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Ruolo della vitamina D nell'insorgenza e nella terapia delle malattie autoimmuni.

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Sommario

Introduzione………..4

1 FISIOLOGIA DELLA VITAMINA D ………..…………5

1.1 Cenni storici relativi alla vitamina D………...5

1.2 Produzione e metabolismo della vitamina D………..…..9

1.2.1 Sistema paratormone-calcitonina-calcitriolo……….……9

1.2.2 Classificazione della vitamina D………11

1.2.3 Produzione ed effetti metabolici……….14

1.2.4 Catabolismo………16

1.3 Regolazione del sistema ormonale D………..17

1.3.1 Trasporto in circolo………17

1.3.2 Captazione nei tubuli renali……….18

1.3.3 Regolazione di 1alfa-idrossilasi renale……….18

1.3.4 Regolazione di 1alfa-idrossilasi extra-renale………..19

2 EFFETTI PATOLOGICI- CARENZIALI DI VITAMINA D……….20

2.1 Definizione dei livelli sierici in caso di carenza e insufficienza………...20

2.2 Fattori che determinano la carenza di vitamina D………..21

2.3 I metodi di dosaggio……….23

2.4 Attività della vitamina D svolte a livello osseo………..24

2.4.1 Formazione del tessuto osteoide…….………25

2.4.2 Rachitismo………28

2.4.3 Osteomalacia……….30

2.4.4 Osteoporosi……….33

2.5 Effetti pleiotropici non classici……….35

3 INTERAZIONE RECETTORIALE………..…36

3.1 Il recettore VDR……….……….…36

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4 VITAMINA D E SISTEMA IMMUNITARIO………..…….….40

4.1 Regolazione della risposta immune………..40

4.2 Vitamina D e immunità innata……….……….………41

4.3 Vitamina D e immunità adattativa………...……….………42

5 VITAMINA D E LE MALATTIE AUTOIMMUNI………..………...46

5.1 Artrite reumatoide………...47

5.1.1 Patogenesi………47

5.1.2 Relazione tra vitamina D e artrite reumatoide………. 49

5.2 Psoriasi………. 53

5.2.1 Patogenesi………53

5.2.2 Relazione tra vitamina D e psoriasi………54

5.3 Lupus eritematoso sistemico……….57

5.3.1 Patogenesi………. 59

5.3.2 Relazione tra vitamina D e Lupus eritematoso sistemico……. 60

5.4 Malattia infiammatorie croniche intestinali………62

5.4.1 Patogenesi Morbo di Crohn…………..……….………63

5.4.2 Relazione tra ipovitaminosi D e Morbo di Crohn…….………64

5.5 Diabete mellito di tipo I……….66

5.5.1 Patogenesi………66

5.5.2 Relazione tra vitamina D e diabete mellito di tipo I………67

6 NUOVE PROSPETTIVE……….71

6.1 Programming e outcome..………71

6.2 Il ruolo del latte materno e del latte vaccino……….72

6.3 Il latte di crescita..……… 73

6.4 Contenuto di vitamina D nel latte umano, nelle formule e negli alimenti...73

6.5 Profilassi con vitamina D………..74

6.6 Indicazioni pratiche alla supplementazione con vitamina D………75

6.7 Effetti collaterali della vitamina D………..76

7 IL CALCIFEDIOLO : preormone,marcatore biochimico e farmaco………77

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3 7.2 Vitamina D e cofattori……….80 CONCLUSIONI………81 BIBLIOGRAFIA………...82

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4 Introduzione

La vitamina D, storicamente definita “vitamina”, è in realtà un ormone in quanto partecipa, unitamente all’ormone paratiroideo ed alla calcitonina alla complessa regolazione omeostatica fosfo-calcio nell’uomo, andando incontro ad un complesso cammino metabolico con sintesi di specifici metaboliti.

Tuttavia recentemente è emerso da numerosi studi il suo ruolo pleiotropico su altri tessuti e altre cellule esprimenti i recettori per la vitamina D (VDR).

Studi epidemiologici e studi clinici randomizzati e controllati hanno dimostrato infatti come l’ipovitaminosi D contribuisca alla morbilità e mortalità di diverse malattie croniche, quali malattie cardiovascolari, neuro-psichiatriche, neoplastiche e infettive.

Recentemente, infatti, la scoperta dei recettori VDR nelle cellule del sistema immunitario e la produzione di 1,25(OH)2D3 (la forma biologicamente attiva della vitamina D) da parte di tali cellule, ha suggerito la possibile azione immuno-modulante e anti-proliferativa e conseguentemente il suo ruolo nello sviluppo e nella prevenzione di alcune malattie autoimmuni quali: artrite reumatoide, morbo di Chron, lupus eritematoso sistemico (LES), sclerosi multipla e diabete mellito di tipo I.

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5

1 FISIOLOGIA DELLA VITAMINA D

1.1 Cenni storici relativi al concetto di vitamina D .

Le prime descrizioni scientifiche di un deficit di vitamina D, evidenziate dalla condizione di rachitismo, risalgono al XVII secolo da parte del Dottor Daniel Whistler (1645) e del professor Francis Glisson (1650).

In quegli stessi anni comparì per la prima volta il termine inglese “rickets“, (rachitismo) per definire una patologia che causa un ritardo nella crescita e deformità scheletriche soprattutto nella parte inferiore delle gambe.

[ De Luca,2014 ]

Figura 1.1 Prima comparsa del termine “ RICKETS “

Un passo importante nella comprensione dei fattori causati dal rachitismo è stato lo sviluppo, nel periodo 1910-30, della nutrizione come scienza sperimentale e la scoperta dell’esistenza delle vitamine.

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6 Fu infatti nel 1919-1920 che Sir Edward Mellanby, lavorando con cani allevati esclusivamente in interni, mise a punto una dieta che gli permise di stabilire inequivocabilmente che il rachitismo era causato da un deficit di una componente presente in tracce nella dieta.

Nel 1921 scrisse : “L’azione dei grassi nel rachitismo è dovuta ad una vitamina o ad un fattore accessorio del cibo che essi contengono, probabilmente identico alla vitamina liposolubile“ .

Inoltre stabilì che l’olio di fegato di merluzzo era un ottimo antirachitico.

[ Mellanby,1919 ].

Poco dopo E.V.McCollum e colleghi osservarono che facendo gorgogliare ossigeno attraverso una preparazione della “vitamina liposolubile” erano in grado di distinguere tra la vitamina A ( che veniva inattivata ) e la vitamina D ( che manteneva l’attività ) .

Nel 1923 Goldblatt e Soames trovarono che quando un precursore della vitamina D a livello della pelle ( 7-deidrocolesterolo ) veniva irradiato con luce solare o luce ultravioletta, veniva prodotta una sostanza equivalente alla vitamina liposolubile.

[ McCollum and Davis, 1913 ]

Hess e Weinstock escissero una piccola porzione di pelle di ratto, irradiata con luce ultravioletta e poi alimentarono con essa un gruppo di ratti affetti da rachitismo. La pelle irradiata fornì una protezione assoluta contro il rachitismo, mentre la pelle non irradiata non fornì alcuna protezione.

Ciò suggerì che essa non era un componente essenziale della dieta, ma che adeguate quantità di “vitamina liposolubile“ erano state prodotte attraverso l’irradiazione UV.

[ Hess and Weinstock, 1924 ].

Proprio a causa del rapido avanzamento della scienza della nutrizione e della scoperta delle famiglie di vitamine idrosolubili e liposolubili, fu stabilito che il fattore antirachitico doveva essere classificato come una vitamina.

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7 Funk per primo ipotizzò l’esistenza di “amine vitali” presenti in alcuni cibi, importanti per la salute e la sopravvivenza , ma non riuscì a dimostrare direttamente la loro esistenza.

[ Funk ,1911 ].

Più tardi McCollum e collaboratori scoprirono l’esistenza di un fattore liposolubile contenuto nell’olio di fegato di merluzzo capace di prevenire la xeroftalmia e di un fattore idrosolubile in grado di curare il Beri Beri.

Mc Collum riprendendo l’idea visionaria di Funk chiamò queste sostanze vitamine A e B rispettivamente.

Poco più tardi venne scoperto un altro fattore idrosolubile, in grado di prevenire lo scorbuto, che fu quindi chiamato vitamina C.

[ McCollum et al, 1916 ].

La struttura chimica delle varie forme di vitamina D fu determinata nel 1930 nel laboratorio del professor Adolf Otto Reinhold Windaus che ricevette il Premio Nobel per la Chimica nel 1928 per il suo lavoro sugli steroli e la loro relazione con le vitamine.

La vitamina D2, che fu prodotta mediante irradiazione ultravioletta dell’ergosterolo, fu caratterizzata chimicamente nel 1932.

La vitamina D3 non fu caratterizzata chimicamente fino al 1936, quando fu dimostrato che derivava dall’irradiazione ultravioletta del 7-deidrocolesterolo.

[ McCollum et al, 1922 ]

In quegli stessi anni la componente antirachitica dell’olio di fegato di merluzzo fu dimostrata essere identica alla vitamina D3 appena caratterizzata.

Questi risultati stabilirono chiaramente che la sostanza antirachitica denominata vitamina D era chimicamente uno steroide, più precisamente un secosteroide.

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8

.

Figura 1.2 Uso dell’olio di fegato di merluzzo

Nello stesso periodo altri ricercatori dimostrarono che era possibile curare bambini affetti da rachitismo esponendoli alla luce solare a raggi UV artificiali.

[ Hess and Weinstock ,1924 ]

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1.2 Produzione e metabolismo della vitamina D

1.2.1 Sistema paratormone – calcitonina - calcitriolo

I livelli plasmatici di calcio sono controllati da un sistema omeostatico costituito principalmente da due ormoni :

- Il paratormone che espleta un’azione ipercalcemizzante - La calcitonina che ricopre i ruolo opposto

Il paratormone (PTH) è un ormone di natura peptidica secreto dalle paratiroidi, ed insieme alla calcitonina, è adibito all’omeostasi degli ioni calcio e fosforo. Questi due minerali, oltre ad essere i principali costituenti delle ossa e dei denti, permettono la contrazione muscolare, la trasmissione degli impulsi nervosi, la coagulazione del sangue e il normale svolgimento di numerose reazioni metaboliche.

È quindi fondamentale che la loro concentrazione rimanga relativamente costante durante tutto l’arco della giornata.

Nell’omeostasi del calcio interviene anche l’1,25-(OH)2-colecalciferolo o calcitriolo, che rappresenta la forma attiva della vitamina D.

Il paratormone è un ormone ipercalcemizzante che agisce a tre livelli :

-aumentando il riassorbimento renale di Ca2+ -aumentando l’eliminazione renale di fosforo

-stimolando la formazione della vitamina D3 dalla D2 nel rene -aumentando la degradazione ossea

-aumentando l’assorbimento intestinale di calcio

La diminuzione della calcemia rappresenta un forte stimolo alla secrezione di paratormone e parallelamente, inibisce il rilascio del suo antagonista, la calcitonina.

Allo stesso modo, non appena la concentrazione di calcio nel sangue supera i valori normali, la secrezione di paratormone viene inibita.

A livello delle ossa il paratormone stimola la mobilizzazione del calcio per vie dirette ed indirette.

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10 Nel primo caso interviene, modulando positivamente l’attività degli osteoclasti e poichè il tessuto osseo è ricco di ioni calcio, il suo catabolismo favorisce l’aumento della calcemia.

A livello renale il paratormone aumenta l’escrezione di ioni fosfato con le urine, diminuendo la concentrazione del minerale nel sangue.

Per riequilibrare la situazione l’organismo richiama fosfato dalle ossa, nelle quali è depositato sottoforma di idrossiapatite.

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11 1.2.2 Classificazione della vitamina D

La vitamina D è un gruppo costituito da cinque diverse vitamine: D1,D2,D3,D4 e D5.

Le due forme più importanti nelle quali la vitamina D si può trovare sono la vitamina D2 (ergocalciferolo) e la vitamina D3 (colecalciferolo), con attività biologica molto simile.

Il colecalciferolo (D3), derivante dal colesterolo, è sintetizzato negli organismi animali, mentre l’ergocalciferolo (D2) è di provenienza vegetale, derivante dall’ergosterolo.

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12 La vitamina D è essenziale per il mantenimento dell’omeostasi del calcio e del fosfato.

La forma metabolicamente attiva è l’1,25-(OH)2-colecalciferolo che agisce favorendo :

- L’assorbimento del calcio e del fosfato a livello intestinale; - Il riassorbimento del calcio nel tubulo contorto prossimale; - La deposizione del calcio a livello del tessuto osseo;

- La modulazione della funzione delle paratiroidi.

L’azione della vitamina D tende ad elevare i livelli ematici di calcio tramite l’aumento del suo riassorbimento renale e l’aumento dell’assorbimento intestinale, in conseguenza di ciò si avrà una corretta mineralizzazione dell’osso ed un normale accrescimento corporeo.

L’1,25-(OH)2-colecalciferolo viene così trasportato dal flusso sanguigno ai tessuti bersaglio quali l’intestino e il tessuto osseo dove legandosi al proprio recettore (VDR), insieme all’ormone paratiroideo, modula la trascrizione dell’mRNA che permette la sintesi delle proteine (calbindine) deputate all’assorbimento del calcio intestinale.

Infatti il legame della vitamina D induce cambio conformazionale ed attivazione del “recettore per la vitamina D“ che quindi trasloca nel nucleo dove si lega a specifiche sequenze del promotore.

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13 1.2.3 Produzione ed effetti metabolici

Figura 1.5 Fotoproduzione, metabolismo della vitamina D e dei vari effetti biologici del metabolita attivo 1,25(OH)2D3 sul metabolismo di calcio, fosforo e sull’osso.

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14 La vitamina D3 è prodotta dalla pelle per l’esposizione alle radiazioni UVB con lunghezza d’onda tra 290 e 315 nm.

Le radiazioni UVB convertono il 7-deidrocolesterolo a pre-vitamina D, che alla temperatura corporea isomerizza a vitamina D3 ( o colecalciferolo).

Come già osservato, in misura minore, la vitamina D deriva dall’assunzione degli alimenti, nei quali si trova sotto forma di vitamina D2, in seguito all'esposizione ai raggi UVB dell'ergosterolo dei lieviti e delle piante.

La sintesi cutanea è influenzata da: pigmentazione cutanea, latitudine e altitudine, stagionalità, inquinamento atmosferico, percentuale di superficie cutanea esposta, tipologia di indumenti e utilizzo di creme solari.

I bambini sono favoriti per il rapporto superficie cutanea/volume del corpo, oltre ad una maggiore capacità di sintesi.

La vitamina D sia D2 che D3 viene convertita, a livello epatico, dalla vitamina D-25 idrossilasi (D-25-OHase / CYP2R1) in D-25-idrossivitamina D (D-25(OH)D3) o calcifediolo, forma ancora inattiva, la cui produzione è regolata tramite un sistema a feedback.

La 25(OH) D3 è veicolata in circolo dalla proteina legante la vitamina D (DBP) e la sua trasformazione in 1,25 (OH)2 D3 avviene tramite l’enzima 1 alfa-idrossilasi (CYP27B1 / 1- OHase) che opera l’idrossilazione.

La produzione renale suddetta è strettamente regolata da livelli plasmatici di PTH, calcio e fosforo e la sua concentrazione svolge azioni endocrine sistemiche come la regolazione del metabolismo osseo, l’aumento del riassorbimento renale del calcio, il trasporto intestinale del calcio, la regolazione della pressione sanguigna e la secrezione di insulina.

[ Antico et al, 2010 ].

Le due idrossilazioni consecutive sono catalizzate da specifiche isoforme del citocromo P450.

La prima in posizione 25, porta alla formazione del pro-ormone 25-idrossivitamina D che per le sue proprietà relative alla solubilità e al legame alla DBP, riflette meglio lo stato della vitamina D.

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15 La seconda idrossilazione è responsabile della sintesi del metabolita biologicamente attivo, il quale ha più elevata affinità per il VDR nucleare rispetto a qualsiasi altro metabolita della vitamina D.

Poiché la 25-idrossilazione rappresenta una tappa non limitante della vitamina D, se non in presenza di una grave insufficienza epatica, nella maggior parte degli individui la regolazione della sintesi renale di 1,25-diidrossivitamina D svolge un ruolo chiave nel mantenimento dell’omeostasi del calcio e del fosfato.

[ Bendik et al, 2014 ].

La 1,25 (OH)2 D3 è riconosciuta dal suo recettore nell’osteoblasto e ciò determina un aumento dell’espressione dell’attivatore del recettore del ligando del fattore nucleare kB (RANKL).

Quest’ultimo lega il RANK presente sui preosteoclasti, inducendo la maturazione del preosteoclasto in osteoclasto maturo, che rimuove il calcio e il fosforo dall’osso, mantenendo i livelli necessari di calcio e fosforo a livello ematico.

[ Holick, 2007 ].

Inoltre altri tipi di cellule possiedono il corredo enzimatico per produrre l’ormone attivo in loco : la 1,25 ( OH ) 2 D3 extrarenale sembra agire in primo luogo come fattore autocrino/paracrino con specifiche funzioni cellulari come l’inibizione della proliferazione, la promozione della differenziazione e la regolazione della risposta immune.

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16 1.2.4 Catabolismo

La 1,25 ( OH )2 D3 inibisce l’azione 1-OHase renale e stimola l’espressione renale della 25 ( OH ) D3 -24-idrossilasi ( 24-OHase).

L’induzione della 24-OHase ( CYP24A1 ) catabolizza la 1,25 (OH)2 D3 in acido calcitroico biologicamente inattivo e solubile in acqua.

[ Holick, 2006 ].

La 1,25(OH)2D3 è un induttore molto forte dell’espressione di 24 alfa-idrossilasi, attraverso la presenza di due sequenze di elementi che rispondono alla vitamina D (VDRE) nel promoter di questo gene, così da indurre il suo stesso catabolismo. Questo feed-back negativo serve come controllo interno per evitare eccessivi livelli di 1,25(OH)2D3.

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17 1.3 Regolazione del sistema ormonale D.

Il sistema ormonale D è modulato da meccanismi intrinseci che ne regolano l’attività e l’efficacia a livello sia del metabolismo osseo, sia delle molteplici funzioni tissutali.

La prima regolazione avviene attraverso lo stretto controllo della concentrazione in circolo di 1,25(OH)2D3, la cui produzione è modulata in relazione al fabbisogno di calcio ed altri ormoni dell’organismo ed è inibita dallo stesso composto attivo.

Gli altri fattori regolatori sono: - Trasporto in circolo - Captazione renale

- Regolazione di 1alfa-idrossilasi renale - Regolazione di 1alfa-idrossilasi extra-renale

[ Antico et al, 2010 ].

1.3.1 Trasporto in circolo

La 25(OH)D3 si lega alla proteina di trasporto DBP, i cui livelli plasmatici condizionano la farmacocinetica del metabolita, in quanto il composto legato è meno suscettibile al metabolismo epatico con conseguente aumento della sua emivita in circolo.

La concentrazione di DBP si riduce in corso di malattia epatica, sindrome nefrosica e malnutrizione, mentre aumenta in caso di gravidanza e in corso di terapia estrogenica.

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18 1.3.2 Captazione nei tubuli renali

La 25(OH)D3 legata a DBD viene trasportata attivamente all’interno delle cellule dell’orletto a spazzola del tubo prossimale renale, che contengono 1alfa-idrossilasi, attraverso un processo endocitosi-mediato, riassorbendo così il complesso 25( OH)D3 –DBP filtrato dal rene .

DBP è degradato nei lisosomi e 25(OH)D3 viene veicolata all’alfa1-idrossilasi, oppure in base alla concentrazione dell’ormone attivo, ritorna in circolo dove si lega di nuovo a DBP .

1.3.3 Regolazione di alfa1-idrossilasi renale.

L’attività di alfa1-idrossilasi è fortemente regolata dall’asse PTH-Ca- P.

Il calcio introdotto con la dieta regola l’enzima direttamente, attraverso variazioni del calcio sierico o per azione sulle cellule dei tubuli prossimali, e indirettamente alterando i livelli di PTH.

L’ipocalcemia, infatti, aumenta i livelli dell’ormone circolante che è in grado di stimolare l’alfa1-idrossilasi.

Sono regolatori positivi di alfa1-idrossilasi, la calcitonina, l’ormone somatotropo, la somatomedina e anche la restrizione dietetica del fosfato (indipendentemente dalla concentrazione del calcio e PTH) .

Quest’ultima si ottiene attraverso l’azione delle fosfatonine, fosfoglicoproteine della matrice extracellulare, che sono in grado di agire come mediatori della regolazione del fosfato sull’attività dell’enzima e/o sul gene che lo controlla. L’1,25 (OH)2D3 limita, con meccanismo a feedback negativo, i suoi stessi livelli

circolanti attraverso l’inibizione dell’induzione PTH-mediata dell’attività del gene promotore.

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19 1.3.4 Regolazione di alfa1-idrossilasi extra-renale.

La regolazione di 1alfa-idrossilazione che si trova nei siti extrarenali è molto diversa da quella dell’enzima renale ed è in linea con le funzioni autocrine/ paracrine svolte da 1,25(OH)2D3 prodotto localmente, sebbene il gene che controlla l’attività e l’espressione sia identico.

Sintesi e catabolismo sono sotto controllo di fattori locali, citochine e fattori di crescita che ottimizzano i livelli di calcitriolo per specifiche azioni cellulari . In particolare nei macrofagi, l’espressione di 1alfa-idrossilasi è stimolata da segnali immunologici mediati da interferone Y (IFNy), lipopolisaccaridi e infezioni virali.

Nelle cellule denditriche (DC) l’espressione di alfa1-idrossilasi è associata con la maturazione p38-MAPK- e NFkB-dipendente delle stesse cellule.

Anche le cellule T esprimono enzimi responsabili della produzione di calcitriolo. La produzione locale di calcitriolo dipende dai livelli dei precursori circolanti e ciò potenzialmente spiega l’associazione tra deficit di vit D e le malattie autoimmuni e/o neoplasie, che non essendo soggetta a un feedback negativo mediato da 1,25(OH)2D3 (come avviene per l’enzima renale), non aumenta la concentrazione di ormone attivo circolante.

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2 EFFETTI PATOLOGICI- CARENZIALI DELLA VITAMINA D

2.1 Definizione dei livelli sierici in caso di carenza e insufficienza

La 25(OH)D è il solo metabolita della vitamina D che viene utilizzato per stabilire se un paziente è carente, intossicato o ha livelli sufficientidi vitamina D, poiché è la maggiore forma circolante di vitamina D e ha un’ emivita di circa 2/3 settimane.

La 1,25(OH)2D3 è la forma biologicamente attiva, ma la sua emivita in circolo è di solo 4/6 ore e in caso di carenza di vitamina è normalizzata dall’azione del PTH. Chapuy et al. hanno dimostrato che i livelli circolanti di 25(OH)2D3 sono in funzione dei livelli di PTH.

[ Chapuy et al, 1996 ]

È stato quindi osservato che i livelli di PTH aumentano in seguito ai bassi livelli di vitamina D fino ad un plateau che raggiunge il nadir quando la concentrazione è di 30/40 ng/ml.

Sulla base di queste osservazioni, si ritiene 20ng/dl la soglia per la carenza e 30 ng/dl la soglia per l’insufficienza, anche se non sono stati ancora sottoposti ad una valutazione critica rigorosa.

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21 2.2 Fattori che determinano la carenza di vitamina D

Le carenze nutrizionali sono di solito il risultato di un’ inadeguatezza alimentare. Una carenza di vitamina D può verificarsi quando l’assunzione dietetica abituale è scarsa, l’esposizione alla luce solare è limitata, i reni non possono convertire la 25-idrossivitamina nella sua forma attiva o l’assorbimento della vitamina D da parte del tratto digestivo è insufficiente.

La stagione, l’ora del giorno, la copertura nuvolosa, la presenza di smog, il contenuto di melanina della pelle e l’uso di creme solari sono tra i fattori che influenzano l’esposizione alle radiazioni UV e la sintesi della vitamina D.

Una copertura nuvolosa completa riduce l’energia UV del 50%.

I fattori che influenzano l’esposizione alle radiazioni UV e le ricerche condotte finora sulla quantità di esposizione necessaria per mantenere adeguati livelli di vitamina D rendono difficile fornire linee guida generali.

E’ stato suggerito da alcuni ricercatori che circa 15/30 minuti di esposizione al sole tra le ore 10 e le ore 15 almeno due volte alla settimana a livello del viso, braccia, gambe e schiena senza protezione solare portano ad una sufficiente sintesi di vitamina D.

[Alshahrani and Aljohani, 2013 ].

Gli individui con esposizione al sole limitata devono aggiungere buone fonti di vitamina D alla loro dieta o assumere una supplementazione farmacologica per raggiungere livelli sierici adeguati.

Altra categoria a rischio sono gli anziani, poiché con l’invecchiamento la pelle non può sintetizzare la vitamina D in modo efficiente (a parità di esposizione solare il soggetto anziano ne produce circa il 30 % in meno), sia perché tendono a passare più tempo in casa, sia perché possono avere un insufficiente apporto dietetico di vitamina D(legato magari anche a difetti di assorbimento tipici della condizione di anziano).

Oppure individui costretti a casa, donne che indossano lunghe vesti e copricapi per motivi religiosi e persone con occupazioni che limitano l’esposizione al sole, è improbabile che ottengano un adeguato apporto di vitamina D dalla luce solare.

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22 Dal momento che la vitamina D è una vitamina liposolubile, il suo assorbimento dipende dalla capacità dell’intestino di assorbire i grassi alimentari.

Il malassorbimento dei grassi è associato ad una serie di condizioni mediche, come forme di epatopatie, la fibrosi cistica, la malattia celiaca e la malattia di Crohn, così come la colite ulcerosa quando vi sia interessamento dell’ileo terminale.

Inoltre, le persone con alcune di queste condizioni potrebbero avere introiti più bassi di alcuni alimenti, come i prodotti lattiero-caseari ricchi di vitamina D. Un indice di massa corporea ≥ 30 è associato a livelli sierici di 25-idrossivitamina D inferiori rispetto ai soggetti non obesi; le persone obese possono avere bisogno di un maggior apporto di vitamina D per ottenere livelli di 25 idrossivitamina D paragonabili a quelle di peso normale.

L’obesità non influisce sulla capacità della pelle di sintetizzare la vitamina D, ma una maggiore quantità di grasso sottocutaneo sequestra la maggior parte della vitamina e modifica il suo rilascio in circolo.

Gli individui obesi che hanno subito un intervento chirurgico di bypass gastrico possono diventare carenti di vitamina D nel tempo in assenza di un apporto sufficiente di questo nutriente attraverso alimenti o integratori, dal momento che una parte del piccolo intestino superiore in cui la vitamina D viene assorbita, viene bypassato mentre la vitamina D mobilizzata nel siero dai depositi adiposi può non essere sufficiente a compensare questa condizione a seguito del dimagrimento post intervento.

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23 2.3 I metodi di dosaggio

L’idrossilazione della vitamina D nel fegato a livello del carbonio 25 ha portato allo sviluppo dei primi metodi per misurare i livelli circolanti di vitamina, utilizzando il legame competitivo con le proteine vettrici (DBP).

L’utilizzo di questa metodica aveva il vantaggio di determinare contemporaneamente sia 25(OH)D2 e 25(OH)D3, ma presentava il limite di reclutare nel dosaggio anche altri metaboliti.

Nel 1985 è stato sviluppato il primo metodo radioimmunologico (RIA) per il dosaggio del 25(OH)D,che riconosceva entrambi i metaboliti e che ne dosava anche altri, sovrastimando i livelli di 25(OH)D di circa il 10/20 %.

A partire dalla metà degli anni ’70, la cromatografia liquida ad alta risoluzione (HPLC) è stata applicata al dosaggio della vitamina D .

Recentemente sono stati sviluppati due metodi per il dosaggio diretto: nel primo è utilizzata una cromatografia liquida di massa (LC-MS), mentre il secondo è un metodo immunometrico chemiluminescente, che si basa sull’impiego di anticorpi in grado di dosare contemporaneamente 25(OH)D2 e D3.

I due metodi, immunometrici e cromatografici, sembrano presentare una buona concordanza di risultati e una ridotta variabilità.

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24 2.4 Effetti della vitamina D a livello osseo

L’omeostasi minerale ossea viene mantenuta dalle azioni dei tre principali tipi di cellule dell’osso: gli osteoblasti, ovvero le cellule che formano l’osso; gli osteoclasti, ossia le cellule deputate al riassorbimento osseo e gli osteociti, responsabili della sensibilità agli stimoli meccanici e di altre proprietà dell’osso. I dati attuali dimostrano che la carenza di vitamina D contribuisce all’eziologia di almeno due malattie metaboliche dell’osso, l’osteomalacia (o rachitismo nei bambini ) e l’osteoporosi.

Anche se l’attività fondamentale della vitamina D nell’osteoporosi e nell’osteomalacia è di aumentare l’assorbimento di calcio e fosfato a livello intestinale, essa esercita anche un’azione diretta sugli osteoblasti attraverso la 1,25-diidrossivitamina D plasmatica e il VDR, stimolando l’espressione di RANKL per indurre l’osteoclastogenesi e il riassorbimento osseo, al fine di mantenere l’omeostasi del calcio plasmatico.

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25 2.4.1 Formazione del tessuto osteoide

La vitamina D gioca un ruolo fondamentale nei processi di mineralizzazione dello scheletro in tutte le età della vita.

Il calcio è l’elemento minerale più abbondante nell’organismo umano ed è presente in quantità pari a circa 1kg.

Il 99% si trova nelle ossa e nei denti sottoforma di fosfato, carbonato e fluoruro; mentre l’1% è presente nel sangue prevalentemente nella forma ionizzata o legato alle proteine plasmatiche.

Il calcio introdotto con la dieta viene assorbito mediante due vie ben distinte: -la prima è saturabile ed avviene attraverso un meccanismo di trasporto attivo, che funziona bene a bassi livelli di Ca2+ e che, nei microvilli, è legato reversibilmente al complesso calmodulina-actina-miosina I.

Quando questo complesso è saturo, il calcio viene ceduto alla calbindina, la cui sintesi viene stimolata dalla forma attiva della vitamina D (calcitriolo) .

Il calcio viene poi rimosso dalla calbindina e passa nel sangue prevalentemente per azione di una pompa Ca2+-ATPasi dipendente.

-La seconda via invece è passiva e sfrutta l’azione delle giunzioni strette (tight junction).

Questo meccanismo risente dell’azione della vitamina D che fa aumentare la permeabilità delle giunzioni intestinali.

Quando le scorte di vitamina D si riducono per mancanza di esposizione ai raggi solari o per deficit nutrizionali, l’assorbimento intestinale di calcio e fosforo si riduce a meno della metà.

Questo porta a una riduzione dei valori di calcio ionizzato con conseguente iperparatiroidismo secondario e mobilizzazione di calcio dallo scheletro, aumento del riassorbimento tubulare di calcio ed aumento dell’escrezione urinaria di fosfato con ipofosforemia.

L’iperparatiroidismo secondario associato ad un basso prodotto calcio-fosforo sono probabilmente responsabili della mancata calcificazione della matrice osteoide che è la caratteristica patognomica della ipovitaminosi D.

(26)

26 Infatti nella matrice ossea non ancora calcificata sono presenti vescicole all’interno delle quali si realizza, per un fenomeno di reazione fra gli ioni calcio e fosfato,la formazione di cristalli di idrossiapatite.

La condizione indispensabile perché questo processo si verifichi è la presenza dei due ioni in concentrazioni adeguate nel sangue e nell’osso.

Se il prodotto della concentrazione plasmatica del calcio e fosforo in mg% di plasma è inferiore a 25, la matrice organica non va incontro al fisiologico processo di mineralizzazione, quindi si forma tessuto osteoide.

[ Ryan et al,2013 ].

È noto anche che molti fattori concorrono al raggiungimento del picco di massa ossea, ossia il più elevato livello di massa ossea raggiunto nel fisiologico processo di maturazione scheletrica, che quindi determina l’entità della massa ossea presente alla maturità e la successiva resistenza alle fratture.

I fattori che condizionano un ottimale picco di massa ossea sono l’apporto di calcio, l’esercizio fisico , lo stato ormonale, il peso corporeo, i fattori genetici e quindi la vitamina D.

È possibile avere un miglior picco di massa ossea in quei soggetti in cui si realizza una migliore espressione dei recettori per la vitamina D .

Infatti l’espressione di molti geni chiave per la maturazione degli osteoblasti e la deposizione di sostanza minerale sono modulate dalla 1,25-diidrossivitamina D attraverso una maggiore espressione genica di proteine fondamentali per l’omeostasi del tessuto osseo come il collagene di tipo I, la fosfatasi alcalina e l’osteocalcina.

La 1,25-diidrossivitamina D attiva il VDR a livello degli osteoblasti, aumentando l’espressione del RANKL (receptor activator of nuclear factor kappa –B ligand). Il RANKL sulla superficie degli osteoblasti si lega al RANK espresso sulla superficie delle cellule progenitrici degli osteoclasti.

Questa via metabolica per l’attivazione del riassorbimento osseo dipende dall’espressione di VDR da parte degli osteoblasti.

La carenza di vitamina D, derivante da scarso apporto alimentare o ridotto assorbimento, è in grado di condizionare negativamente l’assorbimento

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27 intestinale di calcio e fosfato, da cui una condizione di ipocalcemia e ipofosforemia.

Quindi nell’eventualità in cui la carenza di vitamina D sia marcata, i ridotti livelli di calcemia e fosforemia comporteranno gravi difetti nei meccanismi di mineralizzazione della matrice organica, da cui la comparsa di tessuto osteoide. Il quadro clinico conseguente sarà quello del rachitismo, associato ad un aumento del rischio di fratture, in particolare del femore.

[ Wacker and Holick, 2013 ]

(28)

28 2.4.2 Rachitismo

Nel rachitismo si realizza un’ inadeguata mineralizzazione sia dello scheletro che delle cartilagini di accrescimento aventi ridotta densità e irregolarità dei margini. La crescita eccessiva delle cartilagini ialine è responsabile di uno dei segni patognomici del rachitismo, ossia il cosidetto rosario rachitico, cioè la prominenza delle cartilagini condro-costali.

Esistono due varietà di rachitismi vitamina-D dipendenti.

Il primo (tipo I) si manifesta prima dei due anni di età e spesso durante i primi sei mesi di vita, essendo conseguenza di una ereditarietà autosomica recessiva.

Probabilmente la causa è da ricercare in un presumibile difetto nell’attività dell’enzima renale:alfa1-idrossilasi.

Nel rachitismo di tipo II, che si trasmette anch’esso secondo un’ereditarietà autosomica recessiva, il probabile difetto è a livello cellulare per carente sintesi dei recettori per l’1,25(OH)2D3.

Figura 2.2 Sintomi del rachitismo.

Sotto il profilo clinico, il rachitismo di tipo I presenta un quadro tipico; mentre quello di tipo II si distingue per una marcata eterogenicità, poiché i bambini possono manifestare i primi sintomi nei primi due anni, ma si può avere anche un esordio nei periodi successivi.

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29 Un altro tipo di rachitismo è il rachitismo ipofosfatemico vitamina D-resistente, il cui gene mutante è localizzato nella parte distale del braccio corto del cromosoma X.

[ Nuti and Martini, 2000 ]

Ingrossamento dei polsi Ingrossamento delle caviglie

Tibie ad arco Rigonfiamento frontale

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30 2.4.3 Osteomalacia

Il processo di invecchiamento porta una inevitabile riduzione della massa ossea. Se infatti nella donna, un ruolo di primo piano è stato attribuito alla carenza estrogenica che si verifica nella menopausa, un’ ipotesi ormonale è stata invocata anche nell’uomo, nonostante la perdita di tessuto osseo si accompagni ad una funzione gonadica quasi sempre conservata.

Tutta una serie di altri fattori entrano in gioco nella osteopenia legata all’invecchiamento.

Tuttavia, sebbene l’osteoporosi sia la condizione più diffusa di riduzione della quantità di matrice ossea associata alla vita adulta, esistono anche altre modificazioni che si realizzano nei processi di rimodellamento osseo.

In particolare, quando la deficienza di vitamina D si verifica dopo il termine dell’accrescimento scheletrico, si ha una osteopatia demineralizzante di natura metabolica caratterizzata dalla presenza di tessuto osteoide non calcificato, in quantità superiore alla norma.

L’osteomalacia si diversifica dall’osteoporosi poichè mentre in quest’ultima si ha una riduzione della quantità di matrice ossea, peraltro normalmente mineralizzata, nell’osteomalacia si ha conservazione della microarchitettura ossea, che conserva il suo volume normale, ma la mineralizzazione è totalmente insufficiente.

Pertanto si ha che, mentre in condizioni normali la percentuale di tessuto osteoide è tra lo 0 e il 4%, in forme di osteomalacia severa raggiunge il 70 %. La diagnosi istologica di osteomalacia si fonda oltre che sulla presenza di tessuto osteoide, anche sul ritardo del tempo di mineralizzazione, cioè del tempo in cui la matrice neo disposta si mineralizza, che in alcuni casì può andare anche oltre i cento giorni.

L’osteomalacia quindi è tipica degli adulti, mentre quando il difetto di mineralizzazione colpisce in fase di accrescimento, qundi nei bambini, si parla di rachitismo.

(31)

31

Figura 2.3 Tessuto osteoide non mineralizzato.

Dal punto di vista istologico, l’osteomalacia può essere divisa in tre forme : - LIEVE, dominata dall’iperparatiroidismo secondario e da elevata

attività osteoclastica.

- INTERMEDIA, in cui è presente osso a fibre intrecciate e fibrosi midollare.

- AVANZATA,caratterizzata da riduzione del turn over osseo con osteoblasti appiattiti che tappezzano i grossi bordi osteoidi.

Le pseudo fratture di Looser - Milkann sono patognomiche dell’osteomalacia con durata ad andamento cronico e non risultano eccessivamente dolenti.

Tali pseudo-fratture spesso sono bilaterali e simmetriche e si localizzano nel terzo prossimale dei femori, ma si possono trovare anche in scapole, coste e clavicole.

Altro aspetto fondamentale dell’osteomalacia è la miopatia prossimale, che coinvolge soprattutto il cingolo scapolare e pelvico ed è causa oltre che di dolori muscolari anche di una incapacità funzionale.

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32 Il quadro clinico descritto è secondario ad una severa deficienza della vitamina D, che rappresenta la fase sub-clinica dell’ipovitaminosi D che può causare un ridotto assorbimento del calcio con iperparatiroidismo secondario.

L’aumento dell’attività paratiroidea è associata a un aumento del turnover osseo che comporta una perdita di tessuto osseo prevalentemente a livello corticale con riduzione della massa ossea.

Anche la ridotta attività 1–alfaidrossilasica secondaria alla ridotta insufficienza renale può rappresentare un fattore che favorisce l’ipovitaminosi.

E’ ormai ampiamente riconosciuto che nella popolazione anziana sia necessaria un’assunzione giornaliera di vitamina D con dose media di 600 U/ die.

(33)

33 2.4.4 Osteoporosi

Le linee guida italiane fissano il limite inferiore di un adeguato livello di 25-idrossivitamina D in un valore pari a 30ng/ml.

Il cut-off proposto per una salute scheletrica ottimale è il livello che normalizza il PTH e ottimizza l’assorbimento intestinale del calcio.

E’ stato dimostrato che in ogni fase della vita, un adeguato apporto dietetico di nutrienti come il calcio e la vitamina D contribuisce a mantenere la salute delle ossa e a ridurre il rischio di osteoporosi e di fratture in età avanzata.

[ Zhang et al, 2003 ]

Figura 2.4 Rappresentazione grafica della MOC ( mineralometria ossea computerizzata )

Solitamente la densità è massima dopo i 40 anni e inizia a diminuire poco prima della menopausa ( collocata dopo i 48 anni ).

Dalla letteratura scientifica arrivano conferme sul fatto che bassi livelli di vitamina D rappresentano una condizione di rischio per perdita di densità minerale ossea ( BMD ) e per fratture, specie se associati a deficit di ormoni sessuali.

La United States Preventive Services Task Force è riuscita a dimostrare che con la supplementazione di vitamina D in associazione a quella di calcio si ha una riduzione delle fratture anche in pazienti con un elevato stato carenziale di vitamina D.

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34 È anche riportato che la mancata correzione di un deficit di vitamina D in corso di trattamento con antiriassorbitivi, riduce l’efficacia di questi ultimi, in termini sia densitometrici sia di prevenzione delle fratture.

In caso di iperparatiroidismo secondario ad ipovitaminosi D, l’incremento densitometrico in seguito al trattamento con farmaci specifici per l’osteoporosi, risulta inferiore.

Pertanto va sempre assicurata una supplementazione con vitamina D qualora si intraprenda un trattamento specifico per l’osteoporosi.

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35 2.5 Effetti pleiotropici non classici

La possibilità di effetti extrascheletrici della 1,25-diidrossivitamina D è stata suggerita dalla scoperta della presenza del VDR in tessuti e cellule che non erano coinvolti nel mantenimento dell’omeostasi del calcio, compresi pancreas, cute, placenta, cervello e cellule T attivate.

È noto da tempo che la vitamina D è in grado di stimolare la produzione di proteine muscolari, attivando alcuni meccanismi di trasporto del calcio a livello del reticolo sarcoplasmatico che sono essenziali nella contrazione muscolare. Infatti in condizioni di ipovitaminosi D sono stati spesso descritti quadri di miopatia dei muscoli prossimali degli arti, di sarcopenia e di riduzione della forza muscolare.

L’importanza che la vitamina D ha al di fuori del tessuto scheletrico è evidenziata anche dalla dimostrazione della presenza dell’enzima 1-alfa-idrossilasi in numerosi tipi di cellule.

[ Wolden et al, 2012 ]

L’attività 1-alfa-idrossilasica (che rappresenta la capacità di produrre 1,25-diidrossivitamina D) è presente nei macrofagi attivati, negli osteoblasti, nei cheratinociti ed è stata documentata anche a livello della prostata, del colon e della mammella.

Questa attività sostiene una produzione locale di 1,25-diidrossivitamina D che non vanta alcun ruolo nell’ omeostasi calcica ma che sembrerebbe implicata nei meccanismi di regolazione della crescita cellulare, compresa quella tumorale. Nelle cellule della linea monocito-macrofagica l’attivazione 1-alfa-idrossilasica della vitamina D determina la produzione di una proteina battericida, la catecilidina, e funzioni paracrine di modulazione del linfociti T e B.

Inoltre all’interno delle cellule con attività 1-alfa-idrossilasica è prevista anche un’attività 24-idrossilasica al fine di regolare l’eventuale iperproduzione endogena di calcitriolo, mediante la produzione di un metabolita inattivo della vitamina D, l’acido calcitroico.

(36)

36

3 INTERAZIONE RECETTORIALE

3.1 Il recettore VDR

Il legame di 1,25(OH)2D3 con un recettore nucleare e/o recettore della membrana plasmatica negli organi bersaglio genera una risposta biologica capace di regolare la trascrizione genica (azione genomica) o di attivare una varietà di segnali di trasduzione sulla o vicino alla membrana plasmatica ( azione rapida non genomica ).

[ Sutton and MacDonald, 2003 ]

Nel 1988 un articolo pubblicato sui Proceedings della National Academy of Sciences USA annunciava la clonazione del gene codificante per il recettore della vitamina D, VDR.

Questa scoperta spianava la strada alla conoscenza dei meccanismi di azione attraverso cui la vitamina D esercita le sue funzioni in condizioni normali e patologiche.

Il recettore VDR fa parte di una famiglia di recettori nucleari simili a quella degli ormoni tiroidei, dell’acido retinoico e degli ormoni steroidei, accomunati da una struttura similare evidenziata dal legame con il ligando.

Dopo il legame con il calcitriolo, il VDR assume una conformazione che permette la formazione di due superfici di interazione indipendenti, una che facilita l’associazione ad un partner eterodimerico con il recettore dell’acido retinoico (RXR) necessario per il legame con il DNA e l’altra che è essenziale per il reclutamento di un ampio complesso co-regolatorio indispensabile per la regolazione dell’espressione genica.

La prova inconfutabile della necessità della presenza del legame con VDR per l’estrinsecazione delle funzioni della Vitamina D è stata estrapolata da una forma di rachitismo Vitamina D-resistente in soggetti che presentano una mutazione inattivante del gene VDR.

Il recettore VDR è espresso in molti tessuti, ma studi recenti indicano che il gene VDR è intensamente espresso nei tessuti chiaramente coinvolti nella regolazione dell’omeostasi calcica, quali rene, paratiroide, intestino ed osso,suggerendo la

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37 necessità di un’elevata densità recettoriale per una funzione ottimale del VDR. Attraverso la regolazione trascrizionale di numerosi geni, il complesso calcitriolo/VDR sembra influenzare numerose funzioni , facendo così ascrivere l’ormone Vitamina D alla classe degli ormoni calciotropi.

[ Baker et al, 1988 ]

3.2 Azione genomica

Il calcitriolo è uno dei più importanti regolatori di geni e agisce all’interno della cellula bersaglio, legandosi direttamente al recettore ad alta affinità (VDR), appartenente alla superfamiglia dei recettori nucleari per gli ormoni steroidei, deputati a modulare l’espressione genica delle cellule.

Il VDR è composto da una singola catena polipeptidica di 427 amminoacidi strutturata in 3 domini funzionali:

-C-terminale (dominio LBD), che lega l’ormone a livello del suo anello A, contenente il gruppo 1alfa-idrossilato;

-DNA legante (dominio DBD), organizzato in due moduli zinco-nucleati, responsabili dell’interazione ad alta affinità con specifiche sequenze di DNA delle regioni promotrici del gene bersaglio, chiamate elementi che rispondono alla vitamina D (VDRE);

-N-terminale, per i processi di trascrizione.

Il VDR regola la trascrizione del DNA in mRNA, effettuata dalla RNA polimerasi II, che migrando nel citoplasma trasduce l’informazione ai ribosomi per la sintesi proteica.

Attraverso 4 fasi successive in cui VDR lega 1,25(OH)2D3 nel dominio LBD, tale reazione induce cambi conformazionali nel recettore che favoriscono il legame eterodimerico con il recettore dell’acido retinoico X (RXR) a livello di LBD e la traslocazione nel nucleo. Il nuovo complesso 1,25(OH)2D3-VDR/RXR si lega, mediante il DBD, a sequenze specifiche di VDRE e causa modifiche conformazionali del DNA genomico.

Infine VDR recluta proteine nucleari co-attivatrici e/o co-repressive che lo aiutano a modulare la trascrizione genica.

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38 L’equilibrio finale tra co-attivatori e co-represssori determina il controllo della trascrizione genica in presenza di stimoli fisiologici o patologici.

[ Zhang et al, 2003 ]

Figura 3.1 Rappresentazione schematica dei complessi co-regolator i coinvolti nelle azioni del compleso calcitriolo / VDR.

Nel suo insieme, il complesso Vitamina D/VDR ha funzioni pleiotropiche e regola approssimativamente il 3% del genoma umano e di conseguenza, tale sistema deve essere rigidamente regolato non solo a livello dei bersagli classici della Vitamina D, ma anche nel controllo dei tessuti che non sono coinvolti nell’omeostasi del calcio.

Un ruolo importante per il controllo di quei geni oggi indicati come “The Vitamin D Tool Genes”, è svolto dall’epigenetica (metilazione del DNA, modificazioni della cromatina).

Le azioni genomiche della vitamina D si distinguono in classiche e non classiche. Tra le azioni genomiche classiche abbiamo :

-Mantenimento dei livelli di calcio extracellulare entro i limiti di normalità ; -Aumento dell’assorbimento intestinale di calcio e fosforo dalla dieta;

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39 -Regolazione dello sviluppo e mantenimento della mineralizzazione dell’osso ; -Modulazione della funzione della ghiandola paratiroide;

-Riassorbimento del calcio nel tubulo prossimale attraverso la simultanea soppressione di 1alfa-idrossilasi e stimolazione di 24-idrossilasi;

Tra le azioni genomiche non classiche, la recente scoperta di VDR nelle cellule del sistema immunitario e il fatto che numerose di queste cellule possiedono il corredo enzimatico per produrre l’ormone hanno indicato che esso svolge importanti proprietà immunoregolatore, tra cui :

- Inibizione della crescita cellulare; - Regolazione dell’apoptosi;

- Controllo della differenziazione cellulare; - Modulazione della risposta immune;

- Prevenzione della trasformazione neoplastica; - Controllo del sistema renina-angiotensina; - Controllo della secrezione insulinica; - Controllo della funzione muscolare; - Controllo del sistema nervoso;

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4 VITAMINA D E SISTEMA IMMUNITARIO

4.1 Regolazione della risposta immune

La 1,25(OH)2D3 modula il sistema immunitario determinando effetti regolatori sulle funzioni dei linfociti T e B, influenzando il fenotipo e la funzione delle cellule presentanti l’antigene (APC) e delle cellule dendritiche (DC), promuovendo proprietà tollerogeniche che favoriscono l’induzione dei T regolatori (Treg) al posto dei T effettori.

[ Cutolo, 2009 ]

Questa regolazione è mediata dall’azione della vitamina D su fattori di trascrizione nucleari come NF-AT e NF-kB o per diretta interazione con VDRE nelle regioni promotrici dei geni delle citochine.

La vitamina D è prodotta dagli stessi macrofagi e dalle cellule DC, T e B e pertanto è capace di contribuire fisiologicamente, attraverso VDR espresso nel loro nucleo, alla regolazione autocrina e paracrina sia dell’immunità innata che di quella adattativa.

Ciò conferma la rilevazione del sistema endocrino riconducibile alla vitamina D nella modulazione della risposta immune nei soggetti sani e nei malati.

(41)

41 4.2 Vitamina D e immunità innata.

L’immunità innata funge da prima barriera di difesa nei confronti di microrganismi patogeni come batteri, virus, protozoi e funghi.

Le cellule dell’immunità innata esprimono recettori per il riconoscimento dei PAMPs (profili molecolari dei microbi), l’LPS (lipopolisaccaridi), la flagellina, proteine virali e RNA a singola e doppia elica.

Un ruolo importante è svolto da una sottoclasse di recettori di riconoscimento dei PAMPs : i TLR (Toll Like Receptor).

La risposta immune innata implica, quindi, l’attivazione di Toll-Like Receptor, recettori trans-membrana deputati al riconoscimento dei patogeni nei polimorfonucleati, monociti, macrofagi come nelle cellule epiteliali che scatenano la risposta immune nell’ospite.

La risposta ai segnali trasmessi dai TRL include la produzione di peptidi antimicrobici, di citochine e l’apoptosi dell’ospite.

La 1,25(OH)2D3 rappresenta il legame chiave tra l’attivazione dei TLR e la risposta antibatterica del sistema immune innato, soprattutto in caso di infezione tubercolare, inducendo la produzione di un peptide antimicrobico, la catelicidina, codificato da un gene attivato e regolato dalla vitamina D.

[ Liu et al, 2006 ]

L’attivazione da parte di antigeni patogeni di TLR su monociti e macrofagi, porta ad una sovra-regolazione del VDR e di altri geni target del VDR, alla produzione di catelicidina e di altri peptidi antimicrobici.

La catelicidina, che per essere attivata deve essere clivata per formare il suo peptide maggiore LL-37, esegue innumerevoli compiti, oltre alle sue ben note proprietà antimicrobiche, stimolando l’aumento di citochine ( IL-6, IL-10, IL-18 ) e il recettore di crescita epidermico, portando all’attivazione di STAT-1 e STAT-3. Induce inoltre la chemiotassi di neutrofili, monociti e cellule T nella cute, promuovendo la proliferazione e la migrazione cheratinocitaria.

La catelicidina funge dunque da ponte tra immunità innata e acquisita.

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42 4.3 Vitamina D e immunità adattativa.

La 1,25(OH)2D3 esercita un’azione inibitoria sul sistema immune adattativo, sopprimendo la proliferazione e la produzione delle immunoglobuline, ritardando la differenziazione dei precursori B in plasmacellule e inibendo la proliferazione dei linfociti T helper1 (Th1), capaci di produrre interferone e IL-2 e di attivare i macrofagi; agisce a livello delle DC/APC, favorendo la produzione di IL-4, IL-5 e IL-10 e spostando la differenziazione dei linfociti T a favore del fenotipo Th2.

Inoltre, accresce la quantità dei linfociti Treg CD4+/CD25+ che producono IL-10, bloccando lo sviluppo di Th1 e inibendo la produzione di IL-17 da parte dei T effettori (Linfociti Th17).

Oltre a ciò, induce la proliferazione di cellule denditriche con proprietà di tolleranza immunitaria aventi un’azione immunoregolatoria e antiinfiamamtoria : -arresta la differenziazione e la maturazione di DC;

-diminuisce l’espressione delle molecole co-stimolatorie CD40,CD80 e CD86; -diminuisce marcatamente la produzione di IL-12;

-aumenta la produzione di IL-10;

-induce l’espressione di ILT3 ( molecola inibitoria associata con l’induzione di tolleranza ).

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Figura 4.2 Regolazione della risposta immune adattativa da parte della vitamina D.

Le DC costituiscono un sistema altamente specializzato di APC, critico per l’iniziazione della risposta T CD4+.

Esercitano una funzione di sentinella e dopo il contatto con l’antigene, migrano verso le aree T dipendenti dei linfonodi afferenti, dove possono trasformare i linfociti T nativi in Th1.

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44 Pertanto le DC possono essere immunogene, ma anche indurre tolleranza sia nel timo che in periferia, modulando lo sviluppo dei T.

La sintesi attiva di 1,25(OH)2D3 all’interno delle cellule denditriche, oltre ad inibire la differenziazione da precursori dei monociti in DC immature, blocca anche la loro capacità di subire la differenziazione finale in risposta a stimoli di maturazione.

Infatti nei processi infiammatori il calcitriolo regola negativamente l’espressione del fattore nucleare NF-kB, indispensabile sia per la differenziazione e maturazione di DC sia per innescare la risposta infiammatoria.

Inoltre 1,25(OH)2D3 aumenta la quantità dei Th2 attraverso un effetto diretto sui CD4 nativi.

Quindi Th1 e Th2 sono regolati dall’azione degli agonisti di VDR, sia per l’attivazione, come per la differenziazione.

[ Lemire et al, 1995 ]

La 1,25 (OH)2D3 ha effetti potenti e diretti anche sulla risposta cellulare B determinando induzione di apoptosi ed inibizione della proliferazione, generazione di cellule B della memoria, differenziazione in plasmacellule e produzione di immunoglobuline.

[ Chen et al, 2007 ]

I linfociti B, come i macrofagi, le DC e i T, esprimono il VDR e possono sintetizzare l’ormone attivo che può esercitare azioni regolatorie autocrine e paracrine. Il trattamento con agonisti di VDR inibisce la produzione da parte dei linfociti Th17 di IL-17, una citochina pro infiammatoria prodotta da T patogenetici in diverse malattie autoimmuni organo-specifiche che colpiscono il cervello, il cuore, la sinovia e l’intestino.

La produzione di IL-17 è sostenuta da IL-23, membro della famiglia dell’IL-12, formato da catene p19 e p40, la seconda delle quali è fortemente inibita da agonisti di VDR.

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45 L’evidenza che sia le cellule della risposta immune innata sia quelle della risposta immune specifica siano in grado di sintetizzare l’1,25 (OH)2 D3 suggerisce che :

-le concentrazioni superiori a quelle fisiologiche di 1,25(OH)2D3 necessarie per regolare la risposta immune possono essere raggiunte localmente, senza pertanto modificare i livelli sistemici di questo ormone evitando i potenziali effetti avversi correlati come l’ipercalcemia e l’aumento del riassorbimento osseo;

-l’1,25(OH)2D3 può espletare i suoi effetti sulla risposta immune innata e specifica agendo localmente in modo paracrino, autocrino e intracrino.

[ Gregori et al, 2001 ]

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5 VITAMINA D E MALATTIE AUTOIMMUNI

Visti i molteplici effetti a livello del sistema immunitario e la diffusa presenza del VDR, in numerosi studi è stata riscontrata la correlazione inversa fra i livelli di vitamina D e l’incidenza di malattie autoimmuni quali diabete mellito di tipo I, malattie reumatiche e malattie infiammatorie croniche intestinali .

La supplementazione di vitamina D ha dimostrato infatti di essere terapeuticamente efficace in diversi modelli sperimentali animali.

[ Arnson et al, 2007 ]

I bassi livelli sierici di vitamina D presenti in pazienti affetti da patologie autoimmuni potrebbero essere collegati ad altri fattori, oltre che nutrizionali, come la riduzione dell’attività fisica, la diminuita esposizione al sole, l’aumento della frequenza dei polimorfismi dei geni VDR e gli effetti collaterali dei farmaci assunti.

[ Chlebowski et al, 2007 ]

Una proprietà importante di 1,25(OH)2D3 e dei suoi analoghi è la capacità di modulare sia gli APC che le cellule T.

L’induzione di DC tollerogenici che conduce a un numero maggiore di CD4+ e CD25+, rende la vitamina D appetibile per un uso clinico soprattutto per il rigetto dell’allotrapianto e per la prevenzione e il trattamento delle malattie autoimmuni.

[ Gregori et al, 2001 ]

Nella pratica clinica sono stati già osservati effetti additivi e anche sinergici tra 1,25(OH)2D3 o suoi analoghi e agenti immunosoppressori come il Sirolimus.

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47 5.1 Artrite reumatoide

L’artrite reumatoide (AR) è una malattia autoimmune in cui il processo infiammatorio è sostenuto da linfociti di tipo Th1 che provocano l’attivazione e la proliferazione delle cellule endoteliali e sinoviali, il reclutamento e l’attivazione delle cellule infiammatorie, la secrezione di citochine e di proteasi da parte dei macrofagi e delle cellule sinoviali fibroblasto-simili e la produzione di autoanticorpi.

[ Harris and Schur, 2007 ]

5.1.1 Patogenesi

Nonostante vi sia una provata evidenza che l’AR è una malattia autoimmune, non è stato ancora identificato l’autoantigene capace di innescare la reattività autoimmunitaria nei confronti delle strutture articolari e in particolare della membrana sinoviale, organo bersaglio principale della malattia.

Negli ultimi anni gli anticorpi antiproteine citrullinate, che attualmente sono considerati un marker sierologico di malattia più specifico dello stesso fattore reumatoide, hanno fatto sorgere interessanti ipotesi sul ruolo delle proteine citrullinate come probabili antigeni artritogenici.

La citrullinazione delle proteine (sostituzione del residuo argininico con la citrullina attraverso un processo enzimatico di deaminazione) è un fenomeno naturale che precede la loro denaturazione e digestione proteolitica.

È stato ipotizzato e in parte dimostrato, che un’iperproduzione di proteine citrullinate possa avvenire, nell’ambiente articolare, in certe condizioni che normalmente favoriscono l’insorgenza dell’AR (alcune infezioni, traumi, tabagismo).

[ Gregersen et al, 1987 ]

D’altra parte è stata documenta la presenza di varie condizioni genetiche che predispongono alla malattia o meglio, che incrementano il rischio relativo di ammalarsi, la più importante delle quali è la presenza di alcune molecole del sistema HLA (antigene leucocitario umano) che condividono una specifica sequenza amminoacidica ( shared epitope ).

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48 Le molecole HLA hanno un ruolo fisiologico fondamentale nella presentazione, da parte di cellule predisposte a tale scopo, degli antigeni al linfocita T.

La sequenza amminoacidica specifica dello shared epitope sembra favorire la presentazione di antigeni con carica elettrica negativa, proprio come sono le proteine citrullinate.

Il linfocita T, a sua volta, da un lato attiva i macrofagi e quindi la produzione da parte di essi di citochine pro-infiammatorie, come le interleuchine-1 e -6 e il Tumor Necrosis Factor, dall’altro attiva il linfocita B e ne induce la differenziazione in plasmacellula con la conseguente produzione di anticorpi specifici.

Le citochine pro-infiammatorie, a loro volta, sono in grado di attivare le cellule effettrici del processo, i condrociti, i fibroblasti e gli osteoclasti che, anche attraverso fenomeni proliferativi, generano il danno delle strutture articolari e ossee.

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49 5.1.2 Relazione tra vitamina D e artrite reumatoide.

La prevalenza della carenza di vitamina D è aumentata tra pazienti con artrite reumatoide rispetto alla popolazione generale.

[ Aguado et al, 2000 ]

È noto che la carenza di vitamina D si associa ad un aggravamento della risposta immunitaria Th1 e il possibile ruolo di tale carenza nella patogenesi di AR si basa proprio su prove che mostrano un’aumentata espressione di VDR su macrofagi, condrociti e cellule sinoviali delle articolazioni dei pazienti.

[ Nagpal et al, 2005 ]

Figura 5.1 Percentuale di pazienti con carenza di vitamina D nei soggetti affetti da artrite reumatoide e psoriasi.

Il VDR è espresso nella sinovia reumatoide umana in macrofagi, condrociti e sinoviociti.

Nelle colture di condrociti umani, i metaboliti della vitamina D agiscono tramite il recettore VDR per regolare la trascrizione di numerosi geni coinvolti nel metabolismo di essi stessi.

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50 I risultati di questo effetto normalizzante includono la modulazione del proteoglicano, della sintesi del collagene e dell’espressione di specifiche metallo- proteinasi della matrice.

Quindi alti livelli di metaboliti della vitamina D sono stati trovati nel liquido articolare di pazienti con artrite, suggerendo un ruolo fisiopatologico per 1,25(OH)2D3 nelle lesioni reumatoidi.

[ Tetlow et al,1999 ]

Nel modello murino di artrite collagene-indotta, l’integrazione con 1,25(OH)2D3 impedisce lo sviluppo e la progressione dell’artrite.

Tra i diversi modelli animali di artrite reumatoide, due in particolare sono stati usati per testare gli effetti di ligandi VDR sul decorso della malattia, cioè artrite di Lyme e artrite collagene-indotta nel topo.

L’infezione di topi con Borrelia Burgdorferi, l’agente causale dell’artrite umana di Lyme, produce lesioni artritiche acute con gonfiore alle zampe e alle caviglie. La supplementazione con 1,25(OH)2D3 nella dieta di topi infetti da Borrelia Burgdorferi e quindi affetti da artrite di Lyme ha ridotto al minimo o prevenuto i sintomi della patologia.

Gli stessi risultati sono stati osservati in caso di artrite collagene-indotta, inoltre, in questo caso, ove la supplementazione sia stata somministrata a topi con sintomi precoci,essa ha impedito la progressione della patologia verso l’artrite grave.

[ Cantorna et al, 1998 ]

Un ulteriore studio pre-clinico ha messo in evidenza che, i ligandi VDR mostravano una capacità simile di prevenire e di sopprimere l’artrite collagene-indotta, senza indurre ipercalcemia.

[ Larsson et al, 1998 ]

Lo studio clinico " Iowa Women’s Health Study " ha messo in luce che livelli elevati di supplementazione con vitamina D un’assunzione di vitamina D, valutati utilizzando un questionario sulla frequenza degli alimenti, è stata associata ad un minor rischio di artrite reumatoide.

(51)

51 Inoltre in uno studio clinico recente, sono stati valutati i livelli sierici di 1,25(OH)2D3 in 64 pazienti di sesso femminile affette da artrite reumatoide provenienti dall’Europa dell’Est ( Estonia / EP ) e 54 pazienti di sesso femminile provenienti dal Sud Europa ( Italia / IP ) durante la stagione invernale e estiva. Tali valori sono stati correlati rispettivamente con il punteggio di attività della malattia ( DAS28 ).

I risultati ottenuti hanno evidenziato che i livelli di 1,25(OH)2D3 erano significativamente più alti nelle pazienti del Sud Europa rispetto a quelli dell’Europa dell’Est sia in inverno che in estate.

[ Cutolo et al, 2007 ]

E’ interessante notare come i polimorfismi del recettore della vitamina D ( VDR ) sono stati collegati con un’aumentata suscettibilità di artrite reumatoide.

Tale relazione è stata dimostrata in un studio in cui i pazienti con genotipi BB o Bb per VDR avevano più elevati indici di velocità di eritrosedimentazione (VES), assumevano maggiori dosi di corticosteroidi e numero di farmaci antireumatici, rispetto ai pazienti con il solo genotipo bb.

[ Garcia-Lozano et al, 2001 ]

Alcuni studi hanno dimostrato che l’integrazione attraverso la dieta o la somministrazione supplementare di vitamina D, impediscono lo sviluppo e generano ritardo nella progressione dell’artrite e che il rischio di sviluppare artrite reumatoide è inversamente correlato alla maggiore assunzione di vitamina D.

[ Merlino et al, 2004 ]

Infatti nelle prove interventistiche, l’integrazione con dosi superiori di 1,25(OH)2D3 è stata associata ad una diminuzione del dolore e a riduzione significativa nei livelli di proteina C reattiva, sintetizzata durante uno stato infiammatorio acuto.

In pazienti con AR trattati con farmaci tradizionali ( Disease Modifying Antirheumatic Drugs, DMARD ) la supplementazione orale con dosi elevate di

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52 alfacalcidolo per tre mesi ha ridotto la gravità dei sintomi nel 89 % dei pazienti, il 45 % dei quali ha raggiunto la remissione completa.

[ Andjelkovic et al, 1999 ]

Già in passato bassi livellli sierici di 25(OH)D sono stati associati anche con il peggioramento di coxartrosi e gonartrosi.

Recentemente è stato confermato che individui di sesso maschile con deficit di vitamina D hanno un rischio doppio di avere segni radiografici di osteoartrosi dell’anca rispetto al sesso femminile ed è stato documentato con risonanza magnetica nucleare che il volume cartilagineo in donne con gonartrosi è positivamente associato con i livelli sierici di 25(OH)D, dato che i recettori per la vitamina D sono presenti nei condrociti umani e che l’insufficienza potrebbe compromettere la capacità dell’osso sub condrale di resistere agli insulti traumatici.

[ Ding et al, 2009 ]

Altri studi riportano una relazione inversa tra attività di malattia e concentrazione di metaboliti della vitamina D nei pazienti affetti da artriti infiammatorie ed è stato osservato un rapporto di proporzionalità inversa tra i livelli di vitamina D e il numero di dolori articolari, indici di attività della malattia (Disease Activity Score-DAS28 ) e proteina C reattiva (PCR).

In particolare, per ogni aumento di 10 ng/ml di livelli sierici di vitamina D il DAS28 si è ridotto di 0,3 punti ed i livelli di PCR del 25 %.

[ Patel et al, 2007 ]

L’insieme dei dati pre-clinici e dei risultati degli studi cinici suggerisce che 1,25(OH)2D3 contribuisce alla regolazione di produzione di metallo-proteinasi (MMP) e PGE2 da parte dei condrociti dell’articolazione umana nella cartilagine osteoartritica.

Questi risultati suggeriscono che i ligandi VDR potrebbero essere in grado di controllare almeno in parte lo sviluppo di artrite reumatoide e quindi potrebbero rappresentare un’opportunità terapeutica.

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