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L'abbandono e il deposito incontrollato di rifiuti: tra illecito amministrativo e reato contravvenzionale

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza

L'ABBANDONO E IL DEPOSITO INCONTROLLATO

DI RIFIUTI: TRA ILLECITO AMMINISTRATIVO E

REATO CONTRAVVENZIONALE

Candidato: Relatore:

Giulia Longo

Prof. Alfredo Fioritto

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Indice

Introduzione... 4

Capitolo 1: Aspetti generali dell'illecito amministrativo

ambientale

1. Principi fondamentali dell'illecito amministrativo …...7

1.1 Principio di legalità e riserva di legge …...9

1.2 Principio di irretroattività e il principio del favor rei...12

1. 3 Divieto di applicazione analogica della legge e principio di tassatività ….16 2. La disciplina dell'imputabilità.…...17

3. L'elemento soggettivo nell'illecito amministrativo.…...19

3.1 La presunzione di colpa...20

3.2 L'errore sul fatto...22

4. Le cause di giustificazione nell'illecito amministrativo...24

4.1 Esercizio di una facoltà legittima...26

4.2 Adempimento di un dovere...27

4.3 Stato di necessità...29

4.4 Legittima difesa...31

5. Il concorso di persone nell'illecito amministrativo...33

6. La responsabilità solidale nell'illecito amministrativo...34

7. La reiterazione nelle sanzioni amministrative...37

8. Il principio di specialità negli illeciti amministrativi...39

9. Gli elementi costitutivi dell'illecito amministrativo ambientale...42

9.1 Il dolo e la colpa nell'illecito amministrativo ambientale...43

(3)

Capitolo 2: La vigilanza amministrativa ambientale

1. La nascita del diritto ambientale...45

1.1 Il concetto di ambiente...47

1.2 L'ambiente come diritto fondamentale dell'uomo...48

1.3 L'ambiente come valore...50

1.4 L'ambiente come dovere sociale...51

1. 5 I riferimenti normativi nazionali...52

1.6 I riferimenti normativi comunitari...55

2. La nozione di danno ambientale...62

2.1 La legittimazione ad agire nel codice dell'ambiente...63

2.2 I criteri di imputazione della responsabilità...65

2.3 Le azioni in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente: l'azione di prevenzione...67

2.4 L'azione di ripristino...67

2.5 L'azione risarcitoria...68

2.6 I criteri di quantificazione del danno...71

3. I controlli in ambito ambientale...72

3.1 Le autorizzazioni in materia ambientale...74

3.2 Le ispezioni e i sopralluoghi...78

4. La contestazione ambientale...80

4.1 Il verbale d'accertamento...81

4.2 Il verbale di contestazione...81

5. L'apparato sanzionatorio...82

5.1 La determinazione della sanzione pecuniaria in materia ambientale...84

5.2 Il pagamento della sanzione in misura ridotta...85

Capitolo 3:

I rifiuti: il ruolo della pubblica amministrazione

1. La nozione di rifiuto...87

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1.1 I principi in materia di rifiuti...89

1.2 La classificazione dei rifiuti...90

1.3 Segue: L'albo nazionale dei gestori ambientali...92

1.4 La gestione integrata dei rifiuti...93

2. Le condotte punite dal codice dell'ambiente in materia di rifiuti...94

2.1 Le sanzioni amministrative...96

2.2 Segue: In particolare l'illecito di abbandono incontrollato di rifiuti...99

2.3 Le sanzioni penali...100

2.4 Segue: Alcuni profili del reato contravvenzioanle dell'illecito di abbandono incontrollato di rifiuti...103

3. Il ruolo della pubblica amministrazione nella gestione dei rifiuti...105

3.1Il ruolo e le competenze delle Regioni...106

3.2 Il ruolo e le competenze delle Province...108

3.3Il ruolo e le competenze dei Comuni...110

4. Alcuni dati sulla gestione e produzione dei rifiuti nella regione Toscana...112

5. La giurisprudenza del TAR Toscana in materia di rifiuti...115

CONCLUSIONI...120

BIBLIOGRAFIA

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“Gli alberi sono le colonne del mondo. Quando l'ultimo albero sarà tagliato, il cielo cadrà sopra di noi.” -Proverbio

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Indiano-A mio padre, che con il suo sacrificio mi ha permesso di realizzarmi a mia madre, che sarebbe stata fiera di me alle mie due sorelle, fonte di ispirazione e supporto quotidiano

(7)

INTRODUZIONE

L'oggetto di studio di questa tesi si incardina su una materia, quella del diritto amministrativo ambientale, molto ampia e frammentata in vari settori: la normativa relativa all'inquinamento delle acque, quella relativa all'inquinamento del suolo, quella relativa all'inquinamento dell'aria ed infine la normativa relativa all'inquinamento acustico.

In particolare, ho scelto di studiare ed analizzare gli strumenti messi a disposizione ed utilizzati da parte della pubblica amministrazione per regolamentare la disciplina settoriale relativa alla gestione dei rifiuti.

La tesi è articolata in tre macro capitoli: nel primo capitolo viene fornita una descrizione generale della disciplina dell'illecito amministrativo, concentrandosi in particolare su quelle che sono le peculiarità che essa assume in merito agli illeciti amministrativi di carattere ambientale. Il primo capitolo si sofferma, altresì, brevemente sul raffronto tra gli elementi costitutivi dell'illecito amministrativo e quelli dell'illecito penale.

L'ottica utilizzata per l'elaborazione del primo capitolo si avvale dello studio della dottrina, che nel corso degli anni ha dettato una serie di teorie e definizioni in merito a tale disciplina.

Il secondo capitolo si pone l'obiettivo di ripercorrere, anche attraverso lo studio della giurisprudenza europea e quella nazionale, lo sviluppo e la nascita della nozione di ambiente.

Dopo l'esaustiva esposizione del percorso seguito dal diritto ambientale, il secondo capitolo effettua uno studio critico degli strumenti e degli organi amministrativi preposti alla vigilanza ambientale.

Questo parte dell'elaborato consente di rispondere ad una domanda che ci si è posti, implicitamente, fin dall'inizio di questa tesi, ovvero il motivo per cui si senta la necessità di regolamentare questo settore della vita umana.

La risposta a tale quesito, la si evince dal fatto che nel passato l'uomo, oltre a non avere alcuna sensibilità nei confronti della tutela dell'ambiente, non era neanche in grado di percepire, in modo concreto, quelle conseguenze, che, noi oggi, attribuiamo al problema dell'inquinamento ambientale.

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Il terzo capitolo costituisce il fulcro della tesi: si apre occupandosi di trattare la complessa nozione di rifiuto, la quale assume diverse sfaccettature, ovvero è connotata dall'applicazione di diverse normative a seconda del tipo di classificazione che il rifiuto assume.

Trattandosi di una tesi di diritto amministrativo ambientale, l'elaborato si concentra sul ruolo svolto dalle amministrazioni locali in riferimento alle problematiche relative allo smaltimento, sostenibile, dei rifiuti. Questa parte è stata sviluppata grazie all'indagine, da me condotta, attraverso i dati estrapolati da banche dati di alcune amministrazioni locali italiane, in merito al servizio di raccolta dei rifiuti.

La tesi si conclude analizzando gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa della nostra regione, la Toscana, in materia di rifiuti.

Dunque, l'obbiettivo di tale tesi è quello di descrivere, in modo critico, lo sviluppo che ha subito la materia del diritto ambientale e in particolare la disciplina adottata dal legislatore in materia di rifiuti, senza tralasciare lo studio della giurisprudenza che ha avuto un ruolo portante in questo settore.

Le motivazioni che mi hanno spinto a scrivere in merito a tale argomento, risiedono in una profonda sensibilità, che ho sviluppato, verso il tema della tutela dell'ambiente. Uno dei più grandi problemi dei “nostri tempi” è rappresentato dal non poter avere alcuna garanzia circa la possibilità di affidare un mondo libero da inquinamento e ricco di risorse naturali a chi popolerà la terra nei prossimi anni.

Negli ultimi decenni, lo sviluppo industriale, in modo incontrollato e privo di una congua regolamentazione, ha portato ad un, non più graduale, ma repentino, declino delle condizioni del nostro pianeta.

Le gravi conseguenze dell'inquinamento ambientale, sebbene i numerosi campanelli d'allarme che ci ha inviato la natura, hanno iniziato a colpire concretamente i paesi sviluppati solo negli ultimi anni.

Alluvioni, smottamenti, scioglimento dei ghiacciai a causa del surriscaldamento globale, sono solo alcune della moltitudine dei macro fenomeni, intensi, che affliggono l'uomo causando la sua morte.

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termine, di derivazione anglosassone, ovvero “L'Earth overshoot day”. Esso indica il giorno, preciso, di un anno solare, in cui l'uomo ha consumato tutte le risorse prodotte dal pianeta in un intero anno.

La terra ha una propria capacità auto-rigenerativa annuale, conseguentemente, una volta sfruttate tutte le risorse che essa riesce a generare in un anno, si vanno ad intaccare le risorse dell'anno successivo.

L'Earth overshoot day, negli anni '70, cadeva nel mese di dicembre. Nel corso degli anni questo giorno si è andato via, via, ad allontanarsi dalla fine dell'anno. Nel 2019 è stato stimato che si sono consumate tutte le risorse del pianeta, 155 giorni prima della fine dell'anno, ovvero il 29 luglio. Questo significa che oggi stiamo usando risorse che il pianeta non è in grado di generare nel corso di 365 giorni. Alcune ricerche stimano che, mantenendo l'attuale fabbisogno energetico, introno al 2050 si consumerà il doppio delle risorse che la terra riesce a generare in un anno.

Ecco perché il problema della tutela ambientale costituisce una sfida importante del mondo moderno.

La soluzione a questo problema di carattere transnazionale è possibile solo attraverso l'azione sinergica di tutti gli esponenti del panorama internazionale, che devono cooperare al fine di garantire alle future, ma anche presenti, generazioni un ambiente di vita salubre.

Ed è in questo momento che è fondamentale avere come monito il concetto di sviluppo sostenibile, ovvero quello di trovare un equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni della generazione attuale, senza pregiudicare la possibilità e le capacità delle generazioni future di rispondere alle proprie esigenze.

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CAPITOLO PRIMO

ASPETTI GENERALI DELL'ILLECITO AMMINISTRATIVO

1. I principi fondamentali dell'illecito amministrativo

La dottrina giuridica ha trovato molte difficoltà a ricostruire il concetto generale di illecito a causa delle molteplici relazioni che intercorrono tra la nozione di sanzione, illecito e responsabilità che rendono ostica questa ricostruzione.

Tuttavia, possiamo affermare che l'illecito è genericamente definito come una violazione di un precetto compiuta ad opera di un soggetto1.

L'ordinamento giuridico italiano individua tre tipologie di illecito: quello civile, quello penale e quello amministrativo.

Per illecito civile2 si intende la violazione di una norma posta nell'interesse di un

privato. Esso può dar vita ad una responsabilità contrattuale o extracontrattuale: il distinguo si fonda sull'esistenza, o meno, tra le due sfere giuridico-patrimoniali che si intersecano, di un preesistente rapporto obbligatorio3.

L'illecito penale consiste nella violazione di norme penali, ovvero disposizioni legislative poste a salvaguardia di beni giuridici considerati meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento, nel quadro dei valori costituzionali.

Analizzando più attentamente gli sforzi effettuati dalla dottrina per ricostruire i caratteri dell'illecito amministrativo, vediamo come tutta la scentia iuris sia stata concorde nel ritener di doverlo ricostruire a contrario, ovvero, partendo, dal concetto di sanzione amministrativa. Ciò a causa del fatto che all'interno del nostro sistema normativo, l'illecito amministrativo non trova una sistemazione unitaria ed organica, tale da consentire una lineare ricostruzione dei sui caratteri costitutivi4.

A seguito della legge numero 689 del 19815 emanata al fine di depenalizzare numerose

1 E. CASETTA, voce Sanzione amministrativa, in Dig. Disc. Pen., XII, Torino, 1997. 2 Disciplinato dall'articolo 2043 e seguenti, del codice civile.

3 L. NIVARRA, V. RICCIUTO, C. SCOGNAMIGLIO, Istituzioni di Diritto Privato. Torino, Geppichelli Editore; 2017

4 E. CASETTA, voce Illecito amministrativo, in Dig. Disc. Pen., XII, Torino, 1997.

5 La legge 689/1981, “Modifiche al sistema penale”, ha sostituito la sanzione amministrativa alla pena della ammenda e multa precedentemente previste dalla legge per alcune fattispecie di reato.

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fattispecie di reato, trasformandole in semplici illeciti amministrativi, si creano alcuni filoni interpretativi in riferimento al concetto di sanzione amministrativa.

Parte minoritaria della dottrina, probabilmente condizionata dalla collocazione della disciplina stessa, ritiene che la sanzione amministrativa abbia una derivazione penalistica, individuando i sui tratti essenziali in via deduttiva dalla disciplina dell'illecito penale.

Alla luce delle recenti modifiche al nostro sistema normativo, questo sforzo di ricostruzione del concetto di sanzione amministrativa, viene considerato obsoleto, riduttivo e incapace di cogliere quelle che sono le peculiarità di un sistema, ormai, divenuto autonomo e quindi non più marginale.

Tale orientamento è stato, pertanto, superato. La dottrina odierna ha consolidato un nuovo e diverso approccio che valorizza il tentativo del legislatore del 1981, di dettare una disciplina autonoma ed organica in materia di illecito amministrativo e conseguentemente in riferimento a quella della sanzione amministrativa6.

Cercare di ricondurre la sanzione amministrativa a categoria concettuale autonoma, non rende comunque semplice la ricostruzione di tale concetto. Anche in questo caso la

scentia iuris non è univoca, ma adotta diverse soluzioni a seconda delle varie tecniche

interpretative utilizzate.

Parte della dottrina segue la via della residualità: la categoria concettuale di sanzione amministrativa ricadrebbe in tutto ciò che non è qualificabile né come sanzione penale, né come sanzione civile7.

Tuttavia, la tesi preferibile sembrerebbe quella a cui si è giunti utilizzando il metodo teologico8 nella interpretazione della l. 689/1981: la sanzione amministrativa è uno

strumento di reazione alla violazione di un precetto posto nell'interesse della collettività (nozione di sanzione in senso ampio)9 e strumento di prevenzione dell'illecito nelle mani

6 C.E. PALIERO, A. TRAVI, voce Sanzioni amministrative, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989. 7 E. CASETTA, voce Sanzione amministrativa, in Dig. pubbl., vol. XII, Torino, 1997, 599, per il quale

«sembra di poter definire sanzione amministrativa la misura afflittiva non consistente in una pena criminale o in una sanzione civile, irrogata nell’esercizio di potestà amministrative come conseguenza di un comportamento assunto da un soggetto in violazione di una norma o di un provvedimento amministrativo».

8 C.E. PALIERO, A. TRAVI, voce Sanzioni amministrative, 354 ss.

9 A. DE ROBERTO, Le sanzioni amministrative non pecuniarie, in AA.VV., Le sanzioni amministrative, Atti del XXVI Convegno di Studi di Scienza dell’Amministrazione (Varenna 18-20 settembre 1980), Milano, 1982.

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della Pubblica Amministrazione, “con funzione costituzionalmente delimitata, in cui gli stessi parametri costituzionali di riferimento non sono quelli tipici della sanzione penale, bensì quelli dell’organizzazione e dell’attività amministrativa (artt. 23 e 97 Cost.)”10.

Definizione confermata dalla specialità dei principi delineati dalla l. 689/1981 rispetto a quelli tipici del sistema penale, possiamo citare a titolo esemplificativo il particolare regime della solidarietà, della responsabilità riconosciuta in capo alle persone giuridiche e l'estraneità del principio del favor rei.

Dopo questa breve premessa possiamo entrare nel vivo della disciplina dell'illecito amministrativo partendo dalla analisi dei principi che lo caratterizzano.

1.1 Il principio di legalità e la riserva di legge

L'art 1 della legge 689/1981 recita: “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni

amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Attraverso questa formula il legislatore sancisce il

principio di legalità. Sebbene all'interno della nostra carta costituzionale11 non vi siano

riferimenti espressi a tale principio, possiamo trovare il suo fondamento altrove, ed è infatti richiamato all'interno dell'articolo 97, 23, 24 e 113 della Costituzione.

L'articolo 97 della Costituzione afferma che l'organizzazione della pubblica amministrazione deve avvenire in conformità alle disposizioni di legge e per pacifica interpretazione, si estende l'applicabilità di tale principio anche all'irrogazione delle sanzioni amministrative e più in generale a tutto l'agire amministrativo12.

La riserva di legge viene affermata anche in un altro ambito del diritto amministrativo, ovvero in riferimento alle prestazioni personali o patrimoniali ed alle sanzioni disciplinari imposte ai cittadini, che nello specifico troviamo all'interno dell'articolo 23 10 F. PELLIZZER, E. BURANELLO, “La sanzione amministrativa: Principi generali”, Torino, Geppichelli Editore, 2012.

11 Dobbiamo ricordare che, a differenza di quanto accade nella materia del diritto amministrativo, nel diritto penale troviamo, all'interno della nostra carta costituzionale, un riferimento espresso al principio di legalità (articolo 25 Cost.).

12 In conformità a quanto qui affermato si pone l'articolo 1 della legge 241/2001, la quale in materia di procedimento amministrativo afferma: “L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza, secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli procedimenti, nonché dai principi dell’ordinamento comunitario”.

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della Costituzione.

In ultima istanza, tale principio, è implicitamente affermato negli articoli 24 e 113 della Costituzione i quali riconoscendo la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione, presuppongono l'obbligo della soggezione alla legge, ai provvedimenti amministrativi13.

Un interrogativo che più volte è stato protagonista di pronunce giurisdizionali riguarda una classificazione elaborata dalla dottrina, la quale ha sempre distinto la riserva di legge in assoluta e relativa14, a seconda delle caratteristiche da essa assunte all'interno

delle previsioni legislative.

La riserva di legge assoluta esclude che possa essere una fonte di legge secondaria a regolamentare una determinata materia. Mentre è relativa quando al legislatore primario spetta il semplice delineamento dei contorni della materia che poi verrà regolamentata da normazione secondaria15.

Contrariamente alla prospettiva delineata dall'articolo 7 della CEDU16, la giurisprudenza

italiana è unanime nel ritenere che l'articolo 1 della legge 689/1981 sancisce il principio di riserva di legge relativa, in materia di sanzioni amministrative17.

13 A.MACHEDA, “Principi di legalità, poteri impliciti e legge provvedimento”, pag.1, saggio breve estratto da www.ildirittoamministrativo.it .

14 E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007, 42.

15 Nello specifico possiamo citare A.FIORITTO, L'amministrazione dell'emergenza tra autorità e

garanzie, Bologna, Il mulino, 2008, Capitolo terzo, pag 104: “La riserva assoluta si differenzia da

quella relativa perché la prima esclude che una fonte diversa dalla legge possa concorrere a delineare la disciplina dei limiti ai diritti, con la conseguenza diretta di escludere la potestà regolamentare come disciplina integrativa. In secondo luogo la riserva assoluta richiede che la definizione della prestazione trovi compiuta enunciazione nella legge, precludendo qualsiasi integrazione ad opera dei principi dell'ordinamento giuridico, a differenza della riserva relativa che consente di definire i poteri amministrativi attraverso il concorso dei principi dell'ordinamento giuridico.”

16 L'art 7 Cedu recita “Nessuno può essere condannato per un azione o un'omissione , che al momento in cui era stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso” configurando così il principio del nullum crimen, nulla poena, sine lege, con riguardo alle sanzioni penale, che per pacifica interpretazione si ritiene esteso anche alle sanzioni amministrative. 17 Sul punto ricordiamo alcune emblematiche sentenze: Cass. Civile, Sez. Prima, sent. n. 16498/2003, la

quale afferma in relazione a sanzioni Consob, che “la corte costituzionale (fin dalla sentenza n.4 del 1957; n.481 del 1961 e n.2 e 65 del 1962) ha fermamente escluso la riferibilità della riserva di legge di cui all'articolo 25, secondo comma, per le sanzioni penali, alle sanzioni amministrative. La mancata predeterminazione del contenuto dei provvedimenti affidati alle valutazioni di Banca d'Italia e della Consob, non si traduce in indeterminatezza del precetto, esaustivamente delineato dalla previsione come illecito amministrativo della mancata esecuzione delle disposizioni di detti organi di vigilanza, una volta che siano impartite” e ancora di più recente affermazione ricordiamo Cass. Civile, sez. II, 21 febbraio 2013, n.4342: “ in tema di sanzioni amministrative la legge 24 novembre 1981, n. 689, art 1, non contiene – a differenza di quanto avviene per gli illeciti penali per i quali opera il principio di stretta legalità di cui all'articolo 25, secondo comma, Costituzione – una riserva di legge tale da

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Conseguentemente la sanzione deve necessariamente essere prevista da una fonte di legge primaria; ma la portata di questa riserva di legge non è tale da escludere che il precetto sanzionatorio, sufficientemente individuato dalla legge, sia integrato da fonti legislative secondarie, ad esempio regolamenti regionali.

Dobbiamo tuttavia ricordare, che seppur in questa disciplina vi sia una unanime presa di posizione da parte della giurisprudenza, gran parte della dottrina auspica un cambiamento di orientamento.

La scientia iuris18, conformemente alla giurisprudenza delle Corti Europee, ritiene che il

diritto sanzionatorio amministrativo debba evolversi alla luce dell'articolo 7 della CEDU, il quale prevede il principio di riserva di legge assoluta in materia penale.

Lo scopo principale di questa interpretazione estensiva è quello di garantire una protezione effettiva contro le condanne e sanzioni arbitrarie e quindi assicurare ai consociati una preventiva conoscenza delle conseguenze delle proprie azioni ed omissioni.

I giudici CEDU osservano come “il principio di legalità faccia parte dei principi

generali del diritto alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri ed è parimenti sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall'articolo 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali” e pertanto

“coerentemente con il suo oggetto e dal suo scopo deve essere interpretata e applicata in modo da garantire una protezione effettiva contro le sanzioni e condanne arbitrarie”19.

La corte di Strasburgo specifica che la prevedibilità di una sanzione amministrativa, all'interno dei sistemi di civil law20, deve necessariamente essere offerta a livello di

escludere la possibilità di integrare il precetto sanzionatorio, avente base nella legge, mediante norme regolamentari delegate, confacenti al particolare ambito tecnico-specialistico a cui si riferiscono” e ancora Cass sez. unite 30 settembre 2009, n. 20233, Cass., Sezione seconda, 7 agosto 2012, n. 14210. 18 Sul principio di cui all'articolo 7 CEDU: F.GOISIS, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni

amministrative tra diritto nazionale e diritto europeo, Geppichelli editore, 2014; PAGLIARI, Il principio di legalità in La sanzione amministrativa, Torino, 2012 e CERBO, Il principio di legalità ed “nuove ed inedite” fattispecie di illecito create dai Sindaci, in Forum costituzionale, 2012.

19 Corte europea diritti dell'uomo, 11 aprile 2013 cit.: “The guarantee enshired in Articole 7, which is an essential element of the rule of law, occupies a prominent place in the Convention system of protection, as is underlined by the fact that no derogation from iti is permissible under Article 15 of the convention in time of war or other public emergency. It should be construed and applied as follows from its object and purpose, in such a way as to provide effective safeguards against arbitrary prosecution, conviction and punishment”

20 Differentemente nei sistemi di common law, sottolinea la Corte europea dei diritti dell'uomo che “L'articolo 7 CEDU quando parla di legge allude al concetto che comprende sia la fonte legislativa che la giurisprudenza, e che implica requisiti qualitativi quali l'accessibilità e la prevedibilità” Corte

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fonte primaria. Questo in virtù del fatto che la specifica tecnicità degli illeciti amministrativi, rispetto a quelli penali, richiedono, a maggior ragione, che il consociato sia in grado di consultare fonti normative chiare e certe, per adeguare i propri comportamenti alle prescrizioni legislative e conoscere le conseguenze delle proprie azioni od omissioni21.

Il ragionamento conclusivo della Corte di Strasburgo sottolinea i profili di debolezza del sistema italiano, e più in generale di tutti i sistemi di civil law in cui non vige il principio dello stare decisis, affermando l'impossibilità di valorizzare la fonte giurisprudenziale come fonte idonea a garantire la determinatezza delle sanzioni amministrative22. Per cui il principio di riserva di legge assoluta, in questa materia,

sembrerebbe essere l'unica, idonea, strada percorribile23.

1.2 Il principio di irretroattività e il principio del favor rei

Sebbene già sufficientemente trattato nel precedente paragrafo, il principio di legalità di cui all'articolo 1 della legge 689/1981 viene riconosciuto, non solo sotto forma del principio di riserva di legge, ma in altri due fondamentali corollari: quello di divieto di applicazione analogica della legge (che tratterò nel paragrafo 1.3.) e nel principio di irretroattività della norma amministrativa.

Specularmente al principio di irretroattività fissato dall'articolo 2 del codice penale, l'articolo 1 della legge 689/1981 sancisce quel principio per cui nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione.

Differentemente dalla materia penale, dove vige il principio del favor rei espresso nell'articolo 2, comma 3 e 4 del codice penale24, in materia amministrativa il legislatore

europea dei diritti dell'uomo, 11 ottobre 2013, pag.91. Ovvero, nei sistemi di common law, la corte precisa che sia irrilevante l'aspetto formale della natura e rango della normazione, guardando, esclusivamente, quello che è il grado di determinatezza del risultato di qualsiasi attività di normazione.

21 Sul punto F.MATSCHER, Il concetto di legge secondo la corte di Strasburgo, in Scritti in onore di

Guido Gerin, Padova, 1996.

22 G.ZAGREBELSKY, La convenzione europea dei diritti dell'uomo e il principio di legalità nella materia penale, in La convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ordinamento penale italiano, a cura di ZAGREBELSKY, Milano, 2011.

23 F.GOISIS, La tutela del cittadino nei confronti delle sanzioni amministrative tra diritto nazionale e

diritto europeo, Geppichelli editore, 2014.

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tace in merito all'esistenza o meno di questo principio derogatore al principio di irretroattività della legge.

Dunque, dobbiamo adesso ricostruire i diversi orientamenti giurisdizionali che si sono susseguiti nel tempo, allo scopo di colmare questa lacuna legislativa in merito al principio di retroattività della legge più favorevole all'autore di un illecito amministrativo.

In un primo momento l'orientamento giurisprudenziale prevalente, fu quello di ritenere esclusa, in ambito delle sanzioni amministrative, l'applicazione della legge più favorevole sopravvenuta alla commissione della violazione25.

Nello specifico possiamo citare una sentenza emblematica dei giudici amministrativi romani26, del 2001, i quali dichiararono che in materia sanzionatoria amministrativa, la

legge 689/1981, art 1, afferma l'inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole, con impossibilità di applicare i principi che sono affermati in materia penale27.

Un timido passo avanti verrà fatto nel 2016, quando la corte costituzionale28

pronunciandosi su una questione di legittimità costituzionale, sollevata in merito all'articolo 1 della legge 689/1981 nella parte in cui non prevede il principio del favor

rei, pone le basi per il superamento di questo grave limite della già citata legge

689/1981.

I giudici costituzionali, nello specifico, creano una sentenza monito al legislatore, per spingerlo ad intervenire sulla legge al fine di rimuovere tale limite al sistema sanzionatorio amministrativo.

In questa sede non entreremo nel merito della questione di legittimità, ma appare doveroso sottolineare alcuni passaggi fondamentali della sentenza.

I giudici costituzionali riconoscono che la scelta, di non introdurre detto principio in alcuni settori dell'ordinamento, sia esclusivamente nelle mani del legislatore. Ricordano, inoltre, che l'insindacabilità delle scelte del legislatore, da parte della corte posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria ai sensi dell'articolo 135.

Se la legge del tempo in cui fu commesso reato e le leggi posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che non sia stata pronunciata sentenza irrevocabile” 25 Si sofferma sul punto, COMPORTI, Tempus regit actionem, pag 161 e seguenti.

26 T.A.R. Lazio, Sez. I, 19 febbraio 2001, n. 1317.

27 La decisione è commentata da F.MERUSI, in Sentieri interrotti dalla legalità. La decostruzione del

diritto amministrativo, Bologna, Il Mulino 2007, pag 55.

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costituzionale, viene meno solo qualora queste siano manifestamente irragionevoli, quindi prive di ragionevole giustificazione e arbitrarie.

Mentre, nello specifico, con riferimento agli articoli 7 CEDU e 3 Costituzione, di cui si lamenta la violazione, ad opera della legge 689/1981, affermano testualmente: “non si rinviene nel quadro delle garanzie apprestato dalla CEDU, come interpretate dalla Corte di Strasburgo, l'affermazione di un vincolo di matrice convenzionale in ordine alla previsione generalizzata, da parte degli ordinamenti interni dei singoli Stati aderenti, del principio della retroattività della legge più favorevole, da trasporre nel sistema delle sanzioni amministrative” e che “in riferimento all'art. 3 Cost., la costante giurisprudenza di questa Corte... ha affermato che in materia di sanzioni amministrative non è dato rinvenire un vincolo costituzionale nel senso dell'applicazione in ogni caso della legge successiva più favorevole, rientrando nella discrezionalità del legislatore - nel rispetto del limite della ragionevolezza - modulare le proprie determinazioni secondo criteri di maggiore o minore rigore in base alle materie oggetto di disciplina”29

Il superamento di questo granitico orientamento giurisprudenziale avviene nel marzo del 201930. Anche in questo caso, la corte costituzionale viene nuovamente chiamata, da

parte del Tribunale di Milano, a rispondere circa la costituzionalità della legge 689/1981.

Non entrando nel merito della questione di legittimità, vediamo quali sono i passaggi logici effettuati dalla corte per affermare, questa volta, la fondatezza della censura per violazione dell'articolo 3 e 117 della Carta Costituzionale e dell'articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che, come noto, afferma espressamente la retroattività favorevole come diritto fondamentale dell'ordinamento europeo.

In primo luogo la corte dichiara che l'applicazione di tale principio, anche in materia di sanzioni amministrative, trova fondamento nell'articolo 3 della Costituzione che afferma il principio di uguaglianza—ragionevolezza31.

29 Ordinanze n. 245 del 2003 e n.140 del 2002

30 Corte Costituzionale Sentenza n.63, del 21 Marzo 2019.

31 Va ricordata la sentenza n, 393, del 2006 nella quale i giudici costituzionali affermano che l'articolo 3 Cost.: “impone in linea di massima di equiparare il trattamento sanzionatorio dei medesimi fatti a

prescindere dalla circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo l'entrata in vigore della norma che ha disposto l'abolitio crimminis o la modifica mitigatrice.”

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In secondo luogo analizzando il piano internazionale, la corte riesce a trovare altri fondamenti di questo principio, sia a livello legislativo (art 49 CDFUE e art 7 CEDU) e sia a livello giurisprudenziale (Sentenza Scappola del 200932)

La corte riconduce questo duplice fondamento formale, quello affermato dalle carte europee e quello affermato dalla carta nazionale, ad un unica ratio sostanziale:

“ L'autore del reato ha diritto a essere giudicato, e se del caso, ad esser punito, in base all'apprezzamento attuale dell'ordinamento relativo al disvalore del fatto da lui realizzato, anziché in base all'apprezzamento sotteso alla legge in vigore al momento della sua commissione” e “comune è il limite della tutela assicurata, assieme, dalla Costituzione e dalle carte internazionali a tale garanzia: tutela che la giurisprudenza di questa corte ritiene non assoluta ma aperta a possibili deroghe, purché giustificabili al metro di quel vaglio positivo di ragionevolezza richiesto dalla sentenza n.393 del 2006 in relazione alla necessità di tutelare interessi di rango costituzionale prevalenti rispetto all'interesse individuale in gioco”.

La corte, con la sentenza numero 63 del 2019, conclude affermando che il principio di retroattività della legge più favorevole ha trovato definitivo riconoscimento anche nel nostro ordinamento, in relazione alle sanzioni amministrative.

Tuttavia auspica come soluzione ottimale quella di un intervento legislativo che sancisca, all'interno dell'articolo 1 legge 689 del 1981, il principio di retroattività favorevole delle sanzioni amministrative33.

ragionevole punire (o continuare a punire più gravemente) una persona per un fatto, che secondo la legge posteriore, chiunque altro può impunemente commettere ( o per il quale è prevista una pena più lieve”

32 Corte EDU, 17 settembre 2009, Scappola c., Italia, con nota di Pecorella, Il caso Scappola davanti alla Corte di Strasburgo, in Riv. it. Dir. Proc,pen., 2010, p. 397 ss; successivamente la Corte europea ha più volte confermato l'inclusione della retroattività favorevole nel contenuto di garanzia dell'articolo 7 CEDU: 27 aprile 2010, Morabito c. Italia; Id., 24 gennaio 2012, Mihai Toma c. Romania; Id., 12 luglio 2016, Ruban c. Ucraina

33 Sul punto M.Scolette, Retroattività favorevole e sanzioni amministrative punitive: la svolta, finalmente, della corte costituzionale, in diritto penale contemporaneo: “Alla luce del carattere

diffusamente afflittivo della funzione preventiva che usualmente caratterizza le sanzioni amministrative – rendendole strutturalmente e teologicamente omogenee a quelle penali – la retroattività della lex mitior, dovrebbe costituire la regola solo eccezionalmente derogabile, attraverso specifiche disposizioni di diritto transitorio, in caso di sanzioni amministrative giudicate in concreto prive di carattere sostanzialmente punitivo e rispetto alle quali la previsione di irretroattività può trovare apprezzabile giustificazione.”

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1.3 Divieto di applicazione analogica della legge e principio di

tassatività

L'analogia è un procedimento logico utilizzato durante l'attività di giurisdizione. Questo strumento ha lo scopo di colmare i vuoti legislativi. L'analogia consiste nel trarre una regola di giudizio per quel caso concreto che non è espressamente disciplinato dalla legge, tramite l'applicazione di una norma che riguarda casi concreti differenti, ma simili ovvero che presentano una medesima materia a loro fondamento.

In materia di illeciti amministrativi sussiste il divieto di analogia posto dall'articolo 1, comma 2, della legge numero 689/198134, il quale ricalca la formulazione dell'articolo

14 disposizioni preliminari al codice.

Tuttavia dobbiamo ricordare che, se in riferimento al divieto di analogia in malam

partem la dottrina e la giurisprudenza35 sono concordi nel ritenerlo esistente, con

riferimento all'analogia in bonam partem è controversa l'esistenza di tale divieto36.

Nonostante la dottrina sia divisa sul punto, si ritiene che le norme favorevoli all'autore della violazione si possono applicare oltre i limiti previsti dalla legge37. Questa presa di

posizione viene giustificata dal fatto che le sanzioni amministrative, a differenza di quanto accade nel diritto penale, non incidono sulla libertà personale e pertanto svanisce quella logica garantistica tipica del divieto di analogia38.

L'applicazione del principio sopra analizzato, ha come conseguenza la necessaria affermazione di un ulteriore corollario del medesimo principio, che stavolta non è prescrittivo nei confronti degli organi giurisdizionali onerati del compito di interpretare la legge, ma è prescrittivo rispetto all'organo legislativo. Stiamo parlando del principio di tassatività in riferimento all'illecito amministrativo: prescrive al legislatore di definire 34 Art 1, comma 2, l.68971981: “Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto

nei casi e per i tempi in essi considerati.”

35 Consiglio di Stato, sezione VI, 28 Giugno 2010, n.4141: “In materia di sanzioni amministrative trova

applicazione il principio di stretta legalità ribadito dall'articolo 1, comma secondo, della legge n.698/1981. La disposizione pone una riserva di legge analoga a quella dell'articolo 25 Cost. Le fattispecie soggette a sanzione pecuniaria si caratterizzano per determinatezza e tipicità. Resta in particolare esclusa ogni integrazione analogica della norma sanzionatrice per estendere l'applicazione ad ipotesi in essa non contemplate.” Confermata anche dalla sentenza del T.A.R. Lazio,

Sezione III, n. 3749 del 2006.

36 A mettere in discussione la sua esistenza è: E.Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Editore Giuffré, 2018.

37 C.E. PALIERO, A.TRAVI, , voce Sanzioni amministrative, cit., p.381 38 E.CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Editore Giuffrè, 2018.

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fattispecie punitive che siano complete e determinate, ovvero consentire alla collettività di conoscere quali sono i comportamenti assoggettati a punizione.

2. La disciplina dell'imputabilità

Il principio dell'imputabilità, lo troviamo subito dopo quello di legalità, all'articolo 2, comma 1, della legge 689/1981 il quale afferma che: “Nessuno può essere assoggettato

a sanzione amministrativa chi, al momento in cui ha commesso il fatto, non aveva compiuto i diciotto anni o non aveva, in base ai criteri indicati dal codice penale, la capacità di intendere e di volere, salvo che lo stato di incapacità non derivi da sua colpa o sia stato da lui preordinato.”

Nell'illecito amministrativo, la condizione di imputabilità coincide in parte con la nozione civilistica di capacità d'agire, e in parte con la nozione penalistica della capacità di essere assoggettato a pena39.

Infatti, l'imputabilità sussiste quando il soggetto che ha compiuto l'azione o l'omissione sanzionati dalla legge, ha la capacità di intendere e di volere, ovvero deve aver raggiunto un certo sviluppo intellettuale, non deve essere infermo di mente al momento della commissione del fatto, ha la capacità di rendersi conto del valore sociali dei propri atti ed è in grado di autodeterminarsi resistendo agli impulsi irrazionali.

Sebbene la legge numero 689 del 1981 effettua un rinvio espresso ai criteri utilizzati dal codice penale, in materia di illeciti amministrativi l'imputabilità del soggetto minore di diciotto anni, a differenza del codice Rocco, è del tutto esclusa. Questo, ovviamente, non significa che al minore non possa esser contestata la violazione ma significa che non è assoggettabile a sanzione amministrativa. La responsabilità dell'azione del minore ricadrà su chi è tenuto alla sorveglianza, salvo che, non dimostri di non aver potuto impedire il fatto40.

Differentemente, in campo penale, il minore di anni 18 è punibile penalmente anche se 39 Il rinvio è agli articoli che vanno dal 85 al 96 del codice penale.

40 E' doveroso ricordare che la disciplina dell'imputabilità così come delineata dall'articolo 2 della legge 689 del 1981 presenta numerose eccezioni. Una di queste è rappresentata dalla disciplina inserita nel Codice della strada, il quale prevede la punibilità di un minore per violazioni riguardanti il titolo di guida (è evidente che laddove norme speciali consentono al maggiore di 16 anni di guidare un veicolo, conseguentemente questo sia responsabile della circolazione e che quindi possa esser punito con sanzioni amministrative) ed il trasporto di passeggeri, ma più in generale tutte le norme del Codice della strada che presuppongono come destinatario un minore di 18 anni.

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con pene ridotte.

Il secondo comma, dell'articolo 2 della legge numero 68941, configura un caso di culpa in vigilando. In questi casi, la responsabilità è del soggetto che è tenuto, o per situazione

di fatto (come nel caso del genitore) o per contratto (come nel caso dell'insegnante a scuola), alla sorveglianza di persona incapace.

Non si tratta di responsabilità per fatto altrui, bensì per fatto proprio: si sanziona l'inidonea attività di vigilanza attuata al fine di evitare il verificarsi del fatto dannoso. Questo istituto di matrice civilistica (2047 del codice civile) presenta un'inversione dell'onere della prova, in quanto spetta al vigilante dimostrare di non aver potuto impedire il fatto e in particolare la cassazione specifica che il genitore deve dimostrare: “di aver impartito al minore una educazione conforme alle condizioni familiari e

sociali ed esercitare una sorveglianza adeguata all'età, al carattere e all'indole stessa del minore”42.

Conseguentemente nel caso concreto in cui un minore debba essere assoggettato a sanzione amministrativa, a causa della violazione di una norma, il relativo iter di contestazione del verbale sarà attuato nei confronti della persona onerata della sorveglianza.

Prima di concludere l'analisi di questa disciplina, è doveroso parlare di un altro parallelismo tra la disciplina degli illeciti amministrativi e quella degli illeciti penali, ovvero i casi in cui un soggetto può essere considerato privo della capacità di intendere e di volere.

L'articolo 2, della legge in questione afferma espressamente la volontà di rifarsi ai criteri indicati dal codice penale.

Questi criteri sono la minore età, l'infermità di mente, l'ubriachezza o l'assunzione di stupefacenti43. La disciplina presenta comunque delle eccezioni rispetto al codice

penale44

41 Art. 2, comma 2, legge numero 689 del 1981: “Fuori dai casi previsti dall'ultima parte del precedente

comma, della violazione risponde chi era tenuto alla sorveglianza dell'incapace salvo che non provi di non aver potuto impedire il fatto”

42 Corte di Cassazione, numero 486745 del 1994 43 Articoli 85 ss ,del Codice penale.

44 Come abbiamo già detto in materia di circolazione stradale il minore può, comunque, essere destinatario di sanzione amministrativa ad esempio nei casi in cui norme speciali consentono al minore di 18 anni di guidare un veicolo.

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3. L'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo

Gli elementi costitutivi e impeditivi dell'illecito amministrativo, proprio come per il reato, si possono distinguere in elementi oggettivi e elementi soggettivi.

Condotta, evento e rapporto di causalità sono i tre elementi oggettivi dell'illecito amministrativo45.

Mentre, per l'elemento soggettivo facciamo riferimento all'atteggiamento psicologico tenuto dal soggetto attivo, richiesto dalla legge per la commissione dell'illecito46.

L'elemento soggettivo si declina nelle forme del dolo, colpa e preterintenzione47.

L'articolo 3 della legge 689/1981 contiene la disciplina dell'elemento soggettivo ai fini dell'attribuzione della responsabilità, in riferimento all'illecito amministrativo. Esso recita che: “Nelle violazioni cui è applicabile unna sanzione amministrativa ciascuno è

responsabile della propria azione od omissione, cosciente e volontaria, sia essa dolosa o colposa. Nel caso in cui la violazione è commessa per errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa”.

Possiamo notare come il legislatore del 1981 abbia voluto ricalcare la disciplina dell'elemento soggettivo in merito alle contravvenzioni che troviamo nell'articolo 42, quarto comma, del codice penale48.

L'interpretazione di parte di questa disposizione ha destato non pochi problemi alla dottrina penalistica che ha trovato difficoltà a capire che cosa il legislatore intendesse sancire quando in merito all'elemento soggettivo delle contravvenzioni fa riferimento alla “coscienza e volontà”. Questa difficoltà di interpretare ha origine nel fatto che nel linguaggio comune coscienza e volontà, fanno riferimento a un comportamento attivo od omissivo che sia posto in essere consapevolmente da parte dell'agente.

45 Nel prossimo paragrafo mi occuperò di trattare gli elementi oggettivi positivi e negativi, nell'illecito amministrativo

46 Fiandaca-Musco, Diritto penale. Parte Generale, Zanichelli, 2019.

47 Il dolo sussiste quando l'autore dell'illecito amministrativo agisce con volontà e prevede le conseguenze della sua azione o omissione. È la forma più grave di colpevolezza. La colpa sussiste qualora l'autore dell'illecito pur agendo con volontà, non ha preso coscienza delle conseguenze della sua azione: qui l'evento si può verificare a causa della sua negligenza, imprudenza, imperizia o a causa del mancato rispetto di leggi e regolamenti. Per quanto riguarda la preterintenzione è molto più complesso come concetto. Viene definita come dolo misto a colpa: qui l'autore dell'illecito agisce con volontà, prevedendo il verificarsi di un determinato dannoso, ma in realtà si verifica un evento più grave rispetto a quello che l'agente si è prefigurato.

48 Articolo 42, quarto comma, c.p.: “ Nessuno può essere punito per un azione od omissione preveduta

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L'interprete verrebbe, conseguentemente, obbligato a configurare l'elemento soggettivo delle contravvenzioni, esclusivamente, nel dolo. Ecco perché la dottrina penalistica ha ricostruito questo concetto in modo differente, ovvero configurandolo come un comportamento che è in grado di esser dominato e preveduto dall'agente: conseguentemente la dottrina ha potuto affermare la sanzionabilità di condotte che non sono state poste in essere volontariamente da parte dell'agente, ma che si sarebbero potute evitare usando la normale diligenza, prudenza e perizia.

3.1 La presunzione di colpa

Il modello della responsabilità afflittiva in materia amministrativa è disegnato dalla legge 689/1981 che richiede ai fini dell'applicazione della sanzione amministrativa all'autore del fatto illecito, la sussistenza della colpevolezza, proprio come accade in ambito penale.

Come già affermato nel precedente paragrafo, il nostro sistema configura all'interno dell'articolo 3 della legge 689/1981 un modello di responsabilità basato sul dolo e sulla colpa, quindi si da vita ad una responsabilità che varia a seconda del grado di partecipazione psicologica dell'autore dell'illecito.

Il principio di responsabilità personale espresso da questa norma viene ricondotto dalla dottrina al criterio secondo cui “dalla responsabilità per fatto proprio colpevole, in cui

la colpevolezza normativa ed individuale, riguarda l'atteggiamento psichico antidoveroso nei confronti del singolo fatto e non elementi personalistici estranei a questo atteggiamento concreto”49.

Quindi possiamo affermare che quando l'articolo 3 della legge 689/1981 parla di “coscienza e volontà” in merito alle caratteristiche necessariamente presenti nella condotta volontaria illecita, si fa riferimento alla capacità di comprendere correttamente la realtà esterna ed interna ed essere in grado di autodeterminarsi ovvero scegliere coscientemente e liberamente la condotta tenuta50.

Peculiarità, del sistema di imputabilità nell'illecito amministrativo, che viene elaborata dalla giurisprudenza è la c.d. presunzione di colpa. Essa trova origine all'interno di 49 F.MANTOVANI, Diritto penale, parte generale. Padova 2009.

50 Si differenzia rispetto alla previsione dell'articolo 85 del codice penale, che in materia di imputabilità parla di capacità d'intendere e di volere.

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alcune previsioni sanzionatorie, che la configurano in capo a soggetti gravati da doveri di vigilanza.

Si da spazio ad una riflessione in termini di responsabilità oggettiva, ovvero l'agente risponderebbe dell'illecito a prescindere da una effettiva partecipazione psicologica al fatto illecito.

Alla stregua di quanto detto, la giurisprudenza della cassazione51 prima, e poi quella del

consiglio di stato52 afferma che: “...in tema di sanzioni amministrative è necessario e al tempo stesso sufficiente la coscienza e la volontà della condotta attiva o omissiva senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa. Ne deriva che l'esimente della buona fede, applicabile anche all'illecito amministrativo disciplinato dalla legge n.689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa solo quando sussistono elementi positivi idonei a ingenerare nell'autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso”.

In sintesi, in sede giurisdizionale nel momento in cui si realizza la condotta materiale corrispondente alla fattispecie sanzionatoria, per applicare la sanzione e quindi per dimostrare la colpevolezza dell'autore, non è necessario dare dimostrazione del fatto che la condotta illecita sia stata dolosa oppure colposa53, è semplicemente necessario che la

condotta attiva o omissiva sia compiuta con coscienza e volontà; si verifica una presunzione di colpevolezza.

Questa presunzione comporta l'onere a carico di colui che ha commesso il fatto di dimostrare di aver agito senza colpa, ovvero allegando fatti probanti della esistenza di buona fede o di errori scusabili.

All'interno di questo quadro ricostruito dalla giurisprudenza, resta esclusa la possibilità di configurare una responsabilità in caso di assenza di una qualche minima 51 Si è creato un filone interpretativo unico in merito alla presunzione di colpa. Ricordiamo anche la sentenza numero 12391 del 2003 della Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, la quale afferma che il principio dell'articolo 3 legge n.689 del 1981: “deve essere inteso nel senso della sufficienza dei

suddetti estremi, senza che occorra la corretta dimostrazione del dolo o della colpa, atteso che la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso , riservando poi a questi l'onere di provare di aver agito senza colpa”.

52 Consiglio di Stato, sentenza numero 3719 del 21 giugno 2011.

53 L'accertamento dell'esistenza del dolo, della colpa e del loro grado di intensità è comunque necessario al fine di determinare il quantum della sanzione.

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partecipazione soggettiva o responsabilità di tipo oggettivo.

A conferma di ciò vi è l'articolo 7, della legge numero 689 del 1981 il quale sancisce il principio della intrasmissibilità degli effetti della violazione amministrativa agli eredi del suo autore54.

3.2 L'errore sul fatto

Il secondo comma, dell'articolo 3, della legge n.689 del 198155, introduce una causa di

esclusione della responsabilità: l'errore sul fatto.

Più precisamente viene considerata una causa di esclusione dell'elemento soggettivo dell'illecito, ovvero esclude il dolo e la colpa. A differenza delle cause oggettive di esclusione della responsabilità56 le quali escludono in radice l'illecito amministrativo.

Storicamente la dottrina suddivide la disciplina dell'errore in varie ripartizioni, ma la distinzione che in questa sede assume rilevanza è quella tra errore “sul fatto” ed errore “sul divieto”.

L'errore sul fatto si ha nel momento della formazione della volontà a causa di una mancata conoscenza o percezione della realtà: l'agente ha un'esatta conoscenza della norma punitiva amministrativa e crede di realizzare un fatto diverso da quello previsto dalla norma come illecito amministrativo.

L'errore sul divieto si verifica nel momento in cui l'agente si rappresenta e compie un fatto identico a quello descritto nella norma amministrativa, e che per errore su questa, ritiene che non si tratti di illecito amministrativo.

Se con riferimento all'errore di fatto è pacifico che questo rilevi nell'ambito degli illeciti amministrativi in quanto espressamente affermato all'interno della legge numero 689/1981, per quanto riguarda l'errore sul divieto, l'assenza di una disposizione normativa specifica ha reso necessario l'intervento della giurisprudenza.

La sentenza numero 364 del 1988, della Corte Costituzionale, segna un punto fermo in riferimento all'accezione della colpevolezza in materia penale, pronunciando l'incostituzionalità di parte dell'articolo 5 del codice penale e affermando l'indubbia 54 Legge n.689 del 1981, articolo 7: “L'obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si

trasmette agli eredi”.

55 Legge n.689 del 1981, articolo 3, secondo comma: “Nel caso in cui la violazione è commessa per

errore sul fatto, l'agente non è responsabile quando l'errore non è determinato da sua colpa”.

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portata espansiva dei principi espressi in tale pronuncia con conseguenti riflessi in materia amministrativa.

L'articolo 5 del codice penale57 sancisce il brocardo latino “ignorantia legis non exusat”.

Accogliendo la visione della dottrina dominante58, la Corte Costituzionale dichiara

l'incostituzionalità dell'articolo 5 c.p. nella parte in cui “non esclude dall'inescusabilità della ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile”.

Secondo la corte una esclusione in via assoluta dell'ignoranza contrasta con il principio di cui all'articolo 27 della Costituzione, il quale afferma il principio della colpevolezza inteso come rimproverabilità del comportamento antidoveroso posto in essere dall'autore dell'illecito.

La corte osserva che la funzione rieducativa della pena presuppone che il soggetto agente sottoposto a sanzione penale sia consapevole della sua violazione di norme incriminartici. Punire chi era inconsapevole dell'esistenza di una sanzione come conseguenza alla sua condotta equivarrebbe a scardinare le garanzie fondamentali del nostro ordinamento costituzionale: la pretesa rieducativa della pena non avrebbe alcun senso nei confronti di un soggetto inconsapevole dell'antigiuridicità del suo comportamento59.

La disciplina dell'error iuris, contenuta all'interno dell'articolo 5 del codice penale, spiega i suoi effetti anche in materia di illecito amministrativo60, come affermato dalla

giurisprudenza costituzionale, ma già emerso, per volontà del legislatore ordinario il quale nei lavori preparatori alla legge numero 689 del 1988, afferma la necessità di dar rilevanza all'errore sul diritto, facendo leva sull'istituto della buona fede nelle 57 Articolo 5 del codice penale: “Nessuno può invocare a propria scusa l'ignoranza della legge penale” 58 E. DOLCINI – C.E. PALIERO, I principi generali dell'illecito amministrativo nel disegno di legge

“Modifiche al sistema penale, in riv. it.dir, e proc. Pen, 1980 pag.1171.

59 Corte Costituzionale sentenza numero 263 del 1988: “Nelle prescrizioni tassative del codice il

soggetto deve poter trovare, in qualsiasi momento, cosa gli è lecito e cosa gli è vietato: e a questo fine sono necessarie leggi precise, chiare, contenenti riconoscibili direttive di comportamento. Il principio di colpevolezza è, pertanto, indispensabile per garantire al privato la certezza di libere scelte d'azione: per garantirgli, cioè, che sarà chiamato a rispondere penalmente solo per azioni da lui controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producono conseguenze penalmente vietate; e, comunque, mai per comportamenti realizzati, nella non colpevole, e pertanto, inevitabile ignoranza del precetto.”

60 Tale principio implica l'esclusione dell'elemento soggettivo per l'agente che si trovi nella ragionevole credenza di compiere un fatto lecito. Ragionevole significa che è necessario effettuare un apprezzamento di alcuni elementi come la qualifica professionale dell'agente, al suo dovere di informazione ecc.

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contravvenzioni61.

La questione della buona fede, e quindi dell'ignoranza dell'esistenza di una regola che vieta un determinato comportamento, ovviamente, va letta in termini stringenti: l'applicabilità o meno, di questa causa di esclusione dell'elemento soggettivo, da parte dell'organo giurisdizionale, deve effettuarsi alla stregua di una serie di criteri enucleati nel tempo dalla giurisprudenza.

Questi criteri impongono una valutazione generale delle qualità professionali e degli obblighi di informazioni gravanti sull'autore della condotta illecita. Solo laddove si constati che l'agente versa in condizioni di inferiorità tali da rendergli difficile, se non impossibile, la conoscenza della norma, conseguentemente si ammette l'applicazione della causa di esclusione dell'elemento soggettivo prevista dall'articolo 3 della legge n. 689 del 198862.

4. Le cause di giustificazione nell'illecito amministrativo

Nella legge n. 689 del 1981 troviamo, all'interno dell'articolo 463, la particolare

61 LAMBERTUCCI, sub art 3, in F. PALAZZO – C.E. PALIERO, Commentario, cit. pag 689. Prima della storica sentenza del 1988, della Corte Costituzionale, parte della dottrina auspicava una presa di posizione da parte del legislatore in merito all'errore sul precetto nella materia degli illeciti amministrativi.

62 Più precisamente, Cassazione civile, sezione II, numero 24803, 26 novembre 2006: “L'errore sul

diritto per la sua operatività richiede un'inevitabile ignoranza del precetto violato il cui apprezzamento va fatto alla luce della conoscenza e dell'obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull'agente in relazione anche alla qualità professionale posseduta e del suo dovere di informazione sulle norme che specificamente disciplinano l'attività che egli intende svolgere”.

E ancora Cassazione civile, numero 23621, 6 Novembre 2006: “La colpa come requisito sufficiente ad

integrare l'elemento soggettivo dell'illecito amministrativo, è normalmente presunta e l'eventuale ignoranza della illiceità della condotta ovvero l'errore sulla liceità del fatto devono risultare inevitabili ed incolpevoli, secondo i canoni della normale diligenza, occorrendo a tal fine, che siano stati introdotti da elementi positivi esterni o da informazioni ed atti provenienti da soggetti qualificati e dovendosi tenere conto in concreto dei doveri di conoscenza del soggetto che adduca la mancanza di colpa, sul quale in relazione all'attività, professionalmente svolta, in un settore regolato da particolari prescrizioni di legge, gravano obblighi specifici di informazione sicuramente maggiori dell'obbligo generico gravante sulla generalità dei cittadini”.

63 Legge numero 689 del 1981, articolo 4: “Non risponde delle violazioni amministrative chi ha

commesso il fatto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima ovvero in stato di necessità o di legittima difesa. Se la violazione è commessa per ordine della autorità, della stessa risponde il pubblico ufficiale che ha dato l'ordine. I comuni, le province, le comunità montane e i consorzi, le istituzioni pubbliche di assistenza e di beneficenza, gli enti commerciali senza scopo di lucro che svolgono attività socio-assistenziale e le istituzioni sanitarie che operano nel servizio sanitario nazionale e i loro amministratori non rispondono delle sanzioni amministrative e civili che riguardano l'assunzione di lavoratori le assicurazioni obbligatorie e gli ulteriori adempimenti, relativi a prestazioni lavorative stipulate nella forma del contratto d'opera e successivamente riconosciute come rapporti di lavoro subordinato, purché esaurite alla data del 31 dicembre del

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disciplina delle cause di giustificazione che consentono l'esclusione di responsabilità in materia amministrativa.

Infatti, la causa di giustificazione è posta dal legislatore all'interno dell'ordinamento con lo scopo di rendere lecito un fatto che integra la fattispecie di un illecito amministrativo. Ci sono situazioni in cui il nostro legislatore ritiene di non dover punire l'agente per un determinato fatto illecito.

Nel momento in cui opera la causa di giustificazione quello che si esclude è l'antigiuridicità del fatto. Essa viene definita come: “Un giudizio di riprovevolezza, di

repulsione sociale nei confronti di una condotta illecita. Questa repulsione, questo giudizio negativo si traducono nella necessità di punizione da parte dell'ordinamento.”64

Conseguentemente, il legislatore è obbligato a tipizzare, in modo preciso, tutte le ipotesi, che nella pratica possono verificarsi, in cui la condotta dell'agente sebbene integri la fattispecie dell'illecito disegnata dal legislatore, sia, comunque, priva dell'elemento della repulsione sociale.

L'articolo 4 della legge in questione non contiene una disciplina dell'istituto delle cause di giustificazione; questa mancanza obbliga ad estendere, e quindi applicare, la disciplina delle esimenti della materia penalistica alla materia amministrativa, salvo incompatibilità.65

Appare, comunque, doveroso specificare che il principio di riserva di legge impone il divieto di applicare analogicamente il contenuto di scriminanti specificamente previste in materia penale, ma non replicate all'interno della legge numero 689 (ad esempio il consenso dell'avente diritto66 o l'uso legittimo delle armi).

1997”

64 G.NAPOLITANO, Manuale dell'illecito amministrativo, Maggioli Editore, 2017.

65 Come più volte ribadito dalla giurisprudenza, vi è la necessità di effettuare un rinvio al modello penalistico in riferimento alla disciplina delle cause di giustificazione. Corte di Cassazione, sezione I, 12 luglio 2000, n. 9254: “L'articolo 4 della legge 689/1981 (cause di esclusione della responsabilità

in tema di sanzioni amministrative) postula, in mancanza di ulteriori precisazioni normative, un rinvio al modello penalistico, e segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità all'articolo 54 del codice penale”.

66 Il consenso dell'avente diritto è disciplinato nell'articolo 50 del codice penale: “Non è punibile chi

lede o pone in pericolo un diritto con il consenso dell'altra persona che può validamente disporne”.

Lo scopo di questa norma è quello di evitare di punire una condotta vietata, laddove esista un consenso espresso dal titolare di quel diritto leso. Importante ricordare che vi sono casi in cui la condotta vietata viene punita sebbene esista il consenso dell'avente diritto: ovvero quando la condotta vietata incide su un interesse di diritto pubblico o su di un diritto indisponibile.

(29)

Questa limitazione appare logica anche nell'ottica della natura indisponibile e collettiva dei diritti protetti attraverso le sanzioni amministrative ma soprattutto, dal basso livello di disvalore sociale di fatti costituenti violazioni punite con sanzioni amministrative. Questo non esclude la possibilità di estendere l'applicazione della disciplina penalistica delle altre cause di giustificazione agli illeciti amministrativi, questo, ovviamente, a patto che siano espressamente replicate all'interno della legge numero 689 del 1981. Passiamo adesso ad analizzare le cause di esclusione della responsabilità postulate espressamente dall'articolo 4 della legge numero 689 del 1981.

4.1 Esercizio di una facoltà legittima

La legge n. 689 del 1981 all'interno dell'articolo 4, primo comma, predispone una causa di esclusione della responsabilità nell'illecito amministrativo: esercizio di una facoltà legittima.

Va ricordato che qui il legislatore ha deciso di discostarsi rispetto al dettato del codice penale, non parlando di “esercizio di un diritto” proprio come fa il codice Rocco, ma parlando di “esercizio di una facoltà legittima”.

Secondo molti autori67 questa scelta sarebbe da ricondurre alla preoccupazione del

legislatore derivante dal fatto che poteva crearsi un'interpretazione estensiva del termine “diritto” contenuto all'interno dell'articolo 51 del codice penale.

Un'altra ragione di questa scelta risiede nel fatto che il legislatore utilizzando il termine “facoltà” voleva includere non solo le situazioni giuridiche soggettive riconducibili ai diritti soggettivi, ma anche gli interessi legittimi68.

La ratio di questa norma sta nel fatto che si vuole garantire la prevalenza all'esercizio di una facoltà legittima rispetto alle norme che possono confliggere tra di loro. Ovviamente, affinché operi l'esimente, è necessario che la previsione normativa che prevede l'esercizio della facoltà legittima sia di rango superiore o pari rango, rispetto alla previsione normativa che sancisce il divieto di agire.

67 LAMBERTUCCI in F.PALAZZO – C.E. PALIERO, Commentario, cit. pag. 690

68 L'interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva riconosciuta ad un soggetto che ne è titolare nei confronti della pubblica amministrazione. Questa situazione giuridica soggettiva ha come oggetto una utilità o un bene della vita che un soggetto privato mira o a conservare o a conseguire tramite l'esercizio legittimo del potere amministrativo.

(30)

Nel 201169 per la prima volta la giurisprudenza decide di applicare l'articolo 4, primo

comma, della legge n. 689 in conformità ai principi giuridici del diritto penale70.

L'oggetto della causa, che diede vita a questa giurisprudenza, riguardava l'opposizione ad una sanzione amministrativa inflitta ad un disabile il quale parcheggiò la sua autovettura, esponendo il dovuto tagliando, sul marciapiede e quindi in divieto di sosta. Secondo il Giudice di pace l'opponente parcheggiando in divieto di sosta viola l'articolo 158 del codice del strada, ma questa violazione risulta priva di punibilità in virtù del fatto che il l'opponente, così facendo, esercita una facoltà legittima derivante da una norma di ragno superiore, ovvero una norma costituzionale.

La tutela della salute (art. 32 Costituzione), il diritto alla libera circolazione (art. 16 Costituzione), il principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione) sono tutti i diritti esercitati legittimamente dall'automobilista invalido al quale deve essere garantita la possibilità di avvalersi della scriminante prevista all'articolo 4, comma 1, della legge numero 689 del 1981, operante in conformità a quelli che sono i principi del diritto penale.

4.2 Adempimento di un dovere

La scarna disciplina prevista all'articolo 4, comma primo e secondo della legge n. 689 del 1981, in merito all'operatività di questa scriminante, impone, come più volte affermato dalla giurisprudenza71, la necessità di attingere dal modello penalistico di

questa particolare causa di esclusione della responsabilità che troviamo all'interno dell'articolo 51 del codice penale.

Il dovere a cui il soggetto, in violazione di una norma amministrativa, decide di adempiere può provenire o da una norma di legge oppure da una autorità pubblica legittimata.

Analizzando il primo caso possiamo sottolineare che quando il dovere a cui il soggetto adempie proviene da una norma di legge il problema che si pone riguarda il tipo di fonte di norma che impone il dovere: nulla questio se si tratta di legge ordinaria o altro atto equiparabile.

69 Sentenza del 22 febbraio 2011 emessa dal Giudice di pace di Palermo. 70 Articolo 51 c.p.

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