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Rimanenze di magazzino: analisi delle tecniche di gestione e valutazione del magazzino, riflessi economico-patrimoniali e inquadramento normativo in sede di revisione legale dei conti.

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Academic year: 2021

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Introduzione

Questo lavoro avrà per oggetto lo studio delle rimanenze di magazzino ed in particolare verterà sulle tecniche di gestione e di valutazione del magazzino stesso, sui riflessi economico e patrimoniali di questa componente ed infine illustrerà come da un punto di vista normativo, in sede di revisione legale dei conti, ci sia stato e continui ad esserci il tentativo di adattamento alle direttive europee e ai principi contabili internazionali omologati dalla Commissione Europea.

Il focus di questo lavoro di tesi sarà soprattutto l’aspetto contabile e di controllo che ad oggi sono due temi molto dibattuti e continuamente oggetto di modifiche, questo perché il contesto economico è in continuo mutamento e con esso devono cambiare le tecniche e le ‘regole’ in modo che le aziende da un lato e il sistema nel complesso dall’altro possano operare in pieno regime di trasparenza e correttezza. Sarà curioso analizzare come nel tempo il magazzino stesso abbia assunto forme e consistenze diverse a seconda del momento storico di riferimento. Il magazzino è stato infatti spesso considerato una sorta di “ammortizzatore” delle inefficienze aziendali tramite il quale attutire l’impatto negativo sull’azienda in caso di rotture di stock oppure in caso di cattiva gestione dei materiali. Tuttavia, la congiuntura economica e la crisi dell’ultimo decennio hanno fatto sì che il magazzino si “sgonfiasse” sempre più fino al caso limite della produzione “just in time” sul modello giapponese che parte da una condizione di “magazzino zero” e massima efficienza. In questo caso vedremo come sia crescente l’importanza della logistica e del sistema di controllo interno per far sì che tutto sia coordinato e che si possa far fronte in maniera sempre migliore ad una concorrenza sempre crescente e alle esigenze dei clienti sempre più pretenziosi.

Altro passo importante lungo questa analisi sarà indagare sulle conseguenze che i diversi tipi di gestione e valutazione delle rimanenze del magazzino possano avere sull’azienda in termini economici e patrimoniali, prendendo a modello alcuni indicatori chiave ed analizzando le dinamiche di questi conseguentemente ad una diversa valutazione.

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Infine, dopo questa panoramica sulle dinamiche riguardanti le rimanenze di magazzino, vedremo come queste siano un aspetto critico per quanto riguarda la revisione legale dei conti dal momento che, soprattutto nelle grandi realtà industriali, non è sempre possibile effettuare un puntuale inventario fisico e quindi le valutazioni, sia da parte dei controller aziendali e sia degli incaricati della revisione legale dei conti, siano sempre più oggetto di accesi confronti tra le due figure coinvolte. A tal proposito elencheremo i principi di revisione legale cardine per dare un quadro completo dell’analisi.

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Capitolo 1

Quadro generale sulle rimanenze e panoramica storica sulle diverse interpretazioni del magazzino

1.1 Definizione rimanenze e aspetti civilistici

Le rimanenze di fine esercizio rappresentano costi sostenuti per l’acquisto o la produzione di determinati beni, i cui ricavi saranno però realizzati solo nell’esercizio successivo; essi, pertanto, in base al principio della competenza, devono essere rinviati (all’esercizio successivo) mediante apposita scrittura contabile.

I beni che costituiscono giacenze di magazzino sono suddivisi nel c.c., ed in particolare negli schemi di stato patrimoniale e conto economico, in:

 materie prime: materiali acquisiti da terze economie e destinati ad essere direttamente inglobati nei prodotti finiti;

 materie sussidiarie: materiali destinati ad essere utilizzati per il completamento dei prodotti;

 materiali di consumo: materiali usati indirettamente nella produzione;  merci: beni destinati alla rivendita, senza ulteriori lavorazioni;

 prodotti in corso di lavorazione: beni che non hanno ancora terminato il ciclo di produzione e che non hanno ancora raggiunto un’identità fisica ben definita;

 semilavorati: beni che, pur non avendo ancora terminato il ciclo di produzione, hanno raggiunto una loro identità fisica e contabile;

 prodotti finiti: beni che sono pronti per la commercializzazione;

 lavori in corso su ordinazione: si tratta di opere, complessi di opere, forniture di beni e servizi, eseguite su ordinazione del committente in base

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a contratti di durata generalmente ultrannuale, non ancora concluse alla fine dell’esercizio.

Per quanto riguarda le materie prime, sussidiarie, di consumo e merci l’art. 2426 c.c. ai punti 1 e 9 stabilisce che le stesse devono essere iscritte al minor valore tra:  costo storico: costo di acquisto al netto di resi, abbuoni, sconti incondizionati, eventuali contributi in conto esercizio se vi è correlazione temporale certa con l’acquisto di tali beni occorre imputare anche gli oneri accessori di diretta imputazione quali: spese di trasporto, imballo, spese di installazione e di collaudo, assicurazioni, noli, dazi doganali, ecc., escludendo però gli oneri finanziari.

 valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato: per le merci, ma anche per i prodotti finiti, i semilavorati e i prodotti in corso di lavorazione, questo sarà dato dal valore netto di realizzo, pari al prezzo di vendita al netto dei costi di completamento e delle spese dirette di vendita quali trasporti, imballaggi, provvigioni, ecc.; per le materie prime, sussidiarie e di consumo sarà pari al loro costo di sostituzione, cioè al prezzo di acquisto di tali beni contrattato in quel momento sul mercato in circostanze di ordinaria gestione di impresa.

In virtù del principio della rappresentazione veritiera e corretta è fatto divieto di mantenere tale ultimo minor valore qualora siano venuti meno i motivi della svalutazione effettuata. E’ da tenere presente che, in base al principio della prudenza, il riadeguamento va effettuato solo se vi sia la ragionevole certezza del recupero di tale maggior valore tramite la vendita, ed in tempi brevi.

Passando ai prodotti in corso di lavorazione e semilavorati valgono in linea di massima le stesse considerazioni già effettuate per il precedente gruppo di rimanenze, con alcune differenze. La più importante è che il c.c. prescrive per essi l’iscrizione in bilancio, anziché al costo storico, al costo di produzione (salvo per i semilavorati che rappresentano parti finite d’acquisto, che continuano ad essere considerati come le materie prime).

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Il costo di produzione comprende:

 costi direttamente imputabili al prodotto attraverso la tecnica, ad es., del costo base attraverso il “direct costing”;

 altri costi di indiretta imputazione (costi generali di produzione), relativi al periodo di fabbricazione per la quota ragionevolmente imputabile al prodotto in base a parametri detti “cost drivers”, quali ad es. le ore di mano d’opera o le ore macchina; oppure attraverso tecniche di determinazione del costo pieno mediante il “full costing”.

Tra gli “altri costi di diretta imputazione” si menzionano gli stipendi e i salari riguardanti la mano d’opera indiretta, gli ammortamenti e le manutenzioni dei cespiti destinati alla produzione, i materiali di consumo utilizzati, i consumi di energia, i servizi di vigilanza, ecc. Non si tratta comunque di una mera facoltà l’includere o meno tali costi: tale scelta riguarda infatti la corretta applicazione del principio della rappresentazione veritiera e corretta. Ovviamente la capitalizzazione di tali costi non deve far superare alle rimanenze il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, come sopra inteso.

Il c.c., al punto 1 art. 2426, prevede che il costo di produzione possa comprendere anche gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione, interna o presso terzi. Tuttavia deve comunque essere ricordata la posizione del OIC 13, per cui nella determinazione del costo delle rimanenze gli oneri finanziari, come regola generale, devono essere esclusi. Ciò subisce un’eccezione nel caso in cui il finanziamento riguardi specifici beni che richiedono un processo produttivo di durata ultrannuale per essere commercializzati: in questo caso è possibile includere nel costo gli interessi passivi, limitatamente al periodo di produzione, a patto che:

 l’onere degli interessi sia stato realmente sostenuto;

 il costo + gli interessi capitalizzati non eccedano il valore netto di realizzo;  la capitalizzazione degli interessi venga chiaramente esposta nella nota

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Tale posizione può estendersi ai casi in cui il finanziamento sia stato assunto per la costruzione di immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa, purché i tempi di tale costruzione eccedano i 12 mesi.

Prendendo a disamina l’iscrizione dei prodotti finiti valgono le stesse considerazioni fatte per le materie prime, sussidiarie, di consumo e merci, a patto di tener conto che anche per essi il costo di produzione, determinato mediante le stesse tecniche di cui accennato sopra, al netto dei costi di distribuzione (trasporti, provvigioni, ecc.), in quanto tali costi, per loro natura, non possono essere stati sostenuti che a fronte di beni che non risultano più tra le rimanenze finali, in quanto venduti.

L’ultima categoria di rimanenze da analizzare sono i cosiddetti lavori in corso su ordinazione. I lavori in corso di un’impresa, così come definiti in premessa, possono essere originati da:

 lavorazioni per conto proprio riguardanti beni destinati ad essere immessi successivamente sul mercato da considerare semilavorati di produzione o prodotti in corso di lavorazione e da trattare come tali; oppure beni che, una volta ultimati, costituiranno immobilizzazioni necessarie per lo svolgimento dell’attività dell’impresa e che seguiranno la propria disciplina;

 lavorazioni per conto di terzi, ed è questo il nostro caso, intese come le opere su commessa riguardanti dunque la costruzione di beni e la fornitura di servizi pattuiti come oggetto unitario su specifica ordinazione del cliente e sulla base di un contratto generalmente di appalto o di somministrazione. I lavori in corso su ordinazione, pertanto, riguardano le imprese che producono su commessa e non quelle che producono per il magazzino. Il c.c. non fa alcuna distinzione in merito alla loro durata, al contrario della norma fiscale, che invece suddivide i lavori in corso in due categorie, a seconda che i tempi di esecuzione siano inferiori o superiori ai 12 mesi.

Per quanto riguarda le tecniche di valutazione delle rimanenze si rimanda ai prossimi paragrafi per un’analisi di dettaglio di tutte le possibili alternative.

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1.2 Cambiamento del concetto di magazzino nel tempo

Tra i temi più affrontati nel mondo di oggi c'è la rapida evoluzione della supply chain conseguente ai nuovi modelli di business che si stanno imponendo. All'interno della supply chain un ruolo sempre più delicato è ricoperto dall'equilibrio tra efficienza ed efficacia che l'organizzazione del magazzino deve garantire, sempre più compresso da scarsa prevedibilità del mercato e costi fissi e di gestione in aumento. È quindi centrale il ruolo del magazzino che deve evolvere da un ruolo passivo e statico verso un ruolo attivo di previsione dei carichi di lavoro e delle priorità. In questa logica diventa strategica la presenza di un ente che, secondo i diversi “gerghi” di settore, si chiama Ufficio Gestione, ufficio Tempi e Metodi, Ufficio Strategie ecc.

Nella sua forma più elementare, il concetto di gestione del magazzino è di per sé estremamente semplice: stoccaggio di materiali o prodotti e della successiva esecuzione degli ordini da un'estremità all'altra della supply chain. Tuttavia, al mondo d’oggi, la gestione del magazzino si sta evolvendo in qualcosa di tutt'altro che semplice. I professionisti della gestione del magazzino si trovano attualmente a dover far fronte a forti pressioni provenienti da diverse fonti, sia interne che esterne. Nel tentativo di rendere disponibile capitale, le giacenze di inventario sono state drasticamente tagliate, i progetti di incremento delle capacità produttive sono stati accantonati e l'espansione di strutture esistenti o la costruzione di nuovi magazzini e centri di distribuzione ridotte al minimo o completamente bloccate. Il sistema magazzino può essere rappresentato come una black box che permette di svincolare, sia da un punto di vista quantitativo che da un punto di vista qualitativo i flussi in ingresso dai flussi in uscita. Tramite questa operazione, è possibile generare economie sostanziali: svincolando i flussi da un punto di vista temporale, è possibile generare economie connesse con gli approvvigionamenti (costo di ordinazione, sconti quantità, promozioni) o con l’ottimizzazione dei lotti di produzione. Svincolando i flussi da un punto di vista qualitativo, invece, è possibile effettuare operazioni di consolidamento dei carichi che permettono di

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ridurre notevolmente l’incidenza dei costi di trasporto. Quando si parla di sistemi per lo stoccaggio e la movimentazione dei materiali, ci si trova ad avere a che fare con una terminologia abbastanza confusa. Per identificare tali sistemi, si possono individuare infatti diversi termini tra loro sinonimi nel linguaggio comune. Termini come deposito, magazzino, centro di distribuzione, transit point, piattaforma, nodo vengono spesso utilizzati per una stessa struttura, anche se in realtà, questi termini hanno significati differenti quando si approccia il problema da un punto di vista logistico.

Mantenendo per ora questa ambiguità, si possono in prima battuta classificare i depositi in funzione del ruolo occupato dal deposito stesso nella supply chain. Si parla allora di deposito di fabbrica, distinguendoli dai depositi distributivi. I depositi di fabbrica si possono a loro volta distinguere in depositi materie prime, depositi inter-operazionali e depositi prodotti finiti.

Nei depositi di fabbrica vengono stoccate le materie prime provenienti da diversi fornitori, in attesa che queste vengano utilizzate dal processo produttivo. I magazzini inter-operazionali sono invece depositi di fabbrica che vengono inseriti tra una fase e l’altra del processo produttivo, in modo da disaccoppiare le fasi stesse. Infine, i depositi prodotti finiti, raccolgono il prodotto “versato” dalle linee produttive e messo a scorta in attesa di essere venduto.

Nell’ottica tradizionale, il magazzino prodotti finiti veniva visto come un deposito di fabbrica, oggi si tende invece ad inserire questo elemento come testa della catena distributiva. I depositi distributivi sono invece i sistemi che nella catena logistica si possono inquadrare come facenti parte del sistema distributivo vero e proprio. Utilizzando un approccio “tradizionale”, la distinzione che veniva fatta tra i depositi del sistema distributivo era tra depositi centrali e depositi periferici. Tale distinzione si basava principalmente sulla dimensione degli stessi depositi e sul relativo bacino di utenza. I depositi centrali erano quindi i depositi di grandi dimensioni, riforniti in ingresso direttamente dalla fabbrica ed in grado di servire un’area territoriale più o meno vasta, mentre i depositi periferici erano invece depositi di piccole dimensioni, dislocati territorialmente vicino al bacino di utenza,

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che venivano riforniti dal deposito centrale ed utilizzati per servire i punti vendita presenti sul territorio.

Nella figura sottostante si può notare la schematizzazione di una struttura distributiva tradizionale a diffusione capillare sul territorio.

Con una siffatta struttura distributiva, le aziende erano in grado di rifornire un certo bacino di punti vendita e di distribuire i prodotti sul territorio, garantendo un certo livello di servizio ad un certo costo logistico complessivo. La logica del sistema è in questo caso di tipo push, con sistemi “production oriented”: tali sistemi cercano cioè prima di tutto di ricercare il minimo costo di produzione, minimizzando i set up e le fermate per cambio produzione con grandi lotti produttivi. Tali lotti, se eccedenti la domanda, venivano messi a scorta in attesa di essere venduti. Per i magazzini è prioritaria quindi la capacità di stoccaggio rispetto alla distribuzione. La struttura tradizionale appena descritta è andata modificandosi ed evolvendosi profondamente negli ultimi anni, per rispondere ad esigenze di costo e di efficienza.

L’ultimo decennio ha visto le aziende cercare un vantaggio competitivo nell’eccellenza del servizio con bassi livelli di scorte. Lo stesso servizio o

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addirittura un servizio migliore viene quindi garantito attraverso l’efficienza dei processi, dei flussi di materiali e di informazioni attraverso la rete, piuttosto che tramite livelli di scorte elevati in grado di far fronte alle richieste del cliente. Questo obbiettivo ha comportato un profondo rinnovamento della struttura distributiva delle aziende moderne, ed in particolare un “dimagrimento” della rete, con riduzione della giacenza lungo il canale che congiunge produttori e consumatori.

Una prima conseguenza di questo processo di snellimento è la drastica riduzione del numero di depositi centrali e periferici. Per quanto riguarda i depositi centrali, oltre ad essere ridotti in numero e concentrati in aree geografiche baricentriche, la loro focalizzazione funzionale si basa sulla capacità di smistamento e distribuzione della merce piuttosto che sulla capacità di stoccaggio. Per enfatizzare questo aspetto, nei moderni sistemi distributivi non si adotta più la terminologia deposito o magazzino, che guarda alla struttura in un’ottica di capacità di stoccaggio dei materiali, ma si parla piuttosto di centri di distribuzione, cercando in questo modo di porre l’accento e sottolineare la capacità della struttura di coordinare e smistare i flussi di materiale che la attraversano. Per quanto riguarda i depositi periferici, si assiste ad un processo evolutivo simile, se non ancora più accentuato, a quello dei

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depositi centrali. Oltre alla già citata riduzione in numero, si cerca per quanto possibile di modificarne la funzionalità del deposito periferico facendolo evolvere da deposito verso la struttura del transit point. I transit point possono essere visti come centri distributivi in cui viene meno la funzione di stoccaggio, mentre rimangono solamente le funzioni di smistamento e di distribuzione.

Nel transit point quindi i flussi di merce in ingresso permangono per il tempo strettamente necessario per il loro smistamento e la loro spedizione verso le rispettive destinazioni. La logica del sistema è una logica di tipo pull piuttosto che push, con le informazioni che risalgono a ritroso nel sistema distributivo. Ai diversi livelli della catena, è prioritaria la capacità di smistamento e distribuzione. Alla luce delle considerazioni fatte, appare ora chiara la distinzione concettuale tra i diversi sinonimi utilizzati nel linguaggio comune per identificare un sistema di stoccaggio e distribuzione dei materiali.

Il termine deposito o magazzino, pone l’accento in primo luogo sulla capacità del sistema di stoccare merce, e in secondo luogo sulla funzione di smistamento e distribuzione; viceversa, quando si parla di centri di distribuzione, si vuole enfatizzare la capacità del sistema di allestimento ordini rapida ed efficace. Infine, il transit point, o piattaforma, o nodo, indica un centro distributivo in cui sottolinea ulteriormente la funzione di smistamento ed in cui viene invece meno la funzione di stoccaggio. Specificata questa differenza concettuale sulla terminologia, e vista l’enfasi che negli ultimi anni è stata posta su concetti quali riduzione delle scorte, aumento della rotazione, struttura distributiva snella, servizio al cliente, capacità di allestimento ordini rapido ed efficace, si analizzano nel seguito le caratteristiche di un sistema di stoccaggio e distribuzione dei materiali con riferimento alla struttura di un centro distributivo, questo anche quando, per semplicità, si utilizzeranno termini come deposito e/o magazzino.

L’ultima frontiera in termini di organizzazione e gestione del magazzino è indubbiamente il cosiddetto “Just In Time” (JIT), inteso come l’insieme delle tecniche industriali di derivazione giapponese applicato alla gestione della produzione, delle scorte e della catena di fornitura. Inizialmente sviluppato dalla

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Toyota Motor Corporation, il termine JIT è talvolta erroneamente usato per indicare la produzione snella. Nella sua accezione più ristretta, significa produrre solo quanto richiesto dal cliente nei tempi voluti dal cliente; nella versione più estesa, l’applicazione del JIT è finalizzata alla riduzione, nonché all’eliminazione, di tutte le forme di spreco che si realizzano all’interno della fabbrica e nei rapporti di fornitura. Per il JIT, lo spreco si colloca lungo tutto il processo produttivo, includendo sia le fasi a monte con i fornitori, sia quelle a valle con i clienti, e comprende tutte le scorte di materie prime, di semilavorati e di prodotti finiti che non sono necessarie per soddisfare la domanda del cliente finale in tempo, nella qualità e quantità desiderate. Alcune delle tecniche più comuni sono la diminuzione dei lotti di produzione, il contenimento dei tempi del ciclo e il miglioramento dei tempi di riattrezzaggio dei macchinari. I principali risultati derivanti dall’insieme di queste tecniche sono il decremento dei costi di gestione delle scorte, evitando la produzione anticipata, l’ottimizzazione del processo produttivo, che spesso avviene avvicinando le varie fasi e ridimensionando macchinari e lotti di semilavorati, e l’accresciuta affidabilità generata dall’aumento della qualità e del servizio al cliente.

Il primo principio su cui si basa il Just In Time è l’eliminazione degli sprechi e questo principio ha una rilevanza pari a quella attribuita al postulato della produzione “a valore aggiunto”, anzi, ne costituisce il naturale complemento. In effetti, affermare che occorre porre in essere quelle attività che aggiungono valore significa, implicitamente, sopprimere tutte le altre in quanto originano sprechi. Si consideri, in particolare, il problema delle scorte: esse non si risolvono solo nelle materie prime e nei prodotti finiti giacenti in magazzino, ma anche in tutti quei prodotti in corso che svolgono un ruolo tampone fra successive fasi lavorative. Le scorte costituiscono forse l'esempio più immediato di spreco, poiché, oltre a presentare un costo direttamente collegato all'immobilizzo di capitale, occupano spazio e generano rischi di obsolescenza, senza aggiungere alcunché al valore del

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Così posto, il problema della eliminazione degli sprechi origina due considerazioni:

 la ricerca di una soluzione non deve essere espressione di uno sforzo iniziale o comunque limitato temporalmente, bensì deve ispirare un'attività che permanentemente pervade l'intero sistema produttivo, innestando così un processo di miglioramento continuo;

 non si può pensare di delegare a qualcuno, ad esempio un comitato, tale compito, in quanto la massima efficacia può essere conseguita solo con un coinvolgimento totale di tutte le maestranze aziendali. Infatti, i primi che prendono coscienza degli sprechi lungo tutto il processo produttivo sono proprio coloro che direttamente operano su esso.

Le scorte di magazzino, nell’ottica del Just In Time rappresentano una risultante di un mancato sincronismo tra flussi in entrata e flussi in uscita di prodotti. Queste scorte generano una serie di costi importanti per l’azienda, in particolar modo quelli legati alla gestione del magazzino. Questi costi si legano alla necessità di conservazione dei semilavorati e/o prodotti finiti, al fattore lavoro ed anche agli spazi occupati. Per quanto riguarda la conservazione, bisogna dire che in questo caso esiste sia un deterioramento fisico da parte delle giacenze e sia un deterioramento economico, dovuta ad una vera e propria obsolescenza del prodotto (o semilavorato) che rende tale scorta invendibile. Riguardo alla forza lavoro, invece, il costo delle scorte riguarda tanto il personale preposto al trasporto, allo stoccaggio, alla sorveglianza e alla custodia delle scorte (lavoro diretto), quanto il personale d’ufficio, che si occupa della rilevazione dei dati riguardanti il livello delle scorte (lavoro indiretto). Infine, gli spazi occupati dalle giacenze di magazzino rappresentano un’onerosità per l’azienda dal momento in cui viene pagato un fitto passivo per l’occupazione degli edifici destinati al magazzino, oppure, se l’edificio è di proprietà dell’azienda, il costo che viene a configurarsi è l’ammortamento.

Dunque, in questi casi, l’adozione della metodologia Just In Time, in cui la riduzione (fino alla totale eliminazione) delle scorte rappresenta un fondamento

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della propria filosofia, consentirebbe di ridurre i costi di gestione del magazzino gravanti sull’impresa.

Una particolarità merita di essere citata: il Just In Time, in realtà, non mira alla riduzione delle scorte di magazzino semplicemente per la riduzione dei costi, ma la ragione primaria sta nel fatto che la mancata sincronia tra i flussi in entrata e in uscita di prodotti dall’azienda, che generano le scorte, nascondono in realtà i veri problemi che, lungo il processo produttivo, hanno generato tali scorte. Ecco perché il JIT mira alla riduzione delle scorte, per capire cioè quali problemi sorgono all’interno dell’intero ciclo produttivo.

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Capitolo 2

Logistica e sistema di controllo interno nel ciclo di magazzino

2.1 Evoluzione della logistica e integrazione funzionale

Nell’ottica del ciclo di magazzino orientato alla massima efficienza e alla riduzione degli sprechi diventa centrale il ruolo della logistica in quanto funge da “catalizzatore” e consente l’integrazione tra le varie funzioni aziendali e le fasi del ciclo di magazzino.

E’ interessante notare come si sia evoluta nel tempo la logistica aziendale e come questi cambiamenti riflettano il periodo storico in termini di andamento del mercato e dell’economia.

Negli anni cinquanta e sessanta l'accezione di logistica era limitata alla distribuzione del prodotto finito, la cosiddetta logistica di distribuzione. In questi anni il ruolo della logistica è rimasto confinato al presidio di specifiche attività di supporto, generalmente legate all'organizzazione dei magazzini e dei trasporti. Le prime timide forme di evoluzione verso la gestione di un insieme strutturato di attività si registrano nel corso degli anni settanta, allorché le aziende incominciano a ricercare miglioramenti nell'ambito della distribuzione fisica, dal magazzino di stabilimento al cliente, attraverso opportuni interventi di razionalizzazione volti all'ottimizzazione dei diversi segmenti del ciclo distributivo.

A partire dagli anni ottanta, in seguito all'introduzione nelle aziende in modo sufficientemente pervasivo di nuove logiche gestionali, quali il Materials Requirements Planning (MRP), o il Just In Time (JIT), l'attenzione si sposta repentinamente sulla gestione dei materiali: viene infatti coniata l'espressione “logistica dei materiali”, o altri sinonimi come “gestione dei materiali” o “material

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management”, per indicare il governo di tutte le attività volte ad assicurare la corretta acquisizione, movimentazione e gestione dei materiali al fine di garantire il costante e tempestivo rifornimento alla produzione ed agli altri enti utilizzatori. La fase successiva del percorso evolutivo segna un radicale cambiamento perché comporta la trasformazione della logistica da insieme di attività operative a sistema interfunzionale che si pone come mezzo per il raggiungimento di più elevati livelli prestazionali. Emerge quindi il concetto di logistica integrata, sintetizzato in modo preciso nella definizione proposta dal Council of Logistics Management nel 1986, secondo cui essa rappresenta il processo per mezzo del quale pianificare, attuare e controllare il flusso delle materie prime, dei semilavorati e dei prodotti finiti, e dei relativi flussi d informazioni, dal luogo di origine al luogo di consumo, in modo da renderlo il più possibile efficiente e conforme alle esigenze dei clienti.

L'ultimo stadio del processo evolutivo, che conduce alla nascita del concetto di Supply Chain Management, è caratterizzato dalla presa di coscienza da parte delle aziende che il miglioramento nella gestione dei flussi all'interno della catena logistica non può prescindere dal fattivo coinvolgimento degli attori esterni: la logistica assume un ruolo sempre più centrale ed il suo obiettivo diventa sostanzialmente quello di governare tutte le fasi del processo produttivo, anche esterne all'azienda, secondo una visione sistemica.

In quest'ottica il concetto di Supply Chain Management non deve essere inteso come sinonimo di logistica integrata, ma come un nuovo approccio di management in cui la singola azienda diventa parte di una rete di entità organizzative che integrano i propri processi di business per fornire prodotti, servizi e informazioni che creano valore per il consumatore. Il passaggio della logistica da una funzione sussidiaria ad un ruolo strategico si è accompagnato in molte aziende ad una propensione a esternalizzare le attività di trasporto e di movimentazione delle merci, affidando a terzi un compito che non rientra nel core business aziendale sempre allo scopo di minimizzare i costi ed assicurare maggiore flessibilità alla struttura produttiva.

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La logistica è essenzialmente una pianificazione di processi ed organizzazione e gestione di attività mirate ad ottimizzare il flusso di materiali e relative informazioni all'interno dell'azienda. Il Supply Chain Management si fonda sulla logistica e mira a costruire ed ottimizzare i legami ed il coordinamento tra i processi di altre aziende, fornitori e clienti, e l'impresa stessa. La supply chain è il network di organizzazioni che sono coinvolte, attraverso collegamenti a monte e a valle, nei diversi processi ed attività che producono valore in termini di prodotti e servizi al consumatore finale: oggi parliamo di organizzazioni virtuali o di rete in cui la strategia si concentra sul core business, mentre tutto il resto va in outsourcing. Questo trend implica per la gestione della logistica la sfida di integrare e coordinare il flusso di materiali da una moltitudine di fornitori, spesso sparsi in ogni parte del mondo, e la gestione della distribuzione dei prodotti finiti per mezzo di molteplici intermediari.

Oggi ed in futuro ci saranno ancora aziende che punteranno a riduzioni di costi o miglioramenti dei profitti alle spese dei propri partner della supply chain senza rendersi conto che il semplice trasferimento di costi a monte o a valle non le rende più competitive. Il motivo è legato al fatto che alla fine questi costi arriveranno al mercato finale nel prezzo pagato dal consumatore o utilizzatore finale. Le imprese eccellenti riconoscono la fallacità di questo approccio convenzionale e cercano di rendere la supply chain nel suo complesso più competitiva attraverso aumenti di valore e riduzioni di costi complessivi: la vera competizione non è più impresa contro impresa, ma piuttosto supply chain contro supply chain.

I professionisti della logistica devono ampliare la loro comprensione delle altre funzioni di business all'interno della loro organizzazione; in particolare, devono avere una conoscenza migliore degli acquisti ed approvvigionamenti, della pianificazione della produzione, delle iniziative di marketing, dei piani promozionali e di vendita, e, soprattutto, dell'Information Technology: che rappresenta l'elemento chiave, il facilitatore, il legame che unisce i vari componenti e partner della supply chain in un insieme integrato. Per i professionisti che lavorano in questo campo, il problema non è quanto

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diventare esperti nel campo della scienza del Supply Chain Management, ma piuttosto quanto velocemente: questo significa conoscere e comprendere la mission aziendale e pensare come la logistica può contribuire a raggiungerla; significa diffondere il verbo del Supply Chain Management sia internamente all'azienda che esternamente ai fornitori, clienti ed operatori logistici. In sintesi estrema, tutto questo significa essere più vicini ai propri clienti, perché il Supply Chain Management inizia e finisce con il cliente.

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