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Metacognizione e artefatti: un percorso sulla piramide usando la stampa 3D

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Academic year: 2021

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LAVORO DI DIPLOMA DI

AGNESE MOMBELLI

MASTER OF ARTS IN INSEGNAMENTO PER IL LIVELLO SECONDARIO I

ANNO ACCADEMICO 2018/2019

METACOGNIZIONE E ARTEFATTI

UN PERCORSO SULLA PIRAMIDE USANDO LA STAMPA 3D

RELATORE

LUCA BOTTURI

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Ringrazio tutti coloro che mi hanno sostenuto nella realizzazione di questo lavoro, in particolar modo: gli allievi del corso base di terza media della Scuola Media Locarno2 per la collaborazione; il docente di pratica professionale Daniele Pezzi e la sua classe del corso attitudinale di terza media per la fiducia e accordatami per testare il peer-teaching; il SIM per la pazienza e la disponibilità dimostrata nello stampare i modelli e nell’accogliere gli allievi per spiegar loro il funzionamento della stampante 3D; il relatore Luca Botturi per l’entusiasmo dimostrato nei confronti della mia proposta, la libertà che mi ha concesso nel redigere il lavoro e la puntualità nel segnalare gli accorgimenti. Un grazie particolare a chi ha sopportato la mia meticolosità e ha sistemato e risistemato i grafici colorati. Infine, il grazie più importante, alla mia famiglia che mi ha supportato durante tutto il percorso di formazione. A tutti grazie di cuore!

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Abstract

Agnese Mombelli

Master of arts in insegnamento per il livello secondario I

Metacognizione e artefatti: un percorso sulla piramide usando la stampa 3D

Luca Botturi

Questo lavoro di ricerca indaga sull’influenza degli artefatti creati con la stampante 3D e del

peer-teaching sul processo di metacognizione messo in atto dagli allievi e sulla loro motivazione. Per

poter rispondere al quesito di ricerca è stata proposta una sfida agli allievi del corso base di terza media. Essa consisteva nella preparazione di un percorso che permettesse loro di presentare l’argomento “piramide” ai coetanei del corso attitudinale. Dalla descrizione del progetto si evince l’importanza della raccolta dei dati al fine di analizzarli e trarne delle conclusioni. I dati sono stati raccolti tramite le osservazioni del docente, i questionari sottoposti agli allievi dopo le diverse attività e i focus group. Tutto il materiale utilizzato dagli allievi è stato raccolto e analizzato.

Ne è scaturito che il ruolo di docente assunto dagli allievi ha consentito loro di responsabilizzarsi e di mettere in atto pratiche metacognitive al fine di produrre del materiale ben strutturato e utile durante la fase di presentazione. La creazione di un artefatto tramite TinkerCad ha consentito agli allievi di visualizzare meglio la piramide e consolidare le proprie conoscenze. L’artefatto è stato apprezzato anche dei compagni del corso attitudinale, i quali, nel questionario sottoposto loro successivamente alla presentazione, l’hanno definito un ottimo strumento di apprendimento. Questa modalità di educazione tra pari ha evidenziato un duplice vantaggio: gli allievi si sono sentiti valorizzati mentre il docente ha potuto beneficiare del ruolo di osservatore che gli ha permesso di annotare meglio le dinamiche scaturite in aula.

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Abstract ... i

Prefazione ... 1

Quadro teorico ... 3

Il costruttivismo ... 3

Il modello di community of learners ... 4

Il modello dell’apprendistato cognitivo ... 4

Gli artefatti ... 5 Scaffolding ... 6 Tecnologie ... 8 Il processo di metacognizione ... 10 Peer-teaching ... 12 La motivazione ... 13 Sintesi ... 15

Domande di ricerca e ipotesi di ricerca ... 17

Domande e ipotesi di ricerca ... 17

Quadro metodologico ... 19

La classe campione ... 19

Considerazioni riguardanti la motivazione, la partecipazione e le relazioni ... 19

L’organizzazione del percorso ... 19

La struttura del percorso ... 21

Fase 0: percorso sui prismi ... 21

Fase 1: dalla scoperta della piramide alla verifica formativa ... 21

Fase 2: L’analisi degli errori e la progettazione del percorso ... 21

Fase 3: Scelta del percorso ottimale, preparazione e presentazione. ... 22

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I questionari degli allievi ... 23

Focus group ... 24

Le produzioni degli studenti ... 24

Documentazione del percorso ... 25

Percorso “classico” sui prismi ... 25

Dalla scoperta della piramide alla verifica formativa ... 25

L’analisi degli errori e la progettazione del percorso ... 27

La scelta del percorso “ottimale”, preparazione e presentazione. ... 29

Analisi e risultati ... 31 Artefatti ... 31 Metacognizione ... 33 Motivazione ... 35 Conclusioni ... 41 Bibliografia ... 45 Allegati ... 47

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Prefazione

Questo lavoro di diploma si focalizza sul rapporto tra gli allievi di scuola media e gli artefatti e pone l’accento sull’importanza della rappresentazione e della costruzione di artefatti nella risoluzione di situazioni in matematica. La sua particolarità consiste nel fatto che gli artefatti presi qui in esame sono stati prodotti con una stampante 3D.

L’idea di affrontare questo tema deriva direttamente dalla mia esperienza. Otto anni fa, per la prima volta, mi è stato proposto di occuparmi di un corso di matematica di ripasso estivo per allievi delle scuole medie. Ricordo che sono rimasta piuttosto perplessa quando gli allievi, totalmente demotivati e senza tentare di rappresentare la situazione in alcun modo, dicevano di non saper risolvere un quesito sostenendo di non averlo capito. Questa modalità di lavoro l’ho poi riscontrata anche durante lezioni individuali e infine in aula in qualità di docente di scuola media.

Ho quindi deciso che in questa ricerca avrei cercato di proporre delle attività per sensibilizzare gli allievi sull’importanza della rappresentazione e sull’utilità degli artefatti per risolvere le situazioni matematiche che incontrano. Oltre a attività manipolative, utili per stimolare la rappresentazione di oggetti, ho pensato di aumentare la motivazione degli allievi proponendo un'attività nell'ambito delle tecnologie e dei media digitali nella scuola: l’utilizzo della stampante 3D a scopo didattico. Non volevo però limitare il mio lavoro unicamente alla parte pratica di creazione con il programma 3D: ci tenevo a sviluppare un percorso così da poter valutare quanto esso venga apprezzato da parte degli allievi e se esso fosse particolarmente efficace per il loro apprendimento.

Molti autori si sono focalizzati sull’importanza degli artefatti cognitivi per rendere maggiormente efficace il processo di insegnamento-apprendimento tra cui Norman, Rabardel e Vigotskji. Considerando gli spunti proposti dai testi degli autori appena citati, dai quali si evince l’enorme potenziale didattico degli artefatti cognitivi, ho cercato di progettare un percorso accattivante per introdurre la piramide.

Questo dossier documenta la sperimentazione svolta in una classe e si focalizza in particolar modo sul processo metacognitivo, sulla rappresentazione di situazioni matematiche e sulla motivazione degli allievi per determinare se il percorso ha portato ad un apprendimento significativo. Dopo l’attività introduttiva alla piramide ogni soggetto ha dunque la possibilità riflettere sulle difficoltà riscontrate. Durante questo processo di metacognizione ogni allievo può percepire l’importanza della rappresentazione (con un disegno, uno schizzo, un modellino) per facilitare la comprensione

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del problema. La scoperta degli artefatti quale aiuto per risolvere la situazione può motivare gli allievi e la stampa 3D potrebbe affascinarli in particolar modo. Ai giorni nostri l’argomento è di forte attualità: la stampa 3D è oggi utilizzata in diversi ambiti e per questo ho deciso di fare avvicinare gli allievi a questo mondo. L’artefatto sarà costruito dagli allievi tramite un programma di progettazione e sarà in seguito stampato. Dopo aver preso consapevolezza delle difficoltà riscontrate con la piramide gli allievi hanno dovuto progettare un artefatto ad hoc (utile per superare gli ostacoli cognitivi) che sarà utilizzato nel momento in cui presenteranno l’argomento all’altra classe. Le esperienze vissute in aula sono state monitorate dagli allievi e dalla sottoscritta. I primi hanno compilato un diario in cui erano chiamati a valutare diversi aspetti concernenti le attività. La docente ha invece osservato i componenti della classe durante le varie fasi del percorso e ha appuntato alcuni commenti. Questi feedback mi hanno permesso di capire quale influenza hanno avuto gli artefatti creati con la stampante 3D e il peer-teaching sul processo di metacognizione messo in atto dagli allievi e sulla loro motivazione.

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Quadro teorico

“La didattica concerne il complesso di interventi volti a progettare, allestire, gestire e valutare gli ambienti di apprendimento atti a favorire particolari processi acquisitivi, risultanti da un’idonea integrazione di artefatti e specifiche azioni umane”. Questa citazione di A. Calvani (1998) richiama le attività che ho svolto in questo percorso di sperimentazione. Questa definizione esula dai tradizionali modelli della conoscenza, in cui l’insegnante aveva il compito centrale di trasmettere la conoscenza con strumenti statici e neutri, ma si focalizza su una nuova corrente che nasce negli anni ’80: il costruttivismo.

Il costruttivismo

Nell’ottica costruttivista la conoscenza deriva dalla costruzione attiva di significati da parte del discente che opera in un ambiente di apprendimento ben strutturato. Secondo Wilson (1996) quest’ultimo può essere definito come “un luogo in cui coloro che apprendono possono lavorare aiutandosi reciprocamente avvalendosi di una varietà di strumenti e risorse informative in attività di apprendimento guidato o di problem solving” (p.5). In quest’ottica costruttivista hanno trovato spazio diversi approcci. Il costruttivismo in realtà non ha al momento una didattica “unica” da proporre ma Jonassen (1994) elenca alcune caratteristiche che dovrebbero avere gli ambienti di apprendimento di taglio costruttivistico:

- dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione; - permettere costruzioni di conoscenze dipendenti dal contesto e dal contenuto; - alimentare pratiche riflessive;

- favorire la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso la negoziazione sociale. Calvani (1998) descrive invece le caratteristiche dei modelli didattici di impronta costruttivistica nel modo seguente.

- mettono in risalto l’ “ambiente di apprendimento” rispetto alla istruzione come sequenza preordinabile. Non aboliscono la programmazione curricolare, ma spostano l’attenzione sul “contorno”, sulla varietà dei supporti e dispositivi collaterali, che si possono affiancare all'alunno che apprende;

- considerano l’ambiente di apprendimento come un luogo virtuale d'incontro tra molteplici impalcature regolabili, attraverso giochi di mutua appropriazione;

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- vedono il processo didattico come non lineare bensì "emergente" e "ricorsivo";

- pongono forte enfasi sul discente, sulla autodeterminazione del percorso e degli stessi obiettivi;

- danno forte risalto alla molteplicità delle piste percorribili e alla varietà prospettica con cui si può vedere la conoscenza;

- si avvalgono sensibilmente di tecnologie, in particolare come amplificatori della comunicazione e cooperazione interpersonale.

Da questi principi derivano alcuni modelli didattici, che vengono riconosciuti dagli autori nello spirito del costruttivismo.

Il modello di community of learners

Gli studi di Brown (1996), Brown & Campione (1994), Ligorio (1994) descrivono il modello di community of learners. In questo modello l’ambiente di apprendimento è visto come una virtuale intersecazione di zone di sviluppo prossimali in cui si vengono a disporre una varietà di impalcature (scaffolding) che assistono, stimolano, orientano in vario modo, lasciando tuttavia forte spazio alla responsabilizzazione del soggetto che viene costantemente orientato verso l'autonomia; in un clima di condivisione e scambio reciproco.

Il modello dell’apprendistato cognitivo

Altri autori (Collins & Holum, 1991; Collins, Brown & Newman, 1989, 1995), che descrivono l’approccio della scuola tradizionale come fallimentare, hanno invece sviluppato il modello dell’apprendistato cognitivo. Si tratta di integrare le caratteristiche della scuola formale con quelle dell’apprendistato e di promuovere 4 competenze: modelling (l'apprendista osserva ed imita il maestro); coaching (il maestro assiste continuamente secondo le necessità e agevola il lavoro dando feedback); scaffolding (il maestro fornisce un appoggio o uno stimolo all'apprendista), fading (il maestro elimina gradualmente il supporto, in modo da aumentare gradualmente la responsabilità). L'apprendistato cognitivo si differenzia però dall'apprendistato tradizionale per la maggiore attenzione alla dimensione metacognitiva, agli aspetti del controllo, ed alla variazione dei contesti di applicazione. Si introducono allora altre strategie, quali: articolazione (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza); riflessione (si spinge a confrontare i propri problemi con quelli di un esperto); esplorazione (si spinge a porre e risolvere problemi in forma nuova).

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Alcuni aspetti menzionati dagli studi appena citati sono stati considerati durante la progettazione del percorso didattico proposto. Per permettere agli allievi una costruzione attiva della loro conoscenza ho concentrato il percorso attorno a tre aspetti per me fondamentali nella fase di apprendimento:

- gli artefatti;

- il processo di metacognizione; - la motivazione.

Diversi autori hanno lavorato su questi temi; di seguito riporto alcune loro considerazioni rilevanti per la mia ricerca.

Gli artefatti

Secondo l’approccio costruttivista, per permettere ai discenti di costruire la loro conoscenza occorre elaborare un modello in cui il mondo esterno e, conseguentemente le rappresentazioni che ne scaturiscono, è modificato dall’introduzione di artefatti cognitivi utili allo sviluppo di specifici apprendimenti, come descritto da Iervolino e La Regione (2014).

La nozione di artefatto è stata introdotta da Papert attorno agli anni ’50. L’idea alla base degli artefatti cognitivi è che la mente, per apprendere, ha bisogno di costruire oggetti e dispositivi e di maneggiare materiali reali come un costruttore necessita dei materiali di costruzione. (De Giuseppe 2012). Occorre dunque procedere per prove ed errori attraverso tentativi di rappresentazione del mondo reale affinché la mente possa apprendere: costruire, manipolare, esporre, discutere, analizzare e confrontare gli artefatti permette all’apprendimento di concretizzarsi. Gli artefatti permettono di andare oltre il livello pratico e offrono uno sviluppo a livello cognitivo: i problemi pratici sono infatti in relazione con l’uso degli artefatti. In un problema, spesso, il procedimento risolutivo e l’artefatto progettato per giungere alla soluzione dello stesso, sono sviluppati reciprocamente. Questa duplice natura è ben evidenziata da Norman (1995) che presenta l’aspetto pragmatico o esperienziale (l’orientamento verso l’esterno che consente al soggetto di modificare l’ambiente circostante) e l’aspetto riflessivo (l’orientamento verso l’interno che permette ai soggetti di sviluppare l’intelligenza). L’autore denomina gli artefatti “cognitivi” perché sostiene siano strumenti di pensiero che completano le capacità della nostra mente rafforzandone i poteri.

Alla nozione di artefatto cognitivo introdotta da Norman e ad altre idee collegate vi facevano già riferimento Vygotskij e i suoi successori come Leont’ev (1976) e Wertsch (1985).Essi sostenevano che gli artefatti sono l’elemento principale dell’apprendimento quindi sono essenziali strumenti di mediazione semiotica.

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Secondo Bussi Mariotti (2008) un artefatto è uno strumento di mediazione semiotica quando è usato intenzionalmente dall’insegnante per mediare un contenuto matematico attraverso un intervento didattico pianificato intenzionalmente. Occorre quindi che l’insegnate pensi in modo peculiare alla sequenza didattica in modo che l’artefatto mantenga il suo duplice ruolo: mezzo per realizzare il compito e strumento di mediazione semiotica per raggiungere un obiettivo.

Il ciclo didattico deve quindi essere strutturato affinché il progetto e la riflessione sui risultati non seguano un ordine lineare ma, piuttosto, si influenzino reciprocamente, in modo che la teoria e la pratica siano generate insieme (Arzarello & Bartolini Bussi, 1998 p. 249).

Scaffolding

Nel modello di community of learners citato in precedenza (Brown, 1996; Brown & Campione, 1994; Ligorio, 1994) l’apprendimento deriva dalla continua evoluzione di zone prossimali di sviluppo grazie a forme di scaffolding. Definisco meglio questi concetti.

La zona prossimale di sviluppo, in ottica vygotskjiana, è definita come la differenza tra il livello di sviluppo di un individuo in un dato momento e il suo potenziale ancora non espresso (Ceriani, Nigro, 2006) mentre lo scaffolding sta ad indicare « il complesso di attività utili ad assistere uno studente (di qualsiasi età e tipologia) per agevolare nel soggetto lo sviluppo delle abilità e di competenze utili al conseguimento di un obiettivo formativo centrato sui suoi obiettivi » (Calvani & Rotta, 2000, p. 159). In altre parole il ponte tra lo sviluppo di un individuo in un dato momento e il suo potenziale non ancora espresso sarebbe agevolato dalla costruzione d’impalcature utili al soggetto come mostrato dalla figura 1.

Alla luce di queste considerazioni gli artefatti rivestono dunque un ruolo fondamentale nel processo di scaffolding in quanto sono impalcature di sostegno appositamente fornite al discente per sfruttare al meglio le sue potenzialità.

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7 Figura 1 – Concetto di scaffolding – Illustrazione tratta da (Ceriani & Nigro, 2006).

Cristina Faliva (2011) nel suo manuale identifica diverse forme di scaffolding:

- Scaffolding cognitivo: ha come finalità quella di semplificare il compito, di suddividere in parti ridotte, di attribuire al bambino la responsabilità delle fasi più semplici, di dare dimostrazioni, di fornire incoraggiamenti, di adattare le istruzioni al livello di abilità dell’apprendista.

- Scaffolding emotivo-motivazionale: ha come finalità quella di stimolare l’allievo ad apprendere e di incoraggiarlo e spronarlo a superare eventuali barriere di tipo motivazionale (demotivazione, scoraggiamento,..)

- Scaffolding metacognitivo si propone di supportare l’allievo non solo nell’acquisizione di una specifica conoscenza o competenza, ma anche e soprattutto nello sviluppo delle abilità metacognitive che consentiranno di “imparare ad apprendere” facilitando così il processo di apprendimento continuo. (Ceriani & Nigro, 2006)

Gli artefatti, con il loro ruolo di scaffolding, sono dunque fondamentali (Bartolini-Bussi & Mariotti, 2009) perché permettono all’allievo di avere un’impalcatura appropriata ed efficace utile a trasformare le capacità in via di sviluppo in capacità acquisite. Questo argomento è stato affrontato anche da altri autori tra i quali Collins, Brown e Neumann nel modello di “apprendistato cognitivo” (1990).

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Tecnologie

La matematica ha usato e prodotto artefatti fin dall’antichità ma il loro studio nella didattica della matematica è diventato attuale con l’ingresso dei software nella scuola. Papert sottolinea che le tecnologie digitali nel sistema scolastico sono uno strumento di apprendimento che potrebbe consentire a ciascun individuo di costruire il proprio percorso formativo. In altre parole descrive gli artefatti tecnologici quali mezzi utili allo scaffolding. Schon (1993) afferma che il docente, “professionista riflessivo”, per rinnovare i processi di insegnamento – apprendimento ha la possibilità di ripensare alla dimensione didattica integrando media diversi e sfruttando le animazioni tecnologiche della didattica. Fasce e Baroni (2004) affermano “Chi utilizza le tecnologie, seppure in modo quantitativamente e qualitativamente diverso, ha in qualche maniera intuito il loro ruolo di scaffolding, in modo più o meno consapevole.” Chi riconosce questo ruolo ai mezzi tecnologici non li utilizzerà come baby sitter (riempitivo per intrattenimento, in cui il ruolo di scaffolding è spesso pressoché nullo) ma darà loro spazio all’interno delle attività didattiche a seconda della disciplina insegnata.

È dunque possibile differenziare due modalità di impiego delle tecnologie in aula. Nella prima l’insegnante offre le tecnologie come impalcature dirette o interne. I mezzi tecnologici saranno usati in aula in determinate situazioni in modo da renderli visibili agli alunni con l’obiettivo di ottenere ricadute sull’apprendimento dei discenti. Si tratta di impalcature rimovibili per aiutare l’allievo nella sua progressione. L’altra possibilità concerne l’utilizzo delle tecnologie come impalcature indirette o esterne. In questo caso l’insegnante utilizza i mezzi tecnologici per progettare, pianificare e organizzare il contesto di apprendimento ma queste impalcature restano invisibili agli alunni.

Nel mio progetto ho deciso di proporre le tecnologie come impalcature dirette al fine di riscontrare le caratteristiche evidenziate da Fasce e Baroni (2005):

- Attivare le risorse cognitive e metacognitive degli alunni, consolidando lo sviluppo di particolari forme di pensiero;

- Amplificare le potenzialità comunicative verbali e non verbali, sviluppare così la creatività; - Valorizzare le multimedialità, le ipermedialità umane, cognitive, corporee, emotive;

- Sviluppare comunicazione: rompere l’isolamento tra classi, scuole, altre agenzie educative, mondo esterno;

- Documentare, rendere visibile il lavoro della scuola; - Scegliere ed utilizzare software specifici per la didattica.

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Quando pensiamo alle tecnologie in classe, ci riferiamo alla strumentazione (computer, lavagne interattive, tablet, visualizzatore, proiettore) ma anche a tutti i mediatori che possono rendersi utili per portare a buon fine i processi di insegnamento – apprendimento.

A questo riguardo riporto di seguito le considerazioni di due autori: Olson (1979) e Damiano (1993). Il primo afferma che “possono essere considerati media tutti gli strumenti, nonché ogni agire utile per adempiere una funzione comunicativa e per gestire simboli”. Il docente che adotta consapevolmente lo scaffolding tecnologico, di area diretta e indiretta, applica un’interpretazione del testo educativo / didattico in senso olsoniano, lo “legge” come un sistema comunicativo ove scegliere il canale più adeguato per ottenere una comunicazione didattica efficace, tale che raggiunga lo scopo di far giungere il messaggio al destinatario – alunno. Il secondo interpreta l’esperienza didattica come un’integrazione di tre elementi: oggetto culturale, azione di insegnamento e soggetto di apprendimento (modello della mediazione didattica).

L’operatore didattico si avvale di mezzi mediatici al fine di rendere l’oggetto culturale accessibile al soggetto di apprendimento. Questo processo di metaforizzazione che costruisce un ponte dall’oggetto culturale al soggetto di apprendimento è possibile grazie a mezzi tecnologici tra i quali il computer.

In CLIL e didattica TRE PUNTO ZERO (Iervolino & La Regione, 2014) gli psicologi contemporanei sostengono che alle fondamenta dello sviluppo delle funzioni cognitive la trasmissione delle conoscenze ed esperienze può avvenire tramite il linguaggio ma altrettanto mediante azioni e rappresentazioni iconiche.

Più concretamente, nel manuale di E-learning per insegnanti TACCLE (Attwell et al., 2009) viene sottolineata l’importanza della tecnologia come mezzo di scaffolding e vengono esposti alcuni possibili utilizzi della stessa nell’ambiente di apprendimento. “Manipolare: un altro uso possibile di un ambiente personale di apprendimento è di manipolare o riadattare gli “artefatti” della conoscenza. Questo si potrebbe verificare al semplice livello di editare un testo oppure di aggiungere un’annotazione o etichetta. Tuttavia, potrebbe comprendere riproporre estensivamente gli artefatti così da poterli riusare in un modo nuovo all’interno del nostro ambiente personale di apprendimento oppure condividerli con gli altri” (p. 37). Ho provato a reinterpretare questo concetto in chiave matematica e lo descriverei nel modo seguente: “manipolare figure e modificarle oppure creare nuovi artefatti tramite programmi di progettazione mostrandoli, riutilizzandoli,

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rendendoli concreti grazie alla stampa 3D e condividendoli con gli altri”. Questo è ciò che ho sperimentato con la classe a cui è stato rivolto il progetto.

Oggi il costruttivismo si allea con le nuove tecnologie al fine di permettere agli allievi di essere sempre più autonomi nell’attività di apprendimento. La conoscenza deve essere costruita dall’allievo a patto che sia sostenuto da impalcature utili al processo di apprendimento. In quest’ottica la tecnologia è sicuramente un mezzo di sostegno e permette modalità di apprendimento che generano spazi per la metacognizione.

Il processo di metacognizione

Le correnti didattiche costruttiviste sottolineano l’importanza di prevedere all’interno degli ambienti di apprendimento spazi per una riflessione individuale e collettiva sui processi cognitivi. Verso la fine degli anni ’70 sono comparsi i primi studi relativi alla metacognizione nell’ambito dell’educazione. I primi studi sistematici su questo argomento sono attribuiti allo psicologo J. Flavell che intendeva con il termine metacognizione la riflessione di un soggetto sul proprio pensiero (Guastini, 2015). Flavell e Wellmann (1977) affermano che in tempi più recenti i ricercatori non analizzavano più solamente i processi cognitivi per giungere ad un determinato apprendimento ma anche le modalità che portano alla consapevolezza, da parte del soggetto, dei processi mentali messi in atto (conoscenza metacognitiva) e all’attività di controllo esercitata su questi stessi processi (processi metacognitivi di controllo).

Cornoldi e collaboratori (Cornoldi & Orlando, 1988; Cornoldi, 1990; Cornoldi & Caponi, 1991; Cornoldi, 1995) descrivono accuratamente questi due settori.

- La conoscenza metacognitiva (consapevolezza del soggetto rispetto ai propri processi cognitivi). Secondo Cornoldi la conoscenza metacognitiva si riferisce alle idee che un individuo ha sviluppato sul funzionamento mentale e include impressioni, intuizioni, nozioni, sentimenti, autopercezioni.

- I processi metacognitivi (consapevolezza del soggetto rispetto all’attività di controllo esercitata sui suddetti processi). Secondo Cornoldi i processi metacognitivi di controllo riguardano la capacità di verificare l’andamento della propria attività mentale (memoria, attenzione e percezione, stili di apprendimento auditivo, visivo) e di valutare il grado di difficoltà del materiale ma anche di mettere in atto particolari strategie.

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L’approccio metacognitivo non è concentrato sui contenuti ma piuttosto mette in primo piano le modalità di apprendimento e la rielaborazione dei contenuti stessi affinché lo studente possa acquisire coscienza dei processi che presiedono l’apprendimento.

Le implicazioni di carattere didattico offerte dall’approccio metacognitivo sono particolarmente interessanti. L’obiettivo della didattica metacognitiva è quello di “offrire agli alunni l’opportunità di imparare ad interpretare, organizzare e strutturare le informazioni ricevute dall’ambiente e la capacità di riflettere su questi processi per divenire sempre più autonomi nell’affrontare situazioni nuove” (Cottini, 2004). Come sottolineano Antonietti e Cantoia (2011) i discenti, se invitati a ricostruire i processi mentali impiegati nello svolgimento di un compito fanno registrare prestazioni migliori. Occorre quindi far diventare questo atteggiamento riflessivo un’abitudine di apprendimento.

Secondo Antonietti (2011) “L’atteggiamento riflessivo riguardo ai propri processi mentali è per alcuni innaturale. La nostra mente è fatta per comprendere la realtà esterna e non per riflettere su se stessa; focalizzare l’attenzione sulla nostra mente anziché su dei contenuti esterni è l’eccezione e non la regola nell’economia generale dell’attività psichica” (p. 2). L’individuo è abituato a porsi delle domande sul suo modo di procedere solamente quando insorgono delle difficoltà o riscontra degli errori. Assumere un atteggiamento riflessivo di tipo metacognitivo non è una richiesta facile dunque occorre preventivare tempi di assimilazione non immediati e sostegni alla motivazione che può facilmente cadere. L’autore appena citato sottolinea il ruolo fondamentale della cooperazione al fine di favorire “indirettamente una metacognizione “distribuita”, ossia “partecipata e condivisa” ed evidenzia alcuni approcci utili per favorire la metacognizione. Gli strumenti tecnologici possono essere un importante sostegno alla riflessione metacognitiva (Antonietti e Cantoia 2001 e 2009). L’autore cita anche l’odierna tecnologia e gli artefatti quali mezzi possibili per amplificare le possibilità espressive della metacognizione. Egli sostiene infatti che la metacognizione è di fatto incorporata negli artefatti e nelle tecnologie esterne alla mente e che i risultati della riflessione trovano espressione in opere artistiche e strumenti informatici.

Un’altra considerazione rilevante concerne la tangibilità della metacognizione in quanto, se volutamente documentata, è rintracciabile in una varietà di concreti prodotti materiali. Questi ultimi possono diventare interessanti spunti e strumenti per un lavoro formativo che li riproponga agli studenti perché possano riconsiderare i propri percorsi, discuterli e migliorarli.

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L’espressione dei risultati della riflessione non è da sottovalutare. È opportuno che ogni discente possa scegliere la forma più consona alle sue caratteristiche per manifestare la metacognizione: verbale, disegni, schizzi, gesti, comportamenti, musiche. Se la riflessione metacognitiva, volta a imparare a amministrare le proprie risorse mentali per migliorare l’apprendimento, viene stimolata e sviluppata in forma di narrazioni visive, musicali, gestuali, allora si possono aggirare i problemi legati alla poca dimestichezza con il linguaggio verbale.

Infine è opportuno considerare il carattere asistematico della metacognizione. Se spontanea e genuina non sempre segue la successione di passaggi che ci si aspetta: occorre partire da ciò che inizialmente i soggetti sono in grado di generare, anche se ciò è molto lontano dalla coerenza che ci si aspetta.

Negli appunti proposti da Guastini (2015) vengono evidenziate 7 tecniche utili a promuovere nello studente l’abitudine a riflettere e ottimizzare le proprie attività cognitive. Si tratta di:

- dichiarare preventivamente i risultati attesi;

- attribuire importanza alle tecniche di studio quali evidenziare, scrivere note a margine, sottolineare;

- permettere agli allievi di pianificare lo svolgimento del compito cercando di smorzare gli effetti del contratto didattico;

- incentivare l’auto-osservazione tramite diari di bordo o discussioni collettive; - attribuire importanza alle protesi mentali: mappe concettuali e schemi;

- invitare alla pedagogia dell’errore: analizzare e riflettere sui propri errori;

- incentivare la cooperazione: spiegare ai compagni la propria strategia migliora la capacità di riflettere sulle strategie di pensiero altrui e ricercare le migliori argomentazioni.

Peer-teaching

L’ultimo punto importante per sviluppare un quadro per questo progetto è il peer-teaching, cioè l’insegnamento tra pari. Il peer-teaching orizzontale è una modalità di apprendimento cooperativo nella quale uno o più allievi preparati aiutano dei coetanei nell’apprendimento.

Vygotskji, riconosciuto come padre del socio-costruttivismo, ha dato un importante contributo alla comprensione delle dinamiche attive nell’apprendimento tra pari. Lo psicologo sosteneva che “ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli” (Vygotkij, 1934, cit. in Ianes, 2013 pag. …). Ianes (2013) ha spiegato con altre parole questo concetto affermando che i bambini imparano molto più tra di loro, interiorizzando funzioni cognitive complesse che gradualmente

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cercano di far proprie aiutandosi reciprocamente, spiegandosi a vicenda le strategie e usando un linguaggio tra pari. In questa modalità di lavoro il docente assume il ruolo di mediatore e rende gli allievi i veri e propri attori della lezione. Attraverso questo approccio si valorizzano le risorse di ciascuno e del gruppo favorendo lo sviluppo di competenze sociali e intellettuali.

Goodlad (1979) ritiene che il peer-teaching abbia effetti positivi personali e sociali in quanto umanamente gratificante. Questa modalità di lezione responsabilizza gli allievi e favorisce lo sviluppo di reciprocità positive quali l’empatia, l’autostima e la sensibilità verso i compagni. Inoltre più influire positivamente sulla motivazione degli allievi al fine che sviluppino un atteggiamento più positivo nei confronti del mondo educativo.

Anche a livello di conoscenze disciplinari il peer-teaching offre diversi vantaggi. Per trasmettere il proprio sapere ai compagni occorre infatti rielaborare le proprie conoscenze, individuarne altri significati, carpirne le diverse componenti e prendere consapevolezza delle strategie utilizzate per acquisire informazioni e risolvere problemi (processo metacognitivo). Tutto ciò porta a un benefico consolidamento di competenze già acquisite. I compagni beneficiano dell’aiuto dei coetanei che, spesso, sono più efficaci nei processi di apprendimento perché offrono spiegazioni più semplici e più vicine a chi deve apprenderli. Inoltre, tenuto conto che ognuno possiede un proprio stile cognitivo, il fatto di apprendere da differenti compagni con stili cognitivi diversi, permette a tutti di apprendere in modo più equo.

Per sviluppare l’apprendimento è dunque importante che si crei un contesto relazionale e non solo gerarchico. Come riportato nel capitolo 3 questo punto di vista l’ho ritrovato anche nelle osservazioni scaturite dagli allievi al termine della lezione. Il peer-teaching, che consiste nel proporre agli studenti di utilizzare le competenze che possiedono per insegnarle ai propri compagni, è dunque una strategia didattica rilevante per la metacognizione. Questa forma di insegnamento-apprendimento si è rilevata efficace anche nel mio progetto.

La motivazione

Le correnti didattiche costruttiviste sottolineano l’importanza di prevedere, all’interno degli ambienti di apprendimento, spazi per una riflessione individuale e collettiva sui processi motivazionali. Il ruolo della motivazione è spesso trascurato. Molte teorie considerano la motivazione come una fase preliminare, come ad esempio: “Motivare gli studenti ad imparare”, “catturare l’attenzione” o “orientare gli studenti” (Gagné & Driscoll, 1988; Yelon, 1955).

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Spitzer (1996) sottolinea invece l’importanza della motivazione come elemento centrale del processo didattico in quanto il livello di apprendimento dello studente sarà sempre commisurato al livello della sua motivazione. Anche per quanto concerne le tecnologie didattiche, la letteratura non ha sviluppato e approfondito il loro aspetto motivazionale. I comportamentisti giustificano questo fatto affermando che la motivazione è uno stato “interno” che non può essere facilmente osservato o direttamente modificato. È un concetto difficile da afferrare e dunque risulta difficile approfondirlo e donargli un ruolo significativo in una tecnologia dell’istruzione rigorosa.

John Keller negli anni ‘70 ha proposto il modello ARCS che mira a definire i criteri che influenzano la motivazione all’apprendimento. L’autore definisce 4 dimensioni da considerare durante la progettazione didattica per incentivare la motivazione dei discenti e per ogni fattore motivazionale suggerisce delle strategie educative. I quattro fattori che garantiscono la crescita e la continuità della motivazione nei discenti (attenzione, rilevanza, fiducia e soddisfazione) sono descritti in modo più dettagliato di seguito prendendo spunto da “La Rivista Elettronica” (2005).

- Attenzione: in questa fase di cerca di alimentare e mantenere la curiosità e l’interesse del discente, stimolando la ricerca e l’approfondimento.

- Rilevanza: per acuire la motivazione degli allievi è fondamentale evidenziare l’importanza del processo formativo, applicando gli aspetti analizzati teoricamente. Occorre esporre dei casi reali che gli allievi riescano a collegare con il loro quotidiano per aumentare il processo di memorizzazione. Per mantenere la curiosità occorre modificare gli stili didattici, diversificando i metodi, utilizzando un atteggiamento educativo improntato all’ottimismo. - Fiducia: il processo di apprendimento deve permettere agli allievi di accorgersi che i loro

sforzi non sono vani ma che, migliorando le loro abilità, riescono ad aumentare la propria fiducia e sicurezza in sé. Le attività proposte all’inizio del percorso devono avere un basso rischio di fallimento e devono ispirarsi ad un principio graduale di complessità. Per far ciò il docente deve creare il giusto rapporto con l’allievo strutturando il processo di apprendimento in modo che l’allievo abbia sempre la sensazione di poter raggiungere l’obiettivo prefissato. Inoltre è fondamentale che i discenti siano responsabilizzati tramite test di autovalutazione in modo che siano in grado di collegare il successo educativo con gli sforzi fatti.

- Soddisfazione: il grado di soddisfazione degli allievi dipende dal loro arricchimento e della possibilità di poter riutilizzare quanto appreso. In quest’ottica appare fondamentale il confronto: le testimonianze di discenti precedenti quale rinforzo, gli stimoli positivi quale ricompensa e la trasparenza nella valutazione per garantire l’equità.

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Anche Spitzer ha fornito un ulteriore contributo allo sviluppo di questo ambito. Nella sua opera “Supermotivation” (Spitzer 1995) propone alcuni aspetti (Figura 2) che possono essere usati per creare un contesto di apprendimento più motivante.

Secondo l’autore, l’inserimento di tali “motivatori” produrrà negli studenti atteggiamenti più positivi e genererà in loro più energia da destinare alle esperienze di apprendimento. Così facendo, si contribuirà a trasformare qualsiasi ambiente di apprendimento da un luogo dove gli studenti “sono obbligati a passare il loro tempo” a un luogo dove gli studenti veramente “vogliono fare del loro meglio”.

Figura 2 – Griglia dei motivatori dell’apprendimento (Spitzer, 1995)

Sintesi

I diversi autori citati in precedenza hanno evidenziato diverse caratteristiche tipiche dell’approccio costruttivista. In quest’ottica la didattica è volta a costruire un’impalcatura (scaffolding) tramite l’impiego di diverse sinergie quali il confronto tra pari, l’utilizzo di artefatti, le strategie metacognitive, al fine di creare un apprendimento attivo nei soggetti.

Quando ho deciso di introdurre alla classe l’utilizzo della stampa 3D a scopo didattico ho voluto creare un percorso che permettesse un apprendimento attivo. Ho quindi effettuato delle scelte didattiche al fine di proporre un percorso che permettesse agli allievi di costruirsi le conoscenze. Ho pensato che il lavoro a gruppi, il processo di metacognizione e la creazione di artefatti avrebbero motivato gli allievi al fine di presentare l’argomento alla classe parallela con una forma di

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Domande di ricerca e ipotesi di ricerca

Figura 3 – Relazioni tra stampa 3D, peer-teaching e artefatti, metacognizione e motivazione.

Domande e ipotesi di ricerca

Questo lavoro di diploma è stato progettato in funzione delle seguenti domande di ricerca: 1) Artefatti

Un artefatto 3D è utile per superare determinati ostacoli cognitivi, proprio perché permette una certa visualizzazione? La stampa 3D supporta la realizzazione di impalcature pertinenti alla didattica o porta a uno spreco di tempo?

2) Metacognizione

La stampa 3D ha un impatto sul processo metacognitivo? La metacognizione viene stimolata dal momento in cui gli allievi, dopo aver approfondito l’argomento, devono spiegarlo alla classe parallela (peer-teaching)?

3) Motivazione

Un percorso sviluppato attraverso l’utilizzo di mezzi tecnologici (compresa la creazione di un artefatto con la stampa 3D) favorisce l’apprezzamento delle lezioni e aumenta la motivazione degli allievi? Il peer-teaching motiva gli allievi?

In base alla mia esperienza, all’inizio del percorso ho formulato le seguenti ipotesi.

Stampa 3D Peer-teaching 1 Artefatti 2 Metacognizione 3 Motivazione

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1) Come già descritto nella prefazione, questo lavoro di diploma scaturisce dalle mie prime esperienze in qualità di docente. Ho constatato che la maggior parte degli allievi, di fronte a un quesito da risolvere, si focalizza unicamente sul risultato finale. Quando non giungono a un risultato in tempi brevi, o se il risultato ottenuto non è quello corretto, gli allievi si demoralizzano facilmente assumendo un atteggiamento rinunciatario. Gli allievi rappresentano raramente la situazione descritta dal testo del problema, oppure disegnano schizzi incompleti solo per sottostare al contratto didattico senza realmente credere nell’importanza della rappresentazione quale apporto significativo utile alla risoluzione. A mio avviso la visualizzazione della situazione (grazie a disegni e artefatti) aiuta molto a identificare il procedimento da eseguire. Molti dubbi degli allievi si risolvono unicamente e rapidamente con la rappresentazione dell’oggetto. L’utilizzo della stampa 3D permette all’allievo di lavorare molto sulla visualizzazione dell’artefatto in fase di progettazione con TinkerCad e inoltre permette di ottenere un modellino solido e preciso che può essere conservato nel tempo.

Un’altra problematica concerne l’analisi del processo risolutivo messo in atto al fine di scoprire l’errore. Secondo me questa analisi poco approfondita da parte degli allievi scaturisce anche da una comprensione superficiale dell’argomento che potrebbe essere parzialmente più chiara utilizzando gli artefatti e dando importanza alla metacognizione. Ritengo dunque che l’utilizzo di artefatti aiuti nella risoluzione di situazioni matematiche e consenta di mettere in atto più facilmente un processo metacognitivo al fine di identificare un procedimento lineare per giungere al risultato corretto.

2) Il fatto di dover presentare un argomento ai compagni della classe parallela stimola la creatività degli allievi. Per progettare un percorso didattico coerente e semplice da spiegare, gli allievi mettono in atto strategie metacognitive al fine di determinare schede e artefatti con una struttura efficace per evitare di incappare in banali errori.

3) Un altro fattore che incide sulla motivazione degli allievi è l’utilizzo delle tecnologie. A mio avviso gli allievi sono molto affascinati dall’evoluzione tecnologica e dunque una progettazione didattica che ne prevede l’utilizzo aumenta notevolmente la motivazione dei discenti. Ai nostri giorni è presente in ogni ambito la componente tecnologica perciò, a mio avviso, è indispensabile proporre agli allievi delle attività che riflettano lo sviluppo della società. L’utilizzo della stampa 3D al fine di progettare un artefatto che verrà in seguito stampato potrebbe a mio avviso accrescere l’interesse degli allievi.

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Quadro metodologico

La classe campione

La sperimentazione è stata svolta in una delle due classi in cui insegno quale docente di matematica. La scelta è ricaduta sul corso base di terza media composto da 15 allievi (9 ragazzi e 6 ragazze) in quanto sono alunni per me nuovi che non avevano ancora avuto alcun approccio con la stampa 3D. Inoltre l’argomento “piramide” si prestava molto bene per questa tipologia di lavoro in quanto l’artefatto è molto utile per visualizzare le possibili applicazioni del teorema di Pitagora.

Considerazioni riguardanti la motivazione, la partecipazione e le relazioni

Gli allievi seguono quello che viene proposto e, malgrado a volte debbano essere richiamati all’ordine per non perdersi in distrazioni inutili, lavorano generalmente in modo adeguato. Alcuni allievi devono essere continuamente sollecitati a esercitarsi. Nonostante ciò reputo che il livello di lavoro della classe sia buono. Durante le lezioni dialogate quasi tutti gli allievi esprimono la propria opinione. Chi è più restio a partecipare a causa della timidezza, quando sollecitato, risponde comunque in modo adeguato. Un buon numero di allievi riesce a mettere le proprie competenze a disposizione dei compagni offrendo il proprio aiuto. Il confronto tra pari avviene in modo naturale ma talvolta conduce a toni di voce elevati che occasionalmente generano qualche discussione.

L’organizzazione del percorso

Il metodo d’indagine adottato nella mia ricerca ha lo scopo di osservare un determinato evento e monitorarlo al fine di derivarne delle caratteristiche strutturali. Nel caso specifico ho analizzato l’attitudine degli allievi sottoposti a un percorso didattico “classico” e successivamente la loro attitudine nei confronti di un percorso didattico più innovativo incentrato sull’utilizzo dei mezzi tecnologici e l’utilizzo di artefatti. La tabella 1 mostra la struttura del percorso didattico “classico” in cui, per introdurre i prismi alla classe, ho previsto una lezione frontale tradizionale ed in seguito degli esercizi di applicazione da far svolgere agli allievi.

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Tabella 1 – Struttura del percorso “classico”

L’obiettivo iniziale che mi sono posta nel percorso didattico “innovativo”, descritto nella tabella 2, è quello di far svolgere agli allievi delle attività per far scoprire loro le caratteristiche della piramide. Ho scelto questi due argomenti perché hanno delle analogie a livello didattico: si tratta di solidi geometrici in cui è di fondamentale importanza la loro visualizzazione nello spazio con lo scopo di comprenderne meglio la composizione ed evitare errori.

Tabella 2 – Struttura del percorso “innovativo” Attività percorso

“classico”

Obiettivi Durata Sviluppo della lezione Raccolta informazioni Verifica diagnostica cartacea Verificare le conoscenze pregresse degli allievi

1 ora Esercizio

individuale

Diario allievi Diario docente Schede teoriche sui

prismi Presentare l’argomento alla classe 1 ora Lezione frontale e lezione dialogata Diario docente Diario allievi Schede di esercizi Svolgere gli esercizi

applicando i concetti 3 ore Esercizi a coppie / piccoli gruppi. Diario docente Diario allievi Verifica formativa Testare l’apprendimento 1 ora Lavoro individuale

Attività percorso “innovativo”

Obiettivi Durata Sviluppo della lezione

Raccolta informazioni

Verifica diagnostica

con Socrative Verificare le conoscenze pregresse degli allievi 1 ora individuale Esercizio Diario docente Diario allievi Attività di scoperta

sulla piramide

Attività laboratoriali e creazione di un

cartellone

5 ore Lavoro a gruppi Diario allievi

Diario docente Presentazioni gruppi

e verifica formativa derivati dalle attività. Presentare i concetti 2 ore risposte dei gruppi Messa in comune: Diario docente Diario allievi Verifica sommativa

e metacognizione

Analisi ostacoli e progettazione percorso

2 ora Lavoro a gruppi Focus group

Analisi dei percorsi Scegliere il percorso ottimale 1 ora Discussione a grande gruppo Focus group Preparazione percorso definitivo Impaginare le schede e creare l’artefatto

2 ore Powerpoint, Word

e TinkerCad

Diario docente

Peer-teaching Presentare l’argomento alla classe parallela

2 ore Cimentarsi nel

ruolo di docenti

Diario allievi di due classi

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Al fine di stabilire l’efficacia di questo percorso didattico riguardante la piramide, pensato appositamente per questo lavoro di diploma, ho dovuto monitorare la situazione anche durante il percorso didattico sui prismi in modo da poter confrontare le situazioni. Ho dunque cercato di focalizzare l’attenzione sui metodi da adottare e gli strumenti da utilizzare per monitorare le situazioni che si sono verificate in aula (osservazioni, questionari, focus group, raccolta documenti).

La struttura del percorso

Fase 0: percorso sui prismi

Inizialmente ho proposto agli allievi il percorso “classico” sui prismi. Una lezione frontale mi ha permesso di spiegar loro i concetti chiave e in seguito gli allievi li hanno applicati nella risoluzione di diversi esercizi. Dopo aver proposto agli alunni il percorso sui prismi in modalità classica ho raccolto le osservazioni degli allievi al riguardo. Ho conservato i questionari contenenti il loro punto di vista al fine di confrontarli con i questionari scaturiti dal percorso “innovativo”. In seguito ho proposto agli allievi il percorso “innovativo” sulla piramide suddividendolo nelle tre fasi descritte di seguito:

Fase 1: dalla scoperta della piramide alla verifica formativa

Inizialmente gli allievi hanno esplorato le attività proposte e hanno riassunto le caratteristiche strutturali della piramide in un cartellone. Successivamente ho posto una domanda ad ogni gruppo il quale ha risposto facendo riferimento alla parte del cartellone confacente all’interrogazione. In questo modo sono state messe in comune le proprietà fondamentali e ogni allievo ha provato poi a svolgere una verifica formativa. Per rilevare alcune informazioni riguardanti la motivazione, gli artefatti e l’utilizzo delle tecnologie gli allievi hanno completato un questionario che ho loro sottoposto in più occasioni.

Fase 2: L’analisi degli errori e la progettazione del percorso

Secondariamente sono stati consegnati a ogni gruppo tutti i procedimenti risolutivi della verifica formativa proposti dai 15 componenti della classe. Ogni gruppo ha analizzato le soluzioni e qualora avesse trovato degli errori doveva capirne la natura. Alla fine di questo processo metacognitivo è

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stato dedicato un momento al focus group in modo che gli allievi potessero esplicitare le loro considerazioni a riguardo. Sulla base delle difficoltà riscontrate ogni gruppo ha dovuto progettare un percorso utile per presentare l’argomento “piramide” ai compagni del corso attitudinale.

Fase 3: Scelta del percorso ottimale, preparazione e presentazione.

Infine i gruppi hanno esplicitato le loro proposte e, dopo un momento di discussione in cui ho suggerito loro alcuni accorgimenti, è stato scelto il percorso da realizzare. Si è trattato di una presentazione con animazioni per presentare:

- la costruzione di una piramide partendo da un poligono; - i vari segmenti appartenenti alla piramide;

- la definizione di piramide; - l’area della piramide;

- le possibili applicazioni del teorema di Pitagora; - il volume della piramide.

Gli allievi hanno preparato con Word degli esercizi da far svolgere ai coetanei dopo la presentazione di ogni concetto. Inoltre hanno deciso di preparare un artefatto che permettesse di meglio visualizzare la composizione della piramide. Siccome all’inizio dell’anno gli avevo proposto un’attività in cui dovevano utilizzare TinkerCad per creare un portapenne hanno deciso di creare l’artefatto utilizzando questo programma e di stamparlo con la stampante 3D. Dopo il momento di

peer-teaching gli allievi hanno completato un questionario per capire il loro grado di

apprezzamento del percorso. Un questionario simile è stato sottoposto anche agli allievi del corso attitudinale per analizzare cosa pensassero a riguardo gli artefatti, la stampa 3D e riguardo questa modalità di esposizione.

La modalità di lavoro

Ho cercato di variare le modalità di lavoro spaziando tra attività individuali, lavoro di gruppo e discussioni collettive. Ho preferito il lavoro individuale nelle fasi in cui dovevo verificare i requisiti degli allievi.

Il lavoro di gruppo è invece stato preso in considerazione nelle attività di scoperta, quando il confronto tra pari è ben accettato e auspicato. In questi momenti ho suddiviso la classe in 4 gruppi. Il motivo di tale suddivisione è presto detto: se avessi deciso di formare unicamente 3 gruppi sarebbero stati troppo numerosi mentre se avessi optato per la suddivisione in 5 gruppi ogni gruppo

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sarebbe stato composto da soli 3 elementi che, in caso di assenze, avrebbe ridotto il confronto tra due soli compagni, cosa che ho ritenuto inopportuna. Inoltre mettere in comune le idee di 5 gruppi sarebbe risultato ancor più difficoltoso.

La messa in comune tra i gruppi è un buon metodo per fare delle riflessioni e per poterne trarre delle conclusioni.

Gli strumenti di osservazione per la rilevazione dei dati

I diversi strumenti di indagine scelti per questo lavoro sono: (a) le osservazioni del docente, (b) i questionari degli allievi, (c) le considerazioni derivanti dai momenti in cui sono state condivise le idee (focus group), parallelamente a (d) le loro produzioni. Ognuno degli elementi è stato utile per analizzare i dati e trarre le conclusioni al termine del percorso.

Le osservazioni del docente

Durante le lezioni ho osservato il comportamento degli allievi e ho segnato su un diario i fatti particolarmente significativi riguardanti l’utilizzo di artefatti, il processo metacognitivo messo in atto dagli allievi e la loro motivazione. In particolare, sia durante il lavoro a gruppi che in quello individuale, ho monitorato elementi di disturbo o di interesse, interventi non pertinenti o molto utili allo svolgimento della lezione, così come le loro credenze riguardo a concetti richiesti durante la lezione e le loro riflessioni riguardo ai procedimenti proposti. Infine, dopo ogni attività, ho annotato una descrizione globale del gruppo classe. La traccia in cui ho scritto le mie osservazioni è presente nell’allegato 1.

I questionari degli allievi

Gli allievi hanno completato a più riprese dei formulari per identificare il loro grado di comprensione dell’argomento e di apprezzamento della lezione. Diversi item sono stati proposti per monitorare i tre aspetti su cui si focalizzano le domande di ricerca di questo lavoro: l’importanza degli artefatti per la visualizzazione di un solido, lo sviluppo di processi metacognitivi, l’influenza della stampa 3D e del peer-teaching sulla motivazione degli allievi. I questionari si differenziano negli item in base all’attività cui fanno riferimento. I questionari presentano domande aperte, domande a scelta multipla e scale Likert. I questionari sottoposti sono presenti nell’allegato 2.

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Focus group

In due momenti del percorso ho condotto un’intervista ad un numero limitato di allievi per esplorare in modo approfondito le loro opinioni e i loro atteggiamenti. Le domande sono state poste in modo tale da testare le ipotesi di ricerca. La traccia utilizzata per porre le domande agli allievi è presente nell’allegato 3.

Il primo focus group, durato una ventina di minuti, mi ha permesso di porre alcune domande (traccia presente negli allegati) a 6 allievi scelti in modo casuale. L’obiettivo è stato quello di verificare il loro grado di consapevolezza negli errori compiuti durante la verifica e farmi spiegare il procedimento efficace per giungere alla soluzione corretta (ragionamento metacognitivo).

In un secondo momento ho intervistato gli altri componenti della classe per capire quanto ritengono importante l’utilizzo degli artefatti nella spiegazione di un determinato argomento e il ragionamento metacognitivo che hanno messo in atto per progettare l’artefatto con TinkerCad.

Le produzioni degli studenti

Tutto il materiale prodotto dagli allievi durante le diverse attività è stato ritirato ed è stato analizzato accuratamente. Dai documenti degli allievi che ho raccolto le loro idee, le loro credenze e le difficoltà comuni per mezzo dei quali ho potuto trovare le risposte alle domande di ricerca che mi ero posta.

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Documentazione del percorso

Di seguito sono descritte le diverse attività che ho proposto durante il percorso. Nella prima parte ho esposto le attività riguardanti i prismi che ho proposto agli allievi. Nella seconda parte ho descritto le attività concernenti la piramide: dalla scoperta del solido alla presentazione dello stesso ad una classe parallela.

Percorso “classico” sui prismi

Innanzitutto ho proposto agli allievi una verifica diagnostica cartacea per testare il loro livello di conoscenze e competenze sui prerequisiti necessari per trattare l’argomento “prismi”.

Dopo aver misurato le loro conoscenze, ho preparato una scheda di teoria. Quest’ultima era strutturata in modo da definire: la differenza tra solidi di rotazione e poliedri, la classificazione dei prismi, l’identificazione della faccia caratterizzante e l’altezza del prisma, lo sviluppo del prisma evidenziando l’area delle basi, l’area laterale, l’area totale e il concetto di volume. Gli allievi, in seguito alle informazioni fornite da me, hanno completato la scheda. In seguito, ho distribuito una scheda di esercizi utile agli allievi per applicare i concetti appena introdotti. In questa fase di esercitazione gli allievi hanno potuto collaborare e beneficiare del confronto tra pari per chiarire i loro dubbi.

La settimana successiva ho proposto loro una verifica formativa in modo da poter monitorare il loro livello di apprendimento. Durante queste fasi ho osservato la classe e scritto delle osservazioni concernenti la loro applicazione (motivazione e comportamento) come anche sulla riuscita degli esercizi segnalando i principali ostacoli riscontrati. Gli allievi, dal canto loro, hanno compilato il diario. Gli item mi hanno permesso di raccogliere la loro impressione dal punto di vista disciplinare (riguardo al materiale utilizzato, alla modalità della lezione, al livello di comprensione) e dal punto di vista pedagogico (interesse, motivazione, collaborazione).

Dalla scoperta della piramide alla verifica formativa

Come prima attività di approccio alla piramide ho sottoposto agli allievi una verifica diagnostica. Tramite il sito “Socrative” ho creato un questionario per verificare le loro conoscenze pregresse. Le domande diversificate ponevano l’accento su diversi concetti (il perimetro, l’area, il volume) come

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anche sulle le loro credenze riguardanti la piramide (identificare le piramidi, colorare una possibile base, stabilire un possibile numero di facce, confrontare dei solidi). Alcune domande permettevano agli allievi di dare una risposta aperta, altre proponevano risposte multiple o vero/falso. Gli allievi si sono recati in aula di informatica e dopo aver spiegato loro la modalità di accesso al questionario hanno svolto il “quiz”. Anche durante questa fase mi sono annotata il loro comportamento e la loro modalità di lavoro e, una volta terminato il quiz, ho proposto loro di compilare il diario. Questa modalità mi è stata utile per capire il loro grado di conoscenza riguardo ai prerequisiti e per rilevare le credenze comuni più diffuse tra gli allievi. Il feedback proposto da questa attività mi ha permesso di creare dei gruppi omogenei per cominciare il percorso.

Per introdurre la piramide ho preparato 14 mini attività (allegato 4) strutturate e ordinate in modo che gli allievi potessero utilizzare le conoscenze pregresse per diventare gli artefici del loro apprendimento. Questa modalità di lavoro non prevede che le schede elenchino agli allievi la descrizione del solido o che il docente presenti loro l’artefatto come se fosse un solido totalmente nuovo, bensì ho proposto attività laboratoriali in cui gli allievi risultavano i fautori del loro sapere. Sono stati proposti degli esercizi mirati per stimolare gli allievi nel definire il concetto di piramide. Gli alunni partendo delle loro conoscenze si sono fatti un’idea sulla piramide, hanno cercato di definire le sue caratteristiche per poi progredire nella definizione del solido, oggetto di studio, anche aiutandosi con diversi materiali (Geomag, cartoncini, cannucce) che ne hanno permesso la costruzione. Successivamente i gruppi hanno ripreso le 14 attività e hanno sintetizzato gli aspetti principali della piramide su un cartellone.

Una volta completate le 14 attività ogni allievo ha completato il diario. Durante questa fase il mio ruolo è stato prettamente di organizzatore nella distribuzione delle 14 schedine per ogni gruppo e di osservatore, al fine di monitorare e prendere nota di tutte le dinamiche scaturite all’interno dell’aula.

La lezione successiva è stata dedicata alla presentazioni. Per evitare che ogni gruppo presentasse tutti i concetti scaturiti dalle 14 attività ho sottoposto ad ogni gruppo una domanda in modo che la presentazione si concentrasse unicamente su quel concetto rendendo la lezione meno ripetitiva. Le domande formulate dalla sottoscritta rendevano gli allievi attenti:

- sull’identificazione della piramide (base, vertice, spigoli, apotema, altezza); - sullo sviluppo (formule per calcolare area di base, area laterale, area totale; - sui triangoli per possibile applicazione del teorema di Pitagora;

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Durante le presentazioni i membri degli altri gruppi si annotavano le parole chiave che sono in seguito state scritte alla lavagna. Al termine della lezione ogni gruppo ha riformulato la definizione di piramide partendo dai concetti esposti alla lavagna e ha provato a risolvere una situazione problema. Durante questa fase ho segnato tutte le osservazioni e ho fatto compilare il diario agli allievi per monitorare l’esperienza appena vissuta.

Nella settimana seguente ho preparato una verifica formativa per capire se questa modalità di insegnamento fosse stata efficace. Gli allievi hanno svolto singolarmente la prova e l’hanno consegnata alla sottoscritta che ha proceduto alla correzione. In seguito ogni allievo ha dovuto rispondere a 4 domande:

- Hai riscontrato difficoltà nello svolgere la verifica formativa? Quali?

- Se non hai avuto difficoltà prova a descrivere le difficoltà che si potrebbero riscontrare. - Sei riuscito a svolgere l’esercizio c)? Quale ostacolo occorre superare?

- So identificare le parti della piramide?

- So applicare il teorema di Pitagora nella piramide?

L’analisi degli errori e la progettazione del percorso

Nella fase successiva ho distribuito a ogni gruppo tutte le soluzioni proposte dai compagni. Ogni gruppo ha dovuto analizzare tutte le risoluzioni per stabilire se i compagni avessero svolto l’esercizio in modo corretto o se avessero compiuto un errore. Nel momento in cui l’allievo ha incontrato delle difficoltà, il gruppo ha analizzato il procedimento per stabilire quale fosse stata la fonte dell’errore. Gli allievi hanno riflettuto sugli errori per scoprire la difficoltà riscontrata e riflettere su un metodo risolutivo.

Questa fase metacognitiva ha occupato più tempo del previsto: gli allievi non sono abituati a svolgere questo tipo di compito probabilmente perché non ne capiscono l’importanza o non è mai stato loro insegnato a farlo. Solitamente il contratto didattico prevede che l’allievo risolva gli esercizi proposti dal docente ma solo raramente agli allievi viene sottoposta alla soluzione per analizzare il procedimento per scoprirne eventuali errori. Dall’analisi delle risoluzioni dei compagni è scaturita una discussione per identificare i possibili errori definiti dai diversi gruppi.

Durante questa fase di messa in comune ho quindi appuntato ciò che hanno proposto gli allievi e ho poi lanciato loro una sfida. Gli allievi avrebbero dovuto progettare una lezione per i compagni del corso attitudinale che non avevano ancora trattato l’argomento piramide. Li ho invitati a riflettere

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sulle difficoltà da loro riscontrate al fine di progettare una lezione efficace che permettesse ai compagni di non commettere gli stessi errori.

Gli allievi inizialmente hanno mostrato una duplice reazione: erano entusiasti di progettare qualcosa di nuovo ideato da loro ma allo stesso tempo erano un po’ timorosi e irrequieti per il fatto di dover presentare di fronte ai compagni. Quando ho spiegato che ognuno avrebbe dato il proprio contributo presentando una piccola parte del percorso ideato, si sono innescate due tipi di reazioni. Coloro che spontaneamente non si sarebbero candidati per la presentazione hanno capito che, dato il coinvolgimento di tutti, avrebbero dovuto affrontare la loro ansia. Per contro coloro che si erano immaginati lunghi momenti di monologhi hanno tirato un sospiro di sollievo. La situazione di tensione si è affievolita quando hanno capito che avrebbero dovuto collaborare nella progettazione del percorso e che in base alla strutturazione del loro lavoro avrebbero potuto facilitare il loro ruolo di presentatori. Il fatto che fossero compagni di corso A non ha destato particolari preoccupazioni: chi era perplesso riguardo alla presentazione avrebbe mostrato la stessa emozione anche se avesse dovuto presentare ad un altro corso base, mentre chi ha accolto in modo positivo la sfida ha gioito nel sapere che avrebbe potuto dimostrare le sue capacità ai compagni di corso attitudinale.

Ogni gruppo ha quindi pensato a un percorso. (allegato 5). Tutti i gruppi hanno pensato all’utilizzo di Powerpoint, ma le tempistiche della lezione di presentazione alla classe parallela variavano da 45 minuti a 4 ore. Alcuni gruppi hanno previsto la costruzione della piramide da parte dei compagni del corso A, altri hanno portato un modellino già costruito. Alcuni gruppi proponevano anche una fase di esercizi, altri invece hanno presentato solo la teoria.

Dopo avermi esposto la struttura della lezione e la modalità di presentazione ho suggerito quale percorso avrebbe potuto essere più efficace. La classe ha quindi preparato:

- un Powerpoint con animazioni sul quale basarsi per presentare l’argomento all’altra classe; - le schede con gli esercizi che sono state sottoposte ai compagni dell’altra classe dopo aver

spiegato ogni concetto (descrizione del solido, area del solido, applicazione del teorema di Pitagora, volume del solido);

- un esercizio finale per permettere ai compagni di testare il loro apprendimento; - un artefatto che ha aiutato la visualizzazione del solido.

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