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IPARTIMENTO
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ARMACIA
Corso di Laurea Magistrale in
Scienze della Nutrizione Umana
TESI DI LAUREA
LA CANAPA: DALLA TOSSICOLOGIA
ALL’ALIMENTAZIONE
Relatore: Candidata:
Prof. Tiziano Tuccinardi Dott.ssa Federica Coppedè
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Alla mia famiglia
3 INDICE
1. INTRODUZIONE
2. CARATTERISTICHE DELLA PIANTA 2.1 Coltivazione
2.2 Varietà della Cannabis Sativa L. 3. STORIA E REGOLAMENTAZIONE 4. CANNABINOIDI 5. SISTEMA ENDOCANNABINOIDE 5.1 Recettori endocannabinoidi 5.2 Endocannabinoidi 5.2.1 Sintesi 5.3 Meccanismo d’azione 5.3.1 Vie metaboliche
6. L’IMPORTANZA DEGLI ENDOCANNABINOIDI 7. FITOCANNABINOIDI
7.1 Δ9-tetraidrocannabinolo 7.2 Cannabidiolo
8. EFFETTI DELLA CANNABIS 8.1 Tossicità
8.1.1 Azione della Cannabis sul sistema dopaminergico mesolimbico 8.1.2 Ulteriori cambiamenti plastici a livello cerebrale
8.1.3 Cannabis e gravidanza 8.1.4 Cannabis e adolescenza
8.2 Effetti positivi della cannabis sull’organismo 9. UTILIZZI DELLA CANAPA
9.1 La canapa nell’alimentazione 10. COMPOSIZIONE CHIMICA
10.1 Il frutto della canapa 10.2 L’olio
11. PRESENTAZIONE DEL LAVORO 11.1 Studi considerati
4 12.1 Componente proteica 12.1.1 Metodi utilizzati 12.1.2 Risultati 12.2 Estrazione dell’olio 12.2.1 Risultati
12.3 Determinazione del profilo degli acidi grassi 12.3.1 Metodi utilizzati
12.3.2 Risultati
12.4 Analisi spettrofotometrica UV 12.4.1 Risultati
12.5 Determinazione degli steroli 12.5.1 Risultati
12.6 Determinazione dei tocoferoli 12.6.1 Metodi utilizzati
12.6.2 Risultati
12.7 Determinazione dei fenoli 12.7.1 Metodi utilizzati 12.7.2 Risultati
13. CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA RINGRAZIAMENTI
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1. INTRODUZIONE
Il nome scientifico della canapa è Cannabis Sativa L., la sua classificazione tassonomica è ancora una questione molto controversa. Secondo recenti orientamenti la canapa appartiene alla famiglia delle Cannabacee o Cannabinacee, ordine Urticali. La famiglia delle Cannabinacee è suddivisa in due generi: Cannabis L., nome latino della canapa, e Humulus L. da cui si ottiene il luppolo.
Le Urticali sono piante legnose o erbacee con fiori poco appariscenti, che possono essere riuniti in infiorescenze oppure isolati (Fabbri). La canapa, in genere, ha fiori maschili e fiori femminili presenti su piante distinte e per questo viene classificata come pianta dioica. In alcuni casi, però, i due organi sessuali, pur rimanendo separati, sono portati dalla stessa pianta, allora si parla di pianta monoica (Malacchi G et al, 2007). Inizialmente nel 1753 Carlo Linneo classificò la canapa con il nome di sativa; dopo 30 anni Lamarck individuò la varietà indica. Nel 1924 Janicevskij individuò tre differenti specie di Cannabis: sativa, indica e ruderalis. Nel 1976 Small e Cronquist conclusero che il genere cannabis comprende una sola specie e che sativa e indica sarebbero due sottospecie, entrambe con numerose varianti domestiche e selvatiche a seconda del luogo e del tipo di coltivazione (Assocanapa). Ancora oggi, in realtà, non si è in grado di delineare una suddivisione della canapa, neanche fra i tipi coltivati e quelli spontanei (Lucchese et al., 2001): questo è dovuto all‟ampia distribuzione geografica della specie e alla grande diversificazione prodotta dal miglioramento genetico, finalizzato a diverse destinazioni d‟uso, che hanno determinato la formazione di un numero elevatissimo di tipi, distinti per caratteristiche morfologiche, anatomiche e produttive.
Un criterio per classificare la canapa è basato sul contenuto di tetraidrocannabinolo (THC), cannabidiolo (CBD) e del rapporto THC e CBD (Fournier e Paris, 1979; Small e Beckstead, 1973; Meijer et al., 1992).
2. CARATTERISTICHE
DELLAPIANTA
La canapa è una pianta vigorosa, che può raggiungere i 4-5m di altezza. L‟altezza è influenzata da vari fattori, ambientali e climatici, e dalla varietà della pianta; le foglie
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Figura 1 frutti della canapa dai quali si ricavano i semi (Acta plantarum)
sono composte e suddivise in 5-13 foglioline acuminate a margine seghettato. Il numero di segmenti della foglia, eccezionalmente pari, dipende dalla varietà coltivata (Ranalli, 1998).
Le piante di cannabis si suddividono in maschi e femmine, in rari casi si possono avere
condizioni di ermafroditismo. Le piante (Figura 1) maschili hanno infiorescenze a pannocchia terminale e sono, in genere, più lunghe e sottili; quelle femminili hanno infiorescenza a falsa spiga circondata da brattee (Fabbri). L‟infiorescenza femminile è molto fogliosa, più compatta e più robusta della maschile.
I frutti della canapa (Figura 2) sono rappresentati da acheni duri, tondeggianti od ovali, lisci, ciascuno contenente un seme. Il peso dei semi cambia a seconda della varietà. All‟interno del pericarpo troviamo un endosperma sottile, due cotiledoni e una radichetta: queste ultime due parti sono ricche di olio. Il pericarpo contiene
Figura 1 differenza dell'infiorescenza tra piante maschili e piante femminili
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soprattutto clorofilla che dona all‟olio di canapa il caratteristico colore verde.
2.1 Coltivazione
La canapa viene coltivata in maniera diversa in base all‟uso che ne vogliamo fare. Quando lo scopo è quello di produrre fibra tessile le piante sono messe molto vicine le une alle altre in modo che ci sia uno sviluppo verso l‟alto, quindi un allungamento del fusto in verticale, e che non ci sia la tendenza alla ramificazione. Quando invece la coltivazione è finalizzata alla produzione di THC, le piante sono ben distanziate tra loro: in questo modo si predilige uno sviluppo orizzontale e le piante dispongono di molti rami, foglie e molte infiorescenze. Alcune specifiche ghiandole presenti nell‟infiorescenza femminile sono responsabili della produzione di secrezioni contenenti il principio attivo THC. L‟elevato numero di infiorescenze permette di ricavare grandi quantità di questa specifica secrezione, dalla quale poi si ottiene l‟hascisc. Dalle infiorescenze femminili disseccate si ottiene la marihuana.
2.2 Varietà di Cannabis Sativa L.
La concentrazione % di THC contenuta nella canapa è, in genere, utilizzata per classificare le diverse varietà della pianta, come misura della potenza della cannabis e, di conseguenza, dei suoi effetti. Considerando questo quantitativo possiamo distinguere due varietà di C. sativa:
- la tipologia “droga” contiene THC in concentrazione tra 1 e 20%, quindi in quantità abbastanza alta da avere un ruolo psicoattivo (Radwan et al., 2015); - la tipologia “non droga” non ha proprietà psicoattive perché la concentrazione di
THC è bassa ed è perciò chiamata canapa industriale (Holler et al., 2008). In accordo con European Industrial Hemp Association, le piante di canapa per scopi industriali devo avere un quantitativo di THC non superiore a 0.2% (Sarmento, 2015);
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3. STORIA E REGOLAMENTAZIONE
La canapa è probabilmente una delle prime piante ad essere stata coltivata e utilizzata dall‟uomo per secoli (Oomah et al., 2002). Le prime testimonianze storiche sull‟uso di questa pianta sono contenute in antichissimi documenti (risalenti al 2500 a.C.) provenienti dall‟Asia Centrale (Blade et al., 1999), dove la canapa è indicata come la prima pianta tessile allora in uso. Scritti successivi trattavano sia le sue qualità medicinali, sia l‟utilizzo per la produzione di carta, sia le proprietà nutrizionali (era usata come cibo in tempi di carestia) (Malacchi G et al, 2007), inoltre la canapa era utilizzata anche per la realizzazione di reti per la pesca, di vestiti e corde (Blade et al., 1999).
In Occidente, invece, l‟introduzione della canapa come pianta da fibra fu molto più lenta. Il primo a nominarla è lo storico greco Erodoto di Alicarnasso vissuto tra il 490 e il 420 a.C..
All‟epoca dei Romani era utilizzata per costruire vele e corde delle imbarcazioni militari. Durante l‟epoca dei Comuni, la canapa favorì lo sviluppo del lavoro familiare ed artigianale. Per quanto riguarda il suo uso per la produzione della carta, la più antica testimonianza di un foglio di carta fatto con la canapa risale e più di 2000 anni fa in Cina.
Il boom di questa coltura in Europa iniziò tra il XIV ed il XV secolo e durò per oltre 500 anni. In questo periodo la canapa ricoprì un ruolo importante sia per l‟agricoltura sia per l‟economia in generale (Malacchi G et al, 2007). Durante il XVIII-XIX secolo fu ampiamente coltivata in tutto il mondo come fonte di fibre, cibo e olio (Geiwitz, 2001). Anche in Italia la canapa era una coltura tradizionale. Il periodo di massima espansione della coltivazione di canapa, in Italia, risale agli inizi del XX secolo. I dati risalenti a quel periodo, mostrano che l‟Italia era al secondo posto sia per quanto riguardava l‟estensione del suolo coltivato sia per la produzione. Dopo questa coltivazione iniziò a decrescere lentamente fino agli anni ‟70, quando ella scomparve completamente dal territorio.
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Tuttavia il forte declino di ebbe dopo la seconda guerra mondiale. Dai 105.000 ettari del 1943 si passò a soli 1.000 ettari del 1970 (Malacchi G et al, 2007).
Il crollo del suo utilizzo non fu legato né all‟emissione delle norme antidroga né ad eventuali concorrenze economiche, ma bensì per il verificarsi di due circostanze:
1- La grande manualità richiesta dalla coltivazione e lavorazione della canapa. L‟uso della canapa, in campo tessile, richiedeva una lunga preparazione della fibra. Dopo aver raccolto gli steli, la canapa, veniva macerata in acqua, poi seguiva l‟asciugatura, la stigliatura, l‟ammorbidimento, la pettinatura della fibra, per arrivare alla filatura-tessitura o alla fabbricazione delle corde.
2- Con la fine della Seconda Guerra Mondiale arrivò in Italia il cotone e le fibre sintetiche (nylon), che erano meno costosi e richiedevano una lavorazione meno impegnativa.
Dopo circa 20 anni è stata emanata la prima normativa antidroga riguardante la canapa. Questa è stata regolarizzata nel 1990 nel DPR 309/1990 “Testo Unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope”, oggi conosciuto come “Legge Giovanardi Fini”.
“Articolo 26
Coltivazioni e produzioni vietate
1. Salvo quanto stabilito nel comma 2, è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione di piante di coca di qualsiasi specie, di piante di canapa Indiana, di funghi allucinogeni e delle specie di papavero (papaver somniferum) da cui si ricava oppio grezzo.”
Il DPR 309/1990 ha come scopo quello di vietare sia la coltivazione della Cannabis Indica (o canapa indiana), per evitare l‟uso di canapa come stupefacente, sia di produrre e commercializzare prodotti con un quantitativo di THC superiore al 4-4.5%. Infatti secondo i tossicologici, quando il quantitativo di THC supera questa soglia si può parlare di droga. Questa normativa antidroga si basa sull‟equivoco allora molto diffuso che esistano almeno due specie di canapa: quella da droga indicata come Cannabis Indica e quella da fibra indicata come Cannabis Sativa L.
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In realtà, tutti i generi di canapa appartengono ad un‟unica specie in quanto possono essere incrociati tra loro. Siccome le tipologie di canapa si prestano molto alla selezione, l‟uomo nel tempo ha selezionato diverse varietà. Ad esempio, per la canapa da fibra le varietà più idonee sono Carmagnola, CS, Fibranova, Eletta Campana, Bolognese; per la produzione di seme e fibra vengono evidenziate le cultivar monoiche francesi Futura 75, Felina 32, Santhica 27, Epsilon 68 o le italiane Carmono o Codimono.
Anche le varietà da fibra o da seme contengono cannabinoidi, tra cui il THC ma in quantità molto basse, che in genere non danno effetto psicotropo.
In realtà il divieto non riguarda la coltivazione della canapa da fibra (Cannabis Sativa L). La cattiva interpretazione delle leggi antidroga ha portato le forze dell‟ordine ad arrestare e sequestrare le coltivazioni di chi negli anni ‟70 e ‟80 aveva provato a riprendere la coltivazione della canapa da fibra o da seme.
In Italia, la reintroduzione della coltivazione della canapa è avvenuta nel 1998 con una Circolare del Ministero che ha come oggetto: “Regime di sostegno a favore dei coltivatori di canapa destinata alla produzione di fibre (Cannabis Sativa L. – NC 5302 10 00)”.
Da questo momento in poi è ripresa la coltivazione della canapa anche se su un‟area molto più contenuta, circa 350 ettari, se consideriamo che 30 anni prima l‟Italia era il secondo produttore mondiale dopo la Russia, e il migliore al mondo per la qualità della produzione ottenuta. Successivamente, dal 1998 la superficie coltivata è andata di nuovo riducendosi per lo sviluppo di tecnologie innovative per la trasformazione delle piante da fibra. Ad oggi, a livello mondiale, le maggiori superfici coltivate a canapa sia per fibra sia per seme, si trovano nei paesi asiatici. A livello europeo la nazione con la maggiore superficie a canapa è la Russia (Malacchi G et al, 2007).
Negli ultimi anni è tornato l'interesse per la coltivazione della canapa grazie ai suoi molteplici utilizzi, alla sua grande capacità di adattamento ambientale e alle elevate potenzialità produttive (Przemyslaw et al., 1995; Ciurli et al., 2002).
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Solo alcune varietà di canapa industriale, specificate nell‟articolo 17 della Direttiva 2002/53/CE del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, possono essere coltivate in Europa. A queste si applica la Legge sulla canapa n°242 entrata in vigore il 14 Gennaio 2017. Le varietà che non rientrano in questo articolo devono seguire il DPR 309/1990.
L‟UE ha sempre previsto un limite di THC per le coltivazioni di canapa. Questo limite ha subito delle variazioni negli anni. Inizialmente fu stabilito un limite dello 0,3% dalla campagna agraria 2001/2002, in seguito è stato ridotto allo 0,2% (Regolamento CE 1124/2008).
Oggi l‟articolo 4 della LEGGE SULLA CANAPA ( n°242 ) stabilisce che la percentuale di THC nelle piante potrà oscillare dallo 0,2% allo 0,6% senza comportare alcun problema per l‟agricoltore. Nel caso in cui la percentuale di THC dovesse superare la soglia dello 0,6%, l‟autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione della coltivazione. Nella seguente legge non sono però definiti i livelli massimi di THC ammessi negli alimenti.
Successivamente il Ministero della Salute ha presentato la bozza del decreto che dovrebbe regolare il quantitativo di THC massimo che potrà essere contenuto nei derivati alimentari della canapa industriale. Per il momento si tratta solo di un documento preliminare, che potrà essere modificato, e che dovrà essere approvato.
Tabella 1 Limiti massimi di THC totale (decreto Ministero della Salute)
Nella tabella 1 sono stati riportati i limiti massimi di THC totale espressi nella bozza del decreto. Questi dati hanno portato a numerose controversie per chi si occupa di produrre alimenti a base di canapa. I motivi dei disaccordi sono diversi. I limiti di THC,
Alimenti Limiti massimi mg/kg
Semi di canapa e farina ottenuta dai
semi di canapa 2.0
Olio ottenuto dai semi di canapa 5.0 Integratori contenenti alimenti derivati
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relativi all‟olio ottenuto dai semi di canapa, sembrano essere troppo bassi, soprattutto in relazione ai nostri climi, con estati molto secche, e alle nostre varietà; altro problema è la mancanza dei limiti di THC per le infiorescenze, che possono essere utilizzate per infusi. Ad oggi il decreto deve ancora essere approvato, verso Aprile potrebbe essere emanata la norma con i limiti definitivi.
4. CANNABINOIDI
Il termine cannabinoide indica un composto che è in grado di interagire con i recettori cannabinoidi.
Si utilizza il termine fitocannabinoidi per indicare composti naturali vegetali mentre endocannabinoidi per indicare composti naturali umani.
I fitocannabinoidi sono idrocarburi aromatici contenenti ossigeno. A differenza della maggior parte dei farmaci e delle droghe, inclusi gli oppiacei, essi non sono alcaloidi. In passato si pensava che i fitocannabinoidi fossero presenti esclusivamente nella pianta di Cannabis Sativa L., ma recentemente alcuni bibenzili simili ai cannabinoidi sono stati trovati nelle briofite.
Il corpo umano possiede specifici siti di legame per i cannabinoidi, situati sulla superficie di molti tipi cellulari. Il nostro organismo produce diversi endocannabinoidi, derivati dagli acidi grassi polinsaturi, che si legano ai recettori cannabinoidi, attivandoli. Alcuni fitocannabinoidi della canapa e molti cannabinoidi sintetici mimano gli effetti degli endocannabinoidi (Grotenhermen, 2014).
Oltre 66 fitocannabinoidi (Burns et al., 2006) sono stati individuati nella cannabis, di questi i più rappresentati sono: Δ9-tetraidrocannabinolo (THC-9), cannabinolo (CBN), cannabigerolo (CBG), cannabicromene (CBC), cannabidiolo (CBD) (Elsohly et al., 2005). La canapa contiene anche altri componenti non-cannabinoidi biologicamente attivi.
La distribuzione dei cannabinoidi varia nei differenti ceppi di cannabis ed in genere solo tre o quattro tipi di cannabinoidi si trovano in una pianta in concentrazioni superiori allo 0.1% (Grotenhermen, 2014).
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5. SISTEMA ENDOCANNABINOIDE
Il sistema endocannabinoide prende il suo nome dalla pianta di cannabis poiché alcuni fitocannabinoidi, in essa presenti, mimano gli effetti degli endocannabinoidi.
Il sistema endocannabinoide (ECS) è un complesso sistema endogeno di comunicazione tra le cellule. È in grado di agire come regolatore delle funzioni fisiologiche non soltanto nel sistema nervoso centrale ma anche (Figura 3) nel sistema nervoso autonomo, nel sistema endocrino, nel sistema immunitario, nel tratto gastrointestinale, nel sistema riproduttivo e sistema cardiovascolare (Piomelli 2003, Kunos 2009). Questo sistema è di grande importanza per il normale funzionamento dell‟organismo.
Il sistema endocannabinoide comprende due recettori, CB1 e CB2, i loro ligandi endogeni (endocannabinoidi) e gli enzimi che ne regolano la biosintesi, degradazione e distribuzione tissutale (Alhouayej et al., 2014).
Figura 3 funzioni del sistema endocannabinoide nell'organismo (Elementi di
14 5.1 Recettori endocannabinoidi
I recettori cannabinoidi appartengono alla numerosa famiglia dei recettori accoppiati alla proteina G (GPCR). I GPCR sono i recettori più comuni (nei vertebrati se ne conoscono 1000-2000 tipi); sono recettori di membrana, costituiti da sette domini transmembrana con un terminale amminico extracellulare e un terminale carbonilico intracellulare (Howlett, 2002). Fino a poco tempo fa si pensava che esistessero solo due tipi di recettori cannabinoidi, CB1 e CB2, ma in realtà ci sono evidenze dell‟esistenza di ulteriori recettori cannabinoidi sia a livello centrale che periferico; uno di questi potrebbe essere il recettore accoppiato alla proteina G detto GPR55 (Lauckner 2008, Ryberg et al. 2007).
I recettori cannabinoidi CB1 sono tra i più abbondanti e più ampiamente distribuiti GPCR nell‟encefalo (Grotenhermen, 2014).
I recettori CB1 si ritrovano soprattutto in aree dell‟encefalo responsabili del movimento (gangli basali, cervelletto), della memoria e delle funzioni cognitive complesse (ippocampo, corteccia cerebrale) e della modulazione del dolore (alcune zone del midollo spinale, la sostanza grigia periacquiduttale) (Biegon & Kerman 2001, Glass et al. 1997, Herkenham et al. 1990, Maileux et al. 1992, Pettit et al. 1998). I recettori CB1
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sono presenti in minor quantità anche in alcuni organi e tessuti periferici come ghiandole endocrine e salivari, leucociti, milza, cuore, apparato riproduttivo, urinario e gastrointestinale.
I recettori CB2 si trovano soprattutto nelle aree periferiche, in particolare si trovano nelle cellule immunocompetenti, tra cui i leucociti, la milza, le tonsille, il midollo osseo ematopoietico ma anche nel pancreas. Alcuni studi hanno dimostrato la loro presenza, anche se a basse concentrazioni, nel SNC soprattutto sulle cellule gliali e microgliali (Van Sickle et al. 2005).
I recettori cannabinoidi mediano diverse risposte cellulari, in particolare, la loro attivazione determina l‟attivazione dell‟adenilato ciclasi con la conseguente riduzione dei livelli di cAMP, inattivazione delle MAP-chinasi, della fosfolipasi C, dello sfingomielinasi e della fosfoinositide 3-chinasi (Pisanti et al., 2013).
La funzione dei recettori cannabinoidi è quella di regolare il rilascio di messaggeri chimici. In particolare i recettori CB1 interferiscono con il rilascio di alcuni neurotrasmettitori. Invece, i recettori CB2 hanno soprattutto un‟attività immunomodulatoria. Sono in grado di modulare il rilascio di citochine, che sono responsabili delle risposte infiammatorie e della regolazione del sistema immunitario (Grotenhermen, 2014).
5.2 Endocannabinoidi
Gli endocannabinoidi sono molecole endogene di natura lipidica ed hanno origine da un particolare acido grasso polinsaturo, l‟acido arachidonico; sono in grado di legarsi ai recettori dei cannabinoidie di attivarli funzionalmente (Bisogno et al 2002).
Nel sistema nervoso centrale, gli endocannabinoidi, svolgono una funzione neuromodulatoria, ricoprono un ruolo importante in vari tipi di plasticità sinaptica e nei processi cognitivi, motori, sensoriali. Inoltre, in alcune patologie del SNC, come epilessia o malattie neurodegenerative e neuroinfiammatorie, gli endocannabinoidi, attivando sia i recettori CB1 che CB2, possono svolgere un ruolo pro-omeostatico e neuroprotettivo. (Enciclopedia Treccani).
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Tra gli endocannabinoidi, sino ad ora identificati, i più noti sono: l‟N-arachidonoiletanolamide (AEA, comunemente detta Anandamide, il cui nome deriva da “ananda” che significa “beatitudine”), il arachidonoilglicerolo (AG), 2-arachidonoilgliceriletere (2-AGE), la O-arachidonoil-etanolamina (virodamina), e la N-arachidonoil-dopamina (NADA) (Figura 5). L‟Anadamide e il 2-arachidonoilglicerolo sono i due endocannabinoidi più abbondanti nel cervello (Piomelli, 2003; Stella, 1997).
L‟Anandamide è stata estratta, per la prima volta, nel 1992 dal cervello di maiale ed è il primo ligando endogeno scoperto che esercita un‟attività simile al THC (Devane et al., 1992).
L‟Anandamide mima in vivo gli effetti del THC. L‟ Anandamide e il NADA non si legano solo ai recettori cannabinoidi ma condividono con la capsaicina, un principio attivo contenuto nel peperoncino, la capacità di stimolare i recettori vanilloidi (TRPV1) (Grotenhermen, 2014).
Figura 5 strutture degli endocannabinoidi (Pavanini et al., Il sistema endocannabinoide: attuali conoscenze e potenziali applicazioni in odontostomatologia, Italian Oral Surgery
17 5.2.1 Sintesi endocannabinoidi
Gli endocannabinoidi vengono sintetizzati “su richiesta”, quindi, nonostante la loro natura lipofila, non sono accumulati in vescicole. La sintesi avviene in particolari situazioni, ovvero quando l‟aumento della concentrazione del calcio intracellulare sale sopra un certo livello e questo porta all‟attivazione di specifici enzimi biosintetici. Questi ultimi, agendo su fosfolipidi di membrana, danno inizio alla sintesi degli endocannabinoidi (Ameri et al 1999, Piomelli 2003, Cota et al 2005).
In particolare l‟anandamide deriva dalla lisi del suo precursore fosfolipide, fosfatidiletanolamina (Piomelli, 2003; Cadas et al., 1996) , il quale subisce l‟azione dell‟enzima N-acyltransferasi (attivata dagli ioni calcio) che dà origine all‟N-arachidonilfosfatidiletanolammina (NArPE). Successivamente NArPE subisce l‟azione della fosfolipasi D che porta alla formazione dell‟anandamide (Di Marzo 1994, Cadas et al 1997).
Figura 6 sintesi Anandamide (Piomelli D., 2003 The molecular logic of endocannabinoid signalling Nature
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Il 2-AG, che presenta una concentrazione a livello cerebrale 170 volte superiore a quella dell‟anandamide, viene prodotto nelle cellule neuronali, è un monogliceride e deriva dall‟attivazione del suo precursore fosfolipide, fosfatidilinositolo (Piomelli, 2003; Stella, 1997). Inizialmente il fosfatidilinositolo subisce l‟idrolisi da parte dell‟enzima fosfolipasi e da questo si possono ottenere due prodotti distinti: 2-arachidonoil-lyso-fosfolipide (Lyso-PI) idrolizzato dall‟enzima fosfolpasi A1 (PLA1) e l‟1,2-diacilglicerolo (1,2-DAG) idrolizzato dalla fosfolipasi C (PLC). Questi due diacilgliceroli subiscono idrolisi enzimatica da parte di altri due enzimi: diacilglicerolo lipasi (DGL) e lyso-fosfolipasi C (Lyso-PLC) (Higgs et al 1994, Pete et al 1994) che portano alla formazione del 2-AG.
5.3 Meccanismo d’azione
Nonostante le loro somiglianze strutturali, il 2-AG e l‟anandamide sono sintetizzati e degradati da differenti pathway enzimatici, che conferiscono a questi ligandi differenti ruoli fisiologici e patologico-fisiologici.
Entrambi gli endocannabinoidi si legano ai recettori CB1, o della stessa cellula dalla quale sono stati prodotti oppure possono diffondere all‟esterno e attivare i recettori cannabinoidi presinaptici (Piomelli 2003). Gli endocannabinoidi possono così funzionare da messaggeri retrogradi, rilasciati dal neurone post-sinaptico ed agenti sui recettori CB1 dei terminali presinaptici più vicini. La loro natura chimica estremamente poco idrosolubile ne impedisce infatti la facile diffusione nella matrice extracellulare o nel sangue.
Figura 7 sintesi 2- AG (Piomelli D., 2003 The molecular logic of endocannabinoid signalling Nature Reviews Neuroscience 4, 873–884 (2003)
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Il legame ligando-recettore comporta:
- l‟inibizione dell‟attività dell‟adenilato ciclasi, questo porta a una diminuzione dei livelli di cAMP che, a sua volta, riduce l‟attività dei canali calcio voltaggio-dipendenti, limitando così l‟ingresso di calcio nella cellula.
- l‟inibizione diretta nell‟apertura dei canali calcio voltaggio-dipendenti, che riduce ulteriormente i livelli di calcio nella cellula.
- apertura dei canali del potassio, questo causa un‟iperpolarizzazione della membrana.
- attivazione delle MAP chinasi.
La riduzione dei livelli di cAMP provoca, inoltre, un aumento dell‟attività della proteina chinasi (PKA) questo, insieme all‟attivazione delle MAP chinasi, va ad alterare l‟espressione genica.
Figura 8 meccanismi innescati dal ligame ligando recettore (Rang & Dale Farmacologia: 8° edizione
Di Humphrey Rang,James Ritter,Rod Flower,Graeme Henderson)
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La riduzione dei livelli del calcio intrecellulare causa l‟inibizione del rilascio di vescicole secretorie, con conseguente riduzione del rilascio dei neurotrasmettitori dalla terminazione assonale. Tale meccanismo può sia potenziare (mediante l‟inibizione del rilascio del neurotrasmettitore inibitorio GABA) sia deprimere (mediante inibizione del rilascio del neurotrasmettitore eccitatorio glutammato), la neurotrasmissione tra due o tre neuroni, per un periodo breve o lungo, partecipando a fenomeni di plasticità sinaptica quali potenziamento a lungo termine o depressione a lungo termine (Chevaleyre et al. 2006, Mackie 2006).
Se invece gli endocannabinoidi hanno come bersaglio non i neuroni ma cellule gliali e, in particolare, cellule della microglia, la stimolazione dei recettori CB1 e, soprattutto, CB2 regola numerose importanti funzioni. Queste funzioni sono varie e vanno dal rilascio di citochine pro- e anti-infiammatorie alla capacità di regolare la neurotrasmissione mediante rilascio o sequestro di neurotrasmettitori.
Alcuni studi hanno dimostrato come l'anandamide agisca come parziale agonista dei recettori cannabinoidi, senza alcuna significativa selettività fra il sottotipo CB1 o CB2 (Di Marzo et al 1995), mentre il 2-AG si comporta da agonista puro su entrambi i sottotipi recettoriali.
Figura 9 meccanismo d'azione dei cannabinoidi sui recettori CB1 (Velasco G., Sanchez C., Guzman M., Towards the use of cannabinoids as
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L‟anandamide gioca un ruolo fondamentale non solo a livello del SNC, dove modula diversi processi neurocomportamentali come il dolore, alimentazione e ansia, ma anche nella maggior parte dei sistemi fisiologici come il sistema immunitario, cardiovascolare, riproduttivo, respiratorio e scheletrico (Mechoulam et al., 1995).
Il 2-AG non interagisce con altri target ad attività non- cannabinoide, mentre l‟anandamide può legarsi anche ad altri recettori come recettori vanilloidi TRPV1, recettori nucleari PPAR e recettori GPR55 (Labar et al., 2007). Per tutte queste ragioni, il 2-AG è stato indicato come ligando endogeno chiave implicato nella regolazione retrograda del sistema endocannabinoide.
5.3.1 Vie metaboliche degli endocannabinoidi
La trasmissione del segnale degli endocannabinoidi viene terminata da un processo a due fasi che comprende il trasporto nelle cellule e l‟idrolisi enzimatica. Esiste quindi un processo di ricaptazione selettivo che ha il compito di rimuovere AEA e 2-AG dallo spazio presinaptico.
Figura 10 meccanismo di recupero e degradazione dell'Anandamide (Marsicano G., Chaouloff F., Moving bliss: a new anandamide
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L‟anandamide, una volta rilasciata nello spazio intersinaptico, subisce un processo di diffusione facilitata da trasportatore (FLAT). Uno studio recente (Fu J., et al., 2011) ha dimostrato che il trasportatore è una proteina, fino ad allora sconosciuta, che deriva da un processo di splicing alternativo dell‟mRNA dell‟amide idrolasi-1 degli acidi grassi. Una volta all‟interno della cellula, gli endocannabinoidi, vengono metabolizzati attraverso una sequenza di meccanismi di degradazione molecolare.
I vari sistemi enzimatici (figura 11) coinvolti in questi processi di degradazione sono: 1. FAAH “fatty acid amide hydrolase” (Cravatt et al., 1996), enzima espresso a
livello di numerosi tessuti tra quali il cervello, intestino, fegato, testicoli, utero e rene. FAAH appartiene alla famiglia delle serine idrolasi. La sua attività catalitica è regolata da una triade amminoacidica inusuale, formata da una lisina e due serine. Può degradare numerose ammidi degli acidi grassi compresa l‟anandamide. La reazione di degradazione del substrato porta alla formazione di una molecola di etanolammina e una di acido arachidonico. Anche se FAAH
Figura 11 meccanismi di degradazione di AEA e 2-AG (D'Addario C., Micioni Di Bonaventura M.V. Pucci M., Romano A., Gaetani S., Ciccocioppo R., Cifani C., Maccarrone M., Endocannabinoid signaling and food addiction Neuroscience &
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può inattivare il 2-AG, il principale enzima responsabile dell‟inattivazione di questo monogliceride è MAGL (Dinh et al., 2002; Gulyas et al., 2004);
2. MAGL “monoacilglicerolo lipasi” (Cravatt et al., 1996) inattiva solo il 2-AG con formazione di acido arachidonico e glicerolo. La MAGL è un enzima associato alla membrana la cui espressione è massima a livello del cervello, del tessuto adiposo e del fegato. Questo enzima appartiene alla famiglia delle serine idrolasi. La MAGL è presente prevalentemente a livello dei terminali presinaptici, ben posizionata quindi metabolizza il 2-AG legato ai recettori presinaptici CB1 (Melinda M. et al., 2012);
3. esiste un‟altra via di degradazione dell‟anandamide che consiste nella sua ossidazione catalizzata dall‟enzima COX-2 “cyclooxigenase-2”e porta alla biosintesi di eicosanoidi. Questi composti non hanno alcuna attività sui recettori cannabinoidi; hanno invece dimostrato di avere un ruolo significativo nella terapia dell‟ipertensione oculare. Recenti studi hanno verificato come COX-2 sia anche implicata nel metabolismo del 2-AG, di conseguenza l‟inibizione di questa ciclossigenasi porta a un aumento dei livelli intracellulari di 2-AG;
4. FAAH-2 “fatty acid amide hydrolase 2”, è coinvolta nella degradazione dell‟anandamide, è un‟isoforma della FAAH recentemente scoperta in tessuti umani. Sebbene mostri una triade catalitica identica a quella della FAAH, la sua localizzazione nell‟organismo è diversa ed il livello di omologia tra le due isoforme è solo del 20%;
5. NAAA “N-acylethanolamine acid amidase”, è altamente espressa nel sistema immunitario all‟interno dei lisosomi, dove viene attivata attraverso una scissione proteolitica (Wei et al., 2006; Tsuboi et al., 2005). Anche la NAAA è coinvolta nella degradazione dell‟anandamide;
L‟attività del 2-AG è legata ai suoi livelli tissutali e quindi all‟equilibrio tra la sua produzione e la sua degradazione.
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L’IMPORTANZA DEGLI ENDOCANNABINOIDI
Il meccanismo d‟azione con i quali gli endocannabinoidi agiscono e la particolare posizione dei recettori CB1 suggerisce che si possa trattare di un meccanismo di inibizione feedback. Questo fenomeno detto “plasticità mediata dagli endocannabinoidi” (Mackie 2008) è un sistema che è in grado sia di aumentare che di attenuare l‟eccitabilità neuronale a seconda del neurotrasmettitore coinvolto (soprattutto riguarda il GABA e il glutammato). I recettori cannabinoidi possono così svolgere un‟azione protettiva del Sistema Nervoso Centrale dalla sovrastimolazione (inibendo il rilascio di glutammato) o sovrainibizione (inibendo il rilascio di GABA).
Il rilascio dei cannabinoidi endogeni ha anche un ruolo fondamentale durante lo sviluppo cerebrale perché questo sistema è in grado di controllare la plasticità sinaptica, ovvero, la capacità del Sistema Nervoso di modificare l‟efficienza delle sinapsi soprattutto a livello della neocorteccia, ippocampo, cervelletto e gangli della base. Il sistema endocannabinoide è presente nel SNC fin dalle prime fasi di sviluppo cerebrale (Fernandez-Ruiz et al. 2000; Fride 2004). La presenza di questo meccanismo, già nelle fasi precoci dello sviluppo, ci suggerisce come una eventuale perturbazione del sistema cannabinoide endogeno, ad esempio attraverso l‟uso di fitocannabinoidi, possa influire negativamente sul sistema nervoso.
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FITOCANNABINOIDI
THC e CBD sono i cannabinoidi più studiati, hanno ampia variabilità nel meccanismo di azione, nella sede d‟azione e nell‟effetto prodotto.
25 7.1 Δ9-tetraidrocannabinolo
Il Δ9-tetraidrocannabinolo (THC) (Figura 4.1) è stato individuato per la prima volta negli anni Sessanta dal chimico israeliano Raphael Mechoulam: a differenza dei principi attivi presenti nella maggior parte delle piante psicoattive, il THC non è un alcaloide (Grotenhermen 2014). Il THC è considerato il cannabinoide psicoattivo della pianta di canapa.
Nella canapa la concentrazione di THC varia nelle diverse parti della pianta (UNODC, 2009) ma varia anche molto da pianta a pianta, a seconda dell‟area geografica di provenienza (le piante dei Paesi caldi dell‟emisfero meridionale sono le più ricche di THC) e del sesso (le piante di sesso femminile presentano maggiori concentrazioni di principio attivo rispetto a quelle di sesso maschile) (Toscanapa).
Tabella 2 contenuto di Δ9-tetraidocannabinolo nelle varie parti della pianta di cannabis (UNODC, 2009)
Parte della pianta %
Pistilli del fiore 10-12
Foglie 1-2
Gambi 0.1-0.3
Radici <0.03
Il ∆9-THC è considerato il cannabinoide farmacologicamente più attivo nella pianta della canapa. La maggior parte degli effetti del THC sono mediati da azione agonista sui recettori cannabinoidi. Il THC si può legare ad entrambi i recettori, CB1 e CB2. A
Figura 12 struttura chimica del delta9-tetraidrocannabinolo
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seconda del tipo cellulare, della dose e dello stato dell‟organismo, l‟attivazione dei recettori CB può causare una moltitudine di effetti che includono euforia, ansietà, secchezza delle fauci, rilassamento muscolare, fame e riduzione del dolore. (Grotenhermen, 2014).
Il Δ9-THC, anche se può legarsi ad entrambi i recettori cannabinoidi, presenta una maggiore affinità per il tipo 1 (CB1) (Benbadis et al, 2014). I cannabinoidi endogeni migliorano la risposta immunitaria mentre gli esogeni hanno un effetto immunosopressore (Suarez et al., 2014).
7.2 Cannabidiolo
Il cannabidiolo (CBD) è un fitocannabinoide non psicoattivo, comune in alcuni ceppi di cannabis. CBD ha una bassa affinità per i recettori CB1 e CB2 (McPartland et al., 2015) ma nonostante questo, è stata dimostrato il suo grande ruolo come antagonista. Ci sono evidenze che dimostrano come CBD possa mitigare molti degli effetti di THC (Machado Bergamaschi et al., 2011; Schatman, 2015); ha perciò effetti anti-infiammatori, analgesici, ansiolitici e antipsicotici (Grotenhermen, 2014). Il CBD è privo degli effetti psicotropici, tipi del THC. Questo lo rende particolarmente interessante da un punto di vista terapeutico (Scuderi C. et al., 2009).
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EFFETTI DELLA CANNABIS
Gli effetti dell‟uso della cannabis nell‟uomo sono molteplici: vanno dalla compromissione della memoria a breve termine a deficit cognitivi, di coordinazione, del sonno, ad alterazioni dell‟umore, tachicardia riflessa (Pertwee 1998). Il THC è il principale responsabile di questi effetti acuti ma è anche il composto che porta a dipendenza, in seguito ad un uso cronico (Rodriguez De Fonseca et al., 2005; Pertwee, 1998).
8.1 Tossicita’
8.1.1 Azione della cannabis sul sistema dopaminergico mesolimbico
L‟uso cronico di droghe porta a cambiamenti plastici a livello delle sinapsi. La plasticità sinaptica, processo molecolare e cellulare mediante il quale le informazioni, le esperienze vengono immagazzinate nel cervello, permette alle sinapsi di essere potenziate oppure indebolite. Si parla rispettivamente di potenziamento a lungo termine (LTP) e di depressione a lungo termine (LTP).
L‟uso di cannabis porta a risposte acute iniziali dovute a fenomeni di plasticità sinaptica nell‟Area Tegmentale Ventrale. In particolare aumenta il rilascio di dopamina indirettamente stimolando i neuroni gabaergici che hanno un‟azione inibitoria sui neuroni dopaminergici (Koob e La Moal, 1997; Nisell et al., 1994). Questi cambiamenti duraturi sembrano essere responsabili del bisogno continuo di droga e di fenomeni di ricaduta.
Le droghe che danno assuefazione agiscono su più sistemi neurocognitivi in particolare hanno azione sul Nucleo Accumbens (coinvolto nel meccanismo di gratificazione). Un ruolo centrale nello sviluppo dei comportamenti di dipendenza è legato alle modifiche della via dopaminergica della ricompensa. A livello cerebrale troviamo delle proiezioni che dall‟Area Tegmentale Ventrale si diramano al Nucleo Accumbens, all‟Area del setto, all‟Amigdala e all‟Ippocampo e alla Corteccia prefrontale.
Il sistema dopaminergico mesolimbico (proiezioni che dall‟Area Tegmentale Ventrale vanno al Nucleo Accumbens e alla Corteccia prefrontale) ha un ruolo centrale nei
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meccanismi di gratificazione. La sua attivazione dà un senso di soddisfazione ed è legata a comportamenti che sono fondamentali per la sopravvivenza come nutrirsi, bere, interazioni sociali, comportamento sessuale e materno.
La cannabis può agire direttamente o indirettamente sul Nucleo Accumbens provocando grandi rilasci di dopamina (Robbins et al., 2007). Quando questo accade, la sostanza che ha provocato il grande rilascio di dopamina, viene percepita dall‟individuo come un qualcosa di soddisfacente e gratificante e quindi la persona tende ad assumerne di nuovo. Va considerato che le attività quotidiane che danno questo fenomeno di ricompensa producono aumenti di dopamina nel Nucleo Accumbens molto più contenuti di quelli prodotti dalle droghe di dipendenza (Kelley e Berridge, 2002) che possono arrivare a quantità anche dieci volte superiori.
La ripetuta esposizione a questo tipo di sostanze provoca un fenomeno di adattamento biologico definito come tolleranza. Questa condizione è caratterizzata da una diminuzione della risposta allo stimolo per cui il soggetto tende ad aumentare progressivamente la dose della droga per ritrovare gli effetti di ricompensa attesi. Questo spiega il bisogno continuo di aumentare la quantità di droga da assumere.
8.1.2. Ulteriori cambiamenti plastici a livello cerebrale
L‟abuso cronico della cannabis, come di molte altre droghe, porta a diversi cambiamenti plastici a livello cerebrale. Oltre ai cambiamenti che coinvolgono il Nucleo Accumbens si identificano modifiche a livello dell‟Amigdala e Ippocampo (aree coinvolte in processi di apprendimento e memoria), della Corteccia orbitofrontale e prefrontale (aree coinvolte nell‟attenzione, nella programmazione del futuro, nell‟iniziativa) e del Giro del Cingolo Anteriore (area che porta sia a effetti vegetativi, come riduzione frequenza respiratoria e cardiaca, che somatici come modifiche della motilità volontaria, attenzione esecutiva, gestione di stimoli nuovi).
Quindi l‟uso della cannabis influenza negativamente l‟apprendimento e la memoria. In particolare provoca difficoltà nelle abilità verbali, nel riconoscimento visivo, nella memoria a breve e a lungo termine (McHale, 2008).
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La cannabis ha anche effetti sull‟attività motoria, il suo uso compromette significativamente la capacità motoria (Weinstein et al., 2008).
Una conseguenza importante, derivata sempre dal consumo cronico della cannabis, è l‟aumento del rischio di uso/abuso di altre sostanze illegali (Robledo et., al 2008, Economidou 2006).
In seguito all‟attivazione dei recettori CB1 si possono manifestare effetti negativi come ansia, panico (Moreira et al., 2008), depressione, idee suicida, agorafobia (Bovasso, 2001; Pedersen, 2008). Inoltre studi epidemiologici, hanno dimostrato come nella maggior parte dei casi, chi ha una dipendenza da cannabis, soffre anche di disturbi di personalità, disturbi paranoidi e disturbi borderline della personalità (Watzke et al., 2008).
8.1.3 Cannabis e gravidanza
Un altro aspetto importante è il consumo della cannabis in gravidanza. Vari studi (Fried e Smith 2001) rivelano come la cannabis è, nei Paesi occidentali, tra le droghe illecite più abusate dalle donne in stato di gravidanza. Gli effetti provocati da questa esposizione includono gravi danni fisiologici e neurologici per il bambino.
I fitocannabinoidi possono essere trasferiti rapidamente dalla madre al feto o al neonato sia attraverso la placenta (Martin B.R., 1977) che attraverso il latte (Jakubovic A., 1973). Queste sostanze, poi, riescono ad arrivare facilmente al cervello perché, in soggetti a questi stadi dello sviluppo, la barriera ematoencefalica è ancora immatura (Fernandez-Ruiz J., 1992).
L‟esposizione del bambino a THC, attraverso l‟allattamento, può causare sia effetti a breve termine che effetti a lungo termine. Gli effetti a breve termine includono sedazione, letargia, debolezza e scarso appetito (Liston J., 1998). Gli effetti a lungo termine sono legati a influenze negative sul normale sviluppo del cervello.
I fitocannabinoidi, in particolare il THC, possono causare l‟attivazione di eventi intracellulari che portano alla morte delle cellule neuronali (apoptosi). Questo può causare gravi alterazioni nello sviluppo e differenziamento del Sistema Nervoso Centrale del feto (Downer e Campbell, 2010). Inoltre è stato ipotizzato che
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l‟esposizione del feto alla cannabis possa alterare lo sviluppo della Corteccia prefrontale (parte implicata nella pianificazione di comportamenti cognitivi complessi, nel prendere decisioni, nella personalità) e del Circuito fronto-striato-pallido (deputato al controllo dei movimenti volontari e del tono muscolare, coinvolto nei movimenti automatici e semiautomatici e movimenti della mimica e dell‟espressione).
Utilizzando la risonanza magnetica tomografica (RTM) è stato evidenziato un ridotto volume della sostanza grigia corticale e parenchimale in bambini di età compresa tra 10 e 14 anni che erano stati esposti alla cannabis durante la vita prenatale (Rivkin M.J., 2008).
Inoltre, l‟esposizione del feto alla cannabis, è associato a una riduzione della circonferenza cranica e del peso del bambino alla nascita (El Marroun H., 2010).
8.1.4 Cannabis e adolescenza
In generale l‟uso precoce di cannabis durante l‟adolescenza sembra essere associato a un aumento del rischio di psicosi simil-schizofrenica (Di Forti, 2007; Laqueille, 2008; Moore et al, 2007).
Molte evidenze, inoltre, segnalano che l‟esposizione agli esocannabinoidi nell‟adolescenza possa incidere sullo sviluppo di molti sistemi di neurotrasmettitori. Sono evidenziati effetti sulla maturazione del sistema colinergico (Fernandez-Ruiz et al., 2000; Hernandez et al., 2000), serotonergico (Molina-Holgado et al., 1997), GABAergico (Garcia Gil et al., 1999), glutamatergico (Suarez et al., 2004) e del sistema degli oppioidi (Kumar et al., 1990; Vela et al., 1998; Wang et al., 2006).
8.2 Effetti positivi della cannabis sull’organismo
Moltissime ricerche sono state fatte sul meccanismo di azione dei derivati della canapa e questo ha ampliato notevolmente le nostre conoscenze sia in campo fisiologico che farmacologico. Ad esempio studi clinici hanno dimostrato che in alcuni casi gli effetti dei cannabinoidi possono essere utili all‟organismo. Un analogo strutturale del THC è utilizzato, in alcune aree del Regno Unito e degli Stati Uniti, come trattamento per ridurre la sensazione di nausea e vomito in pazienti che hanno subito trattamenti di chemioterapia. Il THC e un suo analogo sono anche utilizzati come stimolanti
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dell‟appetito in pazienti affetti da AIDS (House of Lords 1998). Studi recenti hanno dimostrato l‟efficacia dei derivati della cannabis nel trattamento dei disturbi del Sistema Nervoso Centrale, in particolare nella cura dell‟epilessia, disturbi neurodegenerativi e disturbi psichiatrici (Barbato, 2007; Kikuchi et al., 2009).
In Canada è stato approvato un farmaco a base di estratti di canapa ed è usato come miorilassante in pazienti affetti da sclerosi multipla. Tuttavia gli effetti benefici legati agli estratti della canapa, anche lo stesso THC, e i relativi composti sintetici sono spesso ostacolati dagli effetti psicotropici e dal loro potenziale abuso.
In Italia dal 2013 è stato legalizzato l‟uso della cannabis come medicinale per il dolore cronico. Oggi sono 11 le regioni italiane nelle quali la cannabis, per uso medico, è a carico del Servizio Sanitario Regionale. Dal gennaio 2017 è stata attivata la produzione statale della cannabis terapeutica da parte dell‟Istituto chimico e farmaceutico militare di Firenze. Tuttavia, sul territorio italiano, l‟utilizzo di questo tipo di medicinale è ancora molto scarso. I problemi legati all‟uso di questo medicinale sono molteplici, vanno dalla scarsa conoscenza da parte dei medici alla mancata distribuzione nelle farmacie. La mancanza di chiarezza crea un clima di diffidenza. Tutto questo porta a pochissime prescrizioni l‟anno che non alimentano il mercato.
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UTILIZZI DELLA CANAPA
Cannabis Sativa L. è stata un‟importante fonte di cibo, fibre, olio e medicine per migliaia di anni in Europa, Asia e Africa (Russo et al., 2007). Attualmente la varietà non-droga di C. sativa L., che contiene una quantità bassa di delta-9 tetraidrocannabinolo (THC), rispetto ai comuni semi, è un‟importante materia prima in agricoltura, soprattutto in Canada, USA e Cina (Xiaoli et al., 2015; Lesma et al., 2014). Attualmente con la canapa è possibile realizzare ben 50000 prodotti, che vanno dall‟abbigliamento alla biancheria per la casa, dalla carta alla cosmesi e prodotti alimentari.
9.1 La canapa nell’alimentazione
I semi di canapa sono soprattutto fonte di amminoacidi essenziali, acidi grassi essenziali, vitamina E e minerali.
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Possono essere consumati crudi, interi o decorticati. Si possono utilizzare aggiungendoli come condimento o come ingrediente vero e proprio a insalate, macedonie, muesli; si possono utilizzare anche come decorazione di dessert, nella preparazione di pane, grissini.
Dai semi possiamo estrarre l‟olio che ha un ottimo profilo lipidico e che si può utilizzare come condimento. L‟olio ha un leggero sapore di nocciola e conferisce una nota particolare al piatto.
Dalla canapa si può ottenere anche la farina che è un sottoprodotto della pressatura dei semi. Anche la farina ha un leggero gusto di nocciola, ha un colorito bruno ed è in grado di apportare un patrimonio di preziosi nutrienti. La farina di canapa permette di assumere una buon profilo lipidico e amminoacidi essenziali; è naturalmente priva di glutine ed è ricca di fibre (circa 20%). Si può utilizzare per preparare pane, pasta, grissini, pizze, torte, pasta fatta in casa, gnocchi. (Agricanapa)
Con i semi di canapa si possono ottenere anche altri alimenti, oltre all‟olio, ad esempio possiamo utilizzarli per la preparazione del Latte di canapa. Il latte contiene vitamina A, vitamina E, acidi grassi essenziali, è fonte di Sali minerale e si può facilmente preparare
Figura 16 pasta ottenuta dalla farina di canapa (Toscanapa)
Figura 15 pane ottenuto dalla farina di canapa (Toscanapa)
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a casa in questo modo si evita di consumare un prodotto contenente addensanti, emulsionanti, conservanti.
Dalla preparazione del Latte di canapa si ricava una “polpa” di semi di canapa, che può essere compattata per ottenere il “tofu di canapa”, oppure si può usare come ingrediente aggiuntivo nella preparazione di polpette o torte salate.
Dal latte di canapa si può ottenere anche il formaggio di canapa, che può essere preparato a casa. Il formaggio di canapa è un alimento ricco di acidi grassi essenziali, non utilizza derivati animali quindi risponde bene a un‟alimentazione vegana. È ideale per chi soffre di intolleranza al lattosio o al glutine. Il siero ottenuto dalla preparazione del formaggio può essere, a sua volta, utilizzato come ingrediente aggiuntivo anche nella preparazione di biscotti.
Figura 17 latte ottenuto dai semi di canapa (canapa Oggi)
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10 COMPOSIZIONE CHIMICA
10.1 Il frutto della canapa
Il frutto della canapa in realtà non è un vero seme ma, un “achene”, una piccola nocciolina coperta da un rigido rivestimento (Small 1979, Paris and Nahas 1984). Il seme di canapa intero è composto approssimativamente da: 20-25% proteine, 20-30% carboidrati ( di cui circa il 22% fibra) (Deferne et al., 1996), 25-35% olio (Orhan et al., 2000), acqua e sostanze inorganiche.
Il frutto della canapa ha un alto contenuto di vitamina (A, C e E), β-carotene, minerali, in particolare fosforo, potassio, magnesio, zolfo, calcio e una piccola quantità di ferro e zinco (Orhan et al., 2000; Deferne et al., 1996; Yu et al., 2012).
Per avere una visione più dettagliata, della composizione chimica del seme di canapa, ho riportato i dati elaborati da PhD J.C.Callaway dell‟Università di Kuopio (Finlandia) esposti nell‟articolo “Hempseed as a nutritional resource: An overview”, dove è stata presa in considerazione la varietà finlandese Finola.
Tabella 3. valori nutrizionali medi, espressi in mg/100g, del contenuto di minerali e di vitamine presenti nei semi di canapa
Minerali mg/100g Vitamine mg/100g
Fosforo 1160 Tocoferoli totali 90
Potassio 859 Alfa tocoferolo 5
Magnesio 483 Gamma tocoferolo 85
Calcio 145 Tiamina (Vit. B1) 0,4
Ferro 14 Riboflavina (Vit. B2) 0,1
Sodio 12
Manganese 7
Zinco 7
Rame 2
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Dai dati dell‟Università di Kuopio notiamo che, il seme, è ricco di amminoacidi essenziali.
Tabella 3 composizione amminoacidica, espressa in g/100g, delle proteine del seme di canapa, patata, grano, mais, riso e fagiolo. Sono stati evidenziati gli aminoacidi essenziali per l’uomo.
Seme di
canapa Patata Grano Mais Riso Fagiolo
Proteine 23% 2% 14% 11% 9% 25% Amminoacido g/100g Alanina 1,05 0,09 0,5 0,72 0,56 1,28 Arginina 1,49 0,1 0,61 0,4 0,62 3,1 Acido Aspartico 1,82 0,34 0,69 0,6 0,86 2,78 Acido Glutammico 4,41 0,37 4 1,8 1,68 4,57 Cistina 0,39 0,02 0,28 0,15 0,1 0,41 Fenilalanina 1,05 0,08 0,63 0,46 0,43 1,17 Glicina 1,28 0,1 0,71 0,35 0,47 1,14 Isoleucina 1 0,08 0,53 0,35 0,35 0,98 Istidina 0,72 0,03 0,27 0,26 0,19 0,71 Leucina 1,8 0,11 0,9 1,19 0,71 1,72 Lisina 1,49 0,1 0,37 0,33 0,31 1,03 Metionina 0,46 0,02 0,22 0,18 0,17 0,58 Prolina 1,59 0,09 1,53 0,85 0,4 1,15 Serina 1,1 0,08 0,7 0,47 0,48 1,27 Treonina 1,13 0,07 0,42 0,34 0,34 0,88 Triptofano 0,31 0,02 0,51 0,04 0,09 0,2 Tirosina 0,69 0,06 0,4 0,36 0,33 0,86 Valina 1,26 0,1 0,61 0,46 0,51 1,28
Dallo studio condotto dall‟Università di Kuopio si evidenzia l‟alto contenuto di proteine, (23%) del seme di canapa, rispetto ad altre colture tipiche della dieta mediterranea. In particolare viene messa in evidenza la ricchezza di amminoacidi essenziali, presenti nel seme di canapa, che è paragonabile solo ai fagioli.
Il seme di canapa, proprio per la sua ricca composizione chimica, può essere usato come ingrediente alimentare o utilizzato per ricavarne olio e farina.
37 10.2 L’olio
L‟olio di canapa è costituito sia da lipidi saponificabili che da lipidi non saponificabili. Il termine saponificabile è legato alla capacità dei lipidi di reagire con basi e dare origine o meno a un prodotto di saponificazione. La frazione saponificabile, generalmente quella più abbondante, nella canapa è circa il 98-99%, è rappresentata da mono-di-trigliceridi, i cui acidi grassi sono insaturi (sono quelli che costituiscono l‟acido oleico, linoleico) o saturi (sono quelli che troviamo nell‟acido palmitico e stearico). L‟olio derivato dai semi di canapa è composto per oltre l‟80% da acidi grassi polinsaturi ed è una particolare fonte di acidi grassi essenziali in particolare acido Linoleico e acido alfa- Linolenico (Melosini M, 2016).
La porzione non-saponificabile, circa 1-2% dell‟olio, è un‟importante fonte di componenti minori, come steroli, alcol alifatici, tocoferoli, idrocarburi. Comprende una quota significativa di tocoferoli, che possono ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, cancro, degenerazione maculare legata all‟età (Leger, 2000). I tocoferoli agiscono come antiossidanti e prevengono l‟ossidazione di acidi grassi insaturi.
La maggior quantità di THC e degli altri cannabinoidi è localizzata sulla superficie dei semi, l‟olio può assorbire una certa quantità durante la pressatura a freddo (Ross et al., 2000). Comunque la biodisponibilità dei cannabinoidi è minore se la somministrazione avviene attraverso gli alimenti rispetto all‟assunzione attraverso il fumo (Huestis, 2006). Le limitazioni (della quantità di THC) contenuta nei vari cibi prodotti dai semi della canapa è calcolata basandosi sul NOEL (livello al quale non si hanno effetti osservabili) per il THC e sull‟assunzione giornaliera di un cibo particolare. Le differenze risultanti sono dovute all‟applicazione di diversi fattori di sicurezza (Kraus, 2003).
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11 PRESENTAZIONE DEL LAVORO
Nella seguente analisi ho preso in considerazione diversi studi sulla canapa di varie nazionalità. Ho cercato di confrontare i dati riportati per poter evidenziare, dove possibile, le cultivar che meglio esprimono determinate caratteristiche nutrizionali e individuare se ci sono differenze fra le coltivazioni italiane e non-italiane. Il mio obiettivo è stato quello di poter mettere in evidenza le eventuali capacità nutritive dell‟olio di canapa.
11.1 Studi considerati
Studio 1 (Hemp (Cannabis Sativa L.) seed oil: Analytical and phytochemical characterization of unsaponifiable fraction, Sergio Montserrant et al., 2014). Nel seguente studio i campioni di olio raffinato di semi di canapa sono stati forniti da Botanica Nutrients (Siviglia, Spagna). Nello studio non sono specificate le cultivar dalle quali è stato estratto l‟olio.
Studio 2 (Analytical Characterization of Hempseed (Seed of Cannabis Sativa L.) Oil from Eight Regions in China, Tianpeng Chen et al., 2010). In questo studio sono state prese in esame otto diverse varietà locali ( Yunma No 1, Liuan Hanma, Bama Houma, Beian, Qingshui, Dabaipi, Baotou, Yuci) che sono state coltivate in otto diverse aree della Cina (Yunnan, Guangxi, Anhui, Heilongjiang, Gansu, Hebei, Neimenggu, Shanxi).
Studio 3 (Potential Oil Yield, Fatty Acid Composition, and Oxidation Stability of the Hempseed Oil from Four Cannabis Sativa L. Cultivars, Carla Da Porto et al., 2015). In questo studio sono state considerate quattro diverse cultivar (Felina 32, Uso 31, Camaeleon, Finola) che sono state coltivate in due diversi siti: Prato Carnico (PC) e Forni di Sotto (FS), nell‟arco di 2 anni dal 2011 al 2012.
Studio 4 (Cannabinoid-free Cannabis Sativa L. grown in the Po valley: evaluation of fatty acid profile, antioxidant capacity and metabolic content, G.Lesma et al., 2014). Nel seguente studio sono state analizzate tre differenti cultivar (Carmagnola, Futura, Felina) che sono state coltivate in due diversi siti: Treviglio (BG) e Cavriana (MN) in Lombardia, nell‟arco di 3 anni.
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Studio 5 (Relationship between cannabinoids content and composition of fatty acid in hempseed oils, Marinko Petrovic et al., 2014). In questo studio sono stati considerati undici campioni di diversi tipi commerciali di oli di semi di canapa acquistati in negozi di alimenti naturali o donati dai produttori. I semi studiati sono originarie di vari paesi: Croazia, Slovenia, Germania, Canada, Romania, Serbia, Olanda, Slovenia. Vista la complessità dello studio sono stati chiamati rispettivamente:
- Campione 1 (Croazia) - Campione 2 (Slovenia) - Campione 3 (Germania) - Campione 4 (Canada) - Campione 5 (Romania) - Campione 6 (Canada) - Campione 7 (Serbia) - Campione 8 (Olanda) - Campione 9 (Croazia)
- Campione 10 ( provenienza sconosciuta) - Campione 11 (Slovenia)
Studio 6 (Caratterizzazione chimica dell‟olio ottenuto dalla spremitura a freddo dei semi di Cannabis Sativa L., P. Rovellini et al., 2013) Questo studio è stato riportato dalla “rivista italiana delle sostanze grasse”, non viene specificato il tipo di cultivar analizzato e neanche il luogo di coltivazione.
12 ANALISI DEI RISULTATI
12.1 Componente proteicaUna parte significativa del seme di canapa è rappresentata dalla parte proteica e in particolare da due tipi di proteine: edestina e albumina. Entrambe sono proteine di alta qualità nutrizionale dato che hanno un elevato contenuto di amminoacidi essenziali e sono facilmente digeribili. Le proteine del seme di canapa contengono tutti gli otto amminoacidi essenziali, con un livello basso di lisina. Nel seme di canapa è stato anche
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ritrovato un elevato livello di arginina, importante nella fase di crescita dei bambini (Melosini M, 2016).
12.1.1 risultati
Tabella 4 resa dei semi e resa proteica
cultivar resa semi( %) resa proteica (g/100g)
Yunma No.1 66,1 30,3 Bama Houma 54,5 37,6 Liuan Hanma 59,1 31,8 Beian 58,6 28,1 Qingshui 54,4 27,6 Dabaipi 53 20,49 Baotou 54,7 27 Yuci 60,6 28
Dei lavori considerati solo lo studio 2, condotto in Cina, ha messo in evidenza i risultati relativi alla parte proteica. Questi valori vanno da un minimo del 20.49% (Dabaipi) a un massimo di 37.60% (Bama Houma). I valori esprimono la percentuale di proteine presenti nel seme di canapa. Le cultivar Beian, Qingshui e Yuci hanno un quantitativo proteico molto simile, sotto al 30%.
Basandoci su questi risultati Bama Houma e Yunma No. sarebbero le cultivar che danno un rendimento maggiore riguardo alla resa del seme e alla resa proteica.
12.2 Estrazione dell’olio
L‟estrazione della parte grassa da semi oleosi prevede il ricorso a metodi meccanici o metodi con solvente.
L‟estrazione con solvente può essere realizzata per immersione o per percolazione. Nel primo caso la matrice è completamente immersa nel solvente per il tempo necessario all‟estrazione; nel secondo, invece, la matrice è irrorata dal solvente che l‟attraversa continuamente (estrazione con Soxhlet). L‟estrattore Soxhlet utilizza un solvente, posto nel pallone, che viene portato ad ebollizione, i suoi vapori raggiungono il refrigerante e
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gocciolano sul campione da cui vogliamo estrarre l‟olio. Con l‟estrattore Soxhlet si effettuano estrazioni multiple, dopo vari cicli gli analiti estratti vengono recuperati nel pallone. Questo tipo di estrazione ha come vantaggio il fatto di eseguire un‟estrazione in continuo. Lo svantaggio è che è un metodo lungo, richiede dalle 12 alle 24 ore. Il prodotto ottenuto dall‟estrazione deve essere sottoposto a un processo che permetta l‟eliminazione del solvente e, se destinato all‟alimentazione, deve essere raffinato. L‟estrazione con metodi meccanici comprende la “spremitura a freddo”. Questa tecnica può essere fatta con il metodo tradizionale che prevede l‟uso di grandi ruote di pietra oppure con l‟impiego di frangitori meccanici. La pasta così ottenuta, viene sottoposta ad altri trattamenti che permettono di arrivare al prodotto finito. Il vantaggio nell‟utilizzo della “spremitura a freddo” è che consente di mantenere inalterate le caratteristiche fisiche e nutrizionali dell‟olio estratto. Lo svantaggio è che la resa è minore.
12.2.1 Metodi utilizzati
Nello studio 1 e nello studio 5 i campioni utilizzati sono già sotto forma di olio, non è stato specificato il metodo di estrazione utilizzato. Nello studio 2 l‟olio è stato ottenuto utilizzando il metodo di estrazione Soxhlet, in accordo con la procedura nazionale cinese (GB/T 5009.6, 2003). L‟Università di Udine (studio 3) ha utilizzato l‟estrazione con Soxhlet. Lo studio condotto sulla Valle del Po (studio 4) non specifica il metodo utilizzato per l‟estrazione dell‟olio dai semi. Lo studio riportato sulla “rivista italiana delle sostanze grasse” specifica che l‟olio è stato ottenuto mediante un procedimento di spremitura a freddo dei semi di canapa previamente decorticati.
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Tabella 5 resa percentuale di olio
CAMPIONE RESA % OLIO
Studio 6 10,1
Studio 3 Felina 32 (Prato Carnico) 20,75 Studio 3 Chamaeleon (Prato Carnico) 23,7
Stdio 4 Carmagnola (Cavriana) 25,3
Studio 4 Felina (Cavriana) 26,2
Studio 3 Finola (Prato Carnico) 26,45 Studio 3 Finola (Forni di Sotto) 28,2
Studio 2 Dabaipi 28,53
studio 3 Chamaeleon (Forni di Sotto) 28,8
Studio 4 Carmagnola (Treviglio) 29
Studio 4 Futura (Cavriana) 29,6
Studio 4 Futura (Treviglio) 30
Studio 4 Felina (Treviglio) 30
Studio 3 Felina 32 (Forni di Sotto) 30,1
Studio 2 Liuan Hanma 36,57
Studio 2 Qingshui 41,65
Studio 2 Yuci 42,16
Studio 2 Baotou 43,22
Studio 2 Beian 44,22
Studio 2 Yunma No.1 50,6
Studio 2 Bama Huoma 51,06
Lo studio 1 e 5 non specificano la resa dell‟olio, nello studio 2 la resa dell‟olio varia da 28.53% (Dabaipi) a 51.06% (Bama), nello studio 3 varia da 20.75% (Prato Carnico, media delle rese dei due anni 2011-2012) a 30.1% ( Felina 32 a Forni di Sotto, media delle rese dei due anni 2011-2012), nello studio 4 varia da 25.3% (Carmagnola a Carviana) a 30% (Felina e Futura a Treviglio), nello studio 6 la quantità di olio ottenuta è pari al 10.1%.
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Dai vari lavori analizzati si può concludere che la resa maggiore di olio è stata ottenuta dalla cultivar Bama coltivata in Cina. Per quanto riguarda le cultivar italiane, la resa massima è stata ottenuta con la cultivar Felina 32 a Forni di Sotto nel 2011. Dai risultati si nota anche che l‟olio estratto con il metodo della spremitura a freddo ha una resa minore rispetto all‟olio ottenuto con l‟estrazione con solvente.
La resa dell‟olio sul prodotto fresco varia molto ed è influenzata, soprattutto, da tre fattori: varietà, andamento climatico e metodo di estrazione.
12.3 Determinazione del profilo degli acidi grassi
Gli acidi grassi sono acidi carbossilici con una catena idrocarburica composta da 4 a 36 atomi di carbonio. Alcuni acidi grassi hanno la catena idrocarburica composta esclusivamente da legami singoli (saturi) mentre altri possono presentare da uno a più doppi legami (mono-polinsaturi). Gli acidi grassi polinsaturi sono poi classificati in omega 3, omega 6 e omega 9. Gli omega 3 sono acidi grassi polinsaturi la cui prima insaturazione si trova sul C3 a partire dalla fine della catena carboniosa. Gli omega 6 hanno la prima insaturazione a livello del C6 e gli omega 9 a livello del C9.
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