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Analisi filogeografica dell'occhione (Burhinus oedicnemus, Aves Charadriiformes) nella parte occidentale del suo areale di distribuzione

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Biologia

Corso di Laurea Magistrale in

Conservazione ed Evoluzione (classe LM-6)

Analisi filogeografica dell'occhione (Burhinus

oedicnemus, Aves Charadriiformes) nella parte

occidentale del suo areale di distribuzione

Candidata: Beatrice Pedone

Relatori:

Dott. Dimitri Giunchi

Dott.ssa Mariella Baratti

Dott.ssa Alessia Mori

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Indice

Riassunto ... 3

Abstract ... 4

INTRODUZIONE ... 5

MARCATORI MOLECOLARI IN GENETICA DI POPOLAZIONE ... 8

MICROSATELLITI ... 8

DNA MITOCONDRIALE ... 11

FINALITÀ DELLA TESI ... 14

MATERIALI E METODI ... 15 LA SPECIE ... 15 CAMPIONI ... 24 ANALISI GENETICHE ... 26 ANALISI STATISTICHE ... 35 RISULTATI ... 43 DISCUSSIONE ... 62 CONCLUSIONI ... 67 LETTERATURA CITATA ... 69 RINGRAZIAMENTI ... 84

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Riassunto

Gli uccelli associati agli ambienti steppici o pseudo-steppici negli ultimi decenni stanno mostrando un declino demografico soprattutto per cause di origine antropica. Nello specifico l’occhione Burhinus oedicnemus (Aves, Charadriiformes), una specie tipica di questi ambienti, è incluso in vari programmi di protezione a causa del suo stato di conservazione sfavorevole dovuto alla riduzione e trasformazione del suo habitat, al progressivo abbandono delle pratiche agricole di tipo tradizionale a favore di quelle di tipo intensivo e all'espansione urbana verso le aree rurali.

Le difficoltà di studio della specie mediante metodi diretti a causa del suo comportamento elusivo hanno suggerito l’utilizzo di indagini genetiche al fine di approfondire aspetti quali la struttura genetica, le strategie di dispersione, la diversità genetica, il flusso genico tra le popolazioni nella parte occidentale del suo areale e la conferma della identificazione delle sottospecie descritte su base fenotipica. A questo scopo sono stati analizzati sei loci microsatelliti e due segmenti mitocondriali (ATP6/8 e ND2) in 11 popolazioni che occupano il settore occidentale dell’areale di distribuzione della specie. I sei microsatelliti sono risultati polimorfici e in equilibrio di Hardy-Weinberg in tutte le popolazioni analizzate e non hanno mostrato linkage

disequilibrium. Le popolazioni risultano caratterizzate da 36 (ND2) e 22 (ATP6/8)

aplotipi mitocondriali, con una diversità aplotipica media di HND2=0,790; HATP6/8=0,731

e una diversità nucleotidica di π ND2=0,004; π ATP6/8=0,006. I risultati mostrano un significativo livello di differenziazione genetica tra le popolazioni delle Isole Canarie (Gran Canaria-GC, Fuerteventura-FV) e tutte le altre popolazioni europee (Isole Baleari-BA, Veneto-VE, Taro (PR)-TA, Toscana-TO, Sicilia-SI, Sardegna-SD, U.K.-UK, Tunisia-TU, Grecia-GR) (FSTmicro=0,1955; FSTmtDNA=0,3771). Tra le popolazioni

europee e nord-africane al contrario si individua un elevato flusso genico e un livello di divergenza non significativo per entrambi i marcatori. Per quanto riguarda la caratterizzazione genetica delle sottospecie, le popolazioni assegnate su base fenotipica alla sottospecie B.o.oedicnemus (VE, TA, TO, SD, UK) e alla sottospecie B.o.saharae (BA, GR, SI) non presentano differenze significative a livello di frequenze alleliche sia dei microsatelliti che del mtDNA. La popolazione Tunisina (sottospecie saharae) invece mostra un certo grado di differenziazione dalle restanti popolazioni ma solo per i loci microsatellitari. Le due popolazioni delle isole Canarie, assegnate alle due sottospecie

B.o.insularum e B.o.distincus, non mostrano differenze genetiche significative tra di

loro né per i microsatelliti nè per il DNA mitocondriale.

Questa tesi rappresenta un contributo importante per la caratterizzazione della struttura genetica dell'occhione e per comprenderne i confini sottospecifici nella parte occidentale dell’areale di distribuzione, fornendo un utile supporto per l'analisi delle caratteristiche ecologiche e comportamentali della specie e per la sua conservazione.

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Abstract

Steppic and pseudo-steppic birds are suffering a population decline in recent decades, especially due to anthropogenic causes. Specifically, the Stone-curlew

Burhinus oedicnemus (Aves, Charadriiformes ), a typical steppic species, is included in

various conservation programs because of its unfavorable conservation status due to the reduction and transformation of its habitat, the gradual abandonment of traditional agricoltural practices, the urbanization of rural areas and the intensive agriculture.

Due to difficulties inherent in the studying of this specie, given its elusive behavior, the use of genetic analysis is particularly suitable in order to explore issues such as genetic structure, dispersal strategies, genetic diversity, gene flow between populations in the western part of its range and the existence of the subspecies described on the basis of phenotypic data.

To this aim six microsatellite loci and two mitochondrial segments (ATP6/8 and ND2) were analyzed in 11 populations that inhabit the western part of the distribution range of the species. Six microsatellites were polymorphic and in Hardy-Weinberg equilibrium in all populations analyzed and showed no linkage disequilibrium. The populations are characterized by 36 (ND2) and 22 (ATP6 / 8) mitochondrial haplotypes, with an average haplotype diversity of HND2 = 0.790 and HATP6/8 = 0.731 and a

nucleotide diversity of π ND2 = 0.004 and π ATP6/8 = 0.006. The results showed a

significant level of genetic differentiation between Canary Islands populations (Gran Canaria GC - Fuerteventura -FV ) and all the other European populations (Balearic Islands BA, Veneto VE, Taro (PR) – TA, Tuscany TO, Sicily SI, Sardinia SD, UK -UK, Tunisia -TU , Greece -GR) (FSTmicro = 0.1955; FSTmtDNA = 0.3771). On the

contrary, a high level of gene flow emerged between European and North-African populations and no-significant differences for both markers were recorded. Regarding the genetic characterization of subspecies of the Stone-curlew, the populations assigned to the subspecies B.o.oedicnemus (VE , TA , TO, SD , UK) and to the subspecies

B.o.saharae (BA , GR , SI) are not significantly different in allele frequencies both for

microsatellite and mtDNA. The population TU (subspecies saharae), however, shows a certain degree of differentiation from the other populations but only for the microsatellite loci. The two populations of Canary Islands, assigned to the two subspecies B.o.insularum and B.o.distincus, show no significant genetic differences between them neither for microsatellite nor for the mitochondrial DNA.

This thesis represents an important contribution to the characterization of the genetic structure of the species B. oedicnemus and to understand the subspecific boundaries in the western part of its distribution range, providing a useful support for the analysis of ecological and behavioral characters of the species and for its conservation.

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INTRODUZIONE

Gli uccelli associati alle steppe, ambienti naturali a clima continentale con suoli pianeggianti e aridi (Petretti, 2006), e alle pseudo-steppe, ambienti semi-naturali formati da un mosaico di coltivi, caratterizzati prevalentemente da bassa vegetazione arbustiva e erbacea (Laiolo & Tella, 2006), hanno subito negli ultimi decenni un’importante riduzione demografica. Delle 27 specie di uccelli associate a questi habitat presenti in Europa, l’81% mostra uno stato di conservazione sfavorevole, il 39% è in declino e il 37% è sotto protezione a livello internazionale (Tucker & Heath, 2004; Burfield, 2005). Le nazioni più importanti per la conservazione di queste specie in Europa sono Russia, Spagna e Turchia che complessivamente ospitano il 97% delle popolazioni a rischio (Burfield, 2005).

Le principali cause di questo fenomeno sono da ricercare nella trasformazione e contrazione dell’habitat dovute all’abbandono di pratiche agricole tradizionali, alla loro conversione in terreni coltivati in modo intensivo (Brotons et al., 2004, 2005), all’eccessivo carico di pascolo, allo sviluppo urbano (Sanchez-Zapata et al., 2003) ed agli incendi. Inoltre, questi ambienti, avendo una bassa produttività primaria, spesso sono stati sostituiti da attività industriali (miniere, discariche di rifiuti, parchi eolici) (Laiolo & Tella, 2006). Attualmente le steppe sono incluse nell’Annesso I della Direttiva Habitat (92/42/CEE), ma in generale godono di poche misure di protezione (Tella et al., 2004). In Europa costituiscono l’habitat che maggiormente necessita di misure di conservazione (Tucker, 1997 in Laiolo & Tella, 2006)

Steppe e pseudo-steppe sono habitat accomunati da caratteristiche comuni: bassa produttività, ampia visibilità, poca protezione dai predatori e dai fattori atmosferici, ampie fluttuazioni della temperatura e scarsità di corpi idrici permanenti (De Juana, 2005). Le steppe naturali ad oggi rimaste sono concentrate in Asia centrale (Russia, Mongolia e Kazakistan) (Sanchez-Zapata et al., 2003). Le pseudo-steppe o steppe secondarie in Europa sono dislocate in Spagna, Italia, Portogallo, Francia, Grecia, Cipro e Malta (in ordine decrescente secondo l’ampiezza dell’area) (San Miguel, 2008).

L’occhione (Burhinus oedicnemus), un caradriforme caratteristico di questi habitat, risulta in declino numerico in una parte significativa del suo areale ed è incluso in vari programmi di conservazione sia a livello nazionale che europeo. Nella lista rossa IUCN la specie è classificata come Least Concern (LC); in Italia è inserita nella Lista

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Rossa degli uccelli nidificanti come “Vulnerabile” (Peronace et al., 2012), ed è classificata specie particolarmente protetta ai sensi della Legge 11 febbraio 1992, n. 157 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” (art. 2) e dalla Direttiva Uccelli 2009/147/CE (Allegato I). La troviamo nell'Allegato II sia della Convenzione di Berna sia della Convenzione di Bonn e nella categoria SPEC 3 (Species of European Conservation Concern) (Birdlife International, 2013). Secondo le stime di Birdlife International (2013) la popolazione globale di occhione è di 140.000-330.000 individui in un areale complessivo di 14.100.000 km2. Le popolazioni più consistenti risiedono in Spagna con 27.575-38.130 coppie (53%), Russia meridionale con 7.755- 15.835 coppie, 5.000-9.000 nella Francia meridionale, 3.500- 7.000 in Portogallo e 1.000-5.000 in Turchia.

Nonostante dimostri un certo adattamento agli ambienti parzialmente antropizzati come le aree coltivate (Cramp & Simmons, 1983; Green & Griffiths, 1994) negli ultimi decenni il numero complessivo di individui ha subito un calo in quasi tutto l’areale europeo e si è registrata addirittura la scomparsa totale della specie in nazioni come l’Olanda, la Germania, il Libano e Malta (Fig 1). Come accennato prima le cause principali sono la distruzione e riduzione degli habitat adatti alla riproduzione e alla nidificazione per l’intensificazione delle pratiche agricole (Delany et al., 2009) e la riduzione del pascolo che ha reso molte aree inadatte per l’occhione a causa della vegetazione troppo alta (Cramp & Simmons, 1983). Inoltre la recente espansione urbana verso le aree rurali, con la conseguente costruzione di strade, il disturbo antropico anche di tipo ricreativo, l’inquinamento acustico e visivo sembrano avere un effetto negativo sulla presenza di occhioni nidificanti in questi ambienti (Taylor et al., 2007; Clarke et al., 2013). Anche l’uso di pesticidi, la caccia, la predazione dei nidi e dei nidiacei da parte di corvidi e mammiferi e l'impatto con gli autoveicoli (De Juana et al., 2004) sono inclusi tra le cause del declino di questa specie (Brichetti & Fracasso, 2004).

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Qualità dei dati (%)-

Burhinus oedicnemus

Sconosciuta Povera

Media Buona

Fig 1. Rappresentazione grafica delle condizioni demografiche delle popolazioni di occhione negli stati in cui è presente (Birdlife International, 2004)

Ad oggi le informazioni disponibili sulla sua biologia riguardano principalmente aspetti legati alla distribuzione, all'ecologia ed al comportamento sociale e riproduttivo (Cramp & Simmmons, 1983; Giannangeli et al., 2004; Thompson et al., 2004; Vaughan & Vaughan Jennings, 2005; Taylor et al. 2007, Clarke et al., 2013; Dragonetti et al., 2013). Pochissimo si conosce riguardo ai meccanismi di dispersione e migrazione (Green et al., 1997; Hanane et al., 2010) a causa delle difficoltà dell’utilizzo di metodi diretti su questa specie dalle abitudini notturne ed elusive. Nell'ambito della biologia della conservazione l'approccio genetico costituisce quindi uno strumento estremamente importante, che consente di caratterizzare la struttura genetica di una specie, i livelli di flusso genico e di inbreeding. Questi dati sono estremamente utili nel caso di specie

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poco conosciute, in declino numerico o che possono fungere da indicatori di qualità ambientale, come nel caso delle specie ornitiche degli ambienti steppici (Campedelli et al., 2012), contribuendo allo sviluppo di programmi importanti per la loro protezione.

MARCATORI MOLECOLARI IN GENETICA DI POPOLAZIONE

Nei più moderni studi sulla genetica di popolazione si utilizzano porzioni geniche specifiche: i marcatori genetici. Un marcatore genetico è definito come un locus genico che identifica univocamente una regione cromosomica, non è necessariamente riferito all’attività di geni specifici e fornisce informazioni riguardo la diversità allelica a quel

locus (Schlötterer, 2004). I marcatori molecolari sono impiegati in molteplici campi:

nelle analisi forensi, nei test di paternità, nella biologia della conservazione, nel miglioramento delle specie vegetali ed animali ad uso commerciale, nella diagnosi di anomalie genetiche, nell’analisi di campioni da erbari e collezioni, negli studi di filogenesi ed evoluzione e come in questo caso nello studio della struttura e diversità delle popolazioni. Tra le caratteristiche importanti da sottolineare c’è la differenza tra marcatori dominanti e codominanti. Nei dominanti (es. RAPD, Random Amplified

Polymorphic DNA e AFLP, Amplified Fragment Length Polymorphisms) un allele è

dominante sull’altro e non si può distinguere l’eterozigote dall’omozigote. Nei marcatori codominanti invece è possibile distinguere il fenotipo eterozigote da quello omozigote come nei microsatelliti, negli allozimi e nei RFLP Restriction Fragment

Length Polymorphism. La maggior parte dei marcatori molecolari attualmente utilizzati

in genetica di popolazione usano la tecnica della PCR (Polymerase Chain Reaction) (Mullis, 1986) che permette di evidenziare i polimorfismi direttamente a livello della sequenza nucleotidica, partendo anche da quantità minime di DNA.

MICROSATELLITI

I microsatelliti, SSR (Simple Sequence Repeat), STR (Short Tandem Repeat) o SSLP (Simple Sequence Length Polymorphism) sono motivi nucleotidici ripetuti in tandem costituiti da 1-6 coppie di basi. Sono marcatori codominanti molto utilizzati negli studi di struttura genetica delle popolazioni in primo luogo per il loro elevato polimorfismo, determinato dalla variabilità nel numero di unità della ripetizione, e per la loro abbondanza nel genoma.

La maggior parte dei microsatelliti è considerata neutrale poiché si trova in regioni non codificanti del genoma, ad esempio negli introni. Tuttavia, alcuni si trovano

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nelle regioni codificanti proteine o in regioni promotore dove le mutazioni che causano variazioni nella loro lunghezza influenzano l’attività di trascrizione e traduzione, l’organizzazione della cromatina, la funzione genica e il ciclo cellulare (Li et al., 2002; Fondon et al., 2008) e secondo vari autori possono giocare un ruolo positivo nell’evoluzione adattativa (Li et al., 2004; Kashi et al., 2006). Al contrario di quanto si credeva a proposito della neutralità di tutti gli STR (Kimura et al., 1968) vari studi hanno dimostrato quindi la loro importanza in vari processi del ciclo cellulare proponendo una distribuzione non casuale sia in regioni codificanti che non codificanti e un’azione della selezione naturale in contrasto con un’espansione o riduzione casuale delle loro lunghezze (Li et al., 2002).

Ormai è un dato di fatto che i principali meccanismi di mutazione degli STR che portano al cambiamento nel numero di ripetizioni siano da attribuire al fenomeno del

slipped-strand mispairing (SSM o slippage) (Levinson & Gutman, 1987; Tautz &

Schlotterer, 1994) e alla ricombinazione ineguale (Toth et al., 2000). Lo slippage in breve consiste nello slittamento della polimerasi durante la sintesi del nuovo filamento di DNA nella replicazione con produzione di errori che in qualche caso sono riparati dal meccanismo di correzione delle bozze o dal mismatch repair (MMR), ma in molti altri non sono corretti generando le mutazioni.

Secondo studi sperimentali si è concluso che i tassi di mutazione dei STR (tra 10-2 e 10-6 eventi per locus per generazione) (Levinson & Gutman, 1987) sono molto elevati in paragone ai tassi di mutazione puntiforme dei loci genici codificanti.

Si possono distinguere i microsatelliti puri formati da un tipo di unità ripetuta n volte, i composti formati da due o più motivi ripetuti n volte e infine quelli interrotti costituiti da un’unità ripetuta e interrotta da motivi di DNA non ripetuti (Jarne & Lagoda, 1996). In base al numero di nucleotidi ripetuti esistono STR mono-nucleotide, di-nucleotide, tri-nucleotide, tetra-nucleotide, penta-nucleotide, esa-nucleotide. Il tipo di motivo è variabile da una regione genica all’altra: i motivi tri- o esanucleotidici sono più frequenti nelle regioni codificanti che in quelle non codificanti dove è maggiore anche il contenuto in G+C (Toth et al., 2000).

La fissazione di STR neoformati è influenzata da vari fattori come il tipo di ripetizione, la posizione degli STR nel genoma e l’ambiente genetico-biochimico della cellula in cui si generano. Diversi taxa manifestano differenti ‘preferenze’ per il tipo di STR (Tautz & Schlotterer, 1994) e il contenuto complessivo di STR è correlato positivamente con le dimensioni del genoma di un organismo. Quindi si crede che,

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nell’evoluzione dei genomi dagli eubatteri fino agli umani, il meccanismo dello

slippage abbia avuto un ruolo essenziale (Hancock, 1996).

I metodi sviluppati per l’isolamento ex novo di microsatelliti sono stati vari, a partire dal primo protocollo utilizzato, basato su sonde di ibridazione ripetute (Rassmann et al., 1991) fino ad assistere negli ultimi anni all’introduzione di tecniche

Next Generation Sequencing (NGS) (Gardner et al., 2011) che hanno premesso di

sequenziare l’intero genoma o più genomi contemporaneamente in pochissimo tempo. In alternativa alla realizzazione di librerie genomiche per amplificare loci microsatelliti possono essere utilizzate amplificazioni eterologhe (cross-species amplification) nelle quali si utilizzano primers caratterizzati in specie filogeneticamente vicine. La tecnica dell’amplificazione eterologa è già stata abbondantemente usata per studiare varie specie di piante (Peakall et al., 1998; Cipriani et al., 1999), pesci (Williamson et al., 2002; Mesquita et al., 2003), cetacei (Coughlan et al., 2006) e uccelli (Primmer et al, 1996; Baratti et al. 2001; Funk et al., 2007; Barbanera et al. 2010; Scandura et al., 2010; Forcina et al., 2013).

L’utilizzo dei STR come marcatori è utile in molti ambiti della biologia (biologia della conservazione, biologia dell’evoluzione, genetica di popolazioni, filogeografia) per le informazioni che può fornire riguardo alle relazioni di parentela, alla diversità genetica di popolazioni, specie e generi, la sua capacità di individuare fenomeni di

inbreeding e deriva genetica e conseguentemente rintracciare le possibili minacce alla

sopravvivenza di una popolazione. L’abbondanza all’interno del genoma, l’elevato tasso mutazionale, la trasmissione mendeliana, la semplicità nell’estrazione, amplificazione ed analisi sono i vantaggi che rendono i microsatelliti particolarmente utilizzati anche in medicina (test di paternità, oncologia, medicina forense) (Gill et al., 2001; Gryfe et al., 2000).

Alcuni limiti riscontrati nell’utilizzo dei microsatelliti sono causati da problemi tecnici come l’amplificazione erronea di alcuni frammenti che genera artefatti (stutter

band) oppure la mancata amplificazione di alcuni alleli in individui eterozigoti

(presenza di alleli nulli o drop out) che si manifesta con un eccesso di individui omozigoti nella popolazione. Inoltre mutazioni nelle sequenze di attacco dei primer possono generare un’errata o mancata amplificazione e portare a risultati ambigui.

Tra gli uccelli la maggior parte dei markers microsatellitari è stata sviluppata per gli ordini Passeriformes e Galliformes (Kupper et al., 2008). In generale un limite riscontrato nei microsatelliti di uccelli è quello di essere meno abbondanti rispetto a

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quelli presenti nei mammiferi a causa della minore presenza di regioni non codificanti nel loro genoma. Questo dato di fatto rende quindi complicato lo sviluppo di una mappa genetica ricca di marcatori per questa classe e fa sì che le amplificazioni eterologhe risultino particolarmente utili nello studio della genetica di questo taxon (Primmer et al., 1997). Finora sono stati fatti molti studi sui Caradriformi utilizzando questi marcatori (Friesen et al., 2007; Marthinsen et al., 2007; Kupper et al., 2009; Draheim et al., 2010; Kupper et al., 2012) ma quasi nessuno che interessasse la famiglia Burhinidae o

Burhinus oedicnemus nello specifico (Mori, 2011).

DNA MITOCONDRIALE

Il DNA mitocondriale (mtDNA) animale è costituito da una doppia elica circolare in cui sono presenti due geni ribosomiali (rRNA), 22 geni per gli RNA transfer (tRNA), e 13 geni che codificano per le subunità degli enzimi che intervengono nel trasporto di elettroni o sintesi di ATP (Anderson et al., 1981). La regione di controllo, la posizione in cui inizia la replicazione e la trascrizione, non possiede geni strutturali e nei vertebrati è costituita da una struttura ad anello detta displacement-loop (D-loop).

Grazie alle sue proprietà quali il tasso di ricombinazione molto basso (Piganeau et al., 2004), l'ereditarietà materna, la struttura genetica semplice, la dimensione della popolazione (Ne) ridotta, i veloci tassi di evoluzione e il breve tempo di coalescenza (Avise et al., 1983; Moritz et al., 1987), il mtDNA è un'importante fonte di informazioni per lo studio di taxa strettamente imparentati e permette di rilevare recenti differenziazioni/isolamenti genetici nella popolazione. Inoltre è presente in multi-copia nelle cellule, è situato in un organello diverso dal nucleo, non ha strutture complesse tipiche del nucleo come introni o sequenze ripetute, è distribuito in tutto il regno animale e possiede un contenuto uniforme in geni (Wilson et al., 1985).

Molte informazioni sulla struttura delle popolazioni in esame possono essere ricavate dalle analisi sul mtDNA, come ad esempio la distribuzione degli aplotipi nell'areale della specie, il flusso genico, il tasso di crescita della popolazione, il modello di selezione naturale, la biogeografia, le relazioni filogenetiche e il tasso di ibridazione (Wilson et al., 1985). Tutti questi aspetti sono compresi nel concetto di filogeografia introdotto da Avise et al.(1987). L’alto tasso di mutazione del mtDNA nei Vertebrati (da 5 a 10 volte più rapido del DNA nucleare) (Brown et al., 1979), è in gran parte dovuto a sostituzioni di basi (le transizioni (A → G, C → T) sono molto più abbondanti delle transversioni (A → C, A → T, G → C, G → T)) (Brown & Simpson, 1982; Cann et al.,

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1984), e qualche piccola delezione e inserzione. Sono invece poco frequenti i riarrangiamenti, le delezioni e le inserzioni di ampia scala (Kessler & Avise, 1985). Il confronto di sequenze di mtDNA tra taxa filogeneticamente vicini può essere attuato studiando il pattern di sostituzioni di basi tenendo presente comunque che i diversi frammenti del mtDNA possono cambiare a un tasso diverso. Ad esempio la “regione di controllo” (che è una regione non codificante) muta molto rapidamente sia all'interno che tra le specie; al contrario le regioni dei geni rRNA e tRNA risultano essere le più conservate (Brown, 1985) e perciò risultano adatte per analisi filogenetiche a livelli tassonomici anche superiori alla specie.

Da numerosi studi sul mtDNA degli uccelli, è emerso che le specie delle medie latitudini possiedono tra loro un valore di distanza genetica più piccolo rispetto ad altre specie ornitiche delle zone tropicali (Brown et al., 2004). Si è visto che questa caratteristica è presente anche nel DNA nucleare e nella sequenza aminoacidica delle proteine (Avise et al., 1980; Ellegren, 2010). Sono state avanzate alcune ipotesi per spiegare tale pattern: 1) recente età evolutiva di molte specie di uccelli (Ball & Avise, 1992); 2) il tasso evolutivo delle proteine è rallentato negli uccelli a causa di selezione contro certe sostituzioni aminoacidiche che possano alterare il controllo fisiologico della temperatura interna (Kessler & Avise, 1985). Anche a livello di sottospecie o popolazione negli uccelli sono stati riscontrati bassi livelli di differenziazione genetica (condivisione di aplotipi mitocondriali) anche tra individui di zone geografiche piuttosto lontane e spesso non è emersa corrispondenza tra i dati molecolari e le differenze sottospecifiche basate su dati fenotipici (Ball & Avise, 1992).

Il DNA mitocondriale dei Caradriformi è stato studiato da vari autori (Paton & Baker, 2006; Baker et al., 2007; Pereira & Baker, 2008) per indagare le relazioni filogenetiche di quest’ordine. Paton & Baker (2006) hanno constatato che per risolvere le relazioni filogenetiche l’approccio migliore è quello di combinare un ampio campionamento e lunghe sequenze perché i frammenti troppo brevi non possiedono sufficienti siti informativi. Nel loro studio su 14 geni mitocondriali di 17 famiglie di Caradriformi è emerso che i geni ND2 e ATP8 possiedono la maggiore variabilità nella composizione in basi, mentre 16S rRNA ha il più lento tasso di evoluzione mostrando la più omogenea composizione in nucleotidi. I geni COIII, 12S, 16S evolvono più lentamente e risultano essere più adatti a distinguere divergenze più antiche all’interno dell’ordine, mentre lo studio di geni mediamente variabili come ATP6 e Cyt b aiuta a stabilire le relazioni dal livello di famiglia, genere e specie.

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Vari studi sugli uccelli sono stati condotti analizzando il DNA mitocondriale, nucleare o entrambi. Attraverso il loro confronto Zink et al. (2008), sono giunti alla conclusione che il mtDNA è un buon indicatore della struttura geografica della popolazione e dei modelli filogeografici, ma sono necessari più loci per stimare i tempi di coalescenza, quantificare il flusso genico e il tasso di crescita. Tali autori inoltre hanno rilevato una generale corrispondenza tra i marcatori mitocondriali e nucleari. Il mtDNA mostra però maggiore variabilità intersessuale rispetto al genoma nucleare, specialmente quando gli individui femminili sono più sedentari dei maschi. Perciò lo studio della distribuzione spaziale di marcatori mitocondriali è altamente informativo su fenomeni di dispersione differenziale tra i due sessi. In generale un basso livello di polimorfismo del mtDNA segnala un recente bottleneck o una dispersione più abbondante tra gli individui femmina.

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FINALITÀ DELLA TESI

Lo scopo della tesi è stato quello di utilizzare marcatori molecolari per studiare la specie

Burhinus oecdinemus, l’occhione, un uccello di interesse conservazionistico classificata

come least concern (LC) dalla IUCN (2012), con un trend negativo di popolazione registrato in buona parte del suo areale di distribuzione. Circa il 30% della popolazione mondiale nidifica in Europa e nel restante Paleartico occidentale dove sono frequenti la distruzione, riduzione e frammentazione del suo habitat dovute prevalentemente a fattori di origine antropica.

Nonostante questo stato di conservazione sfavorevole, sono poche le informazioni disponibili sulla sua biologia soprattutto a causa del comportamento criptico ed elusivo e delle abitudini notturne che ne rendono difficile lo studio. In particolare sono pochissimi i dati relativi alla struttura genetica delle popolazioni nonché ai loro movimenti migratori ed al pattern di dispersione. Utilizzando loci nucleari e mitocondriali è stata analizzata la struttura genetica della specie nella parte occidentale del suo areale di distribuzione, il flusso genico tra le popolazioni e la variabilità inter e intra-popolazionale. Inoltre, l’uso dei marcatori molecolari ha permesso di verificare l’esistenza delle sottospecie descritte su base fenotipica ed evidenziare eventuali strategie di dispersione differenziale tra i sessi.

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MATERIALI E METODI

LA SPECIE

Posizione sistematica

L’occhione è incluso nell’ordine monofiletico Charadriiformes, un gruppo cosmopolita che rappresenta uno dei più ampi cladi degli uccelli, con 366 specie raggruppate in 19 famiglie. Sulla base di studi genetici l’ordine può essere suddiviso in tre sottordini: Scolopaci, Lari e Charadii (Paton et al., 2003; Paton & Baker, 2006; Baker et al., 2007, Pereira & Baker, 2008).

Secondo stime dei tempi di divergenza basate su analisi di sequenze di DNA mitocondriale l’età dell’antenato comune a tutti i Caradriformi è stata stimata tra 85 e 102 milioni di anni fa, mentre l’origine dei tre sottordini è stata datata tra 98 e 79 milioni di anni fa. La maggiore diversificazione, quella dei generi, avvenne però nel Terziario, tra il Paleocene e il Miocene (66-15 milioni di anni fa), probabilmente successiva a fenomeni di estinzione dovuti all’impatto di un asteroide (Baker & Pereira, 2009). I Caradriformi iniziarono a diversificarsi nel tardo Cretaceo (Baker et al., 2007) e i fossili trovati hanno caratteristiche simili ai limicoli moderni del genere Burhinus (Feduccia 1980 in Vaughan & Vaughan Jennings, 2005). Il più antico Burhinus fossile,

B. lucorum, risalente a 30 milioni di anni fa (inizio del Miocene), fu scoperto in

Nebraska (USA.) e probabilmente abitò in ambienti fluviali (Bickart, 1981 in Vaughan & Vaughan Jennings, 2005).

La specie qui studiata appartiene al sottordine Charadrii, famiglia Burhinidae, la quale include due generi, Esacus, con due specie, e Burhinus, che comprende sette specie:

B. capensis (Lichtenstein, 1823), B. senegalensis (Swainson, 1837) e B. vermiculatus

(Cabanis, 1868) vivono in Africa; B. bistriatus (Wagler, 1829) in Centro e Sud America;

B. superciliaris (Tschudi, 1843) in Sud America; B. grallarius (Latham, 1802) in

Australia e Nuova Guinea e B. oedicnemus (Linnaeus, 1758) in Europa centro-meridionale, Asia, Nord Africa.

Burhinus oedicnemus è una specie politipica e la suddivisione in sei sottospecie

(cinque secondo Rasmussen & Anderton, 2005) si fonda unicamente su caratteri morfologici (Vaurie, 1963; Cramp & Simmons, 1983; Vaughan & Vaughan Jennings,

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2005). B. o. oedicnemus vive in gran parte dell’Europa continentale e sud-est dell’Inghilterra; B. o. haerterti nella regione orientale del Mar Caspio fino all’India; B.

o. indicus in India, Bangladesh, Sri Lanka e sud-est asiatico; B. o. insularum nelle Isole

Canarie orientali (Fuerteventura, Lanzarote, La Graciosa, La Alegranza); B. o. distinctus nelle Isole Canarie occidentali (El Hierro, La Palma, Tenerife, Gran Canaria, La Gomera); B. o. saharae in Africa nord-sahariana e Medio Oriente.

Le principali caratteristiche delle sottospecie sono le seguenti: B. o. distinctus è leggermente più piccolo di B. o. oedicnemus, con striature più marcate e ventre più bianco; B. o. insularum invece ha ali più corte del B. o. distinctus e una colorazione più pallida e meno striata superiormente; B. o. indicus è piccolo e più scuro, ma la sottospecie con strisce più brune e marcate è B. o. oedicnemus che risulta avere anche le dimensioni maggiori; infine B. o. saharae è di colore rossiccio, mentre B. o. haerterti è grigiastro, più pallido di B. o. oedicnemus, B. o. indicus e B. o. saharae, con striature marroni meno appariscenti, più grande di B. o. saharae ma leggermente più piccolo di

B. o. oedicnemus (Vaurie, 1963; Cramp & Simmons, 1983; Vaughan & Vaughan

Jennings, 2005).

Morfologia

L’occhione è un uccello di medio-grandi dimensioni (40-44 cm di lunghezza, apertura alare di 77-85 cm) (Cramp & Simmons, 1983). Il piumaggio è prevalentemente di colore marrone-sabbia generalmente a macchie (Fig 2), per permettere un efficace criptismo in suoli sabbiosi. Il capo è marrone con il contorno occhi bianco; il becco è nero e giallo; occhi e zampe sono di un giallo intenso, mentre le ali sono prevalentemente marroni con tre caratteristiche bande (scura-bianca-scura) perpendicolari al rachide delle copritrici. Non è stato riscontrato un marcato dimorfismo sessuale negli occhioni adulti (Giunchi & Pollonara, 2007), anche se la banda bianca sull’ala tende ad essere più contrastante negli individui maschi (Green & Bowden, 1986; Barros C., 1994 in Vaughan & Vaughan Jennings, 2005). Le uova sono grigie con evidenti macchie nere-marroni ben mimetizzate con il terreno per ridurre il rischio di predazione (Tinbergen et al. 1962; Solis et al. 1995). Il piumaggio allo stadio giovanile, che generalmente si completa alla 5° settimana dopo la schiusa, ha una colorazione più pallida color sabbia; il capo non è marcatamente striato e presenta un’area più estesa di color bianco sotto gli occhi. Generalmente gli occhioni compiono una muta parziale prima della stagione riproduttiva in primavera e una totale dopo la riproduzione. La

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muta inizia con la sostituzione delle remiganti primarie e continua con le secondarie e le altre penne dell’ala. La muta della coda e del corpo avviene tra giugno e settembre prima dell’inizio della stagione migratoria (Vaughan & Vaughan Jennings, 2005; Giunchi et al, 2008).

Fig 2. Rappresentazione di Burhinus oedicnemus.© Paschalis Dougalis.

Distribuzione

L'areale di nidificazione dell’occhione (Fig 3) è ampio ma discontinuo, con popolazioni stanziali e altre migratrici come quelle del Centro-Nord Europa (Delany et al., 2009) e della Siberia occidentale. La regione settentrionale dell'Africa e alcune regioni del Medio Oriente invece ospitano le zone di svernamento, anche se talvolta alcuni gruppi sostano in Italia, Francia e Spagna meridionale sovrapponendosi alla popolazione residente.

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Fig 3. Areale di distribuzione di Burhinus oedicnemus. In marrone le aree di riproduzione; in arancione le aree di svernamento; in arancione chiaro le aree con popolazioni residenti. Birdlife International, 2013.

In Italia (Fig 4) l'occhione è localizzato lungo i fiumi e torrenti della pianura padana del Veneto, Emilia-Romagna (Brichetti & Fracasso, 2004) e Friuli Venezia Giulia. In centro Italia è diffuso lungo il litorale toscano e laziale (Boano et al., 1995) e in meridione sugli altipiani calcarei vicino a Matera; sulle Murge, nel Gargano e nel Tavoliere in Puglia (Rizzi & Cripezzi, 1994); in Sardegna settentrionale e occidentale e in Sicilia soprattutto nella piana di Gela (Brichetti & Fracasso, 2004).

Nonostante alcune evidenze relative ad un trend positivo delle popolazioni in regioni come Emilia Romagna (Parco Regionale del Taro, Caccamo et al., 2009), Piemonte (Parco Regionale del Po, Gagliardone et al., 2009) e Lazio (Meschini, 2009), la specie risulta nel complesso ancora in declino (Peronace et al., 2012). Nel nostro Paese sono stati stimati 1000-1500 individui maturi e il centro-nord ospita circa 100-150 coppie (Brichetti & Fracasso, 2004). In Emilia Romagna la popolazione situata lungo il fiume Taro, importante affluente del Po, è quella con una delle densità di coppie più alta in tutta Europa. Grazie a dettagliate informazioni raccolte in questa zona dal 1985 al 2007 si può notare un trend positivo della popolazione che è passata da 55 coppie nel 2004 a 100 nel 2006 e da una densità nel parco di 0,32 individui/ha nel 2005 a 0,43 nel 2007 (Giunchi et al., 2009). Le isole maggiori hanno popolazioni più

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abbondanti con circa 475 e 705 coppie in Sicilia, soprattutto nella piana di Gela, di Catania e nell’altipiano ragusano (Ientile et al., 2009) e 500-1500 coppie in Sardegna settentrionale e occidentale (Nissardi & Zucca, 2009).

Gli ambienti fluviali sono risultati di notevole importanza per la riproduzione e nidificazione di questa specie soprattutto in Italia (Caccamo et al., 2011). Fin dal secolo XIX tali habitat sono stati notevolmente ridotti a causa di interventi antropici (strutture artificiali e opere idrauliche messe in opera per controllare i flussi e le portate dei corsi d’acqua) che hanno alterato la struttura dei fiumi e delle rive. La conservazione e protezione degli ambienti fluviali risulta dunque di notevole importanza per la sopravvivenza della specie (Pollonara et al., 2008) ma finora le informazioni riguardo alle condizioni degli occhioni associati agli ambienti fluviali sono poche e relative al territorio italiano.

Fig 4. Distribuzione dell’occhione in Italia. Brichetti & Fracasso, 2004. Habitat in periodo riproduttivo

L’occhione, a differenza degli altri limicoli, non è strettamente associato alle zone umide ma vive e nidifica in zone aride con clima continentale (steppe e pseudosteppe), a medie-basse latitudini con clima temperato o su isole desertiche-semidesertiche mediterranee e atlantiche (Cramp & Simmons, 1983; Delany et al., 2009). Il range altitudinale va dal livello del mare fino a 300 m nelle popolazioni centro-settentrionali mentre a Sud dell’areale come nelle Isole Canarie o in Nord-Africa vive a quote più

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elevate (fino a 2250 m per la sottospecie saharae in Marocco (Thévenot et al., 2003 in Vaughan & Vaughan Jennings, 2005). Oltre alle condizioni climatiche anche la topografia costituisce un elemento essenziale nel determinare l’habitat riproduttivo dell’occhione che infatti predilige terreni pianeggianti o lievemente collinari, occupando le vallate ed evitando le cime di dune e colline (Vaughan & Vaughan Jennings, 2005).

La specie è esigente riguardo al tipo di terreno e di vegetazione, preferendo suoli sabbiosi o ghiaiosi, asciutti e calcarei (definiti rendzina), spesso in prossimità di rive fluviali, zone costiere, paludi salate e aree umide (Cramp & Simmons, 1983), con vegetazione bassa e rada (Green et al., 2000) (Fig 5). Attualmente l’habitat fluviale di tipo ghiaioso ha un ruolo importante non solo come sito riproduttivo ma anche come fonte di cibo durante la riproduzione (Caccamo et al., 2011). Le preferenze nella scelta dell’habitat tuttavia possono cambiare durante il corso della stagione riproduttiva poiché cambia la struttura e l’altezza della vegetazione circostante (Green & Griffiths, 1994). La specie si adatta a nidificare anche nei coltivi (Green et al., 2000), purché caratterizzati da pratiche agricole di tipo non intensivo.

Habitat in periodo non riproduttivo

In Italia durante lo svernamento l’occhione visita all’incirca gli stessi ambienti del periodo riproduttivo, quali terreni arati e praterie. Nell'Italia centro-settentrionale svernano poche centinaia di individui, prevalentemente concentrati in Toscana (Giovacchini et al., 2009; Tinarelli et al., 2009). Tra le isole la Sardegna registra la più grossa popolazione svernante in Italia con ca. 200 esemplari (Nissardi & Zucca, 2009). Le altre popolazioni svernanti sono state osservate in Sicilia e Puglia (Tinarelli et al., 2009). Durante l’inverno 2007-2008 in Lazio è stata scoperta una nuova piccola popolazione di occhioni svernanti vicino alla costa (Tuscania e Monte Romano) in un arido territorio steppico semi-naturale. Negli inverni dal 2008 al 2010 un altro gruppo svernante è stato documentato più a sud vicino a Fiumicino in un’area antropizzata di 7 km2 caratterizzata da edifici urbani e industriali in costruzione o abbandonati. Nella stagione 2009-2010 sono stati trovati occhioni svernanti in un’area vicina a Fiumicino ma caratterizzata da terreno con superficie irregolare, presenza di stagni di acqua dolce e vegetazione bassa e rada (Biondi et al., 2011).

In Catalogna (Spagna) in uno studio del 2010 (Rost et al., 2010) si testimonia la presenza invernale di occhione in un’area chiamata La Selva circondata da rilievi e caratterizzata da un mosaico di terreni coltivati (alberi da frutto, cereali e girasoli) e

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foreste di querce e pini. Sempre in Spagna nella zona Los Monegros sono stati trovati gruppi di occhione in stagione non riproduttiva che occupavano zone a vegetazione alofila . Quest’area è la maggiore steppa iberica ma anche quella con il maggiore grado di trasformazione dovuto alle attività agricole; infatti gli animali si vedevano costretti a sostare in ristrette fasce di vegetazione naturale a lato delle strade o di laghi salini dove l’eterogeneità e l’altezza della vegetazione erano maggiori rispetto ai campi di cereali e permettevano un ottimo criptismo (Tella et al., 1996).

Fig 5. Occhione su terreno roccioso con bassa vegetazione. Foto: © Ruedi Aeschlimann. Comportamento

L'occhione è un animale crepuscolare-notturno, schivo e diffidente. Si muove preferibilmente dopo il tramonto fino all’alba, periodo in cui le sue prede sono più attive sulla superficie del suolo e risulta più facile la loro individuazione (Cramp & Simmons, 1983; Caccamo et al., 2011). Si pensa che la prominenza e le grandi dimensioni dei suoi occhi siano una specializzazione alle attività notturne e alla vastità dell’ambiente in cui vive (Martin & Katzir, 1994). Oltre a possedere un aspetto criptico sia da giovane che da adulto, l’occhione mostra spesso anche un comportamento elusivo, rimanendo spesso immobile acquattato al suolo in presenza di pericolo.

Per quanto riguarda il comportamento sociale, questa specie è gregaria nel periodo pre-migratorio, quando forma gruppi numerosi (anche 200-300 individui ) e durante lo svernamento (Selous, 1900 in Vaughan & Vaughan Jennings , 2005). Nel periodo riproduttivo invece la struttura sociale è formata da coppie nidificanti che occupano lo stesso territorio per diversi anni consecutivi (Meschini, 2010). È una specie

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caratterizzata da monogamia stabile (Cramp & Simmons, 1983) e ogni coppia possiede un piccolo territorio attorno al nido che è difeso dai conspecifici.

L’occhione è un migratore parziale (Vaughan & Vaughan Jennings, 2005) e la gran parte delle popolazioni migratrici vive nel Centro-Nord Europa e nell’Asia centrale. La migrazione post-riproduttiva inizia nella seconda metà di agosto per le popolazioni più settentrionali (ad esempio quelle inglesi); in ottobre-novembre per le altre (Cramp & Simmons, 1983). La partenza dai siti di svernamento in Africa avviene principalmente a marzo e i quartieri riproduttivi sono rioccupati da fine marzo a inizio aprile (Snow & Perrins, 1998 in Delany et al., 2009). Le popolazioni inglesi migrano in autunno sorvolando la Francia, la Penisola Iberica e l’Africa nord occidentale (Marocco, Algeria)(Green et al., 1997). Similmente gli occhioni della Francia meridionale si spostano in direzione sud-ovest verso il nord-Africa occidentale e la Spagna (Delany et al., 2009). Nelle popolazioni della penisola iberica, delle isole Canarie, delle Baleari, delle isole greche, dell'Europa meridionale, dell’Asia sud-orientale e del subcontinente indiano non è stato documentato il comportamento migratorio. In Italia, gli individui nidificanti in Sardegna, Sicilia e Puglia dovrebbero essere residenti, mentre le altre popolazioni sono tendenzialmente migratrici (Brichetti & Fracasso, 2004). Riguardo la sottospecie saharae ci sono pochi dati sui suoi movimenti, ma sembrerebbe presente tutto l’anno in gran parte del suo areale. Ci sono alcune evidenze che le popolazioni dell’Africa settentrionale siano parzialmente migratrici, come suggeriscono alcuni spostamenti rilevati verso la costa atlantica africana e la presenza di alcuni individui appartenenti alla sottospecie saharae svernanti in Senegal. Le popolazioni mediorientali sembrano essere residenti, mentre in Turchia e in Arabia la sottospecie è presente solo durante lo svernamento o il periodo migratorio (Cramp & Simmons, 1983). Le popolazioni dell’Asia nord-occidentale (Siberia) appartenenti alla sottospecie haerterti sono migratrici e si spostando prevalentemente verso l’Iraq e la Penisola Arabica. Gli individui che nidificano in Iran e Afghanistan risultano invece prevalentemente residenti. Non ci sono informazioni relative alla migrazione post-riproduttiva delle popolazioni del Pakistan e India (sottospecie indicus), che sembrano compiere esclusivamente movimenti locali. Le due sottospecie delle isole Canarie (insularum e

distinctus) non mostrano comportamento migratorio ma soltanto movimenti tra isole

adiacenti (ad esempio tra La Graciosa e Lanzarote) (Cramp & Simmons, 1983).

Le informazioni relative ai movimenti di dispersione (sia natale che riproduttiva) sono ancora meno dettagliate di quelle riportate per la migrazione. Nonostante alcune

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indicazioni generiche (Cramp & Simmons, 1983; Green et al., 1997; Vaughan & Vaughan Jennings, 2005; Clarke et al., 2013), infatti, non è possibile allo stato attuale definirne l'estensione, né capire se esistono differenze su base sessuale relative all'entità degli spostamenti.

Biologia riproduttiva

L'occupazione dei territori riproduttivi avviene verso marzo/aprile e l’accoppiamento si svolge all’interno di questi territori. Le due uova sono deposte normalmente in tre giorni e la cova è a carico di entrambi i partner (Cramp & Simmons, 1983; Vaughan & Vaughan Jennings, 2009; Hanane, 2010) per una durata di 24/27 giorni. Come osservato da Vaughan & Vaughan Jennings (2009) la maggior parte delle uova hanno aspetto e dimensioni diverse all’interno dello stesso nido e variano anche a seconda della distribuzione geografica (le più grandi in centro-Europa e sud dell’Inghilterra). Durante l’incubazione i due genitori rimangono nel territorio riproduttivo a meno che non vengano disturbati dall’uomo o da predatori. I nidi sono spesso degli avvallamenti circolari o ellissoidali contenenti oggetti come frammenti di vegetazione o piccoli elementi litici. La schiusa avviene lo stesso giorno o in giorni consecutivi. I pulli sono nidifughi e lasciano il nido entro le 12 ore dalla schiusa. I due genitori comunque aiutano i loro pulli durante i primi giorni nella ricerca del cibo, procurando e porgendo loro le prede sul terreno (Cramp & Simmons, 1983).

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24 CAMPIONI

I campioni utilizzati per le analisi provengono da 11 località: da cinque regioni italiane (Veneto, Emilia-Romagna, Sicilia, Sardegna, Toscana), dall’Inghilterra, da due Isole Canarie (Gran Canaria e Fuerteventura), da un’isola delle Baleari (Minorca), dalla Tunisia e dalla Grecia (due isole: Creta e Rodi) (Fig 6). Gli occhioni di queste zone risultano appartenere a quattro delle sei sottospecie descritte per questa specie:

oedicnemus, saharae, distinctus e insularum (Tab 1).

Fig 6. Mappa dei siti di provenienza dei campioni: Inghilterra (UK), Veneto (VE), Emilia-Romagna-Taro (TA), Toscana (TO), Sicilia (SI), Sardegna (SD), Tunisia (TU), Is. Baleari (Minorca) (BA), Is. Canarie (Gran Canaria-GC e Fuerteventura-FV), isole greche (Creta e Rodi) (GR). Google Maps - ©2013 Google.

I campioni sono stati raccolti durante operazioni di cattura-marcatura-ricattura oppure da individui morti in natura. Il materiale di partenza a disposizione era sangue, penne e tessuto muscolare che dopo essere pervenuto al CNR-ISE sezione di Firenze, è stato catalogato, suddiviso e conservato in freezer alla temperatura di -20°C.

I campioni provenienti dalla Isole Canarie sono stati raccolti dal 2008 al 2011. In particolare quelli provenienti da Fuerteventura nel 2009, mentre quelli da Gran Canaria

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in tutti gli anni dalle zone di Lomos Tomas Leon (Aqucas), Castillo del Romeral e Arinaga. I campioni provenienti dal Parco Regionale del Taro (Emilia-Romagna) sono stati raccolti negli anni 1999-2001, 2006-2013. Gli individui della Sicilia provengono principalmente dalla Penisola di Magnisi (SR), provincia di Ragusa, Enna e Caltanissetta e risalgono agli anni 2008, 2010, 2011. I campioni toscani provengono dalla provincia di Grosseto, quelli della Sardegna dall'Isola dell'Asinara e dalla provincia di Cagliari nel 2011 e 2012, quelli della Grecia da Creta e Rodi del 1998, 2003, 2007; dalle Isole Baleari (Minorca) dal 2008 al 2013, dall'Inghilterra le regioni di provenienza sono le contee di Norfolk e Suffolk, Wiltshire e Hampshire del 1997, 2010, 2013. Dalla Tunisia i campioni utilizzati provengono dalle regioni Sidi-Thabet (località Béjaoua), Kairouan (località Sbikha), Isola di Kerkennah (località Bounouma), Gabes (località Kettana e M’Dou), Bouhedma (località Hadeg) e Sfax (località Thyna).

Aree di

campionamento Sigla N° Sottospecie Movimenti

FUERTEVENTURA FV 7 B.o. insularum residente GRAN CANARIA GC 22 B.o. distinctus residente UK UK 6 B.o. oedicnemus migratore

VENETO VE 7 B.o. oedicnemus principalmente migratore

TARO TA 41 B.o. oedicnemus principalmente migratore

TOSCANA TO 11 B.o. oedicnemus parzialmente migratore

SARDEGNA SD 7 B.o. oedicnemus? residente

SICILIA SI 46 B.o. saharae? principalmente residente

TUNISIA TU 17 B.o. saharae parzialmente migratore

IS. BALEARI BA 20 B.o. saharae residente

GRECIA GR 6 B.o. saharae residente

Tab 1. Aree di campionamento, sigle di riferimento, n° di individui campionati, sottospecie e comportamenti migratori delle popolazioni studiate. Attribuzione delle sottospecie in accordo con Cramp & Simmons (1983) and Vaughan & Vaughan-Jennings (2005).

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26 ANALISI GENETICHE

Estrazione del DNA

I campioni di sangue e tessuto muscolare sono stati preservati in etanolo 96%, mentre le penne sono state conservate in etanolo 96% o a secco. L'estrazione del DNA è stata eseguita con il DNeasy Blood and Tissue Kit QIAGEN®, seguendo le indicazioni del protocollo della ditta costruttrice.

L’estrazione del DNA ha incluso 3 fasi:

 Lisi cellulare associata con l’inattivazione delle nucleasi cellulari

 Eliminazione delle proteine

 Eluizione dell’acido nucleico

La lisi cellulare deve avere la proprietà di frammentare il materiale del campione di partenza senza deteriorare l’integrità del DNA. Lo scopo di questa fase è di liberare il DNA dai nuclei e dalle proteine istoniche ed inoltre di inattivare le proteasi. Dopo un periodo di incubazione è necessario procedere con la precipitazione delle proteine. Lo scopo di questa seconda fase è la separazione del DNA dalle componenti cellulari (proteine, lipidi, polisaccaridi) e sostanze interferenti. Questo è un procedimento molto importante perché all’interno della membrana citoplasmatica ormai degradata ci sono vari enzimi e proteine in grado di degradare il DNA o di legarsi andando a interferire con i successivi trattamenti enzimatici.

La purificazione del DNA si esegue filtrando la soluzione contenente il DNA per mezzo di un microfiltro costituito da silice che successivamente è lavato con soluzioni saline contenenti alcool in grado di rimuovere le proteine denaturate e gli altri componenti cellulari, lasciando sulla membrana il solo DNA. In seguito si lava il DNA con acqua per permetterne il distacco dalla membrana di silice e si conclude il procedimento con la sua eluizione in soluzione a bassa concentrazione salina sterile e conservazione -20°C fino al successivo utilizzo.

Di seguito è descritto il protocollo nei dettagli:

1. Dal campione di sangue prelevare una o due gocce mentre per la digestione delle penne tagliare i calami in pezzetti lunghi 2-4 mm fino al punto in cui si è formato il coagulo di sangue nell'ombelico superiore appena prima del rachide.

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2. Immergere il materiale in soluzione contenente 180 µl di Buffer ATL e 20 µl di Proteinase K (attività: 40mAU/mg di proteina) che degrada le proteine di membrana e le nucleasi.

3. Vortex per 15 minuti e incubare a 56°C per 4 ore o per un’intera notte. 4. Aggiungere 200 µl di Buffer AL e vortex per 15 secondi.

5. Incubare a 70°C per 10 minuti.

6. Centrifugare a 8000 rpm per 1 minuto. 7. Aggiungere 200 µl di etanolo 96-100%. 8. Vortex per 15 secondi e centrifuga.

9. Aspirare il contenuto dell'eppendorf e inserirlo in una QIAamp Spin Column dotata di filtro. Centrifugare a 8000 rpm per 1 minuto. Mettere la Spin Column in una eppendorf pulita da 1,5 ml e gettare il tubo contenente il filtrato.

10. Aggiungere 500 µl di Buffer AW1 e centrifugare a 8000 rpm per 1 minuto. Mettere la Spin Column in una eppendorf pulita da 2 ml e gettare il tubo contenente il filtrato.

11. Aggiungere 500 µl di Buffer AW2 e centrifugare a 14,000 rpm per 3 minuti. 12. Mettere la Spin Column in una eppendorf pulita da 1,5 ml e buttare il tubo

contenente il filtrato. Aggiungere 200 µl di Buffer AE o acqua distillata. Incubare a temperatura ambiente per 1 minuto e centrifugare a 8000 rpm per 1 minuto.

Amplificazione

Per questa tesi sono stati amplificati mediante PCR nove loci microsatelliti e due frammenti del mtDNA, la NADH deidrogenasi (ND2) e le subunità 6 e 8 dell’ATP (ATP6/8).

La reazione a catena della polimerasi (PCR) utilizza la proprietà della Taq polimerasi termostabile del batterio Thermus aquaticus per ottenere una moltiplicazione di frammenti di acidi nucleici. la PCR sfrutta il principio della replicazione semiconservativa del DNA e per fare ciò necessita di desossiribonucleotidi trifosfati (dNTPs), una quantità minima di DNA, una polimerasi termo-stabile, gli “inneschi” o

primers, un buffer per mantenere stabile il pH, magnesio e acqua per portare a volume.

La PCR consta di tre fasi: nella prima fase avviene la denaturazione ad una temperatura compresa tra 94 e 99°C in cui la doppia elica del DNA si apre e si divide in

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due eliche singole libere. Nell’annealing avviene invece l’accoppiamento dei primers con le regioni a loro complementari delle eliche singole ad una temperatura minore compresa tra 45 e 60°C. Infine nella fase di estensione l’azione della Taq è massimizzata e si ha la polimerizzazione aumentando la temperatura a 65-72°C. L’insieme di questi tre steps (Fig 7) è poi ripetuto per 30-40 volte non superando i 50 cicli poiché dopo un certo numero di cicli l’amplificazione non è più esponenziale ma raggiunge un plateau dovuto a carenza di dNTP, aumento di pirofosfato (Ppi) e comparsa di DNA parassita amplificato. Le PCR multiplex utilizzate in questo studio hanno permesso l’amplificazione di numerosi loci microsatelliti nella stessa reazione con l’utilizzo di più coppie di primers.

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29 Amplificazione dei microsatelliti

I nove loci microsatelliti utilizzati sono stati scelti tra quelli isolati dal genoma del diamante mandarino Taeniopygia guttata e risultati altamente conservati e polimorfici in vari taxa di uccelli (Dawson et al., 2010) (Tab 2; Fig 8). Essi sono quindi stati amplificati per mezzo di amplificazione eterologa.

Loci CTG Sequenze (5'-3') Repeat atteso (TG)

TG05053 5

F: GCATCATCTGGTTGAACTCTC (T)4GA(T)6AA(T)16AA(T)4G(T)6 &

T(AT)8T(AT)4AA(AT)4TATACATA

R: ACCCTGTTTACAGTGAGGTGTT

TG01040 1

F: TGGCAATGGTGAGAAGTTTG

(AT)2G(AT)7AC(AT)6TT(AT)2

R: AGAATTTGTACAGAGGTAATGCACTG TG04004 4 F: CTGGAGCAGTATTTATATTGATCTTCC TATACATA R: GAAGATGTGTTTCACAGCATAACTG TG01000 1 F: TTGCTACCARAATGGAATGT (AT)8,8,3,2,3,8 R: TCCTAACCATGAGAAGCAGA TG03002 3 F: TCTTGCCTTTTTGGTATGAGTATAG (AT)11 R: TACAAAGCACTGTGGAGCAG TG01114 1 F: TTGAAACATTGTGAAGCAG (AT)3AA(AT)6 R: CAGATAGTGTCATAACAATACTTTTC TG11011 11 F: ACAAACTAAGTACATCTATATCTgAAG

(AT)9AA(AT)6TA(AT)3

R: TAAATACAGGCAACATTGG TG01124 1 F: AGTACTACTTGCCTGCAGAGTTTAT (AT)11 R: TGTGTATGGCAGCATTTACAA TG05030 5 F: CTTCCCATCACATCTGTAAC (AT)7CT(AT)3 R: GTAAACATTAATATGcAcTTTCTTAG

Tab 2. Dettagli di nove loci microsatelliti i cui primers sono al 100% omologhi nello

Taeniopygia guttata e Gallus gallus. Nella prima colonna sono riportati i nomi dei loci.

CTG si riferisce alla posizione cromosomica nel genoma di Taeniopygia guttata (numero del cromosoma). Le sequenze forward (F) e reverse (R) di ciascun primer sono indicate nella terza colonna; TG: Taeniopygia guttata. Dawson et al., 2010.

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Fig 8. Immagine dei cromosomi di Taeniopygia guttata e dei nove microsatelliti evolutivamente conservati (evidenziati in giallo), scelti per le analisi su Burhinus

oedicnemus. Dawson et al., 2010.

Per i microsatelliti sono state condotte due PCR multiplex: la prima (set1) per l'amplificazione dei loci TG05053, TG01040, TG04004, TG01000 e TG03002; la seconda (set2) per l'amplificazione dei loci: TG01114, TG11011, TG01124 e TG05030.

L’amplificazione multiplex per il Set1 e 2 è stata effettuata su un volume totale per campione di 5 μl, usando Multiplex PCR Master Mix QIAGEN® 1X (3 mM MgCl2), 10ng di DNA e concentrazioni differenziate per ogni primer. Nello specifico i

primers di TG05053, TG01040, TG04004, TG01000 e TG03002 erano 0.2 µM ognuno,

mentre TG01114 0.3 µM, TG11011 0.5 µM, TG01124 e TG05030 0.1 µM. I primer

forward di ogni locus sono stati marcati in modo differenziale con i fluorocromi HEX,

FAM e TET.

Il protocollo di PCR utilizzato per i microsatelliti è:

95 °C per 15 minuti per attivare la HotStarTaq Polymerase (QIAGEN®)

 37cicli PCR come segue:

o Denaturazione a 94°C per 30 secondi o Annealing a 57°C per 90 secondi o Estensione a 72°C per 1:30 minuti

 Incubare per altri 10 minuti a 72°C e mantenere la reazione a 4°C. I campioni possono essere conservati a -20°C fino all’utilizzo.

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31 Amplificazione mtDNA

Fig 9. Mappa del genoma mitocondriale degli uccelli. Paton et al. 2006.

Le amplificazioni dei due frammenti di DNA mitocondriale (ND2 e ATP6/8) (Fig 9) sono state condotte utilizzando primers già noti in letteratura ben conservati negli uccelli (Sorenson et al., 1999; ND2: L5216-H6313; ATP6/8: L8929-H9855). Le reazioni sono state condotte in un volume totale di 25 µl con concentrazioni di MgCl2 1,5 mM, dNTPs 0,2 mM, primers 0,5 µM ognuno, buffer 1X, Taq DNA Polymerase Invitrogen™ 1 U e 2-10 ng di DNA.

Il protocollo di PCR per il segmento mitocondriale ATP6+8 è:

 94 °C per 2 minuti per denaturare completamente il DNA.

 30 cicli PCR come segue:

o Denaturazione a 94°C per 40 secondi o Annealing a 52°C per 40 secondi o Estensione a 72°C per 1 minuto

 Incubare per altri 10 minuti a 72°C e mantenere la reazione a 4°C. I campioni possono essere conservati a -20°C fino all’utilizzo.

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Il protocollo di PCR per il segmento mitocondriale ND2 è:

 94 °C per 4 minuti per denaturare completamente il DNA.

 35 cicli PCR come segue:

o Denaturazione a 94°C per 40 secondi o Annealing a 52°C per 1 minuto o Estensione a 72°C per 1 minuto

 Incubare per altri 10 minuti a 72°C e mantenere la reazione a 4°C. I campioni possono essere conservati a -20°C fino all’utilizzo.

Determinazione del sesso negli uccelli

La determinazione del sesso negli uccelli è complicata se condotta unicamente su basi fenotipiche perché circa nel 50% delle specie di uccelli i maschi e le femmine sono identici. Considerando che l’occhione è una specie monomorfica, in questa tesi si è adottata l’analisi molecolare del sesso (Griffiths et al., 1998). In particolare ci sono due geni CHD (chromo-helicase-DNA-binding), ben conservati sui cromosomi sessuali maschili e femminili di tutti gli uccelli (esclusi i Ratidi), che hanno una lunghezza differente nei cromosomi Z e W dovuta alla diversa dimensione degli introni. L’individui femmina negli uccelli hanno genotipo ZW, mentre gli individui maschi hanno genotipo ZZ perciò, andando ad amplificare queste regioni, si otterranno due bande per gli individui femmina e una soltanto per i maschi (Fig 10).

Fig 10. Immagine di una corsa elettroforetica di frammenti sessuali. Due bande (frecce nere) indicano un individuo femmina; una banda indica un individuo maschio.

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La PCR per la determinazione del sesso è stata condotta in un volume totale di 10 µl, Buffer (- Mg) 1X, MgCl2 1,5mM, dNTPs 0,2 mM, Primer P2 0,2µM, Primer P8 0,2µM, Platinum Taq DNA polimerasi (Invitrogen™) 0.5 U e 2-10 ng di DNA.

Il protocollo di amplificazione per il sessaggio molecolare è: 94 °C per 1:30 minuti per denaturare completamente il DNA.

 35 cicli di PCR come segue:

o Denaturazione 94°C per 30 secondi o Annealing 51°C per 45 secondi o Estensione 72°C per 45 secondi

 Incubare per 1 minuto a 48 °C e 5 minuti a 72°C e mantenere la reazione a 4°C. I campioni possono essere conservati a -20°C fino all’utilizzo.

Elettroforesi su gel

L’elettroforesi è una tecnica basata sulla migrazione di molecole biologiche elettricamente cariche immerse in un fluido sotto l’effetto di un campo elettrico. In questa tecnica si utilizza un mezzo di supporto che impedisce disturbi meccanici durante la migrazione e che funge da setaccio per separare le molecole in base alle dimensioni.

Ho usato agarosio al 2% per i microsatelliti, all’1,2% per il mtDNA e al 3% per il sessaggio e il DNA (microsatelliti 4μl, mtDNA- 5/6 μl, sesso- 8 μl) ha corso rispettivamente per 30'-15'-60' a 100-150-80V (relativi a mtDNA, STR, sessaggio) in una soluzione tampone TEA (Tris/EDTA/Acetato). La visualizzazione è stata possibile grazie all’intercalazione di SYBR green con il DNA e fluorescenza su transilluminatore UV.

Sizing: analisi dei frammenti mediante elettroforesi capillare

Le dimensioni dei frammenti amplificati sono state valutate da un sequenziatore automatico (Perkin-Elmer ABI 310 analyzer) mediante elettroforesi capillare in ambiente denaturante.

La tecnologia del sequenziamento automatico prevede la rivelazione di frammenti di DNA marcati in modo fluorescente man mano che si spostano lungo il campo elettroforetico che è irradiato da un laser. Uno dei due primers (generalmente il

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fluorescente (tre marcature TET, HEX e 6-FAM) che consente di determinare la dimensione allelica al sequenziatore automatico e di separare microsatelliti di dimensioni alleliche simili con colori diversi.

Sequenziamento

Il sequenziamento del DNA è una procedura che determina la sequenza dei nucleotidi componenti l'acido nucleico. Sono stati ideati diversi modi per ottenerla e il primo fu un metodo chimico ideato da Maxam & Gilbert (1973). La tecnica ampiamente diffusa che ho utilizzato in questa tesi si basa invece su un sequenziatore a capillare che sfrutta il metodo enzimatico di Sanger e Coulson (1977).

Per il sequenziamento è necessario effettuare prima una purificazione, poi una reazione di sequenza e infine un'altra purificazione. Per la purificazione degli amplificati dai primers, dNTPs ed enzimi ho usato il kit SURE CLEAN-Bioline. Ho seguito le indicazioni del produttore riguardo al procedimento da svolgere partendo da una quantità di 15µl di DNA. A purificazione ultimata ho sospeso il DNA in 20 μl di acqua sterile. La reazione di sequenza è una PCR che usa una singola elica di DNA, uno solo dei due primers (per non generare un'amplificazione esponenziale del DNA) e una DNA polimerasi. Oltre ai dNTPs (deossi-nucleotide-tri-fosfato) nella reazione sono inseriti anche ddNTPs mancanti un gruppo -3'OH (dideossinucleoside trifosfato) e marcati con fluorocromi. Ogni volta che l'enzima DNA polimerasi incorpora un ddNTP in corrispondenza della sua base complementare sul templato, nessun altro dNTP potrà essere aggiunto alla catena nascente. La reazione di sequenza è stata eseguita utilizzando il kit ABI PRISM BigDye Terminator Cycle Sequencing Ready Reaction. Una volta terminata la PCR di sequenziamento è stata effettuata una purificazione per precipitazione con etanolo (100% e 70%), EDTA (125mM) e Na-acetato (3M, pH 5.6) per eliminare l'eccesso di fluorescenza dovuto alla presenza di ddNTPs non incorporati. Dopo la purificazione i campioni sono stati sequenziati con un sequenziatore automatico ABI Prism 310 (Perkin-Elmer, Applied Biosystem). Ogni campione è stato fatto correre lungo il tubo di elettroforesi capillare dove un rilevatore di fluorescenza identifica il segnale fluorescente emesso da ciascuna banda (una per ogni frammento di lunghezza diversa) e invia i dati al computer che registra e traduce il segnale nella sequenza lineare del DNA visibile come elettroferogramma. (Fig 11).

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Fig 11. Passaggi principali del sequenziamento partendo dal campione fino all’ elettroferogramma. http://dnasequencing.files.wordpress.com/2007/10/ce_basic.jpg

ANALISI STATISTICHE

Microsatelliti

A questo punto del lavoro i dati molecolari ottenuti devono essere analizzati per mezzo di analisi statistiche che possibilmente forniscano risultati semplici e immediati da interpretare. I dati relativi ai polimorfismi dei microsatelliti visionati e corretti con GENEMAPPER® v 3.7 (Applied Biosystems, Foster City, CA) sono stati quindi analizzati mediante l'uso di differenti software per le analisi di dati molecolari.

Per individuare la possibile presenza di alleli nulli (cioè alleli accidentalmente non amplificati), errori dovuti a slippage durante la replicazione nella PCR che generano piccoli picchi secondari (stuttering), errori causati da mancata amplificazione di un allele in individui eterozigoti (dropout) o da deviazioni dal repeat atteso, ho utilizzato il software MICROCHECKER v 2.3 (Van Oosterhout et al., 2004) con un intervallo di confidenza del 95% (10.000 ripetizioni).

Successivamente i loci microsatelliti sono stati testati con il software GENEPOP v 4.0 (Raymond & Rousset, 1995) per l’equilibrio di Hardy-Weinberg (HWE) con il metodo Markov chain o MC (Guo e Thompson, 1992) e per l’assenza di genotypic

Linkage disequilibrium (LD) (indipendenza nella segregazione dei loci) applicando il

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