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DISTURBO DA DEFICIT DELL? ATTENZIONE/IPERATTIVITA? (ADHD) NELL?ADULTO E ALTERAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica,

Molecolare e dell’Area Critica

Corso di Laurea Magistrale in

Psicologia Clinica e della Salute

TESI DI LAUREA

DISTURBO DA DEFICIT DELL’ ATTENZIONE/

IPERATTIVITA’ (ADHD) NELL’ADULTO E

ALTERAZIONE DELLA REGOLAZIONE EMOTIVA

Candidata:

Relatore:

Eleonora Navalesi

Prof. Giulio Perugi

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INDICE

RIASSUNTO

pag. 3

CAPITOLO 1

:

IL DISTURBO DA DEFICIT

D’ATTENZIONE ED IPERATTIVITA’ (ADHD)

pag. 5

Cenni storici e nosografia

pag. 6

Eziologia e cause

pag. 12

CAPITOLO 2

:

ADHD IN ETA’ EVOLUTIVA

pag. 19

Sintomi

pag. 19

Comorbidità

pag. 22

Diagnosi

pag. 26

Strumenti di valutazione diagnostica

pag. 29

CAPITOLO 3

: ADHD NELL’ADULTO

pag. 34

Sintomi

pag. 34

Comorbidità

pag. 42

Diagnosi e strumenti

pag. 47

CAPITOLO 4

:

ADHD E DISREGOLAZIONE pag. 55

EMOTIVA

CAPITOLO 5:

TRATTAMENTO DELL’ADHD pag. 66

CAPITOLO 6:

SCOPO DELLA RICERCA

pag. 79

CAPITOLO 7

: MATERIALI E METODI

pag. 80

CAPITOLO 8:

RISULTATI

pag. 85

CAPITOLO 9:

DISCUSSIONE E RISULTATI

pag. 91

BIBLIOGRAFIA

pag. 99

TABELLE

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RIASSUNTO

Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Attention-Deficit/ Hyperactivity Disorder, ADHD) è un disturbo eterogeneo, complesso e multifattoriale, ad insorgenza infantile. L’ADHD è caratterizzato da persistenti inattenzione e/o iperattività motoria ed impulsività che rendono difficoltoso e impediscono il normale sviluppo, l’integrazione e l’adattamento sociale nel bambino. L’alterazione dell’emotività (emotional disregulation ED) è spesso riscontata tra i sintomi dell’ADHD. Essa è caratterizzata dalla perdita del controllo, esplosioni di rabbia, oscillazioni dell’umore e alterata capacità di regolazione affettiva. L’ED sembra essere di primaria importanza nello sviluppo e nella persistenza della sintomatologia ADHD e gli è stato riconosciuto un valore diagnostico nel DSM-5. Per lungo tempo si è creduto che l’ADHD fosse un disturbo caratterizzante esclusivamente l’età infantile, ma l’evidenza scientifica ha invece mostrato come esso tenda a persistere nel corso della vita fino all’85% dei casi. Negli adulti, il tasso di prevalenza mondiale è tra l’1 e il 7%. Spesso queste persone soffrono anche di altri disturbi in comorbilità come i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità. Nell’adulto la ED sembra rivestire un ruolo essenziale nella presentazione clinica del disturbo. In questa tesi viene presentato uno studio nel quale sono valutate la gravità e le caratteristiche della ED in un campione di pazienti adulti con ADHD, mediante la scala RIPoSt, uno specifico questionario che analizza diverse dimensioni delle variazioni emotive come l’intensità, la reattività, la polarità e la stabilità. Le relazione tra ED e disturbi dell’umore sono studiate confrontando il decorso della malattia, le caratteristiche cliniche e del temperamento a essa associate nei pazienti con elevata e bassa ED (high/low emotional dysregulation, H/LH ED). La regressione lineare multivariata eseguita sul punteggio totale della scala RIPoSt, ha mostrato che il temperamento ciclotimico (p<0.000), il

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disturbo Borderline di personalità (p<0.002), il temperamento ansioso (p<0.000), il temperamento irritabile (p<0.000) e il punteggio totale della scala FAST (p<0.042) risultano significativamente correlati a un elevata ED. Le analisi comparative, per quanto riguarda le caratteristiche demografiche, i pazienti del gruppo ad elevata ED presentavano un età media maggiore rispetto al gruppo con bassa ED. È interessante notare che la gravità della sintomatologia ADHD, misurata utilizzando la scala ASRS, è risultata significativamente più elevata nel gruppo ad alta ED come pure i punteggi medi totali alla scala BIS, alla sottoscala BIS Attenzione e alla sottoscala BIS Motricità. Come atteso, anche i punteggi delle relative sottoscale della TEMPS (temperamento distimico, ciclotimico, irritabile e ansioso), sono risultati significativamente più elevati nel gruppo di pazienti a elevata ED. In questi ultimi risultava più elevata anche la comorbidità con il disturbo bipolare II, il disturbo ciclotimia ed il disturbo Borderline di personalità Circa la metà dei pazienti, in entrambi i gruppi, presentavano disturbi da uso di sostanze.

La disregolazione emotiva, quando presente in associazione all’ADHD, sarebbe quindi l’elemento fondamentale di congiunzione tra i disturbi dell’umore, d’ansia e i comportamenti impulsivi/discontrollati e, potrebbe essere considerata come un sottotipo di disturbo del neurosviluppo con una base neurofisiologica a comune con i disturbi dello spettro bipolare.

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CAPITOLO 1: IL DISTURBO DA DEFICIT

DI ATTENZIONE ED IPERATTIVITÀ

(ADHD)

Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (Attention-Deficit/ Hyperactivity Disorder, ADHD) è un disturbo eterogeneo e complesso, multifattoriale, che nel 70-80% dei casi coesiste con uno o più altri disturbi aggravandone la sintomatologia e rendendo quindi complessa sia la diagnosi sia la terapia. E’ un disturbo ad insorgenza infantile e per molto tempo si è creduto che fosse caratterizzante solo dell’infanzia ma l’evidenza scientifica ha mostrato la sua persistenza nell’età adulta in una % che va dal 10 al 60% (Zametkin 1995, Torralva et al 2010).

La prevalenza nell’età infantile varia dal 3 al 12% (Tamam et al 2008; Kent e Craddock,2003; Wingo e G, 2007) mentre in età adulta è stimata intorno al 4-5% (Tamam et al 2008; Wingo e Gh , 2007; Sobanski et al 2007; Fisher et al 2007).

Nell’infanzia l’ADHD è indicato come più frequente nei maschi che nelle femmine con un rapporto di 5:1 nella maggior arte degli studi. Tuttavia le differenze nella prevalenza e nei tassi diagnostici secondo il sesso diventano molto meno marcata quanto sono più le femmine diagnosticate in età adulta.

Si tratta di un disordine neuropsichico causato da alterazioni funzionali di aree specifiche del Sistema Nervoso Centrale (SNC), in particolare dei circuiti cerebrali che sono alla base dei comportamenti di inibizione e autocontrollo. L’ADHD riguarda l’autocontrollo in quanto il bambino non riesce ad orientare i propri comportamenti rispetto a quanto atteso dall’ambiente esterno e non è in grado di utilizzare i comandi interiori. Il nucleo psicopatologico è caratterizzato da persistente disattenzione e/o impulsività e iperattività motoria che rendono difficoltoso e impediscono il normale sviluppo, l’integrazione e l’adattamento sociale nel bambino con persistenza nell’ adolescenza e nell’età adulta.

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CENNI STORICI E NOSOGRAFIA

La prima descrizione di una sindrome con caratteristiche simili all’ADHD risale al 1798 quando un medico scozzese Alexander Crichton ne parlò nel suo libro “An inquiry into the nature and Origin of mental derangement. Secondo Crichton si trattava di “irrequietezza mentale” e nel descrivere la capacità di attenzione parla di incapacità di partecipare allo stimolo esterno che si traduce in una difficoltà nel mantenere l’attenzione, difetto che egli riteneva connatale e che quindi si rendeva evidente molto precocemente entro il primo periodo della vita. Il disturbo, caratterizzato da facile distraibilità, da iperattività e da impulsività, diveniva conclamato nell’età scolare, quando rendeva il bambino incapace di partecipare alle attività scolastiche. Non di rado, diceva il medico scozzese, questi bambini diventano aggressivi, sino “a rasentare la follia” Crichton, per il quale l'incapacità di mantenere un grado costante di attenzione per qualsiasi oggetto, derivava quasi sempre da una sensibilità patologica o innaturale dei nervi, aveva tuttavia osservato che tale disturbo andava comunque regredendo con l’età. All’inizio del XX secolo (1902) George Still pubblicò su Lancet qualche osservazione su un gruppo di bambini fortemente disturbati, ipercinetici, irrefrenabili, affetti, secondo lui, da una turba neuropsichiatrica organica che chiamò “Deficit di controllo morale ed eccessiva vivacità e distruttività”.i I comportamenti distruttivi, iperattivi e impulsivi associati a disattenzione venivano attribuiti ad un carente sviluppo del controllo morale. Anche Alfred Frank Tredgold (1870 – 1952) nel suo volume Mental deficiency (Amentia) edito a Londra nel 1908, descrisse alcuni casi clinici di bambini con sintomi ascrivibili ad una sindrome simile all’ADHD. I bambini da lui descritti presentavano un elevato grado "di debilità mentale”, forse successiva ad una forma di danno cerebrale, che causava loro una sindrome con anomalie di comportamento e scarso

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encefalite che fece sì che molti pediatri descrivessero un aumento del numero di pazienti con sintomi di iperattività, mancanza di concentrazione e impulsività, ma anche irritabilità comportamento antisociale e rendimento scolastico del tutto insufficiente. Si pensò allora che questi comportamenti con sintomi analoghi a quelli dell’ADHD fossero il risultato di un danno cerebrale da encefalite epidemica. Notarono tuttavia che molti di questi bambini durante lo sviluppo presentavano un intelligenza normale, tanto da ribattezzare negli anni Trenta il disturbo come “minimal brain damage” (Levin, 1938) sebbene non venne riconosciuta alcuna lesione specifica. Altri autori ipotizzarono che la spiegazione più plausibile fosse da ricercare, non in una lesione vera e propria, ma in una non ben precisata Disfunzione Cerebrale Minima causata da intossicazione da piombo (Byers & Lord, 1943), da traumi perinatali (Shirley, 1939) o da infezioni cerebrali (Meyers & Byers, 1952).

Il termine Disfunzione Cerebrale Minima verrà utilizzato poi nel primo volume del Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM I 1952).

Nel DSM II (1968) viene introdotta l’etichetta diagnostica “reazione ipercinetica nell’infanzia” enfatizzando così l’aspetto motorio a scapito di quello cognitivo.

Il DSM-III (APA, 1980) rappresentò una vera e propria rivoluzione nella procedura clinica-diagnostica in quanto includeva un sistema diagnostico orientato in senso evolutivo, strutturato specificatamente per i disturbi dell’infanzia.L’ADHD viene denominato “Disturbo da deficit di attenzione” (ADD) spostando l’attenzione sulla componente cognitiva e rendendola centrale rispetto a quella motoria e comportamentale. Tale mutamento fu reso possibile soprattutto dagli studi di Virginia Douglas (1972, 1979) la quale sottolineava la centralità dei deficit cognitivi rispetto a quelli motori, inquadrati come un epifenomeno dei primi.

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Nel DSM-III (APA, 1980) venivano descritti due sottotipi di ADD: con o senza Iperattività. I sintomi previsti erano 16, suddivisi in tre categorie: disattenzione (5 sintomi), impulsività (6 sintomi) e iperattività (5 sintomi). Secondo tali criteri, il bambino, per essere diagnosticato con DDA, doveva presentare almeno tre sintomi di disattenzione e tre di impulsività; mentre se al DDA si associava l’Iperattività allora dovevano essere presenti almeno altri 2 sintomi.

Nel 1987 fu pubblicato il DSM-III-R, il quale rappresentò forse un arretramento rispetto alla precedente edizione in quanto furono eliminati i sottotipi e fu introdotta l’attuale etichetta Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD). Furono rimosse le tre categorie di sintomi a favore di un’unica lista di 14 comportamenti in cui disattenzione, impulsività e iperattività erano considerati di pari importanza per poter formulare una diagnosi di ADHD. In base al DSM-III-R era sufficiente che il bambino manifestasse almeno 8 sintomi in due contesti per almeno 6 mesi per ricevere una diagnosi di ADHD.

Inoltre viene introdotto il Tipo Residuale per la diagnosi in età adulta. Nel DSM IV (1994) vengono introdotti 3 sottotipi : tipo disattento, tipo iperattivo-impulsivo e tipo combinato; lo stesso soggetto può evolvere da una categoria all’altra manifestando nelle varie fasi d’età le tre differenti dimensioni psicopatologiche in modo variabile. In questa quarta edizione vengono sintetizzati i sintomi e i criteri diagnostici :

A) DISATTENZIONE

Sei o più dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi, con un’intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:

a) spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro, o in altre attività;

b) spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sull’attività di gioco;

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d) spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni);

e) spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività;

f) spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa); g) spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per esempio, giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti);

h) spesso è facilmente distratto da stimoli estranei; i) spesso è sbadato nelle attività quotidiane.

B) IPERATTIVITA’ E IMPULSIVITA’

Sei o più dei seguenti sintomi di iperattività/impulsività sono presenti per almeno 6 mesi con un’intensità che causa disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo:

a) spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia; b) spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto;

c) spesso scorrazza e salta dovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza);

d) spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo;

e) è spesso “sotto pressione”o agisce come se fosse “motorizzato”; f) spesso parla troppo.

g) spesso risponde con impeto alle domande anche quando non sono rivolte a lui o prima ancora che vengano formulate;

h) spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno;

i)spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per esempio, si intromette nelle conversazioni o nei giochi).

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Non si tratta di una condizione che compare da un giorno all’altro: almeno sei di questi sintomi devono persistere per un minimo di sei mesi e in almeno due contesti di vita (ad esempio scuola e famiglia); inoltre per porre diagnosi di disturbo da deficit di attenzione/iperattività è necessario che tali sintomi si manifestino prima dei sette anni di età e soprattutto che compromettano il rendimento scolastico e/o sociale. È altresì necessario che i sintomi non possano essere spiegati da altre condizioni psicologiche come depressione o ansia o da altre patologie che possono mimare i sintomi (come esposto precedentemente).

Nel DSM 5 (2013) viene introdotta una nuova classificazione nella quale l’ADHD è inserito nel capitolo dei Disturbi del Neurosviluppo che comprende Disabilità intellettive, Disturbi della comunicazione, Disturbo dello spettro autistico, Disturbo specifico dell’apprendimento e Disturbo del movimento. Sono una serie di condizioni con esordio nel periodo dello sviluppo, i disturbi si manifestano nelle prime fasi dello sviluppo spesso prima che il bambino inizi la scuola elementare. Il deficit dello sviluppo causa una compromissione del funzionamento personale, sociale, scolastico o lavorativo.

Il DSM 5 definisce l’ADHD come “ pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo” e rispetto al DSM IV apporta una serie di modifiche quali: - viene mantenuta la divisione in manifestazioni(non più sottotipi) con Disattenzione predominante, con Iperattività/Impulsività predominante, Combinata. Le 3 manifestazioni non sono stabili nel tempo ma anzi possono alternarsi durante la vita del paziente.

- viene data rilevanza al livello di gravità distinto in lieve, medio e grave.

-l’età di insorgenza della patologia viene innalzata da 7 a 12 anni in quanto alcuni sintomi di iperattività-impulsività sono presenti prima dei 12 anni.

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- l’ADHD ha carattere di pervasività in tutti gli ambiti di vita della persona, anche nell’età adulta. La sindrome non svanisce è presente in adolescenti ed adulti , se ne può fare diagnosi e si possono richiedere cure nell’arco di tutta la vita.

- i criteri per i sintomi sono gli stessi del DSM IV. Per adolescenti ed adulti ci vogliono meno sintomi per la diagnosi (almeno 5 e non 6) e i sintomi erano già presenti durante l’infanzia.

- i sintomi non devono essere solamente essere manifestazione di un comportamento oppositivo

- la disattenzione a livello comportamentale deve essere individuata come divagazione di un compito e mancanza di perseveranza e non come atteggiamento di sfida.

- è possibile fare diagnosi di ADHD e autismo.

Per quanto riguarda la storia dell’ADHD nell’adulto i riferimenti sono minori (Barkley, 2008). George Still già citato prima è stato il primo a formulare l’ipotesi che gli adulti potessero essere affetti da ADHD come conseguenza della cronicizzazione della sintomatologia disattenta ed iperattivo-impulsiva presente dall’infanzia (Barkley, 2008). A sostegno dell’ipotesi di Still ci sono studi risalenti a fine degli anni sessanta che dimostravano la persistenza dei sintomi di iperattività e di “minimal brain damage” in molti soggetti adulti (Mendelson et al., 1971).

Successivamente altri autori hanno dimostrato come i genitori di bambini iperattivi fossero stati a loro volta iperattivi in età infantile. Da adulti erano più spesso affetti da sociopatia isteria e alcolismo (Cantwell, 1975; Stewart e Morrison, 1973).

Il primo studio di neuro-imaging in soggetti adulti con ADHD condotto da Zamektin (Zamektin et al.,1990) ebbe importanza storica. Dai risultati emergeva una riduzione globale del metabolismo cerebrale negli adulti iperattivi, in particolare a carico della corteccia premotoria e prefrontale superiore. Grazie a questo lavoro a partire dai primi anni 90 l’ADHD è

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stato riconosciuto come un disturbo psichiatrico dell’adulto (Spencer et al, 1994).

Successivamente nel 1995 Wender sviluppa i criteri diagnostici per l’adulto : i criteri di UTAH che verrano descritti più avanti. Anche questi criteri mostravano elementi di criticità in quanto escludevano dalla diagnosi di ADHD le comorbidità come depressione maggiore, psicosi, o disturbi di personalità.

EZIOLOGIA E CAUSE DEL DISTURBO

L’ADHD è un disturbo ad eziologia multifattoriale sebbene l’ambiente giochi un importante ruolo di mantenimento, le cause di natura biologica sembrano essere prevalenti. L’ipotesi più accreditata è che il bambino nasca con una predisposizione a sviluppare i comportamenti tipici del disturbo la cui gravità e tipologia di manifestazione sintomatologica è in funzione della situazione ambientale in cui il piccolo vive (Douglas 1984).

I fattori responsabili possono essere diversi: genetici, ambientali e neurobiologici.

FATTORI GENETICI

La componente ereditaria del disturbo è stata documentata per mezzo di molti studi volti ad individuare soprattutto la percentuale di casi di ADHD in famiglie con figli adottivi, con gemelli eterozigoti ed omozigoti (Hechtman,1996; Faraone et al, 1994). Da questi studi è emerso che, in una coppia di gemelli omozigoti, qualora uno sia portatore di ADHD, l'altro ha una probabilità che oscilla tra il 50% e l'80% di manifestare lo stesso disturbo. Nei casi di fratelli eterozigoti invece, il rischio sembra ridursi al 30%. I deficit da Disattenzione ed Iperattività tuttavia, non sono gli unici disturbi mentali che possono ricorrere in una

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depressione ed altri disturbi psichiatrici risultano spesso essere presenti in altri membri della famiglia, ad indicare una probabile natura comune di questi diversi disturbi. Sono diverse le mutazioni genetiche coinvolte nella sua eziologia. Tra di esse emergono quelle a carico del gene DRD4 e del gene SLC6A3, entrambi molto attivi soprattutto nelle cellule della corteccia prefrontale, in quelle dei nuclei della base e nelle cellule delle aree limbiche ed entrambi coinvolti nella trasmissione sinaptica che prevede l'utilizzo della dopamina (Di Maio et al, 2003). Il gene DRD4, situato sul cromosoma 11, è deputato alla codifica del recettore D4, una proteina presente sulle membrane delle cellule cerebrali. Questa proteina è molto importante ai fini della trasmissione sinaptica dopaminergica: mutazioni di questo gene, quindi, possono codificare recettori meno sensibili per la dopamina, alterando così la trasmissione sinaptica all'interno del cervello e quindi di tutta quella complessa rete di informazioni ad essa sottostante. Mutazioni di questo gene, tuttavia, non sono sufficienti a spiegare l'origine del disturbo in quanto mentre non sono state riscontrate in tutti i bambini che ne soffrono, (in circa il 51% dei casi), risultano essere presenti anche nel 21% di bambini normali. Il gene SLC6A3, la cui mutazione è stata frequentemente riscontrata nei bambini con ADHD, è situato sul cromosoma 5 ed è deputato alla codifica di una molecola (denominata DAT) anch'essa molto importante nella trasmissione sinaptica mediata dalla dopamina. Questa molecola, infatti, è responsabile del trasporto e della riassunzione del neurotrasmettitore, dopo che questo è stato secreto dal neurone presinaptico per legarsi al neurone post-sinaptico e permettere così il trasferimento dell'informazione. Mutazioni di questo gene, quindi, possono codificare molecole trasportatrici della dopamina eccessivamente attive, eliminando il neurotrasmettitore secreto prima che esso abbia la possibilità di legarsi agli specifici recettori situati sul neurone post-sinaptico. Mutazioni a carico di questo gene, però, come per il gene DRD4, non sono state riscontrate in tutti i bambini con

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ADHD, a dimostrare che probabilmente altri fattori, sia di natura genetica che ambientale (come dimostrano le ricerche effettuate sui fratelli omozigoti), concorrono nel determinare l'insorgenza del disturbo.

FATTORI AMBIENTALI

I fattori ambientali costituiscono il 10-30 % delle cause dell’ADHD (Goodman e Stevenson, 1989). Numerosi sono stati gli aspetti dell’ambiente sociale e biologico esaminati dai ricercatori quali rischi potenziali o fattori di mantenimento, tuttavia, anche se diversi elementi appaiono sufficientemente implicati nell’eziologia di esso, nessuno è mai emerso come unica causa che ne provochi l’insorgenza. In ogni modo, le particolari condizioni ambientali, oltre a giocare un ruolo di rilievo nell’eziologia dell’ADHD, sono coinvolte anche secondariamente in seguito agli insuccessi scolastici e di socializzazione cui questi bambini si imbattono: frustrazioni in ambito relazionale e scolastico spesso determinano disturbi comportamentali secondari che accentuano e confondono i sintomi primari di iperattività ed impulsività della sindrome. Tra i fattori ambientali maggiormente coinvolti nell'eziologia dell’ADHD, sembrano prevalere il fumo durante i mesi di gestazione, complicazioni prenatali, perinatali e postnatali ed un basso peso ponderale alle nascita.

La nicotina è una sostanza che può provocare ipossia all'interno del cervello del nascituro e, come accade nei pazienti con ADHD può interferire con la trasmissione dopaminergica cerebrale, alterando così il sistema di controllo attentivo e comportamentale mediato da questo neurotrasmettitore (Zhu et al, 2014).

Tra le complicazioni durante la gestazione, il parto ed i primi momenti di vita del nascituro sono segnalate: malattie materne, stress fetali, ridotta o eccessiva durata della gravidanza, emorragie pre-parto, ipossia, anossia

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(inferiore a 1500gr) (Orgill et al., 1982; Ross et al., 1985). Queste complicazioni rischiano di incidere negativamente sul sistema nervoso centrale in seguito ai danni che esse provocano nelle aree corticali durante i periodi critici del loro sviluppo.

FATTORI NEUROBIOLOGICI

Tripp and Wickens 2009

La causa neurobiologica è da ricercare nella disfunzione di alcune aree e di alcuni circuiti del cervello. Il circuito specifico coinvolto nell’espressione dei sintomi dell’ADHD parte dalla corteccia prefrontale passa dal sistema limbico , per i gangli della base a arriva fino al cervelletto.

Le anormalità si riscontrano nelle aree frontali e pre-frontali che sono una delle ultime aree a maturare. Queste aree sono coinvolte nella concentrazione, nel prendere decisioni, nella pianificazione,

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nell’imparare a ricordare quello che abbiamo imparato, nell’avere comportamenti appropriati in situazioni nelle quali sono richiesti.

Altre aree disfunzionali sono i gangli alla base coinvolti nel movimento e nel controllo motorio. I gangli alla base sono influenzati dalla dopamina che determina come essi comunichino col resto del cervello.

Le anormalità sono riscontrate anche nel cervelletto che è responsabile della correzione del movimento e delle sequenze di movimenti specializzati.

L’area frontale maggiormente coinvolta nei processi cognitivi e comportamentali è la corteccia prefrontale. Attraverso numerose fibre di connessione, è in comunicazione diretta con quasi tutte le aree encefaliche e gioca un ruolo vitale in molte funzioni cerebrali, tra le quali programmazione del pensiero e del comportamento, mantenimento dell’attenzione, capacità di giudizio ed astrazione, motivazione, espressione dell’emotività, inibizione di comportamenti socialmente inappropriati. In particolare, è il complesso sistema di connessioni tra la corteccia prefrontale ed nuclei della base a giocare un ruolo preminente nella regolazione della funzione motoria e del comportamento (Banich M.T., 1998). La corteccia prefrontale, infatti, dopo aver ricevuto ordini sensoriali di alto livello dalle aree corticali di associazione (Canada C. & P.S. Goldman-Rakic1989) esercita un controllo inibitorio sul movimento inviando l'informazione al nucleo caudato (Goldman-Rakic P.S. & W.J.H. Nauta, 1977). Quest'ultimo proietta l’informazione al globo pallido, che a sua volta rimanda il feedback alla corteccia prefrontale in una rete di connessioni che attraversano i nuclei talamici (Middleton F.A. & P.L. Strick1994). Già Luria, nel 1962, provò che la capacità di mantenere nel tempo attenzione focalizzata era correlata al funzionamento del lobo frontale. Nei bambini con ADHD sono state riscontrate anormalità morfologiche e funzionali proprio in quelle regioni encefaliche normalmente coinvolte nel controllo dei processi attentivi e

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ricercatori hanno potuto rilevare che la corteccia frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato e globo pallido) dei bambini con ADHD risultano più piccoli rispetto a quelli dei bambini del gruppo di controllo e che tali differenze risultano maggiori nell’emisfero destro (Castellanos et al, 1996; Mataro et al., 1997). Un volume corticale ridotto è stato osservato anche nelle aree parieto-occipitali posteriori in adolescenti maschi in confronto al gruppo di controllo (Filipek, et al.,1997).

In uno studio del 1996, Castellanos e Rapoport e i loro colleghi del National Institute of Mental Health, hanno scoperto che la corteccia pre-frontale destra e due gangli basali, il nucleo caudato e il globo pallido, sono significativamente meno estesi del normale nei bambini affetti da ADHD.

Nel bambino lo sviluppo dello spessore corticale normale ha il suo picco evolutivo a 8-10 anni. (Shaw et al, 2008). Attraverso la risonanza magnetica strutturale si è potuto vedere che i bambini con ADHD hanno il picco evolutivo dello sviluppo corticale spostato di 2 anni in ritardo rispetto allo sviluppo tipico causando un ritardo dello sviluppo delle aree corticali (prefrontali, parietali e temporali) .

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Nel grafico possiamo visualizzare la curva dello sviluppo tipico in BLU , quella dello sviluppo ADHD in VERDE e quella dell’autismo in ROSSO. Si può notare il ritardo di sviluppo dei bambini ADHD e la crescita dello spessore corticale precoce nei bambini con autismo con una brusca e precoce discesa. Age (yrs) Cortic al di m ens ions (vol um e/thi ck nes s) Autism Typically developing children 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16

Trajectory disturbances and neuropsychiatric disorders

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CAPITOLO 2: ADHD IN ETA’ EVOLUTIVA

SINTOMI

I sintomi che presenta il bambino con ADHD non sono causati da deficit cognitivo (ritardo mentale), ma da difficoltà oggettive nell'autocontrollo e nella capacità di pianificazione, sono persistenti in tutti i contesti e situazioni di vita del bambino causando una limitazione significativa delle attività quotidiane.

DISATTENZIONE

L'inattenzione o facile distraibilità tende a presentarsi in particolare come scarsa cura per i dettagli ed incapacità a portare a termine compiti o giochi intrapresi e questo si manifesta in particolare all’interno del contesto scolastico. Appaiono distratti, non sanno cosa sta succedendo in classe, sembrano non ascoltare anche quando gli viene parlato direttamente. La difficoltà ad apprendere che coinvolge non solo le abilità scolastiche ma anche quelle sociali è dovuto alla compromissione dell'attenzione focale (capacità di prestare attenzione su uno stimolo determinato, trascurando i particolari irrilevanti e non utili al compito in corso) e dell'attenzione sostenuta ovvero della capacità di mantenere l'attenzione attiva nel tempo durante lo svolgimento di attività scolastiche, nei compiti a casa, nel gioco o in semplici attività quotidiane.

IMPULSIVITA’

L'impulsività si manifesta come incapacità di rimandare nel tempo la risposta ad uno stimolo esterno o interno per cui hanno difficoltà a posticipare una gratificazione e ad impegnarsi per ottenere un premio lontano nel tempo. Alcuni autori definiscono il concetto di impulsività in termini propriamente comportamentali, sostenendo che i bambini iperattivi preferiscono la ricompensa immediata e sono motivati dalla necessità di mantenere un livello minimo di attesa (Sonuga-Barke et al.

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1996). Ciò non implica un deficit cognitivo nel controllo dei comportamenti impulsivi, ma determinerebbe una sorta di atteggiamento di avversione nei confronti di periodi di attesa prima di agire.

Barkley (1997a) ha invece dimostrato che il comportamento scarsamente controllato dai bambini con ADHD può essere spiegato da deficit che riguardano l’inibizione comportamentale. Secondo tale modello i bambini con ADHD hanno difficoltà nell’inibire una risposta predominante, (una risposta precedentemente associata ad un rinforzo); hanno difficoltà nel fermarsi in corrispondenza di risposte che possiedono uno spazio temporale (a causa di questa difficoltà, non possono permettersi una dilazione nel fornire risposte più appropriate quando considerano dei compiti alla loro portata e pensano di fornire o sviluppare nuove e più appropriate risposte); hanno delle difficoltà nel controllare le interferenze, cioè quando devono proteggere le loro risposte da stimoli esterni in concorrenza con lo schema comportamentale principale richiesto.

I bambini con ADHD hanno quindi scarsa capacità di autocontrollo, sono precipitosi e invadenti, rispondono sempre senza riflettere, interrompono frequentemente gli altri mentre stanno parlando, non riescono quasi mai ad aspettare il proprio turno nelle attività quotidiane o nei giochi. Spesso questa impulsività li porta ad agire senza pensare alle conseguenze lasciandosi coinvolgere in attività pericolose che possono provocare danni fisici a sé stessi o ad altri. Il rapporto con i genitori e gli insegnati è difficile ed è necessaria una vigilanza continua. I comportamenti imprudenti sono a volte motivati dalla ricerca dell’approvazione dei coetanei e a volte solo da semplice curiosità e nel tempo si hanno sempre più difficoltà nello stabilire relazioni con gli altri che sono infastiditi dai loro comportamenti.

IPERATTIVITA’

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movimenti che riguardano il corpo (es. irrequietezza) e non sono determinati da una predisposizione del soggetto alla motricità (Taylor 1994). Alcuni studiosi, utilizzando le misurazioni meccaniche dei movimenti di bambini iperattivi, hanno dimostrato che questi bambini fanno più movimenti di quelli non iperattivi (Taylor et al. 1991). Questo eccesso di movimenti sembra non essere una funzione secondaria della distraibilità, poiché è stato osservato lo stesso eccesso di movimenti durante il giorno (Taylor et al. 1991) e durante le ore di sonno (Porrino et al. 1983), ovvero quando non viene richiesta attenzione o non viene richiesto nessun controllo comportamentale.

I bambini ADHD vengono descritti "come mossi da un motorino", non riescono a star fermi, se seduti si muovono con le mani o i piedi, hanno frequentemente l'esigenza di alzarsi e muoversi senza uno scopo o un obiettivo preciso. Queste difficoltà diventano molto evidenti quando i bambini iniziano a frequentare la scuola. Nel contesto scolastico gli viene richiesto di stare seduti e fermi, di impegnarsi in compiti e di portarli a termine i bambini iperattivi non si siedono quando dovrebbero e comunque quando lo fanno non vi rimangono a lungo e le mani e i piedi sono in continuo movimento. Sono anche molto disorganizzati, dimenticano spesso o perdono il materiale scolastico, chiacchierano in classe ed infastidiscono i compagni. In assenza di un supervisore adulto, mostrano un rapido raggiungimento di un elevato livello di "stanchezza" e di noia che si evidenzia con frequenti spostamenti da un'attività, non completata, ad un'altra, perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine qualsiasi compito o gioco protratti nel tempo.

A questo si accompagna una sensazione interna soggettiva, di tensione, pressione, instabilità, che deve essere scaricata tale sensazione soggettiva diventa spesso prevalente in adolescenza o in età adulta.


Singolarmente questi sintomi possono essere presenti in ogni bambino, quando però questi comportamenti sono persistenti in tutti i contesti in modo costante possono compromettere le capacità di pianificazione ed

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esecuzione di procedure complesse. La capacità di inibire alcune risposte motorie ed emotiva a stimoli esterni, al fine di permettere la prosecuzione delle attività in corso (autocontrollo) è fondamentale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Per raggiungere un obiettivo nello studio o nel gioco, occorre essere in grado di ricordare lo scopo, di definire ciò che serve per raggiungere quell’obiettivo, di tenere a freno le emozioni e di motivarsi. Durante lo sviluppo la maggior parte dei bambini matura le capacità di impegnarsi in attività mentali che li aiutino a non distrarsi , a ricordare gli obiettivi ed a compiere i passi necessari per raggiungerli (funzioni esecutive) (Barkley, 1998)

L’incapacità di autocontrollo e di interiorizzazione delle regole porta ad avere uno scarso rendimento scolastico e all’isolamento sociale del bambino e del suo nucleo familiare..

A scuola il bambino subisce rimproveri dagli insegnanti ma anche dagli altri bambini che non sopportano il suo comportamento e questi producono nel bambino una scarsa stima di sé e rinforzano i comportamenti negativi. Il bambino può apparire spavaldo e provocatorio anche se in realtà nasconde un profondo disagio. Questi fallimenti (familiari, scolastici e sociali) accumulati dal bambino possono favorire l’insorgere di tratti oppositivi e provocatori nella manifestazione con predominante impulsività ed iperattività che possono sfociare in Disturbo della Condotta (DC) o Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP).

COMORBIDITA’

L’ADHD è un possibile precursore sia dei disturbi dirompenti che dei disturbi affettivi in quanto è generalmente il primo disturbo a manifestarsi e giustifica gran parte del quadro clinico, per questo la sua cura determina un cambiamento significativo. L’ADHD influenza i quadri clinici con i quali si associa in comorbidità: ne aumenta il rischio,

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l’esordio è più precoce, l’evoluzione più grave e persistente e peggiora la risposta ai trattamenti.

Secondo molte ricerche il 70% dei bambini con ADHD presenta un disturbo associato per questo risulta necessario un attento processo diagnostico vista la disomogeneità del disturbo. Vi sono diverse forme in comorbilità suddivise in sotto gruppi omogenei di pazienti con fenomenologia e gravità diverse.

I tre sintomi cardine ( iperattività, impulsività e disattenzione), ad un diverso grado di intensità, possono essere parte integrante del quadro clinico oppure essere in quadri clinici che si associano all’ADHD (comorbilità) oppure essere presenti in quadri clinici che simulano l’ADHD (diagnosi differenziale).

Le difficoltà più comuni, associate all’ADHD, sono l’oppositività e la condotta. Nell’insieme gli studi suggeriscono che il 40-90% dei bambini con ADHD soddisfa i criteri diagnostici per il Disturbo Oppositivo Provocatorio o per il Disturbo della Condotta (Tannock 1998). Il 50-60% dei bambini ADHD ha in comorbilità un DOP, si tratta di bambini collerici che polemizzano con gli adulti, rifiutano di adattarsi agli schemi sociali e manifestano questo disagio rendendosi fastidiosi, ostili e negativi. Tali difficoltà comportamentali spesso persistono fino all’adolescenza, le stime indicano che il 68% degli adolescenti con ADHD hanno anche un Disturbo Oppositivo Provocatorio (Barkley et al. 1991). Spesso è difficile distinguere gli atti volitivi di non compliance dalle caratteristiche dell’impulsività, ovvero da quegli atteggiamenti non curanti nei confronti delle regole. I bambini con ADHD non sono in grado di conformarsi alle richieste semplicemente perché dimenticano le istruzioni complete o perché hanno delle difficoltà ad inibire le risposte. I bambini posso presentare una combinazione di entrambi i tipi di non compliance. Le ricerche longitudinali suggeriscono che l’ADHD è un fattore di rischio per il Disturbo della Condotta (Loeber et al. 1994). Il 30-45% dei bambini con ADHD manifesta DC, si tratta di bambini

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aggressivi nei confronti degli altri, che mettono in atto comportamenti distruttivi e reati quali furti, sono falsi, e tendono a violare continuamente marcata le regole, nella metà dei casi si hanno veri e propri problemi nelle abilità sociali. Queste scoperte sottolineano la necessità di identificare precocemente i segni di un Disturbo della Condotta, come ad esempio l’aggressività, come aree bersaglio durante il trattamento. Sono associate all’ADHD anche delle difficoltà scolastiche (Cantwell e Baker 1991).

Oltre un terzo dei bambini diagnosticati clinicamente con ADHD hanno anche un disturbo dell’apprendimento (August e Garfinkel 1990). Nelle difficoltà cognitive rientrano in percentuale molto alta le difficoltà di apprendimento comprese nei Disturbi Specifici dell’apprendimento quali dislessia , disortografia , disgrafia e discalculia.

Pur avendo le stesse abilità intellettive dei loro coetanei hanno prestazioni scolastiche inferiori legate alla difficoltà attentiva, al comportamento iperattivo e all’impulsività che compromettono la capacità di apprendere. Il comportamento disattento e impulsivo può rendere scarsa la performance del bambino a scuola, rispetto al livello generale della classe, sebbene sia ancora da chiarire se la relazione tra ADHD e disturbo di apprendimento. Se tali difficoltà specifiche non vengono identificate precocemente durante la valutazione iniziale, allora il trattamento, che si prefigge di diminuire i comportamenti iperattivi all’interno della classe, non otterrà i miglioramenti prefissati.

Per quanto riguarda la sfera emotiva i disturbi che potrebbero manifestarsi sono di tipo ansioso o depressivo.

Il bambino vive un profondo disagio per il suo disturbo: è considerato insopportabile e allontanato dagli altri quando vorrebbe essere solo come loro. I continui fallimenti nei vari ambiti della vita lo portano ad avere una bassa autostima che non fa altro che rafforzare i comportamenti disturbanti e impedire il cambiamento. Se non viene compreso, accettato

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sviluppare in età dei tratti ansiosi legati all’insicurezza derivante dai continui fallimenti in ambito scolastico e sociale. Alcuni possono sviluppare anche disturbi dell’umore e in tal caso si è visto che interrompono un’attività prima degli altri, hanno una maggiore predisposizione a sviluppare sfiducia nelle proprie capacità e un atteggiamento depressivo.

Le difficoltà nell’interazione sociale sono molto evidenti nei bambini ADHD che vengono spesso rifiutati dai compagni e valutati negativamente dagli insegnanti. Nel contesto scolastico e ludico hanno comportamenti negativi, scarsa interazione con i compagni, ritiro sociale seguito da aggressività. Non sono cooperativi, sono intrusivi e a volte anche aggressivi e provocatori. Molto spesso non sono consapevoli dei comportamenti aggressivi che compiono e risultano sinceramente sorpresi dagli esiti negativi delle loro azioni. L’impulsività insieme al deficit di attenzione sono la causa principale della loro difficoltà nelle relazioni interpersonali. La prima li rende incapaci di controllare le proprie reazioni e quindi di adeguarsi alle richieste dell’ambiente di considerare il punto di vista altrui. Il deficit di attenzione li porta ad avere difficoltà ad apprendere con facilità i ruoli sociali e a capire le regole sociali.

I sintomi d’ansia e depressione si presentano come risultato di una persistente preoccupazione/demoralizzazione per i problemi legati all’ADHD quali bassa autostima, timori sulla propria abilità, preoccupazioni sul futuro e necessità rassicurazioni.

I disturbi d’ansia sono in comorbidità nel 30% degli ADHD con una maggiore frequenza nelle femmine rispetto ai maschi e più frequenza nelle forme inattentive. La dimensione ansiosa attenua l’impulsività. Una parte di soggetti diagnosticati con la forma di ADHD inattentiva che quindi non presenta iperattività ma sintomi puri di inattentività, presentano il fenomeno dello “sluggish cognitive tempo” (SCT) che permane in età adulta. Lo SCT non è altro che la lentezza cognitiva

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presente in questi soggetti. Essi presentano sintomi considerati complementari all’ADHD: non iperattivi , estroversi, intrusivi e amanti del rischio ma sono introspettivi e sognanti, si trascurano, sono poco motivati , mancano di energia nelle attività quotidiane. Inoltre la loro timidezza e lentezza possono essere interpretati come distacco e disinteresse. Questo li porta ad essere ignorati nei gruppi.

Rispetto agli ADHD hanno minor DOP e DC ma maggiori sintomi internalizzanti, ritiro sociale e passività sociale.

DIAGNOSI

Fare diagnosi di ADHD non è semplice in quanto non esistono test diagnostici di per sé sufficienti a identificarlo e i suoi sintomi sono presenti in tutti i bambini in forma e durata diversa, legati a fattori di sviluppo o a situazioni temporanee, oppure dovuti a problematiche psicologiche .

La diagnosi è essenzialmente clinica e si basa sulla raccolta di informazioni provenienti da molteplici fonti: in special modo questionari compilati da genitori ed insegnanti e osservazione diretta. Molto importante è che vengano riportati allo specialista dagli insegnanti e dai genitori tutti i risvolti della vita familiare e scolastica collegati al comportamento del bambino. E’importante l’intervista ai genitori che forniranno informazioni sulla storia dello sviluppo prenatale e della prima infanzia e le eventuali patologie pregresse oltre alla presenza di familiari con ADHD.

Le informazioni che forniscono gli insegnanti riguardano il comportamento a scuola del bambino, il suo andamento scolastico, le sue relazioni sociali e le sue modalità di adattamento.

Non è facile riconoscere l’ADHD in età prescolare (età 3-6 anni): molti bambini presentano una marcata iperattività, crisi di rabbia (tempeste affettive), un gioco prevalentemente motorio e litigiosità, provocarietà,

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assenza di paura ma la maggior parte di questi non svilupperanno un ADHD.

È durante la scuola elementare (età 6-12 anni) che avviene più frequentemente la prima diagnosi, per una serie di sintomi che differenziano il bambino ADHD dai suoi coetanei : evidente presenza di sintomi cognitivi, quali disattenzione, facile distraibilità, impulsività, difficoltà scolastiche, evitamento di compiti prolungati, reazioni impulsive, rifiuto da parte dei compagni, comportamento oppositivo provocatorio.

Il bambino è distratto, fatica a concentrarsi, non riesce a portare a termine le azioni intraprese, evita le attività che richiedono attenzione, perde oggetti significativi o si dimentica attività importanti. Tende a passare rapidamente da un’attività all’altra, non riesce ad aspettare il proprio turno in situazioni di gioco e/o di gruppo. Ha difficoltà a rispettare le regole, i tempi e gli spazi dei compagni, fa fatica a restare seduto.

Dopo i 7 anni è possibile fare un intervista col bambino per ottenere informazioni sul rapporto con i familiari, con i coetanei e l’andamento scolastico dal suo punto di vista, la possibile presenza di problemi emotivi e dell’autostima.

E’ necessaria una valutazione comportamentale in almeno 2 contesti di vita del bambino: famiglia e scuola.

La Batteria Italiana per l’ ADHD (Marzocchi, et al., 2010) sintetizza in 4 fasi la procedura diagnostica :

1. La raccolta di informazioni da più fonti utilizzando diversi strumenti quali interviste semi-strutturate e questionari standardizzati.

2. Intervista al bambino per capire la sua consapevolezza del disturbo.

3. La valutazione neuropsicologica.

4. Un’osservazione clinica del bambino in un contesto familiare come casa o scuola.

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Particolarmente delicati diventano quindi la diagnosi differenziale e le diagnosi di comorbidità. La prima diagnosi differenziale è quella tra la patologia e la normalità. Anche L’ADHD infatti, come diverse altre patologie (psichiche e non), si sviluppa su un continuum che va dal normale al patologico. E’ necessario individuare una soglia di rilevanza clinica oltre la quale si può fare una diagnosi di deficit di attenzione. Tale soglia è solitamente rappresentata dalla compromissione funzionale che il disturbo comporta, anche se non bisogna dimenticare che essa dipende dal contesto socio-culturale in cui l’individuo è inserito. Criteri diagnostici orientativi sono: la precocità di esordio, la persistenza dei sintomi (almeno sei mesi), la pervasività (diversi ambienti), l’intensità, la finalizzazione di iperattività- impulsività, l’interferenza funzionale con i contesti di vita quotidiani. Situazioni cliniche che invece possono indurre ad una erronea diagnosi di ADHD sono: quadri reattive a sfavorevoli condizioni ambientali (contesto ambientale degradato, contesto familiare caotico, condizioni educative incongrue, inadeguatezza scolastica, psicopatologia familiare, problemi familiari situazionali), disturbi neuroevolutibi (deficit sensoriali, del linguaggio, dell’apprendimento o ritardo mentale più o meno grave), affezioni sistemiche o a carico del SNC (epilessia, esiti di traumi cranici, nascita pretermine, disturbitiroidei, affezioni dermatologiche, disturbi del sonno, manifestazioni iatrogene ad es. da barbiturici o antiepilettici, abuso di sostanze).

Un ulteriore punto estremamente delicato è la diagnosi differenziale e/o di comorbidità con altre psicopatologie.

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S T R U M E N T I D I V A L U T A Z I O N E

DIAGNOSTICA

Come abbiamo già detto non esistono strumenti specifici per la diagnosi di ADHD. I principali strumenti a disposizione sono: questionari, interviste, osservazione strutturata, test cognitivi e neuropsicologici. La BIA (Batteria Italiana per l’ADHD) (Marzocchi, et al., 2010) è una raccolta di strumenti utilizzati in Italia. Consiste in 7 test e dei questionari per indagare i problemi dell’Adhd. Include 5 categorie di strumenti: questionari per la valutazione del comportamento del bambino nei suoi contesti di vita, casa e scuola (SDAI, SDAG,SDAB e COM), test per l’attenzione sostenuta visiva e uditiva (CP e TAU), test per la valutazione del comportamento impulsivo, test per la valutazione dei processi di controllo (Test delle Ranette, Test di Stroop), test di Memoria Strategica Verbale.

Per quanto riguardano i questionari per individuare i comportamenti di disattenzione e iperattività abbiamo le scale SDAI per gli insegnanti, SDAG per i genitori, SDAB per i bambini elaborate nel 1996 da Cornoldi. Le scale SDAI e SDAG contengono 18 item, 9 sulla disattenzione e 9 sull’iperattività con una valutazione da 0 a 3 da mai a molto spesso. La scala SDAB è formata da 14 item.

Queste scale sono di facile somministrazione e molto concise ma non sono sufficienti per stabilire la presenza del disturbo. Per completare il quadro e raccogliere informazioni su eventuali comorbidità con l’Adhd sono state elaborate le scale COM (Cornoldi e al., 2004). Il questionario COM è composto da 30 item ed è diviso in 6 aree, che indagano le sindromi più frequentemente associate all'ADHD: Disturbo Oppositivo Provocatorio, Disturbo di Condotta, disturbi della sfera autistica, disturbi d'ansia, disturbi dell'umore e sindrome di Tourette. Esistono due versioni, una per insegnanti e una per genitori. È un questionario composto da 30 item: 5 di controllo e 25 relativi a comportamenti lievemente disadattativi e difficoltà comunicative.

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A livello internazionale sono molto utilizzate le Scale di Conners (Conners, 1997) che sono significativamente specifiche per la valutazione dei sintomi dell’ADHD. Le due scale una per genitori e una per insegnanti indagano gli aspetti relativi a : disattenzione, aggressività, impulsività, iperattività, disturbi psicosomatici e problemi legati all’ansia.

Un altro strumento diffuso a livello mondiale per valutare le problematiche generali del bambino è la Child Behaviour Checklist (CBCL) (Achenbach, 1991) che è un questionario, compilato dai genitori, che valuta le competenze sociali e i problemi emotivo-comportamentali di bambini ed adolescenti di età compresa tra i 6 e i 18 anni.

Esistono versioni parallele dello strumento: il Teacher Report Form (TRF) (Achenbach, 1991) compilato dagli insegnanti e il Youth Self Report (YSR) (Achenbach, 1991) compilato, a partire dagli undici anni, dai ragazzi stessi.

Attraverso il questionario è possibile ottenere informazioni importanti riguardo le competenze del bambino in attività sportive, scolastiche, sociali e sulla capacità di lavoro e gioco da solo. Inoltre è possibile evidenziare i disturbi internalizzanti come ritiro sociale, sintomi somatici, ansia-depressione e problemi sociali e quelli esternalizzanti definibili come delinquenza e aggressività.

Altre scale utilizzate sono le ADHD RATING SCALE-IV (versione italiana curata da Marzocchi e Cornoldi) che consentono di valutare anche il disturbo della condotta.

Le interviste cliniche verificano l’attendibilità delle informazioni fornite dai genitori e dagli insegnanti sul comportamento del bambino.

In Italia le più utilizzate sono : la Schedule of affective disorders and schizophrenia SADS (Kaufman et al, 2004)) per indagare le problematiche emotive, la Parent interview for chili symptoms

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dell’Adhd e la Diagnostic interview for children and adolescents (DICA) (Reich, 2000) che valuta tutte le psicopatologie infantili e adolescenziali. La SADS consiste in 4 sezioni: l’intervista introduttiva, l’intervista diagnostica di screening, i supplementi diagnostici ed il C-GAS (Shaffer et al, 1983)

L’intervista introduttiva dura 15 minuti e vengono raccolti i dati anamnestici e demografici, i dati relativi l’andamento scolastico, le relazioni con famiglia, coetanei ed eventuali disturbi psichiatrici.

L’intervista diagnostica di screening include i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, del comportamento, psicosi e il disturbo da uso di sostanze.

I supplementi diagnostici vengono usati se nell’intervista di screening si ottengono punteggi tali da essere ignorati.

Il C-GAS (Children Global Assessment Scale) è utile per misurare il grado di funzionamento globale secondo i genitori e secondo il bambino, su una scala che va da 0 (maggiore compromissione) a 100( migliore salute). Un punteggio maggiore di 60 indica il limite della norma.

La DICA è un’intervista strutturata della quale esistono diverse versioni: una per bambini da 6 a 12 anni, una per adolescenti ed un’altra per i genitori.

TEST COGNITIVI E NEUROPSICOLOGICI

La valutazione neuropsicologica ha lo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, delineare il profilo funzionale, effettuare una diagnosi differenziale e creare le premesse per l’intervento riabilitativo cognitivo. Le aree indagate tramite i test sono: le abilità cognitive, l’attenzione sostenuta, l’impulsività, la pianificazione e l’uso di strategie e l’inibizione.

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-la prova del Go no Go che consiste nel premere un tasto alla visione della X su uno schermo e di non premerlo se compare O.

-il Completamento Alternativo di Frasi nel quale bisogna completare delle frasi con parole semanticamente non collegate alla frase pronunciata dall’esaminatore.

-il test di Stroop nel quale le risposte possibili ad uno stimolo sono incompatibili ma quella che non si deve dare è più spontanea. Consiste nella presentazione di nomi di colore e bisogna rispondere col colore in cui sono scritti e non leggendo il nome del colore.

-il CPT Continuous Performance Test nel quale vengono presentate singole lettere in successione nel computer e il bambino deve prendere un tasto quando compare la coppia lettere-bersaglio. Più omissioni indicano il calo del livello di vigilanza, i falsi positivi indicano il grado di impulsività.

-il Matching Familiar Figure Test che consiste in 20 item nei quail veniva presentato in alto una figura ed in basso altre 5 simili e una sola identica. Vengono contati errori e tempo di individuazione.

Questi test in versione modificata si trovano all’interno della BIA.

Altri test utili sono le Matrici di Raven, il test delle Campanelle, la Torre di Londra, il Wisconsin Card-Sorting Test, e la WISC.

L’OSSERVAZIONE

È una tecnica che rispetto ai questionari risulta più ecologica in quanto consente si osservare il comportamento in un contesto naturale. La premessa che ha portato allo sviluppo di tale tecnica è che il comportamento è sempre il frutto di una relazione tra individuo e contesto. Scopo primario dell'osservazione è cercare di capire la relazione tra un comportamento problematico e le conseguenze che lo mantengono o gli antecedenti che lo scatenano, in vista della programmazione di un intervento mirato ad evitare la comparsa di certi

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(antecedenti) o di cambiare le conseguenze che in qualche modo li mantengono.

All’inizio l’osservazione è tipo non strutturato per identificare i comportamenti negativi osservabili e frequenti del bambino; dopodiché si passa all’osservazione strutturata delle classi di comportamento negativo. Sono previsti i seguenti passi:

-inventario dei comportamenti negativi emessi dal bambino (osservazione non strutturata): questa fase richiede di identificare i comportamenti che sono chiaramente definibili e che sono frequenti;

-categorizzazione dei comportamenti negativi: in questa fase bisogna cercare di raggruppare i comportamenti negativi più frequenti, ad esempio per il contesto scolastico: "va dal compagno durante la lezione", "corre tra i banchi", "esce dalla classe prima della fine della lezione" possono rientrare nella categoria "si allontana dal proprio banco”;

-osservazione strutturata delle classi di comportamento negativo: consiste nel segnare, su un'apposita tabella, la frequenza delle classi di comportamento, con particolare attenzione agli antecedenti che tendono a scatenare il comportamento problematico e alle conseguenze che potrebbero avere la funzione di mantenerlo.

- test cognitivi e neuropsicologici.

Una volta completata la raccolta di informazioni sul comportamento del bambino tramite i resoconti di insegnanti e genitori, il clinico può somministrare dei test cognitivi, per indagare alcune funzioni neuropsicologiche, allo scopo di ottenere conferme per la diagnosi, delineare il profilo funzionale, effettuare una diagnosi differenziale per disturbi di tipo cognitivo o neuropsicologico e programmare un eventuale intervento riabilitativo di tipo cognitivo. Ai test, i bambini con ADHD, possono fornire buone prestazioni a causa del contesto strutturato in cui vengono somministrati (al contrario, se lasciati a loro stessi senza supervisione, i bambini con ADHD tendono a fare genericamente male a tutte le prove).

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CAPITOLO 3: ADHD NELL’ADULTO

SINTOMI ADULTO

Per lungo tempo si è creduto che l’ADHD fosse un disturbo caratterizzante esclusivamente l’età infantile, ma l’evidenza scientifica ha invece mostrato come esso tenda a persistere nel corso della vita fino all’85% dei casi (Barkley et al. 2008; Kessler et al., 2006), causando difficoltà significative. Negli adulti, il tasso di prevalenza mondiale è tra l’1 e il 7% (de Zwaan et al., 2012). Spesso queste persone soffrono anche di altri disturbi in comorbilità come i disturbi dell’umore, i disturbi d’ansia, l’abuso di sostanze e i disturbi di personalità (Miller et al., 2007; Sobanski et al., 2007).

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I sintomi presentati dal bambino ADHD si modificano e con la crescita l’ADHD passa sotto la soglia clinica in 1/3 degli adolescenti e nel 50% degli adulti (Harpin 2005, Hechtman et al., 2000).

Spesso l’ADHD non viene diagnosticato a causa delle sue comorbidità in quanto esiste spesso una gerarchia implicita nell’approccio diagnostico, con diagnosi di primo livello (disturbi affettivi, disturbi dirompenti) e di secondo livello (ADHD). Spesso però la diagnosi di primo livello può oscurare quella di ADHD.

Gli attuali recenti criteri diagnostici del DSM non sono sufficienti a descrivere accuratamente il quadro sintomatologico dell’ADHD nell’adulto. I criteri sono stati stabiliti per la diagnosi infantile senza prendere in considerazione l’evoluzione del disturbo e i cambiamenti dei sintomi col passare dell’età.

Inoltre i criteri del DSM 5 non includono sintomi quali l’instabilità e la reattività emotiva elevata, gli scoppi di rabbia improvvisi, i frequenti e repentini cambi d’umore. Questi sintomi vengono solo menzionati nella sezione “Associated Features”.

L’ADHD si caratterizza per tre sintomi principali, ovvero disattenzione, iperattività e impulsività, ai quali si associano sintomi di disregolazione emotiva (Corbisiero et al., 2013). Questi sintomi, unitamente ai deficit nelle cosiddette soft skills (per esempio nelle abilità di comunicazione), determinano una grave compromissione del funzionamento nella vita di tutti i giorni.

La presentazione clinica nell’adulto comprende (Kooij e Francken,2010): -la disorganizzazione (non pianificano in anticipo)

-la smemoratezza (perdono cose, mancano appuntamenti)

-la procrastinazione (iniziano progetti che non portano a termine) -i problemi di gestione del tempo (sono sempre in ritardo)

-il cambio repentino di attività (iniziano qualcosa ma sono distratti da altro)

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-il prendere decisioni impulsive (spendono soldi, fanno progetti, partono per viaggi all’improvviso)

-il commettere reati penali -avere lavori e relazioni instabili.

Esistono due diverse tipologie di paziente adulto con ADHD. La prima è caratterizzata dalla predominanza dei sintomi di inattenzione e dalla difficoltà di organizzazione con lentezza sul piano cognitivo e pragmatico, difficolta prestazionali e di funzionamento.

È frequente la comorbidità con depressione e ansia.

La seconda è caratterizzata da impulsività marcata ed iperattività, da un’ampia sovrapposizione con i disturbi dello spettro bipolare e di personalità, dalla frequente comorbidità con uso di sostanze. La possibile presenza di malingering e disturbi fittizi rende ancora più complessa la gestione di questi pazienti.

Studi sulla traiettoria della sintomatologia ADHD che hanno preso in esame soggetti con ADHD nell’infanzia fino alla prima età adulta hanno visto come la sintomatologia inattentiva andava incontro a una minor remissione rispetto a quella d’iperattività/impulsività, con il risultato che negli adulti tende a prevalere il sottotipo inattentivo di ADHD (Hart et al, 1995; Biederman et al., 2000; Braham et al., 2012).

Le percentuali relative ai tre sintomi cardine in relazione all’aumento dell’età vedono una diminuzione del 50% dell’iperattività, del 40% dell’impulsività e del 20% dell’attenzione.

Quindi l’adulto ADHD e l’adolescente ADHD hanno meno problemi a livello di agitazione motoria e a livello di impulsività che sono sempre presenti ma adattate all’età e ai contesti sociali ma mantengono comunque ad alti livelli i problemi di attenzione che andranno ad incidere negativamente su sulla vita sia da studente e da lavoratore.

L’ADHD in adolescenza (13-17aa) si presenta con forti difficoltà nella pianificazione e organizzazione, una disattenzione persistente che

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portano a comportamenti aggressivi, antisociali e delinquenziali; problemi di abuso di sostanze e problemi emotivi.

Aumentano le gravità legate alle comorbidità come i comportamenti associati a disturbi quali il DOP e il DC che portano oltre a comportamenti antisociali a conflitti con i genitori alla manifestazione di sintomi depressivi , a problemi di apprendimento scolastico e di uso/ abuso sostanze. Il rischio di abbandono scolastico e dipendenza da uso di sostanze risulta molto alto.

Wender e collaboratori (Wender et al. 1981, Wender et al. 2001, Ward et al. 1993) hanno formulato criteri più appropriati per la diagnosi nell’adulto: “The Criteria of Utah”.

I criteri di Utah sono stati elaborati utilizzando . I . Diagnosi retrospettiva di ADHD in età scolare

A Intervista ai familiari per soddisfare i criteri del DSM IV

B Intervista al paziente per rilevare la presenza dei sintomi ( iperattività e disattenzione in età scolare)

II . Caratteristiche dell’età adulta

III. Viene esclusa la presenza di depressione grave, psicosi e disturbi della personalità grave

Ne deriva la definizione delle seguenti caratteristiche nell’età adulta: 1. IPERATTIVITA’ MOTORIA

Si manifesta con irrequietezza, incapacità a rilassarsi, incapacità a stare fermo, incapacità a sostenere attività sedentarie per un lungo periodo, agitazione continua, disforia se presente noia.

2. DEFICIT DI ATTENZIONE

Incapacità a mantenere l’attenzione durante una conversazione, con facile distraibilità; difficoltà nella concentrazione durante la lettura o nei compiti da svolgere, frequenti dimenticanze, difficoltà a ultimare i dettagli finali di un progetto.

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3. LABILITA’ AFFETTIVA

Si manifesta con improvvisi passaggi da una condizione di euritmia ad una di depressione, o di leggera euforia fino all’eccitamento (mania). La depressione viene descritta come sensazione di tristezza, noia o scontenta. Gli sbalzi d’umore durano da qualche ora a massimo qualche giorno e avvengono senza motivo

4. TEMPERAMENTO SANGUIGNO ED ESPLOSIONI DI RABBIA Il temperamento è esplosivo e sanguigno. Gli attacchi di rabbia sono seguiti dal rapido ristabilirsi della calma. Hanno un’irritabilità costante e perdono il controllo transitoriamente; essi stessi riferiscono di essere spaventati dal loro comportamento.

5. IPEREATTIVITA’ EMOTIVA

I pazienti reagiscono in maniera eccessiva o inappropriata perché non riescono a sostenere lo stress quotidiano e sviluppano forme di depressione, confusione, incertezza, ansia o rabbia.

La risposta emotiva interferisce con la capacità di problem solving . 6. DISORGANIZZAZIONE E INCAPACITA’ A PORTARE A TERMINE I COMPITI

Questi pazienti si caratterizzano per la mancanza di organizzazione nell’eseguire correttamente il loro mestiere, nella gestione familiare e nel portare a termine i compiti scolastici. Gli obiettivi prestabiliti non sono quasi mai portati a termine, passano da un’attività a un’altra in maniera caotica e casuale. Hanno difficoltà organizzative, nella risoluzione dei problemi e nella gestione del tempo. Sono soggetti che hanno poca determinazione e si arrendono di fronte alla più piccola difficoltà.

7. IMPULSIVITA’

L’impulsività si caratterizza per un eccessivo coinvolgimento in attività gratificanti, senza però riconoscerne i rischi e le possibili conseguenze dannose (come ad esempio shopping compulsivo, investimenti finanziari

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pericolosi, guida spericolata) e l’incapacità a rimandare le gratificazioni, con marcata intolleranza alle frustrazioni.

Un’ altra caratteristica è di prendere le decisioni in maniera superficiale, senza riflettere sufficientemente, basandosi su informazioni incomplete da cui poi possono derivare conseguenze svantaggiose.

Manifestazioni minori di questa dimensione sono il parlare prima di pensare a cosa dire, interrompere spesso le conversazioni degli altri; l’impazienza (per esempio durante la guida) e la tendenza a spendere denaro in modo impulsivo.

Le manifestazioni più eclatanti possono essere simili a quelle che si ritrovano negli stati maniacali nel disturbo di personalità antisociale, per esempio il basso rendimento sul lavoro, la rapidità di intraprendere/ terminare le relazioni (riferiscono frequentemente di aver avuto matrimoni falliti, divorzi e separazioni).

8. CARATTERISTICHE ASSOCIATE

Instabilità affettive che si ripercuote nella vita relazionale, scarsi risultati nello studio e nel lavoro rispetto a quanto ci si aspetterebbe per livello d’intelligenza e istruzione; abuso di alcol e droghe; risposta atipica ai farmaci psicoattivi; storia familiare di ADHD in età infantile; disturbo antisociale di personalità; sindrome di Briquet.

Dai criteri di Utah si vede come nell’età adulta si associano ai sintomi tipici due importanti aree sintomatologiche: instabilità emotiva e irritabilità/oppositività (Jensen et al., 2001; Reimherr et al., 2007).

Il decorso dell’adulto dalla maggiore età in poi continua con i sintomi residui e i relativi problemi associati.

Il paziente adulto continua ad avere problemi nonostante le terapie, ha una bassa autostima e riferisce di essere sempre stato così al terapeuta. L’iperattività che nel bambino si manifesta con agitazione motoria, irrequietezza, nell’adulto diminuisce e si può manifestare come inquietudine interiore, incapacità di rilassarsi, infelicità se non è attivo.

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