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Aterectomia rotazionale nelle occlusioni coronariche croniche totali

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Academic year: 2021

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Sant'Anna

Scuoia Universitaria Superiore Pisa

Anno Accademico 2017/2018

Master Universitario di I/II livello

Trattamento percutaneo della malattia coronarica

Aterectomia Rotazionale nelle

occlusioni coronariche croniche

totali

Autore

Dr.ssa Elisabetta Bordoni

Tutor Scientifico

Prof. Passino

[Tutor Aziendale - IPCCS Policlinico San Donato Dr. F. Bedogni]

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Capitolo 1

Occlusioni coronariche croniche

Una occlusione coronarica cronica (CTO) è una lesione coronarica che determina un flusso TIMI 0 in un segmento arterioso da almeno tre mesi (Sianos G., 2012).

Nonostante i progressi nel campo dei materiali e delle tecniche di rivascolarizzazione percutanea, le CTO rappresentano ancora oggi una delle maggiori sfide per il cardiologo interventista con una prevalenza stimata di circa il 30% nei pazienti affetti da CAD (Kahn JK, 1993) (Werner GS, 2009)e fino al 15%nei pazienti affetti da STEMI (Fefer P, 2012).

In generale mediante le tecniche di rivascolarizzazione avanzata oggi si raggiungono percentuali di successo, in mani esperte, che vanno dal 60 al 92% (Williams DO, 2000) (Puma JA, 1995)

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Lesioni “non crossabili”

Sebbene il fallimento delle PCI in CTO sia dovuto in gran parte dalla mancata crossabilità della lesione da parte della guida coronarica, alcune volte la guida viene fatta passare correttamente attraverso l’occlusione ma nonostante questo anche il pallone più piccolo non riesce ad attraversare l’occlusione, questo accade specialmente in casi ove esistono lesioni marcatamente calcifiche; questo occorre in circa il 7% dei casi di fallimento (Patel SM P. N., 2015).

Fig.1 Approccio passo-passo alle occlusioni croniche totali che non possono essere

superate con un pallone dopo il superamento del passaggio del filo. (Emmanouil S.

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Diverse strategie possono venire incontro all’operatore per superare questo problema. La prima è rappresentata dal supporto passivo, la scelta del catetere guida, infatti, è un momento fondamentale per la pianificazione della procedura essendo il primo determinante della stabilità e del supporto del sistema; fatte salve specifiche esigenze legate a origini coronariche anomale o sfavorevoli, per la coronaria sinistra le curve più utilizzate sono XB/EBU o, in alternativa, specialmente per il trattamento di lesioni della coronaria circonflessa AL. Per la coronaria destra le curva che offrono maggior stabilità e supporto sono IM (Internal Mammary) o AL. L’utilizzo di cateteri di dimensioni maggiori (7 o 8 Fr) aumenta in modo proporzionale il supporto del sistema.

Altra strategia è il supporto attivo, quelle tecniche, cioè, che permettono di ridurre la distanza tra il sito da trattare e il catetere guida, riducendo la dispersione della forza che viene applicata per la spinta sul microcatetere. La tecnica originaria prevedeva l’intubazione più o meno profonda del catetere guida all’interno della coronaria da trattare (Gasparini G, 2016); più recentemente sono stati immessi nel mercato device dedicati “all’estensione”del catetere guida stesso con la tecnica denominata “Mother and Child”. E’ inoltre possibile aumentare il supporto e la stabilità del sistema con le tecniche di ancoraggio in un ramo laterale o all’interno della coronaria stessa. Nel primo caso si parla di tecnica di ancoraggio del pallone (anchor balloon technique) (Fujita S, 2003) si avanza una guida “floppy” in un ramo collaterale (SB: side branch) prossimale al sito di occlusione si gonfia un pallone di diametro congruo con le dimensioni del vaso all’interno del SB stesso; la stabilizzazione del sistema coassiale determina una ottimizzazione del potere di spinta sul microcatetere da riduzione della dispersione delle forze da “rinculo” del catetere guida. Un simile effetto si può ottenere con la tecnica “buddy in jail” (Bagnall AJ, 2009); in assenza di SB di diametro adeguato prossimale è possibile avanzare una guida floppy parallelamente alla guida che ha superato il sito di occlusione. Su quest’ultima guida si avanza uno stent che viene gonfiato nel tratto di coronaria prossimale all’occlusione e che incarcera (jailing) la guida floppy determinando un aumento della stabilità e del supporto con meccanismo analogo al precedente.

In aiuto al cardiologo interventista esistono device dedicati come i microateteri. La qualità dei microcateteri comunemente utilizzati per il trattamento delle occlusioni è tale che attualmente non si può identificare uno specifico device come nettamente superiore agli altri; caratteristiche di costruzione diverse (scivolosità, pushability, crossing profile, ecc.) rendono ogni singolo prodotto di scelta in alcune specifiche

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condizioni (approccio anterogrado, retrogrado, collaterali epicardici/settali, vasi calcifici). In caso di mancato superamento di un segmento occluso la prima strategia può consistere nel cambiare microatetere o utilizzare la stessa tipologia di device oppure cambiare modello di microcatetere (sfruttando caratteristiche diverse in presenza di fallimento). Più comunemente possono essere utilizzati device con caratteristiche particolari specificatamente ideati per ottenere una maggiore crossability. Ad esempio microcateteri che sfruttano il meccanismo di “avvitamento” all’interno della placca oppure palloni a basso profilio ed elevata crossability.

Un’altra tecnica di superamento della lesione è quella di rottura del cap prossimale. Il gonfiaggio del pallone prossimale senza che si sia ottenuto il completo superamento della lesione da parte del device può determinare una modifica strutturale del cap prossimale tale per cui un secondo pallone non ancora utilizzato sarà in grado di superare la lesione senza necessità di ulteriori modifiche di strategia. L’estremizzazione di questo principio si ha nella tecnica della “grenadoplastica” (ES, 2013) in cui si sfrutta il barotrauma determinato dal gonfiaggio fino al punto di rottura di un pallone in posizione immediatamente prossimale alla CTO con modifica della struttura del cap superiore a quanto ottenibile con il solo gonfiaggio del pallone. In alternativa, l’inserimento di una guida (generalemtne stiff) nel corpo della CTO parallela a quella utilizzata per il superamento dell’occlusione stessa può determinare una modifica nell’orientamento della resistenza del cap prossimale per cui si può ottenere l’avanzamento di un device che precedentemente aveva fallito.

In caso di fallimento di tutte le tecniche precedentemente descritte si deve pensare a tecniche più avanzate come l’aterectomia rotazionale.

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Bibliografia

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Capitolo 2

Aterectomia rotazionale nelle CTO

Le tipiche lesioni che determinano la failure dell’angioplastica con pallone sono rappresentate da placche molto calcifiche, CTO e placche non complianti. Queste lesioni per poter essere trattate con l’impianto di stent richiedono l’uso di tecniche avanzate per ciò la semplice angioplastica con pallone non è sufficiente. L’adeguato debulking della placca è considerato mandatorio per l’impianto di stent medicati (DES) e questo soprattutto permette di ottenere una adeguata rivascolarizzazione del vaso target e di facilitare la corretta apposizione dello stent alla parete del vaso e quindi di ridurre l’incidenza di trombosi tardiva di stent (Israel DH, 1991)

Il device più utilizzato per il debulking di placche notevolmente calcifiche è l’aterectomia rotazionale, diversi studi hanno dimostrato che il pretrattamento della lesione con aterectomia rotazionale e successivo impianto di stent DES si associa ad un migliore risultato angiografico e migliore outcome. (Furuichi S, 2009).

L’aterectomia rotazionale è un device costituito da una fresa rivestita nella metà distale da una punta ellittica diamantata, questa viene fatta ruotare ad alte velocità (da 140000 a 180000 rpm) mediante un albero di trasmissione elicoidale; la fresa viene fatta avanzare gradualmente attraverso la lesione con un sistema premonatato “over the wire”. L’elevata velocità di rotazione facilita il movimento longitudinale della fresa mediante la dislocazione per frizione dal piano ortogonale. La guida coronarica dedicata permette alla fresa, con la punta abrasiva, di decorrere coassiale al lume del vaso anche se dobbiamo considerare che le lesioni molto angolate o tortuose hanno un rischio di perforazione e dissezione più alto. La guida deve essere posizionata più distalmente possibile alla lesione target, evitando piccoli vasi collaterali, evitando pieghe, nodi e curve.

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Si deve considerare che l’azione sul lume del vaso è maggiore rispetto alla dimensione stessa della fresa, infatti l’ablazione avviene selettivamente a livello della componente anelastica della placca, dilatando il lume interno ma senza aumentare la dimensione del vaso arterioso stesso (Mintz GS, 1992) (Farb A, 1995) (Jimenez-Valero S, 2009). Il movimento della fresa può sviluppare calore e facilitare la microembolizzazione di detriti, questi possono contribuire ad aumentare il rischio di infarto miocardico periprocedurale e restenosi associata ad eccessiva decelerazione (Whitlow PL, 2001). La tecnica più moderna prevede un movimento di “picchiettamento” il quale minimizza le decelerazioni ed il danno termico. Inoltre le microparticelle prodotte dalla rotablazione vengono eliminate dal sistema reticoloendoteliale; quindi i residui sono sufficientemente piccoli da poter essere eliminate con il microcircolo.

Bibliografia

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Capitolo 3

Utilizzo dell’aterectomia rotazionale nelle CTO

Esistono dati limitati sull’utilizzo dell’aterectomia rotazionale nelle CTO. Certamente le lesioni croniche sono ad alta componente calcifica, molto spesso si tratta di paziente che hanno già subito interventi di rivascolarizzazione anche chirurgica mediante bypass. La tecnica non è priva di rischi ma consente, in casi selezionati, di portare a termine procedure che in altro modo non potrebbero avere esito positivo.

La maggior parte dei dati disponibili riguardano lesioni non CTO. Pochi studi hanno analizzato nello specifico l’outcome di questa tecnica nelle CTO (Pagnotta P, 2010) (Patel SM P. N., 2015). In particolare Pagnotta et. Al hanno calcolato una percentuale di aterectomia nelle CTO del 5%; mentre il gruppo di Azzalini et al. (Azzalini L, 2016) la percentuale era minore, del 3,5%, questo può essere spiegato dall’ingresso di altre tecniche che hanno migliorato il successo delle PCI senza rotablazione come ad esempio cateteri guida più supportivi, palloni a basso profilo, tecniche di dissezione e rientro. Comunque anche se in casi limitati l’aterectomia rotazionale può rimanere necessaria per l’adeguata preparazione della lesione. La ridotta percentuale di successo nelle lesioni trattate con aterectomia rotazionale possono dipendere anche dal fatto che vengono trattate lesioni molto più complesse. Rimane da sottolineare che in casi selezioni tale tecnica rimane fomdamentale e che gli eventi cardiovascolari maggiori a distanza hanno la stessa frequenza del gruppo non aterectomia rotazionale.

L’ultimo dato del registro PROGRESS-CTO (Xenogiannis I, 2019) mostra come l’utilizzo dell’aterectomia rotazionale sia molto eterogeneo e che nei casi di PCI ad alta complessità il rischio di complicanze come dissezioni coronariche e perforazioni possa essere molto maggiore per il gruppo aterectomia rotazionale. Inoltre non sempre l’utilizzo dell’aterectomia rotazionale corrispondeva ad un migliore successo angiografico dell’angioplastica. Va, ad ogni modo, sottolineato che anche in quest

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studiola prognosi a distanza ed il numero di eventi cardiovascolari rimaneva sovrapponibile per i due gruppi.

In accordo alle raccomandazioni degli esperti, l’aterectomia rotazionale non deve essere utilizzata nei piani di dissezione (BarbatoE, 2015). Gli ultimi traguardi però si stanno addirittura raggiungendo, in mani esperte, anche utilizzando l’aterectomia rotazionale a livello subavventiziale.

Per concludere la tecnica di aterectmia rotazionale rappresenta una tecnica ormai nata da molto tempo ma che tutt’oggi trova applicazione nelle PCI più complesse anche in associazione con le tecniche più innovative come il trattamento di CTO complesse. Per tale motivo il cardiologo interventista dovrebbe conoscerla e poterla utilizzare laddove necessario.

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