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"Sogni raccontati da uomini svegli". Indagine sula presenza del Furioso nel Quijote

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SOMMARIO

INTRODUZIONE, Ariosto e Cervantes: una vecchia questione p. 3

CAPITOLO I Il Furioso nella cornice del primo Quijote p. 25

I. 1 La décima di Urganda p. 32 I. 2 Il sonetto di Orlando p. 36 I. 3 Cavalli esemplari p. 40 I. 4 L’epigrafe p. 44

I. 4. 1 Lope contro Cervantes: La hermosura de Angélica p. 46 I. 4. 2 Il plettro di Avellaneda p. 52

CAPITOLO II Raccordi intertestuali p. 55

II. 1 Il «famoso» Ariosto p. 58 II. 2 Citazioni p. 61 II. 3 Rievocazioni p. 67 II. 4 Menzioni p. 85 II. 5 Echi p. 92 II. 6 Conclusioni provvisorie p. 103

CAPITOLO III Pazzi nelle selve p. 109

III. 1 La tradizione letteraria della follia cavalleresca p. 109 III. 2 Il modello di Orlando pazzo p. 114 III. 3 Imitazione implicita: i segni di Cardenio p. 120 III. 4 Imitazione cosciente: la follia alla seconda potenza di don Quijote p. 136 III. 5 Il furioso, il cuerdo-loco e il narratore pazzo p. 146

CAPITOLO IV Traslochi intertestuali: la Discordia e l’elmo di Mambrino p. 159

IV. 1 La lunga strada del baciyelmo p. 159 IV. 2 Il modo del paragone p. 165 IV. 3 L’inchiesta di don Quijote: problemi conoscitivi e testicoli di castoro p. 168 IV. 4 Discordia alla locanda: le cose del Furioso possono trasladarse p. 173

CAPITOLO V Il lettore don Quijote p. 185

V. 1 Equivoci intertestuali p. 185 V. 2 Problemi di interpretazione p. 188

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V. 2. 1 Le autocensure del famoso Ariosto p. 196 V. 3 Un’eco seria del Furioso p. 205 V. 4 Il lettore Miguel de Cervantes p. 209

CAPITOLO VI Il manoscritto e il suo autore p. 213

VI. 1 «Naturalmente, un manoscritto» p. 213 VI. 2 L’arcivescovo Turpino, historiador verdadero p. 216 VI. 3 El sabio Cide Hamete Benengeli p. 229

CAPITOLO VII Consapevolezza e ironia p. 241

VII. 1 La «gran tela» e il «rastrellado, torcido y aspado hilo» p. 241 VII. 2 Intercalate e novelas p. 251 VII. 3 Metanarratività e indeterminatezza p. 258 VII. 4 Ironia p. 262

CONCLUSIONE p. 273

BIBLIOGRAFIA p. 277ò p. 277

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INTRODUZIONE

Ariosto e Cervantes: una vecchia questione

Lo studio dei rapporti tra Ariosto e Cervantes vanta una tradizione critica lunga ed eterogenea. Nel corso dei centotrent'anni che ci separano dal primo approccio complessivo con pretese di esaustività1 si sono succeduti più di trenta interventi ad opera di autori diversi, nella maggior parte dei casi grandi nomi della critica internazionale, decisi a cimentarsi in una questione che costituisce, «como es natural y como sabe todo el mundo»,2 un topos della critica letteraria. Eppure ancora oggi continuano a proliferare articoli, note, studi, dedicati alle ‘somiglianze’ tra il Furioso e il Quijote o alle affinità (biografiche, psicologiche, ideologiche) tra i loro autori. La consapevolezza di una lunga e importante tradizione critica si alterna insomma alla percezione che l'argomento sia, se non inesauribile, ancora lungi dall'essere esaurito. In un paragrafo dedicato alla questione dei rapporti tra Furioso e Quijote, Aldo Ruffinatto individua tre linee di tendenza:

che fanno capo, rispettivamente, alla critica spagnola (o di lingua spagnola) tendente a sottovalutare l'influenza ariostesca su Cervantes, alla critica di parte italiana che tende, invece, a sopravvalutarla, e alla critica, diciamo, non schierata che cerca di mediare tra le due posizioni.3

Tuttavia, tra le fila degli «ariostofili», il blasone di capostipite non tocca affatto ad un lettore italiano. È infatti Voltaire, fervente ammiratore del Furioso, a proclamarne la superiorità sul Quijote in

1 R. Renier, Ariosto e Cervantes, «Rivista Europea», VIII, IX, X, 1878.

2 M. de Riquer, Ariosto y España, in Convegno internazionale Ludovico Ariosto,

Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 1975, p. 324.

3

A. Ruffinatto, Cervantes. Un profilo su smalti italiani, Carocci, Roma, 2005, p. 191. Il paragrafo dedicato ad Ariosto e Cervantes è stato pubblicato prima in spagnolo in AAVV, La media semana del jardincito. Cervantes y la reescritura de

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una delle voci del Dictionnaire philosophique, dedicata all'«épopée». Dopo aver affermato che il romanzo di Ariosto gli piace così tanto che, arrivato alla fine, vorrebbe ricominciare la lettura dal principio, lo mette a confronto con il Quijote:

C'est à-la-fois l'Iliade, l'Odyssée, & don Quichotte; car son principal chevalier errant devient comme le héros espagnol, & est infiment plus plaisant. Il y a bien plus: on s'interésse à Roland, & personne ne s'interésse à don Quichotte, qui n'est représenté dans Cervantes, que comme un insensé à qui l'on fait continuellement des malices. 4

A inaugurare il filone della critica «non schierata» è invece Friedrich Hegel che nelle sue lezioni di estetica, mantenendo una posizione di equidistanza da entrambi gli autori, ravvisa in Ariosto e Cervantes il medesimo intento: quello di rappresentare la «dissoluzione della cavalleria»5, intesa come substrato ideologico del regime feudale. L’Orlando Furioso e il Don Quijote sono per Hegel gli esempi più eminenti di ironizzazione (e quindi di superamento) dell’ universo cavalleresco6. Ariosto e Cervantes iniziano a «volgersi contro la cavalleria», che diventa «lo specchio deformato in cui si riflette il contrasto tra Io e mondo»:

Nella sua riduzione giocosa dell’universo cavalleresco alla gratuità dell’avventura Ariosto svela la fondamentale incongruenza tra il fine religioso (la difesa della

4

Voltaire, «Epopée», Dictionnaire Philosophique, tome septième, Didot, Paris, 1809, p. 102. Il giudizio di Voltaire sarà del tutto smentito dalla grande fortuna del personaggio di don Quijote rispetto a quella di Orlando.

5 Hegel considera la «cavalleria» una componente fondamentale della storia del

pensiero occidentale, ed ai suoi nuclei tematici fondamentali fa corrispondere momenti diversi del «processo di autonomizzazione della soggettività nel mondo moderno». Ringrazio Giovanna Pinna, che mi ha inviato una copia del suo Il

soggetto formale. Evoluzione dell’universo cavalleresco nell’estetica di Hegel, in

corso di pubblicazione negli atti del convegno del Centro Europeo di Studi sulla civiltà cavalleresca, Il revival cavalleresco dal Don Chisciotte all’Ivanhoe (e oltre), San Gimignano, 4-5 giugno 2009, p. 1.

6 Il filosofo scrive infatti che Ariosto e Cervantes iniziano a «volgersi contro la

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5

cristianità) e l’impulso mondano alla conquista. Il mondo medievale viene rappresentato nelle sue forme esteriori, i suoi valori e le sue virtù sono visti attraverso la lente di una comicità leggera, che segue il filo di vicende determinate esclusivamente da interessi personali o da inclinazioni sensuali. L’Orlando Furioso – si legge nell’Estetica – “si muove ancora in mezzo ai fini poetici del Medioevo, lascia in modo appena velato che il fantastico, con stravaganti assurdità, si dissolva scherzosamente in se stesso”. Poiché il soggetto segue soltanto i capricci del proprio io interiore, finalità basse e finalità alte sono poste sullo stesso piano e la divagazione assurge a metodo narrativo. 7

Una differenza sostanziale distingue i due capolavori: Ariosto è l’esponente di una fase storico-letteraria, il «romanzesco», precedente al moderno «romantico», incarnato invece da Cervantes. Nel Quijote la cavalleria (unione di ideologia, etica e topoi letterari) non è più oggetto di scherzo: Cervantes utilizza il filtro di una «vera ironia» per dissolvere il significato originario, mettendo in contrasto il «carattere elevato» del protagonista con «finalità al tempo stesso nobili e incongrue». La distanza tra i propri ideali e il «corso del mondo» segna, secondo Hegel, il contatto tra don Quijote e i protagonisti del romanzo moderno, o borghese. Il punto di vista di Hegel, che legge nell’ironia ariostesca e cervantina il rigetto (e quindi la distruzione) del mondo cavalleresco, influenzerà anche de Sanctis, e sarà contestato da molti critici recenti.

Nel complesso – escluso Voltaire il cui giudizio secco ben si adatta alla schematizzazione di Ruffinatto – la maggior parte degli interventi sull'argomento non sembra afflitta da faziosità. Piuttosto mi sembra significativo, ad un livello preliminare, notare che all'interno di un corpus critico così ricco, e dedicato a una «tópica literaria»8, soltanto due studi, distanti tra loro centoundici anni, superano materialmente la dimensione dell'articolo, del capitolo, del paragrafo o della nota a piè

7

G. Pinna, Il soggetto formale. Evoluzione dell’universo cavalleresco nell’estetica

di Hegel, cit., p. 13.

8

Altrove definito «classical problem of Cervantes scholarship»: Karl Ludwig Selig,

Cervantes/Ariosto: Forse altri canterà con miglior plettro, «Revista Hispanica

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6

pagina di un'edizione critica: quello, già citato, di Rodolfo Renier, e quello più recente di Thomas Hart, datato 1989, e intitolato Cervantes

and Ariosto. Renewing Fiction.9

L' Ariosto e Cervantes di Renier, pubblicato a puntate nei volumi VIII, IX e X della «Rivista Europea» del 1878, ha una struttura robusta: dopo aver definito la letteratura cavalleresca nel suo complesso, passandone in esame le premesse storiche e le diverse manifestazioni in Italia e in Spagna, l'autore individua una serie di tratti costituenti, alcuni ereditati dal pensiero medievale – allegoria,

generosità, amore, sentimento religioso – ed altri nuovi, originati dal

Rinascimento – classicismo, adulazione, tendenza al reale, ironia e

comicità – sulla base dei quali imposta il confronto tra i due romanzi.

Concluso il versante tematico, Renier affronta i principali «tipi» delle opere prese in esame: i cavalieri, i cavalli (suddivisi in alati e

ragionanti), i furfanti, le donne (disoneste, oneste, maghe, guerriere) e

infine, sebbene non si tratti propriamente di un «carattere», le opere di

incanto, cioè la qualità e la rappresentazione della magia. Né la scelta

delle categorie né il loro trattamento rispondono però alle esigenze di un confronto obiettivo: gli «elementi costitutivi», calcati sul Furioso e sui suoi predecessori, si rivelano poco aderenti al Quijote che, a dispetto del titolo, occuperà nell'intero studio un ruolo molto inferiore rispetto al Morgante o all'Innamorato. Alla lunga disamina sull'utilizzo e la trasformazione delle fonti classiche nell'epica italiana, che pertiene all'elemento del classicismo, corrisponde un solo periodo su Cervantes; lo stesso vale per l'indagine sulle tendenze encomiastiche (l'adulazione), mentre i principali «caratteri» del

Quijote sono forzatamente sovrapposti ai tipi dell'epica italiana. Le

due categorie della tendenza al reale e dell'ironia e comicità, le uniche veramente adeguate allo scopo, rivelano invece spunti di interesse: torneremo più avanti sulla distinzione di Renier tra una comicità inconscia, a cui si ascrive anche «quel molto di comico che riscontrasi

9 T. Hart, Cervantes and Ariosto, Renewing Fiction, Princeton University Press,

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7

nel Furioso», e una comicità consapevole, aperta, tipica del Quijote. Escluso il paragrafo sull’ironia e quello speculare sul realismo (inconscio nel poeta italiano, consapevole nello scrittore spagnolo),

Ariosto e Cervantes offre molti più spunti sulla «decadenza della

cavalleria» in Italia che non su quanto promesso dal titolo. Il confronto, sbilanciato in partenza, non accenna mai all’influsso di Ariosto sul Quijote, e non si sofferma sulla ricca gamma di ‘segni di presenza’ del Furioso nel capolavoro cervantino. Renier si limita a mettere l'accento sui caratteri differenziali dei due romanzi, portando a casa una conclusione tautologica: che si tratta, appunto, di due romanzi diversi.

La prima sistemazione organica dei prestiti ariosteschi del Quijote risale al 1911, quando Marco Aurelio Garrone pubblica uno studio destinato a diventare il punto di riferimento del sottogruppo degli studiosi che ha sondato il romanzo di Cervantes a caccia di citazioni, appropriazioni, echi del Furioso. Dopo un preambolo dedicato alla fortuna della letteratura cavalleresca in Italia e Spagna, Garrone ammassa un po' alla rinfusa dati appartenenti a ordini diversi: analogie e divergenze tra le due pazzie (quella di don Quijote e quella di Orlando), rapporto tra la «tenue ironia» del Furioso e l'«altissima satira sociale» del Quijote, grado di immedesimazione di Ariosto e Cervantes nelle vicende dei personaggi, chiuse di canto e chiuse di capitolo, di cui sono riportati alcuni esempi. Prosegue con un elenco di prestiti più circostanziati, relativi a somiglianze tra situazioni e personaggi:

a. L'episodio di Andrés in I, IV e «lacrimevol sorte di Dalinda»10 del canto IV del Furioso.

b. Il duello di don Quijote col biscaglino e quello tra Rinaldo e Sacripante.

c. I «ragionamenti» della «sdegnosa» Marcela e «l'apostrofe

10 M. A. Garrone, L'Orlando Furioso considerato come fonte del Chisciotte, «Rivista

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8

ariostesca ad Amore» del II canto del Furioso

d. La Micomicona cervantina e l’ Olimpia ariostesca

e. L'avventura di don Quijote nella cava di Montesinos e la discesa di Bradamante nella grotta di Merlino

f. Il cavallo di legno Clavileño e l'ippogrifo ariostesco

g. L'osteria che fa da scenario a numerosi capitoli del primo

Quijote come «richiamo ai canti XXVII e XXVIII del Furioso,

ove si narra del tradito Rodomonte all'osteria»

h. Il racconto del Curioso impertinente e «gli osceni casi di Astolfo, Giocondo e Fiammetta»

i. La prima apparizione di Cardenio, che «arieggia» un po' Rodomonte «e, meglio ancora, Orlando»

Certe comparazioni sono pertinenti, altre meno. In alcuni casi lo studioso precisa il senso di affermazioni che sembrano anche a lui troppo avventate, o generiche: «dico solo ci ricorda, perché il Cervantes poteva aver pensato a non so quante simili avventure»11. In altri invece approfondisce le affinità: «è ben naturale che, se Ronzinante altro non appare che l'antitesi di Baiardo, Rabicano, Orelia e di tutti gli eccellenti cavalli, che inforcarono gli antichi cavalieri, Clavilegno debba rappresentare come l'antischema dell'Ippogrifo»12. Stimolato dal «profumo» ariostesco di Cardenio, che compare nel blocco narrativo della Sierra Morena, Garrone torna più minuziosamente sulle due pazzie, per poi volgersi a Ginés de Pasamonte «copia di Brunel, sì pratico e sì astuto» e alla novella del

Curioso impertinente, il punto su cui, in assoluto, la bibliografia

critica è più numerosa.

Conclusa «la serie di quei riscontri che possono attestare, qual più, qual meno, la fonte del Furioso» si volge infine a ripercorrere per sommi capi l'indagine di Renier, e chiude sui «sentimenti di carattere

11 Ivi, p. 110. 12 Ivi p. 111.

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9

individuale espressi dall'Ariosto e dal Cervantes nelle opere loro»13: la comune ammirazione per la cavalleria, l'atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili (severa condanna in Cervantes, oscillazione tra lode e biasimo nel Furioso). L'affermazione più audace di Garrone, secondo cui «la pazzia di Orlando si trasforma, sotto certi aspetti, in quella di Don Chisciotte»14è accompagnata però da una netta preferenza per Cervantes:

«[...] mentre il Quijote è un' opera altamente interessante e morale; quella del Divin

Lombardo invece ha il pregio, che le deriva dall'aver egli precipuamente seguito il

fallace canone dell'arte per l'arte [sic]; è viziata dal carattere di rispecchiar troppo serenamente, come la triste Calandria del Dovizi, una tristissima età.15

La proposta di catalogazione di Garrone, formulata con molte riserve e senza pretese di oggettività (è frequente l'utilizzo di formule attenuanti come «ci ricorda», «può derivare», «sembra foggiata un pochino», «arieggia un poco»), è stata saccheggiata dai critici successivi. Antonio Portnoy, nel suo Ariosto y su influencia en la

literatura española del 1932, apre il doveroso paragrafetto su

Cervantes con una dichiarazione di intenti: «transformar, en lo que sea posible, una materia opinable en cuestión de hecho.»16. E propone il suo catalogo, suddiviso in dieci punti:

a. Il sonetto di Orlando Furioso che apre la Prima Parte b. La pazzia di entrambi i protagonisti

c. Andrés e Dalinda

d. La battaglia tra don Quijote e il biscaglino e il duello tra

Rinaldo e Sacripante e. Marcela e Angelica 13 Garrone, cit., p. 120. 14 Ivi, p. 109. 15 Ivi, p. 124.

16 A. Portnoy, Ariosto y su influencia en la literatura española, Editorial Estrada,

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f. Micomicona e Olimpia

g. Il Curioso impertinente e la storia del nappo incantato h. La grotta di Montesinos e la grotta di Merlino

i. Le due invettive contro le armi da fuoco j. Cardenio e Orlando

Anche Portnoy, esattamente come Garrone, specifica che «las diferencias enormes que median entre la novela y el poema empequeñecen todas las semejanzas existentes»17. Le differenze in questione sono chiaramente desunte dallo studio di Renier: nel

Furioso sono continue le reminiscenze classiche, che nel Quijote

«apenas tienen cabida»; a differenza di Cervantes Ariosto manca completamente di convinzione religiosa e non si identifica nei sentimenti dei suoi personaggi; la realtà e la finzione, che nel Furioso si compenetrano, nel Quijote sono perennemente in conflitto; l'ironia ariostesca è puramente artistica («ligero solaz») e non sgorga spontaneamente dal «contrasto umano» come quella cervantina. Una più attenta disamina del rapporto tra la novella del Curioso

impertinente e la vicenda ariostesca del nappo incantanto (che consiste

nel riassumere entrambe le trame, e constatare che non sono identiche) precede la conclusione, speculare alla premessa18:

Resumiendo puede afirmarse que la creación de la más robusta obra del inmortal manco y en modo alguno aquella gran figura fué modelada toda sobre la ariostesca de Orlando.19

17 Portnoy, cit., p. 237.

18 Ruffinatto riassume con lucidità il modo di procedere di buona parte della critica

del primo Novecento, che crede di dimostrare l’indipendenza del Quijote dal

Furioso elencando le differenze tra i due testi: «a un livello di superficie credo sia

appena ovvio rilevare accanto ad alcune analogie un gran numero di diversità: non a caso si tratta di due manifestazioni diverse prodotte da due diversi autori. Il che, però, non aiuta in nessun modo a risolvere il problema di base, se, cioè, i due fenomeni debbano o non debbano considerarsi geneticamente affini.» Idem, cit., p. 208.

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11

Il catalogo composto da Sanvinsenti nello stesso 1932, nell'articolo

Ariosto, Cervantes e Manzoni, è indubbiamente più completo. Lo

studioso, salutando la nuova era della critica sul Quijote annunciata da Castro, desidera percorrere un sentiero che ritiene inesplorato:

Ora nell'attuale revisione, accurata e onesta, del Don Chisciotte non è accaduto che l'analisi abbia messo in luce un particolare che lo stesso Cervantes, mi sembra, suggerisce; l'efficacia cioè, che su di lui possa aver esercitato l'Ariosto. Io dunque mi pongo la domanda: quali rapporti si sono stabiliti fra l'Orlando Furioso e il Don

Chisciotte?20

Sanvinsenti è il primo, e per molto tempo l'unico, ad evidenziare che nel Quijote ci sono riferimenti diretti al Furioso inteso come romanzo, e a discuterne gli aspetti problematici. Dopo aver trattato più estesamente la novella del Curioso Impertinente, si concentra sull'episodio della Sierra Morena, in cui nota una delle ricorrenti «inesattezze» di Cervantes, quando cita Ariosto:

Sono sviste, sia detto fra parentesi, che io non vorrei riservare alla distrazione del genio narrativo e di cui lo stesso Ariosto nelle sue mille fantasie diede pure esempio [...]. Piuttosto egli citava a memoria e forse non aveva tra i suoi libri un Ariosto per controllarsi; cosa che farebbe autobiografico, in parte, il passo citato a proposito del

grande scrutinio della biblioteca di Don Chisciotte.21

Seguono molte delle altre reminiscenze ariostesche: il discorso sopra l'artiglieria, le armi di don Quijote da sistemare su un albero come quelle di Orlando, la Discordia che invade l'osteria di Maritornes, il parallelo tra il furto dell'asino di Sancho e la ruberia di Brunello, la citazione di Bireno nella canzone di Altisidora, il giudizio dell'hidalgo sulla condotta di Angelica, i rapporti della stessa con la Marcela cervantina. Per concludere Sanvinsenti discute, attraverso il tramite

20

B. Sanvinsenti, Ariosto Cervantes e Manzoni, «Convivium», III, 1932, pp. 641-674, p. 641.

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dell'Anonimo manzoniano, un'affinità tecnica finora inosservata: la funzione narrativa che entrambi i primi autori, Turpino e Cide Hamete Benengeli, svolgono nei rispettivi romanzi.

Il principale merito dello studio di Sanvinsenti, che condivide con i predecessori un'esposizione asistematica, è proprio quello di aver affiancato con piena consapevolezza somiglianze di tipo tecnico e strutturale (la costruzione del primo autore) ad altre di ordine contenutistico, e di aver evidenziato che il Quijote può riferirsi al

Furioso attraverso modalità diverse:

Abbiamo veduto ricordi di personaggi, ritorni d'episodi, citazioni di versi, convenienze di situazioni, concordanze di giudizio e di sentimento [...]22

Gli spunti d'indagine offerti da Ariosto, Cervantes e Manzoni non saranno accolti dagli immediati successori. Vent'anni dopo Oreste Macrì, in uno studio su L'Ariosto e la letteratura spagnola, dedica alla questione un breve paragrafo, che non aggiunge molto. Il catalogo dei «prestiti» e dei «debiti» è ridotto ad un asciutto elenco, giustificato dal fatto che «Non finiremmo più di commentare altri passi nei quali c'è la presenza del Furioso»23. Gli accostamenti tra personaggi o situazioni sono catalogati sbrigativamente:

Micomicona e Olimpia, Clavileño e l'Ippogrifo o Frontino, la grotta di Montesinos e quella di Merlino, Cardenio pazzo della doppia pazzia di Orlando e Rodomonte, il sonetto iniziale di Orlando a Don Chisciotte, sentenze e chiuse identiche, ecc.24

Quello che a Macrì interessa veramente è discutere quanto dell'ideologia ariostesca (e rinascimentale) resista nel controriformista Cervantes per sancire che, rispetto agli altri autori spagnoli (Lope, Garcilaso, Góngora):

22

Ivi, p. 652.

23

O. Macrì, L'Ariosto e la letteratura spagnola, «Letterature Moderne», III, 5, 1952, pp. 515-543, p. 542.

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l'esito più profondo e comprensivo [dell'ariostismo] interviene nel libro del Cervantes, che è poi l'esito europeo dello stesso protagonista, secondo la frase un po' spiccia ma efficace di de Sanctis: "Orlando diviene Don Chisciotte e, quando Don Chisciotte entra in scena, tutto un mondo se ne va in frantumi."25

La formula di de Sanctis («Orlando diviene Don Chisciotte e, quando Don Chisciotte entra in scena, tutto un mondo se ne va in frantumi») è stata utilizzata vent'anni prima anche da Garrone:

Orlando poi è divenuto Don Chisciotte (lo vedremo, fatte le molte restrizioni); ma non si potrebbe certo soggiungere (il De Sanctis lo disse in altro senso), che, "quando Don Chisciotte entra in iscena, tutto un mondo se ne va in frantumi". Infatti la pazzia di Orlando continua, assumendo nel Cavaliere della Mancia un aspetto affatto nuovo; e, sì l'Ariosto che il Cervantes, rinnovano il mondo cavalleresco con opera di purificazione e di ricostruzione.26

La stessa citazione è ripresa, negli anni ’70, da Márquez Villanueva:

Relacionar la locura de Orlando con la locura de don Quijote es otra gran tentación para la crítica, desde el de Sanctis aca[...]Véase su idea de que "Orlando diviene don Chisciotte e, quando don Chisciotte entra in scena, tutto un mondo se ne va in frantumi."27

In realtà, nel saggio sull'Armando di Prati da cui è tratto il brano incriminato, de Sanctis non intendeva affatto sancire una diretta dipendenza di don Quijote da Orlando: piuttosto cercava di riflettere, utilizzando i due cavalieri come simbolo, sul cambiamento dei tempi, e dei lettori:

E quando un mondo poetico è sul finire, esso muore sotto la reazione del buon senso, muore trafitto da queste parole: -Addio, mondo fantastico, immaginario, chimerico, parto di cervelli oziosi e malati! Quando i tempi nuovi compariscono in lontano orizzonte, la prima forma che li prenunzia è l'ironia. E che cosa è l'ironia? È il sentimento della realtà, del tempo nuovo, che si mette dirimpetto quel mondo già

25

Ivi, p. 515.

26 Garrone, cit., p. 97.

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tanto venerato, e ride. Quel riso significa :– Ciò che noi credevamo cosa seria era una malattia dello spirito.– Orlando diviene Don Chisciotte! E quando Don Chisciotte entra in iscena, tutto un mondo se ne va in frantumi.28

Sarà soltanto Maxime Chevalier, nel 1966, a proporre la prima sistemazione organica, brillante e ragionata, dei rapporti tra il Furioso e il Quijote, le cui affinità, come lo studioso dichiara fin dal principio, «sont plus faciles à ressentir qu'à définir».29 Chevalier, attento indagatore degli influssi ariosteschi nella letteratura spagnola, affronta il problema da una prospettiva più ampia, esaminando l'evoluzione del pensiero di Cervantes a partire dalle opere antecedenti al Quijote, come la Galatea e La casa de los celos. Lo studioso dimostra come ancora all'altezza del 1590, anno di composizione de La Casa, Cervantes condividesse il punto di vista di quei contemporanei che leggevano il Furioso alla stregua di un poema epico, una novella

Eneide dagli intenti encomiastici. L'analisi di Chevalier sui riferimenti

ariosteschi nel Quijote mira a dimostrare in che misura questa concezione si sia evoluta. Dopo aver stabilito, basandosi sull'interpretazione di alcuni passi del romanzo, che il Cervantes del

Quijote rigetta entrambe le interpretazioni del poema italiano in voga

presso i suoi contemporanei (l'esegesi allegorico-moralizzante e quella che vede nel Furioso nient’altro che un romanzo cavalleresco) Chevalier sviluppa un'intuizione di felice semplicità: ci sono differenze tra il modus citandi di un autore e quello dei suoi personaggi. Sarebbe a dire che non sempre, rispetto alla valutazione del Furioso, ciò che dicono don Quijote o il curato è conforme a ciò che pensa Cervantes:

Don Quichotte ne ressemble guère à son créateur. Il a d'innocentes coquetteries de

28

F. de Sanctis, L'Armando di Giovanni Prati, 1868, ora in Saggi critici, Utet, Torino, 1952.

29

M. Chevalier, L'Arioste en Espagne (1530-1659). Recherche sur l'influence du Roland Furieux, Institut d'etudes iberiques et ibero-americaines, Bourdeaux,1966, p. 439.

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15

lettré et un certain parfum de pédant, il aime les citations savantes. C'est pourquoi sans doute il se plaît à citer des vers de l'Arioste, c'est pourquoi il se flatte de chanter des octaves du Roland furieux.30

Chevalier nota che, a differenza di Cervantes, per il ‘citante’ don Quijote non esiste «aucune différence fondamentale entre Sobrin et Amadis, entre Felixmarte et Rodomont. Tous ces personagges, quelles que soient leurs qualités diverses, appartiennent à un même univers chevaleresque»31. Il catalogo di Chevalier, a differenza di quelli dei suoi predecessori, è piuttosto avaro: il critico si limita a segnalare e commentare cinque paralleli espliciti, ignorando gli altri. Alle innumerevoli rievocazioni della follia di Orlando nel blocco narrativo della Sierra Morena è dedicato un solo periodo:

Enfin, puisque les héros de l'Arioste égalent en vaillance et en mérites ceux des Amadis, ils sont dignes d'être imités. Aussi don Quichotte songera-t-il un instant à copier, lors de sa pénitence dans la Sierra Morena, les fureurs de Roland: il leur préférera finalement, pour des raisons de prudence, les peines d'Amadis.32

Secondo Chevalier mettersi in cerca di frasi, immagini, espressioni desunte dal poema di Ariosto conduce poco lontano: «Cervantes l'inventeur copie ben rarement»33, e le reminiscenze ariostesche che cadono sotto la penna dello spagnolo, esclusi due frammenti seri (un discorso sul volgare34, e un passo dell'invettiva contro gli strumenti d'artiglieria), sono soprattutto ironiche. Esclusi il racconto del nappo incantato e quello della pazzia di Cardenio, non ci sono nel Quijote altri episodi che possano testimoniare l'influsso ariostesco, anzi:

Convenons qu'à s'en tenir à l'examen des récits empruntés et des expressions imitées l'influence ariostéenne sur le roman apparaît restreinte et bien des fois 30 Ivi, p. 449-450. 31Ivi, p. 450. 32Ivi, p. 451. 33 Ivi, p. 453.

(16)

16 superficielle.35

La conclusione del critico francese non è, oggi, condivisibile. Il numero dei riferimenti espliciti ed impliciti al Furioso sarebbe sufficiente, anche in assenza di ulteriori elementi, a testimoniare l'intensità del legame tra i due romanzi. Ma si tratta di un errore giustificato: minimizzare le affinità di ordine contenutistico serve a Chevalier per affermare con maggiore forza che la portata dell'influsso ariostesco si esprime soprattutto ad un livello più profondo, dal punto di vista dei modi del narrare:

C'est ailleurs, croyons-nous, que l'on doit en chercher les manifestations les plus intéressantes, dans l'agencement de la matiére, dans un certain goût de l'imprécision et de l'hésitation, dans un ton alerte et narquois. Peut-être s'avisera-t-on, si l'on choisit cette voie, que Cervantés doit au Roland furieux plus et mieux qu'une demi-douzaine de phrases et l'idée première d'un récit.36

Il Furioso è presente nella tendenza cervantina a non indugiare mai troppo a lungo sullo stesso soggetto (secondo il criterio della variatio), nella costruzione di Cide Hamete Benengeli, primo autore arabo, che deve a Turpino l’iper-precisione e le ostinate intromissioni, nel gioco ironico sull'attendibilità delle fonti, nel tentativo di attirare costantemente l'attenzione del lettore sulla natura artificiale del racconto, attraverso interventi metanarrativi che disciplinano la lettura. Insomma nell'interesse di Cervantes verso tutto ciò che nel

Furioso è veramente peculiare e distintivo.

Nel decennio successivo all'uscita dell'Arioste en Espagne, il lavoro di Chevalier è pressoché ignorato. Nel 1974 Márquez Villanueva utilizzerà le affermazioni del critico francese per sostenere la scarsa importanza del Furioso per Cervantes, sul versante contenutistico:

35 Chevalier, cit., p. 461. 36 Ibidem.

(17)

17

Tras un concienzudo estudio de todos los recuerdos y posibles inspiraciones de Ariosto que se han señalado en la obra de Cervantes, M. Chevalier sólo concede firme validez al caso de El curioso impertinente y a la locura de Cardenio. Por este camino del aprovechamento de materiales la influencia ariostesca, añade el mismo crítico, se define como restringida y superficial [...] 37

Márquez Villanueva, etichettato da Ruffinatto come punta di diamante della corrente ‘pro-Cervantes’38, dedica un paragrafo del suo Fuentes

literarias cervantinas a smantellare la «frágil construcción» di coloro

che hanno indagato le influenze ariostesche sul Quijote. Il critico spagnolo minimizza l’importanza dei vari ‘cataloghi’ di affinità e conclude che «Hablar de una influencia de Ariosto sobre Cervantes apenas si tiene, pues, ningún sentido profundo» considerata la «manifesta simpleza» dei poemi italiani (Furioso incluso) per quel che riguarda la struttura narrativa, sempre subordinata alla legge dell’ottava. Il critico suggerisce che «Cervantes necessariamente había de apuntar más alto y más lejos»39 e che forse, leggendo i romanzi italiani con occhio già moderno:

llegaría a pensar, como tantos lectores de hoy, que Pulci, Boiardo e incluso, en cierto modo, Ariosto son poetas superiores a sus obras. 40

Un altro intervento dello stesso anno, firmato da Manuel Durán41, pone l’accento sulle presunte affinità biografiche tra i due autori: le difficoltà di Ariosto nel sottomettersi all'autorità di Ippolito d'Este e la tragica esperienza della prigionia cervantina, le nozze tardive con Alessandra Benucci e la sorte della zia e della sorella di Cervantes, sedotte e abbandonate dai rispettivi amanti. Durán pone l’accento sul

37 Márquez Villanueva, cit, n. 79, pp. 321-322. 38 Ruffinatto, cit., p. 331.

39 Márquez Villanueva, Fuentes literarias cervantinas, Gredos, Madrid, 1973, p.

332.

40

Márquez Villanueva, cit., p. 334.

41

M. Durán, Cervantes and Ariosto: once more with feeling. In Estudios literarios

de hispanistas norteamericanos dedicados a Helmut Hazfeld con motive de su 80 aniversario, Gráfica Manhattan, Barcelona, 1974.

(18)

18

ruolo giocato nella coscienza culturale spagnola e italiana dalle battaglie di Lepanto e di Fornovo, in cui una apparente vittoria si trasformò in una reale sconfitta, e sostiene che la forte disillusione provata da entrambi gli autori potrebbe aver offerto lo spunto per il rispettivo atteggiamento nei confronti della cavalleria.

Dal ‘66 alla fine degli anni ‘80 l’intervento più interessante sul rapporto tra Cervantes e Ariosto è forse quello di Marina Scordilis Brownlee. In Romance, Generic Transformation to Chrétiene de

Troyes to Cervantes, un capitolo è dedicato a Cervantes as reader of Ariosto. Oltre a ridiscutere alcuni punti di contatto individuati dai

predecessori, la studiosa è l'unica a prestare la dovuta attenzione alle citazioni ariostesche presenti nel paratesto cervantino (dall'epigrafe che chiude la Prima Parte, ripetuta al principio della Seconda, ai versi del Furioso inseriti in una delle composizioni proemiali) ricavandone una conclusione impegnativa ma a mio avviso condivisibile:

By choosing the Ariostan verse both to end part I of the Quijote and to begin part II, after having clearly discredited all previous Spanish continuator [Lope de Vega, Barahona de Soto], Cervantes is implicitly, yet unmistakably, estabilishing the

Furioso as a programmatic subtext for the Quijote. 42

Scordilis Brownlee si riferisce però ad una «prima» e una «seconda parte» del Furioso, senza indicarne con precisione i confini, e su questa partizione fonda la maggior parte dei confronti con il Quijote:

This self-presentation by Cervantes is corroborated by the fact that the vast majority of allusions to the Furioso found in the Quijote are taken from part I of the Furioso and, in addition, most occur in part I of the Quijote. Furthermore, Don Quijote and Orlando are both mad in the first parts of they respective works and are cured in the second parts.43

Cervantes and Ariosto: Renewing Fiction di Thomas Hart, pubblicato

42

M. Scordilis Brownlee, Romance. Generic Tranformation from Chrétien de

Troyes to Cervantes, University Press of New England for Dartmouth College,

Hanover, NH & London, 1985, p. 226.

(19)

19

nel 1989, è il contributo più esteso dopo quello ottocentesco di Renier. Consapevole del profondo interesse di Cervantes per il Furioso, lo studioso prende avvio da alcune riflessioni di Auerbach che si distanziano dai principali indirizzi della moderna critica sul Quijote, per ipotizzare che il punto di vista del grande critico sia, inconsciamente, influenzato dal Furioso:

Auerbach's interpretation of Don Quixote may have been shaped in part by a tendency, perhaps largely unconscious, to see it in terms of one of the Italian books he knew and loved, Ariosto's Orlando Furioso.44

La convinzione di Hart è che Auerbach, osservando il Quijote «in the same light» del Furioso, intuisca ciò che del romanzo di Ariosto, molti anni prima, aveva sedotto Cervantes: una visione del mondo basata sull'attaccamento al codice morale cavalleresco, unita alla consapevoleza della sua inattuabilità. In altre parole, la coscienza di un «gap» tra: «life as it is lived and life as it depicted in works of imaginative literature.»45. Hart procede distinguendo i debiti cervantini in due categorie, che affronta separatamente: da un lato le tecniche narrative, «form», dall'altro il repertorio tematico, «themes». Dal punto di vista formale è soprattutto l'entralacement a catturare l'attenzione del critico, insieme alla giustapposizione di episodi paralleli, da cui Cervantes potrebbe aver ricavato due dei procedimenti tipici del Quijote:

Cervantes may have learned from Orlando Furioso not only how to juxtapose contrasting episodes for ironic effect and how totie together different strands of narrativa material by shifting from one story to another at the moment of greatest suspense -a device he uses far less often that Ariosto. Much more importantly, he may have learned to use a multiple plot to make a single, extraordinarily rich thematic statement. 46

44 T. Hart, Cervantes and Ariosto, Renewing Fiction, Princeton University Press,

Princeton, 1989, p. 11.

45 Ivi, p. 4. 46 Ivi, p. 34.

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Un accenno spetta alle frequenti interruzioni e differimenti, sempre accompagnati da interventi metanarrativi:

Though both Ariosto and Cervantes often remind their readers that the work before them is a fiction, both also take care not to let them lose sight of the real world. 47

Sul versante tematico invece il punto di contatto tra i due autori è ravvisato nella comune percezione della disparità tra «life as we experience it and life as it is depicted in books».48

Un capitolo a parte è dedicato all'aspetto intertestuale di entrambi i romanzi: mentre Ariosto può entrare in competizione con i propri precursori classici prima di tutto dal punto di vista stilistico, secondo la logica dell'aemulatio, Cervantes è costretto a trasferire sui suoi personaggi, prima di tutto lettori, l'onere di intrattenere il rapporto con le «fonti».

Nel secolo che separa l’intervento di Renier da quello di Hart molto è cambiato. La teoria letteraria ha affinato i suoi strumenti, sostituendo alla categoria di «fonte» quella più funzionale di «ipotesto» (o «intertesto»), la narratologia ha codificato i modi del racconto, si sono delineate le principali tendenze interpretative su entrambi gli autori, si è svolto, infine, gran parte del dibattito critico sui rapporti tra il

Furioso e il Quijote. Eppure Cervantes and Ariosto, inteso come

epigono di una lunga tradizione critica, si rivela nel complesso deludente, sia per la leggerezza con cui Hart assembla le intuizioni dei suoi predecessori (nell'intero studio c'è ben poco di originale) senza approfondirne nessuna, sia a causa del disinteresse, condiviso con Renier, per i «segni» espliciti del Furioso nel Quijote.

Tra gli innumerevoli interventi recenti, su cui non è necessario soffermarsi nel dettaglio, è opportuno distinguere quelli che mantengono un' impostazione generalista, e replicano osservazioni già sviluppate dai predecessori, da quelli che selezionano uno specifico

47 Ivi, p. 33. 48 Ivi, p. 39.

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21

aspetto, formale o tematico, delle affinità tra Ariosto e Cervantes49. È quest'ultimo il caso dello studio di Javier Goméz-Montero del 2004, su cui torneremo a proposito dei rapporti tra entrelacement e novelle intercalate, o del contributo recentissimo di María de las Nieves Muñiz Muñiz, dedicato agli echi di tipo stilistico. Superando la posizione (su questo verso restrittiva) di Chevalier, la studiosa, curatrice con Segre della recente riedizione del Furioso di Urrea, evidenzia come la mediazione di Garcilaso, «primo e più influente imitatore del Furioso in terre iberiche»50, abbia funzionato per Cervantes come filtro della memoria del verso ariostesco. È bene chiarire che il repertorio di immagini, stilemi e formule ariostesche ravvisate da Muñiz Muñiz esula dai propositi di questo studio, che si occupa piuttosto di indagare fenomeni di contaminazione macroscopici che possano implicare, anche se a diversi livelli, la volontarietà di Cervantes. Una attenzione particolare merita anche il piccolo saggio di Segre che introduce la recente edizione bilingue del

Furioso. Nelle quattro pagine dedicate a El ‘Orlando Furioso’ de Cervantes Segre offre una panoramica sintetica ed efficace dei più

importanti riferimenti cervantini al Furioso e conclude, in modo simile a quello di Chevalier, che la maggiore affinità tra poema italiano e romanzo spagnolo è da cercarsi nelle tecniche e nelle strutture narrative:

Algunos estudiosos han exagerado hasta límites inverosímiles la aportación del

Furioso, sobre todo en lo que respecta al contenido. Lo razonable parece, en cambio,

sostener que se trata de un influjo más sutil. No cabe duda de que Cervantes leyó y releyó el Furioso, assimilando todo lo que coincidía con sus ideas; pero desde el punto de vista narrativo, lo que más asimiló fue la técnica de la interrupción y el engarce, junto con la intercalación de relatos ajenos a la trama.51

49 Di taglio ‘generalista’ il recentissimo paragrafo di Giulio Ferroni intitolato Verso

il romanzo moderno: da Ariosto a Cervantes, che si sofferma specialmente sul tema

della follia in Idem, Ariosto, Salerno, Roma, 2008.

50

M. de las N. Muñiz Muñiz, Ariosto, Garcilaso e Cervantes: la trama intertestuale, «Esperienze Letterarie», XXXIII, 1, 2008, p. 4.

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22

Dalla rassegna dei principali studi dedicati alla questione dei rapporti tra Ariosto e Cervantes emergono alcune linee di tendenza. Innanzitutto sono solo due i punti su cui l'attenzione dei critici si è concentrata fin dal principio unanimemente, per indicare un contatto o per smentirlo: l'«ironia» e il rapporto tra le «due pazzie». L'analisi di questi due aspetti costituisce quindi una tappa obbligata per qualsiasi discorso sul Furioso e il Quijote. Gli studi con pretese di esaustività (salvo alcune eccezioni) dimostrano sia una debole struttura teorica (mescolando affinità di tipo tecnico, tematico, stilistico, e vere e proprie citazioni) sia la tendenza a prediligere affinità stilistiche e tematiche a consonanze tecniche. Il problema dipende dalle difficoltà che, tutt'oggi, si incontrano nello stabilire i criteri per una ricerca di tipo intertestuale. Aldo Ruffinatto lega il vizio antico e moderno dei critici «di mettere in competizione gli individui chiamati in causa come se di una gara più o meno sportiva si trattasse», alla «provvisorietà del concetto di fonte»:

un post hoc ergo propter hoc che, da un lato, invita i sostenitori di Cervantes a prendere le difese della sua originalità attenuando il più possibile la dipendenza dall'Ariosto; mentre, sull'altro fronte, gli ariostofili (mi si passi il termine) si preoccupano di rimarcare i presunti debiti contratti da Cervantes per affermare la superiorità del poeta italiano sul narratore spagnolo, le cui doti non vengono certo negate, ma soltanto per mettere in maggiore evidenza le virtù del «maestro».

La diagnosi è corretta, sebbene la proposta del critico di «ovviare facendo appello al concetto di intertestualità» non risolva, a mio avviso, il problema:

A tutto ciò è possibile facilmente ovviare facendo appello al concetto di intertestualità e, in particolare, alla concretezza di un dialogo che si sviluppa su un piano di assoluta parità tra due interlocutori che rivendicano a buon diritto il titolo di colossi della letteratura mondiale. Nessun rapporto di causa-effetto, dunque, nessun

Segre y M. de las N. Muñiz Muñiz , traducción de Jerónimo de Urrea (1549),

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prestito e nessun debito, ma un dialogo che si sviluppa su un piano di assoluta parità tra due individui qualificabili (jakobsoniamente) come «mittente» e «destinatario» sulla base di un codice comune (quello cavalleresco) i cui parametri, opportunamente veicolati dal canale della comunicazione, appaiono soggetti a vari processi di trasformazione attivati soprattutto dall'ironia e dalla parodia.52

Se la riflessione di Ruffinatto sulla trasformazione dell'ironia in parodia merita di essere discussa, il ricorso al concetto di intertestualità, o ipertestualità (che si accetti o meno la classificazione genettiana), non autorizza certo a parlare di «dialogo alla pari», dato che la reversibilità dei ruoli di mittente e destinatario è, tra Ariosto e Cervantes, concretamente impossibile. La relazione di due opere distanti quasi un secolo tra di loro, scritte in lingue e metri diversi, non può certo essere descritta come uno scambio paritetico, con «dettagli che, come palline da ping pong rimbalzano da un testo all'altro»53. Allo stesso modo non si può affermare che tra il racconto del nappo incantato e quello del Curioso Impertinente ci sia «interdipendenza». Il problema non può essere risolto bandendo termini, come «prestito» e «debito», del resto funzionali data la penuria di un lessico specifico, o dichiarando di voler prescindere da una logica di causa-effetto. L'introduzione del concetto di intertesto (o ipotesto) al posto della vetusta «fonte», serve piuttosto a chiarire che quello che unisce il

Quijote al Furioso può essere indagato in modo sistematico, attraverso

la classificazione di un insieme di fenomeni (o segni di presenza) variegato ed eterogeneo.

Il mio lavoro si muove su due livelli, che corrispondono ad altrettante modalità di relazione intertestuale: da un lato cataloga e interpreta i riferimenti di Cervantes al Furioso (dichiarati o impliciti), dall'altro illustra alcune modalità narrative, tecniche o topoi, comuni alle due opere. Il primo capitolo, ideato come un ‘a parte’, si occupa della presenza del Furioso nel paratesto del primo Quijote. Il secondo capitolo propone invece una sistemazione teorica del materiale

52 Ruffinatto, cit., p. 192. 53 Ruffinatto, cit., p. 197.

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raccolto. I ‘prestiti’ sono catalogati in base al criterio dell’esplicitezza-implicitezza – da un massimo di riconoscibilità per il lettore, costituito dal riferimento al nome di Ariosto, a un minimo, come l’assorbimento di uno o più versi del Furioso nella prosa del Quijote – e suddivisi in categorie: la citazione in senso stretto, la rievocazione, la semplice menzione, l’eco narrativa e l’eco stilistica. I capitoli III e IV si soffermano invece su tre episodi del Quijote, costellati di riferimenti espliciti ad Ariosto, in cui la memoria del Furioso agisce in modo più profondo: la simulata pazzia di don Quijote nella Sierra Morena, l’episodio della rissa alla locanda e la sottotrama della quête per l’elmo di Mambrino. Il capitolo V, che conclude idealmente la prima parte dello studio, prende invece in esame i riferimenti al Furioso compiuti da don Quijote, mettendo l’accento sulle trasformazioni, le sviste e gli errori compiuti dall’hidalgo. Gli ultimi due capitoli sono invece dedicati ad affinità relative al modo della narrazione. Il capitolo VI osserva la funzione di Turpino e Cide Hamete Benengeli, primi autori fittizi, e il gioco che Cervantes e Ariosto creano con il tradizionale topos del manoscritto ritrovato. Il VII si concentra sull’utilizzo di alcune convenzioni proprie della narrativa cavalleresca, come l’entrelacement ed il ricorso a narrazioni secondarie o intercalate. Si osserva, infine, la connessione tra ironia e metanarratività, caratteristica di entrambi i testi .

(25)

25 CAPITOLO I

«Puesto que, como yo, perdiste el seso»: il Furioso nella cornice del primo Quijote

Il primo Quijote si apre con un Prologo in cui il narratore, rivolgendosi direttamente al suo «desocupado lettor», illustra le difficoltà e i dubbi che il romanzo, «figlio secco, allampanato e strambo», anzi «figliastro», ha dovuto superare prima di essere offerto alle stampe. L'autore avrebbe preferito, confida Cervantes, offrire la storia «monda y desnuda», priva cioè dell'abbellimento di un Prologo e dei consueti sonetti, epigrammi ed elogi che di solito accompagnano un'opera. Le difficoltà del «patrigno» risiedono in una totale mancanza di erudizione e dottrina: a differenza degli autori suoi contemporanei, non è in grado di corredare il romanzo di annotazioni in margine e note in fondo, citazioni da Platone, Aristotele e da «tutta la caterva dei filosofi», riferimenti alle sacre scritture, elenchi alfabetici delle fonti. La captatio benevolentiae cela, come il lettore comprende facilmente, un sottofondo ironico: fingendo di deplorare il proprio «sterile e incolto ingegno», il narratore rivela il vero oggetto polemico, ossia l'erudizione ostentata, la pedanteria, il narcisismo dei letterati contemporanei che:

[…] guardando en esto un decoro tan ingenioso, que en un renglón han pintado un enamorado destraido y en un otro hacen un sermoncino cristiano, que es un contento y un regalo oílle o leelle.54

[...] sanno serbare un così intelligente decoro, che dopo aver descritto nel rigo di sopra un dissoluto, ti fanno nel rigo di sotto un sermoncino cristiano, che è un piacere e una fortuna leggerlo o sentirlo leggere. [DC, Prologo, p. 7]

54

Le citazioni del testo originale, qui indicate con la sigla «DQ», sono tratte da M. de Cervantes, Don Quijote de la Mancha, a cura di F. Rico, 2 voll., Instituto Cervantes, Barcelona, 1998. La traduzione italiana, abbreviata in «DC», è quella di Ferdinando Carlesi, in M. de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, a cura di C. Segre e D. Moro Pini, 2 voll., Mondadori, Milano, 1991.

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Oppure che si compiacciono di accludere un elenco delle proprie fonti classiche «dalla A alla Z, cominciando da Aristotele e terminando con Senofonte e Zoilo e Zeusi, sebbene uno fosse un maldicente e l'altro un pittore»55. Il narratore ci informa che il suo libro sarà carente dei soliti sonetti di introduzione «i cui autori sian duchi, marchesi, conti, vescovi, dame e poeti famosissimi». L' unanimità dei commentatori ha posto l’accento sulla polemica imnplicita contro Lope de Vega, colpevole di aver riempito i margini delle proprie opere di citazioni che uniscono il sacro e il profano, tavole alfabetiche di nombres

poéticos e históricos, e di aver abusato della pratica dei versi

introduttivi. Le perplessità di Cervantes, che rischierebbero di condannare il Quijote nell'oblio degli archivi della Mancha – almeno fino all’avvento di un «miglior plettro» – sono risolte dall’ingresso di un provvidenziale amico che, dotato di raziocinio e spirito maieutico, si occupa di smantellare una dopo l’altra le resistenze dell’autore. La difficoltà principale, cioè la mancanza di sonetti ed epigrammi scritti da encomiatori d'alto rango è facilmente rimediabile:

[…] vos mesmo toméis algún trabajo en hacerlos, y después los podéis bautizar y poner el nombre que quisiéredes, ahijándolos al Preste Juan de las Indias o al Emperador de Trapisonda, de quien yo sé que hay noticia que fueron famosos poetas. [DQ, I, Prólogo, p. 14]

Pigliatevi la bega di farne qualcuno voi stesso, e poi lo potrete battezzare e mettergli il nome che volete, affibbiandone la paternità al Prete Gianni delle Indie, o all'imperatore di Trebisonda, dei quali so che si racconta che furono famosi poeti [...]. [DC, I, prologo, p. 8]

Del resto Lope de Vega era ricorso allo stesso stratagemma, e senza fini parodici, arrivando a scrivere i propri auto-encomi e a firmarli con il nome di qualcun’altro56. Con la stessa illuminata semplicità sono

55

DC, Prologo, p. 7.

56 Nei Preliminares del Peregrino en su patria compare un sonetto attribuito a

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fugate le insicurezze dell’autore in merito a citazioni latine, apparato bibliografico e riferimenti biblici: mettere in luce le assurdità dei libri di cavalleria non necessita dell’autorità di Aristotele, San Basilio o Cicerone. Cervantes ascolta con «silencio grande» i suggerimenti dell’amico e si lascia persuadere, tanto da prenderlo in parola, producendo autonomamente un piccolo apparato di versi encomiastici i cui dedicatori saranno, piuttosto che illustri persone, illustri personaggi presi in prestito dal repertorio cavalleresco. Una incantatrice professionista, cinque cavalieri, uno scudiero, una dama e un «donoso poeta», non meglio identificato, faranno da contraltare ai «principi», «duchi» e «poeti celeberrimi». L'ultima composizione riproduce invece un dialogo, sempre organizzato in forma di sonetto, tra cavalcature erranti. Alla serie dei preliminares si accompagna, al termine del primo Quijote, un piccolo assortimento di epitaffi, fortunosamente rinvenuti (come vuole il topos) in una cassetta di piombo, disseppellita dalle fondamenta di un antico santuario in ricostruzione, e attribuiti ai membri dell'immaginaria «Academia de la Argamasilla». Nei preliminares i dedicatori si rivolgono al personaggio che sentono più affine: i cavalieri a don Quijote, la dama a Dulcinea, lo scudiero a Sancho Panza, il cavallo a Rocinante. Il filo conduttore tra gli interventi consiste in un paragone più o meno occulto, attraverso il quale si esalterà l’operato dei personaggi cervantini: Amadís rassicura don Quijote sulla solidità della sua fama, determinata proprio dalla capacità di imitare l’episodio della penitenza sulla Peña Pobre; don Belianis enumera le proprie imprese guerresche e si dichiara ammiratore dell’hidalgo; Oriana invidia la castità di Dulcinea. Il risultato è un assortimento di componimenti sgradevoli e insensati, la cui bruttezza ha spesso impressionato i critici. Alcuni, come Bataillon, hanno messo in dubbio la paternità cervantina dei

analfabeta. La stessa cosa accade nella cornice introduttiva della Hermosura de

Angélica.(L. de Vega, La hermosura de Angélica, a cura di M. Trambaioli,

Pamplona/Madrid/Frankfurt, Universidad de Navarra/Iberoamericana/Vervuert, 2005).

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Preliminares, ipotizzando che l'autore abbia approfittato dell'ausilio di

alcuni collaboratori, tra cui Gabriel Lasso de la Vega, poeta madrileno amico di Cervantes.57 Nello studio più completo sul paratesto del primo Quijote, Adrianne Laskier Martín confuta in modo assai convincente queste supposizioni:

Why beg verses from other lesser poets (Lasso's poetry, for example, is quite inferior to that of Cervantes), even in jest, when Cervantes was perfectly capable of writing his own? If he had requested poems from his friends, would they not have written serious encomiums as they did for his earlier Galatea and subsequent

Novelas ejemplares?58

Secondo l'autrice la grandezza di Cervantes, capace di produrre all'occorrenza versi di alta qualità, sta proprio nel calarsi, di volta in volta, nei panni di ognuna delle sue maschere, assumerne la prospettiva e costruire composizioni di stile adeguato all'autore fittizio. Effettivamente il sonetto di Amadís, cavaliere innamorato per eccellenza, ripropone tutti i luoghi comuni della lirica amorosa contemporanea; quello di Don Belianís si accorda, anche nella sintassi, con la violenza e l'eccessivo furore che il curato deplora durante l'ispezione della biblioteca (la prima quartina si apre con un elenco sincopato «Rompí corté, abollé y dije y hice / màs que en el orbe caballero andante; / fui diestro, fui valiente, fui arrogante; / mil agravios vengué, cien mil deshice»), mentre i sonetti di Oriana e Gandalín, basati su una serie di capovolgimenti comici, anticipano il

57 M. Bataillon, Urganda entre Don Quijote et La Pícara Justina», Studia

Philologica. Homenaje ofrecido a Dámaso Alonso, Gredos, Madrid, 1960, I, pp.

191-215 , e L. Astrana Marìn, Vida ejemplar y heroica de Miguel de Cervantes, Instituto Editorial Reus, Madrid, 1948-1958, 7 vols: « Algunas de este poesìas, como tales o cuales de los versos de «Urganda», bien pudieron escribirse, en elogio de Cervantes y para servir de preliminares al libro, segùn costumbre, por poetas amigos del autor, no siempre bien enterados del argumento del Quijote ìntegro, todavìa sin salir a la luz», vol. V, p. 588.

58 A. Laskier Martín, Cervantes and The Burlesque Sonnet, University of California

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motivo carnevalesco del «mondo alla rovescia», centrale in tutta l'opera. Insomma dietro la maschera di ogni paladino, dama o cavallo l'ombra di Cervantes si profila nitida, tanto da rendere i dubbi legati alla paternità dei preliminares del tutto inconsistenti. Le uniche incognite restano, ancora oggi, l'identità del nono dedicatore, Solisdán, e la scelta di inserire, tra dame, cavalieri e scudieri un sedicente «poeta entraverado», in arte Donoso. Su quest'ultimo punto l'ipotesi più convincente mi sembra quella di Francisco Márquez Villanueva, che vede nel Donoso un accademico dell' Argamasilla «imbucato» nei preliminares:

Los académicos de la Argamasilla tienen su sede oficial en la serie de poemas epilogales, pero tampoco dejan de rondar por la serie preliminar. Entre el desfile de los barbas caballerescos hace una fugaz apariciòn la oreja apicarada de «el donoso, poeta entreverado», que estropea la marcha solemne de tanto soneto con la irriverencia poética de sus cabos rotos. [...] Espia, desertor o impaciente, el Entreverado tiene su logica alma mater en la misma Argamasilla, que de este modo se halla también implicada en el crimen poético de los preliminares.59

Quanto al sonetto di Orlando Furioso (su cui tornerò tra poco), accusato dai critici di essere inintelligibile e mal composto, l'osservazione più efficace è di nuovo quella di Laskier Martín: «Of curse, it is; it was written by a madman».60

È stato Pierre Ullman61 il primo ad affermare che nel frame della primo Quijote sono anticipati i temi e le strutture che formeranno l'architettura complessiva del romanzo. Sulla base di questa intuizione Laskier Martín ha interpretato il paratesto come exemplum dell'humor cervantino, ottenuto dall'integrazione di tre correnti comiche: la risata liberatoria legata al motivo carnevalesco e al teatro popolare, la satira

59 F. Márquez Villanueva, El mundo literario de los académicos de la Argamasilla,

«La Torre», 1987, I, p. 24.

60

Laskier Martín, cit., p. 136.

61

P. Ullman, The burlesque poem wich frame the Quijote, «Anales Cervantinos », IX, 1963, p. 223.

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umanistica della «letteratura della follia» e la tradizione della

sonetada (l'invettiva personale in versi) a cui fanno capo le allusioni

alla vita personale e professionale di Lope de Vega. Le nove maschere dei dedicatori (quindici se consideriamo gli accademici dell'Argamasilla) anticipano inoltre il più importante travestimento della voce d'autore nel romanzo: quello di Cide Hamete Benengeli, storico arabo, che dal nono capitolo del primo Quijote sarà promosso a unico cronista delle imprese dell'hidalgo. Il motivo carnevalesco è connesso, oltre al concetto di maschera e travestimento, ad una serie di rovesciamenti il più evidente dei quali, secondo Ullman, riguarda il

continuum temporale. Nell'opinione dello studioso, indossando di

volta in volta la maschera di un cavaliere, una dama o uno scudiero del passato, Cervantes infrangerebbe il regolare flusso del tempo anticipando un tema che percorrerà l'intero romanzo: quello del passato che giudica il presente, incarnato dall'opposizione tra don Quijote, portatore di valori cavallereschi ormai obsoleti, e la realtà della Spagna del Seicento. Ma l'inversione più significativa riguarda a mio avviso lo statuto dei dedicatori: se il Quijote è, innanzitutto, la storia di un lettore che diventa personaggio, è del tutto naturale che i suoi primi e più autorevoli lettori siano i personaggi stessi. Scegliendo che siano i modelli letterari di Alonso Quijano, quelli stessi che ne hanno provocato la trasformazione in don Quijote, a farsi suoi critici, Cervantes sta dichiarando che la barriera tra mondo reale e mondo (o mondi) di finzione è ormai irreversibilmente infranta. Le conseguenze di questa infrazione, disseminate in tutto il romanzo, raggiungeranno il proprio apice nel terzultimo capitolo del secondo Quijote, quando Don Alvaro Tarfe, personaggio dell'apocrifo di Avellaneda e intimo amico del finto Quijote, sottoscriverà una dichiarazione ufficiale, che è un geniale esempio di fusione tra realtà e letteratura:

[…] un escribano ante el cual alcalde pidió don Quijote, por una petición, de que a su derecho convenía de que don Álvaro Tarfe, aquel caballero que allí estaba presente, declarase ante su merced como no conocía a don Quijote de la Mancha, que asimismo estaba allí presente, y que no era aquel que andaba impreso en una

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historia intitulada Segunda parte de don Quijote de la Mancha, compuesta por un tal de Avellaneda, natural de Tordesillas. [DQ, II, 72, p. 1208]

Allora, dinanzi al giudice, Don Chisciotte avanzò formale domanda che, conforme ai suoi diritti e interessi, il signor Alvaro Tarfe ivi presente dovesse dichiarare di non conoscere il signor Don Chisciotte della Mancia ivi pure presente, il quale era tutt'altra persona da quello di cui si parlava in una storia intitolata: Seconda Parte di

Don Chisciotte della Mancia, composta da un certo Avellaneda nativo di

Tordesillas. [DC, II, 72, p. 1193]

Metanarratività, riflessione sulla follia e «gioco dimensionale» sono solo alcuni dei materiali di costruzione del Quijote. Un particolare accenno spetta all’ intertestualità. Se Cervantes approfitta del breve spazio di questi preliminares per farsi beffe – e in modo piuttosto sofisticato – del suo bersaglio preferito (gli autori pedanti che ostentano erudizione) sta anche presentando una galleria di auctores e di opere che formeranno la premessa indispensabile alla comprensione del romanzo, e del suo protagonista. Nella biblioteca virtuale del

Quijote, che si discosta di qualche misura dalle sue biblioteche reali,

l'Amadís de Gaula di Montalvo sembra vantare il primato assoluto. Quattro delle nove composizioni (Urganda l'incantatrice, Amadís stesso, il suo scudiero Gandalín e l'amata Oriana) sono attribuite a personaggi tratti dal romanzo di Montalvo, contro un solo riferimento, rispettivamente, al Don Belianís de Grecia di Jerónimo de Fernandez e al Caballero de Febo di Diego Ortúñez de Calahorra. La superiorità di Amadís ha un fondamento filologico: sia il Don Belianís che l'Espejo de príncipes y cavalleros (il cui protagonista è appunto il Caballero de Febo) sono direttamente dipendenti dal lavoro di Montalvo che, scegliendo di snellire ed emendare un originale trecentesco, traccia le coordinate per un nuovo genere, i libros de

caballerias, ossia:

a long prose narration which deals with the deeds of a «caballero aventurero o andante» -that is, a fictitious biography. More precisely, the sixteenth– and seventeenth-century Spaniards (and I am unaware that the term «libros de

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caballerías» was widely used prior to the sixteenth century) understood as «libros de caballerías» Montalvo's Amadís and the books written in Castilian subsequent to it, [...].62

Il repertorio di opere che Cervantes sta presentando attraverso questi versi costituisce quindi una summa delle «cattive letture» di Alonso Quijano, per screditare le quali (stando alle dichiarazioni del narratore), è stato scritto il Don Quijote. Il dato più significativo, almeno dal mio punto di vista, è che il Furioso, qui rappresentato concretamente dal sonetto di Orlando, è l'unico testo non spagnolo a cui sia concesso il privilegio di far parte della «bella scola». Per il momento mi limiterò a costatare che, nonostante il romanzo di Ariosto disattenda ognuna delle caratteristiche costitutive dei libros de

caballerías (i suoi rapporti con la famiglia di Amadís sono del tutto

occasionali, non si tratta di una narrazione in prosa ed è impossibile individuare un'azione centrata su un unico protagonista) Cervantes sembra utilizzarlo alla stregua degli altri membri del repertorio. Anzi, ad un'osservazione più attenta, ci accorgiamo che la sua presenza nella cornice insidia il primato apparente di Amadís: oltre al sonetto di Orlando – caso estremo di appropriazione intertestuale – sono riconoscibili altri quattro riferimenti (due nei preliminares e due negli

epilogales) che vanno da un grado di massima esplicitezza (la

citazione del titolo del Furioso) alla ripresa di versi ariosteschi (rispettivamente nella prima composizione, nel terzo epitaffio e in epigrafe), presentati senza alcuna indicazione aggiuntiva. Ognuno di questi riferimenti merita di essere analizzato nel dettaglio.

1. La décima di Urganda

Nella prima composizione, con funzione proemiale, l'autore indossa la maschera di Urganda la Desconocida, incantatrice dell'Amadís de

Gaula capace di assumere, di volta in volta, sembianze diverse. A lei è

62 D. Eisenberg, Romance of Chivalry in the Spanic Golden Age, Juan de la Cuesta,

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