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studio della frazione ionica (PM2,5) del particolato atmosferico in ambiente urbano

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Corso di Laurea Magistrale

in Scienze Ambientali

Prova finale di Laurea Magistrale

“STUDIO DELLA FRAZIONE

IONICA (PM

2,5

) DEL PARTICOLATO

ATMOSFERICO IN AMBIENTE

URBANO”

Laureanda Francesca Benetello Matricola 823168 Relatore

Prof. Bruno Pavoni Correlatore

Dott. Gianni Formenton Dott. Mauro Masiol Dott. Sergio Milan Anno Accademico 2012 / 2013

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INDICE

1 INTRODUZIONE………..….4

1.1 Premessa………4

1.2 Il sistema aerosol e particolato atmosferico………...5

1.2.1 Modalità di rimozione……….6

1.2.2 Effetti dell’aerosol…………..……….………7

1.3 La composizione chimica di base del particolato……...………..…10

1.4 Reazioni che avvengono in atmosfera………...12

1.5 Aerosol Inorganico Secondario…..………...…15

1.5.1 Formazione dell’acido nitrico….……….……17

1.5.2 Formazione dell’acido solforico………..……….…20

1.5.3 Distribuzione dimensionale………..20

1.5.4 Ammoniaca e formazione di nitrato e solfato d’ammonio..…….…………...22

1.6 Legislazione……….………..…..25

1.7 Scopo della tesi………28

2 AREA DI STUDIO….………..………….…30 2.1 Inquadramento meteorologico………..36 3 MATERIALI E METODI………...……….38 3.1 Materiali utilizzati………....………..38 3.2 Campionamento del PM2,5……….39 3.3 Quantificazione del PM2,5……….……….39

3.4 Analisi degli ioni……….………….41

3.5 Cromatografia ionica………..41

3.6 Quality Control and Assurance……….43

4 RISULTATI E DISCUSSIONE……….………..44

4.1 Andamento del PM2,5 dall’1/04/2012 al 31/03/2013……….…….………...44

4.2 Andamento del PM2,5 nei 360 campioni analizzati (60 giorni per 6 stazioni)…..….48

4.3 Aerosol Inorganico Secondario………..…...…54

4.3.1 Rapporto di neutralizzazione………..………..62

4.3.2 Precursori gassosi………...………..64

4.4 Micrometeorologia……….….72

4.4.1 Trasporto a lunga distanza……….………..72

4.4.2 Contributi locali………...………...77 5 CONCLUSIONI………...……….86 6 BIBLIOGRAFIA………...……...88 7 APPENDICE……….…….…….100 Appendice 1……….………..…..100 Appendice 2……….………...….104 RINGRAZIAMENTI……….……110

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1 INTRODUZIONE

1.1 Premessa

Circa la metà della popolazione mondiale vive oggi in aree urbane per la maggiore possibilità di avere una migliore qualità di vita. Molti di questi centri urbani si stanno espandendo rapidamente, contribuendo a portare così alla crescita delle “mega-città”, che sono definite essere aree metropolitane con una popolazione che superiore ai 10 milioni di abitanti. Questa definizione è però arbitraria poiché i grandi centri urbani includono spesso persone che non si trovano entro i confini amministrativi di una città. L’elevata concentrazione di persone e le relative attività, stanno esercitando un notevole stress sull’ambiente naturale, con un conseguente impatto a livello urbano, regionale e globale. L’inquinamento atmosferico è diventato il problema principale delle “mega-città”. Inizialmente questi problemi riguardavano le emissioni di composti dello zolfo date dalle combustioni; oggi lo smog fotochimico, derivante da attività industriali, dal traffico, dalla produzione di solventi e dalla produzione energetica, risulta essere il principale problema, mentre i composti dello zolfo rappresentano la maggior preoccupazione nei i paesi in via di sviluppo (Molina and Molina, 2004). Spesso però riteniamo che il tema sull’inquinamento atmosferico sia un fenomeno moderno, in realtà esso esiste fin dai tempi preistorici, cioè da quando gli uomini primitivi bruciavano carbone fossile e materiale biologico per la produzione di calore. Certo è che la natura dell’inquinamento dell’aria è cambiata nel corso dei millenni, soprattutto a seguito della rivoluzione industriale; non si tratta più solo di fumo e di composti dello zolfo (Donahue et al., 2009; Colbeck and Lazaridis, 2010). Le “mega-città” spesso sono caratterizzate da alte concentrazioni di PM, O3, NOx, SO2, CO, VOCs, idrocarburi. Ad esempio tra il 1940 e 1950 a Londra, ci furono degli episodi definiti “Killer Smog” dovuti all’esposizione della popolazione a SO2 e SO4 2-che portarono all’aumento di malattie e decessi (Molina and Molina, 2004). Le direttive europee e le leggi nazionali hanno il compito di fissare degli standard con l’obiettivo di valutare e migliorare la qualità dell’aria. Tuttavia, per riuscire a ridurre le emissioni antropiche e i relativi impatti, risultano essere necessarie delle leggi a scala regionale, che tengano in maggior considerazione l’aspetto geografico del territorio offrendo dei sistemi di mitigazione mirati a quelle che sono le effettive esigenze dell’area.

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1.2 Il sistema aerosol e particolato atmosferico

L’aerosol è tecnicamente definito come una sospensione di particelle fini solide o liquide disperse in un sistema gassoso (Prospero et al., 1983; Seinfeld and Pandis, 2006), mentre il particolato atmosferico (Particulate Matter, PM) ne rappresenta la sola frazione solida; queste particelle possono avere dimensioni di ordini di grandezza molto differenti tra loro, in un intervallo che può variare da 10-7 a 10-2 cm (Dongarrà and Varrica, 2004).

Le particelle atmosferiche hanno origine da una varietà di sorgenti e possiedono una vasta gamma di proprietà morfologiche, chimiche, fisiche e termodinamiche (EPA, 2004; Chang and Lee, 2007). Esse sono strettamente legate alle loro sorgenti e ai processi di formazione. Pertanto, sulla base dei meccanismi di formazione, si possono distinguere particelle fini (dimensione <1 µm) e grossolane (dimensione >1 µm). (Alastuey et al., 2004).

Il PM è costituito da diverse tipologie di particelle che possono essere suddivise in primarie e secondarie. L’aerosol primario può essere di origine naturale o antropica ed include:

 materiale emesso da eruzioni vulcaniche;

 polvere rialzata e materiale eroso dall’azione del vento;

 materiale di origine atmosferica e cosmica;

 spray marino;

 incendi di biomasse e sostanze rilasciate dagli organismi;

 emissioni industriali, da veicoli, da incenerimento di rifiuti, da raffinerie, da combustibili fossili, da produzione e uso di sostanze chimiche (EPA, 2004; Colbeck and Lazaridis, 2010). L’aerosol secondario, che in genere ha dimensioni inferiori a 2,5 µm, è prodotto in atmosfera da reazioni che coinvolgono i gas primari o secondari (Ansari and Pandis, 1998; Chang and Lee, 2007; Arsene et al., 2011). Gli inquinanti secondari dell’aria sono quelli che non sono emessi direttamente da fonti naturali o antropiche, bensì si formano in atmosfera come risultato di reazioni chimiche o processi fisici di trasformazione e le concentrazioni dell’aerosol secondario non hanno una relazione lineare con i livelli di emissione (Charville-Mort and ApSimon, 2009). Le particelle secondarie si formano nell'atmosfera dai prodotti delle reazioni chimiche di gas provenienti da fonti naturali e artificiali quali SO2, NOX, e alcuni composti organici. Le particelle

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atmosferiche contengono quindi ioni inorganici, composti metallici, carbonio elementare, composti carboniosi e componenti crostali (EPA, 2004). In generale, i composti inorganici ed organici costituiscono rispettivamente circa il 25-50% e il 40-65% della massa del particolato fine (Zhang et al., 2000). La composizione chimica del particolato atmosferico che si ritrova in una determinata area geografica dipende quindi dalle sorgenti, dai processi fisici e chimici di trasformazione che coinvolgono il particolato stesso, dai processi di trasporto e rimescolamento causati dai moti atmosferici (Fuzzi, 2009). Una volta in aria, infatti, le particelle possono cambiare la loro dimensione e composizione tramite la condensazione di specie vapore o tramite evaporazione, tramite coagulazione con altre particelle, attraverso reazioni chimiche o attraverso attivazione in presenza di soprassaturazione di acqua da diventare nebbia o goccioline di nuvole (Seinfeld and Pandis, 2006).

1.2.1 Modalità di rimozione

La rimozione delle particelle può avvenire attraverso due meccanismi:

 deposizione secca: diretto trasferimento sulla superficie della Terra senza l’aiuto delle precipitazioni;

 deposizione umida: comprende tutti i processi attraverso i quali le specie presenti in aria vengono trasferiti sulla superficie terrestre in forma acquosa (pioggia, neve o nebbia). La deposizione secca ha una velocità di sedimentazione (Vs) per le particelle grossolane che è data dalla legge di Stokes e viene espressa in m s-1:

Con:

dp = diametro della particella (m);

Cc = fattore di correzione;

ρp = densità della particella (kg m-3);

g = accelerazione di gravità (m s-2);

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Poiché deposizione umida e secca portano a tempi di residenza relativamente brevi in troposfera e poiché esiste una distribuzione geografica non uniforme delle sorgenti, l’aerosol troposferico varia profondamente sia in concentrazione sia in composizione. Mentre i gas atmosferici in tracce hanno tempi di vita che vanno da meno di un secondo a un centinaio o più, il tempo di residenza delle particelle in troposfera varia da pochi giorni a poche settimane (Zhang et al., 2001; Seinfeld and Pandis, 2006; Li et al., 2009).

1.2.2 Effetti dell’aerosol

Emissioni e concentrazioni ambientali di inquinanti possono avere effetti diffusi sulla salute della popolazione, comparsa di foschia urbana e regionale, degradazione degli ecosistemi (Molina and Molina, 2004). L’aerosol può influenzare l’atmosfera attraverso due modalità:

 effetti diretti: si riferiscono alla riflessione ed adsorbimento della radiazione con una conseguente influenza sul sistema climatico e sull’albedo planetario;

 effetti indiretti: si riferiscono all’aumento dei nuclei di condensazione utili alla formazione delle nuvole ed al contenuto di acqua liquida, altezza e tempo di vita delle nuvole (Colbeck and Lazaridis, 2010).

Le particelle di aerosol servono quindi come nuclei di condensazione per le nuvole. Causano inoltre la riduzione della visibilità e influenzano la qualità dell’aria sia a livello globale che regionale. Giocano inoltre un ruolo significativo nel cambiamento climatico tramite l’alterazione dell’equilibrio radiativo atmosferico terrestre sia direttamente sia indirettamente (Renner and Wolke, 2010, Sun et al., 2012). In particolare, l’aerosol inorganico secondario gioca un ruolo importante nella riduzione della visibilità e nelle nebbie inquinanti regionali. La nebbia viene definita come un fenomeno atmosferico caratterizzato da un’elevata concentrazione di particelle fini che riduce la visibilità orizzontale a meno di 10 km ad un’umidità relativa inferiore al 90%. La nebbia inquinante è caratterizzata dagli elevati livelli dei composti secondari di solfato, nitrato e ammonio presenti nel particolato fine (Wang et al., 2012).

I più importanti effetti dell’inquinamento atmosferico riguardano però la salute umana e sono legati al PM. Oltre alla concentrazione, vi sono altre due caratteristiche che agiscono a livello di

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salute umana: dimensione, che determina il grado di penetrazione nel sistema respiratorio e composizione (Matè et al., 2010).

Le particelle di PM2.5 sono molto leggere e permangono nell’aria per giorni o settimane, qualche volta spostandosi di centinaia di chilometri. La respirazione coinvolge l’inalazione dell’aria contenente qualsiasi materiale presente in essa, aria e particelle che viaggiano attraverso il sistema respiratorio fino agli alveoli. Le particelle possono aderire alle pareti del tratto respiratorio o possono spostarsi in profondità nei polmoni. La respirazione mediante la bocca consente alle particelle di penetrare ancora più in profondità nei polmoni. Le persone anziane respirano meno profondamente e così le particelle non penetrano in profondità. I polmoni producono muco per intrappolare le particelle ed esistono meccanismi per il trasporto del muco e delle particelle lontano da questi. Il muco viene espulso dalle vie respiratorie mediante tosse o deglutizione. Tuttavia queste particelle possono entrare in profondità nei polmoni dove determinate cellule le intrappolano in modo tale che ne è impedite l’espulsione. L’esposizione cronica al PM aumenta il rischio di problemi cardiaci, polmonari e l’insorgere di neoplasie nel tratto respiratorio. La presenza di PM2.5 negli alveoli polmonari induce a processi infiammatori locali che, insieme ad un aumento dello stress ossidativo, ha ripercussioni sistemiche attraverso un rilascio nel sangue dei mediatori infiammatori, in particolare citochine, leucociti e fattori pro-trombotici (fibrinogeno e pastrine), in tal modo creando anche una riduzione della stabilità piastrinica. Esiste un duplice risultato di questi due processi (pro-infiammatorio e pro-trombotico): tra i pazienti con placche ateromatose c'è il rischio, che può essere più o meno acuto, di trombosi periferica sia arteriosa (coronarie incluse) che venosa e nel lungo termine, l’esposizione cronica al PM2.5 è legata all’accelerazione del processo di aterosclerosi. I diversi effetti sulla salute includono anche tosse, difficoltà respiratoria, asma, danneggiamenti polmonari, morte precoce in individui con problemi cardiaci e polmonari preesistenti (Díaz and Dominguez, 2009; Matè et al., 2010; Sun et al., 2012). Considerando gli effetti sulla salute umana, particelle fini e grossolane sono distinte sulla base della soglia dimensionale dei 2,5 µm. Le concentrazioni della massa del particolato < 10 µm (PM10) e <2,5 µm (PM2,5) sono conosciute rispettivamente come frazione “toracica” e “alveolare” (Alastuey et al., 2004). Pertanto, un approccio globale sulla caratterizzazione della composizione chimica, delle fonti e dei processi evolutivi sono essenziali per svelare la complessità del particolato (PM) e di valutarne gli effetti sul clima e sulla salute pubblica (Sun et al., 2012).

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L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato che un’esposizione ad elevate concentrazioni di particolato, riduce l’aspettativa di vita di 8 mesi in media nei paesi dell’Unione Europea, ma si può arrivare a punte di 18 mesi in aree particolarmente inquinate come nella Pianura Padana (Fig. 1) (Fuzzi, 2009).

Le particelle spesso non sono sferiche. Tuttavia i loro diametri sono spesso descritti da un diametro “equivalente” (cioè quello che avrebbe una sfera di densità 1 g cm-3 con lo stesso comportamento fisico). Il diametro aerodinamico è importante per il trasporto, l’accumulo, la deposizione nel tratto respiratorio delle particelle e dipende dalla densità della particella stessa. Particelle con stessa dimensione fisica e forma ma con diversa densità avranno diametri aerodinamici differenti (EPA, 2004).

Figura 1 – Diminuzione dell’aspettativa di vita nei paesi europei dovuta all’esposizione al particolato

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1.3 La composizione chimica di base del

particolato

Il particolato atmosferico è costituito da molti composti inorganici ed organici. Tuttavia, la maggior parte della massa del particolato è costituita da componenti principali, cioè elementi che sono presenti per più dell’1% della massa totale. Questi componenti principali, uniti agli elementi in tracce, ossia quelli presenti per meno dell’1%, costituiscono il particolato. La composizione chimica di base, “bulk”, fa riferimento alle abbondanze relative dei maggiori componenti. I campioni di aria delle aree urbane di tutto il mondo mostrano che i componenti maggiori sono gli stessi, solo in proporzioni diverse a seconda dei siti di campionamento. Questi sono:

 Solfato

La principale fonte antropogenica dello zolfo è dato dall’impiego dei combustibili ed è attribuibile al riscaldamento, ai processi di combustione industriale e al trasporto su strada. Queste emissioni sono per lo più sotto forma di SO2 che subisce in seguito reazioni che originano il particolato secondario. In forma minore, lo zolfo deriva anche da fonti naturali, come emissioni vulcaniche e ossidazione atmosferiche di specie ridotte dello zolfo. Una volta che SO2 è stato emesso, viene ossidato a SO42- da reazioni in fase omogenea (gassosa) ed eterogenea (acquosa o di aerosol). Il solfato deriva quindi dall’ossidazione dell’SO2 che avviene in atmosfera; poiché questa ossidazione è particolarmente lenta, i gradienti spaziali di solfato in una scala di una decina di chilometri sono molto piccoli, nell’ordine di centinaia di chilometri sono significativi, a livello continentale sono molto grandi. Ci può essere però un piccolo incremento di solfato a livello locale.

 Nitrato

La formazione di nitrato in atmosfera deriva da autoveicoli e dall’uso di combustibili in impianti per il riscaldamento e nell’industria. Da questi, l’azoto è emesso come NO e NO2. Questi ossidi possono contribuire alla formazione del particolato secondario trasformandosi in NO3-. La formazione dell’acido nitrico derivante dagli ossidi di azoto è il meccanismo principale per la formazione di nitrato in fase particolata. Una gran parte, sotto forma di nitrato di ammonio, è in equilibrio in atmosfera con i suoi precursori gassosi: ammoniaca e acido nitrico in fase vapore. In molti contesti ambientali è però dominante il solfato di ammonio.

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 Ammonio

NH3 deriva da fonti sia antropiche che naturali: da denitrificazione naturale, da processi ad opera di microrganismi del suolo, da allevamenti zootecnici e da attività sia agricole sia produttive. È un composto rilevante nella formazione e neutralizzazione degli aerosol di nitrato e solfato. Quando si forma inizialmente in atmosfera, nitrato e solfato si ritrovano sotto forma di acido nitrico e acido solforico. Questi vengono progressivamente neutralizzati dall’ammoniaca presente in atmosfera portando alla formazione di sali di ammonio.

 Cloruro

La fonte principale di cloruro è data dallo spray marino, anche in luoghi che distano centinaia di chilometri dalla costa e, durante i mesi invernali, dal sale (NaCl e CaCl2) che viene sparso nelle strade per evitare la formazione del ghiaccio. I cloruri si possono ritrovare anche nelle particelle atmosferiche come conseguenza della neutralizzazione tra ammoniaca e acido cloridrico in fase vapore. Quest’ultimo viene emesso da sorgenti come centrali elettriche e inceneritori.

 Carbonio elementare ed organico

Entrambe queste forme di carbonio derivano da processi di combustione, principalmente dai veicoli.

 Materiale crostale

Polveri del terreno e minerali derivanti da rocce, sono tipiche componenti del materiale crostale. Si diversificano nella composizione, riflettendo la geologia locale e le condizioni della superficie. Le relative concentrazioni dipendono dal clima e dai processi che li sospendono in atmosfera e tendono ad essere favorite dalla presenza di superfici bagnate e venti forti.

 Materiale biologico

Molti studi hanno classificato separatamente il materiale biologico che include piccoli organismi come batteri, spore, pollini, frammenti e materiale cellulosico di piante. Con l’eccezione di molti virus, il materiale biologico è generalmente di grandi dimensioni e in numerosi studi è stato identificato come carbonio organico piuttosto che separatamente come materiale biologico (Matthias-Maser and Jaenicke, 1994; Harrison and Yin, 2000; ARPAV, 2013).

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1.4 Reazioni che avvengono in atmosfera

La troposfera è quella parte dell’atmosfera terrestre in cui i composti chimici derivanti dall’attività umana vengono generalmente emessi. Ossidi di azoto, Composti Organici Volatili (VOCs) e, composti dello zolfo portano ad una serie complessa di trasformazioni chimiche e fisiche che concorrono alla:

 formazione dell’ozono in aree urbane, regionali e nella troposfera dell’intero pianeta;  deposizione acida;

 formazione di particolato secondario attraverso la ripartizione gas/particella (Atkinson, 2000).

L’ozono si forma per via fotochimica dalla fotolisi di NO2 (Fig. 2A) e tramite l’interazione tra NO2 e VOC (Fig. 2B):

Figura 2 – Schema delle reazioni che portano alla formazione di ozono. (Immagine tratta da Atkinson, 2000).

Le reazioni che principalmente avvengono in atmosfera sono:

a) Formazione dell’ozono attraverso la fotolisi di NO2: NO2 + hν → NO + O(3P) (con λ ≤ 420 nm) O(3P) + O2 + M → O3 + M (con M = air) Poiché O3 reagisce rapidamente con NO

NO + O3 → NO2 + O2

In queste tre reazioni, NO, NO2 e O3 si trovano in equilibrio fotochimico, perciò non vi è nessuna produzione netta di O3 come è mostrato nella figura 2A.

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b) Formazione dell’ozono in presenza di VOC:

la reazione di degradazione dei VOC porta alla formazione di radicali intermedi RȮ2 e HO2. Questi reagiscono con NO portando alla conversione di NO in NO2:

HO2 + NO → •OH + NO2 RȮ2 + NO → RȮ + NO2

Questi processi comportano invece una produzione netta di ozono (Fig. 2B).

c) Formazione del radicale ossidrile in troposfera “pulita” partendo dalla distruzione dell’ozono: O3 + hν → O2 + O(1D) (con λ ≤ 335 nm)

O(1D) + M → O(3P) + M (con M = N2, O2) O(3P) + M + O2 → O3 + M (con M = air) O(1D) + H2O → 2•OH

La fotolisi di O3 in presenza di vapore acqueo è la maggiore sorgente di radicali •OH in troposfera, specialmente nella sua parte bassa dove il rapporto di miscelazione del vapore è alto.

d) Produzione di radicali •OH dai VOC: •OH + RCH3 → H2O +•RCH2 •RCH2 + O2 → •RCH2OO

•RCH2OO + NO → •RCH2O + NO2 •RCH2O + O2 → •RCHO + •HO2

e) Formazione di NO2 e •OH:

HO2 + NO → •OH + NO2

f) Formazione di perossido di idrogeno: •HO2 + •HO2 → H2O2 + O2

g) Formazione di nitrato:

•OH + NO2 + M→ M + HONO2 HONO2 + NH3 →NH4NO3 (s)

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h) Formazione di solfato:

SO2 (aq) + H2O → HSO3- (aq) + H+ HSO3- (aq) + H2O → SO32- (aq) + H3O+

SO32- (o HSO3-) (aq) + O3 (o H2O2) (aq) →SO42- (o HSO4-) (aq) + O2

SO42- (o HSO4-) (aq) + NH3 → (NH4)2SO4 (o NH4HSO4) (s) (Atkinson, 2000; Fosco and Schmeling, 2006).

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1.5 Aerosol Inorganico Secondario

La formazione dell’aerosol secondario, in combinazione con il particolato sospeso di origine primaria, è stata recentemente riconosciuta come causa dominante per l’inquinamento atmosferico delle grandi città (Ram and Sarin, 2011). Le specie dominanti nell’aerosol secondario inorganico sono i sali di solfato e nitrato d’ammonio (Ansari and Pandis, 1998). I sali inorganici, solfato d’ammonio e nitrato d’ammonio inclusi, rappresentano la maggioranza del PM secondario e spesso dal maggioranza della massa del PM stesso (Pavlovic et al., 2006). La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico (Fig. 3) è importante per la valutazione dei cambiamenti climatici a livello globale, per la salute umana, per questioni relative ai materiali e per gli ecosistemi. Inoltre tale caratterizzazione è necessaria per avere una migliore comprensione dei processi chimici atmosferici. Molti costituenti chimici del PM sono usati come traccianti e/o precursori del particolato come gas acidi e basici e i loro ioni corrispondenti. Essi possono essere buoni indicatori degli inquinanti del particolato inorganico secondario principalmente associati a cationi crostali (Na+, K+, NH4+, Mg2+ and Ca2+) (Dominigos et al., 2012). Le concentrazioni di aerosol inorganico, insieme con l’umidità relativa ambientale, determinano il contenuto acqueo nell’aerosol che, a sua volta, è una significativa porzione della massa totale dell’aerosol in condizioni di alta umidità relativa. La massa restante è costituita da composti organici primari e secondari condensati, nonché da carbonio elementare primario (Wexler and Seinfeld, 1991). La combustione dei combustibili fossili produce composti azotati e solforati in atmosfera, in particolare NO, NO2 e SO2 che possono a loro volta reagire, in base alle condizioni climatiche, dando NO3- e SO42-. L’ammoniaca deriva da emissioni industriali e può formare ammonio particolato, ma è più comunemente emessa dalle attività naturali e agricole. Queste particelle e gas sono precursori di deposizioni acide e possono portare ad acidificazione ed eutrofizzazione di ecosistemi acquatici e terrestri e problemi nel pH dei suoli (Giroux et al., 1997, Proemse et al., 2012). Nel 1970, l’acidificazione era causata principalmente da composti solforosi. Essa può tuttavia essere causata anche da composti azotati che, oltre all’acidificazione, comportano eutrofizzazione. I cationi possono contrastare l’acidificazione e l’emissione di questi è diminuita dal 1970. L’emissione di parecchi inquinanti solforati e azotati è diminuita in Europa negli ultimi 10 anni; ad esempio in Svezia, le emissioni di ammoniaca sono diminuite del 20,6%. Negli altri paesi la riduzione è stata più o meno simile (Ferm and Hellsten, 2012).

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Figura 3 – Relazione tra sorgenti, composti, problemi ambientali e recettori. (Immagine tratta da Erisman et al., 2003).

L’EEA (European Environment Agency) ha pubblicato le quantità emesse dalle diverse attività umane dei gas precursori (NOx, SO2 e NH3) per l’anno 2009. Dalla Figura 4, risulta che la maggiore fonte di NOx è rappresentata dal traffico (38,4%), seguito da industrie energetiche (21,7%); l’SO2 è maggiormente prodotto dalle industrie energetiche (67%), seguito da altri processi produttivi e relativi all’edilizia (13,6%); l’agricoltura invece rappresenta la maggior sorgente di NH3 (93,9%), seguito dalle attività di smaltimento dei rifiuti (2,2%).

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Figura 4 – Contributi delle diverse sorgenti europee nel 2009 per i gas precursori (immagine tratta da http://www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/contribution-of-different-sectors-energy-5).

1.5.1 Formazione dell’acido nitrico

La combustione di combustibili fossili e l’uso sia di fertilizzanti minerali che di concimi animali, sono le maggiori sorgenti di azoto reattivo. Questo implica una serie di effetti dati dall’azoto, il

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quale viene trasformato e trasportato nei diversi ambienti. Emissioni in atmosfera hanno ripercussioni a livello di salute umana, visibilità, danneggiamenti alle colture, acidificazione ed eutrofizzazione a livello regionale e riscaldamento globale, mentre rilasci nel suolo provocano eutrofizzazione di acque dolci e zone costiere.

In atmosfera, le emissioni di composti azotati si ritrovano sotto forma di:

 NOx;

 NH3;

 N2O;

 Produzione di N in atmosfera contenente aerosol, acidi e PAN (Perossi-Acetil-Nitrati). L’azoto che si ritrova nei carburanti e l’azoto molecolare dell'aria di combustione vengono ossidati prima in NO, che successivamente reagisce con l’ozono per produrre NO2. Pertanto le fonti principali sono i trasporti, la produzione industriale ed energetica (Erisman et al., 2003).

L’ossidazione di NO2 a HNO3 si verifica principalmente in fase gassosa tramite la reazione con il

radicale ossidrile o tramite la reazione con O3 (Chang and Lee, 2007; Nicolás et al., 2009). Il

meccanismo meglio descritto in fase gassosa è quello che avviene sotto determinate condizioni climatiche in ogni momento del giorno e della notte, in cui l’acido nitrico o il radicale nitrato vengono formati tramite l’azione di diversi ossidanti e radicali OH (Giroux et al., 1997). L’acido nitrico ha un’elevata velocità di deposizione secca ma i suoi precursori possono essere trasportati anche a distanze molto elevate (Ferm and Hellsten, 2012).

Le reazioni che portano alla formazione di HNO3 si possono riassumere nel modo seguente (Fig. 5): • durante il giorno :

NO2 (g) + OH(g) → HNO3(g) • durante la notte:

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Figura 5 – Reazioni per la formazione di HNO3 (Immagine tratta da Atkinson, 2000).

Questa reazione ha poco effetto durante il giorno perché la reazione di fotolisi del radicale nitrato torna sotto forma di NO2 molto velocemente e il suo tasso di fotolisi è circa dieci volte quello di NO2 nella troposfera. Durante la notte, il radicale nitrato si accumula mentre il NO2 continua a reagire con O3. Il radicale nitrato reagisce con il NO2 per produrre N2O5 in una reazione di equilibrio:

2. NO2(g) + NO3(g) ↔ N2O5(g)

La reazione in fase gassosa di N2O5 con l’acqua è trascurabile perché la sua velocità è molto bassa, ma reagisce con l'acqua liquida presente sulle particelle di aerosol, nebbia o goccioline d'acqua nelle nuvole per la produzione di acido nitrico (Stockwell et al., 2003):

3. N2O5(g) + H2O(s) → 2HNO3(s)

Il nitrato che si forma tramite la reazione 1, è un componente dominante della massa del particolato fine nell’Europa occidentale e centrale. In estate, le concentrazioni di nitrato sono considerevolmente più basse che in inverno. Questo è dovuto all’evaporazione del nitrato di ammonio semivolatile che dipende dalle condizioni ambientali come umidità relativa e temperatura. Infatti vi è una maggiore perdita per evaporazione in estate e il motivo è che questa tendenza alla volatilizzazione aumenta fortemente con la temperatura. Quindi a causa delle alte temperature, che generalmente si raggiungono durante il giorno, tale reazione può avvenire solamente nelle ore notturne (Shaap et al., 2004). La velocità della conversione di ossidi di azoto a nitrato, influisce sulla formazione dell’ozono e sul destino ultimo degli ossidi di azoto nell'atmosfera. La durata di ossidi di azoto nella troposfera varia da meno di un giorno in estate alle medie latitudini fino a diversi giorni in assenza di fenomeni fotochimici attivi. L'attuale velocità di rimozione degli NOx dipende dall’attività fotochimica e varia di giorno in giorno (Khoder, 2002).

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1.5.2 Formazione dell’acido solforico

La combustione di combustibili fossili come il carbone o l’olio combustibile è ancora un’importante fonte di emissioni di SO2 in molti paesi. Un certo numero di indagini sull'impatto dei plume e sulla formazione di solfato da precursori gassosi sono stati effettuati a partire dal 1970. Una volta in aria, l’ossidazione di SO2 è seguita da nucleazioni binarie H2SO4–H2O o ternarie H2SO4–H2O–NH3 e porta alla formazione di materiale particolato <1 µm (Alastuey et al., 2004). L’ossidazione atmosferica di SO2 può avvenire sia in fase omogenea, sia in fase eterogenea e il tasso di ossidazione aumenta all’aumentare dell’umidità relativa per la produzione di •OH e per la presenza di basi come NH3 e CaO. Una grande frazione di SO2 è convertita tramite una reazione eterogenea: SO2 + H2O → H2SO3 e il solfito viene ossidato direttamente attraverso le reazioni con l’O3 e H2O2 o tramite metalli catalitici. SO2 può anche essere ossidato direttamente a H2SO4 mediante la reazione con il radicale OH o H2O2. SO2 è ossidata a H2SO4 da reazioni omogenee in fase gassosa seguite dalla condensazione di H2SO4 sia su materiale particolato preesistente, sia in nuove particelle caratterizzate da parziale neutralizzazione da parte di NH3. Il biossido di zolfo viene ossidato a solfato e la velocità di ossidazione determina il suo tempo di vita in atmosfera.

Riassumendo, l’ossidazione di biossido di zolfo e biossido di azoto e la loro conversione a solfati e nitrati gassosi e particolati, sono caratteristiche importanti della fotochimica dell'aria urbana. I meccanismi e le velocità di conversione per la formazione di solfati e nitrati nell'atmosfera sono di notevole interesse. Ciò perché la velocità di conversione è un fattore importante per il controllo di queste specie (Khoder, 2002).

1.5.3 Distribuzione dimensionale

I maggiori costituenti inorganici submicrometrici dell’aerosol sono i composti secondari come solfato, nitrato e ammonio. È stato dimostrato che la distribuzione dimensionale del particolato inorganico secondario è descritta da tre mode (Fig. 6), con due mode nell’intervallo al di sotto di 2 µm. La più piccola moda, con il diametro aerodinamico a circa 0,2 µm, è detta moda di condensazione. Essa contiene i prodotti di reazione in fase gassosa formatisi attraverso processi di

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condensazione dei vapori caldi di combustione e tramite processi di nucleazione in atmosfera. La moda più grande, con un picco a circa 0,7 µm, è chiamata droplet mode, in cui la presenza di nebbia e goccioline di nuvole gioca un ruolo importante nei processi che portano alla formazione di questa moda.

Mentre solfato e ammonio si ritrovano nella moda delle particelle fini, il nitrato lo si può trovare sia nella moda delle particelle fini che grossolane (3-5 µm). Questa distribuzione dimensionale è fortemente dipendente dalle condizioni meteo e dalla località (Zhuang et al., 1999).

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In un recente studio, Alastuey et al., 2004 hanno dimostrato che circa il 60% del solfato è presente nella frazione inferiore a 1,5 µm, prevalentemente come solfato d’ammonio. Una frazione maggiore del 95% di solfato d’ammonio è stato trovato nella frazione inferiore a 0,7 µm. La frazione più grossolana di solfato si presenta come solfato di calcio e sodio. Questa segregazione del solfato avviene tramite due differenti meccanismi di formazione:

 il solfato d’ammonio è formato da processi di nucleazione e condensazione;

 il solfato di calcio (CaSO4) e solfato di sodio (Na2SO4) sono dati da reazioni tra H2SO4 con la superficie delle particelle grossolane rispettivamente di CaCO3 e NaCl (Alastuey et al., 2004).

È stato inoltre riscontrato che circa il 90% del nitrato è presente nella frazione maggiore di 1,5 µm. Questo fatto è ascritto dalla reazione con particelle grossolane di CaCO3 per formare Ca(NO3)2 o con particelle grossolane di NaCl per formare NaNO3. NaNO3 è concentrato nel range 0,7-6,0 µm, mentre Ca(NO3)2 nel range maggiore di 6 µm (Alastuey et al., 2004).

Particelle grossolane di nitrato sono state osservate per lo più nelle aree costiere. John et al. (1990) ha riscontrato che la distribuzione dominante del nitrato cambia dalla moda grossolana alla moda fine quando il campionamento si sposta da una zona costiera ad una dell’entroterra. Il nitrato nella moda fine si presentava come nitrato d’ammonio, nella moda grossolana come nitrato sodio. Il nitrato d’ammonio ha una elevata volatilità e pertanto può facilmente dissociarsi in acido nitrico in fase gas e ammoniaca in condizioni di bassa umidità e temperatura elevata. Se è presente un’alta concentrazione di sale marino, l’acido nitrico reagisce con il cloruro di sodio andando a formare il nitrato di sodio nella moda grossolana (Zhuang et al., 1999).

1.5.4 Ammoniaca e formazione di nitrato e solfato d’ammonio

L’ammoniaca (NH3) è il gas alcalino che ha il maggior ruolo nelle reazioni atmosferiche coinvolgendo specie acide (ad esempio acido solforico (H2SO4)) e portando alla formazione del materiale particolato secondario di diametro aerodinamico minore di 2,5 µm (PM2.5) (Behera and Sharma, 2011). L’ammoniaca (Fig. 7) viene emessa in atmosfera naturalmente da oceani, da letame animale o da materiale vegetale in decomposizione. Tuttavia molte delle emissioni a livello

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europeo sono di tipo antropico, in primis concime animale e fertilizzanti. Altre fonti sono fertilizzanti, combustione di carbone, discariche, attività domestica (Erisman et al., 2003).

Figura 7 – Differenti sorgenti ed effetti dell’azoto nell’ambiente e la loro relazione. (Immagine tratta da Erisman et al., 2003).

I composti acidi reagiscono con l’ammoniaca formando una moda di accumulazione di particelle che hanno un basso tasso di deposizione secca. È probabile che le concentrazioni di ammoniaca e ammonio in atmosfera dipendano dalle concentrazioni dei composti acidi (Ferm and Hellsten, 2012).

I processi di conversione gas-particella producono sali di ammonio con nitrati, solfati e cloruri che contano per la maggior parte della composizione del PM2.5 secondario (Behera and Sharma, 2011). La formazione di questi sali tramite reazione di neutralizzazione, produce aerosol atmosferici nel range del sub-micron (Baek et al., 2004) e dipende dalle concentrazioni di NH3 e di gas acidi precursori (NO2) e (SO2), da temperatura, umidità relativa, radiazione solare e altezza di miscelazione dello strato limite (Behera and Sharma, 2011). Se NH3 viene assorbito nell’aerosol, aumenta il pH di questo che aumenta a sua volta il tasso di ossidazione dell’SO2 disciolto dall’O3 per formare H2SO4. Alte concentrazioni di NH3 sono anche importanti per la formazione del NH4NO3 sebbene l’affinità dell’H2SO4 per NH3 sia maggiore di quella dell’HNO3.

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NH3 (g) + HNO3 (g) ↔ NH4+ (acq) + NO3- (acq)

NH3 (g) + HNO3 (g) ↔ NH4NO3 (s) (Stockwell et al., 2003).

Quindi NH3 è prima utilizzato per formare bisolfato di ammonio NH4HSO4 o solfato di ammonio (NH4)2SO4 poiché è la reazione chimica maggiormente favorita in atmosfera, tuttavia, in mancanza di NH3 e in abbondanza di polveri minerali e spray marino, H2SO4 può reagire con queste particelle portando alla formazione rispettivamente di CaSO4 o Na2SO4 nel particolato grossolano. (Barthelmie and Pryor, 1998; Alastuey et al., 2004; Baek et al., 2004). L’eccesso di ammoniaca induce quindi la formazione di nitrato di ammonio (Ferm and Hellsten, 2012). Il solfato è stabile una volta formato, ma le particelle di NH4NO3 hanno bassa stabilità e possono volatilizzare e riformare HNO3 e NH3 se cambiano le condizioni ambientali. Inoltre l’incorporazione di NH3 negli aerosol acidi (contenenti H2SO4 e HNO3):

 Migliora la diffusione della luce grazie alla produzione di NH4HSO4, (NH4)2SO4 e NH4NO3;

 Porta ad un complesso comportamento igroscopico dell’aerosol di SO42-. H2SO4 assorbe e rilascia l’acqua più facilmente con il cambiamento dell’umidità relativa rispetto a (NH4)2SO4. Poiché la diffusione della luce è massimizzata quando il diametro dell’aerosol è vicino alla lunghezza d'onda della luce incidente, anche questo ha implicazioni sull’efficienza della diffusione della luce da parte dell’aerosol e quindi riduzione della visibilità (Barthelmie and Pryor, 1998).

La caratterizzazione chimico-fisica del PM circa le fonti di emissione dei precursori gassosi dei composti secondari è necessaria per monitorare la qualità dell’aria. In Europa gran parte della massa del solfato di ammonio e nitrato di ammonio si osserva nella frazione del PM2.5 (Alastuey et al., 2004).

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1.5 Legislazione

Secondo la Direttiva 2008/50/CE, il PM2,5 viene definito come: “il materiale particolato che penetra

attraverso un ingresso dimensionale selettivo conforme al metodo di riferimento per il campionamento e la misurazione del PM2,5 norma EN 14907 con un’efficienza di penetrazione del

50 % per materiale particolato di un diametro aerodinamico di 2,5 μm”.1

La Direttiva prevede che, entro il 1° gennaio 2015, gli Stati membri debbano ridurre le emissioni per arrivare ad un valore annuale limite di PM2,5 di 25 μg m¯3, che dovrà poi essere ridotto ulteriormente a 20 μg m¯3 entro il 1° gennaio 2020.

Viene inoltre accennato nell’allegato IV alla necessità di considerare alcuni ioni presenti nel PM2,5, in particolare:  SO42–  Na+  NH4+  Ca2+  NO3-  K+  Cl–  Mg2+

Non viene però fornita alcuna procedura analitica ufficiale per la loro determinazione né eventuali limiti da osservare.

La Direttiva 2008/50/CE è stata recepita in Italia con il D.Lgs 155/2010 e istituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell'aria ambiente finalizzato a:

 individuare obiettivi di qualità dell'aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso;

 valutare la qualità dell'aria ambiente sulla base di metodi e criteri comuni su tutto il territorio nazionale;

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 ottenere informazioni sulla qualità dell'aria ambiente come base per individuare le misure da adottare per contrastare l'inquinamento e gli effetti nocivi dell'inquinamento sulla salute umana e sull'ambiente e per monitorare le tendenze a lungo termine, nonché i miglioramenti dovuti alle misure adottate;

 mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi;  garantire al pubblico le informazioni sulla qualità dell'aria ambiente;

 realizzare una migliore cooperazione tra gli Stati dell'Unione europea in materia di inquinamento atmosferico2.

Sia nella Direttiva che nel Decreto Legislativo si fa però riferimento ai valori limite per NOx (Allegato XIII), NO2 e SO2 (Allegato XI), per l’O3 (Allegato VII) (Tab. 1):

Tabella 1 – Valori limite dei gas precursori.

NOx NO2 SO2 O3 Valore limite annuale per la protezione della vegetazione: 30 µg m-3 Valore limite in un anno: 40 µg m-3

Valore limite al giorno: 125 µg m-3

Valore limite come media al massimo 8

ore: 120 µg m-3

Nell’allegato XIV del Decreto e della Direttiva 2008/50/CE si fa riferimento all’Indicatore di Esposizione Media (IEM), espresso in μg m¯3. Esso si basa sulla concentrazione media annua su tre anni civili: ad esempio l’IEM per l’anno 2015 sarà dato dalla concentrazione media degli anni 2013, 2014, 2015 ricavata dalla media dei risultati delle misurazioni effettuate nelle varie stazioni. Tutto questo è finalizzato a ridurre l’esposizione per il PM2,5.

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1.6 Scopo della tesi

La qualità dell’aria è oggetto di vari studi da molti anni. La caratterizzazione chimica del particolato atmosferico costituisce una parte importante nella determinazione della qualità dell’aria non solo a livello locale ma anche a scala regionale.

Questo lavoro si inserisce all’interno di un progetto più ampio svolto in collaborazione con l’Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (ARPAV). Il progetto mira allo studio della caratterizzazione chimica del particolato atmosferico a livello regionale tramite l’analisi di filtri in fibra di quarzo al fine di definire qualitativamente e quantitativamente i contributi delle diverse componenti; nello specifico, le analisi che sono state effettuate nell’intero progetto sono state relative alla componente ionica, agli idrocarburi policiclici aromatici e levoglucosano, carbonio organico ed elementare e metalli.

Questa tesi è focalizzata sullo studio dell’andamento del PM2,5 e sulla determinazione degli ioni (F-, Cl-, NO3-, SO42-, PO43-, Na+, K+, NH4+, Ca2+ e Mg2+) che costituiscono il Secondary Inorganic Aerosol (SIA). Sono state selezionate sei stazioni di campionamento sull’intero territorio veneto: Belluno città, Vicenza – Quartiere Italia, Padova - Mandria, Rovigo centro, Conegliano e Mestre – Parco Bissuola. La campagna di campionamento è stata condotta nel periodo 1 aprile 2012 – 31 marzo 2013 in collaborazione con ARPAV. All’interno del periodo sono stati analizzati campioni di 10 giorni consecutivi per i mesi più rappresentativi delle quattro stagioni: aprile 2012, giugno 2012, agosto 2012, ottobre 2012, dicembre 2012, febbraio 2013, per un totale di 360 campioni. Il PM2,5 è stato determinato tramite analisi gravimetrica, gli ioni tramite solubilizzazione con acqua ultra pura in bagno ad ultrasuoni seguita da analisi in cromatografia ionica. Lo scopo di questo lavoro è di studiare a scala regionale la composizione e le trasformazioni chimiche della frazione ionica del particolato aerodisperso mettendole in relazione con i parametri meteorologici ed i percorsi delle masse d’aria.

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2 AREA DI STUDIO

In Europa, uomini e ambiente sono esposti ad una miscela di molti inquinanti emessi da diverse sorgenti e sono soggetti a processi atmosferici che possono dar vita a loro volta a nuovi inquinanti. Nonostante gli esiti positivi nella legislazione e nella riduzione delle emissioni, l’aria che si respira nel continente europeo risulta essere ancora pericolosa per le sostanze che vi si ritrovano (EEA, 2012). Come si può notare dalla figura 8, le concentrazioni annuali di PM2.5 nel 2010 sono rilevanti nell’Europa centrale e si osserva una elevata concentrazione nella Pianura Padana, in particolare in Veneto e Lombardia.

Figura 8 – Concentrazione media annuale per il PM2.5 nel 2010. (Immagine tratta da EEA, 2012).

La Pianura Padana, con i sui 19 milioni di abitanti, è una delle aree europee più popolate. Gli inverni sono caratterizzati da lunghi periodi di basse temperature, brezze molto deboli (< 0,2 m s-1) e inversioni termiche delle masse d’aria in prossimità del terreno. Queste condizioni ostacolano notevolmente la dispersione degli inquinanti atmosferici e rendono l'inverno il periodo di gran lunga più inquinato dell'anno (Larsen et al., 2012). Inoltre, poiché i venti prevalenti sono smorzati

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dalle Alpi e dalla conformazione geografica della Pianura Padana stessa, è ridotta la diluizione degli inquinanti e le loro concentrazioni aumentano poiché essi vengono intrappolati negli strati bassi dell’atmosfera. Queste condizioni rendono questa valle una delle peggiori zone al mondo per quanto riguarda l’inquinamento atmosferico, con un gran numero di giorni durante i quali gli standard di qualità dell’aria vengono superati ed alcuni di questi vengono riconosciuti come episodi di forte inquinamento (Traversi et al., 2008; Fattore et al., 2011).

L’area di studio è la regione Veneto, essa è situata nel nord-est dell’Italia e si estende per circa 18,4 ·103 Km2. L’estensione massima è di circa 210 Km lungo l’asse nord-sud mentre la minima è di circa 195 Km lungo l’asse est-ovest. Il Veneto è una regione che presenta tutti i diversi tipi di ambiente: si passa infatti dall’ambiente alpino che occupa circa il 29% del territorio (con la cima della Marmolada che raggiunge i 3343 m s.l.m.) all’ambiente di pianura (fino a 0 m s.l.m. con Venezia) passando per l’ambiente collinare che invece rappresenta il 15% del territorio. La pianura occupa il circa il 56% del territorio regionale ed ospita il 76,6% della popolazione, con un’alta densità di industrie e un’intensa attività agricola. Le principali aree industriali sono situate nei dintorni di Mestre-Venezia, Padova, Vicenza e Verona; tuttavia, in gran parte della pianura, è presente una distribuzione diffusa di piccole industrie (Nimis et al., 2000).

Tutti gli studi che sono stati condotti fino ad ora in Veneto sono di tipo puntuale, cioè sono stati considerati singolarmente i diversi hot spots presenti sul territorio. Tra questi ad esempio gli studi di Prodi et al., 2009; Squizzato et al, 2012; Giorio et al., 2013. Solo recentemente, con lo studio di Masiol et al., 2013, si è iniziato a pensare alla necessità di valutare una scala spaziale più ampia. Con questo obiettivo è nato questo studio che è stato condotto considerando sei stazioni distribuite sul territorio veneto. In particolare, le stazioni considerate sono le suguenti (Tab. 2 e Fig. 9):

Tabella 2 – Caratteristiche delle stazioni di campionamento.

Municipalità Sito Categorizzazione Longitudine Latitudine Alt (m) Caratteristiche del sito

Belluno Città urban background 12,21772 46,1426 401

Area residenziale - commerciale e parco

pubblico Conegliano Conegliano urban background 12,30704 45,8897 72 Area residenziale

Vicenza Quartiere Italia urban background 11,53863 45,5597 36 Area residenziale Padova Mandria urban background 11,84089 45,3709 13 Area residenziale

Mestre Parco Bissuola urban background 12,26121 45,4982 1 Area residenziale e parco pubblico

Rovigo Centro traffic 11,78246 45,0739 7

Area residenziale - commerciale e bordo

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Figura 9 – Area di studio.

La caratterizzazione delle stazioni viene effettuata sulla base del D.M. 60/2000 e del documento tecnico EEA (“Criteria for Euroairnet” 1999) dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e dal Ministero della Sanità. In questo modo viene garantita la rappresentatività dei livelli di PM in tutto il territorio3.

La tipologia delle stazioni individuate con questa classificazione sono:

 Hot spot: caratterizzate da situazioni di traffico in punti vicino alle sorgenti di emissione;  Background: stazioni di fondo;

 Industriali.

In questo studio, le stazioni sono tutte classificate come background urbano ad eccezione di Rovigo che viene definita stazione di traffico.

3 Art. 18 del D.M. 60/2002. Conegliano Belluno Mestre Vicenza Padova Rovigo

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La localizzazione della stazione di campionamento nella città di Belluno (Fig. 10) si trova in un’area urbana intensamente abitata, in prossimità sia della stazione ferroviaria della città sia della Strada Statale 50, arteria molto trafficata in quanto via di collegamento tra la città e Ponte nelle Alpi.

Figura 10 – Stazione di campionamento a Belluno. (Immagine tratta da Google Earth).

La stazione di Conegliano è situata all’interno di un’area residenziale a pochissima distanza dall’area ferroviaria. Inoltre si trova a pochi chilometri dall’autostrada A27 e dalle strade provinciali 13 e 15 (Fig. 11).

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Anche a Vicenza, la stazione è situata all’interno dell’area residenziale ed è per lo più soggetta a traffico veicolare (Fig. 12).

Figura 12 – Stazione di campionamento di Vicenza. (Immagine tratta da Google Earth).

A Padova, la stazione è situata nella zona residenziale Mandria, ed è soggetta a traffico veicolare in quando prossima alla Strada Provinciale 2, alla Strada Statale 16 e alla Strada Regionale 47 (Fig. 13).

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La stazione di Mestre è situata nel parco pubblico della città e la fonte prevalente di inquinamento è dovuta principalmente alla vicina via Martiri della Libertà (SS14bis), arteria molto trafficata in quando anello di collegamento con la vicina tangenziale (Fig. 14).

Figura 14 – Stazione di campionamento di Mestre. (Immagine tratta da Google Earth).

A Rovigo, la stazione di campionamento si trova in prossimità della linea ferroviaria e di arterie molto trafficate come la Strada Statale 449 e la Strada Provinciale 23 (Fig. 15).

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In sintesi, le stazioni di Belluno, Conegliano e Rovigo sono soggette sia a traffico veicolare sia al traffico su rotaia; quelle di Mestre, Padova e Vicenza solo a traffico veicolare. Poiché inoltre sono tutte in aree urbane, le stazioni risentiranno dell’inquinamento domestico presente nel periodo invernale (da metà ottobre a metà aprile).

2.1 Inquadramento meteorologico

Le informazioni relative all’analisi meteorologica dell’anno 2012 si trovano nel Rapporto Annuale per la Qualità dell’Aria pubblicato da ARPAV. Poiché questo dato è relativo solo al 2012, mancano le informazioni relative ai primi mesi del 2013.

In generale, l’anno 2012 è stato nel complesso meno piovoso rispetto alla media su gran parte della pianura, più prossima alla norma sulle zone montane, anche moderatamente superiore sulle Dolomiti. Il periodo estivo è risultato essere particolarmente asciutto soprattutto in pianura, in particolare dalla seconda metà di giugno, mentre le precipitazioni autunnali, abbondanti specie tra ottobre e novembre sulle zone centro-settentrionali della regione, sono riuscite solo in parte a riequilibrare la situazione di deficit accumulatosi in pianura. Per quanto riguarda l’andamento termico, è stato complessivamente prossimo alla norma.

Considerando esclusivamente i periodi relativi alle analisi, si può riportare che la decina di aprile 2012 (13-22) è stata caratterizzata da tempo variabile e fresco, a tratti instabile/perturbato. I campionamenti relativi a giugno 2012 (16-18/22-28) sono avvenuti in giorni di tempo variabile: dal 15 al 18 il tempo è stato buono ovunque, in particolare nei giorni 17 e 18. Nei giorni successivi, c’è stato sempre bel tempo con clima estivo ed afoso in pianura, ma con un po’ d’instabilità in montagna con isolati temporali. La terza decade del mese è stata assai calda per la presenza di un’area anticiclonica, che ha subito un temporaneo cedimento tra il 24 e il 25, con temporali anche forti in pianura. Dal giorno 26, la presenza di un’alta pressione sull’Europa occidentale ha favorito una fase di tempo estivo, molto caldo ed anche molto afoso su gran parte del territorio. La decina di agosto (17-26) è stata interessata da un’ondata di caldo. Sono stati raggiunti 38/40°C in pianura, 34/36°C nelle conche prealpine e 29/30°C a 1000/1200 m. Questa ondata di caldo ha contribuito in parte alla formazione di brevi ma violenti temporali il giorno 22, soprattutto nella zona montana. La situazione si è mantenuta fino al 25-26, quando si è avuta una fase di instabilità.

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Nella decina di ottobre (12-22), il tempo è stato discreto tra l’11 e il 13, nonostante qualche piovasco sparso. Nelle giornate del 15 e parte del 16 ottobre si sono registrate precipitazioni diffuse e localmente abbondanti in montagna. In seguito a questo episodio si è affermata un’alta pressione di matrice continentale, poi mediterranea che ha consentito una fase di tempo bello con temperature ben al di sopra delle medie stagionali (lo zero termico è salito oltre i 4300 m tra il 19 e il 21 ottobre).

I primi giorni della decina considerata di dicembre (12-22) sono stati caratterizzati dalla presenza di masse d’aria fredde e secche di origine artica che hanno favorito condizioni di tempo stabile con ottima visibilità sia in pianura che in montagna e valori termici inferiori alle medie stagionali. Dal giorno 14 il cuscinetto di aria fredda presente al suolo è stato gradualmente sostituito da aria mite ed umida a causa dell’arrivo di alcuni impulsi perturbati di origine atlantica. Tra i giorni 14 e 15, tutta la regione è stata interessata da precipitazioni, anche consistenti su pianura settentrionale e prealpi, con delle nevicate inizialmente anche in pianura e nelle valli prealpine. Il transito di una modesta perturbazione che ha portato delle deboli precipitazioni sparse si è avuto nel giorno 21 (ARPAV, 2013).

I parametri meteorologici sono importanti per l’influenza che giocano sul trasporto e sulla conseguente composizione del PM2,5. A tale scopo, è utile la considerazione del trasporto a lunga distanza e i contributi locali che si ottengono mediante l’uso rispettivamente delle back

trajectories e delle rose dei venti.

ARPAV, più precisamente il Centro Meteorologico - Ufficio Validazione Dati e Climatologia di Teolo, ha fornito i dati meteo che sono stati utilizzati per realizzare le rose dei venti attraverso il programma WRPLOT.

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3 MATERIALI E METODI

Tra le stazioni di campionamento di ARPAV, si è cercato di scegliere quelle più rappresentative per coprire al meglio il territorio veneto e rappresentare i diversi microambienti. Belluno è stata scelta perché indicativa della situazione che tipicamente si riscontra in una valle alpina; Conegliano perchè è rappresentativa della situazione prealpina; Vicenza, Padova e Rovigo in quanto appartenenti all’ambiente di pianura e Mestre all’ambiente costiero. Queste città sono state inoltre scelte per evidenziare le variazioni stagionali, in particolare per valutare l’importanza relativa dell’inquinamento derivante dall’accensione e dallo spegnimento del riscaldamento domestico. Per motivi economici e di tempo, le stazioni scelte sono state 6 e per ogni stazione sono stati analizzati 60 campioni.

3.1 Materiali utilizzati

Di seguito sono elencati i materiali utilizzati per le analisi degli ioni:

 Strumento per l’analisi: IC Metrohm;

 Sistema di agitazione magnetico con ancorette;

 Filtri circolari: Whatman QMA Ø 47 mm in fibra di quarzo;

 Pipette tarate: in vetro da 10 e 20 mL;

 Bagno a ultrasuoni;

 Provette: 15 mL in Polypropylene Nonpyrogenic. NEST Biotech;

 Siringhe sterili: PIC 20 mL;

 Tavoletta in ceramica;

 Strumento punzonatore;

 Pinze;

 Filtri siringa: acetato di cellulosa 0,45 µm;

 Acido solforico: 54 mM 95÷ 97%;

 Acido nitrico: 3 mM 67÷70%;

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39

 Acqua ulta pura;

 Standard di calibrazione Fluka;

3.2 Campionamento del PM

2.5

Il campionamento del particolato viene effettuato attraverso strumenti in grado di separare le particelle sulla base del principio aerodinamico: le particelle aventi un diametro equivalente inferiore ad un determinato valore vengono raccolte su filtri (Wilson et al., 2002).

Per la raccolta del PM2,5 sono stati usati campionatori a basso volume della ditta “Tecora” per le stazioni di Treviso, Padova, Vicenza, Belluno e Rovigo; e della ditta “Zambelli” per la stazione di Mestre. Gli strumenti campionatori prelevano l’aria nell’arco di tutta la giornata attraverso una testa specifica per il PM2,5.

I filtri utilizzati sono in fibra di quarzo (Whatman QMA Ø 47 mm) e vengono sostituiti automaticamente dallo strumento ogni 24 ore (0 UTC+1 – 24 UTC + 1).

Il principio di funzionamento, comune ad entrambi gli strumenti, prevede che il volume d’aria in entrata incontri una serie di ugelli acceleratori e solo le particelle con diametro uguale o minore di 2,5 μm sono in grado di seguire il flusso ed essere raccolte sul filtro sottostante, quelle con dimensioni maggiori vengono fermate prima.

3.3 Quantificazione del PM

2.5

Prima dell’utilizzo, i filtri vengono posti in una camera termostatata presso il Dipartimento ARPAV di Padova per almeno 48 ore. Qui vengono mantenuti ad una temperatura di 20 ± 1°C con un’umidità relativa di 50 ± 5%. Vengono quindi pesati con una bilancia analitica (Fig. 16) con precisione al centesimo di milligrammo.

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Figura 16 – Strumento per la pesatura dei filtri presso la sede ARPAV di Padova.

Una volta posti nei campionatori, i filtri vengono prelevati in modo costante e continuo.

A campionamento avvenuto, la procedura che permette di quantificare il particolato atmosferico, prevede che i filtri vengano riposti per altre 48 ore nella camera termostatata alle stesse condizioni di temperatura e umidità. Viene effettuata la pesata con la bilancia analitica e la differenza tra peso finale ed iniziale esprime la massa del PM2.5 raccolto.

Durante il periodo di campionamento, vengono raccolti dei “bianchi campo”. Si tratta di filtri che vengono posti nel campionatore ma che non vengono esposti al flusso d’aria. Ciò permette di correggere i valori della massa del PM2.5 e di valutare l’eventuale presenza di contaminazione. Tutti i campioni vengono poi riposti in scatole Petri e conservate in congelatore fino al momento dell’analisi.

Ogni filtro è stato suddiviso in quatto subcampioni ottenuti con una fustella (punch). Due sono di 16 mm di diametro e sono stati utilizzati uno per l’analisi della componente ionica, l’altro per l’analisi di IPA e levoglucosano; il terzo punch di area di 1 cm2 è stato utilizzato per l’analisi di carbonio organico e carbonio elementare; la porzione rimanente è stata riservata all’analisi dei metalli. La suddivisione del filtro in più parti è una tecnica che è stata utilizzata anche in altri studi: Lin, 2002; Hueglin et al., 2005; Zhou et al., 2012; Zhao et al., 2013. A sostegno di quanto riscontrato in letteratura, sono state effettuate prove con 3 punch dello stesso filtro e per più filtri

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e si è verificato che i valori riscontrati nelle analisi effettuate non divergevano se non per la variabilità sperimentale dell'analisi.

3.4 Analisi degli ioni

La procedura di analisi degli ioni prevede diverse fasi che si possono così riassumere:

Preparazione del campione: su ogni filtro è stata effettuata una punzonatura in modo da

ottenere una fustella di 16 mm Ø, cioè l’effettiva porzione di campione che è stata analizzata (Fig. 17).

Solubilizzazione: le porzioni di filtro sono

state solubilizzate in provette con 10 mL di acqua MilliQ in bagno ad ultrasuoni per 50 minuti.

Purificazione: il contenuto di ogni

provetta è stato poi filtrato tramite una siringa sulla quale è stato montato un filtro con una membrana in acetato di cellulosa (0,45 µm di porosità). Il filtrato è stato raccolto in provette monouso che sono poi state caricate negli strumenti per l’analisi.

3.5 Cromatografia ionica

Gli ioni maggiori che sono contenuti nel PM2,5 si trovano sotto forma di sali (NH4)2SO4, NH4NO3, NaCl, KCl, CaCl2, e vengono in genere analizzati mediante cromatografia a scambio ionico. Si tratta di una tecnica che si basa su un equilibrio che si viene a creare tra fase stazionaria e fase mobile. La fase stazionaria è costituita da una colonna in resina polimerica (stirene e vinilbenzene) funzionalizzata da gruppi sostituenti: gruppi solfonici in grado di scambiare H+ per l’analisi dei cationi, ammonio quaternario per l’analisi degli anioni. La fase mobile è invece costituita da una

Figura 17 - Porzione del filtro utilizzata per l’analisi.

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soluzione acquosa contenente composti ionici che conducono la corrente ai quali sono miscelati gli ioni da analizzare: per l’analisi degli anioni si tratta di una soluzione di Na2CO3 (20 mL di carbonato di sodio in 2 L di acqua ultra pura); per i cationi una soluzione di HNO3 (400 µL di acido nitrico in 2 L di acqua ultra pura).

Entrambi gli strumenti utilizzati per le analisi sono della ditta Metrohm e sono entrambi dotati di rivelatori conduttimetrici poiché le specie ioniche producono corrente ed il segnale viene espresso in µS min-1. La rivelazione di una sostanza viene effettuata misurando la variazione di conduttanza della fase mobile dovuta alla presenza delle specie ioniche. Gli ioni vengono quindi identificati sulla base del tempo di ritenzione e quantificati in base al picco della conducibilità.

Gli anioni sono stati analizzati tramite una colonna Metrosep A Supp 7–250/4.0 applicando un flusso isocratico (0,8 mL min–1) di eluente di Na2CO3 360 mM (Sigma-Aldrich, ACS ≥99,8%) (Fig. 18). Tra la colonna e il rivelatore conduttimetrico è presente un soppressore chimico a base di H2SO4 (6 mL di acido solforico in 2 L di acqua ultra pura) che è in grado di sopprimere gli OH del carbonato.

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I cationi sono stati determinati usando una colonna Metrosep C 3–150/4,0 e un flusso isocratico di 1 mL min–1 di HNO3 3 mM ultrapuro (Fluka, TraceSELECT, ≥69%) (Fig. 19). In questo caso, tra colonna e rivelatore non è presente un soppressore poiché la soppressione avviene attraverso la rielaborazione del segnale. Lo strumento è in grado di captare anche variazioni minime di conducibilità.

3.6 Quality Control and Assurance

Insieme ai campioni, sono stati preparati ed analizzati con la stessa procedura anche i “bianchi campo”. Dalla loro analisi è possibile ottenere il “limite di rilevabilità” (LOD), ossia la più piccola quantità o concentrazione di analita nel campione di prova che può essere distinta da 0 (IUPAC, 2002) e che corrisponde a tre volte la deviazione standard (Istituto Superiore di Sanità, 2001). I valori ottenuti sono stati riportati in µg m-3 di aria : 0,1 Na+, 0,02 NH4+, 0,02 K+, 0,09 Mg2+, 0,04 Ca2+, 0,004 F-, 0,2 Cl-, 0,5 NO3-, 0,3 PO43-, 0,6 SO42-. Sono stati utilizzati standard per i singoli ioni per verificare la linearità e calibrare le risposte strumentali. Le analisi sono state controllate utilizzando standard certificati (Fluka,TraceCERT) diluiti in acqua MilliQ.

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4 RISULTATI E DISCUSSIONE

4.1 Andamento del PM

2,5

dall’1/04/2012 al

31/03/2013

L’aver effettuato una campagna di campionamento di un anno, ha permesso di poter fare alcune considerazioni non solo sui 60 giorni appartenenti ad ogni stazione, ma di ampliare la visuale, per quanto riguarda il PM2,5, a tutti i 12 mesi.

L’andamento del PM2,5 misurato giornalmente nelle sei stazioni durante l’intero periodo di campionamento, è riportato nella figura 20. L’andamento evidenzia che le concentrazioni maggiori sono state registrate nel periodo autunnale ed invernale, con una tendenza al superamento del limite annuale di legge di 25 µg m-3 fissato dalla Direttiva 2008/50/CE e recepita dal D.Lgs. 155/2010 che dovrebbe essere raggiunto entro il 1° gennaio 2015.

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Figura 20 – Andamento del PM2,5 nel periodo 1/04/2012 al 31/03/2013. 0 50 100 150 200 250 PM 2.5 (µg/m 3) Belluno centro Conegliano Vicenza QI Padova Madria Mestre Bissuola Rovigo Martiri

Andamento annuale del PM

2,5

nelle sei stazioni dall'1/04/2013 al 31/03/2013

Data

25 µg m-3

valore limite di legge

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Le maggiori concentrazioni si registrano nel periodo invernale, più precisamente il 6 gennaio dove si riscontrano i picchi più elevati dell’intero periodo. Questa giornata coincide con la festa dell’Epifania ed è tradizione, in Veneto, fare dei falò di sterpaglie e legname; quindi, oltre alle normali quantità generalmente derivanti da traffico veicolare e riscaldamenti, si sono aggiunte le enormi concentrazioni derivanti da combustione di biomassa vegetale.

Se si considerano tutti i dati giornalieri delle sei stazioni, i valori di PM variano da un minimo di 0,9 µg m-3 ad un massino di 201,6 µg m-3. Nella tabella 3 sottostante, sono riportati i valori minimi e massimi per ogni stazione.

Tabella 3 – Valori di minimo e massimo per le sei stazioni durante l’intero anno di campionamento.

Stazione Minimo (µg m-3) Massimo (µg m-3)

Belluno 0,9 58,7 Conegliano 2,5 136,8 Vicenza 4 132,2 Padova 5,1 193,4 Mestre 2,8 146,1 Rovigo 3,4 201,6

Per le stazioni di Conegliano, Vicenza, Padova e Rovigo, i valori massimi si sono registrati proprio in data 6/01/2013.

Attraverso l’utilizzo delle rose dei venti (Fig. 21), si può notare come questa giornata sia stata particolarmente caratterizzata in prevalenza da venti deboli. Pertanto le concentrazioni emesse non hanno subito significative dispersioni in atmosfera.

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