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Sintesi di nuovi derivati 2-(fenilammino)chinazolonici quali potenziali inibitori multichinasici.

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI FARMACIA

Corso di Laurea Magistrale in Chimica e Tecnologie

Farmaceutiche

Sintesi di nuovi derivati 2-(fenilammino)chinazolonici quali

potenziali inibitori multichinasici.

Relatori: Candidata: Prof.ssa Sabrina Taliani Gaia Ciabatti Dott.ssa Silvia Salerno

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Indice:

Introduzione_____________________________________________________4

CAPITOLO 1: IL TUMORE

1.1 Neoplasia_____________________________________________________4 1.2 I numeri del cancro_____________________________________________5 1.3 Basi molecolaridei tumori________________________________________6 1.4 Le cause del cancro_____________________________________________8 1.5 Terapie tumorali_______________________________________________12 1.6 Metastasi tumorale_____________________________________________13 1.7 Angiogenesi tumorale__________________________________________16 CAPITOLO 2: CHINASI E TUMORE

2.1 Proteine chinasi e tumore________________________________________18 2.2 VEGF (vascular endothelial growth factor)__________________________21 2.3 Recettori del VEGF____________________________________________25 2.4 Espressione del VEGF__________________________________________30 2.5 Via del segnale di Akt__________________________________________31 CAPITOLO 3: TERAPIA MULTI-TARGET

3.1 Meccanismo d'azione degli inibitori chinasici________________________36 3.2 Inibitori multi-chinasici_________________________________________40 3.3 Vantaggi e svantaggi della terapia_________________________________43

Introduzione alla Parte Sperimentale_______________________________45 Parte Sperimentale______________________________________________59 Bibliografia_____________________________________________________69

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CAPITOLO 1: IL TUMORE

1.1 Neoplasia:

Il termine neoplasia[1], deriva dal greco “neos” (nuovo) e “plassein” (formare),

significa nuova crescita.

Altri termini che identificano questa malattia sono: cancro, dal latino “cancrus” (granchio) a causa della tendenza delle propaggini del tessuto neoplastico a ramificarsi dalla massa principale e ad insinuarsi nei tessuti circostanti, proprio come le chele e le zampe di un granchio si dipartono dal corpo dell’animale; tumore, che deriva da “tumor” (tumefazione), propriamente qualsiasi alterazione che porti al rigonfiamento o alla tumefazione di una parte del corpo (anche una semplice e benigna infiammazione provoca un “tumore”), anche se questo termine ha ormai abbandonato il suo significato originario di rigonfiamento ed è passato a significare in modo particolare una tumefazione cancerosa[2].

Tale formazione prende origine quasi sempre da una sola cellula somatica dell’organismo, colpita da una serie sequenziale di mutazioni genomiche, trasmissibili alla progenie cellulare (Figura 1). Le alterazioni a carico del genoma in grado trasformare una cellula normale in cellula neoplastica sono quasi sempre di tipo strutturale (mutazioni) e meno frequentemente di tipo epigenetico. Esse si manifestano con una serie di effetti fenotipici, che consistono sia nella comparsa di funzioni abnormi, cioè assenti nelle cellule normali, sia nella perdita di altre funzioni che invece sono costantemente presenti in queste.

Tutti i citotipi dell’organismo possono andare incontro allo “switch neoplastico” quando hanno accumulato nel proprio genoma un numero rilevante di danni a carico di particolari geni, seguito da uno stimolo proliferativo. La maggior parte dei tumori ha però origine epiteliale. [3]

La crescita tumorale ha quindi delle caratteristiche ben precise:

 proliferazione incontrollata e indipendente dai segnali di crescita  insensibilità ai fattori che bloccano la crescita cellulare

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5  promozione dell’angiogenesi  invasione di tessuto e metastasi  infiammazione

 instabilità genomica

Figura 1.[4] Mutazioni sequenziali all’origine del tumore[5]

1.2

I numeri del cancro

Il volume “I numeri del cancro in Italia 2018” curato dall’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM), dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), da Fondazione AIOM e da PASSI (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), è stato presentato a Roma presso l’Auditorium del Ministero della Salute il 27 settembre 2018.

Questo testo ci permette di avere una visione dettagliata della diffusione e dell’impatto della malattia, ma anche dei progressi compiuti grazie alla ricerca. Per il 2018 si sono stimati in Italia 373.300 nuovi casi di tumore (194.800 uomini e 178.500 donne), in pratica circa 1.000 nuove diagnosi ogni giorno, con un aumento di 4.300 diagnosi rispetto al 2017. Il tumore che risulta più diffuso è quello della mammella con 52.800 casi, seguito da quello del colon-retto, con 51.300 casi. Dobbiamo però notare che, grazie alle diagnosi nelle prime fasi della malattia e ai progressi nelle terapie, di cancro si muore sempre meno, infatti circa 3,4 milioni di italiani vivono nel 2018 dopo una diagnosi di tumore, un numero in continua crescita negli anni; anche se l’Italia risulta divisa in due con il Nord che ha risultati di

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sopravvivenza migliori, nonostante un numero maggiore di casi diagnosticati rispetto al Sud del Paese[6].

Per quanto riguarda invece l’incidenza dei tumori pediatrici[7], dobbiamo notare che

si è arrestata la crescita dei tumori infantili registrata in Italia fino alla metà degli anni Novanta, mentre si ha ancora un leggero aumento di alcuni tipi di tumore tra gli adolescenti. Ogni anno, tra il 2003 e il 2008, in Italia sono stati diagnosticati in media 164 casi di tumore maligno per milione di bambini tra 0 e 14 anni e 269 casi per milione di adolescenti tra 15 e 19 anni. Da notare però che i tumori più diffusi tra i bambini sono diversi da quelli degli adulti; infatti sono molto diffuse le leucemie, in particolare la leucemia linfoblastica acuta, con tassi di sopravvivenza altissimi; a

seguire troviamo i tumori del sistema nervoso centrale, seguiti infine dai linfomi

.

Queste tre malattie sono la causa di oltre due terzi dei casi di cancro nell'infanzia.

1.3

Basi molecolari dei tumori

La neoplasia si sviluppa quando alcuni geni di un organismo vanno incontro a più mutazioni sequenziali e vengono quindi distrutti i meccanismi di controllo e di check-points delle cellule normali.

Figura 2. Ciclo cellulare e check-points

Il ciclo cellulare è formato da più fasi: fase M, G1, S e G2 (Figura 2). Le fasi M e S,

comprendono rispettivamente la divisione del nucleo e del citoplasma della cellula e la replicazione del DNA; le fasi G1 e G2 sono fasi di “gap”, cioè di intervallo, in

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cui ci sono importanti punti di controllo che si assicurano che il DNA sia intatto e che l’ambiente sia favorevole prima di procedere alla fase successiva (Figura 2). Il sistema di controllo[8] è formato da “interruttori biochimici”, che sono delle proteine, in particolare chinasi ciclina-dipendenti. Queste chinasi si attivano ciclicamente e determinano se il ciclo cellulare deve progredire oppure deve essere interrotto. Quindi, il ciclo cellulare in corso può essere arrestato a livello di punti di controllo specifici per evitare che la fase successiva del ciclo possa iniziare prima che sia terminata la fase precedente e soprattutto per verificare che le condizioni intra ed extracellulari siano favorevoli. Le cellule cancerose non obbediscono più a questi controlli e perciò si dividono senza tregua, vivono più a lungo e sopraffanno le cellule vicine.

I geni critici[1] del cancro sono, in particolare, proto-oncogeni e onco-soppressori:

1) I proto-oncogeni sono geni che codificano per proteine che controllano la divisione e la differenziazione cellulare. Se questi geni sono mutati, si trasformano in oncogeni, che generano proteine difettose, in quanto non sono più in grado di “spegnersi” e si dividono in maniera continua. Un esempio è il gene ras che codifica per la proteina Ras.

2) i geni oncosoppressori agiscono come “controllori cellulari”, individuano il danno e bloccano la replicazione del DNA, in modo da dare il tempo alla cellula di risolvere il danno; oppure, se quest’ultimo è troppo esteso, promuovono l’apoptosi. Un tipico esempio di questi geni è il TP53 che codifica per la proteina p53.

Questi difetti genetici causano importanti conseguenze cellulari come: alterazione delle vie di trasduzione del segnale, insensibilità ai segnali inibitori della crescita, alterazione dei check-points del ciclo cellulare, evasione dall’apoptosi, divisione cellulare incontrollata e continua, angiogenesi, invasione di tessuto e metastasi.

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1.4 Le cause del cancro

La patogenesi del cancro è molto complessa (Figura 3): coinvolge sia fattori genetici che fattori ambientali, anche se questi ultimi sembrano essere maggiormente coinvolti nello sviluppo dei maggiori tumori sporadici.

Figura 3[9]. Cause del cancro

Le cause ambientali o esogene sono di varia natura:  agenti chimici:

1) composti chimici inorganici tra cui i metalli pesanti, come cadmio, cromo e nichel, sono considerati cancerogeni per le loro proprietà di formare sali insolubili con i fosfati organici. Se questi sali si formano con i fosfati degli acidi nucleici si può determinare un’alterazione dell’attività e della stabilità dei geni codificati negli acidi nucleici stessi. Di particolare importanza anche l’asbesto (amianto), un silicato fibroso in grado di provocare un tipo particolare di tumore, il mesotelioma pleurico.

2) sostanze alchilanti: molecole capaci di legarsi avidamente ad altre molecole attraverso atomi molto reattivi, come fluoro, cloro, bromo e iodio. Tra questi si ricordano anche i gas nervini.

3) composti chimici organici come idrocarburi policiclici, ammine aromatiche, nitrosammine, alfatossine, polivinilcloruro.

 agenti fisici: per es. le radiazioni

Il sole[10] (o meglio i raggi ultravioletti UVA e UVB) è stato classificato dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) tra i carcinogeni sicuri per l'uomo e favorisce la formazione dei tumori della pelle.

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Dobbiamo però chiarire che, come per la maggior parte delle sostanze carcinogene, è la dose a fare la differenza; infatti un po' di sole è necessario per sintetizzare la vitamina D, senza la quale si possono sviluppare malattie, allo stesso tempo però l’esposizione incontrollata in età infantile aumenta il rischio di tumori della pelle. L'esposizione al sole è un fattore di rischio certo per l'insorgenza dei carcinomi basocellulari e spinocellulari, mentre il legame con i melanomi rimane più debole, poiché in questo tumore giocano un ruolo chiave anche l'ereditarietà e la familiarità, la presenza di nei e il fototipo chiaro (pelle chiara, capelli biondi o rossi, occhi azzurri o verdi).

 agenti biologici: numerosi virus possiedono geni virali che sono degli oncogeni, che una volta iniettati nelle cellule ospiti entrano in azione e trasformano la cellula ospite in una cellula neoplastica; ed un solo batterio: Helicobacterpylori.

 stile di vita:

1) fumo di tabacco[11], in particolare il fumo di sigaretta è la più importante causa nota del cancro. Il direttore della Chirurgia toracica dell'Istituto nazionale tumori (INT) di Milano afferma che l'85% dei tumori polmonari è dovuto al fumo, il 90% se si considera anche il fumo passivo. Il fumo di sigaretta causa però anche numerosi altri tumori, come quello della bocca, della faringe, della laringe, dell'esofago, dello stomaco, dell'intestino, del pancreas, del fegato, della cervice uterina, dell'ovaio, dei reni, della vescica e del sangue. Inoltre, gli oncologi molecolari hanno scoperto che i tumori causati dal fumo hanno delle mutazioni particolari (chiamate proprio “mutazioni da fumo”) che li rendono meno responsivi ad alcuni farmaci rispetto agli altri tumori. Il Professore ci dice poi che nei forti fumatori il rischio di sviluppare il tumore del polmone aumenta con l’età e quando si smette di fumare si blocca l’aumento del rischio; quindi anche smettere a 60 o 70 anni è utile.

2) l’alcool è inserito dall’IARC tra gli agenti cancerogeni di tipo I (cioè cancerogeni certi) fin dal 1988; l’alcool[12] è infatti legato a numerose forme

tumorali di bocca, esofago, colon, fegato e pancreas, da solo o associato ad altri fattori (fumo, dieta, ecc.).

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L’etanolo penetra rapidamente nelle cellule, si diffonde e rende più fluide tutte le membrane, forma metaboliti reattivi come l’acetaldeide, provoca un cambiamento dell’equilibrio ossidazione/riduzione durante il metabolismo dell’etanolo nel fegato, può avere effetti chimici sui tessuti e influenza il metabolismo degli acidi biliari.

3) la dieta è di grande importanza. E’ stato provato per esempio da numerosi studi che l’eccessivo consumo di grassi e il ridotto consumo di fibre hanno un ruolo determinante nello sviluppo dei tumori di colon, mammella, utero, ovaio e prostata.

Una ricerca recente dimostra che anche il tumore del rene è fra le neoplasie il cui rischio cresce con l’aumentare del peso e con l’obesità[13]. L’indice di

massa corporea (calcolato in base a peso e altezza), il rapporto tra le circonferenze di vita e fianchi e la percentuale di grasso corporeo aumentano il rischio di sviluppare il cancro, secondo uno studio condotto da Mattias Johansson dell’Agenzia Internazionale per Ricerca sul cancro (IARC) di Lione, e i suoi collaboratori; inoltre, lo studio evidenzia un legame con livelli elevati di insulina a digiuno e pressione diastolica (ovvero la massima), sottolineando ancora una volta le conseguenze negative dell’obesità sulla salute e sul rischio oncologico in particolare.

4) gli additivi alimentari che sono largamente usati per conservare i cibi e conferire loro colore, consistenza e aromi che ne aumentino l’appetibilità. Tra questi troviamo alcune sostanze molto sospette come la saccarina e i nitriti. La saccarina ad alte dosi provoca sperimentalmente il cancro della vescica nei ratti e può fungere da co-carcinogeno. I nitriti sono impiegati come conservanti dei cibi da oltre un secolo. Essi si possono trasformare in carcinogeni; sono assai frequenti come semplici componenti dei cibi vegetali, pertanto i nitriti usati come additivi costituiscono solo il 10% circa dei nitriti che assumiamo con la dieta.

5) l’attività sessuale e le conseguenti eventuali gravidanze possono determinare dei cambiamenti, soprattutto nell’organismo femminile, si possono riflettere sull’incidenza dei tumori. I fattori sessuali variano molto tra le diverse comunità e possono evidenziare pratiche sia negative, come i

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rapporti promiscui e frequenti che si correlano con un’alta frequenza di cancro del collo dell’utero, sia positive, come il numero delle gravidanze e la durata prolungata dell’allattamento, che si correlano con una ridotta frequenza del cancro mammario. Gravidanza e parto avrebbero un effetto benefico anche sui tumori dell’ovaio e dell’utero.

6) le esposizioni professionali. 7) l’inquinamento ambientale.

8) i prodotti industriali che ci vengono proposti quotidianamente in grande quantità: detergenti, coloranti, tinture per capelli e tantissimi altri che contengono molte sostanze cancerogene.

9) i medicamenti e le pratiche mediche non sono del tutto prive di rischi per la salute dei pazienti. Radiazioni e farmaci sono largamente impiegati a scopo diagnostico e terapeutico.

10) i fattori geofisici, come le radiazioni ionizzanti e le radiazioni ultraviolette. Questi possono provocare tumori della cute o degli organi interni; il melanoma è un tumore la cui incidenza sta aumentando notevolmente. 11) le infezioni anche se nel complesso l’influenza di queste sullo sviluppo dei

tumori è comunque abbastanza limitata

Per quanto riguarda invece le cause endogene o genetiche, cioè insite nell’organismo, dobbiamo tenere presente che è ormai noto che il cancro è una malattia con base ereditaria, perché causato da mutazioni a carico del DNA che possono essere ereditate dai genitori; mutazioni a carico dei geni BRCA1 e BRCA2, per esempio, sembrano aumentare il rischio di sviluppare la malattia. A questo proposito, sono stati messi a punto test genetici che valutano il rischio oncologico, guardando direttamente il DNA e la storia familiare di un paziente; questi test non sono però facili da interpretare, quindi gli esperti della Società americana di oncologia clinica (ASCO) hanno pubblicato sulla rivista Journal of Clinical

Oncology un documento dove forniscono raccomandazioni su come utilizzare i nuovi

test genetici[14].

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12  l’età;

 squilibri ormonali di varia natura;

 agenti mutageni che si formano nell’organismo e che non vengono neutralizzati, tra i quali i ROS sono i più attivi[15].

1.5 Terapia tumorale

La terapia tumorale si basa su diversi approcci:  Trattamento chirurgico

 Radioterapia  Chemioterapia

Nel primo caso la massa tumorale viene rimossa mediante intervento chirurgico; questo è possibile solo in caso di tumori solidi, ben localizzati e non in fase di metastasi. La chirurgia oncologica[16] negli ultimi vent’anni ha fatto grandi progressi dal punto di vista tecnico e concettuale.

La radioterapia[17], usata da sola o associata a chirurgia/chemioterapia, è una modalità di trattamento localizzato del tumore che vede l’utilizzo di radiazioni ionizzanti. Questa terapia si dimostra essenziale in un caso su due e oggi è sempre più personalizzata, potente e precisa, e sempre meno tossica.

La chemioterapia invece si basa sulla somministrazione sistemica di farmaci antitumorali sia per il tumore localizzato sia per quello metastatico. Il principale problema di questa terapia è la mancanza di selettività di azione del farmaco che non agisce solo sulle cellule malate ma anche su quelle sane, principalmente sui tessuti in rapida proliferazione come il midollo osseo, la mucosa orale, il bulbo pilifero, l’ovaio ed il testicolo. La chemioterapia inoltre può avere altri effetti collaterali importanti, quali disturbi intestinali di una certa rilevanza ed effetti estetici non trascurabili.[18]

La ricerca farmaceutica si è pertanto dedicata all’individuazione di nuovi farmaci, sempre più mirati, capaci di agire selettivamente sui tessuti malati o su un determinato processo tumorale per la messa a punto di nuove strategie terapeutiche antitumorali[19] con ridotti effetti collaterali.

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Ci si è dedicati in particolare alla terapia anti-angiogenica, che garantisce importanti vantaggi rispetto alla terapia classica; infatti: il bersaglio è facilmente accessibile, è più selettiva e quindi si riducono gli effetti collaterali a livello sistemico, e ha una minore probabilità di sviluppare fenotipi resistenti. La resistenza tumorale è un problema essenziale delle terapie convenzionali, che rischiano di essere quindi inefficaci.

Oggi sempre più si ricorre alla terapia multidisciplinare, cioè all’unione delle varie pratiche, in modo che il paziente sia seguito contemporaneamente da più figure professionali, come medico, farmacista, nutrizionista e chirurgo.

1.6 Metastasi tumorale

“Metastasi”[20] è un termine generico con il quale si indica il trasporto di un processo

morboso da una zona dell’organismo ad un’altra. Le cellule che lasciano la loro sede di origine, prendono il nome di cellule colonizzatrici. Secondo alcuni ricercatori del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, alcune di queste cellule colonizzatrici, dopo aver generato le metastasi, si “nascondono” per poi ritornare al luogo di origine, riproducendo il tumore; questa ipotesi potrebbe spiegare le cosiddette recidive tumorali.

Oggi, con il termine “metastasi” si identifica la crescita secondaria di un tumore

maligno in una zona diversa, e spesso distante, da quella che è stata colpita dal processo neoplastico in origine. Quindi si parla anche di cancro metastatico o di tumore metastatico.

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Figura 4. Metastasi tumorale attraverso la via ematica

Non tutti i tumori hanno la capacità di sviluppare metastasi, infatti, è proprio questo che distingue i tumori maligni da quelli benigni.

I tumori benigni rimangono confinati nella sede originaria e non hanno capacità infiltrative; possono comunque creare diversi problemi funzionali, come la compressione dei tessuti limitrofi. I tumori maligni, invece, colonizzano altri organi, dando vita a nuovi processi di tipo tumorale.

In linea generale, tutti i tumori maligni possono metastatizzare. Alcuni tipi di tumore però manifestano questa tendenza raramente: gliomi, tumori maligni delle cellule gliali del sistema nervoso centrale, e basaliomi, carcinomi dello strato basale dell’epidermide, sono infatti tumori molto invasivi, ma raramente danno luogo a un processo di metastatizzazione.

Le metastasi sono ritenute tra le maggiori responsabili delle morti per cancro. La loro presenza, infatti, indica che il tumore primario si trova in una fase avanzata. Il principale mezzo che può impedire a un tumore di metastatizzare è la diagnosi precoce. Un tumore maligno individuato precocemente e asportato chirurgicamente in modo completo può non avere dato luogo a focolai metastatici permettendo così una guarigione completa.

L’esame istologico del tumore ha un ruolo chiave nell’approccio terapeutico successivo all’asportazione tumorale; tale esame infatti permette di ricavare importanti informazioni sul grado di aggressività della patologia e sulla sua capacità di metastatizzare dando modo di organizzare le terapie successive.

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Un tumore può diffondersi sia localmente sia perché si propaga a distanza; spesso queste due modalità coesistono. La propagazione a distanza, ovvero la formazione di focolai metastatici, può avvenire per diverse vie. Le vie più comuni sono quella ematica e quella linfatica, ma si possono avere anche metastasi per via transcelomatica o per via canalicolare.

La metastatizzazione per via ematica (Figura 4) è particolarmente frequente nei sarcomi e nei tumori del rene, della prostata, della tiroide e del fegato. Per quanto riguarda questa via, il tumore per metastatizzare può usare la vena porta, la vena cava, la vena polmonare. I tumori presenti nella cavità addominale, attraverso la vena porta raggiungono il fegato dando quindi origine a metastasi epatiche. Attraverso la vena cava, le cellule tumorali di vario genere vengono trasportate tramite il sangue venoso ai polmoni ed è spesso in questa sede che compaiono le prime metastasi tumorali. I tumori primitivi del polmone possono diffondersi in ogni zona dell’organismo, ma sono particolarmente frequenti metastasi nel sistema nervoso centrale.

La diffusione delle metastasi per via linfatica è una caratteristica delle neoplasie di tipo epiteliale, i carcinomi. Le prime metastasi tumorali si presentano a livello dei linfonodi che drenano la zona interessata. Superato il confine linfonodale regionale, le cellule tumorali possono raggiungere altre zone linfonodali e da qui passare nel torrente sanguigno raggiungendo altri organi.

Gli organi più spesso colpiti dalle metastasi sono fegato e polmone. La spiegazione è che sono due organi che svolgono funzioni di filtro e sono quindi molto vascolarizzati, cioè sono caratterizzati dalla presenza di numerosi vasi sanguigni sia in entrata che in uscita; visto che una delle vie più comuni di diffusione metastatica è il torrente sanguigno, appare ovvio che siano più facilmente raggiungibili dalle cellule neoplastiche che circolano in esso.

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1.7 Angiogenesi tumorale

L’angiogenesi[21] è il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni a partire da

vasi preesistenti; hanno quindi un ruolo fondamentale la migrazione e la moltiplicazione delle cellule endoteliali. L’angiogenesi è strettamente regolata da un equilibrio tra fattori pro-angiogenici e anti-angiogenici (Figura 5).

Figura 5.[22] Equilibrio angiogenetico

Tra i fattori pro-angiogenici ritroviamo l’ipossia e i fattori di crescita. Nei vasi normali, le cellule epiteliali hanno la forma di un ciottolo e sono spesso chiamate cellule falange. Invece, in presenza di segnali pro-angiogenici, le cellule epiteliali possono diventare mobili e invasive. Il cancro si associa alla prevalenza di fattori pro-angiogenici.

Il processo dell’angiogenesi si sviluppa attraverso diversi stadi: destabilizzazione dei vasi preesistenti con aumento della permeabilità vasale e perdita delle connessioni tra le cellule endoteliali; migrazione e crescita delle cellule endoteliali nel punto dove si formeranno i nuovi vasi sanguigni; differenziazione delle cellule epiteliali e formazione di capillari primitivi; infine reclutamento di cellule endoteliali di supporto e riorganizzazione delle interazioni cellulari.

Il tumore, essendo un tessuto in rapida crescita, richiede continuamente ossigeno e sostanze nutritive, quindi ha una produzione esagerata di stimoli angiogenici. Questo causa una vascolarizzazione fuori dalla norma, con ipossia, acidosi e alta

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pressione del liquido interstiziale. Questo microambiente tumorale ostile favorisce la produzione di fattori pro-angiogenici che porta all’angiogenesi non produttiva, che porta poi alla formazione di vasi meno funzionali. Si formano quindi siti ipossici all'interno del tumore, privi di nutrienti e fattori di crescita, creando così un microambiente ostile, da dove le cellule tumorali cercano di fuggire, favorendo così l'invasione e la disseminazione delle cellule tumorali, ulteriormente aiutata dall'endotelio che perde, attraverso il quale le cellule tumorali possono sfuggire. Allo stesso tempo, questo altera la perfusione e quindi la somministrazione e la distribuzione del farmaco. Queste caratteristiche contemporaneamente stimolano la malignità generale.

I nuovi vasi del tumore sono molto diversi da quelli normali (Figura 6). Infatti, i primi sono strutturalmente disorganizzati, eterogenei nelle dimensioni, tortuosi, dilatati, caotici ed esprimono sulla loro superficie markers specifici, che possono essere usati come target nell’analisi dello stadio del tumore nei pazienti. Formano inoltre associazioni incoerenti e deboli che favoriscono, ancora una volta, la migrazione delle cellule epiteliali. Anche la membrana di questi vasi è insolita.

Figura 6.[23] Vasi sanguigni normali e cancerosi a confronto

Queste anomalie nella morfologia dei vasi tumorali compromettono la perfusione. Il flusso sanguigno cambia spesso direzione, fluisce rapidamente in certi vasi e rimane stagnante in altri. Inoltre, si ha una maggiore permeabilità dei vasi. Nell’insieme, le caratteristiche dei vasi tumorali aumentano la metastasi e

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condizionano il rilascio e l'efficacia dei farmaci somministrati per via sistemica, riducendo così l'efficacia delle terapie anticancro[24].

Negli ultimi anni si è dimostrato il ruolo chiave del Fattore di Crescita dell’Endotelio Vascolare (VEGF) nella regolazione dell’angiogenesi fisiologica e fisiopatologica. VEGF ha infatti diversi effetti biologici: stimola l’espressione di metallo-proteinasi e la produzione di fenestrazioni endoteliali; provoca inoltre un aumento della permeabilità vasale, causando un accumulo extravasale di fibrina, che funge da substrato per l’attività di cellule endoteliali e tumorali. Infine, VEGF interagisce anche con alcune cellule del sistema immunitario, tra cui le natural killer, in quanto induce l’espressione di molecole di adesione.

CAPITOLO 2: PROTEINE TIROSINA-CHINASI

2.1 Proteine tirosina-chinasi e tumore

Le proteine chinasi (PK) vengono classificate in numerose famiglie, distinte a seconda della loro struttura e funzione.

Queste proteine catalizzano il trasferimento del -fosfato dell’ATP su un residuo di serina, treonina o tirosina con liberazione di ADP. A seconda del residuo fosforilato possiamo dividere le chinasi in tre categorie: serina/treonina chinasi, tirosina chinasi e chinasi a doppia specificità, in grado di fosforilare tutti e tre i residui. La prima categoria è la più abbondante.

Il sito di legame per l’ATP è generalmente ben conservato in tutte le chinasi, mentre varia notevolmente il sito di riconoscimento tra le chinasi ed i loro substrati. L’introduzione di un gruppo fosfato nella struttura terziaria di una proteina crea l’opportunità di formare nuovi appaiamenti elettrostatici e legami a idrogeno che possono determinare una riorganizzazione locale della proteina anche molto significativa. Ne deriva che la fosforilazione è una delle modificazioni post-traduzionali più rilevanti per modulare le interazioni proteina-proteina nella cellula,

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giocando un ruolo fondamentale in tutte le vie di trasduzione di segnali inter e intracellulari.

Esistono 91 proteine tirosina chinasi (PTK) nel genoma umano, 59 di esse sono dei recettori transmembrana, e sono suddivise in 19 famiglie classificate sulla base del gene da cui derivano (AATYK, ALK, AXL, DDR, EGFR, EPH, FGFR, INSR, MET, MUSK, PDGFR, PTK7, RET, ROR, ROS, RYK, TIE, TRK e VEGFR). [33] Tutti i recettori tirosin chinasici (RTK) hanno struttura molecolare simile (Figura

12), con una regione per il ligando nella zona extracellulare, composta da una

sequenza di domini N-terminali e sette domini immunoglobulinici, un singolo segmento transmembrana e una porzione intracellulare costituita da un segmento juxtamembrana (JM), un dominio tirosinchinasico (TKD), una coda C-terminale e un sito di attivazione. [25]

Figura 12. Struttura generale recettore VEGF

La regolazione fisiologica di questi recettori è importante per capire come il loro malfunzionamento possa essere collegato alla cancerogenesi. Le PTK innescano vie di trasduzione del segnale all’interno della cellula e per ottenere ciò, il legame del ligando al recettore (Figura 13), ne determina l’oligomerizzazione che è richiesta per l’autofosforilazione della subunità della proteina su residui di tirosina. Questa modificazione amplifica l’attività chinasica del recettore e media il suo legame con proteine citoplasmatiche in grado di trasdurre il segnale più a valle su altri componenti della cascata di trasduzione del segnale.

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Figura 13. Trasduzione del segnale

La sovrapproduzione di tali recettori o riarrangiamenti cromosomici che causano la formazione di proteine di fusione tra una parte del recettore e altre proteine in grado di indurre una funzione di oligomerizzazione, sono stati trovati in molti tumori nell’uomo.

Figura 14. Cascata del segnale del fattore di crescita

Si ritiene che l’attività che causa l’insorgere del fenotipo tumorale sia riconducibile a un’aumentata o costitutiva attività chinasica, che porta ad alterazioni sia

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quantitative che qualitative nella trasduzione del segnale o nei substrati a valle nella cascata (Figura 14).

Le 32 tirosina chinasi che non agiscono come recettori sono localizzate nel citoplasma e suddivisibili in 11 famiglie (ABL, ACK, CSK, FAK, FRK, JAK, SRC-A, SRC-B, TEC e SYC). Il mancato funzionamento di circa la metà di esse è collegato, nuovamente, all’insorgenza di tumori. [26]

Il 2/3% dei geni degli eucarioti codifica per proteine tirosin-chinasi, che sono quindi una famiglia proteica numerosa. Questi enzimi catalizzano la fosforilazione, che costituisce una frequente modificazione post-trascrizionale, che regola reversibilmente le funzioni proteiche. Queste proteine sono quindi controllate da stimoli interni e esterni alla cellula, hanno anche un ruolo chiave nella trasduzione del segnale perché sono collegate con le fosfatasi. Le tirosin-chinasi hanno una struttura comune, ma hanno anche tratti distintivi nel dominio catalitico, che le caratterizzano come substrati differenti. [27]

2.2 VEGF (vascular endothelial grwth factor)

Il gene del VEGF appartiene ad una famiglia di geni (PDGF/VEGF growth factor family) che codifica anche per un altro importante fattore di crescita: Placental Growth Factor (PlGF).

Il gene del VEGF umano è assegnato al cromosoma 6p21.3. Il gene del VEGF è detto “interrotto”, cioè formato da esoni e introni. Questo gene è stato studiato grazie alla cristallografia ai raggi X ed è stato classificato tra le proteine appartenenti alla superfamiglia dei fattori di crescita cisteinici. Le molecole di questa famiglia sono caratterizzate dal “nodo cisteinico", gruppo tiolico del residuo di cisteina, che stabilizza le strutture. Inoltre, il VEGF fa parte del sottogruppo del PDGF.

Dal punto di vista strutturale, il VEGF è una molecola omodimerica, con peso molecolare variabile tra i 34 ed i 46 kDa. I monomeri da cui è costituita sono legati da un ponte disolfuro che si stabilisce fra due residui cisteinici. La mutagenesi sito-specifica identifica 3 residui acidi sul terzo esone e 3 basici sul quarto, fondamentali

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per il legame del VEGF con il VEGFR-1 ed il VEGFR-2, rispettivamente. Tre anse molto flessibili si sviluppano attorno ad ogni polo della molecola sull’interfaccia del dimero. La seconda ansa, sulla quale si trova il determinante per il legame con il VEGFR-1, si trova in stretto contatto con la terza ansa del monomero opposto e su questa, a sua volta, è localizzato il determinante per il VEGFR-2. Tale particolare conformazione facilita la dimerizzazione del recettore, essenziale per la trans-fosforilazione e la trasmissione del segnale.

La famiglia del VEGF comprende: VEGF-A, VEGF-B, VEGF-C, VEGF-D e VEGF-E (Figura 15).

VEGF-A regola l’angiogenesi e la permeabilità vascolare legandosi a due recettori VEGFR-1 e VEGFR-2. VEGF-B ha una funzione ancora non del tutto chiarita. VEGF-C e VEGF-D attivano il recettore VEGFR3, regolando principalmente la linfoangiogenesi. VEGF-E è invece codificato da un virus. Infine, un’ultima variante dei componenti di questa famiglia è espressa nel veleno del serpente habu (Trimeresurus flavoviridis). [28]

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VEGF-A

VEGF-A è una proteina omodimerica di 45 kDa, ed è la forma maggiormente espressa. E’ un fattore di sopravvivenza per le cellule dell’endotelio vascolare; l’mRNA e la proteina stessa sono espressi in molti tessuti e organi (in particolare nei polmoni, nel surrene, nel cuore e nei reni), ma anche in un’ampia varietà di tumori umani, motivo per il quale rappresenta un importante target anti-tumorale. Attraverso lo splicing alternativo si originano diverse isoforme come: VEGF-A121, 165, 189, 206.

VEGF-A165 ha una debole affinità per i materiali acidi come eparina e neuropilina-1; quest’ultima è una proteina coinvolta nella regolazione delle cellule neuronali. VEGF-A189 ha una forte affinità per l’eparina; ne ritroviamo la maggior parte a livello della superficie cellulare e nella matrice extracellulare.

Tra i vari sottotipi l’isoforma VEGF-A165 è più la più importante dal punto di vista qualitativo e la più presente a livello quantitativo.

Di recente, è stato rinvenuto negli esseri umani VEGF-Axxxb. Questa scoperta è stata

fatta notando che VEGF-Axxxb attiva il recettore, ma più debolmente rispetto alla

famiglia dei VEGF-A, suggerendone una possibile competizione con gli altri. Vari esperimenti hanno indicato che la perdita di un singolo allele VEGF-A nei topi provoca malformazioni vascolari e morte. Il VEGF-A è in grado di legarsi a VEGFR1 e VEGFR2. [28]

VEGF-B

Il ruolo dettagliato di VEGF-B rimane ancora poco chiaro. E’ espresso insieme ad altri geni mitocondriali, codificati a livello nucleare, in molte condizioni fisiologiche dei topi, indicandone in particolare un ruolo nel metabolismo.[30] Il VEGF-B presenta due isoforme; entrambe si legano ai recettori VEGFR1 e neuropilina-1 (NRP-1), i quali sono espressi principalmente nelle cellule endoteliali vascolari del sangue.

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La capacità di VEGF-B di indurre l’angiogenesi è molto scarsa nella maggior parte dei tessuti; questa sua caratteristica lascia un po’ perplessi, per il fatto che il PIGF (fattore di crescita placentare) che si lega ai suoi stessi recettori induce l’angiogenesi e l’arteriogenesi in diversi tessuti. Sembra, tuttavia, che il VEGF-B sia un fattore di crescita con effetti trofici e metabolici più specifici e il suo legame con il recettore mostra delle minime, anche se importanti, differenze rispetto al PIGF. VEGF-B ha il potenziale per indurre la crescita dei vasi coronarici e l’ipertrofia cardiaca, che possono proteggere il cuore dal danno ischemico e dall’insufficienza cardiaca. E’ inoltre abbondantemente espresso nei tessuti che presentano un metabolismo energetico elevato come il cervello: in particolare è presente nell’ippocampo, nella corteccia cerebrale, il cuore e i reni e ha un ruolo nella neuroprotezione.

A differenza degli altri membri della famiglia dei fattori di crescita dell’endotelio vascolare non ha un ruolo chiaro nella progressione del tumore. [31]

VEGF-C

Viene prodotto come pre-pro-proteina e viene successivamente sottoposto a maturazione proteolitica. VEGF-C è espresso durante l’embriogenesi e si trovano alti livelli di mRNA di VEGF-C principalmente a livello del cuore umano adulto, delle ovaie, della placenta, del muscolo scheletrico e dell’intestino tenue; non è stato rilevato a livello cerebrale. E’ espresso anche in varie tipologie di neoplasie umane: è prevalentemente concentrato a livello delle cellule endoteliali del sistema linfatico, dove stimola la linfoangiogenesi, mediante il legame con VEGFR3. Inoltre è stato dimostrano che agisce sulle cellule endoteliali vascolari, mediante il collegamento con VEGFR2. Quindi ha un ruolo essenziale sia nella formazione dei vasi linfatici sia nell’angiogenesi.

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VEGF-D

Questo fattore è strutturalmente molto simile a VEGF-C. Codificato come pre-pro-proteina. VEGF-D è espresso dopo la nascita, in fase adulta; il colon, il cuore, le cellule mesenchimali dei polmoni e della pelle, i muscoli scheletrici e l’intestino tenue contengono alti livelli di questo fattore; è presente poi in basse concentrazioni a livello del cervello. Anch’esso come l’isoforma C si lega a VEGFR2 e VEGFR3 stimolando di conseguenza la linfoangiogenesi e l’angiogenesi.

VEGF-E

Con questo termine viene indicato un gruppo di proteine che presentano caratteristiche simili al VEGF-A. Sono codificate da alcuni ceppi di Orf parapoxvirus, che colpisce capre, pecore e occasionalmente umani.

VEGF-E possiede circa il 25% di amminoacidi uguali al VEGF presente nei mammiferi; si lega con elevata affinità a VEGFR2 e neuropilina-1, ma non a VEGFR1 e VEGFR3. Principalmente il legame con i suoi recettori induce permeabilità vascolare e ha azione angiogenica. [32]

2.3 Recettori del VEGF

La famiglia di recettori per VEGF è composta da tre proteine chinasi, VEGFR1, VEGFR2, VEGFR3 e due recettori non proteici, la 1 e la neuropilina-2. [33]

I VEGFR sono lontanamente imparentati con la famiglia dei PDGFR (recettori per il fattore di crescita derivato dalle piastrine); tuttavia sono unici per quanto riguarda la struttura e il sistema di segnalazione. A differenza dei membri della famiglia PDGFR che stimolano la via P13K-Akt per la proliferazione cellulare, i VEGFR e in particolare VEGFR2 che è il principale trasduttore di segnale per l’angiogenesi, utilizzano preferenzialmente la via PLC-PKC-MAPK. [28]

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Il legame di VEGF-A alla porzione extracellulare di VEGFR2 causa la dimerizzazione del recettore e l’attivazione della sua porzione citoplasmatica ad attività tirosinchinasica. Nel dimero ciascun recettore fosforilerà la controparte, determinando la fosforilazione di numerosi residui di tirosina appartenenti alle code citoplasmatiche di entrambi i recettori. I residui di fosfotirosina diventano quindi siti per il legame diretto o indiretto di molecole dotate di domini di tipo SH2 (Src

homology 2) coinvolte nella trasduzione del segnale intracellulare.

Tra i segnali di trasduzione attivati dall’interazione VEGF-A/VEGFR2 ricordiamo:  l’attivazione della fosfoinositide 3-chinasi (PI3K) e della “focal adhesion kinase” (FAK) con conseguente riorganizzazione del citoscheletro e delle placche focali di adesione che favoriscono la migrazione endoteliale;  l’attivazione della chinasi citoplasmatica Akt, sempre conseguente

all’attivazione di PI3K, che favorisce la sopravvivenza delle cellule endoteliali inibendo i segnali di morte apoptotica mediati da Bad e dalla caspasi 9;

l’attivazione di Akt induce inoltre aumento di permeabilità vascolare mediante la produzione di ossido nitrico (NO) conseguente all’attivazione dell’enzima NO sintasi inducibile;

 l’attivazione della via delle mitogen-activated protein kinases” (MAPKs) con conseguente stimolazione della proliferazione cellulare;

l’attivazione della fosfolipasi C-γ (PLC-γ) che porta alla produzione della

prostaciclina PGI2. [34]

Questa famiglia di recettori si ritrova principalmente a livello del sistema vascolare; negli ultimi anni, grazie all’utilizzo di metodi di studio più sofisticati, è stato notato che sono presenti anche a livello di cellule non endoteliali, come monociti, macrofagi, cellule dendritiche, cellule della muscolatura liscia vascolare e in diversi tipi di cellule tumorali umane.

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VEGFR1

Il VEGFR1 è una glicoproteina di 180-185 kDa che viene attivata in seguito al legame con VEGF-A, VEGF-B, e PIGF. Attiva inoltre p85, PI3K, PLCγ, SHP2, Gbr2, anche se per questi ultimi restano ancora da chiarire le risposte che causa a valle.

Presenta una particolare conformazione del sito intracellulare ad attività tirosin-chinasica, diversa dagli altri recettori della famiglia. Una caratteristica interessante, ma ancora poco chiara, è il fatto che i suoi ligandi VEGF-A, VEGF-B e PIGF, pur legandosi al medesimo sito a livello del recettore, provochino risposte differenti. E’ stato ipotizzato che siano in grado di determinare fosforilazioni diverse tra loro e da ciò deriverebbero i differenti segnali a valle.

La sua espressione è regolata dall’ipossia. [35]

VEGFR2

Il VEGFR2, noto anche come KDR nell’uomo, è una glicoproteina di 210-230 kDa che lega il VEGF-A con affinità 10 volte minore rispetto al VEGFR1, ma anche VEGF-C e VEGF-D. Il legame del ligando coinvolge i domini extracellulari Ig-like 2 e 3 del VEGFR2. Questo recettore è espresso prevalentemente nelle cellule endoteliali vascolari e nei loro precursori embrionali, con livelli di espressione più alti durante la vasculogenesi e l’angiogenesi embrionali. Il VEGFR2 si trova anche in una vasta gamma di cellule non endoteliali, come quelle del condotto pancreatico, megacariociti e cellule emopoietiche.[36] L’espressione di tale recettore è indotta in concomitanza con l’angiogenesi attiva, come per esempio nell’utero durante il ciclo riproduttivo e nei processi patologici associati a neo-vascolarizzazione come il cancro. [37]

E’ noto che il VEGFR2 trasduce l’intera gamma di risposte del VEGF nelle cellule endoteliali, ad esempio la regolazione della sopravvivenza endoteliale, proliferazione, migrazione e formazione del condotto vascolare.

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L’extravasazione VEGF-A indotta di proteine o globuli bianchi è mediata dal VEGFR2 in vivo. L’apertura transitoria cellula-cellula endoteliali, in risposta al VEGF, è ben documentata in vitro e coinvolge la dissoluzione di strette e aderenti giunzioni, così come la generazione di NO.

In particolare di questo recettore è stata chiarita la struttura del core. Il nucleo ha la caratteristica struttura bilobata osservata in tutte le proteine chinasi. Il sito attivo è localizzato nella fessura tra i due lobi. Il lobo più piccolo N-terminale ha una struttura prevalentemente a foglietto β antiparallelo. Il lobo più grande C-terminale che in natura è prevalentemente a α-elica, contiene il ciclo catalitico e il segmento di attivazione.

Figura 16. VEGFR

Hanks e colleghi hanno individuato 12 sottodomini con gli amminoacidi conservati e in particolare è stato descritto il ruolo di tre amminoacidi:

- Lys868: nell’enzima attivato, è un residuo invariato che forma coppie di ioni con l’α e β-fosfati dell’ATP e con Glu885 dell’α-elica C. Nell’enzima inattivo, che manca di ATP legato, Lys868 si lega invece ad un segmento di attivazione fosfotirosina ed è lontano da Glu885.

- Asp1028: orienta il gruppo tirosinico della proteina substrato in uno stato cataliticamente competente.

- Asp1046: è la parte dell’ansa che si lega a Mg2+, che a sua volta coordina i gruppi β e γ-fosfato dell’ATP; Asp1046 si lega anche all’α-fosfato.

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All’interno di ogni lobo c’è un segmento polipeptidico che può assumere orientamenti attivi e inattivi. Nel piccolo lobo N-terminale, questo segmento è dell’α-elica C che ruota e trasla rispetto al resto del lobo, formando o rompendo parti del sito catalitico. Il lobo C-terminale differisce negli enzimi attivi e inattivi. Nelle proteine chinasi che sono nello stato inattivo, l’ansa di attivazione è posizionata in modo da impedire che la proteina substrato leghi e fosforili il segmento di attivazione e si stabilizzi nella sua conformazione attiva.

Esistono due tipi di cambiamento conformazionale associati alle proteine chinasi (Figura 17). Il primo riguarda l’interconversione di stati inattivi ed attivi; l’inattivazione-attivazione comporta cambiamenti nella posizione dell’αC elica nel lobo N-terminale e la conformazione del segmento di attivazione nel lobo C-terminale. L’ATP e la proteina substrato si legano nella conformazione aperta, la catalisi avviene nella conformazione chiusa, l’ADP ed il substrato fosforilato vengono rilasciati durante la progressione allo stato aperto che completa il ciclo.[38]

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VEGFR3

Il VEGFR3 è attivato dal legame con VEGF-C e VEGF-D. Si concentra soprattutto a livello dei linfonodi delle cellule endoteliali plasmatiche ed esercita le sue maggiori funzioni a questo livello. In diverse neoplasie la sovra espressione di VEGF-C e VEGF-D è infatti associata alla linfoangiogenesi e promuove la diffusione delle metastasi. VEGFR3 è stato ritrovato anche in cellule non endoteliali come osteoblasti, progenitori neuronali e macrofagi.

La sua struttura è simile a quella degli altri due recettori precedentemente descritti; l’unica differenza è il fatto che il dominio extra-cellulare è scisso a livello del quinto dominio immunoglobulino-simile in due polipeptidi tenuti insieme da un ponte disolfuro. [39]

2.4 Espressione del VEGF

Numerosi meccanismi sono responsabili della regolazione genica del VEGF:  carenza d’ossigeno, grazie all’attivazione di uno specifico “Hipoxia

Response Element” (HRE) che si comporta da enhancer. L’HRE è una sequenza genica di 28 basi, localizzata nella regione 5’ del promotore del VEGF umano e murino, in cui si attiva la trascrizione proprio in seguito ad un calo della pressione d’ossigeno. Questa sequenza presenta un’elevata omologia strutturale e funzionale con la regione del gene dell’eritropoietina che si lega all’Hipoxia-Inducible Factor (HIF-1), fattore chiave anche nella regolazione ossigeno-dipendente del VEGF

 accumulo di adenosina, che si verifica in condizioni d’ipossia, grazie all’attivazione dei recettori A2, porta ad un aumento della concentrazione di cAMP e questo, a sua volta, attraverso la protein chinasi-A, amplifica l’espressione del VEGF

 inattivazione del fattore di soppressione proteica tumorale di Von Hippel Lindau a cui si associa sempre un aumento dell’attivazione dell’HIF  carenza cellulare di glucosio

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 fattori di crescita: TGF-α, TGF-β, Keratinocyte Growth Factor, IGF-1, FGF e PDGF, IL-1α e IL-6. Queste citochine inducono l’espressione del VEGF negli stati infiammatori

 alcune vie ormonali: TSH, ACTH e gonadotropine quali FSH ed LH, estrogeni e progesterone

 fattore tissutale (TF)

 eventi di mutazione cellulare: come l’amplificazione dell’espressione di RAS e la mancata espressione della proteina di Von Hippel Lindau (vHL)

I fattori in grado di inibire la secrezione del VEGF invece sono: actinomicina-D, monossido di carbonio e ossido nitrico. [40]

2.5 La via del segnale di Akt

La serina/treonina chinasi Akt svolge ruoli regolatori essenziali in diversi processi fisiologici quali:  differenziamento cellulare  ciclo cellulare  trascrizione  trasduzione  metabolismo  apoptosi

L’attivazione di Akt dipende direttamente da quella di un’altra chinasi: la fosfoinositide 3-chinasi (PI3K). Questa chinasi, tramite la produzione di secondi messaggeri lipidici è in grado di attivare Akt, e quindi la via di segnalazione PI3K/Akt (Figura 17).

La via di segnalazione PI3K/Akt controlla la proliferazione e la sopravvivenza cellulare, perciò alterazioni in questa via causano insorgenza e progressione di molte neoplasie.

I tumori umani che presentano mutazioni e riarrangiamenti cromosomici a livello di questa via biochimica sono perciò numerosi.

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Le fosfoinositide 3-chinasi sono proteine eterodimeriche costituite da due subunità: una catalitica e una regolatoria. Sono classificate in tre classi: classe I, II e III, in base ai domini proteici che le costituiscono e ne determinano la specificità. La classe I è quella meglio caratterizzata e comprende una serie di elementi chiave per l’integrazione di diversi segnali cellulari.

Le PI3K di classe I catalizzano il trasferimento di un gruppo γ-fosforico dell’ATP sulla posizione D3 del fosfatidilinositolo-4,5-bisfosfato, formando così fosfatidilinositolo-3,4,5 trifosfato, che funge da ligando per reclutare proteine contenenti domini Pleckstrin Homology (PH) tra cui appunto Akt. La serina/treonina chinasi Akt è una serina/treonina chinasi del peso di 57kDa. Le isoforme di Akt possiedono tutte la stessa organizzazione strutturale in cui il dominio catalitico è localizzato nella parte centrale della proteina, mentre nelle regioni C- ed N-terminali sono presenti rispettivamente un dominio regolatorio e un dominio PH.

Akt, per essere attivata, viene reclutata dalla membrana cellulare e fosforilata due volte. Il reclutamento di Akt alla membrana cellulare provoca un cambiamento conformazionale della molecola che consente al suo residuo di treonina di essere fosforilato da PDK1, una serina/treonina chinasi contenente un dominio PH. Questa prima fosforilazione non è sufficiente alla completa attivazione di Akt, che perciò necessita di una seconda fosforilazione. La seconda fosforilazione avviene su un residuo di Serina posto in posizione 473 a livello della estremità C-terminale. Attualmente questa seconda chinasi viene identificata con il complesso mTOR (mammalian target of rapamycin)/Rictor (rapamycin-insensitive companion of mTOR). Tuttavia, non si esclude che altre chinasi possano mediare questa fosforilazione.

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Figura 17. Pathway coinvolti nel cancro

L’attività di Akt viene controllata da un complesso sistema di proteine regolatrici in grado d’interagire con il suo dominio PH, chinasico o C-terminale. Un esempio è la heat-shock protein-90 (HSP90), una proteina chaperon molecolare che lega il dominio chinasico di Akt. Inoltre, l’attività di Akt è aumentata da:

 shock termico  ipossia

 stress ossidativo  ipoglicemia  luce ultravioletta.

L’iperattivazione indotta da stress risulta di particolare interesse poiché viene messa in atto dalle cellule come meccanismo compensativo per evitare la morte.

Invece, il meccanismo principale attraverso cui la via PI3K/Akt viene inattivata è la defosforilazione dei prodotti delle PI3K, che fungono da secondi messaggeri per l’attivazione di Akt.

La via biochimica della PI3K/Akt controlla numerosi importanti fenomeni fisiologici, come la sopravvivenza, la proliferazione e la crescita cellulare, che nel complesso bilanciano i segnali di sopravvivenza e di apoptosi. Il segnale di sopravvivenza cellulare che viene trasmesso a seguito dell’attivazione di Akt si

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esplica attraverso una doppia via: l’inattivazione di segnali pro-apoptotici e l’attivazione di segnali anti-apoptotici.

Akt interviene a regolare la proliferazione delle cellule agendo su elementi proteici che fanno parte del macchinario di controllo del ciclo cellulare. Tra questi, uno dei targets di Akt è un diretto inibitore di CDK2 (cyclindependent kinase 2), responsabile a sua volta dell’attivazione dei fattori trascrizionali E2F1 che promuovono la replicazione del DNA. Il controllo di Akt sul ciclo cellulare può avvenire anche tramite l’inibizione dei fattori trascrizionali FoxO, che nel nucleo sono in grado di regolare l’espressione di geni che promuovono l’arresto del ciclo cellulare in fase G1/S regolando l’espressione della ciclina D1 e D2.

Le Mitogen-Activated Protein (MAP) chinasi sono un gruppo di serina/treonina chinasi che mediano numerosi segnali regolatori. Le MAP chinasi vengono classificate in tre famiglie: la famiglia delle MAP chinasi p38, la famiglia delle chinasi regolate dai segnali extracellulari (Erk) e la famiglia delle chinasi N-terminali c-Jun.

Le MAP chinasi in generale sono responsabili di diverse risposte cellulari, che comprendono la trascrizione, l'induzione della morte cellulare o il mantenimento della sopravvivenza cellulare, la trasformazione maligna e la progressione del ciclo cellulare. Negli ultimi anni, numerosi lavori hanno evidenziato che la via di segnalazione delle MAP chinasi, gioca un ruolo critico nella patogenesi di numerose malattie.

E' stato dimostrato che la via di Raf/MEK/Erk (Figura 18) è strettamente collegata alla via di PI3K/PTEN/Akt, perché la proteina Ras è in grado di regolare entrambe le vie. L'attivazione della cascata delle MAP chinasi ed in particolare della via Raf/Erk/MEK, avviene in seguito al legame di fattori di crescita a livello dei recettori tirosin-chinasici localizzati sulla membrana, che dimerizzano ed interagiscono con delle proteine G, rappresentate da Ras per la via di Erk e dai membri della famiglia Rho per la via di JNK e p38. Queste proteine sono dotate di attività GTP-asica e promuovono la fosforilazione delle proteine a valle, tra cui Raf che viene reclutata a livello della membrana e fosforilata. A sua volta Raf fosforila MEK, che è in grado di attivare Erk mediante fosforilazione. Quest'ultima può

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attivare numerosi fattori trascrizionali, che sono coinvolti nella proliferazione e nella prevenzione dell'apoptosi. Un'altra importante funzione di Erk è quella di fosforilare alcune molecole regolatrici dell'apoptosi localizzate nel mitocondrio. Inoltre, Erk risulta over-espresso nella maggior parte dei casi di leucemia acuta e questo ha suggerito che l'over-espressione e l'attivazione costitutiva di Erk contribuiscano all'anormale proliferazione cellulare.

Figura 18. La via RAF/MEK/ERK coinvolta nel cancro

Infine, un altro elemento probabilmente coinvolto nella attivazione della via PI3K/Akt è stato recentemente identificato nel VEGF (vascular endothelial growth factor). E’ stato infatti dimostrato che il VEGF, attraverso l’attivazione della PI3K è in grado di indurre la fosforilazione di Akt.

Sono stati svolti studi intensi sul contributo di questa via alla sopravvivenza dei tumori cellulari in risposta a vari tipi di trattamenti terapeutici. L’importanza di PI3K/Akt nel causare resistenza a farmaci di solito usati nel trattamento chemioterapico delle leucemie acute è stato per la prima volta dimostrato da O’ Gorman et al. nel 2000. Questi autori hanno dimostrato che gli inibitori di PI3K, portano a una diminuzione nell’attività di Akt e aumentano la sensibilità ad alcuni farmaci, come etoposide e doxorubicina.[41]

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CAPITOLO 3: TERAPIA MULTI-TARGET

3.1 Meccanismo d'azione degli inibitori chinasici

I domini catalitici delle tirosina chinasi presentano una struttura ed una sequenza altamente conservate (Figura 7). Il dominio chinasico è costituito da una struttura bilobata. Il lobo N-terminale, di dimensioni più piccole, contiene un filamento β antiparallelo e una α-elica che prende il nome di elica C. Invece il lobo C-terminale, più grande, ha una struttura prevalentemente elicoidale e controlla la reazione catalitica. All’interfaccia tra i due lobi è presente una profonda fessura chiamata regione cerniera, o hinge region, nella quale si lega la molecola di ATP.

Figura 7. Struttura del sito catalitico delle proteine tirosina chinasi

Elementi chiave per la regolazione dell’attività enzimatica delle chinasi sono il segmento A nel lobo C‐terminale e l’elica C nel lobo N‐terminale. Il segmento A

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contiene il motivo DFG (aspartato-fenilalanina‐glicina), il loop di attivazione (A‐

loop), il P+1 loop ed altri elementi strutturali secondari. Quando la proteina è

attiva, il segmento A adotta una conformazione aperta dalla fosforilazione agendo da piattaforma per il legame del substrato. Il motivo DFG si trova così in una conformazione appropriata per il legame dello ione metallico alla catena laterale dell’aspartato. Questo stato attivo è molto simile in tutte le strutture conosciute delle chinasi attive. Esiste invece una grande diversità nelle conformazioni di questo sito nelle chinasi inattive nelle quali possono esserci un diverso orientamento dei due lobi o dell’elica C, uno spostamento del loop di attivazione, oppure una diversa conformazione del motivo DFG tale per cui l’aspartato non può legarsi allo ione Mg++.[42]

Studi di docking molecolare hanno consentito di elaborare un modello farmacoforico per il sito di legame dell’ATP (Figura 8).[42]

Figura 8. Modello farmacoforico per il sito di legame dell’ATP

Questo risulta costituito da cinque distinte regioni:

1. Regione dell’adenina: porzione idrofobica, chiamata anche “regione cerniera” (hinge region). Lega la base purinica dell’ATP attraverso tre legami ad idrogeno con la catena polipeptidica. Questi vedono coinvolti l’atomo di azoto in posizione 1, il gruppo amminico in posizione 6, che si comportano rispettivamente come accettore e donatore di idrogeno, e l’idrogeno legato al C2 dell’adenina. Oltre a queste interazioni polari, l’adenina forma anche delle interazioni non polari con i

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residui idrofobici localizzati a livello dei lobi N-terminale e C-terminale.

2. Regione dello zucchero: si posiziona qui il ribosio dell’ATP, il cui gruppo 2’-OH forma un legame ad idrogeno con un residuo polare generalmente serina, aspartato, glutammato o glutammina.

3. Regione del fosfato: accoglie il gruppo trifosfato ed è principalmente costituita da un loop flessibile ricco di glicina e da una struttura ad -elica che orienta correttamente il gruppo fosfato dell’ATP per la catalisi. Nella maggior parte delle strutture cristalline ATP-chinasiche, ritroviamo un legame ad idrogeno tra il gruppo fosfato in posizione  e  dell’ATP e la Lys295. Il gruppo fosfato in  interagisce invece con il residuo di Arg388.

4. Regione nascosta: tasca idrofobica di dimensioni variabili, opposta alla regione dello zucchero e non occupata dalla molecola di ATP. In questa regione si identificano le differenze strutturali e sequenziali più importanti tra le diverse chinasi.

5. Regione accessibile al solvente: le dimensioni di questa regione dipendono dall’assenza o dalla presenza di residui di glicina che causano una variazione conformazionale della proteina a questo livello. Anche questa regione può essere sfruttata per aumentare l’affinità del ligando verso la proteina e modularne le proprietà ADME.[43]

Gli inibitori chinasici possono essere suddivisi nelle seguenti classi:

• Inibitori di tipo 1: costituiscono la maggior parte degli inibitori. Essi competono con la molecola di ATP interagendo con la conformazione attiva della chinasi. Tipicamente formano da uno a tre legami ad idrogeno con i residui amminoacidici della regione dell’adenina, mimando in tal modo quelli formati dall’adenina dell’ATP (Figura 9).

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Figura 9 Binding mode degli inibitori di tirosina chinasi di tipo 1

 Inibitori di tipo 2: competono anch’essi con l’ATP per il sito catalitico della proteina, ma riconoscono la conformazione inattiva della chinasi. Lo spostamento del loop di attivazione nella cosiddetta conformazione DFG-out, in cui il residuo fenilalaninico del motivo DFG è spostato di 10 Å rispetto alla conformazione attiva, crea una tasca idrofobica addizionale adiacente alla tasca dell’adenina, definita sito allosterico (Figura 10).

Figura 10. Binding mode degli inibitori di tirosina chinasi di tipo 2

 Inibitori allosterici: questa classe di composti si inserisce fuori dal sito di legame dell’ATP, nel cosiddetto sito allosterico della proteina, responsabile della regolazione positiva o negativa dell’attività enzimatica. Questi tipi di

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inibitori risultano i più selettivi in quanto interagiscono con un sito che mostra più alta variabilità tra le differenti proteine chinasi.

 Inibitori covalenti: composti in grado di formare un legame covalente irreversibile col sito attivo. Molto frequentemente vanno a reagire con un residuo nucleofilo di cisteina.[44,45]

3.2 Inibitori multi-chinasici

Nei tumori solidi, è raro che l'anomalia di una singola chinasi sia l'unica causa della malattia ed è improbabile che dipenda da una sola via di segnalazione attivata in modo anormale; più spesso invece molteplici vie di segnalazione sono fuori controllo. Inoltre, anche singole anomalie molecolari possono avere più effetti. Perciò è probabile che le terapie siano più efficaci se inibiscono un numero maggiore di processi biochimici.

Nel cancro, che è una condizione patologica molto complessa come abbiamo visto, la polifarmacologia è sempre più ricercata. Sebbene gli inibitori delle chinasi abbiano rivoluzionato il trattamento per alcuni tipi di neoplasie maligne; alcune importanti esigenze rimangono insoddisfatte con l’uso degli inibitori mono-chinasici[46].

L’inibizione contemporanea di più chinasi si può ottenere con la combinazione di diversi agenti altamente selettivi oppure con un singolo agente in grado di inibire più processi biochimici.

Le terapie multi-target possono colpire diversi punti all'interno di un singolo processo, o più processi distinti. Sta diventando sempre più evidente che l’interazione tra differenti vie di segnalazione, incluse PI3K/Akt e RAF-MEK-ERK, ha un impatto significativo sull'efficacia delle terapie per il cancro. Ad esempio, nei tumori con recettori della chinasi mutati o oncogeni, come RAS, che attivano sia la via RAF-MEK-ERK che PI3K, il blocco di PI3K può effettivamente sovraregolare la segnalazione RAF-MAPK perché i due pathway hanno effetti inibitori incrociati.

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Quindi è probabile che, per i farmaci che agiscono a valle dei recettori della tirosin-chinasi, sia più efficace una terapia combinata piuttosto che un singolo agente selettivo.

Il cancro del polmone, sensibile agli inibitori di EGFR, presenta attivazione PI3K e ERK che è sotto il controllo esclusivo dell'EGFR. Tale tumore può sviluppare resistenza all'EGFR. Combinare gli inibitori di PI3K con inibitori di EGFR può rappresentare una strategia sensata per aumentare la proporzione di tumori che traggono beneficio dagli inibitori di EGFR, e ritardare lo sviluppo di resistenza nei tumori che inizialmente rispondono alla terapia. Allo stesso modo, sempre più studi dimostrano che l'inibizione di entrambe le vie di segnalazione PI3K-Akt e RAF-MEK-ERK potrebbe essere sostanzialmente più efficace dell'inibizione dei percorsi in maniera selettiva.

L’associazione farmacologica di inibitori dei due recettori (EGFR e VEGFR-2) sembrerebbe molto vantaggiosa, in quanto questo tipo di terapia consente di colpire il tumore da più fronti nello stesso momento:

1) l’inibizione di EGFR causa l’arresto della crescita della massa tumorale; 2) l’inibizione di VEGFR-2 blocca la vascolarizzazione tumorale, impedendo così l’apporto di nutrienti alla massa neoplastica; l’arresto dell’angiogenesi riduce la probabilità del tumore di metastatizzare, poiché, come abbiamo visto, i vasi sanguigni tumorali costituiscono il veicolo principale per la disseminazione delle cellule metastatiche nell’organismo.

Oggi sempre più agenti "multi-target" vengono sviluppati con lo scopo di inibire più di un percorso simultaneamente. Agenti multi-target che sono stati approvati per l’uso clinico sono: Sorafenib, Sunitinib, Lapatinib, Pazopanib e Vandetanib, un inibitore orale di VEGFR e EGFR che ha anche attività contro Ret TK.

Sorafenib (Figura 11) esercita il suo effetto direttamente sul tumore, attraverso

l’inibizione della via Raf/MEK/ERK, e sull’angiogenesi tumorale tramite l’inibizione di VEGFR e PDGFR. E’ noto che un trattamento di Sorafenib combinato con inibitori EGFR come Erlotinib determina un significativo ritardo della crescita del tumore del colon-retto nei topi e del tumore al polmone in linee cellulari tumorali.[47]

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42 Sorafenib Sunitinib Pazopanib Vandetanib Figura 11

Sunitinib (Figura 11) è stato approvato per il trattamento del carcinoma renale e

dei tumori stromali gastrointestinali-Imatinib resistenti, inibisce le famiglie VEGFR, PDGFR, KIT e Flt3 (Fms-like tyrosine Kinase 3). Sembra che Sunitinb reprima l’attivita di HIF-1 (fattore inducibile dell’ipossia) e di conseguenza diminuisca i suoi effetti in modo da frenare la progressione del tumore nelle regioni ipossiche.

Tra gli inibitori di VEGFR-1 troviamo anche Pazopanib (Figura 11), un potente inibitore multi-target di tirosina chinasi che agisce inoltre su PDGFR e c-Kit; inibisce in vitro la proliferazione delle cellule endoteliali indotta da VEGF, mentre in vivo inibisce l’angiogenesi, ed è stato approvato dalla FDA per il trattamento del carcinoma renale.[48]

Vandetanib (Figura 11), inibitore multi target di tirosina chinasi a struttura

anilinochinazolinica, è stato approvato nell’aprile 2011 dalla FDA per il trattamento del carcinoma midollare alla tiroide inoperabile ed in fase metastatica. E’ stato evidenziato che le cellule resistenti esibiscono come tratto distintivo la sovraespressione di VEGFR-1, l’incremento di secrezione sia di VEGF che del fattore di crescita placentare, e l’aumento della capacità di migrazione. Vandetanib è in grado di antagonizzare proprio il proliferare di queste cellule resistenti, dato

F N H O N H O NH NEt 2 Sunitinib N N N NH N N S O O NH2 N N NH Br F O O N CH3 N O O H N HN H N Cl CF3

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