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Filosofia e Medicina nel pensiero di Victor von Weizsäcker

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN FILOSOFIA E FORME DEL SAPERE

FILOSOFIA E MEDICINA NEL PENSIERO DI

VICTOR von WEIZÄCKER

RELATORE:

Chiar.mo Prof. Adriano Fabris

CANDIDATO:

Giovanna Mengozzi

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INDICE

Introduzione pag. 2

Capitolo 1- L’uomo e le sue opere pag. 10

Capitolo 2- L’Antropologia medica secondo il pensiero di

Victor von Weizsäcker pag. 30

Capitolo 3- L’eredità di Victor von Weizsäcker pag. 55

Conclusioni pag. 73

Bibliografia pag. 77

I.1 Opere di Victor von Weizacker pag 77

I.2 Opere tradotte pag. 79

Bibliografia critica pag. 80

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INTRODUZIONE

La medicina e la filosofia sono sempre state in una relazione stretta perché il medico, fin dai tempi di Ippocrate, si è sempre preoccupato di problematiche di competenza filosofica quali il significato della vita e della morte e il destino dell’uomo.

Victor von Veizsäcker (1886-1957) è stato un medico e un filosofo tedesco, nato a Stoccarda, proveniente da una famiglia di antiche tradizioni e molti dei suoi membri ricoprirono importanti cariche politiche o furono uomini di cultura. Egli, nella storia della medicina, emerge come figura particolare in quanto rivoluzionaria e anticipatrice di problematiche attuali. Per tutta la vita si è dedicato allo scopo di modificare lo statuto epistemologico della medicina, perché, opponendosi del tutto al vigente modello troppo scientifico e oggettivante dei suoi tempi, proponeva una medicina più attenta all’essere umano come persona. Come conseguenza intendeva in maniera del tutto nuova la relazione medico-paziente con implicazioni in campo sociale politico ed economico. Notevolmente interessato alle scienze che studiano la vita e quel particolare essere vivente che è l’uomo, inteso nella sua unità anima-corpo, egli considerava l’uomo malato non l’oggetto da analizzare come fosse una cosa ma come soggetto partecipe e attivo nella relazione con il medico. In questo rapporto il paziente collabora con i suoi sentimenti, le sue passioni, il suo modo di relazionarsi con l’ambiente, influendo sulla malattia e collaborando nella pratica terapeutica. Egli non fu compreso dai suoi contemporanei, forse i tempi non erano

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ancora maturi per modificare in modo drastico comportamenti così radicati nella cultura, che ancor oggi stentano ad essere riconosciuti inadeguati. I colleghi medici neurologi lo consideravano un po’ troppo filosofo e i suoi amici e colleghi filosofi un po’ troppo medico. Questo giudizio derivava dal fatto che i suoi scritti di medicina risultavano talvolta di difficile comprensione, perché introducevano riflessioni filosofiche critiche del modo di pensare troppo meccanicistico e positivistico della scienza medica; viceversa, per i filosofi, si affrontavano nelle opere di Weizsäcker dei problemi scientifici riguardanti le scienze naturali e la medicina di cui essi non erano sufficientemente esperti. L’intenzione tuttavia di questo medico filosofo era quella di favorire l’incontro tra le due discipline perché si creasse una nuova scienza: l’antropologia medica. Da pochi anni egli è stato riscoperto e le sue opere più importanti sono state tradotte anche in italiano. Tutti i suoi testi sono stati riuniti in 10 volumi e pubblicati fra il 1986 e il 2005. Alcuni studiosi hanno cominciato a rivalutare il suo pensiero comprendendone l’importanza per l’impatto che potrebbe avere culturalmente anche oggi.

Ripercorrere la sua biografia, ricca di incontri e di scontri significativi in campo scientifico-culturale, di soddisfazioni e delusioni, di grandi difficoltà e tragedie, ci aiuterà a conoscere l’evoluzione del suo pensiero che mai si è allontanato dalla meta prefissata, quella di aiutare, con la propria opera di medico terapeuta, l’essere umano sofferente, che si presenta di fronte al medico e gli si affida. L’ opera del medico sarà quella di agire nel rispetto dell’altrui soggettività e secondo scienza e coscienza.

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Lo scopo di questa tesi è quello di approfondire la conoscenza di questo medico filosofo e comprendere come abbia saputo unire l’interesse per la filosofia con la medicina cercando di applicare le sue teorie all’esperienza convinto che solo così sia possibile dimostrarne la validità. Inoltre verificare se e quanto il suo pensiero possa avere valore ancora oggi alla luce del dibattito contemporaneo.

Nel primo capitolo della tesi si vuole delineare sia l’ attività lavorativa di questo Autore come medico che il suo particolare interesse per la filosofia, attività che si intrecciano e si sovrappongono producendo opere originali in entrambi i campi. Nel primo capitolo analizziamo il periodo compreso tra i primi anni del ‘900 (nel 1904 Weizäcker si iscrisse a medicina) e la fine degli anni 40. Sono questi gli anni in cui da studente universitario prima, poi giovane medico, si occupò con grande interesse di ricerche fisiologiche sul muscolo cardiaco e come neurologo eseguì molti esperimenti riguardanti il rapporto fra movimento e percezione. Fu proprio l’analisi di questo rapporto che gli suggerì la formulazione di una teoria definita Gestaltkreis, che è alla base di tutto il suo pensiero filosofico. Kreis è il cerchio, che rappresenta simbolicamente il modo di comportarsi di un essere vivente in rapporto con il proprio ambiente. L’essere vivente è un diveniente, muta in continuazione e, mentre lo fa, torna anche su se stesso secondo un percorso di avvitamento che sviluppa una forma ossia una Gestalt. Movimento e forma sono costitutivi dell’atto percettivo. Egli diceva che: «La morfologia è scienza del divenire della forma in quanto implica un soggetto esso stesso creativamente e mondanamente implicato

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nel divenire»1. Qualsiasi essere vivente dotato di movimento spontaneo percepisce, muovendosi, gli oggetti del mondo esterno, ma a sua volta è la percezione del mondo che determina il movimento stesso. Con questa teoria Weizsäcker introdusse definitivamente il soggetto nella biologia. Il Gestaltkreis, secondo Weizsäcker, spiegava anche il rapporto soma- psiche e molti altri rapporti in cui l’essere umano è coinvolto compreso quello fra medico e paziente.

lo scoppio della prima guerra mondiale lo vide partecipe come medico militare e anche prigioniero di guerra. Questa parentesi molto tragica modificò profondamente lo stato d’animo di Weizsäcker. Riconosceva che c’era stata una profonda crisi di valori e occupandosi di filosofia fu attratto da alcuni filosofi del pensiero ebraico. Nel 1926 fu promotore della rivista “Die Kreatur” di cui egli fu redattore e ideatore insieme a Martin Buber, Joseph Witting e Franz Rosenzweig. Negli articoli che egli scrisse per la rivista gettò già le basi di un altro step del suo progetto, quello di fondare una nuova scienza: l’Antropologia Medica. Si stava infatti dedicando intensamente alla cura dei pazienti della clinica medica di Heidelberg diretta da Ludolf Krehl. Questo famoso clinico medico proponeva un approccio innovativo al paziente considerandolo al centro dell’attenzione come persona e Weizsäcker lo approvava, perché credeva fermamente che l’uomo fosse una unione indissolubile di corpo e psiche e che ogni malattia colpisse sia corpo che anima. La relazione medico–paziente che egli proponeva era del tutto rivoluzionaria rispetto al modo di pensare comune: una relazione, non più paternalistica e

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Victor von Weizsäcker, Forma e percezione, a cura di V.C. D’Agata e S. Tedesco, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2011, p.9.

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oggettivante ma intersoggettiva basata sul colloquio con il paziente. Conoscere la biografia del malato era fondamentale per la ricerca di eventi psichici traumatici che potessero in qualche modo aver favorito alterazioni organiche o, viceversa, per comprendere quanto certe malattie organiche avessero influito negativamente sulla psiche del paziente. Questo modo di pensare era influenzato dalla teoria psicanalitica di Freud, emergente proprio in quegli anni e che Weizsäcker ebbe modo di approvare e difendere.

Egli si dedicò molto alla psicosomatica e agli esperimenti con i malati ricoverati nella clinica riuscendo a dimostrare l’intrinseco rapporto tra psiche e corpo. La teoria del

Gestaltkreis gli aveva permesso di dimostrare che il soggetto fa parte integrante

dell’atto biologico in quanto l’organismo vivente è in un continuo interscambio con il proprio ambiente. Qualsiasi relazione fra l’uomo e il proprio ambiente è gestita da leggi, che però lasciano all’uomo libertà di azione, rendendo imprevedibile il risultato dell’azione stessa. Si trattava di una rivoluzione epistemologica ammettere che la soggettività facesse parte della scienza, compresa la biologia e, di conseguenza, anche la medicina. Con questa teoria si definiva anche il rapporto medico-paziente e si ammetteva che la psicologia e anche la psicanalisi facessero parte della medicina. Inoltre cambiava non solo il modo di interpretare la relazione medico-paziente ma anche il concetto di malattia: non più l’errore di un macchinario complesso ma uno strappo tra anima e corpo che faceva soffrire entrambi.

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Nel secondo capitolo si cerca di approfondire che cosa intendesse Weizsäcker per Antropologia medica, la nuova scienza che egli voleva fondare. Era la scienza che metteva al centro dell’interesse l’uomo malato con tutte le sue caratteristiche fisiche, psicologiche, passionali e etico-morali. Era la scienza che si occupava dell’uomo sofferente che, proprio perché patisce chiede aiuto a un altro da sé perché lo considera una persona di cui ha fiducia, non solo in quanto più esperto di scienze mediche, ma anche perché spera che lo comprenda offrendogli tutte le cure di cui è capace. Il malato non vuole essere curato solo nel fisico, ma ha anche bisogno di un supporto psicologico per comprendere cosa gli sta succedendo e affrontarlo con coraggio e speranza. A sua volta il medico può definirsi tale solo se ascolta quel grido di dolore e se ne fa carico. Così nasce la relazione medico- paziente che è il fondamento dell’Antropologia medica.

Weizsäcker insiste molto nel definire questa relazione intersoggettiva e bipersonale, basata su un reciproco scambio, una conoscenza profonda l’uno dell’altro e sul rispetto. Il medico propone in base alla sua scienza e coscienza una scelta terapeutica e il paziente è libero di accoglierla oppure rifiutare. Non deve mai sentirsi rimproverato ma consigliato perché entrambi mirano al bene del malato. Solo così la relazione arricchirà entrambi e la malattia non sarà più vista dal malato come uno strappo tra l’Es e il suo Io ma potrà apparire magari come una chance per cambiare la vita e le cattive abitudini.

La caratteristica particolare della relazione è quella di essere patica, basata sull’empatia propria di entrambi i soggetti coinvolti nella relazione e quindi di per sé

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terapeutica. La paticità è la caratteristica strutturale dell’essere umano e guida tutte le sue azioni basate sui verbi volere, potere ,essere lecito, dovere, essere costretto che Weizsäcker definisce come “categorie patiche”. La paticità gestisce il rapporto fra il corpo e la psiche, perché ogni azione è intenzionale e guidata ma anche subita. L’uomo rispetto all’ambiente in cui vive lo subisce, prova delle emozioni, ma anche lo gestisce potendo fare delle scelte.

Questa teoria era convalidata dall’esperienza che dimostrava come i risultati di certi esperimenti non si spiegavano con i modelli della fisiologia tradizionale intesa come scienza esatta, ma dimostravano che il soggetto era partecipe al risultato dell’esperimento. Erano di esempio gli esperimenti di fisiologia che provocavano illusioni dei sensi. Tutto ciò si rivelava anche nella pratica clinica in cui gli aspetti psichici della malattia erano ben evidenti. Erano di esempio le nevrosi. In questo senso la psicanalisi risultava utilissima e Weizsäcker ce ne propone numerosi esempi, in cui l’applicazione di essa permetteva di giustificare un certo andamento della malattia. Non solo certe malattie organiche davano origine a malattie psichiche ma anche certe malattie psichiche venivano risolte sfogandosi in malattie organiche.2

Se il rapporto tra medico e paziente è davvero un incontro i due soggetti conoscendosi dovranno esprimere la loro paticità, quindi la stessa medicina non potrà essere che una medicina antropologica e dal punto di vista filosofico una

2

È emblematico il “caso A” descritto da Weizsäcker che si trova discusso in S. Spinsanti, Guarire tutto

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patosofia. “Pathosophie” è dopo “Gestaltkreis” l’opera più famosa di Weizsäcker e anche la sua ultima, rimasta incompiuta.

Il percorso prefissato da Weizsäcker era comunque compiuto passando dalla psicosomatica all’antropologia medica e infine alla patosofia.

Nel terzo capitolo intendiamo verificare quale possa essere l’eredità che Weizsäcker ci ha donato. Egli si era già accorto che la sua proposta non era di facile realizzazione però non disperava che qualcosa del suo pensiero venisse approvato.

Oggi possiamo dire che Weizsäcker è stato per noi un vero maestro perché ha insegnato e messo in pratica con passione varie discipline e mai ha perso di mira quello che fin da giovane si era prefisso : cambiare lo statuto epistemologico della medicina trasformandola in una scienza che avesse di mira il bene dell’uomo sofferente e lo curasse con tutti i mezzi scientifici disponibili. Inoltre nell’ approccio al malato considerava fondamentale non trascurare l’aspetto psichico perché l’essere umano è una unità inscindibile di corpo e anima. Lo scopo della sua vita era dunque quello di “guarire tutto l’uomo”.

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CAPITOLO PRIMO

L’UOMO E LE SUE OPERE

Nella lunga serie di medici-filosofi che la storia ricordi si può degnamente inserire Victor von Weizsäcker, eccellente figura di medico-filosofo tedesco vissuto e operante nella prima metà del secolo XX. Egli, per tutta la vita tentò di modificare lo statuto epistemologico della medicina e soprattutto di rivalutare il rapporto medico-paziente e il concetto stesso di malattia. In questa tesi cercheremo di delineare la sua interessante teoria che riguarda un particolare modo di attuare la relazione medico-paziente, con una visuale innovativa e propositiva meritevole di essere articolata nel dibattito filosofico attuale. Cercheremo di comprendere quanta parte del suo pensiero possa essere ancora di aiuto per rendere efficace e benefico il rapporto medico –paziente in una società così complessa come quella odierna.

Il pensiero di Weizsäcker si riesce a comprendere meglio se seguiamo con ordine cronologico gli eventi della sua vita. La formazione scientifica di Weizsäcker iniziò presso il laboratorio di Fisiologia a Friburgo diretto dall’illustre Prof. Kreis e qui partecipò attivamente agli esperimenti riguardanti la fisiologia dei sensi. Egli però aveva anche un altro interesse, quello della filosofia, che nutriva fin dai tempi del liceo, per cui cercava amici anche in quel campo e a Friburgo conobbe Rosenzweig, colui che fu l’espressione più significativa del pensiero ebraico del ‘900. Egli pure era iscritto a medicina prima di passare definitivamente alla filosofia.

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Sono questi gli anni più spensierati, ma di formazione, trascorsi in compagnia di sinceri amici con i quali discuteva animatamente di problemi scientifici e filosofici. Nel laboratorio di fisiologia venne a conoscenza delle nuove scoperte scientifiche sia in campo tecnologico che biologico e si entusiasmò allo studio della fisiologia. L’amicizia con Rosenzweig, grande conoscitore e critico di Hegel, lo avrebbe aiutato ad approfondire la sua formazione filosofica e sarebbe stata anche ispiratrice della sua futura teoria filosofica riguardante la medicina. Quando si trasferì a Heidelberg cominciò a frequentare la Clinica Medica diretta da Ludolf von Krehl, famoso clinico, ritenuto il padre della fisiopatologia. Nel laboratorio di Krehl si facevano esperimenti con gli animali ai quali il professore partecipava attivamente. Qui Weizsäcker completò la sua tesi sulla fisiologia cardiaca, si laureò nel 1910 e Krehl divenne il suo mentore accompagnandolo all’abilitazione alla libera docenza, conseguita poi nel 1917. Anche a Heidelberg continuò ad interessarsi di filosofia, venne a far parte di un gruppo che seguiva la corrente neokantiana, guidato da Meyerof, futuro grande biochimico, ma che allora stava facendo la tesi in psichiatria; qui si leggevano le opere di Jacob Friederich Fries in cui si criticava la deduzione trascendentale di Kant proponendo l’idea che la conoscenza si possa avere con l’introspezione. Dopo Fries furono letti i primi scritti di Freud sulla psicanalisi. Sembra che nel gruppo vi fosse anche Jaspers, con cui Weizsäcker avrebbe avuto molto da discutere. Altro fatto importante per la formazione filosofica di Weizsäcker fu la possibilità che egli ebbe di partecipare al seminario su Kant di Windelband, un neokantiano, e lo frequentò per ben tre semestri. Nell’ambiente del seminario si formò un circolo che andò oltre Kant verso

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l’idealismo di Hegel e Shelling. Infine i due gruppi neokantiani (quello della scuola di Fries a Heidelberg e quello dei filosofi neokantiani di Strasburgo e di Friburgo) decisero di incontrarsi regolarmente in congressi a Baden Baden per mettere a confronto le proprie idee . Da questo confronto nacque un nuovo indirizzo filosofico orientato verso l’esistenzialismo di Jaspers e di Heidegger. Weizsäcker si occupò contemporaneamente di due campi filosofici sia dello sviluppo della filosofia classica sia del rapporto della filosofia con la medicina e con le teorie scientifiche in generale, come proponeva il circolo guidato da Meyerhof. Sarebbe stato poi quest’ultimo a prevalere nei suoi interessi. Tutti questi studi provocarono in lui profonde riflessioni e idee contrarie al positivismo scientifico ma aperte ad un nuovo modo di vedere la biologia. I suoi esperimenti sugli animali lo convinsero che l’essere vivente si comporta in maniera del tutto diversa dalla materia non vivente. Egli si oppose al neovitalismo perché, pur non sapendo definire che cosa è la vita e ammettendo che la teoria naturalistica e meccanicistica non è sufficiente a spiegarla, non credeva neanche all’ipotesi di una forza vitale proveniente dall’esterno.

Queste problematiche furono oggetto di due saggi che Husserl e Max Weber pubblicarono nella famosa rivista “Logos”. Mentre svolgeva con serenità le sue ricerche di biologia nel laboratorio, esercitava anche con passione e diligenza la professione di medico nelle corsie ospedaliere. Nel corso del ’800 si era data poca importanza alla terapia e, nonostante vi fossero state nuove scoperte in biochimica e microbiologia, anche nei primi decenni del ‘900 le cure erano prevalentemente chirurgiche e l’approccio al malato si basava sull’osservazione e l’eventuale

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riscontro autoptico. L’osservazione doveva essere approfondita e distaccata tanto che si arrivava perfino a parlare latino al letto del malato. Nacque la fisiologia sperimentale che diventò anche fisiopatologia e apparve logica l’unione tra laboratorio e clinica. L’ atmosfera che si respirava in quel periodo nel policlinico di Heidelberg sotto la guida di Krehl era serena e operosa, egli diventò l’emblema della fisiologia patologica, una scienza degna delle altre scienze della natura. In questo clima scoppiò all’improvviso la prima guerra mondiale. L’esperienza della guerra fu così tragica che rivoluzionò completamente il pensiero di Weizsäcker. Egli si trovò in prima linea a dover affrontare patologie chirurgiche e mediche di ogni tipo senza mezzi sufficienti e idonei, ma ancor più urgenti furono le incredibili difficoltà logistiche, quali difendersi dal freddo e come risolvere il trasporto dei malati. Nel dopoguerra il prof. Krehl, seppure anziano, tentò di modificare l’approccio al paziente dando più importanza alla cura dell’essere umano sofferente e intendendolo come persona intera. Il suo programma era rivoluzionario per quei tempi. Era solito dire : «Le malattie come tali non esistono, noi conosciamo solo uomini malati. Quel che prendiamo in considerazione non è l’uomo in quanto tale (anche questo non esiste) bensì il singolo malato, la singola personalità»1.

Weizsäcker fu molto influenzato da questo suo maestro di cui ebbe grande stima e nella sua mente cominciò a nascere l’idea di un nuovo approccio al paziente. La guerra gli aveva creato una crisi di coscienza tale che in laboratorio non volle più sacrificare inutilmente nessun animale. Al capezzale del soldato ferito gravemente

1

S. Spinsanti , Guarire tutto l’uomo, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, p.107 nota192: Il detto originale in tedesco si trova in L.v. Krehl, Krankheitsform und Persönlischkeit, Leipzig, 1929, p.17.

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l’unica possibilità di alleviare le sofferenze era stata una partecipazione empatica del medico. In realtà ciò che voleva cambiare era il concetto positivista di malattia, come lo aveva formulato Comte, filosofo del XIX secolo, che dava la massima importanza alla ricerca scientifica escludendo qualsiasi idea di tipo metafisico. Così la malattia si spiegava del tutto con processi fisici e chimici. Weizsäcker aveva invece un concetto diverso della malattia perché pensava che non fosse un difetto di una macchina e che nella valutazione della malattia contasse molto anche la situazione psicologica, la biografia del paziente e l’impatto sociale che la malattia genera. Il fatto di aver escluso nella valutazione della malattia certi pregiudizi, che creavano sensi di colpa, poteva essere un bene ma il fatto di non aver più considerato idee religiose e psicologiche, secondo lui, era un errore, perché la guerra aveva creato una profonda crisi di valori.

Erano gli anni in cui si cominciava a parlare di psicanalisi grazie a Freud, ma l’accoglienza di questo nuovo approccio terapeutico non era stata univoca. Weizsäcker, come neurologo, si era interessato seriamente alla psicosomatica ottenendo anche un certo successo, tanto che venne considerato tra i padri della psicosomatica. Ammirava Freud ma non era del tutto d’accordo con la sua teoria, che prendeva in considerazione solo le psiconevrosi per la terapia psicanalitica escludendo le malattie somatiche e quindi continuando a vedere separati anima e corpo. Egli invece pensava che la psicosomatica fosse un particolare modo di approcciare tutte le malattie anche quelle che interessavano il corpo. Freud non era mai stato capace di spiegare come avvenisse il passaggio dalla malattia psichica a un sintomo del corpo, Weizsäcker invece era dell’idea che certe manifestazioni

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patologiche dovessero essere messe a confronto con certe situazioni biografiche del malato. Questa convinzione derivava dal fatto che spesso certi disturbi corporei sembravano originare durante particolari momenti di crisi spirituale o in seguito a forti emozioni.

Nei suoi scritti autobiografici ne riporta alcuni esempi. Esempio emblematico fu il cosiddetto “caso A” che riguardava un ragazzo di 17 anni affetto da disturbi della minzione che gli impedivano di urinare. La ritenzione urinaria non appariva dipendente da alterazioni organiche o neurologiche per cui Weizsäcler attribuì il disturbo all’alterata relazione con il padre troppo repressivo anche nei riguardi del sesso e la ritenzione urinaria era sinonimo di appagamento sessuale. Tuttavia alla comparsa di un’angina tonsillare il disturbo urinario sembrava scomparire. Weizsäcker quindi interpreta il disturbo della minzione come una nevrosi che però viene sostituita da una malattia organica la quale ha il significato di una opposizione alla nevrosi e di un passaggio dalla psiche al corpo a dimostrazione che essi rappresentano un’unità.2

A conferma di ciò, inoltre, vi sono certe nevrosi i cui sintomi sono del tutto identici alla malattia organica (es. la nevrosi cardiaca si manifesta con palpitazioni e sudorazione come nell’attacco di angina pectoris). Questo metodo cosiddetto psicosomatico-biografico ricevette aspre critiche da parte dei colleghi sia per la difficile applicazione, in quanto presupponeva che l’internista si occupasse di psicodinamica, sia perché appariva un modo inconsueto di considerare la malattia

2

Cfr. O. Tolone, Alle origini dell’antropologia medica, Carocci, Roma, 2016, p.178. Il caso A viene descritto nello studio dal titolo Körpergeschehen und Neurose, ora in Weizsäcker (GS VI p.129). GS sta per Gesammelte Scriften e VI è il sesto volume.

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in campo sociale. Infatti questo suo metodo portò Weizsäcker ad occuparsi anche di medicina sociale.

Risultò di particolare interesse una nevrosi detta “nevrosi da indennizzo”, che colpiva con una certa frequenza negli anni venti e stava diventando un problema sociale di rilievo. Egli si mise a frequentare le fabbriche, ad osservare gli operai sull’ambiente di lavoro, rendendosi conto delle problematiche che potevano portare ad una richiesta d’indennizzo. Propose il ricovero in ospedale di certi pazienti affetti da nevrosi grave e sperimentò con successo la terapia di gruppo, che egli definì terapia situazionale. Ne sono descritte le particolarità nell’VIII libro delle

Gesammelte Schriften. Così ci si doveva comportare anche difronte a tutte le

malattie organiche che avessero un risvolto sociale, quali per esempio la tubercolosi.

Weizsäcker si prodigò in conferenze per far comprendere cosa in effetti intendesse per psicoterapia e ottenne un certo consenso nel 1926 in occasione di un congresso a Baden Baden organizzato dalla fondazione tedesca di psicoterapia, a cui parteciparono sia internisti che psicoterapeuti e medici generici. L’argomento di base fu l’uso della psicanalisi come mezzo terapeutico e a tutti fu chiaro quanto fosse necessaria una terapia psicosomatica. Già da allora il programma che Weizsäcker si proponeva era orientato verso la creazione di una medicina antropologica che riunisse un insieme di casi clinici esemplari nell’evidenziare quanto la psiche e il corpo possano condizionarsi vicendevolmente. Tuttavia le polemiche non si smorzarono perché questo nuovo metodo si opponeva alla dottrina di Freud, il quale separava le psiconevrosi dalle nevrosi attuali

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considerando quest’ultime non influenzabili dalla psicanalisi e inoltre era di difficile applicazione perché richiedeva una particolare organizzazione. Il primo reparto di medicina psicosomatica sarà poi quello istituito presso la Clinica Medica di Heidelberg nel 1930.

Il 1926 è anche l’anno in cui venne fondata la rivista “Die Kreatur”, i fondatori furono Martin Buber, filosofo ebreo, Josef Witting teologo cattolico ribelle, e lo stesso Weizsäcker, con il patrocinio di Rosenzweig. Lo scopo era quello di un dialogo interconfessionale su vari argomenti. Ciò che univa i tre redattori era una visione del mondo dal punto di vista della creatura, che riconosce l’esistenza di un Creatore e vuole partecipare alla conoscenza del mondo con la propria esperienza sempre nuova e imprevedibile e desidera creare un “nuovo pensiero” in opposizione alla pura razionalità dell’Idealismo. L’amicizia e la collaborazione con questi filosofi fu molto fruttuosa per Weizsäcker. Nella rivista pubblicò tre saggi: nel 1926 Il medico e

il malato e Il dolore con il sottotitolo Elementi per un’antropologia medica e nel

1928 Anamnesi.3

Il primo spiega le difficoltà che il medico incontra nel conciliare la teoria con la prassi, in quanto agire secondo le conoscenze scientifiche non sempre si accorda con il desiderio del medico e del paziente. Infatti talvolta il desiderio di conoscenza scientifica del medico porterebbe a compiere azioni contrarie al benessere del malato oppure a interrompere l’azione curativa potrebbe essere contraria al desiderio di guarigione del paziente. Importante è comprendere colui che dice: “Io

3

Cfr. I due testi con il sottotitolo Elementi per un’antropologia medica si trovano in traduzione italiana in V.v. Weizsäcker, Filosofia della medicina, a cura di T. Henkelmann, Guerini e Associati, Milano, 1990, pp.81-117.

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sono malato”. È una comprensione che significa sapere che l’altro sente o sa di essere malato. È un tipo particolare di comprensione che egli definisce “transiettivo” che non è né soggettivo né oggettivo ma, si può dire, si accorda con la teoria della relatività: non sempre due osservatori possono essere d’accordo sulla reale percezione dei movimenti dell’uno rispetto all’altro, se partono da premesse diverse può sembrare in quiete colui che per l’altro è in movimento, ma se si comprendono sulle premesse troveranno un accordo. Così’ comprendere qualcuno non è obbiettivo, ma se lo si può fare non importa sapere come lo si fa. Se vogliamo agire concretamente dobbiamo cominciare a compiere l’azione andando in un senso antilogico. Questo è ciò che fa il buon medico. Difronte all’affermazione “io sono malato” il buon medico non inizia subito a fare l’esame obiettivo ma reagisce con una domanda “cosa c’è che non va”, cioè inizia un dialogo. L’importante non è la conoscenza dell’io che mi si rivolge ma è istituire con lui un dialogo, perciò l’io diventa un tu. All’inizio della scena biografica c’è un lamento, poi c’è una domanda, quindi un dialogo.

Queste affermazioni, che vogliono riassumere in sintesi quale sia il pensiero del primo saggio, contengono in breve la filosofia propria di Martin Buber, amico, collaboratore e maestro di Weizsäcker. La formula proposta da Buber è: “in principio è la relazione” che è il fondamento della sua filosofia cosiddetta dialogica. Secondo Buber la relazione su cui si basa tutta la realtà è quella tra le due parole fondamentali Io e tu, in cui tu non è un oggetto del mondo, non è utilizzabile né

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sperimentabile ma è presente davanti a me in quanto attende da me qualcosa.4 In questa relazione tra l’io e il tu è chiaramente compresa la relazione fra il medico e l’uomo malato di cui parla Weizsäcker. Nel secondo saggio intitolato Il dolore Weizsächer, da filosofo, si domanda quale sia l’essenza dell’arte medica e la trova in un gesto, quello di rivolgersi verso il dolore. Tale gesto è un impulso terapeutico ma non è né una reazione né un sentimento ma come una forza fondamentale che spinge ad agire con sollecitudine. Definire che cosa è il dolore è difficile se non impossibile eppure davanti al dolore altrui si reagisce in qualche modo, o ci si rivolge verso di esso o gli si volta le spalle. Il medico è colui che vi si rivolge con sollecitudine e di questa sollecitudine non si comprende l’origine se non come un bisogno spirituale e come un precetto, quel che conta però è il gesto concreto che tende a sanare. Se ci vogliamo chiedere che cosa è il dolore per colui che lo soffre si può dire che viene avvertito come uno strappo, un qualcosa che divide l’Io dall’Es pur volendo l’essere rimanere unito, perché se non c’è la guarigione la parte che si separa morirà e purtroppo questa è la metafora che riassume il destino di tutto l’essere. Nel terzo saggio Anamnesi5 fa riferimento all’importanza della biografia di colui che, sofferente, chiede aiuto al medico e si aspetta una cura capace di risolvere il suo malessere. L’anamnesi necessaria a scoprire la vera natura del malessere è quella che Weizsäcker chiama “anamnesi autentica” perché mira a conoscere la verità. Si tratta di un percorso biografico che il medico dovrà tracciare con la piena collaborazione del paziente unendo le esperienze di entrambi. Non è

4

M. Buber, (1993), Il principio Dialogico e altri saggi, a cura di A. Poma, Edizioni S. Paolo, pp.57-157.

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Il testo si trova tradotto in italiano in V.v. Weizsäcker, Antropologia medica, a cura di O. Tolone, Morcelliana, Brescia, 2017, pp.61-93.

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una semplice nosografia dei fatti patologici accaduti ma la ricerca di eventi che abbiano potuto incidere nel corpo e conseguentemente nello spirito, e viceversa, producendo l’epifenomeno di un certo tipo di sofferenza (principio di equivalenza e reversibilità). Il rapporto fra i due è tale che «La malattia viene esperita come uno sviluppo della coscienza prodotto da un evento corporeo, oltre a ciò, bisogna anche dire che la malattia è esperibile come un evento corporeo prodotto dalla coscienza». Così si esprime Weinzsäcker nel saggio.6 Naturalmente il medico deve mettere a disposizione del malato le sue conoscenze scientifiche e tecniche per attuare la cura più appropriata.

Si può dire che questi tre saggi danno inizio all’idea, propria di Weizsäcker, di una Antropologia Medica, annunciantesi come nuova disciplina autonoma che antepone alla scienza il concetto di Umanità. La rivista si mantenne attiva per tre anni e poi si interruppe, ma l’interesse di Weizsäcker verso la formazione di un’antropologia medica non si spense. Questi testi, in seguito ripubblicati più volte, avevano lo scopo di attirare l’attenzione della comunità scientifica su un problema che lo stava assillando già da qualche tempo ed era quello del rapporto medico-paziente. Questa relazione, su cui si basa l’arte medica, a suo avviso, doveva essere modificata e le ragioni che giustificavano quest’idea derivavano proprio dalle sue scoperte scientifiche. Questi saggi erano già il frutto delle sue ricerche sperimentali che poi porteranno alla stesura di numerose altre opere.

Gli anni trenta furono i più fruttuosi dal punto di vista scientifico. Furono gli anni in cui si dedicò più alacremente all’elaborazione di una neurologia teoretica

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sospendendo temporaneamente l’interesse per la medicina sociale. Si deve pensare che anche il clima politico con l’avvento del nazismo e della sua ideologia non favoriva un pensiero a favore dell’uomo malato ma si esaltava il corpo sano vigoroso ed atletico. Nei riguardi della politica Weizsäcker nei primi anni dell’avvento nazista non si oppose ma mantenne sempre un atteggiamento non collaborazionista con il regime, comunque nessuno suo scritto venne ostacolato, come invece accadde anche a Freud. Negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale si occupò prevalentemente di neurofisiologia, anche perché dirigeva la sezione neurologica della clinica medica di Heidelberg. Nel laboratorio di fisiologia della Clinica Medica di Heidelberg egli, insieme ad un gruppo di volenterosi allievi, svolgeva numerosi esperimenti di neurologia sulla sensibilità. In queste sue ricerche egli aveva notato che studiando il tatto la soglia era labile e mutevole e tale fenomeno non si spiegava con i principi della fisiologia classica. Il dubbio si mutò in certezza quando il suo interesse si spostò dalla fisiologia dei sensi allo studio del movimento volontario e della sua coordinazione, di cui nessuno ancora parlava e comprese che la volontarietà contrastava con la concezione riflessologica meccanicistica della fisiologia tradizionale: se si vogliono studiare i movimenti volontari bisogna non pensare al concetto di riflesso secondo una scienza esatta come la meccanica. Egli non volle neppure ricorrere per la spiegazione ad una teoria vitalistica alla quale non credeva, ma cercò di giustificarlo con una teoria derivata dal suo materiale empirico. In base ai suoi esperimenti egli aveva notato che in certe patologie organiche si crea un cambio di funzione dell’organo colpito e questo si spiegava solo introducendo il soggetto nella biologia.

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Fu in questo periodo che riuscì ad elaborare una teoria che avrà come conseguenza un cambiamento di paradigma riguardo al modo di concepire la medicina. Il primo scritto sulla dottrina del Gestaltkreis fu del 1933, questa parola è stata tradotta in italiano da P.A. Masullo in La struttura ciclomorfa7. L’idea di questa teoria ha numerose radici che progressivamente si intersecano e confluiscono in un unico pensiero. In primo luogo ha avuto importanza il suo pensiero filosofico di superare la metafisica kantiana congedandosi dall’oggettivismo della scienza classica moderna e promuovendo una nuova idea del rapporto tra uomo e natura, tra essere umano e il suo ambiente. Si tratta di un cambiamento epistemologico in cui si riconosce l’importanza del soggetto nella biologia ma anche nella scienza in generale. Altra importante radice del Gestaltkreis sono i suoi esperimenti che riguardano la fisiologia neurologica ma anche quelli condotti con i pazienti affetti da patologie neurologiche e ricoverati nella sua clinica. Nel Gestaltkreis egli mette in relazione la percezione con il movimento autonomo e dice che si crea fra di loro un rapporto simile ad un circolo perché la percezione provoca il movimento ma il movimento favorisce la percezione (esempio della mano che tocca una superficie: in base a come mi muovo percepisco ma il movimento dipende anche dalla superficie che la mano incontra)8. Questo rapporto percezione-movimento egli lo chiama “atto vitale” che consiste nel rapporto tra l’organismo vitale e il suo ambiente, si tratta di una relazione condizionata da leggi ma anche dalla volontà del soggetto

7 V.v. Weizsäcker, La struttura ciclomorfa. Teoria dell’unità di percezione e movimento, a cura di P.A.

Masullo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1995.

8

O. Tolone, Alle origini dell’antropologia medica, cit., p.48. Il testo originale si trova in Weizsäcker (GS IV trad. it. p.226).

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per cui il suo risultato è imprevedibile, perché dipende anche da una volontà, quella del soggetto. Si tratta di circolarità di un processo dinamico perché ritorna su se stessa e si trasforma in un continuo divenire9. Dire che un processo organico è diveniente cioè sempre mutevole e quindi imprevedibile vuol dire anche che nell’analisi di un processo organico non si possono usare i criteri della logica tradizionale, basati sul principio di non contraddizione, ma difronte a due fenomeni che si escludono a vicenda non si può sceglierne uno ed escludere l’altro altrimenti qualcosa si perderebbe, invece vanno considerati uniti in un unico atto biologico, come avviene nel rapporto tra percezione e movimento in cui però rimangono nascosti l’uno all’altro.10 Si può fare l’esempio della visione di un oggetto, se mentre lo osservo mi metto a guardare il funzionamento dei miei muscoli oculari che muovono la pupilla la visione scompare. Altro esempio che Weizsäcker fa è quello della porta girevole: essa mi fa vedere o l’esterno o l’interno mai entrambi contemporaneamente, così è il comportamento dell’atto biologico come se avesse due facce che si mostrano scambievolmente ora l’una ora l’altra secondo una relazione di circolarità dinamica. Questo avviene in ogni processo biologico e dice Weizsäcker è diverso dalla fisica in cui il soggetto conoscente si contrappone a un mondo come fosse un oggetto indipendente da lui, invece un essere vivente si rapporta ad un altro essere vivente in modo complementare e imprevedibile e non

9 Cfr. V.v. Weizsäcker, Questioni fondamentali di antropologia medica, a cura di M. Anzalone, ETS,

Pisa, 2017, p.22.

10

Cfr. V.v. Weizsäcker, La struttura ciclomorfa. Teoria dell’unità di percezione e movimento, a cura di P.A. Masullo, cit., p.268.

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in una relazione di causa effetto11. Il Gestaltkreis ha una valenza sia epistemologica che ontologica perché dal punto di vista ontologico il fondamento dell’esistenza vitale è il divenire. Oltre agli esperimenti di laboratorio un’altra radice importante del Gestaltkreis fu l’esperienza che Weizsäcker ebbe con i pazienti della sua clinica, l’incontro con essi gli permise di farsi un’idea dell’essere umano del tutto diversa da quella che la scienza positivista proponeva e cominciò a pensare di rivoluzionare il rapporto medico- paziente arrivando a progettare una nuova scienza, l’antropologia medica.

La nuova idea fu quella di embricare le due teorie il Gestalkreis e l’antropologia medica in quanto, egli dice: «l’idea del Gestaltkreis non era nient’altro che l’astrazione teoretica della forma di processo vitale che mi si era presentata nel rapporto del medico con il malato»12. Egli riconosceva nell’incontro del medico con il malato una immagine di circolo perché deve essere una relazione fra soggetti che ha un movimento circolare di andata e ritorno in quanto si tratta, a parte il grado diverso di conoscenza scientifica specifica, di due esseri umani che si dovranno conoscere empaticamente condizionandosi reciprocamente, come accade per la percezione e il movimento. Con questo tipo di rapporto il medico potrà conoscere il paziente anche nell’anima perché corpo e spirito sono uniti a formare un’unità e nella malattia non ci si può limitare a curare il corpo perché anche l’anima è sofferente.

11 Cfr. V.v. Weizsäcker, Questioni fondamentali di antropologia medica, a cura di M. Anzalone, cit.,

pp.25-26.

12

S. Spinsanti, Guarire tutto l’uomo, cit., p.86, nota 159: L’originale si trova in V.v. Weizsäcker, Natur

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Quest’ idea che egli aveva dell’essere umano era sorta in lui anche grazie alla frequentazione con importanti filosofi della sua epoca. Weizsäcker nella sua gioventù aveva conosciuto anche Max Scheler e ne aveva subito l’influenza. Questo filosofo, dopo aver abbandonato il metodo fenomenologico di Husserl, si era dedicato ad una nuova branca della filosofia l’Antropologia Filosofica e aveva scritto nel 1927 “il posto dell’uomo nel mondo” in cui cercava di comprendere nel profondo la condizione umana e considerava l’uomo come un essere con carattere speciale ed un posto speciale nel mondo in quanto egli si apre al mondo.

Scheler riconosceva che le scienze avevano fatto grandi progressi in tutti i campi ma essendosi suddivise in troppo numerose specializzazioni non erano ancora state in grado di definire l’essere umano nella sua interezza. Questa teoria dell’unità si ritrovava anche nelle scienze biologiche, per cui l’uomo era qualcosa di più della somma di corpo vivente, psiche e cultura ma si poteva comprendere solo considerandolo nella sua unità.

Molti filosofi e psicofisiologi si dedicarono alla conoscenza del “proprio dell’uomo” e si andò via via perdendo la distinzione tra scienze della natura e scienze dello spirito. Appariva necessario mettere in relazione biologia e spiritualità. Conoscere l’uomo significava studiare quel particolare essere vivente che non è né puro oggetto né puro soggetto ma è sia oggetto che soggetto, attivo e passivo, non ente ma diveniente.13 Weizsäcker condivideva queste idee e pensava che l’’uomo andasse considerato come un insieme inseparabile di corpo e di mente, di sensi e di

13

Cfr. V.v. Weizsäcker, La struttura ciclomorfa. Teoria dell’unità di percezione e movimento, a cura di P.A. Masullo, cit., pp.XIII-XVII.

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spirito e quindi si trattava di introdurre il soggetto nella biologia. La psicanalisi doveva fare da ponte fra psicologia e biologia in modo da poter “guarire tutto l’uomo”. La psicanalisi inoltre è un tipo particolare di relazione medico- paziente, che considera necessaria la reciprocità tra paziente e medico rendendo la relazione non solo terapeutica ma anche etica in quanto è bipersonale ed ha un effetto educativo. Infatti Weizsäcker definisce la psicanalisi psicagogica cioè educativa non perché guarisca la nevrosi ma perché rieduca il paziente e, in un certo senso, anche il medico.14

Alla costruzione sistematica di una Antropologia Medica Weizsäcker si dedicò dopo il secondo conflitto mondiale, che fu anche per lui ancor più tragico del primo. Infatti non subì soltanto di nuovo un periodo di prigionia ma anche due gravi lutti per la perdita in guerra di entrambi i suoi figli maschi. Negli anni dopo il 1945 ha elaborato e prodotto diverse opere molto significative dal punto di vista filosofico. Sono di rilievo le sue opere autobiografiche Begegnungen und Entscheidungen (1949), Natur und Geist (1954) e Wegweir in der Zetiwende (1955), in quest’ultimo scritto, sotto forma di curriculum vitae, fa il bilancio della sua vita.

Come tutte le autobiografie sono un esame di coscienza e una revisione non prive di autocritica e anche di recriminazioni. Egli amava la medicina interna molto di più della neurologia, ma quando morì il suo maestro Krehl nominarono un altro a quella cattedra invece di lui. Fu uno smacco difficile da superare e anche se nel 1941 fu nominato ordinario di neurologia a Breslau e nel 1946 ottenne la cattedra tanto

14

Cfr. V.v. Weizsäcker, Biologia e Metafisica. Istruzioni per la condotta umana, a cura di P.A. Masullo, 10/17, 1987, pp.5-16.

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ambita di medicina interna a Heidelberg, questo non gli impedì di conservarne un amaro ricordo fino al punto di affermare «la mia vita è trascorsa perciò per la maggior parte del tempo all’università senza successo».15

Da questi scritti si comprende che lo scopo della sua vita non si è mai modificato, in gioventù non gli era apparso ben chiaro ma, con il passare degli anni, aveva pian piano raggiunto la piena coscienza. Il suo intento principale si può riassumere nel forte desiderio che fosse riconosciuta l’importanza della soggettività nelle scienze, in tutte le scienze a cominciare dalla fisica, come lo dimostrò Heisenberg con la teoria dei quanti. Si trattava di riconoscere, secondo un ragionamento analogico, anche per la biologia e quindi per la medicina quei principi di complementarietà e indeterminazione propri delle scienze della natura. Era una rivoluzione epistemologica che egli cercò di giustificare tramite la teoria del Gestaltkreis, che rappresenta un metodo per vedere la realtà fenomenica relazionale tra un organismo e il proprio ambiente e quindi anche tra l’essere umano e il proprio mondo in cui è compreso il rapporto tra medico curante e paziente, tra corpo e anima e anche tra l’Io e se stesso, tra l’Io e la sua malattia. Weizsäcker riassume questa metodologia con le parole “Introdurre il soggetto nella biologia”. Questo significa che il legame tra soggetto e oggetto è inscindibile e non si possono più considerare distinti, ne consegue anche l’introduzione della psicologia (o psicanalisi) nella medicina.

15 V.v. Weizsäcker, L’intento principale nella mia vita, (1955 nell’opera curata da H.Kern: Wegweiser

in der Zeitwende). Il testo è riprodotto in traduzione per gentile autorizzazione dell’editore

Reinhardt in S. Spinsanti, Guarire tutto l’uomo. La medicina antropologica di V.v. Weizsäcker, cit., p.128.

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Egli, in quanto medico e filosofo, questo se lo sentiva come un dovere morale. La scienza meccanicistica e la filosofia positivista non davano importanza alla soggettività. Tutto ciò che si cercava di conoscere era un oggetto, una cosa, compreso l’essere vivente, invece l’essere vivente si conosce soltanto se il soggetto conoscente entra a far parte della vita stessa. Nacque con lui una nuova scienza l’Antropologia Medica, di cui si era occupato anche in gioventù, ma che riprenderà con maggior entusiasmo negli anni della maturità e della vecchiaia fino alla fine della sua vita. Il frutto del suo impegno sarà un’opera dal titolo “Patosofia” risultata incompiuta ma rappresentante l’apice del suo pensiero di medico e filosofo.

Che cosa significa “patosofia”? È un concetto che riassume tutta la filosofia di Weizsäcker perché è il punto di arrivo di un lungo percorso iniziato con la psicosomatica e poi, basandosi sulla teoria del Gestaltkreis, introduce il soggetto nella biologia arrivando a fondare un’ Antropologia medica. Questa dottrina mette al centro dell’attenzione l’uomo nella sua fondamentale caratteristica chiamata da Weizsäcker “paticità”, che non è un’essenza, non è il fondamento dell’Essere (come lo intende Heidegger) ma definisce il rapporto tra mente e corpo, tra pensiero e azione, sempre imprevedibile e insondabile, e guida in ogni momento l’uomo inteso come unità mente-corpo in continuo divenire. Essere patico è l’opposto dell’essere ontico e vuol dire agire secondo i verbi volere, potere, dovere, essere lecito, essere costretto e con essi prendere una decisione. Questi verbi sono modalità dell’essere che Weizsächer definisce come “categorie patiche”. La paticità è la struttura biologica originaria dell’uomo. L’essere umano è patico perché subisce l’ambiente in cui vive, prova emozioni, ma può anche fare delle scelte e costruirsi da solo la sua

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“umwelt” (ambiente) per questo si può definire autonomo.16 . Essere patico ha dunque un doppio senso quello del subire e quello del muoversi, infatti il termine emozione suggerisce un certo movimento. Così si esprime nel definire il patico Weizsäcker: «Esso non indica l’essere ma il subire (soffrire e patire) e esso ha le sue manifestazioni tanto nel fisico che nello psichico. Poiché l’angoscia del nemico nell’ambito morale esprime la stessa cosa dell’impiego motorio nel fisico e i desideri sono lo stesso che i movimenti coordinati di prensione»17. Il soggetto, quindi, viene considerato sia attivo che passivo e la principale caratteristica della paticità è lo stare “tra”. Ogni atto di conoscenza, quindi ogni scienza è un interscambio tra soggetto e oggetto, non più una conoscenza oggettiva ma è motivata da un interesse, pertanto ha una struttura patica. La scienza non può evitare di avere un incontro con il soggetto malato, cioè affetto, quindi la medicina non potrà essere che un’antropologia medica e dal punto di vista filosofico non potrà essere che una patosofia, che avrà come principale interesse il rapporto tra medico e paziente. Sarà questo l’argomento principale del prossimo capitolo.

16 Cfr. P.A. Masullo, Patosofia-L’Antropologia relazionale di Victor von Weizsäcker, Guerini e

Associati, Milano, 1992, pp.59-60.

17

V.v. Weizsäcker, La struttura ciclomorfa. Teoria dell’unità di percezione e movimento, a cura di P.A. Masullo, cit., pp.256-257.

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CAPITOLO II

L’ANTROPOLOGIA MEDICA SECONDO IL PENSIERO DI VIKTOR VON

WEIZSÄCHER

In un saggio del 19471 , nell’immediato dopo guerra, dopo le terribili esperienze vissute da ufficiale medico in prima linea e quando ancora in Germania gli animi erano sconvolti dalla catastrofe, Weizsäcker si domandava, rivolgendosi ai colleghi medici, quale fosse l’essenza della medicina e ammetteva la necessità di un cambiamento profondo nel modo di interpretare e di praticare la professione medica.

Innanzitutto Weizsäcker considerava il concetto di “medico” ben rappresentato nell’immagine del buon samaritano, di cui parla l’evangelista Luca (10,25-37), che agisce con spontaneità, secondo un principio etico, andando in soccorso a colui che ha bisogno solo perché lo riconosce come essere umano. Weizsäcker riteneva che il medico, al di là del suo valore scientifico e culturale , debba avere in suo potere una specie di bacchetta del rabdomante che gli indica cosa sia opportuno fare e cosa no. Il medico infatti ha in sé una forza inspiegabile e innata che lo spinge a riconoscere le qualità umane dell’altro e a soccorrerlo se necessario.

La polemica era chiaramente rivolta contro la situazione della medicina dei suoi tempi, ad essa rimproverava di offrire al medico una formazione quasi

1

Il saggio Sull’essenza della medicina si trova in V.v. Weizsäcker, Antropologia Medica, a cura di O. Tolone, cit., pp.95-109.

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esclusivamente scientifico-naturalistica e ben poco umanistica. Non si trattava e non bastava aggiungere al curriculum un corso di etica medica, qualche lezione di filosofia o di psicologia, oppure consentire qualche ora di pratica assistenziale se poi veniva insegnato di fare esperimenti sull’uomo e le sue malattie, senza considerare che l’uomo non è un oggetto, un macchinario, bensì è un corpo esteso ma con soggetto.

All’epoca di Weizsäcker le scienze erano divise in due grandi gruppi, scienze della natura e scienze dello spirito. Il metodo per conoscerle era ben diverso nei due gruppi: nelle scienze della natura si doveva usare la ragione e il metodo consisteva nel rapporto tra soggetto conoscente e oggetto conosciuto, separato e distante dal soggetto, nella conoscenza vigeva la legge fisica di causa-effetto. Nell’apprendere le scienze dello spirito oltre alla ragione occorreva il sentimento che è soggettivo e spinge ad agire in modo imprevedibile.

Egli, esperto di fisiologia ma anche attento alle sorprendenti scoperte in campo biologico e affascinato dalla nuova teoria psicanalitica di Freud, si era convinto che la medicina non dovesse appartenere esclusivamente alle scienze della natura, perché l’organismo vivente nel suo rapporto necessario e inscindibile con l’ambiente che lo circonda ha anche una sua autonomia, potendo rispondere a uno stimolo in modo imprevedibile e anche opposto, quindi il soggetto fa parte integrante dei processi biologici. L’essere umano, inoltre, ha una psiche che, anche se non è in grado di conoscere fino in fondo i meccanismi interni degli organi somatici, in parte li condiziona. Il soggetto, quindi, è da considerarsi inserito sia

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nella biologia che nella psicologia. La medicina di allora, pur avendo fatto grandi progressi nella fisiopatologia, nella patogenesi e nella tecnologia diagnostica, si occupava dell’uomo malato come fosse un interessante oggetto di studio ma non della sua soggettività e della sua innata spontaneità nel relazionarsi con altri da sé. Occorreva introdurre il soggetto nella medicina e cambiare così il suo statuto epistemologico opponendosi alla medicina positivistica oggettivante. L’uomo non tanto e non più oggetto di conoscenza ma soggetto di esperienza, che partecipa alla propria malattia e se la costruisce in modo da sopportarla, guarirla o prevenirla, mettendosi in relazione e chiedendo aiuto al medico curante. Introdurre il soggetto nella medicina cioè la psicologia nella patologia voleva dire anche avervi introdotto le passioni, compresa la colpa, la vergogna e la spontaneità quindi la libertà2. Si trattava di una rivoluzione di tipo copernicano, intendendo con questo un cambio di paradigma tale che al centro dell’attenzione nella scienza medica ci fosse l’uomo con tutte le sue caratteristiche organiche, psichiche, sociali.

Weizsäcker ad un certo momento non si occupò più solo di fisiologia e di psicosomatica, ma, grazie all’introduzione della psicanalisi in medicina, cominciò a pensare alla fondazione di una nuova scienza: l’Antropologia Medica, che avesse lo scopo di occuparsi dell’uomo malato sotto tutti i punti di vista, cercando di unire insieme scienze della natura e scienze dello spirito. L’intento era quello di opporsi al modo di pensare dell’epoca, che riconosceva alcune malattie di origine psichica e

2

Cfr. V.v. Weizsacher, Questioni fondamentali di Antropologia Medica, a cura di M. Anzalone, cit., pp.9-10.

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altre di origine puramente somatica, perché tutte le malattie coinvolgevano, a suo avviso, sia corpo che anima in quanto l’uomo è un tutt’uno inscindibile.

Questo nuovo modo di pensare voleva pure prendere le distanze dalla psicosomatica, che si praticava anche nell’ospedale in cui egli lavorava ma che, pur considerando importante il coinvolgimento tra anima e corpo, faceva netta distinzione tra queste due realtà. Il corpo non è, secondo WeizsäcKer, un’entità con funzioni ben distinte, sottoposto alla ragione e alle passioni provenienti dall’anima, ma bensì è esso stesso un soggetto e sue sono ragione e passioni.3

Era una visione nuova sia dell’uomo che della malattia e questo significava modificare l’epistemologia della medicina. La sintomatologia obiettiva rilevata nel corpo dell’uomo malato si poteva ricollegare al suo io profondo, alle sue passioni, ai suoi sensi di colpa, come pure l’umore melanconico del depresso poteva essere l’origine dei suoi disturbi corporali. L’antropologia medica doveva riunire sotto un unico scopo fisiologia e psicologia, psicosomatica e filosofia.

L’introduzione del soggetto nella medicina diventò un caposaldo della sua Antropologia Medica e anche il principale obiettivo da raggiungere.

Per dare un fondamento empirico a questa nuova disciplina cominciò ad interessarsi alla medicina antropologica costituita da tanti casi clinici da esaminare ed elaborare per dimostrare la veridicità della sua teoria. Cercava così di mettere insieme teoria e prassi. Sarebbe stato un modo tutto nuovo di vedere la malattia; il

3

Cfr. V.v. Weizsäcker, Biologia e Metafisica. Istruzioni per la condotta umana, a cura di P.A. Masullo, cit., p.12.

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medico doveva comprendere come il paziente viveva i propri disturbi e come li elaborava e doveva anche aiutarlo a comprendere se stesso, perché la malattia faceva parte della sua verità, era se stesso. L’influenza di Freud con la sua psicanalisi fu senza dubbio fondamentale nell’evoluzione del pensiero di Weizsäcker, anche se Freud non fu completamente d’accordo con lui, perché nella sua mente continuava a vedere distinti soma e psiche. Molte critiche lo raggiunsero anche da parte di altri filosofi e colleghi medici. La più nota è la diatriba con Jasper, con il quale in gioventù erano stati amici. La critica verteva soprattutto sull’idea di vedere la malattia fisica non strettamente connessa con quella psichica, supponendo che certe malattie somatiche anche gravi non sono riconducibili ad un intrico fra mente e soma.4 Weizsäcker si era invece convinto della sua teoria e adduceva a conferma molti casi clinici di cui aveva avuto personale esperienza.

Per esempio nel testo del 1951 Der kranke Mensch5 riportò un caso di dipendenza

multipla da alcool sonniferi e sigarette che, con la comparsa della cirrosi epatica, si risolse completamente. La sua interpretazione fu che la patologia psichica era stata sostituita da una malattia organica. Inoltre egli aveva dato una notevole importanza alla biografia del malato e aveva trovato numerosi casi in cui un cambiamento importante nella vita del paziente, uno sconvolgimento psichico, una forte emozione poteva essere stata la causa di una patologia apparentemente solo

4 Cfr. P.A. Masullo, op. cit., p.103 . 5

Cfr. O. Tolone, Alle origini dell’antropologia medica. Il pensiero di Victor von Weizsäcker, cit., pp.73-74. Der Kranke Mensh. Eine Einführung in die medizinische Antropologie è inserito in V.v .Weizsäcker, (GS IX, pp.315-702).

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somatica. Il caso ”A”, da lui descritto,6 e accennato già nel capitolo I, è un esempio eclatante di come un disturbo organico possa nascondere un conflitto psichico: ragazzo di 20 anni affetto da ritenzione urinaria, non giustificabile dal punto di vista clinico né da malfunzionamento dell’apparato urinario né da problemi neurologici; un colloquio approfondito con il giovane, usando il metodo psicanalitico, convinse Weizsäcker che la causa poteva essere un difficile rapporto con un padre severo, che non gli avrebbe approvato pratiche sessuali, per cui il ragazzo considerava la ritenzione urinaria un appagamento del desiderio sessuale. Ma non era questa la singolarità del caso, si sapeva come si comportano le nevrosi. L’evento particolare era stato che la comparsa improvvisa di un’angina tonsillare aveva fatto scomparire il sintomo ritenzione urinaria su base nevrotica. Una patologia senza dubbio organica si era sostituita ad una nevrosi attuale.

La malattia si era ristrutturata prendendo un’altra strada. Discutendo il caso egli supponeva che il collegamento tra l’angina e la nevrosi di colpa fosse avvenuto nell’inconscio, che fosse avvenuto un passaggio dall’io all’es, dalla dimensione spirituale e morale a quella materiale e viceversa. L’angina era un evento puramente corporale ma che in maniera inconscia liberava dalla nevrosi. Non è facile approvare questo salto dallo psichico all’organico, ma Weizsäcker riconosceva in questo caso quanto fosse importante la partecipazione del soggetto alla malattia, che è sua personale e privata, fa parte della sua biografia e l’andamento di essa dipende da come egli la vive e da come la interpreta. Una malattia fisica può

6

Ivi, pp.77-78. Nota57: il caso A viene descritto nello studio dal titolo Körpergechehen und Neurose, in Weizsäcker (GS VI p.129).

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trasformarsi in una nevrosi ma un senso di colpa a sua volta può trasformarsi in una patologia organica. Il corpo può essere un portatore di senso spesso più importante della coscienza. In questo caso l’angina era intervenuta nel momento in cui il paziente si rendeva conto dell’origine della sua ansia e cercava di liberarsene. Durante l’interruzione della terapia avvenne il miracolo, con la malattia somatica il sintomo di origine nevrotica scomparve.

Queste considerazioni ci portano a vedere con occhi diversi il significato della malattia. In questo caso la patologia ritenzione urinaria non si giustificava con un meccanismo fisiopatologico, ma occorreva proprio la psicanalisi per portare alla coscienza del malato il vero senso della malattia, racchiuso nell’inconscio. Il senso di colpa si trasformò in rancore verso il padre che lo aveva educato a considerare peccato soddisfare ogni stimolo sessuale e non poter amare si era tradotto in non poter urinare. L’angina era stata l’occasione che aveva placato finalmente la sua ansia nevrotica.7

La malattia è un evento critico nella biografia di un individuo, che può causare conseguenze spesso negative ma talvolta anche modificare in meglio una condizione statica. Il medico deve approcciare il paziente non considerando la malattia come un oggetto di indagine, ma pensando che l’approccio deve essere rivolto a tutto l’uomo, al suo essere un’unità di anima e corpo, i cui sintomi possono essere espressione di ineffabili segreti. La caratteristica strutturale dell’essere

7

Il caso A è descritto e discusso con dovizia di particolari in S. Spinsanti, Guarire tutto l’uomo, cit., pp.50-65.

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umano è la sua paticità, che rende l’uomo vulnerabile perché sempre sottoposto ad una “crisi”, intendendo per crisi una perdita dell’equilibrio tra il soggetto e il proprio ambiente, ma la reazione biologica sarà sempre quella di cercare di ripristinare un equilibrio anche se ad un diverso e nuovo livello funzionale. Il soggetto, presa coscienza di far parte del proprio mondo biologico, quindi, dopo aver instaurato una relazione con se stesso, in un certo modo si potrà sentire responsabile della propria salute e della propria malattia. Per riconoscere questo un essere umano in preda ad una crisi ha bisogno di un aiuto, di un incontro con un altro essere umano, che prendendolo per mano instauri una relazione di reciproco riconoscimento e curi la sua patologia.

Quella tra il paziente e il suo terapeuta, per Weizsächer è un esempio paradigmatico di come intende una relazione tra soggetti in quanto l’intersoggettività è strutturale per l’essere umano, corrisponde alla sua paticità ed è centrale in un programma di antropologia medica. Definire l’uomo patico significa definirlo, in base alle categorie patiche, un diveniente in continuo mutamento e in continua relazione. L’uomo prima si scopre avere una doppia personalità e sa di essere in relazione con se stesso (l’altro di sé), poi avverte la necessità di aprirsi ad un’altra relazione esterna (l’altro da sé), e questo altro non potrà riconoscerlo come un oggetto ma come un altro soggetto, come un tu, quindi eticamente come un fine e non come un mezzo. Si comprende così che l’antropologia medica non può che avere uno scopo terapeutico, pertanto sarà indirizzata a difendere la vita recuperando e mantenendo lo stato di benessere psico-fisico. L’antropologia

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medica sarà la scienza che si occupa dell’uomo malato in relazione con il suo terapeuta. Entrambi si occupano della malattia.

Ma che cosa è la malattia? La malattia è una scissione dell’Io e spesso si manifesta con il dolore, per cui si deve intervenire per scoprire cosa può aver provocato questa scissione tentando di ripristinare l’unità tra psiche e corpo. Ecco perché diventa fondamentale il colloquio tra medico e paziente alla ricerca nella biografia del malato di qualche evento che possa giustificare la scissione. Questa relazione è di tipo dinamico per entrambi i soggetti coinvolti, si basa sulla reciproca fiducia perché il percorso terapeutico li renderà ugualmente responsabili l’uno dell’altro.

L’Antropologia medica che propone Weizsäcker non è una semplice accettazione di regole etiche valide universalmente, ma si basa su un incontro, su un esperienza individuale, che si compie contemporaneamente per entrambi i soggetti protagonisti di questo incontro e li modifica in modo imprevedibile. Il medico prende le sue decisioni in completa autonomia e se ne rende responsabile, ma sempre nel rispetto della volontà del paziente, poiché per prima cosa egli si occupa di un ascolto “io sono malato”8, poi sceglie il da fare in base alle proprie conoscenze, ma anche dopo aver cercato di capire come considera il paziente la sua propria malattia. I due soggetti si influenzano a vicenda e agiscono in base alla loro paticità, per cui la responsabilità di ogni decisione terapeutica sarà sempre di entrambi. Questo non significa che non potranno esserci momenti di scontro, di

8

Cfr. V.v. Weizsäcker, Questioni fondamentali di antropologia medica, a cura di M. Anzalone, cit., p.52.

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