• Non ci sono risultati.

La risposta dell'Unione europea alle catastrofi naturali e causate dall'uomo

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La risposta dell'Unione europea alle catastrofi naturali e causate dall'uomo"

Copied!
152
0
0

Testo completo

(1)

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

LA RISPOSTA DELL’UNIONE EUROPEA ALLE CATASTROFI

NATURALI E CAUSATE DALL’UOMO

Il Candidato

Il Relatore

Edoardo Ascani

Chiar.mo Prof. Simone Marinai

(2)
(3)

i

INDICE

INTRODUZIONE ... 1

1 CAPITOLO I: LA DIMENSIONE INTERNA DEGLI INTERVENTI DI ASSISTENZA DELL’UNIONE EUROPEA ... .3

1.1 Le prime forme di cooperazione in materia di protezione civile ... 3

1.2 L’introduzione di una specifica base giuridica in occasione dell’adozione del Trattato di Lisbona. ... 11

1.3 La Decisione 1313/2013 sul meccanismo unionale di protezione civile. ... 16

1.4 Il Pool europeo di protezione civile. ... 29

1.5 I meccanismi di risposta in caso di catastrofi all’interno dell’Unione. ... 37

1.6 L’articolo 222 TFUE e la clausola di solidarietà. ... 44

1.7 Il piano di intervento previsto dalla Decisione 2014/415. ... 52

2 CAPITOLO II: LA DIMENSIONE ESTERNA DELL’AZIONE EUROPEA NELLA RISPOSTA ALLE CALAMITÀ NATURALI O CAUSATE DALL’UOMO ... 63

2.1 La coerenza nelle relazioni esterne dell’UE e gli effetti sullo European Disaster Response Law. ... 63

2.2 La Cooperazione in materia di protezione civile in risposta di calamità esterne. ... 71

2.3 L’aiuto umanitario. ... 84

3 CAPITOLO III: L’ISTITUZIONE DI UN CORPO DI VOLONTARI DELL’UNIONE EUROPEA PER L’AIUTO UMANITARIO ... 96

3.1 Il quadro giuridico di riferimento. ... 96

3.2 I requisiti e le competenze dei volontari. ... 101

3.3 Una valutazione dell'Iniziativa Volontari dell'Unione alla luce della prima prassi applicativa………...107

(4)

ii

4 CAPITOLO IV: LA RECENTE PRASSI APPLICATIVA IN

MATERIA DI AIUTI UMANITARI ... 113

4.1 Le azioni della Commissione europea in riferimento all’anno 2017. ... 113

4.2 Una panoramica sui principali interventi umanitari realizzati dall’Unione europea a livello globale... 118

CONCLUSIONI ... 130

BIBLIOGRAFIA………..134

ATTI E DOCUMENTI…….………...………138

GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA………...146

SITOGRAFIA………..147

(5)

1

INTRODUZIONE

Il presente lavoro intende analizzare le modalità di risposta alle catastrofi naturali o causate dall’uomo a livello di Unione europea, sia dal punto di vista normativo che operativo.

L’elaborato è strutturato in quattro capitoli

Il primo capitolo è dedicato essenzialmente alla c.d. “dimensione interna” dell’azione europea, caratterizzata in via principale dal meccanismo unionale di protezione civile. Questo strumento ha preso il posto del CPM, il meccanismo comunitario di protezione civile, che ha costituito il primo vero tentativo di azione europea in materia dopo una lunga serie di programmi d’azione. Inoltre, con il Trattato di Lisbona è stata prevista una clausola di solidarietà, attuata mediante la Decisione 415/2014, che consente all’Unione e agli Stati membri di agire congiuntamente per aiutare un altro Paese dell’UE vittima di un attacco terroristico o di una catastrofe naturale o provocata dall’uomo.

Il secondo capitolo è volto invece all’analisi della “dimensione esterna”, vale a dire il contesto dei Paesi extra europei e terzi. Il primo tema affrontato è quello della coerenza, che nella disciplina del Trattato di Lisbona diventa un vero e proprio imperativo. Successivamente, viene trattata la cooperazione a livello di protezione civile, in quanto il meccanismo unionale, sin dalla sua creazione, è stato principalmente impiegato per gli interventi in Paesi terzi. Infine viene analizzata la politica relativa agli aiuti umanitari, uno dei pilastri della dimensione

(6)

2

esterna, ed in particolare il rapporto con la protezione civile, sottolineando le differenze dal punto di vista operativo.

Il terzo capitolo ha ad oggetto l’analisi dell’iniziativa “EU Aid Volunteers”, ovvero i Volontari europei per l’aiuto umanitario, volta a sostenere e completare l’aiuto umanitario nei Paesi terzi. Si tratta di una iniziativa che si caratterizza per i molti scopi, tra cui potenziare le capacità delle organizzazioni d’accoglienza e di promozione del volontariato nei Paesi terzi, e aumentare la coerenza e l’interconnessione del volontariato fra gli Stati membri, per migliorare le opportunità dei cittadini europei di partecipare ad attività e interventi di aiuto umanitario.

Infine il quarto capitolo è dedicato all’esame della recente prassi applicativa della Commissione in materia di aiuti umanitari. Vengono esaminate le principali azioni e gli strumenti di emergenza, e viene offerta una panoramica dei principali interventi a livello mondiale. L’Unione può essere considerata oggi uno dei principali donatori internazionali, e si è contraddistinta in modo particolare in Medio Oriente ed Africa, dove le popolazioni sono colpite da crisi umanitarie senza precedenti.

(7)

3

CAPITOLO I

LA DIMENSIONE INTERNA DEGLI INTERVENTI DI ASSISTENZA DELL’UNIONE EUROPEA

1. Le prime forme di cooperazione in materia di protezione civile

A livello europeo, le prime mosse verso un’azione comune di risposta ai disastri si fanno risalire a un incontro ministeriale svoltosi a Roma nel maggio del 1985. A seguito dello stesso, il Consiglio e i rappresentanti degli Stati Membri, adottarono, dal 1987 al 1991, una serie di Risoluzioni volte a gettare le basi per forme di concreta cooperazione in materia di protezione civile1. Di rilievo altresì la

Decisione2 del Consiglio, adottata nel 1997, sul varo di un Programma

d’azione comunitario a favore della protezione civile. Tale strumento ha consentito il finanziamento da parte della Comunità di progetti di

1 Risoluzioni del 25 giugno 1987 relativa all’instaurazione di una cooperazione

comunitaria in materia di protezione civile (in GUCE C 176, del 4 luglio 1987, p. 1 e ss.), del 13 febbraio 1989 relativa ai nuovi sviluppi della cooperazione comunitaria in materia di protezione civile (in GUCE C 44, del 23 febbraio 1989, p. 3 e ss.), del 23 novembre 1990 relativa alla cooperazione comunitaria in materia di protezione civile (in GUCE C 315, del 14 dicembre 1990, p. 1 e ss.); dell’8 luglio 1991 relativa al miglioramento dell’assistenza reciproca tra Stati membri in caso di catastrofi naturali e tecnologiche (in GUCE C189, del 27 luglio 1991, p. 1 e ss.); di rilievo anche la Risoluzione del 31 ottobre 1994, relativa al rafforzamento della cooperazione comunitaria in materia di protezione civile (in GUCE C 313, del 10 novembre 1994, p. 1 e ss.).

2 Decisione 1992/22/CE del Consiglio, del 19 dicembre 1997, che istituisce un

programma d’azione comunitario a favore della protezione civile, in GUCE L 8, del 14 gennaio 1998, p. 20 e ss.

(8)

4

cooperazione tra gli Stati membri (o alcuni di loro), in particolare in riferimento ad attività di preparazione e addestramento degli operatori nazionali e d’informazione e sensibilizzazione della popolazione. Più precisamente, ad un primo Programma d’azione biennale (1998-1999)3

ha fatto seguito un secondo, inizialmente previsto per il periodo 2000-2004, ma poi prolungato fino al 2006, in ragione del verificarsi nella Comunità di alcune gravi catastrofi4.

L’attuazione di questi primi strumenti ha reso possibile lo sviluppo di meccanismi volti a facilitare la cooperazione operativa tra gli Stati membri nell’area della preparazione ai disastri e nella reazione agli stessi. Tra le altre cose, venne istituita una rete di corrispondenti degli Stati membri e della Commissione, volta a migliorare la conoscenza delle capacità di soccorso disponibili in ciascuno Stato e consentire una loro migliore e più rapida utilizzazione; furono varate azioni di formazione e di esercitazione comune, a livello europeo, per gli operatori nazionali della protezione civile. La natura meramente programmatica, e non giuridicamente vincolante, degli atti che ne hanno costituito la base ha tuttavia limitato le azioni intraprese.

L’attività normativa in materia di protezione civile è sempre stata fortemente limitata a causa dell’assenza di basi giuridiche

3 Decisione 1999/847/CE del Consiglio, del 9 dicembre 1999, che istituisce un

programma d’azione comunitario a favore della protezione civile, in GUCE L 327, del 21 dicembre 1999, p. 53 e ss.

4 Decisione del Consiglio del 20 dicembre 2004 che modifica la Decisione

1999/847/CE per quanto riguarda la durata del programma d’azione comunitario a favore della protezione civile, in GUCE L 6, dell’8 gennaio 2005, p. 7 e ss.

(9)

5

specifiche nei Trattati istitutivi. Molti dei primi atti5, vennero adottati

sulla base dell’ex art. 308 del TCE (c.d. “clausola di flessibilità”, oggi art. 352 TFUE). Tale disposizione riconosceva al Consiglio il potere d’adottare all’unanimità, su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento Europeo, le disposizioni del caso, ogniqualvolta un’azione della Comunità fosse necessaria per raggiungere, nel funzionamento del mercato comune, uno degli scopi della Comunità, e il Trattato istitutivo non avesse previsto i poteri di azione richiesti a tal fine. Alcuni provvedimenti aventi una significativa rilevanza in materia di risposta a disastri sono stati adottati in virtù di basi giuridiche offerte da altre disposizioni dei Trattati, quali in particolare quelle offerte dalle norme sulla protezione dell’ambiente (ex art. 174 TCE), ovvero quelle rappresentate, in riferimento ai disastri nucleari, dalle norme del Trattato Euratom. Occorre soprattutto ricordare il Regolamento (CE) n. 2012/2002 dell’11 novembre 2002, che istituisce il Fondo di solidarietà dell’Unione Europea6, adottato sulla

base sia dell’ex art. 159 TCE (coesione economica e sociale) che dell’ex art. 308 TCE (per quanto riguarda le azioni a favore degli Stati candidati). Il Fondo di solidarietà venne creato per assicurare un sostegno finanziario agli Stati membri colpiti da una “catastrofe naturale grave” o, in via eccezionale, da catastrofi regionali (art. 2). Si è trattato

5 Ad esempio la Decisione del Consiglio 2001/792/CE, Euratom, del 23 ottobre

2001, che istituisce un meccanismo comunitario inteso ad agevolare una cooperazione rafforzata negli interventi di soccorso della protezione civile, in GUCE L 297, del 15 novembre 2001, p. 7 e ss. di seguito trattata nel testo.

(10)

6

di uno strumento di significativo impatto, avendo complessivamente erogato contributi finanziari superiori a 3 miliardi di euro (in riferimento al terremoto che ha colpito nel 2012 l’Emilia-Romagna, e altre regioni limitrofe, il Fondo è giunto a erogare 670 milioni di euro). Il Regolamento 2012/2002 è stato poi modificato dal Regolamento (UE) n. 661/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, che ha tra le altre cose rivisto e meglio precisato la definizione di catastrofe naturale grave e le situazioni di “catastrofe regionale”7. Occorre tuttavia fare

qualche passo indietro.

Una pietra miliare nello sviluppo della cooperazione comunitaria è rappresentata dall’adozione, da parte del Consiglio, della Decisione 792/2001, che ha istituito un Meccanismo Comunitario di Protezione Civile (Community Civil Protection Mechanism, CPM), il quale ha operato sino al varo, nel 2014, del nuovo Meccanismo Unionale di Protezione Civile. Si trattava di un meccanismo operativo volto essenzialmente a facilitare la mobilitazione immediata di assistenza concreta in caso di catastrofi, sia all’interno che all’esterno dell’Unione. Il CPM mirava altresì a migliorare la preparazione delle autorità degli Stati partecipanti nella risposta ai disastri, e a favorire la cooperazione tra tali autorità e tra esse e l’Unione. Elemento chiave ai fini delle attività del CPM è stata l’istituzione a Bruxelles di un Centro di

7 Regolamento (UE) n.661/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15

maggio 2014, recante modifica del Regolamento (CE) n.2012/2002 del Consiglio, che istituisce il Fondo di solidarietà dell’Unione Europea, in GUUE L189, del 27 giugno 2014, p. 143 e ss.

(11)

7

monitoraggio e informazione (Monitoring and Information Center, MIC), vero e proprio centro nevralgico del sistema. Il MIC, inizialmente stabilito all’interno della Direzione Generale Ambiente della Commissione Europea (Unità Protezione Civile) e operante in via continuativa, costituiva in primo luogo un punto di snodo essenziale per le comunicazioni tra gli Stati membri, fornendo altresì agli Stati partecipanti l’accesso ad una piattaforma informatica comunitaria di protezione civile, il CECIS (Common Emergency Communication and Information Centre). Tale sistema garantiva la comunicazione e lo scambio, in maniera rapida e protetta, d’informazioni tra il MIC e i punti di contatto nazionali degli Stati membri. In caso di catastrofe, lo scambio di informazioni consentiva il lancio da parte degli Stati partecipanti di azioni di assistenza a favore dello Stato colpito. Il MIC operava anche come centro di diffusione di dati e di allarme rapido in merito alle catastrofi.

Il CPM è divenuto uno strumento chiave nell’assicurare una risposta immediata e coordinata degli Stati membri alle più gravi catastrofi, sia all’interno che all’esterno dell’Unione8. In seguito allo

tsunami del 2004 nell’Oceano Indiano, il CPM è stato oggetto di un processo di revisione, che ha portato all’emanazione della Decisione del Consiglio dell’8 novembre 2007, la quale ha modificato su alcuni punti

8 COMMISSIONE EUROPEA, Comunicazione, Migliorare il meccanismo comunitario di

(12)

8

sostanziali la disciplina precedente e ha operato una rifusione della Decisione del 20019.

Sempre nel 2007, il Consiglio adottò un secondo provvedimento, essenziale ai fini dello sviluppo delle azioni in materia: la Decisione del 5 marzo 2007, n. 2007/162/CE/Euratom istitutiva di uno strumento finanziario per la protezione civile10 (entrambe le

Decisioni del 2007 furono adottate sulla base dell’ex art. 308 TCE). Lo strumento, ponendosi in continuità col Programma d’azione che aveva operato dal 1994 al 2006, ha fornito il necessario sostegno finanziario sia al fine di aumentare l’efficacia delle risposte alle emergenze gravi, in particolare nel quadro del CPM, sia allo scopo di potenziare le misure di prevenzione e preparazione alle emergenze di ogni tipo. Nel corso degli anni, il CPM ha operato con indubbio successo e crescente impatto. Dal 2001 al 2013, è stato attivato in più di 150 occasioni. È significativo che mentre nei primi anni il numero di emergenze gestite annualmente dal CPM era mediamente di 3, nel tempo è salito a 20 (nel 2012, il CPM è stato attivato 21 volte, 16 nel 2013)11. Parimenti, è importante rilevare

che il CPM ha coinvolto anche Stati non membri dell’Unione, avendovi aderito anche alcuni Paesi dell’EFTA e Stati candidati (prima del varo

9 Decisione 2007/779/CE, Euratom del Consiglio dell’8 novembre 2007 che istituisce

un meccanismo comunitario di protezione civile (rifusione), in GUUE L 314, del 1° dicembre 2007, p. 9 e ss. La Decisione 2007/779 ha introdotto alcuni miglioramenti al quadro normativo esistente, senza tuttavia determinare una radicale riforma.

10 In GUUE L 71, del 10 marzo 2007, p. 9 e ss.

11 EUROPEAN COMMISSION, Humanitarian Aid and Civil Protection, EU Civil

Protection ECHO Factsheet, October 2014, http://ec.europa.eu/echo/ files/aid/countries/factsheets/thematic/civil_protection_en.pdf.

(13)

9

del nuovo meccanismo unionale, aderivano al CPM Islanda, Norvegia e Macedonia).

Allo stesso tempo, l’azione europea in materia ha mostrato qualche limite, come ben evidenziato nella Relazione “Per una forza europea di protezione civile: Europe Aid”, presentata al Consiglio e alla Commissione nel maggio 2006 dall’ex commissario Michel Barnier. Nel documento si rilevava come il meccanismo del CPM allora operante si fondasse essenzialmente su offerte di aiuto provenienti in via del tutto spontanea dagli Stati membri e fosse penalizzato dall’essenza di forme di preventiva ed efficace organizzazione della risposta europea. Al fine di migliorare tale quadro, la Relazione proponeva la creazione di una Forza europea di protezione civile (Europe Aid). Le proposte contenute nella Relazione, pur avendo suscitato un vasto dibattito, non si tradussero peraltro nell’immediato nell’adozione di concreti atti normativi, anche in ragione delle divergenti opinioni degli Stati in materia.

Un primo timido passo verso la formale consacrazione nel diritto comunitario di competenze in materia di protezione civile si è avuto con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, il quale tuttavia accoglieva sul punto una soluzione di compromesso di dubbia coerenza. Da un lato, infatti, l’art. 3 lett. t), TCE riconosceva che l’azione della Comunità implicasse, alle condizioni e secondo il ritmo previsto dal Trattato, “misure in materia di energia, protezione civile e turismo”. Dall’altro lato, tuttavia, il TCE non conteneva alcuna ulteriore

(14)

10

disposizione che esplicitasse gli obiettivi delle misure da adottare in tali materie e, soprattutto, che ne fissasse le corrispondenti basi giuridiche: sicché la competenza in materia di protezione civile era destinata a rimanere sospesa e a essere esercitata tramite la clausola di flessibilità o nel quadro di provvedimenti adottati in virtù d’altre politiche comunitarie. La natura fortemente compromissoria della situazione venutasi a creare era del resto riconosciuta dagli stessi Stati membri, i quali (nella Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Maastricht) avevano contratto l’impegno affinché la questione dell’inserimento nel TCE di titoli relativi alla protezione civile, energia e turismo venisse riesaminata nel quadro della successiva Conferenza intergovernativa, da convocarsi nel 1996. Sennonché, anche in tale occasione, le spaccature emerse tra gli Stati membri hanno portato ad una situazione di impasse, che ha impedito la modifica della cornice normativa appena descritta ad opera del Trattato di Amsterdam, e successivamente del Trattato di Nizza.

È solo col Trattato di Lisbona che sono state introdotte specifiche ed articolate basi giuridiche in materia, venendosi ad aprire la strada ad importanti innovazioni sul piano normativo.

(15)

11

2. L’introduzione di una specifica base giuridica in occasione dell’adozione del Trattato di Lisbona.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, ha portato fondamentali innovazioni nel quadro giuridico europeo in materia di protezione civile. All’art. 6 lett. f) del TFUE è riconosciuta la competenza dell’Unione Europea in termini generali “per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azioni degli Stati membri”, inter alia nel settore della protezione civile. Questa competenza è declinata più precisamente nel Titolo XXIII del TFUE, intitolato “Protezione Civile”, e nel relativo art. 196: questa disposizione segna la definitiva consacrazione di una specifica base giuridica nel diritto primario per azioni dell’Unione Europea.

È stata altresì introdotta, all’art. 222 del TFUE, una “clausola di solidarietà”, che prevede un dovere generale dell’Unione e degli Stati membri di agire “congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo”. Occorre dunque analizzare queste innovazioni.

Il Trattato di Lisbona ha provveduto per la prima volta ad un’articolazione delle differenti categorie di competenze dell’Unione, definite in particolare in virtù del rapporto tra dette competenze e quelle degli Stati membri (art. 2 TFUE). Tenendo conto che tali competenze sono classificate in esclusive, concorrenti e di sostegno,

(16)

12

l’azione dell’Unione nel settore della protezione civile rientra in quest’ultima, vale a dire “sostegno, coordinamento e completamento”, competenze definite in termine generali dall’art. 6 TFUE. Il loro esercizio da parte dell’Unione, come precisato dall’art. 2 par. 5 TFUE, non preclude la possibilità per gli Stati membri di intervenire: dette competenze (“parallele”) hanno piuttosto la funzione di contribuire a rendere maggiormente efficaci le attività svolte dai singoli Stati. Nella relazione finale del Gruppo di lavoro della Convenzione europea si precisava infatti che esse “danno la facoltà all’Unione di adottare talune misure di lieve intensità per quanto riguarda politiche di cui continuano ad essere responsabili gli Stati membri”, consentendo all’Unione di “appoggiare e integrare le politiche nazionali”12. In altre parole, non

verrà elaborata una vera e propria “politica comune europea sulla protezione civile”, che si sostituisca a quelle nazionali. L’azione europea risulterà piuttosto complementare a quelle dei singoli Stati membri, e dovrà coordinarsi con esse alla luce del principio di leale cooperazione tra Unione e Paesi membri richiamato all’art. 4 par. 3 TUE. Sostanzialmente, la nuova competenza nel settore della protezione civile non fa che riflettere la prassi sviluppatasi prima del Trattato di Lisbona, la quale aveva portato all’istituzione del meccanismo comunitario di protezione civile (CPM), che aveva natura complementare e non era diretto a sostituire o trasformare i sistemi nazionali.

(17)

13

Analizzando la precisa articolazione degli obiettivi dall’art. 196 TFUE, notiamo che la previsione copre, ratione loci, la cooperazione in materia di protezione civile tanto riguardo alle calamità naturali insorte all’interno dell’Unione quanto riguardo a quelle in Paesi terzi, riprendendo la prassi precedente. Da quest’ultima anche il riferimento, ratione materiae, sia alle calamità naturali che a quelle provocate dall’uomo, anche se la più precisa definizione del concetto di calamità è lasciato alla legislazione di diritto derivato. Anche la portata delle azioni contemplate è notevolmente ampliata (ratione temporis). L’art. 196 TFUE fa espresso riferimento alle diverse fasi, nel processo di gestione dei rischi, della prevenzione, della preparazione e dell’intervento in caso di calamità naturali o provocate dall’uomo. Ne consegue il rafforzamento della componente prevenzione nel quadro dell’azione europea: infatti, la necessità di affrontare la prevenzione delle catastrofi a livello dell’Unione era in particolare venuto dalla Comunicazione della Commissione del 23 febbraio 2009 “Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana”13, cui hanno

fatto seguito le conclusioni del Consiglio, del 30 novembre 2009, relative a un quadro comunitario sulla prevenzione delle catastrofi all’interno dell’UE14.

Vi è un dubbio che può emergere dalla lettura dell’art. 196 TFUE in parallelo con l’art. 6 TFUE: mentre la seconda disposizione parla di competenze di “sostegno, coordinamento o completamento”,

13 COM (2009) 82 def. 14 Doc. 15394/09.

(18)

14

l’art. 196 non fa menzione della finalità del coordinamento (a parte la lett. c) del par. 1 che parla di “coerenza delle azioni” intraprese a livello internazionale). L’esatta portata della norma di diritto primario verrà chiarita dalla prassi. Comunque, nonostante all’art. 2 par. 6 TFUE venga precisato che la “portata e le modalità di esercizio delle competenze dell’Unione sono determinate dalle disposizioni dei Trattati relative a ciascun settore”, non sembra che la circostanza ora richiamata possa impedire l’adozione di misure volte al coordinamento degli Stati membri. Le tre finalità richiamate all’art. 6 TFUE appaiono infatti strettamente connesse tra di loro. Quindi è difficile ipotizzare misure dell’UE volte a completare e sostenere le attività statali in materia dalle quali non risulti un loro, seppur minimo, coordinamento, il quale è l’aspetto più importante per garantire una risposta efficace agli eventi calamitosi.

La sola direttrice che non può essere perseguita tramite le misure adottate ex art. 196 TFUE, per espressa previsione del Trattato, è l’armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Questo profilo consente di distinguere, da un punto di vista generale, la competenza in esame dalle competenze che l’Unione esercita in modo concorrente con gli Stati membri15. Una tale

esclusione deriva anche dall’estrema eterogeneità dell’organizzazione della protezione civile nei vari Paesi dell’UE. In alcuni casi, ad esempio,

15 Anche se non mancano casi di competenze concorrenti che si risolvono nel

sostegno delle politiche statali o che escludono la possibilità di una loro armonizzazione, ad es. cfr. l’art. 79, par. 4.

(19)

15

essa è gestita a livello centrale dal Ministero dell’Interno, in altri da quello della Difesa, e in altri ancora dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. La stessa ripartizione della materia tra i vari livelli di governo all’interno degli Stati membri risulta assai variabile, in molti casi essendo le relative competenze largamente demandate a enti regionali o locali. L’art. 196 ne tiene conto, facendo riferimento all’obiettivo di sostenere le azioni Paesi membri non solo a livello nazionale, ma anche “regionale e locale”.

Vi è una cruciale innovazione derivante dalla nuova previsione in materia di protezione civile: ai sensi del par. 2 dell’art. 196 TFUE, le misure necessarie debbono essere adottate secondo la procedura legislativa ordinaria, prevista dall’art. 294 TFUE. Quindi i relativi atti sono emanati su proposta della Commissione, con decisione congiunta di Parlamento europeo e Consiglio, quest’ultimo deliberando a maggioranza qualificata. È un importante passo in avanti rispetto al quadro giuridico previgente, nel quale gli atti di natura generale in materia erano adottati in base alla clausola di flessibilità, la quale richiedeva un voto all’unanimità nel Consiglio. Tutto ciò rende più agevole l’adozione di provvedimenti ai fini dello sviluppo della cooperazione civile europea. Inoltre, il Parlamento europeo viene ad assumere un ruolo ed un peso determinante, di co-legislatore a tutti gli effetti. Qualche perplessità può lasciare la mancata previsione di un obbligo di consultazione del Comitato delle Regioni in merito ai

(20)

16

provvedimenti da emanare, tenuto conto delle competenze che gli enti regionali e locali hanno generalmente nel settore.

Dalla suddetta procedura deriva il fatto che gli atti abbiano natura “legislativa”. In merito alla relativa forma legale, l’art. 196 TFUE parla genericamente di “misure”, rimettendo dunque alle istituzioni dell’Unione la scelta del tipo di atto da adottare, potendosi in astratto configurare l’emanazione di uno qualsiasi degli atti previsti dall’art. 288 TFUE (regolamenti, direttive o decisioni). Una scelta che deve comunque rispettare i principi di sussidiarietà e di proporzionalità. C’è da ricordare comunque che l’art. 196 esclude l’adozione nella materia di misure di armonizzazione. Questo dovrebbe limitare dunque la possibilità di ricorrere, in riferimento alla cooperazione civile, a regolamenti e direttive, considerato che tali atti risultano volti prevalentemente all’uniformazione (regolamenti) e all’armonizzazione (direttive) delle normative statali. Quindi, la conseguenza logica è che dovrebbe essere la decisione lo strumento vincolante utilizzato a titolo principale dalle istituzioni europee per definire le azioni in materia di protezione civile16.

3. La Decisione 1313/2013 sul meccanismo unionale di protezione civile.

Partendo dal suddetto Rapporto Barnier del 2006, che disegnava nuove prospettive in materia di meccanismo comunitario di protezione

16 Non è peraltro da escludere la possibile adozione di regolamenti aventi una concreta

(21)

17

civile, e avvalendosi delle nuove competenze risultanti dal Trattato di Lisbona, la Commissione ha pubblicato nel 2010 la Comunicazione “Potenziare la reazione europea alle catastrofi: il ruolo della protezione civile e dell’assistenza umanitaria”17, che ha avviato una revisione del

quadro normativo esistente, in consultazione con le parti interessate. Tutto questo ha portato alla presentazione, nel dicembre 2011, della proposta di decisione sul nuovo meccanismo unionale di protezione civile, e quindi all’adozione della Decisione 1313/2013/UE del 13 dicembre 2013, del Parlamento europeo e del Consiglio18. Quest’ultima

ha preso il posto sia della Decisione 2007/779 sul CPM, che della Decisione 2007/162 sullo strumento finanziario per la protezione civile.

La Decisione 1313/2013 poggia sull’art. 196 TFUE, quale propria base giuridica, anche se si riconosce nel relativo ‘considerando’ n. 4 che il meccanismo unionale dovrebbe altresì contribuire all’attuazione dell’art. 222 (clausola di solidarietà), “mettendo a disposizione ove necessario le sue risorse e le sue capacità”. In linea con la ampia portata dell’art. 196 TFUE, tale Decisione mira allo sviluppo di un approccio integrato alla gestione dei disastri, che includa misure di prevenzione, preparazione e risposta.

Obiettivo generale del nuovo meccanismo è “rafforzare la cooperazione tra l’Unione e gli Stati membri e […] facilitare il coordinamento nel settore della protezione civile al fine di migliorare

17 COM (2010) 600, cit.

(22)

18

l’efficacia dei sistemi di prevenzione, preparazione e risposta alle catastrofi naturali e provocate dall’uomo”19.

La normativa di base prevista dalla Decisione 1313/2013 è stata successivamente integrata nel 2014, mediante l’adozione da parte della Commissione di una Decisione20 di esecuzione, alla stregua del

meccanismo contemplato all’art. 291 TFUE e in virtù del conferimento di competenza ex art. 32 della Decisione 1313/2013. In data 20 marzo 2019, è stata adottata la Decisione (UE) 2019/420 del Parlamento europeo e del Consiglio21, che modifica la Decisione 1313/2013,

sostituendo ed integrando alcune norme relative al meccanismo unionale.

La Decisione 1313/2013 ha inoltre ampliato le possibilità di partecipazione al meccanismo da parte di Stati non membri dell’Unione. In virtù dell’art. 28, il meccanismo unionale è aperto alla partecipazione degli Stati EFTA membri dello Spazio economico europeo e “di altri paesi europei se previsto da accordi e procedure”, dei Paesi aderenti, dei candidati e dei potenziali candidati22.

19 Decisione 1313/2013, art. 1 par. 1

20 Decisione 2014/762/UE di esecuzione della Commissione del 16 ottobre 2014

recante le modalità d’esecuzione della Decisione n. 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio su un meccanismo unionale di protezione civile e che abroga le decisioni 2004/277/CE, Euratom e 2007/606/CE, Euratom, in GUUE L 320, del 6 novembre 2014, p. 1 e ss.

21 In GUUE L 771 del 20 marzo 2019.

22 Nel 2015 vi partecipano, oltre ai 28 Stati membri, Islanda, Norvegia, Serbia,

Macedonia e Montenegro. Anche la Turchia avrebbe concluso un accordo ai fini della partecipazione al meccanismo. Fonte: EUROPEAN COMMISSION, EU Civil Protection, ECHO Factscheets July 2015.

(23)

19

Alla luce del silenzio dei Trattati e dell’inesistenza di una nozione univoca sul piano internazionale, ai fini della determinazione del campo d’applicazione della nuova normativa, risulta cruciale la definizione di “catastrofe” da essa delineata. Dal combinato disposto degli artt. 1 e 4 della Decisione 1313/2013 emerge una definizione generalmente in linea con le indicazioni emergenti dalla prassi internazionale in materia, caratterizzata comunque da una notevole ampiezza. Ai sensi dell’art. 4, per catastrofe si intende “qualsiasi situazione che abbia o possa avere conseguenze gravi sulle persone, l’ambiente o i beni, compreso il patrimonio culturale”. Per altro verso, l’art. 1 par. 2, prevede che il meccanismo miri a garantire la protezione in primo luogo delle persone, ma anche di ambiente e beni (compreso il patrimonio culturale), da “ogni tipo di catastrofi naturali e provocate dall’uomo, tra cui le conseguenze del terrorismo, le catastrofi tecnologiche, radiologiche o ambientali, l’inquinamento marino e le emergenze sanitarie gravi che si verifichino all’interno e al di fuori dell’Unione”. Quella adottata dalla Decisione 1313/2013 è un’impostazione ampia in materia, coprendo non soltanto i disastri naturali ma anche le calamità provocate dall’uomo, in riferimento alle quali procede ad una significativa esemplificazione. Infatti, come si evince dal riferimento ad atti di terrorismo, può trattarsi sia di eventi provocati intenzionalmente quanto di eventi derivanti da negligenza o da cause al di là del controllo umano. Sul punto, la Decisione 1313/2013 riprende sostanzialmente la definizione di cui alla Decisione

(24)

20

2007/779, introducendo peraltro alcuni miglioramenti sul piano della forma e della coerenza sistemica23.

Relativamente alla soglia di applicazione del meccanismo, c’è da sottolineare che l’evento deve provocare conseguenze “gravi” su persone, ambiente o beni materiali (compreso il patrimonio culturale). Il concetto di gravità tuttavia non è definito dalla stessa Decisione. Si deve escludere comunque che costituisca condizione di applicazione della Decisione la natura transfrontaliera delle conseguenze della catastrofe. Tale interpretazione è sconfessata dallo stesso testo dell’art. 14 della Decisione 1313/2013: la norma distingue il caso delle catastrofi con effetti transfrontalieri, per cui il paragrafo 1 stabilisce un obbligo di notifica agli Stati interessati, dalle altre situazioni di catastrofi che possano comportare una richiesta di assistenza, disciplinate dal paragrafo 2. La predetta interpretazione risulterebbe in ogni caso in contrasto con l’oggetto e lo scopo della Decisione, e con le tendenze del diritto internazionale dei disastri. Tuttavia, si potrebbe interpretare

23 Ai sensi della Decisione 2001/792, il CPM trovava letteralmente applicazione “in

caso di emergenza grave, ovvero catastrofi naturali, tecnologiche, radiologiche o ambientali, che si verifichino all’interno o all’esterno della Comunità compreso l’inquinamento marino dovuto a cause accidentali”. Da notare, al di là del minor pregio della definizione da un punto di vista logico-sistematico, l’assenza di un riferimento alle conseguenze di atti di terrorismo. Quanto all’inclusione anche di questi ultimi nel meccanismo comunitario si era peraltro delineato un consenso tra gli Stati membri.

(25)

21

la gravità delle conseguenze, nel senso che le stesse debbano trascendere le capacità di reazione nazionali24.

Ai termini della definizione in esame, le conseguenze gravi possono riguardare alternativamente le persone, l’ambiente o i beni, compreso il patrimonio culturale. In altre parole, come si ricava altresì dall’art. 1, il meccanismo trova applicazione anche in presenza di un evento che colpisca esclusivamente l’ambiente naturale oppure il patrimonio culturale, senza necessariamente minacciare la vita delle persone. Si tratta di una definizione senz’altro ampia, che riflette le tendenze più evolutive in materia25.

Nel corso dell’elaborazione della disciplina relativa allo sviluppo di un sistema europeo di protezione civile si è manifestata una delicata questione: il possibile ruolo dei mezzi e delle capacità militari in tale contesto. Bisogna sottolineare che i sistemi di protezione civile degli Stati membri hanno generalmente, e propriamente, natura civile, e non militare. A livello di Unione europea, il carattere civile del meccanismo di risposta ai disastri costituisce un punto fermo, più volte ribadito26.

24 Nella Comunicazione della Commissione del 2010 “Potenziare la reazione”, cit., si

rilevava che la capacità di reazione alle catastrofi deve interessare “tutti i tipi di catastrofi (cioè sia le catastrofi naturali che quelle causate dall’uomo, diverse dai conflitti armati) che trascendono le capacità di reazione nazionali e comportano la necessità di assistenza dell’Unione europea” (p. 6).

25 Sono generalmente escluse dall’ambito del diritto internazionale dei disastri

(international disaster response law) le situazioni di conflitto armato. Al riguardo anche l’art. 21 del Progetto di articoli sulla Protezione delle persone in caso di disastri, adottato in prima lettura dalla Commissione del diritto internazionale, doc. A/CN.4/L.831, cit.

26 Ancora la Comunicazione della Commissione “Potenziare la reazione”, cit., pp.

(26)

22

In alcuni Stati è comunque previsto l’impiego di mezzi e capacità militari in caso di emergenze, con finalità di supporto delle risorse civili. Di tutto questo se ne è tenuto di conto nella Decisione 1313/2013, che si fonda sul principio per il quale “l’uso, in ultima istanza, di mezzi militari a guida civile può costituire un importante contributo alla risposta alle catastrofi”27. In altre parole, nel contesto

dell’assistenza prestata tramite il meccanismo unionale, l’impiego dei mezzi militari è contemplato quale strumento da utilizzare soltanto in ultima istanza, e comunque sotto direzione civile, ad esempio per il supporto sul piano dei trasporti, logistico e medico28. Sul punto, la

Decisione 1313/2013 si allinea a quanto previsto a livello internazionale negli “Orientamenti di Oslo”, concordati nel quadro dell’Onu e approvati dall’Unione europea29.

Ciò che emerge da una comparazione tra la normativa previgente e il regime risultante dalla Decisione 1313/2013 è l’accresciuta rilevanza della dimensione della prevenzione, cui è dedicato il Capo II della nuova Decisione. Più precisamente, se la prevenzione rimane essenzialmente affidata alle autorità degli Stati membri, viene delineato un quadro europeo di supporto e di, seppur morbido,

dicembre 2010, sull’istituzione di una capacità di risposta rapida dell’Unione europea (2010/2096(INI)).

27 ‘Considerando’ n. 19. 28 Art. 9, par. 5, della Decisione.

29 Orientamenti sull’uso dei mezzi militari e della protezione civile nell’ambito dei soccorsi

internazionali in caso di calamità - “Orientamenti di Oslo” (rilanciati dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari nel novembre 2006).

(27)

23

coordinamento (soprattutto attraverso uno scambio di informazioni), volto a promuovere l’efficacia e la coerenza delle azioni. In particolare, ai sensi dell’art. 5, la Commissione svolge compiti di sostegno e promozione delle attività di valutazione e mappatura dei rischi, e di gestione degli stessi da parte degli Stati membri, mediante la condivisione di buone prassi e facilitando l’accesso alle conoscenze e competenze specifiche su questioni di comune interesse. A sua volta, la Commissione provvede all’elaborazione e all’aggiornamento di una panoramica e una mappatura dei rischi di catastrofi, che possono abbattersi sull’Unione. In base all’art. 6, valutazioni del rischio, a livello nazionale e subnazionale, devono essere effettuate dagli Stati membri, i quali poi successivamente devono approntare una sintesi delle stesse, e metterle a disposizione della Commissione, alla quale inoltre verrà fornita (sempre da parte degli Stati membri) una valutazione su base triennale della rispettiva capacità di gestione del rischio, ancora una volta a livello nazionale e subnazionale30. C’è da sottolineare che tale

valutazione dovrà avvenire sulla base di linee guida comuni, elaborate dalla Commissione di concerto con gli Stati membri, con indicazioni su contenuto, metodologia e struttura delle valutazioni31. È un aspetto

30 La condivisione di informazioni tra gli Stati membri, e tra questi la Commissione,

incontra un limite nel principio di cui all’art. 346 TFUE, per il quale nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia dallo stesso considerata contraria agli interessi della propria sicurezza: Decisione 1313/2013, ‘Considerando’ n. 8 e art. 6, prima frase.

31 Nel luglio 2014 si è tenuto, nel quadro del processo per l’elaborazione delle linee

(28)

24

essenziale, dato che le valutazioni comunque svolte dai singoli Stati risultano spesso di difficile comparazione, alla luce della diversità di metodi e parametri utilizzati. Per migliorare e favorire un approccio coerente ed efficace in materia di prevenzione, la Decisione prevede anche che le Autorità competenti degli Stati membri procedano, su base volontaria, ad un esame inter pares (o peer review) delle valutazioni della capacità di gestione del rischio32. La Decisione 2019/420,

precedentemente citata, ha integrato la norma in esame, prevedendo al paragrafo 2 l’istituzione di specifici meccanismi di consultazione, da parte della Commissione, di concerto con gli Stati membri, per migliorare opportunatamente la pianificazione ed il coordinamento della prevenzione e della preparazione. Inoltre, qualora uno Stato membro richieda di frequente lo stesso tipo di assistenza tramite il meccanismo unionale per lo stesso tipo di catastrofe, la Commissione, in seguito ad una analisi dei motivi che hanno portato all’attivazione del meccanismo, può richiedere a tale Stato di fornire informazioni aggiuntive sulla prevenzione e sulla preparazione, oppure proporre la mobilitazione di una squadra di esperti sul posto per fornire consulenza

partecipanti al meccanismo unionale, organizzato dalla Protezione Civile italiana, insieme alla Commissione e nell’ambito del semestre di Presidenza italiana. Ad ogni Stato partecipante, era stato precedentemente richiesto di compilare un questionario relativo alle metodologie, strumenti e organizzazione del rispettivo sistema di protezione civile (fonte: http://www.protezionecivile.gov.it).

(29)

25

in merito, ovvero formulare delle raccomandazioni per rafforzare il livello di preparazione e prevenzione33.

In primo luogo, relativamente alla preparazione34 ai disastri, la

Decisione 1313/2013 ha previsto l’istituzione di un nuovo “Centro di coordinamento della risposta alle emergenze” (ERCC, Emergency Response Coordination Centre), che ha preso il posto del MIC. È situato a Bruxelles ed è gestito dalla Commissione35, diventando il cuore

operativo del meccanismo unionale di protezione civile. La struttura garantisce una capacità operativa 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 (analogamente al MIC, ma adesso con l’effettiva continuativa presenza di personale), ed agisce in stretto collegamento con punti di contatto nazionali ,che gli Stati membri devono designare e rendere parimenti disponibili 24 ore su 24, 7 giorni su 736.

L’ERCC opera raccogliendo, analizzando e diffondendo informazioni agli Stati partecipanti, e più in generale ai soggetti interessati, sia nel contesto di situazioni d’emergenza che in via ordinaria. Trova collocazione in questo quadro la diffusione di messaggi di allerta rapida riguardo a disastri naturali, e la pubblicazione di continui aggiornamenti relativi alle emergenze in corso e agli interventi

33 Decisione 1313/2013, art. 6, par. 4.

34 Definita all’art. 2 della Decisione 1313 come lo “stato di prontezza e capacità di

mezzi umani e materiali, strutture, comunità e organizzazioni ottenuto da un’attività condotta in anticipo, in virtù del quale è possibile garantire una risposta rapida ed efficace a una catastrofe”.

35 Decisione 1313/2013 art. 7.

(30)

26

del meccanismo unionale. L’attività dell’ERCC è così un elemento centrale per il raccordo delle comunicazioni tra gli Stati partecipanti, e tra essi e la Commissione.

In secondo luogo, un ulteriore elemento essenziale del meccanismo unionale è costituito dal Sistema comune di comunicazione e informazione in caso di emergenza (CECIS). Trattasi di una piattaforma informatica, gestita dall’ERCC, che permette un dialogo efficace ed immediato tra lo stesso Centro di coordinamento e i punti di contatto degli Stati membri, garantendo uno scambio di informazioni autenticate in via riservata37. Attraverso questo sistema sono generalmente

trasmesse le richieste di assistenza dello stato vittima di una catastrofe, così come le offerte di assistenza da parte degli altri Stati. In altri termini, nel sistema sono inserite tutte le informazioni rilevanti riguardo alla gestione di una data emergenza.

Veniamo adesso alle azioni di preparazione degli Stati membri. Questi ultimi “si adoperano, su base volontaria, per costituire i moduli”, come delineato all’art. 9, par. 1. I moduli da tempo costituiscono gli strumenti chiave per la realizzazione delle operazioni europee di protezione civile. Il modulo consiste in un insieme di mezzi specializzati degli Stati membri (equipaggiamento e personale), predefinito in ordine allo svolgimento di specifici compiti (ad es. depurazione idrica, posto medico avanzato con unità chirurgica, evacuazione sanitaria delle

(31)

27

vittime di una catastrofe con mezzi aerei)38. Ciascun modulo deve essere

pronto per l’invio sul luogo dell’emergenza in tempi molto brevi (entro 12 ore dalla richiesta), ed essere in grado di operare in modo autosufficiente ed autonomo per un determinato periodo di tempo (di solito almeno 96 ore)39, nonché essere interoperabile con altri moduli.

Inoltre è possibile la costituzione, per mezzo delle risorse di uno o più Stati membri, di “squadre di supporto e assistenza tecnica” (TAST, Technical Assistance Support Team), le quali vengono impiegate per fornire assistenza tecnica e supporto ai moduli di protezione civile, o altre unità, in materia di gestione amministrativa, di telecomunicazioni, di sussistenza e di trasporto in loco.

Sempre ai sensi dell’art. 9 della Decisione 1313/2013, gli Stati membri individuano in anticipo, su base volontaria, gli esperti che potrebbero essere impiegati in missioni europee.

Articolati requisiti di capacità, operatività e autosufficienza dei moduli, nonché requisiti che devono essere rispettati dagli esperti e dalle squadre di supporto e assistenza tecnica, vengono prescritti dalla Decisione 2014/762.

38 Secondo la definizione dell’art. 4 della Decisione 1313/2013 “un insieme

autosufficiente e autonomo di mezzi degli Stati membri predefinito in base ai compiti e alle necessità, o una squadra mobile operativa degli Stati membri costituita da un insieme di mezzi umani e materiali, che si può definire in termini di capacità di intervento o di compiti che è in grado di svolgere”. L’allegato II alla Decisione di esecuzione individua 17 tipologie di moduli.

(32)

28

Individuati gli esperti, i moduli e gli altri mezzi di risposta che gli Stati membri intendono mettere a disposizione tramite il meccanismo unionale, questi sono registrati nella banca dati del CECIS40.

Significative sono le attività svolte dall’Unione europea per promuovere la formazione del personale della protezione civile degli Stati partecipanti al meccanismo unionale e lo svolgimento di esercitazioni congiunte. Per quanto riguarda il primo profilo, la Commissione è responsabile del coordinamento e dell’organizzazione di un programma di formazione per gli interventi di prevenzione, preparazione e risposta, che comprende corsi di formazione generali e specifici, e un sistema di scambio di esperti (che coinvolge ogni anno più di 100 persone)41. Quanto al secondo aspetto, la Commissione

appronta e gestisce un programma di esercitazioni di protezione civile, che si inserisce in un quadro strategico elaborato in collaborazione con gli Stati membri42. Sono entrambi azioni essenziali per il perseguimento

di una formazione pratica degli operatori, i quali dovranno operare in un contesto internazionale, e per il miglioramento dell’interoperabilità delle risorse da impiegare per gli interventi europei.

40 Art. 10 della Decisione di esecuzione.

41 Art. 13 della Decisione 1313/2013 e Capitolo 8 della Decisione di esecuzione. 42 Art. 13 della Decisione 1313/2013 e Capitolo 9 della Decisione di esecuzione.

(33)

29

4. Il Pool europeo di protezione civile.

Abbiamo visto nei paragrafi precedenti che il CPM, il previgente meccanismo di protezione civile, una volta pervenuta la richiesta da parte dello Stato vittima, si attivava per facilitare gli interventi di assistenza, realizzati sulla base di offerte ad hoc degli altri Stati partecipanti, fatte di volta in volta e spontaneamente. Questo comportava e ha infatti determinato una serie di azioni con un certo grado di improvvisazione, mancando forme di preventiva organizzazione della risposta europea.

Così, allo scopo di migliorare la pianificazione delle operazioni di risposta alle catastrofi, e di assicurare la disponibilità dei mezzi di soccorso essenziali, il nuovo meccanismo unionale ha previsto lo sviluppo di una Capacità europea di risposta emergenziale (EERC, European Emergency Response Capacity). Trattasi di un pool di mezzi impegnati in via preventiva, e su base volontaria, dagli Stati membri e posti in stato di pronta disposizione (stand-by), in vista del loro utilizzo per operazioni di risposta alle catastrofi43. In particolare, l’EERC

comprende moduli, squadre di supporto e assistenza tecnica, altri mezzi di risposta ed esperti. A seguito della Decisione 2019/420, è mutata la denominazione di questo strumento in “Pool europeo di protezione civile”, al fine di tenere conto del nuovo quadro legale in forza della

(34)

30

suddetta Decisione44. Inoltre, al paragrafo 1 bis del nuovo articolo 11, si

precisa che l’assistenza fornita da uno Stato membro tramite il Pool è complementare alle risorse esistenti nello Stato membro richiedente.

La Commissione, in base al paragrafo 2 dell’art. 11 della Decisione 1313/2013, sulla scorta dei rischi individuati, dell’insieme delle risorse e delle carenze, definisce e rivede regolarmente gli obiettivi del dispositivo, stabilendo le tipologie e il numero dei mezzi che occorre risultino disponibili per la mobilitazione, allo scopo di assicurare una risposta adeguata. Questo anche a seguito delle valutazioni del rischio nazionali o di altre fonti d’informazione, persino internazionali. Ai fini dell’avviamento dell’ex EERC, tali obiettivi sono stati definiti dall’Allegato IV alla Decisione 2014/762 di esecuzione.

Attraverso una procedura di certificazione e registrazione (disciplinata dalla Decisione 2014/762 di esecuzione), a cura della Commissione, i mezzi identificati dagli Stati membri vengono messi a disposizione del Pool. In ogni caso la Commissione, prima di procedere alla registrazione di un modulo, esperto o altro mezzo, ne deve certificare l’idoneità ad essere impiegato nel quadro dell’ex EERC, sulla base di requisiti di qualità ed interoperabilità e di altri fattori45.

44 ‘Considerando’ n. 11 Decisione 2019/420.

45 I requisiti di qualità sono stabiliti dalla Commissione, sulla base di criteri

internazionali riconosciuti, ove esistano (art. 11, par. 3). Ai sensi dell’art. 16, par. 4 della Decisione di esecuzione, la Commissione “valuta se il modulo, la squadra di supporto e assistenza tecnica, l’altro mezzo di risposta o l’esperto in questione siano idonei a essere inseriti nell’EERC e comunica quanto prima le proprie conclusioni allo Stato membro interessato. In questa valutazione la Commissione soppesa in particolare il rispetto dei requisiti di qualità, degli obiettivi di capacità, la completezza

(35)

31

Il processo che ha portato all’adozione della Decisione 1313/2013 è stato oggetto di una questione fortemente dibattuta, relativa alla determinazione del livello di impegno richiesto agli Stati membri circa l’offerta di mezzi nazionali al Pool, nonché al loro impiego una volta registrati. La disciplina finale resta informata ad un principio volontaristico, nel senso che, come preteso da alcuni Stati membri, ogni Stato membro conserva la responsabilità quanto all’impiego dei propri mezzi di protezione civile46.

La Decisione ripete più volte che l’identificazione dei mezzi da impegnare nel quadro del Pool europeo di protezione civile avviene “su base volontaria”. In altre parole, gli Stati membri non sembrano avere un definito obbligo in materia. Vi è tuttavia la possibilità, prevista sempre alla Decisione 1313/2013, di una assistenza finanziaria a beneficio degli Stati membri, volta a coprire i costi non ricorrenti necessari all’adattamento dei moduli o altri mezzi di risposta nazionali, identificati per la partecipazione al pool volontario, alle condizioni di

delle informazioni fornite, la prossimità geografica e la partecipazione di tutti gli Stati membri, così come altri fattori pertinenti precedentemente individuati e applicabili a tutti i moduli, squadre di supporto e assistenza tecnica, altri mezzi di risposta o esperti paragonabili”.

46 Come ad esempio la presa di posizione del governo del Regno Unito, posizione

espressa nell’Explanatory Memorandum del 15 novembre 2010. Tale posizione è largamente condivisa dagli enti regionali e locali, come dimostra il Parere del Comitato delle Regioni “Potenziare la reazione europea alle catastrofi”, in GUUE C 192, del 1° luglio 2011, p. 15 e ss., nel quale si rileva che “la protezione civile è in primo luogo compito degli Stati membri nonché dei livelli di governo regionale e locale, le cui competenze non devono essere violate” (par. 33), e si esprime soddisfazione per l’abbandono dell’idea di una Forza europea di protezione civile (par. 34).

(36)

32

prontezza e disponibilità occorrenti in vista del loro impiego nell’ambito dell’ex EERC47.

Per quanto riguarda l’utilizzo dei mezzi già registrati, l’art. 11, par. 7, della Decisione 1313/2013 se, da una parte, prevede che “i mezzi di risposta che gli Stati membri mettono a disposizione dell’EERC sono a disposizione delle operazioni di risposta nell’ambito del meccanismo unionale previa richiesta di assistenza inoltrata tramite l’ERCC”, dall’altra parte, ha cura di precisare che “la decisione finale sulla loro mobilitazione è presa dagli Stati membri che hanno registrato i mezzi”. La norma provvede ad articolare in particolare le situazioni in cui gli Stati membri possono negare l’impiego, stabilendo che “qualora emergenze nazionali, cause di forza maggiore o, in casi eccezionali, altri motivi gravi impediscano a uno Stato membro di mettere a disposizione tali mezzi di risposta per una specifica catastrofe, tale Stato membro ne informa quanto prima la Commissione con riferimento al presente articolo”. Prendendo ad esempio l’Italia, norme per consentire e regolare la partecipazione italiana alla Capacità europea sono previste nel disegno di legge recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea-

47 Art. 21, par. 2, lett. c), della Decisione 1313/2013. I finanziamenti possono coprire:

il 75% dei costi ammissibili in caso di adattamento, così come definiti dalla disposizione, a condizione di non superare il 50% del costo medio di sviluppo del mezzo; il 75% dei costi ammissibili in caso di riparazione. All’art. 12 della Decisione di esecuzione sono previste le modalità di finanziamento dei costi di adattamento, il quale avviene sulla base di un piano presentato riguardo a ogni modulo o mezzo, e senza bisogno della pubblicazione di bando.

(37)

33

Legge europea 2014”, presentato alla Camera dei deputati il 19 marzo 2015 (A.C. 2977) e da questa approvato il 10 giugno 2015. Il relativo par. 1 autorizza l’impiego di moduli, di mezzi, di attrezzature e di esperti qualificati, all’uopo specificamente formati, ai fini di concorrere al funzionamento della Capacità europea48.

Sempre nel contesto della procedura di adozione della normativa europea, una questione molto dibattuta ha riguardato le modalità e le procedure da utilizzare per colmare eventuali carenze nei mezzi di risposta a disposizione Pool europeo e, soprattutto, la possibilità per l’Unione europea di dotarsi di propri mezzi di protezione civile. Lo sviluppo di mezzi integrativi a livello dell’UE, cui è fatto cenno nella Comunicazione della Commissione del 201049, ha

48 Ai sensi del paragrafo 2 della disposizione, “a seguito di richiesta di assistenza

inoltrata tramite il Centro di coordinamento europeo della risposta alle emergenze (ERCC), il Capo del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, valutata l’assenza di elementi ostativi di cui al paragrafo 7 dell’art. 11 della Decisione n. 1313/2013/UE e ferma restando la possibilità di ritirare tali mezzi nel caso in cui ricorrano i gravi motivi di cui al paragrafo 8 del medesimo articolo, è autorizzato ad attivare e coordinare le risorse di cui al comma 1 del presente articolo, previa informativa al Presidente del Consiglio dei Ministri”. Infine il par. 3 autorizza il Dipartimento della Protezione Civile “a intraprendere ogni utile iniziativa finalizzata ad attivare le misure rientranti nell’EERC anche stipulando appositi accordi e convenzioni con amministrazioni e organizzazioni, avvalendosi anche delle risorse finanziarie previste dalla decisione n. 1313/2013/UE”. Al Capo del Dipartimento di Protezione Civile sono così attribuiti i poteri decisionali relativi alla partecipazione dell’Italia al meccanismo europeo. Nella relazione introduttiva al Disegno di legge viene precisato che le risorse impegnate “rimangono comunque e sempre a disposizione per le necessità nazionali, che anche nel disegno europeo mantengono la priorità”.

49 Comunicazione della Commissione “Potenziare la reazione”, cit., p. 9 (la

(38)

34

riscontrato resistenze da parte di alcuni Stati membri, preoccupati per gli oneri finanziari che avrebbe potuto determinare, e per il fatto che tale strumento potesse scoraggiare alcuni Stati ad investire nello sviluppo di mezzi nazionali. In merito alla questione la Decisione 1313/2013 segna un passo indietro anche rispetto alla proposta della Commissione, la quale aveva tenuto di conto, seppure in via ipotetica e qualora ciò si fosse rivelato economicamente più vantaggioso, il possibile sviluppo di “mezzi di risposta a livello dell’Unione, che possano costituire una riserva comune per affrontare rischi condivisi”. Il testo definitivo non contempla tale possibilità, imperniando le azioni di risposta sui mezzi nazionali. In ogni caso, è stata prevista una complessa procedura, gestita dalla Commissione in collaborazione con gli Stati membri, al fine di individuare eventuali insufficienze nelle risorse del Pool e degli Stati membri.

Nel caso in cui si evidenziassero “carenze strategiche” in termini di mezzi di risposta da tale procedura, la Decisione prevede che la Commissione incoraggi gli Stati membri a colmare tali lacune, a titolo individuale o tramite un consorzio di Stati, e che l’Unione possa sostenere tali attività mediante contributi finanziari. Nello specifico, l’art. 21 lett. j), della Decisione 1313/2013 stabiliva che lo sviluppo di nuovi mezzi di risposta potesse essere cofinanziato dall’UE, alle condizioni ivi previste, fino ad un massimo del 20% dei costi

eventuali carenze nella capacità di risposta della protezione civile dei vari Stati membri cui si potrebbe ovviare con mezzi integrativi finanziati dall’Unione europea”).

(39)

35

ammissibili50. È rilevante evidenziare che la destinazione del

cofinanziamento risultava condizionata alla successiva messa a disposizione nel quadro dell’ex EERC e che, ove opportuno, la preferenza era accordata a consorzi di Stati membri che cooperassero tra di loro.

L’art. 21 è stato tuttavia modificato dalla Decisione 2019/420. La lettera j) adesso si riferisce alle azioni di prevenzione e preparazione volte a “istituire, gestire e mantenere le risorse di RescEU conformemente all’art. 12”. Il RescEU è un’altra novità della Decisione 2019/420. Si tratta di una riserva europea di capacità di protezione, di cui fanno parte ad esempio gli aerei da utilizzare contro gli incendi boschivi, i sistemi speciali di pompaggio, e le squadre di ricerca e soccorso in ambiente urbano. Serve dunque a fornire assistenza in situazioni particolarmente pressanti in cui l’insieme delle risorse esistenti a livello nazionale, nonché i mezzi già impegnati dagli Stati membri nel Pool europeo di protezione civile, non siano in grado di garantire una risposta efficace51. La disciplina è prevista all’interno del

nuovo articolo 12, che va a sostituire completamente la previgente norma, volta a “colmare le carenze in termini di mezzi di risposta”. La nuova assistenza finanziaria per l’azione di cui al paragrafo 1, lettera j) viene assicurata dalla Commissione che corrisponda ad almeno l’80%, ma non oltre il 90%, del costo totale stimato necessario per garantire la

50 Nonché gli artt. 22-23 della Decisione di esecuzione. 51 Art. 12 par. 1, come modificato dalla Decisione 2019/420.

(40)

36

disponibilità e la possibilità di mobilitare delle risorse di RescEU nell’ambito del meccanismo unionale52.

La Decisione 1313/2013 e la relativa Decisione di esecuzione prevedono inoltre che piccoli importi del cofinanziamento dell’Unione siano destinati (tramite contratti quadro, convenzioni quadro di partenariato o accordi simili) a sostenere la disponibilità di mezzi tampone, al fine di rimediare a carenze temporanee di espedienti, in caso di catastrofi eccezionali o di concomitanza eccezionale di catastrofi. In particolare, dopo aver fissato il numero e il tipo di mezzi tampone nel programma di lavoro annuale, la Commissione lancia le procedure per il cofinanziamento di tali mezzi, il quale può coprire fino al 40% dei costi. Gli Stati beneficiari del cofinanziamento mettono a disposizione nel contesto del pool volontario i mezzi tampone, che non solo possono essere impiegati nel meccanismo unionale alle stesse condizioni degli altri mezzi registrati nell’ex EERC, ma sono altresì disponibili per essere utilizzati in ambito nazionale dagli Stati membri che ne cofinanziano la disponibilità. Tuttavia, a norma dell’art. 25, per. 9, della Decisione di esecuzione (2014/762), “prima di impiegarli in ambito nazionale, gli Stati membri consultano l’ERCC per avere conferma che: i) non si verifichi o incomba in contemporanea una catastrofe eccezionale che potrebbe dare origine a una richiesta di mobilitazione dei mezzi tampone; ii) l’impiego in ambito nazionale non

(41)

37

ostacoli indebitamente il rapido accesso di altri Stati membri in caso di nuove catastrofi eccezionali”.

In conclusione, se la Decisione 1313/2013 non tiene conto dello sviluppo di veri e propri mezzi di risposta dell’UE, essa prevede che attraverso forme di cofinanziamento l’Unione stessa possa intervenire per colmare le lacune strategiche nel quadro dei mezzi a disposizione del Pool europeo di protezione civile e degli Stati membri, e per favorire lo sviluppo di mezzi tampone diretti a far fronte ad emergenze eccezionali.

5. I meccanismi di risposta in caso di catastrofi all’interno dell’Unione.

La risposta alle catastrofi viene trattata all’interno del Capo IV della Decisione 1313/2013. L’art. 14 prescrive un obbligo di notifica a carico dello Stato membro in cui si verifichi, o risulti imminente, una catastrofe che possa provocare effetti transfrontalieri o colpire altri Stati membri53. Lo Stato in questione è tenuto a informare immediatamente

gli Stati che rischiano di essere coinvolti e, qualora gli effetti siano

53 Il comma 2 dell’art. 14, par. 1, precisa che la disposizione non si applica quando

l’obbligo di notifica sia stato assolto ai sensi dell’altra normativa dell’Unione, del Trattato che istituisce la comunità europea dell’energia atomica o ai sensi di accordi internazionali esistenti. Ad esempio, relativamente agli incidenti nucleari, vi sono la Convenzione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA), del 26 giugno 1986, sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare (IAEA Doc. INFCIRC/335), nonché la Decisione della Commissione relativa all’adesione della Comunità europea dell’energia atomica alla Convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare (in GUCE L 314, del 30 novembre 2005, p. 21).

(42)

38

potenzialmente significativi, la Commissione. Un obbligo di immediata notifica alla Commissione da parte dello Stato colpito, o potenzialmente colpito, è inoltre stabilito nel caso in cui ci si possa aspettare una richiesta di assistenza da parte dell’ERCC.

All’art. 15 della Decisione 1313/2013 è disciplinata la procedura relativa alla fornitura di assistenza da parte del meccanismo unionale, più precisamente definita, per ciò che riguarda gli aspetti operativi, all’interno del Capo II della Decisione 2014/762 di esecuzione. Ai sensi dell’art. 15 della Decisione base, “quando si verifica o è imminente una catastrofe all’interno dell’Unione” lo Stato colpito può chiedere assistenza tramite l’ERCC. L’autorità nazionale competente al riguardo (ai sensi dell’ordinamento interno dello Stato interessato) si dovrà occupare della decisione relativa alla richiesta di assistenza, la quale, ai sensi del paragrafo 1 dell’art. 15, come modificato dalla Decisione 2019/420, andrà a scadere dopo un periodo massimo di 90 giorni, a meno che all’ERCC non vengano comunicati nuovi elementi tali da giustificare la necessità di protrarre o integrare l’assistenza. La richiesta poi dovrà essere trasmessa dal punto di contatto nazionale individuato a norma della Decisione 2014/76254. In particolare, la Decisione di

esecuzione prescrive che il richiedente assistenza trasmetta all’ERCC “ogni informazione utile sulla situazione, in particolare sui bisogni specifici, sul sostegno richiesto e sulla localizzazione”, e dia

54 Nel sistema italiano, l’attivazione del meccanismo unionale, tramite una richiesta di

assistenza, spetta al Dipartimento per la Protezione civile, punto di contatto nazionale nel quadro del sistema.

Riferimenti

Documenti correlati

SEZIONE PEROSA E VALLI COMUNE DI POMARETTO. 26

Per riparare i danni economici e sociali immediati causati dalla pandemia, avviare la ripresa e preparare un futuro migliore per la prossima generazione, l’Unione Europea ha deciso

• Atto unico europeo (1986): cooperazione politica europea, modifiche ai trattati istitutivi delle Comunità europee.. • Trattato di Maastricht (1992): Unione europea (UE),

In effetti chi vuole programmare un calcolatore non usa questo linguaggio, ma usa un linguaggio cosiddetto di programmazione, che ha una struttura più vicina

We conducted a study to compare the frequency of 3-(2-deoxy-β-D-erythro-pentafuranosyl)pyrimido[1,2-α] purin-10(3H)-one deoxyguanosine (M 1 dG) and 8-oxo-7,8-dihydro-2 0

Data at finite coupling for the correlators of interest here may also be obtained with lattice field theory methods applied to the string worldsheet, discretizing the Lagrangian of

ACCREDITI STAMPA: La partecipazione all'iniziativa da parte degli operatori dell'informazione (giornalisti, fotografi e operatori) è regolamentata dall'ufficio stampa del

Il trasporto degli animali dal canile di cui sopra alla nuova struttura gestita dall’aggiudicatario, da eseguirsi contestualmente alla decorrenza del presente