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Lisia, Contro Nicomaco. Professionalità e scritture pubbliche nella democrazia restaurata.

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

Corso di Laurea Magistrale in Filologia e Storia dell’Antichità

TESI DI LAUREA

Lisia, Contro Nicomaco

Professionalità e scritture pubbliche nella democrazia restaurata

CANDIDATA

RELATORE

Valeria Battilani

Prof. Andrea Taddei

CONTRORELATORE

Prof. Enrico Medda

(2)

Indice generale

0. Premessa……….1

1. Capitolo I. Per un profilo dell’orazione Contro Nicomaco………...3

1.1 Quale procedura legale (εὔθυναι, γραφή, εἰσαγγελία)?...4

1.2 Chi era Nicomaco?...8

1.3 L’identità dell’accusatore………..18

1.4 Quali accuse?...20

1.5 Un problema testuale (§§ 7-8): I Trecento e i Tremila (regime dei Trenta Tiranni) o i w Quattrocento e i Cinquemila (411)?...22

2. Capitolo II. La revisione legislativa ad Atene (410-399 a. C.

)……….

27

2.1

La nomina dei συγγραφεῖς………..……….

29

2.2

I νομοθέται durante il governo dei Cinquemila……….……….

34

2.3 Pe

rché una revisione legislativa?...

36

2.4 Le

evidenze della revisione legislativa……….……….

41

2.4.1 Le evidenze epigrafiche………..………..

41

2.4.2 Contro Nicomaco e il lavoro degli ἀναγραφεῖς………

45

a) L’articolazione temporale dell’incarico……….……….47

b) I compiti degli ἀναγραφεῖς………49

c) Le “leggi di Solone”……….………57

2.4.3 Il secondo mandato degli ἀναγραφεῖς e il decreto di Tisameno………..………...63

2.4.4 La legge di Diocle………..…….71

3. Capitolo III.

“The fate of the expert”. Scrittura, sapere tecnico e democrazia nell’accusa a

n

Nicomaco……….74

3.1 Il problema dell’analfabetismo: i concetti fondamentali dalle scienze sociali………..74

3.2 Esordi della scrittura alfabetica nel mondo greco arcaico………79

3.3 I professionisti della scrittura alla fine dell’età arcaica………82

a) Il γραμματιστής diventa tiranno: Meandrio di Samo……….83

b) Il contratto di uno scriba di Creta: il caso di Spensithios………..85

(3)

3.4 Uso della scrittura e livelli di alfabetizzazione nella democrazia ateniese……….98

3.5 I responsabili della scrittura pubblica ad Atene………...101

3.6 Riferimenti ai responsabili delle scritture pubbliche nei discorsi giudiziari………….109

3.7 Lo statuto di Nicomaco nella costruzione dell’accusa lisiana………..111

4. Capitolo IV. Il calendario sacrificale della città di Atene

………...………119

4.1 La sistemazione soloniana dei riti e la sua revisione di fine V secolo………119

4.2 La riscrittura del calendario dei sacrifici nell’economia della Contro Nicomaco……123

4.2.1 Un tema di speciale rilievo………123

4.2.2 Lettura ragionata dei §§ 17-22………..………….127

§ 17: il programma dell’accusatore sui sacrifici………..……127

Ἐκ τῶν κύρβεων καὶ τῶν στηλῶν? Un problema testuale……….129

4.3 Il calendario iscritto su pietra………137

5. Considerazioni finali e conclusioni………140

Appendice: traduzione dell’orazione………143

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1

Premessa

Questo lavoro è incentrato sull’orazione XXX del corpus lysiacum, tramandata col titolo Κατὰ Νικομάχου γραμματέως εὐθυνῶν κατηγορία. In essa il cliente di Lisia sostiene l’accusa contro Nicomaco, ἀναγραφεὺς τῶν νόμων, ovvero trascrittore incaricato dell’operazione di revisione legislativa (410-399 a. C.).

L’elaborato non è un commento testuale - benché il testo dell’orazione sia il punto di riferimento per l’analisi - ma mira ad inquadrare l’opera all’interno di due più vasti problemi: lo statuto delle competenze scrittorie nell’Atene di età classica, con particolare riferimento al loro uso pubblico nel sistema democratico, e la regolamentazione della vita religiosa della πόλις tramite il calendario dei sacrifici.

La ricerca trova i suoi presupposti teorici nel metodo storico-antropologico: l’orazione XXX, pertanto, verrà presa in esame come forma di espressione inerente ad una specifica società, considerata nella sua dimensione storica - ovvero nel periodo della restaurazione democratica successiva ai due colpi di stato oligarchici - e significativa di una forma di pensiero.

Ci si propone, dunque, di comprendere l’ideologia sottesa alla costruzione dell’accusa, attraverso un doppio binario: da un lato l’analisi microcontestuale dell’orazione e delle sue argomentazioni; dall’altro, l’approfondimento delle questioni macrocontestuali che stanno alla base dei temi dell’opera. In entrambi i casi, ci si avvarrà di un approccio filologico ai testi che sostanziano il ragionamento condotto.

La trattazione è articolata in quattro capitoli: il primo volto a una presentazione dell’orazione e delle sue componenti, i restanti tre consacrati all’approfondimento dei temi e problemi che costituiscono la struttura portante dell’accusa. Essa, infatti, affonda le sue radici nello specifico contesto di civiltà, affrontando aspetti nevralgici dell’assetto politico della democrazia ateniese di V/IV secolo.

Il primo capitolo, dunque, introdurrà allo studio dell’orazione Contro Nicomaco, delle sue caratteristiche e dei suoi nodi problematici: si prenderanno in esame il tipo di procedura legale, il profilo dell’accusato e dell’accusatore; ci si chiederà, inoltre, quali siano le accuse formalmente rivolte al convenuto; infine, ci si soffermerà su un problema testuale determinante per l’interpretazione dei trascorsi politici dell’accusatore. In questo capitolo, insomma, si traccerà un profilo generale dell’orazione XXX, così da delinearne i nuclei concettuali.

Nel secondo capitolo, poi, si allargherà lo sguardo sul processo storico riflesso nell’accusa contro Nicomaco, cioè sulla revisione legislativa che la città di Atene mise in atto, in due fasi, nel periodo compreso tra il 410 e il 399 a. C.. Di questa operazione si esaminerà anzitutto la fase preparatoria, con l’ausilio delle testimonianze fornite da Tucidide e dall’Athenaion Politeia;

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2

verranno, poi, prese in considerazione le motivazioni che stanno all’origine di questa iniziativa; inoltre saranno passate in rassegna le evidenze – di tipo epigrafico e letterario – che consentono la ricostruzione dell’opera di revisione: in tale contesto un’attenzione specifica sarà dedicata alle modalità con cui Lisia restituisce l’immagine dell’attività, adattandola alle proprie finalità retoriche.

Il terzo capitolo affronterà, poi, un nodo cruciale per la comprensione dell’“affaire” Contro

Nicomaco: la diffusione e il valore delle competenze scrittorie nel quadro della πόλις.

Nicomaco, infatti, viene incriminato in quanto responsabile di un’impresa di scrittura pubblica: appare, dunque, necessario interrogarsi sull’immagine sociale dello scrivente nell’Atene di fine V secolo. A tal fine, si seguirà un percorso multidisciplinare: anzitutto, verrà definito il quadro teorico del problema, facendo riferimento al dibattito critico sviluppatosi con gli studi di antropologia della scrittura; in secondo luogo, si passerà alla ricostruzione storica, prendendo in esame le prime testimonianze sulle figure specializzate nella scrittura pubblica nel contesto delle πόλεις tardoarcaiche: questa panoramica consentirà di inquadrare in una prospettiva diacronica la situazione dell’Atene di fine V secolo, riflessa nell’orazione lisiana. Il caso di Nicomaco sarà analizzato ricostruendo il sistema di reclutamento degli scrivani nella democrazia ateniese, per capire quali fossero le consuetudini in materia e come si collocasse, rispetto a queste, l’incarico di Nicomaco e la successiva incriminazione.

Infine, il quarto capitolo sarà dedicato al calendario sacrificale della città di Atene: poiché, infatti, nell’invettiva contro Nicomaco Lisia rievoca con grande enfasi la riscrittura del programma dei sacrifici, il nodo problematico costituito dalla fissazione dei riti assume primaria importanza per restituire un’immagine completa dell’operazione di accusa.

In appendice, inoltre, verrà offerta una traduzione italiana dell’orazione: la lettura e l’analisi del testo, infatti, sono state le operazioni di partenza in seguito alle quali ho enucleato gli aspetti rilevanti ai fini di un’interpretazione storico-antropologica.

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Capitolo I

Per un profilo dell’orazione Contro Nicomaco

L’orazione XXX di Lisia, Contro Nicomaco, costituisce un problema da molti punti di vista: non conosciamo la natura del procedimento giudiziario, l’identità dell’accusatore, l’esito del processo; neanche i capi d’accusa sono delineati chiaramente1. Tutti questi elementi di incertezza, però, si accompagnano a una circostanza singolarmente fortunata per il corpus giudiziario lisiano: l’occasione che generò questo processo è, infatti, riflessa anche in testimonianze esterne all’orazione stessa, in primis frammenti epigrafici. Si tratta dell’attività di revisione legislativa posta in essere ad Atene ad opera dei governi democratici appena restaurati nel 410 e nel 403: per entrambi i mandati Nicomaco ricevette l’incarico di τῶν νόμων ἀναγραφεύς. Nonostante Lisia stia conducendo un discorso di accusa e tenda, perciò, a presentare le informazioni in maniera tendenziosa, sull’incarico di Nicomaco il logografo è abbastanza preciso: apprendiamo infatti che doveva ἀναγράψαι τοὺς νόμους τοὺς Σόλωνος, e che doveva farlo in quattro mesi ma impiegò sei anni (§2); questo era il primo mandato, che si protrasse dal 410 al 404/403, interrompendosi all’arrivo dei Trenta. Per quanto riguarda, poi, il secondo mandato, Lisia dice che durò quattro anni, nonostante potesse essere evaso in trenta giorni: il riferimento è, dunque, all’arco temporale 403/402-400/399; stando alla ricostruzione lisiana, il compito in quel caso era ben delimitato: διωρισμένον ἐξ ὧν ἔδει ἀναγράφειν (§ 4). Il processo per il quale fu composta l’orazione XXX deve aver avuto luogo nel 399/98, a conclusione del mandato.

Date le coordinate fondamentali, però, si apre subito una serie di interrogativi strettamente legati all’attività svolta da Nicomaco2:

- i tempi previsti, ma ampiamente superati, erano sanciti nell’incarico ufficiale o esprimevano un’aspettativa rivelatasi poi semplicemente insostenibile?

- Quali erano i compiti di un ἀναγραφεύς?

- Cosa s’intendeva con la locuzione “leggi di Solone”?

Le ipotesi di risposta a queste domande saranno vagliate quando si analizzerà la natura della revisione legislativa del periodo 410-3993.

1 Per le domande fondamentali sollevate da questa - come da ogni altra - orazione greca, cfr. Todd 1996,

§1: “Preliminaries” (p. 101 e ss.). Per il problema specifico delle accuse cfr. Todd 1996, §2: “The fundamental problem: the prosecutor’s case” (p. 108 e ss.).

2 Sui compiti degli ἀναγραφεῖς e le leggi di Solone interessate dalla codificazione vd. Clinton 1982. Sul

problema della cronologia vd. Dow 1960.

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Ora, invece, sarà opportuno fornire una visione d’insieme dei problemi posti dall’orazione: analizzeremo, dunque, il tipo di procedura legale, il profilo di Nicomaco e dell’accusatore, quali fossero le accuse. Ci soffermeremo, infine, su una questione filologica che emerge ai §§ 7-8, dalla cui soluzione dipende la definizione delle appartenenze politiche del cliente di Lisia.

1.1 Quale procedura legale (εὔθυναι, γραφή, εἰσαγγελία)?

Il titolo riportato dai manoscritti4 è Κατὰ Νικομάχου γραμματέως εὐθυνῶν κατηγορία, “accusa di rendiconto contro il segretario Nicomaco”. Tale dicitura, però, non è attendibile: dal testo dell’orazione possiamo arguire innanzitutto che Nicomaco non era un γραμματεύς, bensì un ἀναγραφεύς (o perlomeno era a quest’ultimo incarico che faceva riferimento l’incriminazione), ma in modo particolare sembra di poter escludere che si trattasse di una procedura di εὔθυναι, ovvero di un rendiconto a conclusione della propria funzione pubblica5. L’accusatore, infatti, lamenta a più riprese il fatto che Nicomaco vi si sia sempre sottratto (§§ 3-4): se questo processo si fosse svolto nell’ambito di un rendiconto, una linea argomentativa di questo tipo sarebbe stata difficilmente sostenibile.

Una certa confusione può essere generata anche da quanto si legge al § 3:

ἐπιβαλλόντων δὲ τῶν ἀρχόντων ἐπιβολὰς καὶ εἰσαγόντων εἰς τὸ δικαστήριον οὐκ ἠθέλησε παραδοῦναι τοὺς νόμους.

Le due proposizioni subordinate al genitivo assoluto sono state generalmente intese come “nonostante i magistrati gli infliggessero multe e lo conducessero in tribunale”: si è interpretato, dunque, che Nicomaco stesso fosse l’obiettivo dell’azione legale, come mostra l’inserimento dei pronomi personali nella gran parte delle traduzioni moderne6. Egli, quindi, sarebbe stato multato e citato in giudizio dai magistrati7 e nondimeno si sarebbe rifiutato di consegnare i testi di legge su cui stava lavorando.

4 Todd (1996: 104) dice “the title in our manuscript speaks of euthynai (…)”, ma la tradizione di Lisia non

si basa su un codex unicus; le edizioni critiche di Gernet-Bizos (1955: 163) e Carey (2007: 267), comunque, non segnalano varianti del titolo: l’unica notazione in proposito nei loro apparati riguarda il fatto che l’editore teubneriano Thalheim aveva espunto γραμματέως εὐθυνῶν κατηγορία.

5 Vd. Edwards (1999: 155): “The MS. title of the speech is Κατὰ Νικομάχου γραμματέως εὐθυνῶν

κατηγορία, but this does not inspire confidence. Even apart from the problem that such titles are probably later additions and regularly seem to be inferred from the content of the speeches themselves, it is made clear in this speech that Nicomachus was neither a grammateus (but an anagrapheus) nor undergoing his

euthynai (examination of his conduct after demitting office).” Per il funzionamento delle procedure di

εὔθυναι e, in generale, per le modalità di rendiconto e verifica delle responsabilità tra i pubblici ufficiali ad Atene, cfr. Tolbert Roberts 1982.

6 Così nella traduzione di Lamb 1930, Gernet e Bizos 1955, Albini 1955, Medda 1995.

7 Gli ἄρχοντες qui sono con ogni probabilità i νομοθέται, revisori superiori nel processo legislativo (vd.

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5

Edwards8, però, ha fatto notare che il costrutto in genitivo assoluto non sottintende necessariamente il riferimento a Nicomaco. Se così fosse stato, infatti, l’accusatore non avrebbe perso l’occasione di sottolineare in modo più esplicito il fatto che il suo accusato era stato chiamato a giudizio ed era stato renitente.

Anche Carawan esprime perplessità verso l’interpretazione più diffusa: nel contesto, a suo avviso, l’idea più verosimile è che Nicomaco si sia rifiutato di consegnare i testi di legge da lui trascritti, sulla base dei quali – però – i magistrati già comminavano multe (ἐπιβαλλόντων δὲ τῶν ἀρχόντων ἐπιβολὰς) o addirittura conducevano in tribunale (εἰσαγόντων εἰς τὸ δικαστήριον)9 i cittadini. Il destinatario implicito delle azioni legali descritte dai due verbi al genitivo assoluto dunque non sarebbe Nicomaco, bensì i cittadini che dovevano essere perseguiti ai sensi dei testi di legge prodotti dallo stesso Nicomaco durante il suo incarico.

Effettivamente risulta poco credibile l’ipotesi che Lisia stia invece alludendo, senza soffermarvisi, ad un’ammenda e un processo a carico dello stesso ἀναγραφεύς, tanto più che costui si sarebbe rifiutato davanti a un giudice di consegnare le leggi: un evento di tale gravità avrebbe avuto ben altra eco nel contesto di un’orazione di accusa. Si preferirà allora tradurre: “sebbene gli arconti

infliggessero multe e conducessero in tribunale [sc. alcuni cittadini], egli non volle consegnare le leggi10”, anche perché subito prima (sempre § 3) l’accusatore ha detto chiaramente che le parti in causa nei processi erano solite produrre in tribunale leggi fornite da Nicomaco.

Questa riconsiderazione rispetto alla traduzione comune depone contro l’ipotesi che l’imputato avesse già affrontato procedimenti giudiziari in precedenza.

Il processo in questione, dunque, non è un rendiconto, e non è neppure possibile fare deduzioni su passati procedimenti a carico del convenuto; in quest’ottica, anche la teoria di Robertson11 - cioè che le accuse del cliente di Lisia contro Nicomaco siano sorte proprio in conseguenza di un iter di rendiconto - dovrà essere accantonata. Infatti è convincente l’argomento di Edwards12,

la cifra era superiore, potevano citare in tribunale (cfr. Gernet-Bizos 1955: 164, n. 1; Albini 1955: 444, n. 3).

8 Edwards 1999: 164.

9 Carawan 2010: 82; Robertson (1990: 54 n. 36) intende “’And when the archons were imposing fines and

bringing cases into court, he was still recluctant to hand over the laws’. I. e., the judicial duties of the archons were impeded by Nicomachus…”, mentre Todd (1996: 109 n. 16) precisa che in questione qui è semplicemente il fatto che la sua lentezza nel procedere provocava ritardo nelle procedure giudiziarie. Robertson e Todd, dunque, danno una lettura diversa da quella di Carawan, ma accomunata ad essa dal rifiuto per l’interpretazione corrente; a proposito della quale Todd osserva: “The way in which this passage has traditionally been read demonstrates Lysias' success in making it sound a very serious matter”, cioè la formulazione ambigua del genitivo assoluto ha avuto una certa efficacia retorica.

10 Cioè il testo delle leggi sulla base delle quali venivano prodotte le incriminazioni. 11 Robertson 1990: 71-72.

12 Edwards 2007: 156, “we would have expected a rather more explicit charge that Nicomachus’ accounts

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che rientra nella logica seguita fin qui: se davvero delle εὔθυναι avessero avuto luogo e avessero generato la presente incriminazione, Lisia non avrebbe mancato di porre l’accento sul loro cattivo esito; peraltro un passo del § 5 risulta abbastanza esplicito sulla questione:

§ 5 (…) μόνῳ σοὶ τῶν πολιτῶν ἐξεῖναι νομίζεις ἄρχειν πολὺν χρόνον, καὶ μήτε εὐθύνας διδόναι μήτε τοῖς ψηφίσμασι πείθεσθαι μήτε τῶν νόμων φροντίζειν (…).

§ 5 (..) a te solo tra i cittadini credi sia permesso restare in carica per lungo tempo, e non presentare rendiconti né obbedire ai decreti né preoccuparsi delle leggi (…)13.

Come fa notare Todd, Nicomaco avrebbe potuto facilmente controbattere a quest’insinuazione se la procedura in corso fosse stata legata proprio al rendiconto14.

Carawan, del resto, richiama l’attenzione sulla possibilità che Nicomaco fosse semplicemente esente dal rendiconto, in quanto la sua funzione non sarebbe stata assimilabile a una magistratura giudiziaria o amministrativa: si sarebbe trattato piuttosto di un incarico ben delimitato alle dipendenze della πόλις, soggetto per di più a verifiche continue, se si pensa che le bozze di leggi da lui revisionate dovevano con ogni probabilità essere approvate dalla βουλή prima della pubblicazione. Nonostante ciò, il principio ateniese della responsabilità dei funzionari pubblici avrebbe offerto gioco facile all’accusatore per gettare fango su Nicomaco sottolineando l’eccezionalità della sua situazione15.

Si consideri, d’altra parte, l’ambiguità del discorso sul rendiconto alla fine del primo mandato (§§ 3-4), sicuramente intenzionale in quanto vantaggiosa dal punto di vista processuale. Lisia, infatti, fa dire al suo cliente:

(3) … πρότερον ἡ πόλις εἰς τὰς μεγίστας συμφορὰς κατέστη, πρὶν τοῦτον ἀπαλλαγῆναι τῆς ἀρχῆς καὶ τῶν πεπραγμένων εὐθύνας ὑποσχεῖν. (4) καὶ γάρ τοι, ὦ ἄνδρες δικασταί, ἐπειδὴ ἐκείνων δίκην οὐ δέδωκεν, ὁμοίαν καὶ νῦν τὴν ἀρχὴν κατεστήσατο (…)

(3) … La città si trovò nelle più grandi disgrazie, prima che costui lasciasse l’incarico e si

sottoponesse a verifica del proprio operato. (4) E per l’appunto, o giudici, visto che per quelle malefatte non ha pagato il fio, anche adesso ha organizzato il suo incarico in modo analogo (…) La formulazione induce a dubitare se Nicomaco avesse lasciato l’incarico sottoponendosi a regolare procedura di rendiconto - non prima, però, che la città avesse sperimentato il disastro

13 Le traduzioni, salvo dove diversamente indicato, sono di chi scrive.

14 Cfr. Todd (1996: 104): “This argument would be considerably weakened if Nikomachos could stand up

and reply, ‘but you now have my accounts in front of you’”.

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(sconfitta di Egospotami del 405)16 - oppure se, piuttosto, Lisia non stia insinuando che Nicomaco, rimasto in carica fino alla disfatta della πόλις, grazie alla situazione avesse potuto sottrarsi a qualsivoglia rendiconto del proprio operato17.

Va notato che tutta la linea argomentativa lisiana in proposito è volta a sostenere che Nicomaco non ha pagato per le sue malefatte del primo mandato (§ 4, ἐκείνων δίκην οὐ δέδωκεν) e che lui solo, tra i cittadini, ha ritenuto possibile ἄρχειν πολὺν χρόνον, senza rendere conto del suo lavoro (εὐθύνας διδόναι, § 5); in conclusione, dunque, è ragionevole affermare che lo scopo di Lisia era suggerire che l’imputato non avesse mai ottemperato ai doveri di trasparenza: perciò, la formulazione ambigua del § 3 sulla fine del primo mandato mirava a far passare questo messaggio, anche qualora un rendiconto in quella circostanza fosse stato condotto.

Ai fini della presente trattazione, peraltro, non è importante accertare – cosa, del resto, impossibile - se alla fine del primo mandato realmente Nicomaco avesse presentato rendiconto; importa, invece, constatare in che direzione va l’argomentazione di Lisia e poter, dunque, escludere che la procedura in questione sia catalogabile tra le εὔθυναι.

Un altro tipo di procedura preso in considerazione dalla critica per il processo contro Nicomaco è la γραφὴ ἀλογίου, ovvero il procedimento attraverso il quale si perseguiva chi non avesse reso le εὔθυναι; tale possibilità, tuttavia, è stata esclusa da Todd18 in quanto raramente attestata, da Robertson19, il quale ritiene che Nicomaco avesse adempiuto al rendiconto, e da Edwards20 con l’argomento più persuasivo: una γραφὴ ἀλογίου dovrebbe occuparsi dei rendiconti dell’accusato, mentre qui non sono in ballo gli accertamenti finanziari21.

Il tipo di azione legale più accreditato per il processo dell’orazione Contro Nicomaco è, invece, l’εἰσαγγελία22: un procedimento pubblico col quale la democrazia ateniese realizzava uno stretto controllo sulle modalità di esercizio del potere, in un sistema peraltro già scandito dalla verifica continua delle cariche pubbliche (all’inizio dell’incarico con la δοκιμασία, alla fine con le εὔθυναι e in itinere con la conferma della fiducia tramite ἐπιχειροτονία). Un importante indizio

16 Su questa interpretazione si attestano Todd (1996: 109), Clinton (1982: 28) e Volonaki (2001: inserire pagina).

17 Cfr. Robertson (1990: 65): “the work was not complete when Athens succumbed in 404; for Nicomachus

did not render an account at this time (Lys. XXX, Nicom. 3-5)”. Dello stesso parere Rhodes (1991: 89, con n. 12); vd. anche Edwards (1999: 164-65): a suo parere la frase πρὶν… ὑποσχεῖν “implies that he had not submitted to his euthynai, not that he had”. Anche Carawan (2010: 81) dà la stessa interpretazione.

18 Todd 1996: 104. 19 Robertson 1990: 71. 20 Edwards 1999: 156

21 Si vedrà infra (p. 13) che ci sono delle rimostranze sulle spese per i riti, ma esse sono una conseguenza

dei sacrifici trascritti da Nicomaco e non pertengono a una sua gestione diretta dei conti.

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che fa propendere per tale opzione in relazione alla Contro Nicomaco si rintraccia al § 7 dell’orazione: qui Lisia fa riferimento a un’udienza preliminare ἐν τῇ βουλῇ, modalità che veniva seguita appunto per le εἰσαγγελίαι al Consiglio23; inoltre, questa procedura era la più comoda per incriminazioni deboli come appare quella in questione, visto che – differentemente dalle γραφαί - non era soggetta, almeno in questo periodo, alla regola secondo cui l’accusatore doveva pagare una multa qualora non raggiungesse un quinto dei voti dalla giuria24.

1.2 Chi era Nicomaco?

Nicomaco è la figura centrale per la nostra ricostruzione. È lui, infatti, l’uomo posto sotto accusa dall’anonimo accusatore, in quanto ἀναγραφεύς al quale viene contestata in generale la gestione della revisione legislativa, ed in particolare la riorganizzazione del calendario sacrificale: “in particolare” sia per la rilevanza accordata a questo tema nel testo dell’orazione25 sia per l’interesse specifico che il tema dei sacrifici riveste nel complesso di questo lavoro. Per avere elementi utili all’inquadramento di questa figura, le fonti a disposizione sono essenzialmente il testo stesso della Contro Nicomaco, la cui finalità – s’intende – fa sì che la presentazione dei fatti sia quanto meno parziale, e un isolato accenno al nome di Nicomaco al v. 1506 delle Rane di Aristofane.

Nei capitoli successivi amplieremo la panoramica per occuparci della revisione legislativa e dell’organizzazione del calendario sacrificale, una questione vasta che certamente trascende la sola figura di Nicomaco, ma egli rimane il punto di partenza per l’analisi, dal momento che la sua incriminazione – e la traccia che di essa ci è giunta con il discorso lisiano – richiamano la nostra attenzione su quest’impegnativa impresa di fine V secolo ed offrono lo spunto per interrogarsi a tal proposito. È dunque opportuno passare sistematicamente in rassegna i dati in nostro possesso a proposito di Nicomaco.

23 Hansen 1975 cat. n. 140. Le εἰσαγγελίαι più strettamente politiche (dei tre tipi individuati da

Arpocrazione, cfr. Hansen 1975: 21) potevano realizzarsi in due varianti: quelle presentate all’ἐκκλησία e quelle alla βουλή. Nella seconda variante l’accusa veniva presentata presso il Consiglio, che dopo aver convocato le parti ed esaminato il caso pronunciava un verdetto preliminare di colpevolezza o non colpevolezza; in caso di colpevolezza, con una seconda votazione si decideva se infliggere una multa o presentare il caso davanti ai giurati per un nuovo dibattimento, l’esito del quale poteva rovesciare il precedente verdetto (cfr. Hansen 1998: pp. 29-30). L’orazione di Lisia sarebbe dunque quella pronunciata in occasione del processo davanti ai giurati. Anche Tolbert Roberts (1982: 22) include il caso di Nicomaco tra le εἰσαγγελίαι al Consiglio a carico di pubblici funzionari.

24 Edwards 1999: p. 156.

25 In senso stretto se ne parla dal § 17 al § 22, ma fino al § 25 prosegue la riflessione sulla criticità del

momento storico e sulle conseguenze, in tale contesto, dell’operato di Nicomaco, anche - se non esclusivamente - per quanto concerne i sacrifici da lui trascritti.

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Dall’orazione emergono alcuni elementi sull’identità del convenuto che sono significativi anche per cercare di ricostruire il senso globale dell’operazione di accusa; questi possono essere rintracciati percorrendo ordinatamente il testo.

Fin dal § 2 Lisia ha cura di sottolineare le origini oscure dell’imputato: il padre era δημόσιος, cioè uno schiavo pubblico; inoltre – in base a quanto viene suggerito con una forma retorica di preterizione che è di fatto una malevola insinuazione – Nicomaco sarebbe entrato a far parte del corpo politico in un’età più avanzata del normale (perché prima il padre, non cittadino, non poteva presentarlo alla fratria): insomma, la sua cittadinanza sarebbe frutto di una procedura irregolare, in quanto i figli degli schiavi liberati potevano essere considerati cittadini solo se nati dopo l’affrancamento dei genitori, e previa regolare presentazione alla fratria. Tale presentazione avveniva durante la festa delle Apaturie, celebrata nel mese autunnale di Pianepsione: l’evento principale di questa festa era proprio l’introduzione di nuovi membri nel gruppo della fratria, attraverso un sacrificio e un giuramento; generalmente i nuovi nati vi venivano introdotti nei primi anni di vita: perciò dire “a quanti anni fu condotto presso la fratria, sarebbe un lungo compito spiegarlo” è un modo retoricamente elaborato e insinuante per mettere in discussione il suo stesso diritto di cittadinanza, una tecnica spesso usata per screditare l’avversario in tribunale26.

Un altro episodio della biografia di Nicomaco, che Lisia si premura di mettere in luce, è il suo coinvolgimento nel processo contro Cleofonte (§§ 9-15). Si trattò di un processo congegnato ad arte per rendere certa la condanna a morte del leader democratico radicale Cleofonte, in un momento in cui Atene stava per cedere definitivamente alle forze spartane in seguito alla rotta della flotta presso Egospotami (405) e all’assedio della città; una situazione tale da determinare un rovesciamento negli equilibri politici interni: col decreto di Patroclide tornavano in campo gli oligarchici del 411, acerrimi nemici della democrazia radicale e pronti a creare le condizioni per un cambiamento di regime. Se il decreto di Patroclide abbia preceduto o seguito la condanna sommaria di Cleofonte è cosa incerta, e del resto irrilevante ai fini della nostra ricostruzione; l’elemento interessante, infatti, è che Nicomaco fornì l’appiglio legislativo ai nemici di Cleofonte, affinché la βουλή – dominata dai filo-oligarchici - potesse partecipare al giudizio.

26 Cfr. e.g. Lys. XIII (Contro Agorato), § 64: δεῖ γὰρ ὑμᾶς εἰδέναι ὅτι δοῦλος καὶ ἐκ δούλων ἐστίν, dovete

sapere che è uno schiavo figlio di schiavi; § 73: οὕτω μέντοι οὗτος πολὺ ὑμῶν κατεφρόνει, ὥστε οὐκ ὢν Ἀθηναῖος καὶ ἐδίκαζε καὶ ἐξεκλησίαζε καὶ γραφὰς τὰς ἐξ ἀνθρώπων ἐγράφετο, ἐπιγραφόμενος Ἀναγυράσιος εἶναι. Quest’uomo tuttavia nutriva un tale disprezzo per voi che, pur non essendo Ateniese,

sedeva come giudice, partecipava alle assemblee e presentava tutte le accuse del mondo, qualificandosi come appartenente al demo di Anagiro. (trad. E. Medda). Come, dunque, nell’or. XXX il riferimento alla

fratria serve per mettere in questione la legittimità della cittadinanza, anche qui Lisia cita alcune attività tipiche del cittadino (giudice, membro dell’assemblea, accusatore, membro di un demo) per sottolineare che il convenuto le ha usurpate.

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10 Si legge al § 11:

οἱ δὲ βουλόμενοι αὐτὸν ἀπολέσαι, δεδιότες μὴ οὐκ ἀποκτείνωσιν ἐν τῷ δικαστηρίῳ, πείθουσι Νικόμαχον νόμον ἀποδεῖξαι ὡς χρὴ καὶ τὴν βουλὴν συνδικάζειν. καὶ ὁ πάντων οὗτος πονηρότατος οὕτως φανερῶς συνεστασίασεν, ὥστε τῇ ἡμέρᾳ ᾗ ἡ κρίσις ἐγένετο ἀποδεῖξαι τὸν νόμον.

Ma quelli che volevano distruggerlo (sc. Cleofonte), poiché temevano che in tribunale non lo condannassero a morte, convincono Nicomaco a produrre una legge in base alla quale fosse necessario che anche la βουλή partecipasse al giudizio. E costui (sc. Nicomaco), il peggiore di tutti, in maniera così manifesta fu complice del complotto, da produrre la legge proprio nel giorno in cui si tenne il processo.

Per tale coinvolgimento Canfora definisce Nicomaco “un oligarca di lungo corso (…) che nell’attacco contro Cleofonte svolse un ruolo importante”27, “uno dei Quattrocento”28, ma non è chiaro a quali fonti lo studioso faccia riferimento per delle etichette così nette, che appaiono quanto meno azzardate sulla base dei dati a nostra disposizione, ed anzi alquanto improbabili. In ogni caso la collocazione “politica” del personaggio appare tutt’altro che aproblematica; infatti Lisia afferma che, al momento in cui è pronunciata l’orazione (399), Nicomaco si proclama democratico: questo concetto viene espresso al § 9 con una formulazione retorica al plurale generico - οἵτινες τότε συγκαταλύσαντες τὸν δῆμον νυνὶ δημοτικοί φασιν εἶναι – e poi ripetuto, questa volta con Nicomaco come referente esplicito, al § 15: ᾐσθανόμην αὐτὸν ὡς δημοτικὸν ὄντα πειρασόμενον παρὰ τὸ δίκαιον σῴζεσθαι. In tal modo questa notazione crea una sorta di

Ringkomposition che incornicia la notizia sul coinvolgimento nel processo a Cleofonte.

La questione della collocazione politica di Nicomaco non viene dunque stabilita una volta per tutte dalla notizia sul processo a Cleofonte, anche perché si può supporre che in quel periodo di grande instabilità le zone grigie fossero abbastanza comuni; del resto il quadro si complica quando si prenda in considerazione il passo delle Rane (vv. 1504-13) dove compare il nome di Nicomaco, identificabile con ogni probabilità col nostro ἀναγραφεύς29. Ecco i versi:

καὶ δὸς τουτὶ Κλεοφῶντι φέρων καὶ τουτουσὶ τοῖσι πορισταῖς, (1505) Μύρμηκί θ’ ὁμοῦ καὶ Νικομάχῳ τόδε δ’ Ἀρχενόμῳ· καὶ φράζ’ αὐτοῖς ταχέως ἥκειν ὡς ἐμὲ δευρὶ καὶ μὴ μέλλειν· κἂν μὴ ταχέως 27 Canfora 2017: 306.

28 Canfora 2017: 312; a pag. 299 inoltre Canfora definisce Nicomaco “uomo del 411”. 29 Per l’identificazione, cfr. Stanford 1958: 199 e Del Corno 1985: 247 (commenti ad locum).

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11 ἥκωσιν, ἐγὼ νὴ τὸν Ἀπόλλω (1510)

στίξας αὐτοὺς καὶ συμποδίσας μετ’ Ἀδειμάντου τοῦ Λευκολόφου κατὰ γῆς ταχέως ἀποπέμψω.

E questa portala a Cleofonte, questa agli agenti delle tasse, e così pure a Mirmece e a Nicomaco, e questa ad Archenomo: e di’ che vengano subito qui da me, senza farla lunga. E se non vengono subito, io, per Apollo,

li marchio e li metto in ceppi con Adimanto di Leucolofo e li spedisco subito sotterra.30

È il finale della commedia: Plutone sta congedando Eschilo affinché torni tra i vivi, e gli affida dei doni simbolici da consegnare ad alcuni cittadini ateniesi perché scendano nell’Ade; in caso di rifiuto, li costringerà egli stesso. Il primo della lista è proprio Cleofonte, della cui sorte abbiamo appena parlato: su di lui Aristofane infieriva anche ai vv. 679-85, nella parabasi31; Mirmice e Archenomo sono personaggi altrimenti a noi ignoti, mentre i πορισταί erano funzionari addetti all’esazione di tasse straordinarie. Di Nicomaco Aristofane dice solo il nome, ma il contesto e l’elenco in cui questo nome figura danno pur sempre qualche indicazione: intanto bisogna assumere che si trattasse di una persona facilmente riconoscibile dal pubblico; inoltre, gli altri componenti noti di questa lista e il destino comicamente augurato a tutti costoro mostrano l’avversione di Aristofane, che accomuna Nicomaco a figure screditate della democrazia ateniese. È appunto in tal senso che nel passo aristofaneo il quadro si complica: la distorsione comica accosta Nicomaco e Cleofonte, che dopo poco tempo32 si troveranno su fronti opposti, visto che Nicomaco offrirà l’appiglio giuridico per blindare la condanna di Cleofonte. Ciò dovrebbe richiamare alla cautela rispetto alla possibilità di definire Nicomaco un oligarchico o uno dei Quattrocento sic et simpliciter33. Del resto, l’interrogativo sulla fisionomia politica di Nicomaco porta con sé l’interrogativo corrispondente a proposito del suo accusatore, visto che al § 7 dell’orazione l’accusatore si difende dall’insinuazione di Nicomaco che lo vorrebbe a sua

30 Trad. Del Corno (1985).

31 Proprio da quel passo prende il titolo il lavoro di Luciano Canfora sopra citato: Cleofonte deve morire. 32 Le Rane furono rappresentate all’agone lenaico del 405, mentre il processo a Cleofonte si colloca circa

un anno dopo, in un momento successivo alla disfatta di Egospotami.

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volta membro dei Quattrocento se seguiamo la correzione del testo comunemente accolta, o addirittura dei Trecento agli ordini dei Trenta se conserviamo il testo tràdito34.

Al § 15, poi, compare un ulteriore elemento per un profilo biografico di Nicomaco: egli – dice l’accusatore – adduce il proprio esilio come prova del suo attaccamento alla democrazia; un argomento da respingere – soggiunge – visto che avevano subito la stessa sorte anche altri soggetti implicati nei complotti antidemocratici. Emerge, dunque, che Nicomaco andò in esilio durante il regime dei Trenta; da questa informazione, però, non possiamo fare deduzioni significative, visto che Lisia stesso ricorda che la stessa sorte toccò anche a uomini che pure avevano partecipato all’abbattimento della democrazia. Certamente, però, questo dato testimonia l’avversione per Nicomaco che il regime dei Trenta sviluppò, anche se forse non da subito - se dobbiamo dare credito a Lisia circa la sua benemerenza nei confronti dei sovversivi durante il complotto contro Cleofonte.

Dopo questo riferimento all’esilio del convenuto, Lisia passa ad occuparsi della questione “religiosa” (a partire dal § 17). Dal testo, dunque, si apprende il tipo di sacrifici trascritti da Nicomaco35: l’ἀναγραφεύς non si limitò alle πάτριοι θυσίαι, cioè i sacrifici tradizionali, ma aggiunse altri riti πλείω τῶν προσταχθέντων (§ 19), in numero superiore a quelli prestabiliti. Sulla base di questa seppur scarna indicazione, esaminata unitamente alle evidenze epigrafiche36, Dow ha suggerito l’ipotesi che Nicomaco avesse disposto un sistema di sacrifici tendenzialmente “democratico”, in quanto teso a promuovere la celebrazione di festività aperte a tutta la popolazione, anche a detrimento dei tradizionali sacrifici di competenza dei γένη, che avevano un numero di partecipanti più ristretto37. Un problema sostanziale, però, è posto dal fatto che l’interpretazione dei frammenti di calendario sacrificale a noi giunti non è per niente certa: se Dow, infatti, presupponeva che si trattasse di resti del calendario curato da Nicomaco, successivamente Robertson38 ha invece sostenuto che il calendario che noi leggiamo, inciso in

34 Per la trattazione estesa di questo problema cfr. infra, par. 1.5.

35 Della questione del calendario sacrificale si tratterà nello specifico infra (cap. IV).

36 Per la discussione relativa ai resti epigrafici del “codice di Nicomaco” (ammesso – e non concesso – che

si possa definire così), cfr. infra (cap. 2, par. 2.4.1.).

37 Dow (1960: 291), integrando le informazioni ricavate dalla Contro Nicomaco con la lettura dei frammenti

di calendario sacrificale, propone questa ricostruzione: “Nikomakhos caused six talents of new sacrifices to be provided. He inserted most of them where they would do most (democratic) good: as now appears, in the Annual Calendar. It is reasonable to conjecture that they were sacrifices in festivals acceptable to the masses of citizens living in Athens and Peiraieus. A complementary inference may be drawn about the omitted sacrifices. What we have now learned is that the three talents' worth of sacrifices which were "old" were omitted from the First Trieteric Series. Nikomakhos cut them out of a Trieteric list because from that they would be less missed than from any Annual list. He cut them out of festivals accessible to, and usually attended by, the gennetai. The democrats lost no meat.”

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caratteri ionici sopra a una cancellatura, rifletta il programma auspicato dal cliente di Lisia, e quindi la sconfessione del lavoro di Nicomaco39.

È evidente che il quadro cambia a seconda dell’interpretazione dell’epigrafe; basandoci per il momento solo su quanto dice l’accusatore, possiamo tuttavia ragionevolmente salvare la teoria di Dow sul tipo di sacrifici “privilegiati” da Nicomaco, anche accantonando per il momento il problema costituito dai frammenti del calendario.

Si consideri, a tal proposito, questa frase presente nel § 20 dell’orazione:

αὐτίκα πέρυσιν ἱερὰ ἄθυτα τριῶν ταλάντων γεγένηται τῶν ἐν ταῖς κύρβεσι γεγραμμένων,

l’anno scorso sono rimasti inevasi sacrifici per tre talenti, di quelli scritti nelle κύρβεις.

I sacrifici rimasti irrealizzati sono quelli delle κύρβεις, dunque quelli già consolidati nella tradizione. Inoltre al § 21 si rintraccia questa interessante informazione:

ὃς ἐν δυοῖν μὲν ἐτοῖν πλείω ἤδη τοῦ δέοντος δώδεκα ταλάντοις ἀνήλωσε, παρ’ ἕκαστον δὲ τὸν ἐνιαυτὸν ἐπεχείρησεν ἓξ ταλάντοις τὴν πόλιν ζημιῶσαι,

in due anni ha già speso dodici talenti più del dovuto, per ciascuno degli anni ha tentato di accollare alla città una spesa di sei talenti.

Ciò significa che Nicomaco ha introdotto sacrifici nuovi annuali del valore di sei talenti; mentre sembra di poter arguire che i sacrifici tradizionali incompiuti fossero biennali, visto che al momento dell’accusa sono rimasti incompiuti una sola volta (l’anno precedente).40

La controprova circa il fatto che siano stati i sacrifici “nuovi” ad aver avuto la priorità di spesa si ha nell’enunciazione esplicita del § 19:

ἀναγράψας γὰρ πλείω τῶν προσταχθέντων αἴτιος γεγένησαι τὰ προσιόντα χρήματα εἰς ταῦτα μὲν ἀναλίσκεσθαι, ἐν δὲ ταῖς πατρίοις θυσίαις ἐπιλείπειν, infatti, avendo registrato più sacrifici di

quelli che ti erano stati ordinati, ti sei reso responsabile del fatto che le entrate venissero esaurite per questi e mancassero poi per i sacrifici tradizionali.

In definitiva, sulla base di questi dati risulta alquanto convincente la teoria di Dow: i sacrifici πάτριοι, che costituivano sopravvivenze di stadi di organizzazione politica precedente, infatti, dovevano essere quelli risalenti ad epoche in cui l’organizzazione della vita politica e religiosa era nelle mani dei γένη, mentre i riti introdotti in tempi più recenti avranno tendenzialmente inteso rispecchiare la nuova ideologia democratica che Atene aveva sviluppato nel corso del V secolo. È opportuno puntualizzare che, sulla gestione dei sacrifici ad opera della città e/o dei

39 La questione della cancellatura sarà affrontata infra, cap. IV, par. 4.3.

40Ciò confermerebbe l’intuizione di Dow sul fatto che i sacrifici omessi fossero biennali, e per questo la

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gruppi al suo interno, le questioni sono spesso difficili da dipanare, sia per la complessità del sistema di sacrifici sia per i limiti nelle evidenze a noi disponibili: una discussione approfondita del problema meriterebbe ben altro spazio e del resto travalicherebbe i nostri scopi, visto che qui è in gioco una questione molto più delimitata, quale la definizione dell’identità di Nicomaco. Tale definizione, nondimeno, passa anche per l’interpretazione del tipo di sacrifici che l’ἀναγραφεύς intendeva promuovere con il suo calendario. A tal proposito, per procedere nel ragionamento occorre innanzitutto chiedersi: uno schema bipolare e diacronico (sacrifici di impronta “democratica” più recenti / sacrifici prevalentemente gentilizi antichi), come quello ipotizzato da Dow, è sostenibile per la religione ateniese? Effettivamente gli studi in materia mostrano un sistema complesso dove convivevano modalità differenti di organizzazione delle feste e dei sacrifici: alcuni universali e realizzati veramente dalla πόλις come insieme, altri locali o condotti dai γένη, ma comunque “per conto” dell’intera comunità politica41. Inoltre, data l’inscindibilità del nesso tra religione e vita politica nella Grecia antica, è naturale che vi fosse un rapporto di influenza reciproca tra i riti e l’organizzazione socio-politica della comunità, e dunque talora una dinamica di mutamento e una tensione tra conservazione e innovazione42. Alla fine di queste brevi ma doverose precisazioni di carattere generale, si può affermare che lo schema bipartito, applicato nel caso particolare dei sacrifici interessati dalla revisione di Nicomaco, è quanto meno ammissibile. L’assunto che i sacrifici nuovi “di Nicomaco” implicassero una maggiore partecipazione del δῆμος, infatti, non è dimostrato in modo esplicito

41 Parker (2005: 62) osserva: “Hybrid forms (festivals organized by one body, but part financed by another)

doubtless abounded; gene too could be involved. A sharp line of division between city and demes cannot be drawn.” Ibidem, alla nota 39, Parker ricorda anche, tra gli esempi di sacrifici locali pagati però dalla città, il caso di “Oinoe, in the calendar of Nicomachus”. Vd. Survinou-Inwood 2011 per il grado variabile di coinvolgimento dei γένη nelle feste ateniesi (“There is a spectrum of density of genē involvement, at one end of which are festivals with a very strong gentilicial participation, such as the Eleusinian Mysteries, and at the other, the pole of minimal gentilicial participation, are festivals such as the Panathenaia”, p. 351). Sui sacrifici “per conto di altri” vd. Naiden (2013: 185-6): “(…) Yet the evidence for these sacrifices does not justify the conclusion that they were always, or almost always, general gatherings. Rather, the evidence shows that they were often acts performed by priests and other representatives. These sacrifices took place huper tinos, ‘on behalf of’ and ‘for the benefit of’ others. The meaning ‘on behalf of others’ refers to the absence of worshippers, or most of them”.

42 Sourvinou-Inwood (2000a: 21) parla di una tensione tra conservatorismo e innovazione religiosa che

emerge ed è sfruttata nella Contro Nicomaco, ed osserva (p. 22) che sulla desiderabilità dei nuovi sacrifici quest’orazione è ambivalente, per ragioni retoriche. Jameson 2014 dedica un paragrafo (p. 242 e ss.) all’accresciuta partecipazione ai riti nell’Atene democratica, occupandosi anche nello specifico della questione della distribuzione delle carni sacrificali (elemento centrale nella ricostruzione di Dow sui nuovi sacrifici “democratici” trascritti da Nicomaco, quindi particolarmente interessante per la nostra analisi). Nello specifico si noti quest’osservazione (pp. 245-6): “On the scale that the Athenians sacrificed, joint

feasting at the place of sacrifice could become impractical, although it was still regarded as characteristic of the newer, added (epithetoi) sacrifices by Isocrates (7.29)” (grassetto mio).

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dai dati a disposizione, ma è tutto sommato molto verosimile nel contesto specifico e storicamente possibile considerato lo sviluppo della religione ateniese. Anche a prescindere, dunque, dai resti epigrafici, l’opzione di Nicomaco a favore dei sacrifici “nuovi” sembra rappresentare un indizio verso la definizione della sua collocazione politico-ideologica.

Un ulteriore elemento puntualizzato da Dow incoraggia l’ipotesi di un Nicomaco “filo-democratico”: l’ἀναγραφεύς ricoprì entrambi i mandati del suo incarico alle dipendenze di governi restaurati dopo un periodo oligarchico, che quindi, verosimilmente, saranno stati molto attenti alla fedeltà democratica di chi svolgesse un servizio pubblico di responsabilità come quello di ἀναγραφεύς τῶν νόμων 43. Tale circostanza fa presupporre, al di là di ogni ragionevole dubbio, che Nicomaco non potesse essere una figura di nota fede oligarchica o compromessa con gli oligarchici, tanto più che si accingeva ad un compito delicato quale l’intervento sul corpus legislativo della città, benché sicuramente non avesse “carta bianca” nel suo lavoro, al contrario di quanto faccia intendere il suo accusatore per ovvie ragioni di efficacia processuale.

A mio avviso la sua collaborazione nella trama ordita contro Cleofonte non inficia questa visione: tale coinvolgimento, infatti, risulta facilmente spiegabile in un’ottica di convenienza contingente, nel momento in cui Nicomaco ricopriva una funzione subalterna e gli venne richiesta una legge ad hoc da coloro che, in quel momento di crisi, stavano assumendo la massima influenza sulla βουλή. Checché ne dicesse il suo accusatore a posteriori, Nicomaco non aveva certo una statura politica paragonabile alla loro, perciò la sua accondiscendenza poteva essere dettata dal timore, dalla Realpolitik e non implicava affatto un’autentica fede oligarchica. Peraltro, il suo ruolo nell’affaire Cleofonte potrebbe essere stato esagerato ad arte dall’accusatore, approfittando del tempo trascorso: del resto il fatto che andò in esilio, ma soprattutto la circostanza che sia poi stato scelto dalla restaurata democrazia per un secondo mandato mal si concilierebbero con una stretta collaborazione al complotto oligarchico; senza contare che lo stesso Lisia, ripercorrendo il processo a Cleofonte nella Contro Agorato (or. XIII, § 12), non menziona Nicomaco44.

43 Dow 1960: 291 “In both his terms as codifier, Nikomakhos worked under restored democratic

governments. Restored democratic governments are likely to be rabidly democratic.”

44 Per questi rilievi, cfr. Francken 1865: 205 (“Haec in peius sine dubio aucta. (…). Et in oratione κατ'

Ἀγοράτου 12, ubi eadem res narratur, de Nicomacho (…) tacetur. Et quis crediderit tam acrem libertatis inimicum a triginta viris primum expulsum, tum, quum Euclide archonte redisset, a civibus denuo honore affectum fuisse?”). In Contro Agorato, 12, infatti, sono menzionati genericamente οἱ βουλόμενοι ὀλιγαρχίαν καταστήσασθαι come responsabili della condanna.

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Il suo ruolo, insomma, dovette essere in ogni caso abbastanza marginale, come nota Edwards45, che ipotizza anche che la legge in base alla quale la βουλή dovesse partecipare al giudizio (χρὴ καὶ τὴν βουλὴν συνδικάζειν, § 9) non sia stata confezionata ad hoc, ma esistesse già46.

Todd47, dal canto suo, ammette che la ricostruzione di Dow – che immagina Nicomaco democratico e il cliente di Lisia come un esponente dell’aristocrazia oligarchica - è suggestiva, ma a suo parere risulta insoddisfacente. Egli fornisce tre argomentazioni per questo suo giudizio: a) questa ipotesi presuppone una visione troppo schematica dei partiti politici ad Atene; b) la ricostruzione degli attori del processo è dipendente dalla ricostruzione del calendario sacrificale epigrafico che Dow stesso ha fatto: ovvero, il fatto che Nicomaco avrebbe privilegiato nuovi sacrifici per le masse a scapito dei riti aristocratici tradizionali è un’interpretazione possibile ma non dimostrata dal calendario;

c) in un quadro di questo genere, la posizione dell’accusatore sarebbe troppo debole. Dow, infatti, ipotizzava che le attività “democratiche” di Nicomaco in materia di sacrifici riscuotessero grande favore tra il popolo, i nomoteti e i buleuti al momento della loro pubblicazione48: allora Todd definisce improbabile l’eventualità che l’accusatore abbia mosso accuse così deboli a uno che per di più era largamente popolare.

Tuttavia, se si esaminano punto per punto le tre obiezioni di Todd, si può concludere che nessuna di esse sia così stringente da far escludere la possibilità che Nicomaco fosse filo-democratico e il suo accusatore un oligarchico:

per quanto riguarda a), è ovvio che non possiamo applicare all’Atene di V secolo a. C. le rigide categorie partitiche moderne, ma non credo che ipotizzare una collocazione ideologica – legata all’agire pratico - per Nicomaco e per il suo accusatore, in una fase della storia di Atene particolarmente caratterizzata dallo scontro tra diverse idee di forma costituzionale, significhi porre mano a una visione schematica da partito politico;

b) come si è già visto49, i dubbi sull’interpretazione del calendario sacrificale non costituiscono un ostacolo insormontabile da questo punto di vista, dato che anche solo col testo dell’orazione è possibile giustificare l’ipotesi di un Nicomaco trascrittore di sacrifici “democratici”. Rimane dunque valida l’obiezione di Todd circa il fatto che Dow abbia ragionato a partire dalle epigrafi, ma la conclusione sostanziale è la stessa anche basandosi sull’orazione, cioè mettendo tra parentesi il problema rappresentato dal calendario;

45 Edwards 1999: 167.

46 Su questo punto, vd. infra, cap. 2, p. 56 e n. 115. 47 Todd 1996: 116-17.

48 Dow 1960: 291. 49 Vd. supra, pag. 13.

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c) anche questa non è un’obiezione probante: se, com’è pressoché certo, si trattava di una εἰσαγγελία, valeva forse la pena assumersi il rischio di una sconfitta visto che questa non comportava una multa per l’accusatore; del resto, si potrebbe osservare che semmai proprio quando il convenuto è una figura molto popolare i suoi avversari non hanno altre frecce al loro arco se non la sfida in tribunale. In ogni caso, questo tipo di obiezione riposa su una considerazione di ordine generale facilmente reversibile e quindi non dirimente; anche perché non c’è alcuna certezza circa la popolarità di Nicomaco: anzi, la sua caratteristica di “parvenu esperto” attirava probabilmente antipatie sulla sua persona50, per quanto sul suo lavoro specifico sui sacrifici potesse essersi prodotto invece un certo consenso popolare; d’altro canto, Robertson sottolinea che la forza dei sentimenti conservatori in quel momento è dimostrata dal fatto stesso che venisse intrapreso un attacco del genere dopo un lavoro così lungo e su basi deboli51.

In conclusione, l’ipotesi di Nicomaco filo-democratico appare meglio supportata dai dati a disposizione (informazioni sulle sue oscure origini, tipologia dei sacrifici, incarico ricoperto al servizio di ben due governi democratici neo-restaurati).

A proposito della fisionomia del convenuto resta da mettere in luce ancora un elemento, a cui si accennava poc’anzi: Nicomaco deteneva delle competenze specifiche, legate al suo lavoro di segretario, che gli hanno permesso di essere scelto come ἀναγραφεύς; queste capacità pratiche, quindi, furono di fatto il mezzo della sua “ascesa sociale”, ma allo stesso tempo lo esponevano alle malevolenze: Gernet ha fatto notare che la democrazia ateniese non avrebbe potuto funzionare senza i funzionari pubblici di condizione subalterna ai quali si rivolgevano i magistrati e che costoro – ivi compreso Nicomaco - erano visti con disprezzo52; anche Todd ha sottolineato che ad Atene si cercava di limitare il potere degli specialisti – che comunque erano indispensabili – marginalizzandoli: gli unici a svolgere in permanenza un servizio pubblico, infatti, erano gli

50 Cfr. infra (n. 52 e 53), le osservazioni di Gernet e Todd sul personale subalterno che costituiva l’ossatura

dell’amministrazione pubblica ateniese.

51 Robertson 1990: 75.

52 Cfr. l’introduzione di Louis Gernet all’or. XXX in Gernet-Bizos 1955: « (…) certaines compétences étaient

requises: on les trouvait dans un personnel subalterne qu’on méprisait volontiers, mais dont on ne pouvait pas se passer parce que son existence tenait aux conditions mêmes de la vie publique. (…) C’étaient, en général, des esclaves publics ; habitués aux affaires, qu’ils maniaient depuis des années, familiers avec les règles et avec les textes, ils constituaient l’armature nécessaire de l’administration. Ils furent tout naturellement associés au travail de révision législative. » (p. 158) e sulla figura di Nicomaco in particolare: « On conçoit que l’opinion publique ait supporté son rôle impatiemment : à voir dans un pareil poste un pareil homme, d’une naissance douteuse et d’une condition qu’on avait accoutumé de tenir pour servile, l’amour-propre athénien devait être froissé ; il l’était d’autant plus que la fonction était très modeste en principe, que le fonctionnaire était pourtant indispensable, et que sa vanité de parvenu pouvait le faire sentir un peu trop. » (p. 160)

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schiavi pubblici, anche perché la competenza tecnica era vista come una caratteristica “schiavile” visto che poteva essere acquisita solo con un lungo apprendistato. La minaccia giudiziaria contro Nicomaco, dunque, è stata definita da Todd “the fate of the expert”53.

1.3 L’identità dell’accusatore

L’accusatore è anonimo e non offre alcuna informazione esplicita sul proprio conto, ragion per cui tentare di ricostruire un suo profilo è impresa ancor più ardua che descrivere Nicomaco. Le ipotesi su di lui, dunque, non possono che basarsi esclusivamente su elementi interni all’orazione: quali accuse porta avanti e in che modo, che immagine di sé cerca di dare e quali addebiti invece respinge. Tendenzialmente, inoltre, il suo profilo si lega per contrasto a quello del convenuto: Lisia s’impegna a presentarlo come difensore della costituzione ateniese in opposizione a Nicomaco, che invece contro di essa avrebbe cospirato con la sua partecipazione al complotto contro Cleofonte (§ 11) e l’avrebbe poi snaturata con l’alterazione del corpus legislativo (§ 2) e in particolare del calendario sacrificale (§§ 19-20); ma Dow, nella sua analisi, ipotizzando un Nicomaco “democratico”, sostiene che l’accusa venga dall’ambiente dei γένη, i cui membri avrebbero visto decurtati i loro sacrifici tradizionali54.

Todd ha proposto una ricostruzione del contesto nel quale è nata l’accusa, senza soffermarsi sulla possibile identità dell’accusatore: in particolare ha sottolineato che il 399 fu l’annus

horribilis per i processi “politici” che rivangavano episodi teoricamente superati dall’amnistia e

vicende del periodo dei Trenta; in tale contesto politicamente “surriscaldato” un aspirante accusatore avrebbe disposto di alcuni strumenti utili per la sua accusa: soprattutto si comprende come sia possibile che Lisia sollevi l’argomento dell’oligarchia a carico del convenuto quando il suo stesso cliente appare almeno altrettanto compromesso55. Effettivamente tale possibile compromissione emerge ai §§ 7-8, quando l’accusatore respinge preventivamente un’accusa sul suo conto da parte di Nicomaco circa il suo coinvolgimento nei gruppi oligarchici56: egli nega gli

53 Todd (1996: 131): “If Nikomachos did lose, despite the fact that the prosecutor's case against him was

as weak as we have seen it to be (…), his would have been the fate both of the 'expert' in Athenian law, and more specifically of the ‘expert in Athenian law'”. Su questo aspetto, fondamentale nella costruzione dell’accusa, cfr. infra, cap. 3.

54 Dow 1960: 291. A pag. 288 Dow cita i Synoikia come esempio di festa “tagliata” (resa biennale da

annuale) nella riorganizzazione di Nicomaco, ma per quest’ipotesi egli trae i dati dalle evidenze epigrafiche del calendario, il cui significato è stato successivamente posto in discussione (vd. supra, p. 12).

55 Vd. Todd 1996: 120. In particolare Todd sottolinea i parallelismi tra Contro Agorato (XIII) e Contro

Nicomaco (XXX); entrambe del 399, la XIII sarebbe stata pronunciata prima e avrebbe fornito lo spunto –

quale cause célèbre – per utilizzare il tema del processo a Cleofonte come mezzo per l’attacco giudiziario (p. 119).

56 Al par. 1.5 (infra) si prenderanno in esame le possibilità su quali gruppi oligarchici, dato che il passo è

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addebiti, ma il fatto che il convenuto potesse utilmente tirare in ballo l’argomento fa ritenere che esso non fosse del tutto fuori luogo, che insomma l’insinuazione avesse un certo grado di verosimiglianza, se non di verità.

Carawan57, poi, nella sua ricostruzione ha aggiunto elementi significativi: anch’egli, come Dow, afferma che la difesa dei riti ancestrali qualifica l’accusatore come un alleato delle élites, ma la sua teoria è che costui fosse in particolare un giovane attivista, che probabilmente non era incaricato di tenere il discorso principale dell’accusa. Il motivo per cui egli avrebbe evitato di scendere nello specifico dei riti e dei gruppi sacerdotali danneggiati dal lavoro di Nicomaco è l’intento di presentarsi come un accusatore non partigiano; si terrebbe, infatti, ben in equilibrio tra l’accusa di aver sovvertito i riti tradizionali – attrattiva per i gruppi aristocratici – e la presentazione di Nicomaco come nemico della democrazia tramite la notizia del processo a Cleofonte.

Nel suo articolo Carawan elenca alcuni indizi che dimostrerebbero la giovane età del querelante: il profilo super partes sarebbe più facilmente spendibile proprio perché egli ha pochi trascorsi alle sue spalle, e per questo Nicomaco non potrebbe ricorrere ad altro espediente se non quello di insinuare la sua adesione a dei gruppi legati ai Trenta58, e l’accusatore semplicemente la respingerebbe; ma soprattutto il suo modo di condurre il discorso d’accusa, spesso basato sui giochi di parole anziché su vere e proprie argomentazioni, sarebbe un esempio di stile “giovanile”59. Carawan si spinge a ipotizzare che il giovane attivista sia emerso sulla scena pubblica proprio con un progetto di legge volto ad arginare gli arbitri di Nicomaco60, ma quest’idea è evidentemente indimostrabile. Un altro punto della sua riflessione, invece, tocca un tema dibattuto: se l’orazione Contro Nicomaco sia stato il principale ed unico strumento dell’accusa, o se fosse invece un discorso accessorio. Carawan propende per la seconda possibilità: il cliente di Lisia avrebbe avuto un ruolo di supporto, col compito di dare un’immagine moderata, non partigiana, mentre l’onere della prova sarebbe stato demandato ad altri accusatori, la cui esistenza sarebbe peraltro dimostrata dall’uso del plurale ai §§ 34-3561. Infine, basandosi sostanzialmente sui §§ 7-8, dove l’accusatore nega di aver fatto parte dei Tremila, lo

57 Si veda Carawan 2010: 87 e ss., par. dal titolo “The character of the accuser”.

58 Se accettiamo le lezioni tràdite ai parr. 7-8: per la discussione di questo problema, vd. infra, par. 1.5. 59 Carawan 2010: 88 e n. 47 (egli richiama le caratteristiche dell’oratoria dei giovani descritte da Arist. in

Rhet. 1389 a-b.

60 Carawan 2010: 88, “The speaker may have first emerged as an activist supporting the very legislation

that provided a remedy against Nikomachos's work, a bill defending the κοινοὶ καὶ κείμενοι.” Forse Carawan basa quest’affermazione sul par. 17 dell’orazione, quando il querelante dice νῦν δὲ τοῖς κοινοῖς

καὶ κειμένοις ἀξιῶ τοῦτον πείθεσθαι, ma questa frase non costituisce un indizio sufficiente per l’ipotesi

in oggetto.

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studioso americano avanza l’ipotesi che questo giovane accusatore fosse di Eleusi, si trovasse lì quando i Trenta vi trovarono rifugio e dunque attirasse sospetti di connivenza con loro62. Todd appare più prudente: ripercorre la storia degli studi, sottolineando come fatto notevole l’incapacità da parte di molti critici di accettare il discorso così com’è, ma conclude che si tratta di un caso debole, ma di un discorso ottimamente congegnato.63 Del resto già Gernet invitava a respingere le ipotesi di deuterologia, pamphlet o compendio, mantenendosi realista: « Tout compte fait, et sans chercher plus loin, nous prenons le discours tel quel : nous y voyons le plaidoyer réel et complet d’un accusateur principal, dans une cause qui était une mauvaise cause »64.

In conclusione, l’accusatore approfitta di un momento turbolento dal punto di vista dei processi politici per portare avanti un discorso di accusa abbastanza pretestuoso ma ben orchestrato, proponendosi come difensore della costituzione. Dietro questo quadro si può arguire la sua collocazione genericamente conservatrice65, ma di più non si può stabilire, per quanto le teorie sopra citate sui legami coi gruppi oligarchici di Eleusi e sulla sua giovane età siano suggestive (non, però, dimostrabili).

1.4 Quali accuse?

Da quanto emerso nei due paragrafi precedenti a proposito dell’accusato e dell’accusatore, già si intuisce che l’individuazione degli specifici capi d’accusa sulla base dei quali fu condotto il processo non sia compito semplice.

A Nicomaco viene contestata innanzitutto la gestione dei due mandati del suo incarico: in entrambi egli avrebbe indebitamente prolungato la durata e sarebbe andato oltre i limiti del suo compito.

Si legge a § 2, a proposito del primo mandato:

(…) προσταχθὲν γὰρ αὐτῷ τεττάρων μηνῶν ἀναγράψαι τοὺς νόμους τοὺς Σόλωνος, ἀντὶ μὲν Σόλωνος αὑτὸν νομοθέτην κατέστησεν, ἀντὶ δὲ τεττάρων μηνῶν ἑξέτη τὴν ἀρχὴν ἐποιήσατο, καθ’ ἑκάστην δὲ ἡμέραν ἀργύριον λαμβάνων τοὺς μὲν ἐνέγραφε τοὺς δὲ ἐξήλειφεν.

62 Carawan 2010: 91 (“he was probably an Eleusinian who remained at Eleusis when the Thirty took refuge

there and he is therefore suspected of collaborating with them. He might be one among the many who returned to Eleusis after the Decelean War and remained there because of ties to family and estate, not necessarily out of any preference for the oligarchic regime”).

63 Todd 1996: 114-15. Egli osserva in conclusione: “It requires considerable rhetorical ability to say nothing

for thirty-five sections, and yet to make it sound superficially plausible at least on a first hearing.”

64 Gernet-Bizos 1955: 162. 65 Cfr. anche Robertson 1990: 75.

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