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Il rendiconto finanziario nelle comunicazioni d'impresa

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Academic year: 2021

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CAPITOLO 1

CENNI STORICI

L’esame dell’origine e dei fattori di sviluppo del rendiconto finanziario presenta notevoli difficoltà, sia per il rischio di risultare incompleta, data la voluta sinteticità dell’indagine, sia difficoltà specifiche, perché il prospetto non ha mai presentato contenuti univoci e generalmente accettati.

Sotto la medesima denominazione, di rendiconto finanziario, sono stati compresi numerosi tipi di rendiconti. Tuttavia sono tutti accomunati e contraddistinti dall’intento di apportare informazioni sugli aspetti finanziari della gestione aziendale.

Generalmente viene attribuito a Cole il ruolo di inventore o di primo proponente di questo rendiconto. Infatti Cole presentò un prospetto assai semplice, in due sezioni, formato accostando due successive situazioni patrimoniali e rilevandone le variazioni nette. Da un lato erano raccolti gli aumenti degli elementi attivi e le diminuzioni di quelli passivi, sotto il titolo “ Where gone “: queste variazioni infatti presupponevano delle spese e ne indicavano la destinazione.

Nell’altra sezione, denominata “ Where got “, apparivano gli incrementi degli elementi passivi e le diminuzioni di quelli attivi. Queste variazioni infatti segnalavano l’avvenuta disponibilità di mezzi e ne indicavano la provenienza. In un suo successivo lavoro del 1921 Cole chiamò il suo prospetto “ Summary of Bilance Sheet Changes “ e le due sezioni, rispettivamente, “Application of Values” e “Source Values”. Ma la forma e la tecnica di preparazione rimasero identiche.

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ILLUSTRATIVE BALANCE SHEET

Assets anno x anno x+1 Liabilities anno x anno x+1 Real estate and plant 275 420 Capital stock 500 500

Bills receivable 8 60 Bills payable 100 100

Accounts receivable 2 10 Accounts payable - 20

Supplies 15 5 Profit and loss - 20

Cash 300 40

Merchandise - 105

600 640 600 640

WHERE-GOT1 WHERE-GONE STATEMENT

Where-Got Liabilities

Supplies -10 Real estate and plant 145

Cash -260 Bills payable 52

Accounts payable 20 Accounts receivable 8

Profit and loss 20 Merchandise 105

310 310

Il rendiconto di Cole era una semplice riclassificazione delle variazioni degli elementi patrimoniali, senza alcuna analisi accessoria per giustificare certi incrementi o decrementi netti. Era fondato sull’ipotesi, non sempre vera, che una variazione di un elemento patrimoniale costituisce comunque una fonte o un impiego di risorse.

E’ certo, inoltre, che almeno da cinquant’anni prima del 1908 erano in uso, sia negli Stati Uniti che in Inghilterra, rendiconti di natura finanziaria, che si accompagnavano al bilancio di esercizio. Alcuni di essi mettevano in luce le variazioni di ogni voce dello stato patrimoniale, altri dimostravano le variazioni subite dai valori liquidi o dalle attività correnti.

Il prospetto di Cole era, come si è detto, assai semplice. Si trattava di una riclassificazione degli incrementi e decrementi riscontrati nelle voci del patrimonio. Anche il criterio in base al quale si operava la riclassificazione era

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molto semplice, infatti veniva fatta senza apportare aggiustamenti di sorta, usando i soli valori netti di bilancio, non analizzando affatto il conto del risultato netto di esercizio.

Inizialmente, il prospetto fu senza dubbio solo uno strumento per meglio analizzare un bilancio, e rendersi conto delle modifiche avvenute negli elementi patrimoniali.

Ma alla semplicità dei concetti esposti, non si accompagnava purtroppo un’altrettanta chiarezza e proprietà di linguaggio. Né Cole seppe indicare con argomentazioni sicure le precise funzioni del rendiconto.

Tuttavia, lo scopo che più di ogni altro egli sembra attribuirgli è quello di essere segnaletico della solvibilità e delle liquidità aziendale.

Nel decennio successivo al lavoro di Cole non vi furono, nella letteratura contabile, opere sostanzialmente innovatrici.

Nella pratica continuò l’impiego del prospetto finanziario nelle sue principali configurazioni. Esso si avvantaggiò indirettamente dell’influenza esercitata da talune circostanze proprie dell’ambiente economico, che ebbero l’effetto di accrescere l’importanza dei rendiconti aziendali in genere.

Il periodo bellico comportò l’introduzione dell’Income Tax e provocò un più frequente ricorso delle aziende al credito bancario. I bilanci delle imprese divennero oggetto di attento interesse da parte delle banche che miravano a valutare in special modo la solvibilità e la liquidità delle imprese, e la capacità dei dirigenti ad amministrare i mezzi finanziari ottenuti.

Sono, inoltre, da segnalare l’istituzione di apposite scuole per la preparazione agli esami di Certified Public Accountant e l’introduzione dello Students’ Department su The Journal of Accountancy, a partire dal 1914, che aveva il medesimo scopo. Questa rubrica, di cui cominciò ad occuparsi Walton2, (curata

2 Walton espresse l’opinione che il prospetto avrebbe dovuto fornire notizie sulle condizioni aziendali

viste dal punto di vista della liquidità, e per questo completare l’informazione offerta dal conto economico. Egli riteneva utile la lettura del prospetto soprattutto per coloro che non fossero esperti di contabilità. Per gli esperti, invece, sarebbe stato interessante vedere come un’azienda incrementi i propri investimenti fissi a scapito del capitale circolante. (Il rendiconto finanziario nelle imprese, Lucio Potito, Gianni Editore, 1980).

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in seguito da Finney), esercitò una influenza notevole sulle procedure contabili in uso.

Lo schema proposto da Finney si differenziava da quello di Cole in quanto le voci dell’attivo e del passivo corrente risultavano insieme raggruppate nell’unico saldo “Incremento (o decremento) del capitale di esercizio”, il quale era inserito nella sezione con il totale minore, così che la forma fosse quella bilanciante. La dimostrazione delle variazioni dei singoli elementi del capitale di esercizio veniva fornita in un allegato al prospetto. In questo modo, oggetto principale del prospetto è la modifica complessiva dell’entità del capitale circolante. Le variazioni nelle altre voci patrimoniali diventano le cause, positive o negative, di quella modifica3. Balance Sheet Assets 31.12.xxxx 31.12.xxxx+1 Cash 5.000 1.800 Accounts receivable 30.000 32.000 Raw material 12.000 14.500 Goods in process 16.000 17.500 Finished goods 21.000 19.000 Land 70.000 100.000 Buildings 115.000 170.000 Machinery 90.000 100.000 Tools 26.000 23.000 Patents 30.000 28.000 Discount on bonds - 2.000 Investment in stocks 25.000 - Advances to salesmen 500 1.000 Unexpired insurance 300 250 440.800 509.050 Liabilities 31.12.xxxx 31.12.xxxx+1 Accounts payable 35.000 10.000 Notes payable 25.000 5.000 Bank loans 20.000 - Bonds payable 200.000 300.000

Reserve for depreciation 20.000 29.000

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Reserve for bad debts 1.200 1.500 Reserve for construction 16.000 20.000

Capital stock 100.000 100.000

Surplus 23.600 43.550

440.800 509.050

Comparative Balance Sheet Soluzione 1 Assets 31.12.xxxx 31.12.xxxx+1 Decrease Increase Cash 5.000 1.800 3.200 Accounts receivable 30.000 32.000 2.000 Raw material 12.000 14.500 2.500 Goods in process 16.000 17.500 1.500 Finished goods 21.000 19.000 2.000 Land 70.000 100.000 30.000 Buildings 115.000 170.000 55.000 Machinery 90.000 100.000 10.000 Tools 26.000 23.000 3.000 Patents 30.000 28.000 2.000 Discount on bonds - 2.000 2.000 Investment in stocks 25.000 - 25.000 Advances to salesmen 500 1.000 500 Unexpired insurance 300 250 50 440.800 509.050 35.250 103.500

Net increase in assets 68.250

103.500 103.500 Liabilities Accounts payable 35.000 10.000 25.000 Notes payable 25.000 5.000 20.000 Bank loans 20.000 - 20.000 Bonds payable 200.000 300.000 100.000

Reserve for depreciation 20.000 29.000 9.000

Reserve for bad debts 1.200 1.500 300

Reserve for construction 16.000 20.000 4.000

Capital stock 100.000 100.000

Surplus 23.600 43.550 19.950

440.800 509.050 65.000 133.250

Net increase in liabilities 68.250

133.250 133.250

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Lo schema di Finney si basava dunque su una concezione differente della funzione del prospetto. Per essa divenne valida l’uguaglianza: Fondi = Capitale di esercizio4. Benché non fosse sconosciuta nella pratica, gli scritti di questo autore erano i primi ad illustrarla pubblicamente.

Nei numerosi commenti alla propria soluzione Finney affermò che la semplice riclassificazione delle variazioni riscontrate comparando due stati patrimoniali successivi non chiarisce i mutamenti verificatisi nelle condizioni finanziarie aziendali. Occorre raggruppare le variazioni relative a determinate categorie di elementi patrimoniali. Distinguere quelle che riguardano il capitale fisso da quelle relative al capitale circolante, considerato come unico insieme. La variazione complessiva di quest’ultimo viene poi analizzata in un apposito allegato.

Possiamo dire che negli anni quaranta il rendiconto finanziario aveva ormai affermato nella letteratura contabile le proprie caratteristiche fondamentali. Naturalmente ci sono stati successivi perfezionamenti, soprattutto tesi ad offrire una più razionale sistemazione delle voci, nonché interessanti contributi teorici. In quegli anni, però, la diffusione pratica del rendiconto per fini interni aziendali è ancora limitata, mentre essa si estende notevolmente dopo il 1950. Due ricerche di questo tempo condotte negli Stati Uniti, affermano una percentuale di diffusione, per tale finalità, che va dal 43% al 94%, via via che si passa dalle piccole alle grandi aziende5. Ma le imprese che pubblicano il rendiconto sono poche ed ancora meno sono quelle che fanno certificare il rendiconto.

Dopo di allora, l’uso per fini esterni di questo prospetto è andato costantemente crescendo. Numerosi sono i fattori che hanno procurato il progressivo sviluppo del nostro prospetto. Molti sono di ordine generale, e comuni ai rendiconti aziendali nel loro complesso.

Per quanto concerne il suo impiego interno, possiamo dire che avrà senz’altro cooperato il diffondersi di una più spiccata razionalità e di un comportamento più

4 L’enorme influenza di Finney contribuì a diffondere e rendere popolare l’uso del termine “funds”, in

sostituzione di quello di “resources”.

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consapevole nel governo delle imprese; la maggiore attenzione prestata all’attività di pianificazione e di controllo della gestione.

Per le stesse ragioni e nella medesima direzione progrediva la management accounting, con la quale il prospetto si è evoluto. I suoi impieghi nelle previsioni aziendali o nel controllo delle divisioni di un’azienda ne sono una dimostrazione. Né si può tacere il ruolo della “nuova” finanza aziendale. La quale, a differenza di quella tradizionale, largamente influenzata da fattori esterni all’impresa, privilegia l’approccio manageriale. Essa pone in risalto i problemi finanziari interni che la gestione continuamente pone alla direzione aziendale. E fra questi, hanno particolare rilievo come gestire le attività aziendali e quale conveniente composizione dare alle passività.

A parte le circostanze create dal manifestarsi del ricordato fenomeno monetario, il rendiconto finanziario si presenta come un documento di più agevole lettura per coloro che non sono particolarmente esperti in materia contabile; offre la possibilità di operare più facilmente delle comparazioni tra i dati pubblicati da aziende diverse; consente di valutare l’andamento aziendale anche sotto un aspetto diverso, non esclusivamente basandosi, cioè, sul reddito prodotto. Sono tutti elementi, questi, che certamente hanno favorito la sua diffusione.

Non si può trascurare, infine, il ruolo svolto negli Stati Uniti dall’AICPA (precedentemente American Institute of Accountants, ovvero AIA). Questo istituto prende in esame strumenti e procedure contabili certamente quando questi già cominciano a manifestarsi nella pratica con una certa consistenza. Ma non si può negare che il suo intervento accelera e tende a standardizzare l’uso di quegli strumenti e procedure.

L’AICPA promosse anzitutto sul rendiconto finanziario il notissimo e fondamentale studio di Mason, edito nel 1961.

Emise poi sull’argomento, tramite l’apposito comitato, due pronunciati ufficiali, rispettivamente nel 1963 e nel 1971. Nell’intervallo, cioè nel 1969, si segnala che la SEC cominciò a richiedere alle società di includere rendiconti finanziari certificati nei periodici rapporti che erano tenute a presentare.

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Il pronunciato del 1963 (Accounting Principles Board Opinion n. 3) dichiarava solo opportuna, ma non obbligatoria, la presentazione del rendiconto finanziario e parimenti volontaria considerava la sua certificazione.

Di maggiore interesse è il pronunciato del 1971 (APB Opinion n. 19), con il quale si dichiarò obbligatorio il rendiconto e si presero meglio in considerazione certi suoi aspetti. Pur avendo di mira l’incremento dell’uniformità della sua struttura e composizione, tuttavia l’Opinion esplicitamente ne incoraggiava la flessibilità.

Per rendere completa l’informazione sull’opera svolta a favore del rendiconto finanziario dalle associazioni professionali, ricordiamo poi che in Gran Bretagna è stato emesso nel 1975 uno Statement of Standard Accounting Practice (SSAP n. 10), che raccomanda l’inclusione del rendiconto a partire dal 1976 e la sua certificazione. Tale standard prevedeva la redazione del rendiconto finanziario6 sulla base delle variazioni del capitale circolante netto, secondo il seguente schema espositivo:

1. Utile (perdita) del periodo, rettificato sulla base delle poste che non determinano impieghi, né movimentazioni di capitale circolante netto: per esempio gli ammortamenti;

2. Dividendi erogati;

3. Acquisizioni o dismissioni di attività appartenenti al capitale fisso, sia tecnico che finanziario, ovvero non correnti;

4. Fondi ottenuti da accensioni di finanziamenti a medio e lungo termine o assorbiti per il rimborso di tali finanziamenti, e fondi derivanti dall’emissione di azioni;

5. L’incremento o il decremento del capitale circolante (working capital), compreso il dettaglio delle variazioni delle singole componenti e dei movimenti nei fondi liquidi.

Tale standard ha avuto una notevole influenza sul rendiconto finanziario suggerito in Italia dalla Commissione per la statuizione dei principi Contabili del Consiglio Nazionale dei Dottori commercialisti, di cui al Documento n. 2,

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“Composizione e schemi di bilancio d’esercizio di imprese mercantili e industriali”, pubblicato nel 1977. Infatti tale documento raccomandò la presentazione del rendiconto finanziario

In Italia, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti nel Documento n. 2 dell’apposita Commissione per la Statuizione dei Principi Contabili (edito nel gennaio 1977) ha raccomandato la presentazione del rendiconto finanziario. Si propone che esso dimostri le variazioni del capitale circolante oppure quelle delle attività liquide.

I limiti principali di tale modello di rendiconto sono riconducibili sia al significato dell’utile come fonte di risorse, sia alla diversa capacità informativa che potrebbe aversi partendo da figure alternative dell’utile del periodo: l’utile considerato può essere sia quello prima che quello dopo le imposte, sia quello comprensivo o meno di componenti straordinarie. Inoltre è bene sottolineare che il reddito non equivale a un flusso di cassa, in quanto è un valore che fa riferimento alla competenza economica dell’onere e del provento e non al regolamento monetario del pagamento o dell’incasso. Non solo, ma dipende anche dal valore attribuito alle scorte e agli ammortamenti, quali valori rispettivamente di collegamento fra due e più esercizi.

La somma di utile più ammortamenti rappresenta quindi solo una fonte potenziale di risorse liquide: solo se non ci sono variazioni nei crediti, nei debiti e nelle scorte tale flusso potenziale si trasforma in un flusso effettivo di liquidità. La dottrina italiana ha definito la somma di utile più ammortamenti come “cash flow”, e ha sottolineato come tale grandezza “si origini già investita nella gestione”. Infatti dipende dal volume di vendite conseguito, non dalle effettive entrate derivanti dalle vendite (cash inflow): l’utile rimane investito nei crediti verso la clientela e si trasformerà in un flusso di casa positivo solo se quei crediti verranno incassati secondo le previsioni formulate. Così incrementi di utile possono ricondursi a maggiori valutazioni attribuite alle scorte7.

La difficoltà di definire in termini univoci la grandezza del “capitale circolante netto”, le cui variazioni il rendiconto è destinato a mettere in evidenza, unite alle

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sue caratteristiche di quantità sensibile all’applicazione dei principi contabili di prudenza e competenza, hanno suscitato un forte dibattito nella teoria e nella prassi, che ha messo in evidenza le difficoltà interpretative di tale documento, e ha suggerito l’adozione di modelli di rendiconti finanziari strutturati sulla base dei flussi netti di cassa.

Possiamo pertanto osservare che nel 1987, sulla base dei suggerimenti di un gruppo di lavoro, negli USA il FASB procedette a pubblicare lo SFAS 95 – Statement of cash flow, mentre, per quanto riguarda il Regno Unito l’ASC pubblicò nel luglio 1990 un Exposure Draft (ED 54), che ricalcava in modo significativo la proposta americana. Tale ED ha condotto alla pubblicazione nel settembre 1991 del FRS No 1 “Cash Flow Statement”, che stabilisce gli standards per il Cash flow reporting.

Per migliorare la capacità informativa del rendiconto finanziario, lo FRS No 1 richiede che inflow e outflow di cassa8siano classificati secondo criteri definiti in relazione all’attività ce li ha originati. Le classificazioni dei flussi netti di cassa richiesti dallo statement sono stati così definiti:

a) Flusso netto di cassa derivante dalle attività operative;

b) Proventi sugli investimenti di natura finanziaria e oneri finanziari per il servizio dei finanziamenti;

c) Imposte e tasse;

d) Flusso netto di cassa dall’attività di investimento;

Saldo: Flusso netto di cassa prima dei finanziamenti (fabbisogno finanziario da coprire);

e) Flusso netto di cassa dalle attività di finanziamento; Saldo finale: Aumento (diminuzione) dei fondi di cassa e assimilati.

Lo standard definisce accuratamente il contenuto di ciascuna area e richiede l’indicazione di totali parziali significativi, in particolare richiede l’indicazione del flusso di cassa netto prima dell’attività di finanziamento. Nelle seguenti

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tabelle vengono riportati gli schemi di rendiconto finanziario suggeriti rispettivamente dal FASB USA e dall’ASC UK.

La differenza maggiore fra lo standard US e quello UK è che mentre negli Usa viene raccomandato il metodo diretto di rappresentazione dei flussi di cassa, cioè focalizzato sul complesso delle entrate e uscite, lo standard UK consente anche il metodo indiretto, che ricostruisce il flusso netto di cassa derivante dall’attività operativa dalla somma di utile più ammortamenti, meno la variazione del capitale circolante.

In Italia la normativa di bilancio introdotta con la IV direttiva e con il connesso decreto n. 127 del 1991 ripropone la questione o meno dell’adozione o meno del rendiconto finanziario e, se la risposta è affermativa, di quale configurazione scegliere9.

La dottrina aziendale e quella giuridica sembrano concordi nel sostenere che, anche se non esplicitamente richiesto dal legislatore, il rendiconto finanziario costituisca un documento che completa il sistema di bilancio perché cosente una più puntuale informativa nei confronti dei terzi aventi diritto.

Tale convincimento nasce facendo riferimento in generale alla norma comunitaria che all’art. 2, punto 4, prevede esplicitamente che “quando l’applicazione della presente direttiva non basta per fornire il quadro fedele di cui al paragrafo 3, si devono fornire informazioni complementari”. Lo spirito di questo punto della Direttiva è poi riflesso nell’art. 2423 c.c., comma 3, che afferma che: “Se le informazioni richieste da specifiche disposizioni di legge non sono sufficienti a dare una rappresentazione veritiera e corretta, si devono fornire le informazioni complementari necessarie allo scopo”.

In particolare per quanto riguarda la presentazione del rendiconto finanziario vi è anche chi si rifà alle prassi contabili delle società quotate che sono più sensibili al problema della completezza dell’informazione da bilancio e che nel nostro Paese prevede espressamente che, oltre al prospetto delle variazioni nei conti del patrimonio netto, venga presentato anche il rendiconto finanziario10. Pertanto

9 G. Brunetti – U. Sostero, Rivista di Dottori Commercialisti, n. 3, 1994, Giuffrè editore, Milano, p.427 10 F. Dezzani, P.Pisoni, L. Puddu, Il bilancio e la IV direttiva CEE, Giuffrè, 1991, p. 953

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secondo questa linea di pensiero, la sua presentazione sarebbe conforme, se non addirittura richiesta da una prassi di generale accettazione.

Vi è anche chi riprende il dettato dell’art. 2423 c.c., comma 2, il quale afferma che il bilancio deve rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale e finanziaria della società e il risultato economico dell’esercizio. Tuttavia, anche se per la dottrina aziendale la situazione finanziaria non può che essere un complesso giudizio prospettico sulla solvibilità dell’impresa, il rendiconto ne può rappresentare un utile supporto informativo, da presentare assieme agli altri prospetti contabili o da inserire nell’ambito della relazione sulla gestione.

Alcuni autori, Giambianco e Bussolotti, arrivano a sostenere, attraverso una interpretazione molto rigida del suddetto articolo, addirittura l’obbligo di presentare questo documento lasciando solo la scelta agli amministratori della sua forma.

In ogni caso, il rendiconto finanziario dovrebbe essere un documento supplementare consigliabile e opportuno per ottenere una informazione più chiara e puntuale.

I dati elaborati e classificati dal rendiconto finanziario provengono dal bilancio di esercizio, esso fornisce la rappresentazione del complesso sistema di valori dell’impresa la cui intelligibilità e significatività dipendono dalle logiche e dalle scelte valutative cui si ispirano i redattori dello stesso. Tale complesso sistema di valori racchiude e documenta i risultati dell’attività di gestione degli amministratori consentendo, in funzione del grado di espressività dei dati contenuti nel bilancio stesso, un giudizio più o meno consapevole in merito alla osservanza dei principi di sana, corretta e prudente gestione da parte di questi ultimi.

Occorre tuttavia rilevare che l’elaborazione dei dati di bilancio risente di due notevoli limitazioni:

- la prima può essere ricondotta al principio in base al quale la scelta dei criteri di valutazione e conseguentemente la grandezza e la composizione del capitale di

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bilancio mutano a seconda dei fini che il bilancio stesso si propone di raggiungere. Tale fine può essere la conoscenza e la determinazione del capitale di funzionamento, del capitale di cessione, del capitale di liquidazione, ecc.

- la seconda è costituita dalle c.d. “politiche di bilancio”, incompatibili con l’obiettivo del bilancio di determinare il reddito “prodotto” nell’esercizio e viste come strumento per indirizzare le scelte concernenti i criteri di valutazione alle finalità che i redattori del bilancio di volta in volta si possono proporre di raggiungere (per esempio il livellamento dei redditi nel tempo, oppure la formazione di riserve occulte).

Nell’ambito della formazione del bilancio il momento della valutazione è fondamentale. Da esso infatti dipende la grandezza del capitale di funzionamento e del reddito di periodo.

Pertanto, anche il rendiconto finanziario, in quanto prospetto derivato, risentirà delle suddette limitazioni.

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ANALISI DI BILANCIO E RENDICONTO FINANZIARIO

L’analisi di bilancio è un complesso ragionamento, basato su uno o più bilanci, volto alla interpretazione dei dati ricavati da tali bilanci e teso a studiare particolari aspetti della gestione. Si tratta di una tecnica di tipo quantitativo, che fa parte dell’insieme di tecniche che consentono le elaborazioni dei dati di bilancio effettuate per i più vari fini.

Si può anche dire, in modo sintetico, che le analisi di bilancio sono una tecnica di confronto di dati normalmente tratti da più bilanci d’esercizio e comparati nel tempo, con riferimento alla stessa impresa, e/o nello spazio, con riferimento ad imprese diverse, al fine di poter, entro ceti limiti, studiare aspetti della gestione aziendale complementari a quelli espressi dalla misura del reddito di esercizio e del connesso capitale di funzionamento11.

Le analisi di bilancio si basano perciò sui bilanci di esercizio delle imprese e la loro attendibilità è direttamente proporzionale a quella dei dati dei bilanci presi in considerazione.

Le analisi di bilancio possono essere condotte con varie metodologie e possono essere classificate:

1) Sulla base dei soggetti che le svolgono;

2) Sulla base degli aspetti della gestione che vengono presi in considerazione ed in questo caso avremo analisi reddituali, analisi finanziarie e analisi patrimoniali;

3) Sulla base delle situazioni che prendono in considerazione, ed in questo caso avremo indagini statiche e dinamiche;

4) Sulla base delle operazioni che prendono in considerazione, cioè se valutano operazioni compiute, avremo analisi retrospettive o storiche, se invece valutano operazioni che si ipotizza di compiere in futuro, avremo analisi prospettiche.

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Sulla base dei soggetti che le svolgono

Potremo così avere analisi interne ed analisi esterne, le quali hanno caratteristiche sostanzialmente diverse.

Infatti l’analista esterno può basare le sue elaborazioni solo sui dati ricavati dal bilancio destinato alla pubblicazione, ma tali dati sono normalmente insufficienti per attuare una analisi completa sull’azienda, ossia sulla sua struttura, sulle sue strategie e sulle sue politiche. L’analista interno ha invece a sua disposizione una massa di informazioni, oltre a quelle di bilancio, che consentono di esprimere un giudizio molto più attendibile.

L’analista interno ha infatti accesso ai dati sulla struttura organizzativa, ai dati della contabilità analitica, a quelli della programmazione aziendale. Inoltre l’analista interno può conoscere altre informazioni particolarmente utili per certe indagini, quali il portafoglio ordini dell’azienda e soprattutto i dati sulla dinamica delle operazioni aziendali.

In conclusione, le analisi esterne sono condotte sulla base dei soli dati di bilancio, mentre quelle interne fanno affidamento su informazioni aggiuntive.

Sulla base degli aspetti della gestione che vengono presi in considerazione, ed in questo caso avremo analisi reddituali, analisi finanziarie e analisi patrimoniali. Tale distinzione, che non è mai assoluta, riguarda gli aspetti fondamentali della gestione aziendale, la quale si presenta come interrelazione di quattro fasi, fra loro collegate, che consistono nell’acquisizione dei mezzi finanziari per la copertura del fabbisogno di finanziamento derivante dall’acquisizione dei fattori produttivi durevoli e non durevoli, nell’attuazione dei processi per la trasformazione dei fattori in prodotti, nella vendita dei prodotti al fine di ottenere i mezzi finanziari da immettere nuovamente nel ciclo qui descritto.

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La gestione deve tendere a realizzare l’equilibrio, che può essere di tre tipi:

⋅ equilibrio economico, che fa riferimento ai costi, ai ricavi e quindi al reddito, e che consiste nella capacità dell’azienda di remunerare tutti i fattori produttivi, compreso il capitale apportato dal titolare o dai soci, senza alterare l’equilibrio finanziario;

⋅ equilibrio finanziario, inteso quale capacità dell’azienda di far fronte ai propri impegni finanziari con i mezzi provenienti dal capitale proprio, dai finanziamenti e dai ricavi, senza pregiudicare gli altri equilibri. Quando si fa riferimento alle operazioni aziendali intese come fonti ed impieghi, ci riferiamo all’aspetto finanziario, quando invece si fa riferimento ai trasferimenti di mezzi monetari di pagamento, incassi e pagamenti si ha l’aspetto monetario.

⋅ equilibrio patrimoniale, inteso come il risultato finale dei due equilibri in precedenza indicati, e quindi come la capacità dell’azienda di conservare e migliorare l’assetto patrimoniale.

I tre aspetti della realtà aziendale sono concatenati e non del tutto scindibili, pertanto anche i tre tipi di analisi sono non sempre facilmente distinguibili. Gestione economica, patrimoniale e finanziaria sono tre aspetti inscindibili dell’unica realtà d’impresa, nella quale le disponibilità finanziarie che provengono dalle fonti di finanziamento sono investite in attività patrimoniali, capitale fisso e capitale circolante, necessarie per sviluppare il

SOCI TERZI

Rimborsi di finanziamenti

Disinvestimento = Entrate per vendita di prodotti o servizi Produzione

economico – tecnica = Trasformazione dei fattori produttivi Investimenti = Uscite per acquisizione di fattori produttivi Finanziamenti Entrate

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processo produttivo e distributivo dei prodotti al fine di pervenire, attraverso la contrapposizione dei ricavi e dei costi, al conseguimento del profitto12.

12 Ferrero G. – Dezzani F., Manuale delle analisi di bilancio. Indici e flussi, Giuffrè Editore, Milano, pag.

17 e seg. Soci Capitale circolante Capitale fisso Tesoreria Terzi Flussi in entrata Ricavi Flussi in uscita Costi Dividendi

Rimborsi Interessi Rimborsi

Investimenti Disinvestimenti Flusso di cass a al netto delle im poste Flusso di cassa di gestione Stato Lavoratori Fornitori Prestatori di servizi Po litica d i fi na nz iamen to Po litica d i inv estimen to Area del le pol iti che di gest io ne Po litica fiscal e

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I ricavi e i costi, che sono l’espressione economica dell’attività di gestione, si manifestano di norma attraverso i flussi finanziari in entrata e in uscita, dal cui equilibrio dipende la vita e la possibilità di sviluppo delle aziende. Costi e ricavi procedono ad una velocità diversa rispetto ai flussi finanziari, infatti se prendiamo ad esempio il caso dell’acquisto di una immobilizzazione tecnica, vediamo che il flusso finanziario in uscita è immediato, mentre il costo si ripartisce fra la serie di esercizi interessati all’impiego dell’immobilizzazione.

Tuttavia anche i flussi finanziari procedono a velocità diversa, a seconda che si riferiscano al sorgere dei crediti e dei debiti o invece alle entrate e uscite di cassa. Infatti a seconda del tipo di operazione che viene posta in essere avremo che i vari aspetti finanziario, monetario ed economico si manifesteranno in tempi diversi:

Come è possibile notare è importante studiare bene agli aspetti della gestione al fine di poter conoscere la conseguenza delle singole operazioni sui vari equilibri aziendali.

Il “tempo” è un fattore molto importante, sia sotto il profilo economico, per i suoi riflessi sui costi e sui ricavi, sia sotto il profilo strettamente finanziario che sotto quello monetario, per la valutazione delle possibilità o meno per l’azienda di avere a disposizione i mezzi finanziari necessari per lo sviluppo dei programmi,

Aspetto finanziario Aspetto monetario Aspetto economico

Acquisto fattori produttivi

durevoli

ricevimento fattura pagamento

utilizzo ripartito nel tempo (ammortamento) Materie prime,

semilavorati, prodotti finiti

ricevimento fattura pagamento consumo (rimanenze iniziali + acquisti - rimanenze finali) Vendita prodotti emissione fattura incasso vendita (consegna)

Prestazione di

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indipendentemente dalla fattibilità economica degli stessi. In altri termini le aziende non possono fermarsi al solo esame dell’aspetto economico della gestione, ma devono attentamente valutare anche l’aspetto finanziario e quello monetario. Questo significa che le aziende non devono solo considerare la fattibilità economica dei programmi, ma anche i tempi di realizzazione dei vari progetti13.

Il conseguimento di un utile non è sempre una garanzia della capacità dell’azienda di far fronte tempestivamente ai propri impegni finanziari e non è sempre garanzia di un equilibrio patrimoniale. La valutazione di ordine economico, sia passata che futura dell’azienda deve necessariamente essere integrata da analisi di tipo finanziario, monetario e patrimoniale, poiché la gestione aziendale, pur unitaria, deve essere considerata nei suoi diversi aspetti. A questo punto occorre aggiungere che la locuzione “analisi finanziarie” può essere assunta in una accezione ampia o in una accezione ristretta.

In senso lato, per analisi finanziarie si intendono le analisi di ogni tipo condotte sui dati di bilancio. Il termine è quindi sinonimo di analisi di bilancio, che sono definite anche analisi finanziarie di bilancio, e che possono riguardare sia gli aspetti finanziari che quelli patrimoniali che quelli economici.

In senso stretto, e quindi riduttivo, il concetto si riferisce alle analisi di tipo finanziario, relative perciò all’acquisizione delle risorse finanziarie (i finanziamenti) e agli impieghi (gli investimenti) di tali risorse finanziarie o monetarie (liquidità).

Nel primo caso il concetto deriva dalla traduzione del termine anglosassone financial statement, che significa bilancio.

Nel secondo caso ha il significato più ristretto di “riguardante la finanza”.

Sulla base delle situazioni che prendono in considerazione, ed in questo caso avremo indagini statiche e dinamiche.

Le analisi statiche, dette anche di struttura o spaziali, tendono a evidenziare i risultati di un aggregato di operazioni riferito a un determinato istante. Sono

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normalmente svolte prendendo in esame il bilancio di una sola azienda o di aziende similari.

L’analisi dei dati di un solo bilancio di una sola azienda è definita anche di struttura o istantanea o verticale, perché accerta la composizione delle varie voci di capitale o di reddito, al fine di trarre giudizi sulla struttura economica, finanziaria o patrimoniale dell’azienda. L’analisi di struttura si limita a dire quello che l’azienda è in quel momento. Si tratta di una indagine di scarso rilievo pratico, perché non si basa su confronti.

Le analisi di struttura economica tendono ad accertare la corretta composizione delle varie classi di costi e di ricavi. Quelle riferite alla struttura finanziaria tendono a mostrare la composizione delle fonti di finanziamento (= passività) e dei corrispondenti impieghi (= attività). Quelle riferite alla struttura patrimoniale tendono a evidenziare il sistema degli elementi patrimoniali attivi e passivi. Il tutto è riferito ad un determinato istante.

Le analisi dinamiche sono dette anche di andamento, di tendenza, di trend, temporali o seriali o orizzontali.

Esse hanno lo scopo di accertare le variazioni di una data struttura di valori nel tempo. Esse richiedono la disponibilità di una serie di bilanci nel tempo riferiti alla stessa azienda oggetto di indagine.

Queste analisi consentono di evidenziare le tendenze di fondo della gestione aziendale, o di suoi particolari aspetti nel tempo. E’ per questo motivo che sono definite analisi di tendenza o di trend14. Esse consentono di accertare l’evoluzione nel tempo dei più importanti elementi di giudizio sull’azienda, ossia la sua solidità patrimoniale, l’equilibrio finanziario e monetario, la redditività, la capacità di autofinanziamento, l’efficienza aziendale ecc.

Per poter effettuare l’analisi seriale dei bilanci di una certa azienda devono essere preliminarmente verificate le seguenti condizioni:

⋅ non devono essere intervenuti mutamenti radicali nella gestione dell’impresa per effetto di scorpori, fusioni, abbandono di produzioni,

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apertura di nuovi mercati, ecc. In questo caso i dati vanno depurati prima di procedere all’analisi di tendenza;

⋅ non devono essere avventi fatti eccezionali che abbiano influito in modo significativo sui risultati di uno o più esercizi. I confronti vanno effettuati sui dati della gestione ordinaria, eliminando tutti i risultati delle operazioni eccezionali;

⋅ non deve essersi manifestato in modo sensibile il fenomeno della perdita di valore della moneta. In questa ipotesi, prima di effettuare i confronti, i dati andrebbero omogeneizzati, mediante l’impiego di una apposita contabilità per l’inflazione;

⋅ la durata del periodo amministrativo deve essere sempre stata la stessa e le regole di contabilizzazione, di esposizione e di valutazione non devono essere mutate nel tempo.

L’analisi statica, definita anche “di stock”, può essere condotta utilizzando due tecniche:

1. i margini; 2. gli indici.

L’analisi dinamica, che tende a spiegare i cambiamenti intervenuti in un certo periodo di tempo, evidenziati dall’analisi statica, può essere a sua volta condotta con due tecniche:

1. gli indici; 2. i flussi.

Sulla base delle operazioni che prendono in considerazione, cioè se valutano operazioni compiute, avremo analisi retrospettive o storiche, se invece valutano operazioni che si ipotizza di compiere in futuro, avremo analisi prospettiche15; Le analisi storiche o retrospettive fanno riferimento al passato e sono attuate per esprimere un giudizio sulla gestione già fatta.

Il bilancio è prevalentemente il risultato della gestione passata e quindi è in grado di dare, se opportunamente elaborato, informazioni storiche di tipo economico

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(redditività globale o parziale raggiunta nei vari esercizi), di tipo finanziario (struttura finanziaria raggiunta dall’azienda nei vari esercizi) e di tipo patrimoniale (struttura patrimoniale raggiunta dall’azienda nei vari esercizi).

Le analisi prospettiche si riferiscono al futuro, sono quindi di tipo previsionale. Il futuro preso in considerazione può essere quello immediato (analisi di breve periodo) o proiettato più o meno nel tempo (previsioni di medio e di lungo periodo).

In questo caso le analisi sono rivolte ad esprimere un giudizio sulla capacità dell’azienda di produrre flussi reddituali futuri in misura ritenuta corretta (analisi economica), a mantenere gli equilibri finanziari e monetari adeguati (analisi finanziaria), a raggiungere una struttura patrimoniale adeguata (analisi patrimoniale).

La dottrina italiana parla in questo caso di indagini sulla situazione economica, su quella finanziaria e su quella patrimoniale. La situazione economica è l’attitudine dell’azienda a produrre congrui redditi in futuro, ossia a remunerare adeguatamente nel tempo tutti i fattori produttivi impiegati, sia quelli acquisiti a titolo oneroso, (come immobilizzazioni, materie, lavoro, ecc..) che quelli acquisiti a titolo gratuito (capitale investito dall’imprenditore, attività imprenditoriale, ecc..); in altri termini a massimizzare il risultato economico nel lungo periodo.

La situazione finanziaria è la capacità dell’azienda di raggiungere e/o di mantenere nel futuro un equilibrio fra le risorse finanziarie e gli impieghi e fra le entrate e le uscite. Essa è comunque indissolubilmente legata a quella economica, perché una gestione economica positiva è condizione necessaria, anche se non sufficiente, per garantire un flusso finanziario equilibrato.

La situazione patrimoniale è l’attitudine dell’azienda a raggiungere e/o mantenere una struttura patrimoniale adeguata alle esigenze della situazione economica e della situazione finanziaria.

L’esame di “situazione” implica la conoscenza delle previsioni della gestione futura, cosa possibile solo all’analista interno, che ha a disposizione i piani aziendali e le articolazioni di breve periodo (budget).

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L’analista esterno ha a sua disposizione solo i bilanci riferiti a un periodo più o meno esteso di tempo passato per effettuare analisi prospettiche.

LE ANALISI FINANZIARIE

Le analisi di cui si tratta in questo lavoro sono quelle finanziarie, realizzate con la tecnica dei flussi. E’ quindi necessario premettere alcune considerazioni sull’attività finanziaria delle aziende.

Le strutture finanziarie16, pur nell’ambito dell’autonomia delle scelte espresse dalla proprietà e dal management, rispecchiano quelle che sono le caratteristiche del mercato dei capitali in cui le imprese operano.

Negli anni sessanta, per ragioni connesse al nostro sistema finanziario, le strutture del passivo/netto delle imprese erano particolarmente dipendenti dai componenti del sistema bancario e dalle politiche del Tesoro. Politiche che erano volte, essenzialmente, a trasferire risorse finanziarie dai risparmiatori alle imprese a tassi particolarmente favorevoli: si trattava dello strumento fondamentale per recuperare competitività nell’arena internazionale, mentre il costo del lavoro e il costo delle materie prime di importazione salivano progressivamente. Erano gli anni in cui nel nostro Paese si affermava “il modello di finanziamento fondato sull’indebitamento”: le strutture finanziarie erano molto indebitate, soprattutto a breve termine, dato che il sistema bancario era molto sviluppato nel campo del credito ordinario; era l’epoca del credito agevolato a medio termine, che alimentava progetti di sviluppo di molte aziende, grandi e piccole, pubbliche e private. Il fenomeno della leva finanziaria, quindi, trovava nel nostro Paese un’estesa applicazione.

Con la crisi degli anni settanta, il modello dell’indebitamento mostra tutti i suoi limiti; quando il ciclo economico subisce una drastica caduta, a causa della crisi petrolifera, le aziende, che avevano fatto uso eccessivo di debiti, vengono a trovarsi in maggiori difficoltà di quelle che avevano invece mantenuto situazioni finanziarie più solide. Sebbene il fenomeno inflazionistico, che divampa in

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quegli anni, possa alimentare il convincimento che ricorrere al debito sia ancora una politica convenente (per il minor impegno in fase di rimborso, a causa della perdita di valore della moneta), l’aumento del costo del capitale, insieme ad una generale contrazione dei rendimenti del business e le ricorrenti restrizioni creditizie danno un duro colpo al modello dell’indebitamento. In questo contesto dove il Tesoro e il sistema bancario continuano ad esercitare un peso rilevante sul sistema industriale e molte imprese pubbliche e private sono coinvolte in un profondo processo di risanamento e di ristrutturazione, comincia ad affermarsi “il modello dell’autofinanziamento o dello sviluppo sostenibile”: lo sviluppo viene limitato, vincolato alla capacità di generare al proprio interno i flussi finanziari necessari. Il problema sta nel riequilibrare i flussi, ricercando efficienza produttiva, alleggerendo la struttura interna con processi di decentramento produttivo e distributivo, avviando un ridimensionamento e una pulizia dell’attivo investito, selezionando nella gamma dei prodotti esistenti quelli più interessanti e riservando a questi una particolare attenzione in termini di miglioramenti tecnici e di mercato.

La visione è autarchica, chiusa in se stessa; questa ricerca di efficienza e di economicità favorisce, con la ripresa dello sviluppo, anche un ritorno consistente dei flussi finanziari che permetterà a molte realtà aziendali di ripristinare o di adottare ex novo strutture finanziarie più solide.

L’inizio degli anni ottanta vede ulteriori profondi cambiamenti, non solo nel campo competitivo, ma anche in quello finanziario. L’arena competitiva si è progressivamente allargata ad una dimensione internazionale, sia a seguito dello sviluppo delle tecnologie, sia a causa della crescita e della sempre maggior uniformità dei bisogni espressi dai consumatori17. La maggior parte dei settori di attività economica di tipo manifatturiero opera in un contesto molto ampio che interessa più paesi, più continenti, determinando un incremento della complessità, intesa come varietà e variabilità, delle situazioni da fronteggiare. In questa situazione le imprese del nostro Paese si trovano ad affrontare due ordini

17 G.Brunetti., La finanza d’impresa: decisioni e comportamenti nell’attuale contesto economico, Rivista

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di problemi: da un lato una concorrenza sempre più forte, che comporta risposte pronte ed adeguate in termini di investimento e di assunzione di rischio, dall’altro, un mercato finanziario che, sebbene in rapida crescita in questi ultimissimi anni, sconta ancora carenze e liti evidenti18.

Passando agli anni novanta occorre aver presente che, nel tentativo di capire la crisi che ha colpito le imprese italiane in tale periodo, l’enfasi è stata più volte posta sulla componente finanziaria ad essa associabile, facendola quasi assurgere a causa esplicativa. A sostegno di questa interpretazione, sono stati sottolineati i motivi di convergenza della situazione attuale con la difficile fase a chiusura degli anni settanta.

In realtà, occorre tenere presenti le specifiche particolarità che concorrono a generare sensibili differenze fra i due periodi in questione. In particolare, nella seconda metà degli anni settanta e all’inizio degli anni ottanta i tassi nominali di interesse erano alti, per effetto dell’elevata inflazione, mentre i tassi reali erano bassi, quando non negativi. L’inflazione in un primo momento aveva provocato una dilatazione dei fabbisogni finanziari, derivanti principalmente dall’aumento del circolante e dalla diminuzione dei margini lordi; successivamente, sia per il permanere della politica monetaria restrittiva sia per le economie realizzate nelle occorrenze finanziarie per unità di prodotto, il ricorso netto verso le aziende di credito si era ridotto sino a diventare negativo. La minore disponibilità di risorse aveva sicuramente obbligato le imprese ad una maggiore efficienza nell’uso dei mezzi finanziari, imponendo loro una sorta di risanamento forzoso delle strutture patrimoniali.

Viceversa, nel corso degli anni novanta, le imprese si sono trovate a convivere con tassi di interesse reali elevati, mentre i tassi nominali hanno ovviamente subito, per effetto del processo disinflazionistico tuttora in atto, una compressione rispetto ai valori assunti nel trascorso decennio. In siffatto contesto, il costo dell’indebitamento a lungo termine è diventato estremamente elevato e le imprese non sono state indotte ad indebitarsi con lunghe scadenze.

18 G. Ferrero, Il controllo finanziario nelle imprese: strumenti del controllo di sintesi, Giuffrè, Milano,

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Conseguentemente, l’effetto di consolidamento delle strutture finanziarie connesso al rallentamento del processo inflazionistico non si è verificato, così che l’autofinanziamento delle imprese ha beneficiato soltanto della riduzione effettiva dell’inflazione e non di quella attesa. A sua volta, l’insufficiente autofinanziamento ha imposto vincoli crescenti nella gestione della liquidità, cui le imprese hanno posto rimedio attraverso lo smobilizzo delle attività finanziarie a breve e, soprattutto, con un più intenso utilizzo delle linee di credito accordate dalle banche. In tal modo, le imprese hanno reagito alla netta contrazione delle fonti interne di finanziamento, riducendo la loro domanda di credito in misura meno che proporzionale alla caduta dell’attività produttiva.

Ciò aiuta a comprendere come, nel corso degli anni novanta, la dinamica e l’incidenza delle variabili più strettamente finanziarie abbiano assunto un ruolo certamente rilevante, ma non esclusivo, nel determinare la performance delle imprese. Ci è dato infatti constatare da un lato che l’entità dell’aumento nel costo del debito è stata inferiore a quella della diminuzione nella redditività operativa, dall’altro che la variabilità dei margini di profitto e quindi di autofinanziamento è stata amplificata principalmente dall’inefficiente utilizzo del capitale. In effetti, se la crescita non viene alimentata da un elevato tasso di accumulazione interna, la situazione debitoria si appesantisce immediatamente e, data la bassa produttività del capitale impiegato, il carico degli interessi prosciuga ulteriormente i margini, già di per se assottigliati.

E’ del tutto evidente come il progressivo rallentamento della flessione dei tassi nominali abbai rappresentato un serio ostacolo al miglioramento della situazione finanziaria delle imprese, non solo perché ha fatto venire meno l’automatico effetto di crescita dell’autofinanziamento, a parità di margine operativo lordo, ma anche perché ha allontanato la prospettiva di un annullamento dei differenziali con le principali economie.

D’altro canto, se è vero che gli elevati tassi di interesse non hanno potuto che pesare negativamente sull’autofinanziamento delle imprese, non esiste tuttavia evidenza che avvalori l’ipotesi che essi siano stati capaci di frenare in misura significativa l’attività di investimento. Parimenti, gli alti tassi di interesse non

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costituiscono l’unica chiave interpretativa delle strategie aziendali volte a perseguire un più efficiente utilizzo del capitale investito. E’ infatti più ragionevole ipotizzare un differente rapporto di causalità. In altri termini, la necessità di reagire rapidamente alla variabilità della domanda, alla concorrenza interna e internazionale e all’allungamento della fase ciclica recessiva ha indotto le imprese a perseguire trasformazioni della struttura produttiva, che a loro volta sono state foriere di maggiori opportunità per ottimizzare l’impiego delle risorse finanziarie. In questo senso, la performance delle imprese è venuta a dipendere anche dalla misura in cui dette trasformazioni hanno consentito di modificare le strutture patrimoniali, nella consapevolezza e nel rispetto degli stimoli impressi dall’evoluzione dello scenario19.

Si capisce, quindi, l’importanza di avere una struttura finanziaria solida, che consenta, tuttavia, il mantenimento della posizione competitiva sul mercato; di qui la necessità di ricorrere anche all’esterno per reperire i mezzi finanziari necessari, senza limitarsi all’autofinanziamento e, quindi, l’importanza di una Borsa che consenta di reperire capitali di rischio, così come di un sistema finanziario che offra forme tecniche di finanziamento a protratta scadenza in grado di adattarsi ai fabbisogni derivanti dall’attività d’impresa. Il modello di riferimento anche per le nostre imprese è, ormai, quello di una “struttura finanziaria integrata con la strategia competitiva”: ciò significa molte cose, dal contemperamento tra rischi di business e rischi finanziari all’equilibrio tra fabbisogni finanziari per la crescita e fonti di finanziamento reperibili, alla coerenza, infine, tra rendimenti e costi del capitale, salvaguardando lo sviluppo dell’azienda.

Nell’attuale contesto ambientale ed aziendale, caratterizzato da intenso dinamismo e notevole complessità, la ricerca delle condizioni che consentano il conseguimento degli obiettivi prefissati con lo svolgimento dell’attività d’impresa, interessa tutte le aree gestionali e, quindi, tutte le risorse umane e finanziarie facenti capo alle medesime. Il governo delle risorse finanziarie ha

19 P.L. Panzarasa, “La performance delle imprese italiane negli anni novanta: aspetti reali e finanziari”, in

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acquistato, negli ultimi anni, particolare rilevo per due ordini di motivi. In primo luogo, la lotta concorrenziale induce le imprese ad intraprendere azioni strategiche innovative, che comportano, oltre all’incremento dei rischi, anche rilevanti investimenti e, quindi, una dilatazione dei fabbisogni finanziari netti. In tale ambito, la ricerca delle fonti di finanziamento deve essere effettuata tenendo conto dei rischi che una determinata struttura comporta rispetto ad un’altra.

In secondo luogo, partendo dal presupposto che l’efficienza gestionale sia una componente fondamentale dell’attività d’impresa, occorre tener ben presente che essa comporta anche la gestione efficace ed efficiente delle risorse finanziarie impiegate nelle operazioni aziendali. Per i fondi liquidi, per quelli impegnati nel capitale circolante, e per quelli investiti in immobilizzazioni deve valere una gestione dei flussi finanziari coerente con gli obiettivi aziendali. L’esistenza di una struttura finanziaria è connessa alla natura stessa dell’attività d’impresa che, comportando un duraturo impiego di risorse finanziarie, ha bisogno di trovare adeguate coperture in termini di fonti di finanziamento. La struttura finanziaria, riferita ad un certo momento di vita dell’azienda, è il risultato di scelte operate dal management nel passato che avranno un effetto sui comportamenti e sui risultati futuri. Infatti, la struttura finanziaria determina, in relazione alla sua composizione, maggiori o minori pesi per la gestione futura, condizionando molto spesso anche le scelte di natura competitiva, specie quando i mercati finanziari presentano elevati tassi di instabilità.

La finanza aziendale, pertanto, non può più essere considerata un elemento accessorio o derivato rispetto alla strategia competitiva, bensì deve essere vista come parte integrante dell’azione strategica tesa ad accrescere il valore economico dell’impresa n funzionamento.

Strettamente collegato al problema della struttura finanziaria più idonea a sostenere l’attività di impresa è quello inerente alla gestione efficace ed efficiente dei flussi finanziari. L’impresa, infatti può essere considerata come un insieme di impieghi di risorse finanziarie, dalle disponibilità liquide alle immobilizzazioni, passando per il capitale circolante, la cui continua dinamica determina una serie di flussi. Come noto, vi possono essere due accezioni per definire il governo dei

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flussi: la gestione del capitale circolante netto e la gestione della liquidità. La gestione del capitale circolante netto ha avuto negli ultimi decenni un ruolo importante nella vita delle imprese. Essa continua ad avere una notevole importanza, sebbene in ottica diversa e più rispondente alle attuali esigenze strategiche. Ormai, la gestione del capitale circolante risponde non solo ad una logica di risparmio nell’impiego delle risorse finanziarie, ma anche nel rispetto dei quelle condizioni di efficacia che pure sono alla base del vantaggio competitivo. La gestione della liquidità, al contrario, ha lasciato negli ultimi anni il ruolo residuale al quale era stata finora confinata per assumere un’importanza fondamentale20.

In sintesi si può dire che rientra nell’area di competenza della finanza ogni decisione, ogni azione ed ogni atto amministrativo che riguardi le risorse di capitale qualitativamente e quantitativamente contemplate sia nella loro origine (fonti), sia nella loro destinazione (impieghi). Ne consegue che l’obiettivo della finanza è, in breve, quello di far si che l’impresa sia in grado di fronteggiare, in ogni momento del suo operare, qualsiasi fabbisogno di capitale, non solo tempestivamente, ma anche economicamente. Ciò significa che le risorse di capitale debbono essere reperite a tempo debito ed in modo tale da escludere, in linea di principio, una “liquidità a qualsiasi costo”, e da implicare, invece, una “liquidità compatibile con un’equilibrata situazione economica (o situazione di redditività). Tale situazione può dirsi equilibrata quando il flusso dei ricavi si presenta tendenzialmente idoneo a coprire il flusso di costi, favorendo così una stabilizzata attitudine dell’impresa a trattenere ed attrarre, con le rimunerazioni congrue che sa offrire, tutti i fattori produttivi di cui variamente necessita, capitale compreso.

Nel corso degli ultimi anni le economie nazionali dei paesi sviluppati si sono caratterizzate per alcune specifiche peculiarità:

⋅ la crescente internazionalizzazione; ⋅ lo sviluppo dei mercati finanziari;

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⋅ la riduzione di vincoli normativi e la realizzazione di politiche di liberalizzazione e privatizzazione.

L’internazionalizzazione delle economie si è realizzata inizialmente attraverso l’incremento degli scambi commerciali, successivamente si è concretizzata negli investimenti esteri, sia di delocalizzazione sia di acquisizione di aziende.

Ciò è stato agevolato dallo sviluppo di mercati finanziari nei quali ricercare ed ottenere gli ingenti finanziamenti necessari per l’espansione internazionale.

In ogni caso, sia i mercati finanziari, sia le economie reali dei diversi paesi, hanno denotato una crescente interdipendenza nei loro andamenti rispetto a quelli dell’economia mondiale.

Un’ulteriore spinta all’internazionalizzazione è, inoltre, venuta dai processi di liberalizzazione introdotti da numerosi paesi che hanno aumentato l’appetibilità dei settori direttamente coinvolti ed accresciuto la competitività dei prodotti e del volume di investimenti esteri attratti.

A tali fattori di origine generale si è aggiunta, nel contesto europeo, l’unificazione economica e monetaria che ha ulteriormente accentuato il processo di convergenza delle economie nazionali. L’effetto principale è stato la creazione di un unico grande mercato di prodotti e servizi, che pone contemporaneamente alle imprese un’ampia serie di opportunità ma anche di rischi.

In questo unico grande mercato i prezzi divengono più trasparenti e confrontabili, non solo, ma le necessità competitive impongono alle imprese l’utilizzo di mezzi finanziari aggiuntivi.

Altro grande effetto dell’unificazione è la nascita di un ambiente finanziario nel quale reperire fondi di ammontare nettamente più elevato rispetto al passato. Lo sviluppo di un grande mercato finanziario ha consentito di ridurre uno dei principali limiti allo sviluppo economico del contesto italiano ed europeo, rappresentato dalla scarsa disponibilità di mezzi finanziari per le imprese21.

Le nuove possibilità di reperimento dei finanziamenti hanno spostato, però, nuovamente l’attenzione sulla componente gestionale; le imprese hanno, quindi, adottato differenti strategie:

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⋅ l’incremento delle dimensioni; ⋅ la focalizzazione sul core business.

L’adozione della prima strategia si pone come obiettivi la ricerca di economie di scala nell’attività svolta, l’allargamento del portafoglio prodotti e l’ampliamento della copertura geografica.

La focalizzazione sul core businnes ha comportato invece, nella maggior parte dei casi, la cessione di tutto quanto non strategico e non funzionale al proprio nucleo fondamentale di attività o il ricorso all’outsourcing nella gestione di specifiche tipologie di servizi. Sebbene rappresentino due strategie apparentemente contrastanti, in molti casi sono state perseguite congiuntamente. L’incremento delle dimensioni infatti, perseguito attraverso la crescita esterna (e dunque le acquisizioni) o la crescita interna (tramite la realizzazione di nuovi impianti), richiede in ogni caso rilevanti esborsi che solo in parte possono essere convenientemente finanziati da terzi. Per tale ragione, le imprese hanno perseguito una strategia di crescita dimensionale focalizzata sul core business, dopo aver dimesso tutto quanto non risultava ad esso funzionale, liberando, così, liquidità attraverso operazioni di cessione.

In ragione del modificato scenario ambientale e delle mutate esigenze competitive, la funzione finanza è stata fortemente condizionata nei suoi obiettivi e nella sua operatività. L’obiettivo primario non è più costituito, infatti, dalla ricerca delle fonti, ma, in modo più ampio, dalla creazione di valore, perseguito attraverso l’ottimizzazione della sua operatività.

Il ruolo della funzione finanza per la creazione di valore si estrinseca, in sintesi, nei seguenti obiettivi:

⋅ ottimizzazione dei flussi di cassa relativi alla gestione operativa; ⋅ minimizzazione del livello di rischio aziendale;

⋅ minimizzazione nel costo delle fonti di finanziamento.

La nuova impostazione della funzione finanza richiede, peraltro, che si modifichino le competenze possedute al suo interno e la sua stessa organizzazione.

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Per quanto concerne il primo punto, è chiaro come la valenza strategica della propria attività impone non solo il possesso di competenze tecniche, ma anche la capacità d’interpretare in modo corretto i risultati elaborati, alla luce di una comprensione accurata del business di riferimento.

Sul piano organizzativo gli accresciuti compiti e, soprattutto, la maggiore criticità della funzione, fanno sì che divenga quasi imprescindibile prevenire ad una gestione unitaria delle problematiche economico-finanziarie che vengono, dunque, accorpate sotto un’unica direzione, in grado di monitorare tutto l’andamento gestionale e formulare o vagliare proposte operative che riguardino più di un settore di attività.

Sempre più frequente, pertanto, le imprese scelgono una struttura organizzativa che vede all’interno della stessa direzione sia la funzione finanza sia l’amministrazione e il controllo di gestione22

L’attività di impresa, esaminata con un’ottica esclusivamente finanziaria, si sviluppa e si concretizza in un continuo, complesso e intrecciato sistema di flussi e di deflussi monetari, conseguenti alla dinamica attività di investimento-disinvestimento, assunzione finanziamenti-rimborso e remunerazione di finanziamenti23.

Per svolgere la sua attività l’azienda necessita pertanto di mezzi finanziari da destinare a copertura del fabbisogno che consegue alla politica degli impieghi. Per la copertura del fabbisogno finanziario l’azienda deve ricorrere, oltre che ai mezzi creati dalla gestione, a un insieme di strumenti offerti dal sistema creditizio e finanziario.

Il fabbisogno finanziario nasce perché gli investimenti e i costi (che provocano uscite di mezzi monetari) precedono in senso temporale i ricavi (dai quali si ottengono le entrate di mezzi monetari).

Il fabbisogno finanziario rappresenta l’ammontare complessivo dei mezzi finanziari che in un dato momento devono restare vincolati all’azienda per lo svolgimento economico della gestione. In questo senso il fabbisogno finanziario

22 S. Bratta, L’evoluzione strategica della funzione finanza, Amministrazione & Finanza n. 9/2000, pag.

46 e seg.

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dell’azienda coincide con il totale degli impieghi o investimenti in corso, ossia con la somma delle attività reali e finanziarie nette che compaiono nello stato patrimoniale dell’azienda.

Lo Stato patrimoniale mette in evidenza il fabbisogno finanziario in un determinato momento, ma il fabbisogno muta nel tempo per effetto delle operazioni di gestione. La variazione in aumento o in diminuzione del fabbisogno finanziario derivante dallo svolgimento della gestione prende il nome di fabbisogno differenziale.

Considerando il fabbisogno finanziario nella sua misura assoluta, è importante individuare quale sia la parte che deve essere qualificata durevole e quale sia invece quella che si considera di breve periodo, soggetta perciò a oscillazioni con l’effettuazione delle operazioni24. Si tratta quindi di superare l’aspetto eminentemente quantitativo, per passare a quello qualitativo.

La quota che deve essere considerata durevole è rappresentata dagli investimenti in immobilizzazioni tecniche materiali e immateriali e finanziarie e dal livello minimo economico delle scorte di materie e di prodotti, dei crediti verso la clientela e delle liquidità che consentono di effettuare regolarmente l’attività aziendale.

Mentre l’investimento in immobilizzazioni è chiaramente un investimento durevole, essendo rappresentato da fattori produttivi fissi, qualche problema potrebbe esistere per gli altri fattori. Si tratta infatti di beni del capitale circolante, che singolarmente presi sono destinati a trasformarsi, in seguito al processo produttivo o distributivo, in denaro. Presi nel loro insieme, come investimenti di mezzi finanziari, si nota che una certa quantità deve rimanere durevolmente in azienda. Tale quantità costituisce ancora un fabbisogno durevole, sia pure relativo a beni del capitale circolante.

Il fabbisogno finanziario si evolve poi nel tempo, sia per effetto dell’alternarsi delle fasi di ristagno e di espansione degli affari, della stagionalità delle

24 M. Pierallini S. Rosati, La pianificazione patrimoniale e finanziaria per il budget e le decisioni

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produzioni o delle vendite, che delle alterne vicende cui è sottoposta l’attività dell’azienda.

Il fabbisogno finanziario, rappresentato dalle attività aziendali, ossia dagli impieghi in corso nei vari momenti, suddiviso nella sua parte durevole e nella sua parte variabile, deve essere coperto mediante il ricorso alle fonti di finanziamento.

In primo luogo l’azienda può finanziarsi mediante le risorse che si producono internamente per effetto della gestione. La parte che non viene coperta all’interno dell’azienda grazie all’autofinanziamento costituisce il fabbisogno netto che deve trovare copertura al di fuori dell’azienda, mediante il ricorso ai soci, che conferiscono capitale di rischio, e ai terzi, che conferiscono capitale di debito. Il fabbisogno finanziario viene infatti distinto in:

⋅ fabbisogno globale, quando si fa riferimento alle complessive esigenze finanziarie dell’azienda;

⋅ fabbisogno netto, quando ci si riferisce alla quota del fabbisogno che deve essere finanziata con mezzi esogeni.

In questo secondo caso, si tratta di mezzi finanziari derivanti dalla negoziazione di prestiti sul mercato finanziario o monetario o derivanti dalla concessione di dilazioni di pagamento da parte dei fornitori (debiti di fornitura o debiti di funzionamento).

Le fonti di finanziamento coincidono quantitativamente con gli investimenti, ma vi deve essere anche una certa corrispondenza di tipo qualitativo fra la durata degli impieghi e quella delle fonti.

La copertura del fabbisogno25 si ritrova quindi in fonti diverse che possono essere classificate, secondo il grado di vincolo temporale dei mezzi, in fonti a breve termine, fonti a medio termine, fonti a lungo termine. La conoscenza della durata dei finanziamenti, individualmente intesi, è molto importante per la gestione dell’azienda, che deve costantemente tenere in considerazione la necessità di conservare l’equilibrio finanziario, facendo fronte agli impegni in scadenza.

25 F. Giunta – M. Bonacchi, Redditività e fabbisogni finanziari per aree di gestione, Amministrazione e

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La copertura del fabbisogno finanziario deve avvenire, da un lato tenendo conto dell’esigenza di rapportare la scadenza delle fonti a quella degli impieghi e, dall’altro, di combinare opportunamente le varie categorie di fonti.

L’esistenza di relazioni fra le caratteristiche qualitative degli impieghi e delle fonti obbliga a tener presente che il fabbisogno di finanziamenti ha un’espansione temporale che corrisponde alla permanenza dei beni, presi singolarmente e non come specie, nell’azienda. Con riferimento alla durata definitiva dei singoli componenti si creano correlati fabbisogni che devono essere coperti con mezzi aventi durata corrispondente. Stabilito che nell’ambito del fabbisogno assoluto è in astratto possibile distinguere la componente durevole da quella con carattere transitorio, occorre che i corrispondenti mezzi finanziari siano acquisiti con durate corrispondenti. Evidentemente l’esigenza che esistano relazioni fra le caratteristiche qualitative dei fabbisogni collegati allo svolgimento dell’attività produttiva e la durata delle fonti alle quali si intende ricorrere per soddisfare tale necessità non richiede che ci sia una corrispondenza assoluta, ma tendenziale.

Di norma il fabbisogno durevole26 relativo alle immobilizzazioni dovrebbe essere coperto con mezzi propri, di provenienza esterna (capitale sociale, sovrapprezzi) o interna (autofinanziamento), ma è possibile che tale copertura avvenga in parte anche con mezzi finanziari acquisiti a titolo di debito, ma con scadenza protratta nel tempo, mentre la parte variabile del fabbisogno può essere coperta con debiti correnti, anche di fornitura.

26 M. Dall’occhio, Finanza d’azienda: analisi e valutazioni per le decisioni d’impresa, EGEA, 1995.

Durevole Non durevole Parte immobilizzata capitale circolante Immobilizzazioni nette

Con fonti esterne di capitale proprio o di terzi durevoli Capitale circolante

(parte non

immobilizzata) Copertura del fabbisogno

finanzairio

Con fonti non durevoli

Con fonti interne

Fabbi so gn o fi nanz ai ri o

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Il dosaggio fra i mezzi propri e quelli di terzi dipende da una serie di fattori, che derivano anche dalla forma giuridica dell’azienda, ma che vengono a condensarsi sulla redditività delle combinazioni produttive attuate dall’azienda e sul rischio finanziario (leva finanziaria).

L’azienda deve operare in condizioni di equilibrio generale, che concerne l’equilibrio economico, l’equilibrio finanziario e monetario e l’equilibrio patrimoniale. Dalla sua attività di gestione scaturiscono una serie di obblighi e diritti che devono essere attentamente gestiti al fine di mantenere sempre un certo grado di liquidità27.

La liquidità può essere descritta come la capacità di avere a disposizione, in qualsiasi momento, i mezzi finanziari occorrenti per il processo produttivo, mantenendo sempre il necessario equilibrio economico. Alla liquidità, che potrebbe apparire come un mero problema finanziario, si collega l’aspetto economico della gestione e l’uno dipende dall’altro e viceversa. Questo in quanto una buona liquidità potrebbe essere ottenuta a svantaggio dell’equilibrio economico, oppure che un certo equilibrio economico può originare una situazione di illiquidità. In entrambi i casi sarà la Direzione finanziaria che, mediante i dati e le interpretazioni forniti dall’analista, dovrà intervenire fattivamente e cercare di sanare la situazione di squilibrio verificatasi.

27 A.Sclavi, Lo studio dei flussi finanziari quale strumento di analisi aziendale, Colombo Cursi Editore,

Pisa, 1968, pag.9 Fonti di finanziamento Esterne Proprie (capitale sociale e sovrapprezzi) Fonti a breve termine Fonti a tempo indeterminato o durevoli Di terzi

(finanziamenti) Non durevoli Interna (autofinanziamento)

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