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La surrogazione di maternità e lo status del minore.

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Academic year: 2021

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Valeria Santoro – La surrogazione di maternità e lo status del minore

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di giurisprudenza Corso di laurea magistrale in giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La surrogazione di maternità e lo status del minore

Relatore Candidato Prof.ssa Caterina Murgo Valeria Santoro

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Valeria Santoro – La surrogazione di maternità e lo status del minore

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… (dedico la mia tesi a te, Mamma: nonostante la tua assenza,

da molto tempo oramai, ho sentito la tua presenza sempre vicino a me in tutti questi anni di Università) …

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare, in primo luogo, la Prof.ssa Murgo, mia relatrice, per avermi supportato in ogni momento della redazione della tesi di laurea e per i preziosi spunti e consigli che mi ha saputo fornire.

Vorrei inoltre ringraziare l’Università di Pisa e i docenti che in questi anni ho avuto modo di conoscere per gli importanti insegnamenti che ne ho ricavato e la formazione che ho ricevuto.

Desidero poi ringraziare la mia famiglia, per la costante vicinanza che mi ha manifestato e in particolare Paolo, che mi ha sempre sostenuto ed aiutato in questo percorso, non privo di ostacoli.

Desidero ringraziare tutti i parenti che hanno sempre creduto in me. Vorrei inoltre ringraziare Debora, che fin dai tempi del liceo si è dimostrata amica sincera ed è stata sempre presente in ogni momento. Ringrazio inoltre la mia amica di infanzia, Giovanna, che nonostante la distanza è riuscita per questo giorno così importante ad esserci.

Da ultimo, ringrazio tutti gli amici, sia quelli conosciuti in Università che quelli di lunga data, per essermi sempre stati vicini, anche nei periodi di maggiore difficoltà e per avermi fatto vivere anni che difficilmente potrò dimenticare: Alessandro, Antonina, Dumitru, Fernando, Francesco, Sasha, Valentina.

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INDICE

Introduzione 7

Capitolo I: La procreazione assistita 17

1.1. Diritto a procreare ed essere madre nella giurisprudenza

della Corte Costituzionale 17

1.2. Il diritto a procreare nella normativa e giurisprudenza

Sovranazionali 29

1.3. Nuovi modelli familiari: famiglie ricomposte, mono –

parentali e coppie dello stesso sesso 33

Capitolo II: La maternità surrogata 42

2.1. Che cosa è la maternità surrogata: definizione 42

2.2. Le diverse forme di maternità surrogata 43

2.3. Soluzioni alle ipotesi di sterilità 45

2.4. La legge n. 40/2004: il divieto imposto all’Italia 47

2.5. Il contratto di maternità surrogata 48

2.6. Limite al potere di disporre del proprio corpo ed il

negozio di maternità surrogata 52

2.7. Il regime dei rapporti patrimoniali intercorrenti tra le parti 57

2.8. Il “Best interest of child” 61

Capitolo III: Conseguenze giuridiche al divieto della pratica e meccanismi di elusione 71

3.1. Divieto di maternità surrogata: art. 12, co. 6 della legge

n. 40/2004 71

3.2. Conseguenze giuridiche che derivano dall’applicazione dell’istituto della maternità surrogata 73 3.3. Il difficile ruolo delle madri, con particolare riferimento

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3.4. La rilevanza penale dell’alterazione di stato 79

3.5. Maternità surrogata ed ordine pubblico 91

Capitolo IV: Profili comparatistici della disciplina della

Surrogazione di maternità a livello europeo 97 4.1. La maternità surrogata negli Stati membri dell’Unione

Europea 97 4.1.1. Gran Bretagna 97 4.1.2. Spagna 100 4.1.3. Germania 105 4.1.4. Svezia 107 4.1.5. Austria 109 4.1.6. Francia 110

4.2. Alcuni casi di Stati non membri 114

4.2.1. Norvegia 114 4.2.2. Australia 114 4.2.3. Stati Uniti 114 Conclusione 120 Bibliografia 125

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INTRODUZIONE

La surrogazione di maternità ha origini storiche, la pratica di delegare a un’altra donna la procreazione di un figlio risale alla Bibbia, forte essendo anche a quel tempo il desiderio di avere un figlio arrivando a considerare che possa essere un’altra donna a partorirlo.

Viene raccontato che Sara convinse Abramo ad avere un figlio dalla propria schiava Agar, e di Giacobbe che ebbe due figli dalla schiava della propria moglie Rachele1.

Certo però che queste due vicende sembrano differenziarsi dalle tipologie di surrogazione che vi sono attualmente. Anche perché le due donne, sostituite a Sara e Rachele, rimasero sempre legate con i figli, essendo in una posizione di schiavitù con le madri committenti. La pratica quindi non nasceva come avviene oggi e cioè da una libera determinazione della parte.

Altri casi di maternità surrogata possono farsi risalire all’antica Roma e cioè nel cedere la propria moglie ad un amico, il quale non aveva avuto la fortuna di sposare una donna fertile, così da potergli garantire una discendenza.

Passando all’età moderna, possiamo dire che la maternità per sostituzione ha avuto inizio intorno agli anni settanta, con un primo caso inglese : A. v. C nel 1978.

Oggi la pratica è sicuramente diversa rispetto al passato, considerando l’evoluzione della scienza e della cura della salute, che hanno fatto sì che potesse attenuarsi quella situazione di avversione all’utilizzo della pratica di surrogazione, con la realizzazione di rapporti sessuali, e il rovescio inevitabile della medaglia per la complessità che oggi questa pratica comporta. In effetti nel passato poteva comportare una scelta sicuramente dolorosa sul piano morale e psicologico, unico limite era

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quello di concretizzarsi un’ipotesi di adulterio. Oggi sicuramente la scelta di avere un figlio mediante l’utilizzo di altra donna sembra almeno sul piano psicologico e morale più accettabile.

La pratica della surrogazione della maternità cova in se diverse problematiche, sia per quanto riguarda la molteplicità dei soggetti coinvolti che agli interessi dei bambini nati da questa pratica. Il tema oggi vive diverse tensioni sociali ponendo l’attenzione su quelli che sono i concetti fondamentali non solo del diritto di famiglia ma anche tutto quello che riguarda la società.

Il concetto di maternità, da sempre legato al principio “mater semper certa est” sembra non avere più il carattere indissolubile che poteva avere prima. Oggi il ruolo della maternità si divide tra più soggetti femminili.

La materia pone non pochi problemi, in particolare: a chi attribuire il ruolo di “madre” tra le donne coinvolte che possono essere dalle due alle tre donne, “madre sociale” cioè quella desiderosa del figlio, “madre genetica” cioè colei che dona il proprio ovulo e in fine la “madre uterina” colei che porta con se il figlio per i nove mesi e dunque nel partorirlo.

Come si fa ad attribuire la maternità a colei che non ha partorito il figlio? Ecco che nascono ulteriori problemi qualora la donna che si è presa carico di portare con sé per nove mesi il nascituro, dopo la nascita si rifiuta di consegnarlo alla madre (o alla coppia) committente. Dare fondamento al fenomeno della maternità surrogata porta con sé ulteriori situazioni di complessità per quanto riguarda anche il cambiamento culturale nell’approccio alla determinazione dei rapporti giuridici di filiazione, che da sempre si è posta con rifermento alla sola paternità.

Oggi l’esigenza di procreare ha fatto si che ci fosse un cambiamento, si è determinato il passaggio da un dovere sociale a un diritto, aumentando anche le tensioni psicologiche nel caso di fallimento. Le

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cause che portano a scegliere tale pratica sono vari fattori come l’inabilità fisica e biologica, di portare a termine una gravidanza, con riferimento specifico alle ipotesi di sterilità femminile (mancanza di ovulazione, malformazioni tubariche, menopausa precoce, anzianità del materiale genetico), oppure di impossibilità di gestazione (sia per motivi naturali, per assenza dell’utero).

Oggi le ipotesi di sterilità femminile sono aumentate a causa di diversi fattori come l’età, l’abuso di alcool e di fumo, l’eccessiva attività fisica, lo stress, l’assunzione di stupefacenti o magari l’utilizzo di alcuni farmaci e tanti altri motivi.

Dobbiamo fare una piccola distinzione sui concetti di sterilità e infertilità, sembrano due concetti uguali ma non lo sono: la sterilità è scientificamente quella situazione in cui le coppie non riescono a fondare nessun concepimento dopo almeno 12 mesi di rapporti non protetti, anche se alcuni studiosi ed in particolare l’Organizzazione mondiale della sanità, applichino un criterio di 24 mesi. Ecco che dunque la sterilità è intesa come l’impossibilità al concepimento. L’infertilità è quella situazione in cui la donna non riesce a portare a termine la gravidanza, anche dopo l’avvenuto concepimento.

Si deve dire anche che la sterilità non è legata solamente alla donna, ma vi è anche quella maschile che si accumula a quella già femminile. Sono dunque diverse coppie sia eterosessuali che omosessuali che fanno ricorso a questa pratica. Solo per riportare dati pubblicati nel rapporto finale della Commissione di esperti del Ministro della Sanità, istituita nel 1994, il 36,6% delle coppie italiane soffrono di sterilità. La richiesta di applicare questa pratica è ovviamente aumentata, anche perché sta cambiando la società in qui si sta vivendo. Infatti tante persone si dirigono all’estero, dal momento che nel nostro ordinamento interno, ricorrere alla maternità surrogata, risulta vietata. Se però cambia la società non cambia il desiderio di divenire genitore e dunque di mettere al mondo figli, che oltre ad essere un’aspettativa per la

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famiglia è un’aspettativa per la collettività, fondando un modello di famiglia tradizionale.

Si è passati con il tempo a supplire al desiderio di avere un figlio, con l’istituto dell’adozione, ma si sono ridotte le richieste. È diminuito in primis il numero degli adottabili ma anche l’evoluzione della legislazione ha fatto si che anche lo scopo dell’istituto dell’adozione, e cioè offrire una famiglia al minore che ne è privo, e non quello di attribuire alla coppia un figlio solo per soddisfare un mero desiderio di paternità e di maternità, è completamente cambiato. L’istituto dell’adozione comporta lungaggini burocratiche e controlli che vengono effettuati, comporta un allungamento dei tempi che fanno desistere dall’adottare e dunque trovare soluzioni alternative.

Prima di concentrarsi in modo approfondito sul concetto di maternità surrogata è bene avere chiaro quali sono le tecniche di fecondazione artificiale. Con “l’inseminazione artificiale” la fecondazione avviene mediante l’introduzione di gameti maschili nell’apparato genitale di una donna, lo zigote che si viene a formare è nell’ambiente naturale. Si definisce omologa se effettuata con i gameti di entrambi i coniugi o eterologa se avviene mediante gameti donati. Con la “fecondazione in vitro”, la fecondazione è extra-corporea e si effettua con diverse attività cliniche. Alla donna, futura gestante o donatrice, viene prelevato dalle ovaie il numero di ovociti maturi ritenuto sufficiente per il successo della fecondazione in vitro. Una volta che gli embrioni raggiungono un certo grado di sviluppo vengono trasferiti nell’utero della donna. In fine vi è la tecnica GIFT, ultimi traguardi della scienza per ovviare a determinati tipi di infertilità femminile. Questo tipo di fecondazione è corporea, ma sia lo sperma che l’ovocita, provenienti dal corpo della donna poi fecondata o dal corpo di un’altra donna, vengono introdotti artificialmente.

Con riferimento dunque alla fattispecie contrattuale della maternità surrogata, possiamo distinguere due diverse tipologie di intese, che

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hanno come punto centrale l’obbligazione di una donna di portare a termine una gravidanza e cederne il frutto alla coppia c.d. “committente”. L’embrione che viene affidato alla gestante può essere generato o con una fecondazione in vivo, cioè fecondazione dell’ovulo femminile con il seme del marito della coppia “committente” direttamente nell’utero della madre surrogata o con una tecnica detta FIVET, che prevede due fasi: alla fecondazione in vitro, cioè l’unione in provetta dei gameti provenienti dalla coppia “committente“ con cui si genera l’embrione, segue l’impianto dello stesso nell’utero della madre surrogata.

L’accordo si conclude con la consegna del bambino e la contestuale perdita di ogni diritto e dovere nei suoi confronti da parte di chi lo partorisce.

A tal proposito è bene definire cosa si intende per maternità surrogata: “è di quelle donne che si prestano ad avere una gravidanza e a

partorire un figlio non per se ma per un’altra donna”2

. Quindi è quella tecnica in base alla quale una donna si impegna, su commissione (con o senza corrispettivo), a portare a termine una gravidanza e a consegnare il figlio dopo il parto ai “committenti”. In questa situazione la donna incaricata presta sia il materiale genetico che la funzione di gestazione. L’accordo che scaturisce può essere posto per fini economici o anche per spirito di solidarietà, ovviamente nei riguardi di chi non è in grado di iniziare o di portare a termine la gestazione. Si alternano diverse definizioni ma si deve fare particolare attenzione perché esprimono concetti e situazioni diverse. Si parla univocamente di maternità per sostituzione, di maternità surrogata o su commissione, di locazione o affitto d’utero, di contratto di maternità, o di maternità su procura.

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Definizione che compare nel report of the Committee of Inquiry into Human Fertilisation and Embriology, presieduta da Mary Wornock, H.M.S.O., Londra 1984.

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Per “locazione d’utero”, si intende quella fattispecie in cui la donna sostituta si limita a portare avanti la gravidanza, mentre il materiale genetico impiegato è dei soggetti “committenti”.

La maternità per sostituzione si inserisce all’interno del fenomeno della procreazione artificiale anche se non costituisce una tecnica autonoma di accesso alla filiazione; l’utilizzo di queste tecniche è il “mezzo” per realizzare le diverse ipotesi di surrogazione. Vi sono diverse ipotesi: cioè quando la donna (madre sostituita) porta a termine la gestazione ricevendo l’ovulo fecondato di altra donna. L’ovulo può appartenere a colei che desidera il figlio (madre committente ed anche genetica) ma può anche provenire da altra donna (terza donatrice). Quest’ultimo caso è la surrogazione totale.

Altra ipotesi è quella di una donna (sostituta e anche genetica) che fornisce l’ovulo ma porta a termine la gravidanza. Questo caso è la surrogazione parziale.

Non siamo nell’ipotesi di maternità sostitutiva quando ci si limita a donare solo gli ovuli ad un’altra donna che desidera avere un figlio proprio.

Il seme maschile, può derivare dal partner della donna che desidera avere il figlio o anche da un terzo donatore, che può essere anche il marito della donna surrogata, ecco che si verrebbe a configurare anche l’ipotesi di paternità surrogata.

A questa pratica possono partecipare diversi soggetti facendo si che possono insorgere oltre le complicazioni biologiche anche quelle sociali e in particolare quelle che riguardano a noi, giuridiche. Alcuni ritengono che sia necessario che almeno vi sia un legame genetico con uno dei committenti.

La materia dunque pone in essere dei problemi sia etici che giuridici, rappresentando uno dei temi più attuali e dibattuti della bioetica. Il problema sia per l’operatore del diritto sia per il giurista è che ancora oggi vi sia una mancanza di una disciplina specifica del settore.

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Vi sono diverse obiezioni alla maternità per sostituzione, che sono state prese in considerazione sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. Una prima obiezione è quella seconda la quale questa pratica determina l’intrusione di una terza persona nella generazione, fatto che pone in essere delle lesioni delle relazioni coniugali. Questa intromissione viene assimilata come un adulterio o alla violazione del dovere di fedeltà, anche perché è più invadente la partecipazione della madre gestazionale. La coppia committente subisce un’interferenza nella propria sfera personale, sia alla surrogata stessa e ai suoi rapporti familiari. Quindi la surrogazione costituisce una minaccia alla tradizionale concezione del nucleo familiare e quindi per alcuni deve essere condannata.

A tal proposito si deve fare riferimento anche alla contrarietà che la Chiesa cattolica ha nei riguardi delle tecnologie riproduttive e della maternità per sostituzione “contraria all’unità del matrimonio e alla dignità della procreazione della persona umana”.

Altra obiezione che viene fatta è quella che la surrogazione è ritenuta contraria alla dignità umana, proprio perché la donna possa utilizzare il proprio corpo a scopo di lucro. I giudici della Supreme Court, nel caso Baby M., ritennero che la surrogazione fosse “potentially degrading to a women”3.

Secondo alcuni orientamenti4, invece, la possibilità di utilizzare il proprio corpo anche per questa pratica sarebbe solo quale espressione del diritto di ogni donna di fare con il proprio corpo ciò che vuole e che questo sia con il pagamento di una somma di denaro, non deve incidere sull’esercizio di questa libertà.

Il problema di fondo è che questa pratica venga presa in considerazione da donne appartenenti a classi sociali ed economiche diverse, in particolare sembra che le donne non abbienti, quindi donne economicamente che ne hanno bisogno, si stiano maggiormente

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Corte Superiore del New Jersey, sentenza 31 marzo 1987, in Foro it.,1988.

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indirizzando verso questa pratica. Come viene esplicitamente detto “non si riesce a capire per quale ragione chi paga una donna perché funga da madre surrogata, calpesti la sua dignità e la sfrutti più di chi la paga perché si esibisca come ballerina o come cantante d’opera. In entrambi i casi la si assume per usare certe capacità del suo corpo, per il piacere o per la realizzazione di fini di terzi” 5

.

Assimilare la maternità ad attività di lavoro non può essere possibile, infatti con la gestazione non si “produce”, ma si dà origine ad una nuova vita e dunque non si può inserire all’interno della gamma dei possibili lavori. Per alcuni si ritiene che la maternità surrogata comporti una sorta di messa in schiavitù della donna, anche perché quest’ultima è sottoposta a controlli estenuanti ed è previsto anche l’assunzione di parecchie dosi di farmaci per la fertilità, esami di gravidanza, prove genetiche, il comportamento che quest’ultima assume durante la sua gestazione e tanti altri.

I contratti prevedono molto spesso che la madre surrogata accetti di abortire il feto su richiesta dei committenti, quando questi ultimi vogliono interrompere il servizio. All’interno del contratto vi sono clausole che rendono la madre responsabile per tutte le complicazioni e i rischi che ne possono derivare sia dalla gravidanza che dal parto, per esempio malattie collegate alla gravidanza, le complicazioni post-partum ed anche la morte.

Ecco perché sarebbe bene individuare una regolamentazione del fenomeno. Il pericolo di sfruttamento sembra legato solo qualora ne derivi una prestazione patrimoniale, ma c’è chi ritiene che anche se il rapporto dovesse nascere per fini di solidarietà viene a configurarsi comunque uno sfruttamento, di tipo sia materiale che psicologico. Quindi anche la donna che aiuta per fini altruistici deve prestare il proprio consenso in modo chiaro e deve essere informata di tutti i

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rischi a cui potrebbe andare incontro, particolarmente quelli psicologici.

Certo, preso atto di questa esigenza di solidarietà sembra non ipotizzarsi nessuno sfruttamento e nessuna lesione della dignità umana. La dignità delle scelte umane non va riposta nei suoi connotati materiali e nemmeno nelle sue funzionalità oggettive, ma nei valori che cerca di esprimere. Perché non la si può intendere come un “dono” o un “sacrificio per effetto”?

Altra obiezione che viene fatta6 è quello che con questo contratto la relazione tra madre e figlio possa essere distolta. Il contratto prevede che alla fine della gravidanza il bambino venga consegnato all’altra madre, ad altri genitori. Si ritiene che questo sia contrario all’istinto materno, cioè quello di separare il figlio dalla madre dopo il parto. Alcuni studiosi hanno rilevato dei dubbi riguardo a questa separazione: gli infanticidi, che spesso avvengono per motivi futili oppure le famiglie francesi e inglesi, nel diciottesimo e diciannovesimo secolo di consegnare i neonati alle bambinaie per il periodo fino ai quattro o cinque anni; queste situazioni come altre non riportate allora vanno a contrastare con quello che si definisce essere pratica naturale.

Ma come viene riportato dal manifesto laico7 “Così aumentano le chances” della vita: “nulla è più culturale dell’idea di natura: il confine tra quel che è “naturale” e quel che non lo è dipende dai valori e dalle decisioni degli uomini”.

Allo stesso tempo la pratica porta con sé un altro problema e cioè quello di recidere i legami, ritenuti fondamentali, con la madre di gravidanza. Altri ritengono che essendoci poche conoscenze tra il rapporto che si possa venire ad istaurare tra il figlio e la madre uterina, non sia possibile porre in essere nessuna giustificata proibizione.

6 Warnock Report 8.11; Relazione commissione Santosuosso, p. 48.

7 È la posizione affermata nel manifesto laico, firmato da C. Caporale, A. Massarenti,

A.M. Petroni, S. Rodotà, pubblicato sul Il Sole 24 ore, 1 marzo 1998, e in Bioetica, 1998, p. 325 e ss.

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Certo potremmo arrivare anche a sostenere che se una coppia decide di mettere in atto una pratica del genere, pur sapendo dei rischi e dei dolori che a livello psicologico e morale comporta, il bambino che nascerà sarà sicuramente il frutto di quel desiderio tanto desiderato e proprio per questo sarà ben voluto ed amato.

Altre obiezioni alla pratica di surrogazione e che nel momento della consegna del bambino possono verificarsi degli imprevisti: per esempio nascita di un figlio handicappato, la morte o l’inabilità della madre committente, nascita di un bambino diverso da quello desiderato (la fecondazione in vitro infatti permette la possibilità di predeterminare le caratteristiche del nascituro), oltre al fatto che la madre surrogata possa cambiare idea e tenere con se il bambino. Vi è un caso che tratta di un bambino nato handicappato che è stato respinto da entrambe le parti, madre surrogata che genitori committenti. Trascurando la soluzione giudiziaria, quello che noi importa qui per il momento è che i genitori committenti possano abbandonare il figlio perché è diverso rispetto a quello desiderato.

Proprio per talune delle obiezioni che vengono fatte alla pratica della maternità di sostituzione, implica che la materia andrebbe ovviamente regolamentata, cercando di poter rispondere e prevedere tutte le soluzioni possibili che questa pratica comporta.

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CAPITOLO I

LA PROCREAZIONE ASSISTITA

SOMMARIO: 1.1 Diritto a procreare ed essere madre nella giurisprudenza della Corte Costituzionale – 1.2 Il diritto a procreare nella normativa e giurisprudenza sovranazionali – 1.3 Nuovi modelli familiari: famiglie ricomposte, monoparentali e coppie dello stesso sesso.

§1.1

La procreazione appartiene sia alla dimensione della volontà che a quella del desiderio dei soggetti. Così è stato nel corso della storia ed è (una materia) tuttora oggetto di condizionamenti e di giudizi8. La riproduzione rappresenta una delle componenti essenziali della vita dell’uomo, non solo soddisfacendo un bisogno soggettivo dell’individuo che vi realizza la propria personalità, ma anche perché permette la sopravvivenza del gruppo sociale, realizzando, di conseguenza, anche un interesse collettivo.

La tutela della vita e della dignità umana, da un lato, e la tutela giuridica dall’altro, prevedono che vi sia la necessità di riconoscere e garantire a ciascun individuo il libero esercizio della propria funzione procreativa. La tutela che viene riconosciuta alla famiglia come società naturale ed il riconoscimento di essa come formazione sociale in cui si viene a realizzare la personalità dell’individuo fanno dedurre che la famiglia è l'ambito in cui l’uomo esercita e realizza alcune funzioni fondamentali, tra le quali rientra quella procreativa, che viene ad assumere un valore giuridico. In passato, sessualità e riproduzione erano due concetti strettamente connessi. L'inevitabile trasformazione della società ha però portato con sé anche un mutamento dell'etica sessuale, con conseguenze sul piano giuridico e quello sociale. Infatti,

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si riscontra la nascita di nuovi interventi normativi fra cui: la legge 29 luglio n. 405 del 1975 recante “istituzione dei consultori familiari” e la legge 22 maggio n. 194 del 1978 recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. Elemento in comune di questi due testi normativi è quello dell’interesse del soggetto alla procreazione cosciente e responsabile, in forza del quale lo Stato deve fornire tutti i mezzi necessari, conoscitivi e tecnici al fine di rendere possibile in concreto l’esercizio di tale diritto. Il concepimento, in base alla disposizione dell’art. 1 lett. c) l. n. 405/1975, come fatto responsabile di coppia, viene considerato per la prima volta nel nostro ordinamento come elemento specifico dal quale deriva la maternità della donna e la paternità dell’uomo. Ecco quindi che dal punto di vista terminologico concepimento e procreazione vengono a coincidere. Con la l. n. 194/1978 il legislatore ha attribuito allo Stato il dovere di impegnarsi e garantire l’esercizio del diritto alla procreazione “cosciente e responsabile”.

Dalla società al diritto, dunque, ma vale anche nel senso opposto, e con continue contaminazioni.

La separazione fra sessualità e riproduzione ha messo in crisi anche i valori e i principi sui quali si basava l’istituzione familiare. Prima della riforma del 1975 non era prevista una libertà procreativa se non all’interno del matrimonio, dove la libertà sessuale era regolamentata dallo “jus in corpus9” che la rendeva esclusiva all’interno della coppia

e vista in funzione del diritto/dovere a procreare. Le nuove tecniche hanno spostato il baricentro della libertà procreativa fuori dal matrimonio (o comunque dalla coppia), creando nuovi soggetti terzi che potrebbero rivendicare dei diritti. Si può notare inoltre un superamento della struttura autoritaria e tradizionale della famiglia,

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Così come è previsto dallo jus in corpus, principio dell’esclusività che è intesa come “…la doverosa limitazione dei comportamenti diretti a soddisfare gli anzidetti fini della società coniugale ai suoi membri come una proprietà essenziale della società medesima”, si veda Santosuosso, La fecondazione artificiale umana, Milano, 1984, pp. 21 e ss.

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dove la figura del marito era quella del padre padrone, e questo nella direzione di un'inevitabile affermazione dei principi di uguaglianza giuridica e morale fra i coniugi. Si delinea quindi un nuovo quadro giuridico e culturale, caratterizzato da un pluralismo di modelli sociali di famiglia (legittima, convivenza more uxorio etero e omosessuale, famiglia monoparentale), i quali mettono in discussione i rapporti che si instaurano all’interno della coppia e con i figli e di conseguenza mettono in crisi la caratteristica unità da sempre connessa al concetto di famiglia. Indipendentemente dall’appartenenza a un contesto familiare o meno, quello che preme illustrare è la tutela dell’uomo in quelle che sono le sue funzioni più personali e tra queste nello specifico il momento procreativo inteso appunto come manifestazione della propria personalità, potendosi dunque configurare come un vero e proprio diritto a procreare10.

Nonostante non ci sia nessuna disposizione costituzionale né internazionale che faccia espresso riferimento alla procreazione, quest’ultima deve essere considerata oggetto di un diritto della persona costituzionalmente garantito, come si desume dagli articoli 2, 29, 30 e 31 Cost., dal momento che la costituzione di una famiglia e la tutela della filiazione non possono prescindere dal presupposto di fatto che è l’evento riproduttivo11. L’inserimento di tale diritto fra le cc.dd. libertà

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Cfr. Baldini Gianni, Cassano Giuseppe, Persona, biotecnologie e procreazione, Milano, 2002, parte I, cap. I, par. 2.

Vi sono significative pronunce di merito e legittimità con le quali molti giudici aditi hanno cominciato a prendere coscienza del fenomeno procreativo come oggetto di un autonomo diritto della personalità. Facciamo riferimento a Trib. Roma, 14 febbraio 2000, c.d. Ord. Schettini “ In un ottica che concepisce la società come un organismo

in continua evoluzione, ove sia rispettata l’autorealizzazione individuale , deve essere riconosciuto , quale diritto fondamentale della persona, il diritto a diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al bisogno di procreare , con la precisazione che lo status genitoriale può trovare completezza nell’adozione ma anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico , dovendosi, quindi, propendere in determinati casi, per la validità del contratto di sostituzione di

maternità”. In http://www.diritto.it/sentenze/magistratord/roma. Si ritrova ribadito lo stesso concetto anche nelle pronunce del Trib. Bologna, 9 maggio 2000, in http://www.diritto.it/materiali/famiglia/cassano2.

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Così recita l’art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua

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fondamentali che i pubblici poteri si devono limitare a garantire, evitando qualsiasi intromissione nella fase decisionale, anche se orientata alla semplice scelta, fa evincere che compito dello Stato è quello di intervenire in modo attivo con azioni e/o specifiche provvidenze come informazione, educazione, sostegno economico, assistenza sociale e sanitaria, a tutela della maternità e della salute riproduttiva dei cittadini, ritenute situazioni decisive per lo sviluppo della persona umana. Attribuire a terzi questa facoltà comporterebbe la violazione di quei principi di libertà e privatezza su cui si basa il fenomeno procreativo, bisogna tener conto che tale principio non comporta anche che lo Stato debba inevitabilmente assicurare a tutti mediante le modalità riconosciute l’accesso alla procreazione.

Quando si parla, dunque, di diritto a procreare è necessario porsi queste domande: si tratta del diritto di generare in senso stretto, biologico e fisico, o bisogna intendere quello a divenire genitore12? Mentre il diritto a procreare naturalmente inteso è un diritto soggettivo, si può dedurre implicitamente che anche la procreazione medicalmente assistita possa essere ugualmente considerata13? E’ prioritario intendersi, innanzitutto, su quale significato attribuire all'espressione “diritto a procreare”. C’è chi ritiene che debba avere un significato tecnico-letterale, potendosi includere solamente la filiazione in senso

personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

L’art. 29 Cost.: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi , con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. L’art. 30 Cost.: ”E’ dovere e diritto dei genitori mantenere , istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità”. L’art. 31 Cost.:” La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Cfr. Baldini G., Cassano G., op. loc. cit., parte I, cap. I, par. 2 .

12

Cfr. Corti I., La maternità per sostituzione, p. 53.

13

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naturale14. Altra opinione ritiene di includere la base biologica nel concetto più ampio dello svolgere la funzione genitoriale dunque del prendersi cura dei figli15. Una recente dottrina16 ha invece focalizzato l'attenzione sul significato del concetto sociale, quindi sul diritto ad essere genitori c.d. sociali e la possibilità di svolgere tale funzione prescindendo dal dato biologico che istituisce un legame biologico-genetico tra i genitori e il bambino. Quest’ultima opinione andrebbe a risolvere i problemi che la procreazione artificiale pone in essere e cioè quelli riguardanti l’attribuzione dello stato di maternità e paternità. Si comincia quindi ad elaborare un concetto di genitorialità indipendente dal dato biologico, connesso invece a quello di responsabilità, superando il tradizionale riconoscimento basato sul mero legame di sangue del rapporto genitore-figlio17. È vero anche che il diritto a procreare e tutto quello che ne consegue non può non essere limitato e circoscritto, pena il rischio di creare un contrasto insanabile con altri principi di rango costituzionale, quali quelli di solidarietà sociale e responsabilità individuale. In linea di principio, il nostro ordinamento considera il diritto alla procreazione collegato all’esercizio del diritto alla propria libertà sessuale.

Tale diritto si desume anche da una fonte di legge ordinaria, cioè dall’art. 1 della l. n. 194 del 1978. Anche lo stesso art. 2 Cost., nel momento in cui riconosce i diritti inviolabili della persona, non può non considerare quello alla libertà di trasmettere la vita18. Negli ultimi decenni, nei Paesi occidentali si è assistito ad una rivendicazione da parte dei movimenti femministi di una c.d. libertà procreativa, intesa come libertà di disporre del proprio corpo, come potere di

14

Cfr. C. Hegnauer, Human rights an Artificial Procreation by donor, in J. Eeckelaar e altri, Parenthood in Modern Society, Legal and Social Issue for the Twenty- first

Century, Dordrecht/Boston/London, 1993, pp. 207 e ss.

15 Cfr. Gorassini Attilio, Procreazione, Enc. Dir., XXXVI, Milano, p. 965. 16

Lo si veda in Veronesi Silvia, Le “nuove famiglie” e la posizione del genitore

“sociale” rispetto ai figli del coniuge o del nuovo partner, in Cesaro G. O, Lovati P.,

Mastrangelo G. (a cura di), La famiglia di trasforma, Milano, 2014, p. 73.

17

Cfr. Corti I., La maternità per sostituzione, p. 54.

18

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autodeterminazione senza condizionamenti di nessun genere e che deve includere il diritto a procreare nella sua accezione negativa, quindi diritto della donna a non essere costretta a portare avanti una gravidanza contro la propria volontà dovendosi acconsentire l’accesso a pratiche di carattere abortivo19.

La scienza e la tecnologia hanno ampliato la gamma delle possibili strade e offerto nuove possibilità di scegliere. Nel momento in cui si legittimano giuridicamente nuove tecniche di procreazione, si assiste, in contemporanea, ad un nuovo modo di intendere alcuni principi quali quelli fondati sulla libertà sessuale, sulla disposizione del proprio corpo (nei limiti di cui all’art. 5 c.c.) e sulla autodeterminazione (intesa come possibilità di fare una scelta in maniera cosciente e responsabile su tutto quello che possa essere importante per la propria personalità); tuttavia, ove la funzione procreativa non possa manifestarsi naturalmente nel soggetto, per la presenza di fattori patologici di natura organica come la sterilità, l’infertilità, la presenza di malattie trasmissibili o per cambiamento della compagine familiare rispetto al modello tradizionale/naturalistico di famiglia (coppie omosessuali o famiglie monoparentali), le soluzioni normative che vengono date rischiano di creare, come si dirà in seguito, alcune problematiche circa la loro compatibilità con i valori e i principi dell’ordinamento. Va sottolineato anche che il fenomeno della procreazione assistita non coinvolge solo regole di diritto positivo, ma anche morali e deontologiche e proprio per tali ragioni non si può non far riferimento a quello che la Chiesa cattolica esprime riguardo alla vita umana, cioè ad una concezione sacrale di essa. La Chiesa cattolica condanna senza deroghe qualsiasi tecnica artificiale che l’uomo compie in ambito riproduttivo. Dunque la Chiesa è contraria alle pratiche di fecondazione assistita20, ritenendo che queste procedure sostitutive dell’atto sessuale divengano, in questo modo, un semplice

19

http://www.giurisprudenza.unipr.it

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atto tecnico, favorito dalla progressiva evoluzione della scienza, che fa perdere di vista il progetto procreativo personale21. E’ bene dunque avere chiaro quali sono le tecniche di fecondazione artificiale. Per “inseminazione artificiale” si intende la fecondazione mediante l’introduzione di gameti maschili nell’apparato genitale di una donna, da parte di un operatore sanitario mediante appositi strumenti, allo scopo di fecondarla usando mezzi diversi dal rapporto sessuale; dunque lo zigote che si viene a formare è nell’ambiente naturale. Si definisce omologa (A.I.H., abbreviazione di “Artificial Insemination Husband ”) se effettuata con i gameti di entrambi i coniugi, eterologa (A.I.D. abbreviazione di “Artificial Insemination Donor”), se avviene mediante gameti donati; è questo il tipo di inseminazione cui potrebbe fare ricorso anche una donna single o una coppia dello stesso sesso che voglia avere un figlio. La fecondazione “in vitro” o anche indicata con la sigla F.I.V.E.T. ed embrio-transfer, è extra-corporea e si effettua con diverse attività cliniche. Alla donna, futura gestante o donatrice, viene prelevato dalle ovaie il numero di ovociti maturi ritenuto sufficiente per il successo della fecondazione in vitro. Vengono prelevati allo stesso modo i gameti maschili ed eseguita in vitro (provetta) la fecondazione. Una volta che gli embrioni raggiungono un certo grado di sviluppo vengono trasferiti nell’utero della donna. Anch’essa può essere omologa o eterologa a seconda che i gameti maschili o femminili usati provengono dalla coppia o da terzi donatori. Poi vi è la tecnica G.I.F.T. (“Gametes intra Falloppian Transfert”), ultimo traguardo della scienza per ovviare a determinati tipi di infertilità femminile, simile alla Fivet, differenziandosi da quest’ultima solo per il fatto che questo tipo di fecondazione è corporea e cioè all’interno del corpo femminile, ma sia lo sperma che l’ovocita provenienti dal corpo

21

Cfr. Faraoni Alice Benedetta, La maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli

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della donna poi fecondata o dal corpo di un’altra donna vengono introdotti artificialmente22.

Poi vi è anche la surrogazione di maternità. Quest’ultima si configura come una possibile forma di fecondazione artificiale eterologa, caratterizzata dall’intervento di una donna che si impegna a portare avanti una gravidanza per conto altrui.

Dopo anni di vuoto normativo, l’introduzione della legge 40 del 2004, molto discussa fin da quando è stata approvata, ha rivoluzionato la materia, poiché si parla di “diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” ( art. 1, co. 1 della l. 40/2004). Si afferma in questa legge il valore costituzionale della tutela della vita del soggetto in fieri, ribadito anche dalla giurisprudenza costituzionale (il riferimento è alle sentenze nn. 27/1975 e 35/197723), che ha anticipato e affermato la mediazione legislativa sull’interruzione della gravidanza; in questo senso, il bilanciamento dovrebbe avvenire secondo schemi basati a tale principio. Questa legge ha solamente confermato che il concepito, anche allo stato embrionale, è espressione di vita umana e in quanto tale tutelato costituzionalmente nel suo diritto ad esistere24.

La legge n. 40/2004 dispone che il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (anche con la sigla PMA) è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere quelle cause che impediscono la procreazione, sterilità o infertilità inspiegate o che dipendono da cause accertate. La legge limita il ricorso alla PMA ai soli casi in cui non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità (art. 1, co. 2, e art. 4, co. 1);

22 Cfr. Cassano Giuseppe, Le nuove frontiere del diritto di famiglia. Il diritto a

nascere sani; la maternità surrogata; la fecondazione artificiale post mortem,

Milano, 2000, pp. 53 e ss. Cfr. Baldini Gianni, Libertà procreativa e fecondazione

artificiale: riflessioni a margine delle prime applicazioni giurisprudenziali, Roma:

Edizioni scientifiche italiane, Napoli, 2006, pp. 34 e ss. Cfr. Faraoni Alice B., La

maternità surrogata. La natura del fenomeno, gli aspetti giuridici, le prospettive di disciplina, pp. 23 e ss.

23www.cortecostituzionale.it riferimento alla sentenza Corte cost., 18 gennaio 1975,

n. 27, e a Corte cost., 4 gennaio 1977, n. 35.

24

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introduce rigidi requisiti soggettivi (art. 5); disciplina l’analitico consenso informato (art. 6); regolamenta il divieto di fecondazione post mortem (artt. 5 e 12, co. 2); vieta la maternità surrogata (art. 12, co. 6).

Con la sent. n. 162 del 201425 la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto, introdotto nel 2004 dalla legge n. 40, della procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e cioè di quella tecnica di procreazione che prevede l’impianto di gameti (ovociti e spermatozoi) donati da terze persone (art. 4, co. 3). E' possibile quindi nell’ordinamento italiano praticare l’inseminazione eterologa, che potrà essere eseguita presso centri pubblici e privati competenti. Il nato da questo tipo di procreazione consegue lo status di figlio del marito o del partner e detto status non può essere impugnato in base all’art. 263 co. 1, c.c.; infatti il marito o il convivente non possono avviare l’azione di disconoscimento della paternità nei casi previsti dall’art. 244 c.c., dal momento in cui hanno acconsentito ad avviare la pratica della fecondazione eterologa della moglie o convivente, e purché questa volontà sia per lo meno “riconoscibile da atti concludenti”. Alla base di questo c'è il presupposto che il figlio, pur non essendo figlio biologico, consegua comunque lo stato di figlio nato nel matrimonio (se la coppia genitoriale è coniugata), in forza di quanto disposto dagli artt. 231 e 232 c.c. Il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi (art. 9, co. 1 e 3 della l. n. 40 del 2004). L’intervento sarà possibile solo per le coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate o

25

La sentenza la si trova in www.cortecostituzionale.it del 9 aprile 2014 n. 162. Cfr. D’Amico Giacomo, La Corte e il peccato di Ulisse nella sentenza n. 162 del

2014, in For. Quad. Cost. del 3 luglio 2014.

Cfr. Morrone Andrea, Ubi scientia ibi iura, in Giur. Cost., Studi, 2014.

Cfr. Rodomonte Maria Grazia, È un diritto avere un figlio?, in Confr. Cost., 2014.

Cfr. Rivera Ilaria, Quando il desiderio di avere un figlio diventa un diritto: il caso della legge n. 40 del 2004 e della sua (recente) incostituzionalità, in Riv. di Biodiritto, 2014.

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conviventi, in cui entrambi i soggetti siano viventi. La donazione dei gameti è gratuita ed anche l’identità del donatore è coperta dal segreto. La Corte Costituzionale ha affermato una serie di principi e argomentazioni nel dichiarare l’illegittimità del precedente divieto alla pratica della fecondazione eterologa, basandosi su un principio cardine della necessità di garantire la “…libertà volontaria dell’atto che consente di diventare genitori e di formare una famiglia…” e sulla conseguente incoercibilità della determinazione di avere o meno un figlio. A tal proposito nella sentenza n. 162 del 2014 vengono presi in considerazione i ricorsi prospettati dal Tribunale ordinario di Milano, il Tribunale ordinario di Firenze ed il Tribunale ordinario di Catania, i quali hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4, co. 3, l. 40/2004, con riguardo alla violazione dell’art. 3 Cost., dal momento che tale divieto andrebbe a realizzare un trattamento diverso tra le coppie colpite da sterilità o da infertilità, pur trovandosi in circostanze simili. Proprio per questa ragione, dovrebbero avere la stessa possibilità di ricorrere ad una delle tecniche di PMA, rimediando la situazione patologica da cui sono affette.

Gli stessi Tribunali ritengono che siano violati anche gli artt. 2, 29 e 31 Cost., posto che questo divieto non garantirebbe alle coppie affette da queste patologie, la possibilità di fondare a pieno la propria vita privata familiare e di potersi nel contempo autodeterminare come meglio ritengono, con la preclusione inevitabile di formare una famiglia e costruire liberamente la propria esistenza. Il divieto contrasterebbe anche con gli artt. 8 e 14 della CEDU26. La Corte dunque affronta le

26 Che recitano rispettivamente: l’art. 8 “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua

vita privata e familiare , del suo domicilio e della sua corrispondenza. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che , in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, per la pubblica sicurezza , per il benessere economico del paese, per la difesa dell’ordine e per la prevenzione dei reati , per la protezione della salute o della morale, o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui ” ; l’altro articolo, l’art. 14: “ Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua,

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varie questioni e afferma che queste: “toccano temi eticamente sensibili, in relazione ai quali l’individuazione di un ragionevole punto di equilibrio delle contrapposte esigenze, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene “primariamente alla valutazione del legislatore”(sentenza n. 347 del 1998), ma resta ferma la sindacabilità della stessa, al fine di verificare se sia stato realizzato un non irragionevole bilanciamento di quelle esigenze e dei valori ai quali si ispirano27”. Con riferimento alla possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita la Corte afferma che: “...la scelta di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini e in ambito diverso, è riconducibile agli artt. 2,3, e 31 Cost., poiché concerne la sfera privata e familiare. Conseguentemente, le limitazioni a tale libertà e in particolare il divieto assoluto imposto al suo esercizio, devono essere ragionevolmente e congruamente giustificate dall’impossibilità di tutelare altrimenti interessi di pari rango (sentenza n. 332 del 2000). La determinazione di avere un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può non essere

incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali…”28

. A tal proposito oggi è lecita anche la diagnosi preimpianto allo scopo di conoscere lo stato di salute dell’embrione, onde impiantare solo embrioni risultanti sani, come si evince dalla sentenza della Corte

la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione”. Li si ritrova su www.studiperlapace.it, articoli 8 e 14 della Cedu (Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), firmata a Roma il 4 novembre 1950.

27 www.biodiritto.org. 28

http://www.filodiritto.com/articoli/2014/07/la-corte-costituzionale-consacra-il- diritto-a-diventare-geniori.html.

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Costituzionale n. 229 del 201529 rubricata “PMA e diagnosi genetica preimpianto” .

Rimaneva in dubbio se a questa indagine potessero accedere anche quelle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche (art. 4); la questione è stata risolta nel 2015 dalla Corte Cost., con la sentenza n. 96 30.

Proprio riguardo alle malattie genetiche vi è stato un d.m. 11 aprile 2008 n. 135, che oltre ad essere intervenuto in materia di diagnosi preimpianto aveva consentito l’accesso alla PMA, estendendo la condizione di infertilità anche ai portatori di malattie virali sessualmente trasmissibili per infezioni da Hiv, Hbv (epatite B) e Hcv (epatite C), dal momento che vi è un rischio elevato di infezione per la madre o per il feto, tanto da essere una causa di ostacolo della procreazione. A questi ultimi, considerati quindi tra gli “infertili”, è consentito l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e ciò è stato confermato anche dalla sentenza n. 96 del 201531 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4 , comma 1, della legge 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui non si consentiva il ricorso alle tecniche di PMA alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, co. 1 , lettera b), della legge 194/1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), accertata da apposite strutture pubbliche.

Rispetto al quesito posto in precedenza, se sia possibile riconoscere un diritto soggettivo al ricorso a metodiche di fecondazione assistita, quest’ultima è una questione ancora molto discussa, anche se c’è da dire che sia la dottrina che la giurisprudenza più recenti sono concordi

29www.cortecostituzionale.it , Corte cost., 21 ottobre 2015 n. 225. 30

Cfr. Sesta M., Manuale di diritto di famiglia, cit., p.382.

31

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nel ritenere che lo Stato non possa negare il diritto ad una persona ad avere figli e dunque a ricorrere alle tecniche di procreazione artificiale, salvi i limiti a protezione di un interesse anch’esso legittimo, quello del nascituro, da doversi garantire non già in modo assoluto , bensì nel rispetto del vincolo del minor sacrificio possibile per il diritto degli adulti nel realizzare la propria genitorialità32. Quindi, il concetto di famiglia e genitorialità dovrebbero essere identificati tenendo conto dell’evoluzione dell’ordinamento e del principio in virtù del quale “la Costituzione non giustifica una concezione della famiglia nemica delle

persone e dei loro diritti”(sentenza n. 494 del 200233

).

§ 1.2

Il diritto a che sia garantita la libertà di diventare genitori è considerato tra i diritti fondamentali dell’individuo, come si è già detto non è espressamente menzionato né tra le norme Costituzionali e tantomeno dalla normativa internazionale. Da quest'ultima si ricava implicitamente il diritto a fondare una famiglia e al rispetto della vita privata e familiare. La questione è stata molto discussa, soprattutto dopo l’evoluzione che si è avuta in campo medico. Non esiste attualmente in nessuna convenzione una norma che tuteli la procreazione. Si può fare riferimento all’interpretazione di disposizioni di documenti internazionali che sottintendono il diritto alla procreazione. Viene, ad esempio in rilievo l’art. 12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali34, la quale afferma che: “uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali regolanti l’esercizio di tale diritto” e viene precisato che

32 Cfr. Sesta M., Manuale di diritto di famiglia, p. 383. 33

La si trova in www.cortecostituzionale.it, Corte cost., 20 novembre 2002, n. 494.

34La Convenzione è stata adottata dal Consiglio d’Europa a Roma il 4 novembre

1950. Ratificata dall’Italia il 26 ottobre 1955; resa esecutiva con legge n. 848 del 1955. In vigore internazionale dal 3 settembre 1953. Modificata poi da una serie di protocolli. La si trova su www.giustizia.it.

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“ogni persona ha il diritto al rispetto della sua vita privata e familiare”, tanto che lo Stato non possa interferire nella procreazione naturale all’interno della coppia. Il principio era già affermato dall’art. 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo35

, secondo cui “uomini e donne in età da matrimonio hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia , senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione” e “la famiglia è il nucleo centrale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato” ed è ribadito anche dall’art. 23 del Patto internazionale sui diritti civili e politici36, secondo cui: “il diritto a sposarsi e di fondare una famiglia è riconosciuto ad uomini e donne che abbiano l’età per contrarre il matrimonio”. Quanto detto fin qui da queste enunciazioni implica che vi sia un diritto ad avere una famiglia. Si considera anche il fatto che l’evoluzione tecnologica in campo medico non va di pari passo con il diritto, arrivando quest’ultimo sempre in ritardo (anche se deve distinguersi dalla scienza medica, ne deve comunque tenere di conto) tale da scardinare concetti cardine del nostro sistema, come potrebbe essere la nozione di famiglia e di riproduzione. Proprio a tal proposito viene a delinearsi una distinzione fondamentale: il concetto del procreare e quello del fondare una famiglia, poiché si possono avere figli anche senza costituire una famiglia. Può, tuttavia, essere vero anche il contrario. Formare una famiglia rappresenta un’attività sociale non necessariamente legata alla funzione biologica. Dunque il diritto a procreare, sia esso su base biologica e/o che venga ricondotto nell’ambito dell’adozione o della nascita attraverso fecondazione eterologa o della maternità surrogata non esclude necessariamente il diritto a fondare una famiglia - se non per il semplice motivo che figli

35 Art. 16, par. I Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, adottata a New York

il 10 dicembre 1948. La si trova su www.interlex.it.

36 Patto adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966,

ratificato dall’Italia il 15 dicembre 1978; reso esecutivo con la l. 25 ottobre 1977, n.881. In vigore internazionale dal 23 marzo 1976. La si trova su www.gazzettaufficiale.it.

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e genitori costituiscono insieme una famiglia. Si può affermare che al diritto a fondare una famiglia si collega il diritto alla procreazione ricomprendendo anche l’utilizzo delle nuove tecniche procreative. L’art. 8 della Convenzione dei diritti dell’uomo riconosce ad ogni soggetto il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Questo rispetto alla propria intimità implica che lo Stato non può interferire “su come viene organizzata la famiglia così voluta dai coniugi e non ci sono dubbi che la decisione di mettere al mondo o non mettere al mondo figli rappresenta uno dei momenti fondamentali”. L’art. 8 della Cedu afferma un diritto di libertà, che, come tale, implica un rispetto della vita privata e familiare, tanto da diventare un diritto esigibile. Proprio sulla base di questa libertà, è necessario anche sottolineare come non debbano esserci limiti riguardo al modo attraverso cui avere figli, salvo quelli di ordine pubblico; se le norme che sono state emanate prevedono che i figli vengano concepiti in modo naturale, in un rapporto di intimità e di libertà tra i due soggetti, resta allo stesso modo consentita anche la scelta delle nuove opportunità che la nuova scienza della procreazione medicalmente assistita mette a disposizione, fermo restando le stesse condizioni naturali. Quindi il concetto di famiglia, così come disciplinato dall’art. 8, si libera di quelle preclusioni che si hanno sulla c.d. famiglia di fatto e sulla famiglia monoparentale. Infatti si prescinde dal vincolo matrimoniale e si inglobano tutte le nuove concezioni sulle “nuove famiglie”, tutelando anche quelle con una singola persona. Il diritto a procreare come diritto fondamentale viene confermato in molti atti e documenti internazionali: la Conferenza internazionale di Teheran sui diritti dell’uomo, del 1968, aveva affermato quale diritto fondamentale della coppia quello di : “dèterminer librement et en toute responsabilitè du nombre d’enfants qu’ils veulent avoir et du moment de leur naissance. Ils ont aussi le droit d’ etre instruits et informès de ces questions consciemment la dimension de leur famille et l’echelonnement des

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naissances”37. In modo simile si esprime il Consiglio d’Europa nel riconoscere alle coppie “le droit de decider du nombre d’enfants qu’ils

veulent avoir et du momentde leur naissance”38. Per quanto riguarda la

tutela del diritto a procreare sulla base delle nuove tecnologie di riproduzione, è richiesto un esame approfondito delle condizioni di salute della donna che voglia sottoporsi a tale pratica, sia riguardo il materiale genetico che viene utilizzato ma anche rispetto al fatto che tali pratiche vengano svolte presso centri autorizzati o da parte di medici specializzati e che ci sia sempre una informazione attenta e precisa sulle pratiche che si effettueranno e che la donna dia il suo consenso definitivo (sentenza della Corte Cost. n. 151 del 200939). Vi sono, come detto, tanti atti che confermano e ribadiscono che il diritto a procreare, sia esso naturale che realizzato mediante l’utilizzo di tecniche di procreazione artificiale, debba essere tutelato nel suo insieme. Proprio a tal proposito si può far riferimento alla sentenza del 14 maggio n. 96 del 2015, già prima enunciata, ma con riferimento in questa circostanza alla violazione dell’art. 8 CEDU. La sentenza costituisce la battuta finale di una vicenda giurisprudenziale protrattasi per lungo tempo, nata con la sentenza della Corte EDU Costa e Pavan c. Italia, del 28 agosto 2012, con la quale i giudici di Strasburgo avevano ritenuto il divieto in questione, e cioè quello dell’impossibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita a quelle coppie che seppur non sterili o infertili fossero portatrici di patologie geneticamente trasmissibili, contrario al diritto alla vita privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU. Mentre i ricorrenti vittoriosi in quello specifico caso di specie avevano ottenuto tout court, mediante la pura e semplice disapplicazione delle disposizioni

37 Cfr. Corti Ines, La maternità per sostituzione, Milano, 2000. La Conferenza

internazionale di Teheran sui diritti dell’uomo, in Riv. Dir. Int.,1968, p.670-686.

38

Cfr. Baldini Gianni, Cassano Giuseppe, Persona, biotecnologie e procreazione, Milanofiori, Assago,2002.

Raccomandazione dell’Assemblea Consultiva del Consiglio d’Europa, n. 675 del 1972.

39

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contrarie della legge n. 40/2004, l'autorizzazione dal Tribunale di Roma ad accedere alla fecondazione assistita, restava il problema di adeguare la normativa italiana a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo, sì da consentire anche a tutte le altre coppie che si trovassero nella medesima situazione di accedere alla fecondazione assistita. Ecco che questo adeguamento avviene proprio con la sentenza della Corte Costituzionale n. 96 del 201540 . Quindi in ambito internazionale questo diritto riguarda la sfera della propria libertà entro la quale lo Stato non può sindacare se non per sostenere le scelte che i soggetti intraprendono e con il solo limite del rispetto dei diritti fondamentali degli altri.

§ 1.3

In passato la famiglia era “l’architrave” che produceva coesione sociale41. Dai tempi in cui è entrato in vigore il codice civile del 1942 e in seguito con la proclamazione della Costituzione italiana, la composizione della famiglia italiana si è trasformata totalmente.

Per molti anni , in particolar modo nel periodo precedente alla riforma del diritto di famiglia, si era diffuso un atteggiamento di ostilità e chiusura circa il riconoscimento di una pur minima tutela della famiglia di fatto42. Questo pregiudizio va ricollegato alla tradizione culturale a cui si ispira il codice civile del 1942 ed in parte anche la stessa Carte Costituzionale, che considera il matrimonio quale fondamento costitutivo della famiglia.

40http://www.penalecontemporaneo.it/area/3-/24-/-/3980

la_sentenza_della_consulta_sul_divieto_di_accesso_alla_fecondazione_assistita_per _coppie_fertili_portatrici_di_malattie_geneticamente_trasmissibili__e_una_chiosa_fi nale_sulla_questione_della_diretta_applicazione_della_cedu/

41 Bonomi A., Le trasformazioni sociali del concetto di famiglia, in Cesaro Grazia

Ofelia, Lovati Paola, Mastrangelo Gennaro (a cura di), La famiglia si trasforma, Milano, 2014, p. 24.

42 Per approfondire l’argomento in tema di famiglia di fatto, si veda Finocchiaro,

Convivenza extraconiugale e convivenza more uxorio. Differenze (ai fini del diritto all’assegno di divorzio) in Giust. Civ., 2002, p. 1001.

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