperatura e dell’intensità della pressione a cui sono state sottoposte.

Talvolta, anche la circolazione di una soluzione chimicamente attiva tra i pori di una roccia può provocarne il metamorfismo. Gli ioni presenti in soluzione nell’acqua possono sostituirsi a quelli del minerale, portando alla ricristallizzazione o alla formazione di una roccia di composizione completamente diversa da quella di partenza.

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TIPI DI ROCCE METAMORFICHE

Le rocce metamorfiche possono derivare dalla trasformazione di rocce ignee, di rocce sedimentarie, o di altre rocce metamorfiche. A seconda del tipo di roccia di partenza e dell’intensità del metamorfismo, la roccia risultante presenta composizione e struttura diverse. Ad esempio, le ardesie sono il risultato di un metamorfismo moderato applicato a rocce sedimentarie come le argilliti; un metamorfismo più intenso applicato alle stesse rocce produce invece le filladi, in cui i minerali argillosi sono ricristallizzati in foglietti di mica; a temperature e pressioni ancora più elevate, le argilliti ricristallizzano completamente, formando scisti o gneiss, rocce nelle quali l'allineamento dei foglietti di mica produce una struttura macroscopica fogliata o laminare. Negli scisti, i minerali di colore chiaro (soprattutto quarzo e feldspato) si dispongono tra i cristalli di mica, di colore scuro; anche gli gneiss mostrano una tipica colorazione a bande.

Tra gli altri minerali che si formano normalmente per ricristallizzazione metamorfica è importante la terna andalusite-sillimanite-cianite. Si tratta di tre forme di uno stesso composto: il silicato di alluminio. Ognuna di queste forme è tipica di un dato intervallo di pressioni e temperature: dalla presenza dell'una o dell'altra forma all’interno di una roccia si può pertanto risalire alle condizioni di formazione della roccia stessa.

Tra le rocce metamorfiche prive di fogliazione, quarzite e marmo sono le più comuni. La quarzite è una roccia chiara, dura e resistente, nella quale tutti i granuli di sabbia dell'arenaria di origine si sono ricristallizzati in granuli di quarzo. Il marmo è una roccia più tenera e fragile, di colore variegato, nella quale la dolomite o la calcite del materiale sedimentario d'origine si sono completamente ricristallizzate.

Rocce sedimentarie

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INTRODUZIONE

Rocce formate in seguito all'accumulo e al consolidamento di materiali (detriti minerali, materiali organogeni o organici) deposti dall'azione dell'acqua o, meno di frequente, dal vento e dai ghiacciai. La maggior parte delle rocce sedimentarie è caratterizzata da una disposizione in strati, tendenzialmente paralleli, che riflette le variazioni del regime di sedimentazione o della natura del materiale depositato. Inglobati all’interno di rocce sedimentarie si possono trovare dei fossili,

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