Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie
in Medicina e Chirurgia
Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia
ESPERIENZA MONOCENTRICA DI UTILIZZO DELLA
TERAPIA CON IMMUNOGLOBULINE ENDOVENA
IN PAZIENTI CON MIOPATIE INFIAMMATORIE IDIOPATICHE
RELATORE
Prof.ssa Marta Mosca
CORRELATORE
Dott.ssa Rossella Neri
CANDIDATA
Chiara Cardelli
2
INDICE
ABSTRACT ... 4
1.
MIOPATIE INFIAMMATORIE IDIOPATICHE ... 6
1.1 Introduzione... 6
1.2 Epidemiologia ... 6
1.3 Eziopatogenesi ... 7
1.4 Classificazione ... 9
1.5 Caratteristiche cliniche ... 10
1.5.1 Quadri clinici specifici ... 11
1.5.2 Manifestazioni extramuscolari ... 13
1.5.3 Sindromi overlap ... 14
1.5.4 Associazione con neoplasie ... 14
1.6 Diagnosi ... 15
1.6.1 Esami di laboratorio ... 15
1.6.2 Esami strumentali ... 17
1.7 Criteri diagnostici ... 20
1.8 Criteri di attività di malattia ... 23
1.9 Terapia ... 25
1.9.1 Glucocorticoidi ... 26
1.9.2 Farmaci immunosoppressori ... 28
1.9.2.1 Farmaci immunosoppressori: metotrexato e azatioprina ... 28
1.9.2.2 Farmaci immunosoppressori: micofenolato mofetile (MMF) ... 29
1.9.2.3 Farmaci immunosoppressori: ciclosporina e tacrolimus ... 30
1.9.2.4 Farmaci immunosoppressori: ciclofosfamide ... 30
3
1.9.4 Farmaci biotecnologici ... 32
1.9.5 Terapia riabilitativa ... 34
1.10 Prognosi ... 35
2.
SCOPO DELLO STUDIO ... 36
3.
PAZIENTI E METODI ... 37
3.1 Pazienti ... 37
3.2 Metodi... 37
3.2.1 Studio retrospettivo ... 37
3.2.2 Studio osservazionale prospettico ... 38
3.3 Analisi statistica ... 41
4.
RISULTATI ... 42
4.1 Studio retrospettivo ... 42
4.2 Studio osservazionale prospettico ... 50
5.
DISCUSSIONE ... 56
APPENDICE... 61
I - Visual Analog Scale (VAS) ... 61
II - Health Assessment Questionnaire (HAQ) ... 62
III - M. D. Anderson Dysphagia Inventory (MDADI) ... 63
IV - Short Form Health Survey 36 (SF-36) ... 64
V - Treatment Satisfaction Questionnaire for Medication (TSQM) ... 67
4
ABSTRACT
Per Miopatie Infiammatorie Idiopatiche (MII) si intende un gruppo eterogeneo di rare malattie autoimmuni sistemiche, che trovano un elemento comune nel coinvolgimento infiammatorio della muscolatura scheletrica. Polimiosite (PM), dermatomiosite (DM) e miosite da corpi inclusi (MCI) ne costituiscono i fenotipi principali. Il quadro clinico è caratterizzato da progressivo deficit di forza muscolare, tipicamente a carico della muscolatura dei cingoli e prossimale degli arti. Di frequente, possono essere coinvolti vari altri organi, in particolare cute, polmoni, cuore e tratto gastroenterico.
A formare il sospetto diagnostico contribuiscono clinica, esami ematochimici con elevazione caratteristica di CPK e altri enzimi muscolari, positività per autoanticorpi miosite-specifici (MSA) e miosite-associati (MAA) ed esami strumentali, quali elettromiografia e risonanza magnetica muscolare. La diagnosi di certezza non può tuttavia prescindere dall’esecuzione di una biopsia muscolare.
La terapia farmacologica delle MII si avvale principalmente dell’utilizzo di glucocorticoidi e DMARDs (Disease Modifying AntiRheumatic Drugs). In alcuni pazienti, tuttavia, non è possibile ottenere un buon controllo di malattia con le terapie tradizionali e può essere indicato ricorrere a farmaci alternativi, come immunoglobuline endovena (IgEV) e farmaci biotecnologici (rituximab).
Background. Le IgEV agiscono come terapia immunomodulante, interferendo con
diversi meccanismi coinvolti nella patogenesi delle MII. Lo schema terapeutico comunemente utilizzato prevede un dosaggio di 2g/kg/mese, somministrato per infusione endovenosa in 2-5 giorni consecutivi. Gli effetti collaterali sono generalmente lievi e transitori e il principale svantaggio di questa terapia è rappresentato dai costi elevati. La letteratura medica sembra supportare l’efficacia delle IgEV nel trattamento delle MII, sebbene non sia ancora stato definito il loro esatto ruolo nella gestione del paziente con miosite.
Scopo dello studio. Obiettivo principale dello studio è l’analisi retrospettiva di una
casistica monocentrica di pazienti con MII in trattamento con IgEV, per valutare indicazioni di utilizzo, efficacia e potenziali eventi avversi della terapia. Obiettivo secondario è la valutazione prospettica della compliance e della durata dell’efficacia
5 dell’infusione mensile di IgEV, relativamente ai sintomi muscolari ed esofagei, in un sottogruppo di pazienti.
Pazienti e metodi. Per la parte retrospettiva, sono stati esaminati 59 pazienti con MII,
in terapia con IgEV ad alte dosi presso l’UO Reumatologia dell’AOUP, nel periodo gennaio 2002 – giugno 2017. Per la parte prospettica, sono stati arruolati 11 pazienti che hanno eseguito terapia con IgEV ad alte dosi nel periodo novembre 2016 – giugno 2017. Di ogni paziente, sono stati raccolti dati anagrafici, clinici, laboratoristici e terapeutici relativi ai primi sei mesi di trattamento. Nella fase di studio prospettico, i pazienti sono stati sottoposti a valutazione clinimetrica mediante l’utilizzo di MMT8, MDAAT, VAS medico e paziente, HAQ, MDADI, SF-36 e TSQM.
Risultati. Nel nostro studio, l’indicazione principale alla terapia con IgEV è risultata
la refrattarietà della MII alle terapie tradizionali. Dopo 6 cicli infusionali mensili, il trattamento con IgEV si è associato a miglioramento/scomparsa dell’impegno di malattia muscolare e/o esofageo nella maggior parte dei pazienti e dell’impegno cutaneo in buona parte dei pazienti con DM. È stata rilevata una riduzione statisticamente significativa dei livelli sierici di CPK e LDH e del grado di edema alla RM muscolare. La terapia con IgEV ha consentito di ridurre significativamente la dose giornaliera di corticosteroidi necessaria a mantenere un buon controllo di malattia. Eventi avversi di grado lieve-moderato si sono verificati in un quinto dei pazienti. In relazione allo studio prospettico, la valutazione clinimetrica ha mostrato un lieve miglioramento progressivo della sintomatologia durante i primi 14-21 giorni post-infusione, seguito da una stabilizzazione o da un peggioramento fino all’infusione del mese successivo. La soddisfazione dei pazienti relativa al trattamento con IgEV è risultata media.
L’analisi della nostra casistica monocentrica di pazienti conferma globalmente l’efficacia della terapia con IgEV nelle MII, sebbene i limiti intrinseci dello studio non consentano di trarre conclusioni definitive circa l’esatto ruolo del farmaco e lo schema terapeutico ottimale.
6
1.
MIOPATIE INFIAMMATORIE IDIOPATICHE
1.1 Introduzione
Le Miopatie Infiammatorie Idiopatiche (MII) sono un gruppo eterogeneo di malattie acquisite, a eziologia ignota e patogenesi autoimmune, caratterizzate da un coinvolgimento infiammatorio della muscolatura scheletrica, che si traduce clinicamente in debolezza e riduzione della forza muscolare. Sono tuttavia coinvolti di frequente anche altri organi, principalmente cute, polmoni, cuore e tratto gastroenterico. Le MII vengono quindi annoverate tra le patologie autoimmuni sistemiche.
Sulla base di caratteristiche cliniche e istopatologiche, le Miopatie Infiammatorie Idiopatiche vengono classificate in cinque grandi gruppi1: polimiosite (PM),
dermatomiosite (DM), miosite a corpi inclusi (MCI), miopatia necrotizzante immunomediata (IMNM) e sindromi overlap (PM/DM associata ad altre patologie del connettivo).
1.2 Epidemiologia
Le MII sono malattie rare, sebbene la reale incidenza e la prevalenza all’interno della popolazione generale non siano del tutto conosciute. I dati presenti in letteratura sono molto variabili a seconda degli studi, con un’incidenza che va da 1,2 a 66 nuovi casi/anno per milione di abitanti e una prevalenza stimata tra 2,9 e 34 casi ogni 100.000 abitanti2,3.
L’ampia variabilità nei dati epidemiologici delle MII può essere dovuta a differenze genetiche e/o a fattori ambientali, ma anche all’utilizzo di diversi criteri diagnostici.
Le MII possono interessare qualsiasi età, tuttavia l’incidenza segue un andamento bimodale, con un primo picco in età giovanile e un secondo picco in età avanzata. Mentre tra i bambini si osservano quasi esclusivamente casi di DM, la PM colpisce di solito soggetti con più di 18 anni e la MCI risulta essere la MII più frequente dopo i 50 anni di età4.
La malattia in generale predilige il sesso femminile, con un rapporto F:M di circa 2:1. Nello specifico, PM e DM sono effettivamente più comuni nel sesso femminile, mentre
7 la MCI ha una maggior prevalenza in quello maschile5. Questo suggerisce un
coinvolgimento degli ormoni sessuali nella patogenesi delle MII. Alcuni studi hanno dimostrato la presenza di variabilità stagionale e differenze geografiche nell’incidenza delle MII, sottolineando come fattori ambientali possano avere un ruolo nello sviluppo della malattia3.
In uno degli studi più recenti sull’epidemiologia delle MII, relativo alla popolazione svedese3, l’incidenza è risultata di 11 casi/anno per milione di abitanti, con un incremento
parallelo all’età e un picco massimo nella fascia 50-79 anni. Nel medesimo studio, la prevalenza si attestava su 14 casi ogni 100.000 abitanti.
1.3 Eziopatogenesi
Le conoscenze attuali consentono di affermare che il danno tissutale è mediato da meccanismi immunologici, sebbene l’esatta causa alla base delle miopatie infiammatorie idiopatiche resti ad oggi sconosciuta. L’ipotesi patogenetica più accreditata chiama in causa l’intervento di un fattore esogeno, in grado di scatenare una reazione immunitaria in soggetti geneticamente predisposti.
Fattori ambientali. Tra i fattori scatenanti presi in considerazione, i virus rivestono il
ruolo principale, similmente a quanto avviene per altre malattie autoimmuni. Quelli proposti e studiati comprendono coxsackie virus, retrovirus, virus influenzali, paramixovirus, citomegalovirus ed Epstein-Barr virus; tuttavia, ogni tentativo di amplificare il genoma virale dal tessuto muscolare non è andato a buon fine4,6-8. La
maggiore evidenza di connessione tra infezioni virali e MII riguarda i retrovirus: soggetti positivi a HIV o HTLV-1 possono sviluppare PM e MCI9,10. Antigeni retrovirali sono
stati però individuati soltanto nei macrofagi endomisiali e non all’interno delle fibre muscolari. Inoltre, PM e MCI HIV-associate devono essere differenziate da miopatie mitocondriali tossiche indotte dai farmaci antiretrovirali11.
Tra gli agenti non infettivi, sono stati chiamati in causa alcuni farmaci, come D-penicillamina, L-triptofano e ipocolesterolemizzanti, così come la somministrazione esogena di GH, l’innesto di protesi chirurgiche di silicone o collagene, l’esposizione a polveri di silice, monomeri di cloruro di vinile e altri solventi organici12. Anche
8 l’ipovitaminosi D potrebbe rappresentare un potenziale fattore di rischio per lo sviluppo di una MII13.
Fattori genetici. La suscettibilità genetica alle MII è strettamente correlata ai geni del
sistema maggiore di istocompatibilità, in particolare agli alleli HLA di classe II, come DRB1-0301 e DQA1-0501 nella popolazione caucasica e DRB1-0801 nella popolazione giapponese14. In particolare, questi alleli sembrano associati alla produzione di
autoanticorpi anti-aminoacil-tRNA-sintetasi.
L’eterogeneità clinica delle MII riflette probabilmente il coinvolgimento di meccanismi patogenetici diversi, tuttavia la presenza di aspetti condivisi da tutte le forme di malattia suggerisce l’esistenza di una base patogenetica comune.
Nella DM, il principale bersaglio del processo autoimmune sembra essere costituito dai capillari. Un antigene sconosciuto determina una precoce attivazione del complesso complementare di attacco alla membrana (MAC) C5b-9, che si deposita sulla superficie delle cellule endoteliali e conduce a necrosi, riduzione della densità dei capillari endomisiali, ischemia, fino alla distruzione delle fibre muscolari4,6,15,16. L’atrofia
perifascicolare residua riflette l’ipoperfusione, che risulta prevalente proprio alla periferia dei fasci muscolari. L’attivazione del MAC determina il rilascio di citochine pro-infiammatorie e l’aumento di espressione delle molecole di adesione sulle cellule endoteliali e facilita la migrazione dei linfociti attivati negli spazi perimisiali ed endomisiali1. L’infiltrato infiammatorio è costituito principalmente da linfociti B,
linfociti T CD4+ e cellule dendritiche plasmocitoidi.
La PM sembra essere provocata da un danno ai miociti cellulo-mediato. Linfociti T citotossici CD8+ circondano e invadono fibre muscolari non necrotiche, apparentemente normali, caratterizzate tuttavia da un’espressione aberrante di molecole MHC di classe I17, indotta probabilmente dalle citochine secrete dalle cellule T attivate18. I linfociti
CD8+ contengono granuli di perforina e granzima B, che in seguito a degranulazione determinano miocitonecrosi e da ultimo danno endomisiale19.
Anche nella MCI si riscontra la presenza di un infiltrato infiammatorio costituito principalmente da linfociti T citotossici CD8+. Questa tuttavia è una patologia complessa in cui, oltre alla componente autoimmunitaria, si identifica un’importante componente degenerativa, contraddistinta dalla presenza di depositi di proteina β-amiloide all’interno di alcune fibre muscolari1.
9 In tutte le MII si ha un aumento della produzione di Th17 e rilascio di citochine infiammatorie (es. IL-1, IL-6, IL-15), con conseguente sviluppo di un microambiente pro-infiammatorio che contribuisce alla progressione della miosite14.
1.4 Classificazione
La classificazione delle MII permette di individuare popolazioni omogenee di pazienti, al fine di identificare potenziali fattori eziologici, definire la storia naturale della malattia e predirne il decorso clinico, con lo scopo ultimo di guidare le decisioni terapeutiche. Storicamente, le MII vengono suddivise in tre gruppi principali: PM, DM e MCI6. I nuovi traguardi raggiunti dalla ricerca clinica hanno dimostrato l’utilità di
individuare alcuni subset di malattia, allo scopo di predire quali gruppi di pazienti presentino un aumentato rischio di sviluppare neoplasie, interstiziopatia polmonare e altre comorbidità associate alle MII. Nel corso degli anni sono state proposte innumerevoli classificazioni, tuttavia non si è ancora individuato uno schema classificativo ideale universalmente accettato.
I criteri classificativi proposti da Bohan e Peter nel 197520,21 sono quelli più
comunemente utilizzati, sebbene mostrino diversi aspetti limitanti, tra cui in particolare il mancato riconoscimento della MCI come entità clinica a sé stante e una scarsa specificità per la diagnosi di PM. Tali criteri si basano su osservazioni cliniche e suddividono le MII in 5 sottoclassi:
PM idiopatica primitiva; DM idiopatica primitiva;
PM o DM associata a neoplasia; PM o DM infantile;
sindromi overlap (PM o DM associata ad altre patologie del connettivo). La classificazione di Bohan e Peter è stata in seguito ampliata, aggiungendo un sesto gruppo relativo alla MCI e un settimo gruppo che individua altre rare forme di miosite.
La classificazione di Love22 identifica 4 subset di malattia, sulla base della positività
per autoanticorpi specifici:
anti-Jo1 e altri antisintetasi sindrome da anticorpi antisintetasi; anti-Mi2 DM;
10 anti-SRP PM;
anti-PM/Scl forme overlap di scleromiosite, oppure miosite o sclerosi sistemica isolate.
La più recente classificazione23 individua 6 entità con fenotipo clinico distinto:
dermatomiosite dell’adulto (DM); dermatomiosite giovanile (JDM);
dermatomiosite clinicamente amiopatica (CADM); miosite da corpi inclusi (MCI);
polimiosite (PM);
miopatia necrotizzante immuno-mediata (IMNM).
1.5 Caratteristiche cliniche
La sintomatologia principale, tipicamente d’esordio, delle MII è rappresentata dalle manifestazioni muscolari, che si caratterizzano per un progressivo deficit di forza, spesso simmetrico, della muscolatura dei cingoli e prossimale degli arti. I pazienti con MII presentano una difficoltà crescente nello svolgimento delle attività della vita quotidiana che richiedono l’utilizzo della muscolatura prossimale, come alzarsi da una sedia, salire le scale o sollevare oggetti4,6. La muscolatura distale è raramente e solo tardivamente
coinvolta nella PM, nella DM e nella IMNM, mentre un suo interessamento precoce si ritrova nella MCI, con difficoltà nell’esecuzione dei movimenti più fini, come cucire o abbottonarsi una camicia1,6.
In tutte le forme di MII possono essere interessati i muscoli estensori del collo e la muscolatura faringea, con conseguente difficoltà a mantenere il capo eretto (head drop) e/o disfagia1. Nei casi avanzati, si può avere il coinvolgimento della muscolatura
respiratoria. I muscoli oculari sono sempre risparmiati, mentre quelli facciali sono comunemente coinvolti nella MCI7.
L’atrofia muscolare è un reperto precoce nella MCI, con interessamento selettivo dei quadricipiti e dei muscoli dell’avambraccio, ma può svilupparsi in tutte le MII come conseguenza di una cronica e severa riduzione della forza1. Altre manifestazioni
comprendono mialgie e indolenzimento muscolare e si ritrovano più frequentemente nei pazienti con la sindrome da anticorpi antisintetasi1,24.
11 Le manifestazioni extramuscolari possono caratterizzare qualsiasi quadro di MII, sebbene si ritrovino solo raramente nella MCI1. Queste comprendono sintomi sistemici,
tra cui febbre, artralgie e fenomeno di Raynaud, disturbi della deglutizione come conseguenza dell’interessamento del tratto gastroenterico, aritmie o disfunzione ventricolare per coinvolgimento del muscolo cardiaco e complicanze polmonari, rappresentate principalmente dallo sviluppo di interstiziopatia.
1.5.1 Quadri clinici specifici
Dermatomiosite. Colpisce sia adulti che bambini e presenta una sintomatologia
precoce caratterizzata da manifestazioni cutanee che precedono o si accompagnano a debolezza muscolare1. La manifestazione cutanea più tipica è rappresentata dal rash
eliotropo, una colorazione blu-violacea che si localizza a livello delle palpebre superiori con edema periorbitale associato4. Il coinvolgimento cutaneo si caratterizza anche per la
presenza di rash eritematoso a livello di volto, collo, torace anteriore (talvolta con una forma a V caratteristica), torace posteriore e spalle (segno dello scialle), gomiti, ginocchia e malleoli. A livello delle articolazioni metacarpofalangee e interfalangee prossimali e distali si può osservare un eritema violaceo che può evolvere in una chiazza desquamante e la cute può apparire rilevata a scalino (papule di Gottron)25; tali lesioni possono
localizzarsi anche a livello della superficie estensoria di gomiti e ginocchia e a livello dei malleoli interni (segno di Gottron). Le lesioni cutanee della DM sono fotosensibili e possono peggiorare in seguito a esposizione ai raggi UV4.
Mediante capillaroscopia è possibile evidenziare la presenza di anse capillari dilatate alla base delle unghie25, fino al quadro del megacapillare. Il perionichio diviene ispessito
e irregolare e può esservi pitting ungueale.
Altra manifestazione rilevabile in corso di DM è costituita dalle calcificazioni sottocutanee, talora sporgenti sulla superficie cutanea, che possono ulcerarsi e andare incontro a infezione1. Tali manifestazioni sono comuni soprattutto tra i bambini.
Se il paziente non presenta deficit di forza, la DM può essere limitata alla cute, sebbene un coinvolgimento muscolare subclinico sia frequente4. Tale situazione
12
Polimiosite. A differenza della DM, in cui la presenza del rash consente un precoce
riconoscimento della patologia, l’esordio della PM non è sempre ben identificabile4. È
definita come una miopatia prossimale a esordio acuto o subacuto che insorge in adulti che non presentino rash, una storia familiare di malattie neuromuscolari, esposizione a farmaci miotossici, coinvolgimento dei muscoli facciali, endocrinopatie o il fenotipo clinico della MCI1. Rimane pertanto una diagnosi di esclusione.
Sindrome antisintetasi. Si contraddistingue per l’insorgenza di debolezza muscolare
prossimale simmetrica, con rilievi bioptici compatibili con MII, in presenza di positività per l’autoanticorpo anti-Jo1 nel 75% dei pazienti1. Si associa a febbre, artrite, fenomeno
di Raynaud e mani da meccanico (rash ipercheratosico con fissurazioni delle dita, particolarmente sul lato radiale del dito indice)22. Il 70% dei pazienti sviluppa
interstiziopatia polmonare1,26.
Miosite da corpi inclusi. È la miopatia infiammatoria disabilitante più comune negli
adulti oltre i 50 anni di età. L’esordio è insidioso e la patologia si sviluppa nell’arco di anni, talvolta in maniera asimmetrica, con una progressione costante, simulando una distrofia muscolare dell’età avanzata o una malattia del motoneurone lentamente progressiva1. Solitamente viene sospettata di fronte a un paziente con diagnosi di PM che
si mostri refrattaria alla terapia7.
Per una diagnosi precoce, caratteristici sono il coinvolgimento iniziale dei muscoli distali, specialmente gli estensori del piede e i flessori delle dita, l’atrofia dei quadricipiti e dei muscoli dell’avambraccio, le cadute frequenti dovute al cedimento delle ginocchia e la debolezza dei muscoli facciali1,27. Possono essere presenti camptocormia e/o head
drop a causa del coinvolgimento della muscolatura assiale. La disfagia è presente in oltre il 50% dei pazienti28.
Miosite necrotizzante autoimmune. È un’entità clinico-patologica distinta, più
frequente della PM, che costituisce fino al 19% di tutte le miopatie infiammatorie29. Può
colpire qualsiasi età, ma si riscontra più spesso negli adulti. L’esordio può essere sia acuto che subacuto, progredendo in modo costante, con severa ipostenia e livelli di CPK molto elevati30.
13
1.5.2 Manifestazioni extramuscolari
Manifestazioni articolari. Le artralgie sono frequenti nelle fasi di attività di malattia.
L’artrite associata a MII è tipicamente non erosiva, mentre la forma erosiva si ritrova più spesso in pazienti con positività per autoanticorpi anti-Jo1 e/o altri antisintetasi, costituendo spesso manifestazione d’esordio31. Possono essere presenti contratture
muscolari, soprattutto nei casi di DM.4
Manifestazioni gastroenteriche. La disfagia è dovuta al coinvolgimento
infiammatorio della muscolatura striata orofaringea e dell’esofago prossimale32,33. Può
manifestarsi in più del 30% dei pazienti34 ed è frequente nella MCI. La presenza di
disturbi della deglutizione può complicarsi con lo sviluppo di una polmonite ab ingestis.
Manifestazioni polmonari. Il coinvolgimento polmonare è presente nella metà dei
casi circa e condiziona la prognosi, costituendo uno dei principali fattori di rischio per mortalità in corso di MII. I sintomi polmonari comprendono dispnea, tosse non produttiva e talvolta dolore toracico e sono conseguenza della debolezza dei muscoli respiratori o della presenza di interstiziopatia, che si ritrova nel 10-40% dei pazienti affetti da MII26.
La frequenza di interstiziopatia polmonare sale fino al 70% tra i pazienti con sierologia positiva per autoanticorpi anti-Jo1 o anti-MDA524,26,35.
Manifestazioni cardiache. Anche l’impegno cardiaco costituisce un fattore di rischio
per mortalità nei pazienti con MII. Le manifestazioni cardiovascolari includono disturbi della conduzione atrioventricolare, tachiaritmie e miocardite nei pazienti in fase acuta di malattia36.
Calcinosi sottocutanea. Noduli calcifici sottocutanei si ritrovano prevalentemente nei
pazienti con DM, in particolare nelle forme giovanili, localizzati soprattutto a livello dei siti di compressione come gomiti, schiena e natiche. Talvolta possono protrudere dalla superficie cutanea e complicarsi con ulcerazioni, infezioni e dolore37.
Manifestazioni sistemiche. Tra i sintomi generali che si possono presentare in un
paziente con MII troviamo febbre, malessere, perdita di peso e fenomeno di Raynaud, riscontrabili soprattutto se la miosite è associata ad altre patologie del connettivo4.
14
1.5.3 Sindromi overlap
Una sindrome overlap è definita come la contemporanea presenza di due distinte patologie del connettivo e si manifesta con caratteristiche tipiche di entrambe le condizioni. Tra le MII, è la DM a entrare più spesso a far parte di sindromi overlap, associandosi soprattutto con la sclerosi sistemica e, più raramente, con la sindrome di Sjögren, il lupus eritematoso sistemico e l’artrite reumatoide6.
A livello sierologico, è di frequente riscontro in questi pazienti la positività per determinati autoanticorpi, come l’anti-PM/Scl in caso di overlap con la sclerosi sistemica e l’anti-Ro/SSA in caso di overlap con la sindrome di Sjögren38. Altri autoanticorpi
associati alle MII overlap sono anti-U1RNP e anti-Ku.
È segnalata anche l’associazione con altre patologie autoimmuni, soprattutto per quanto riguarda la PM: morbo di Crohn, cirrosi biliare primitiva, celiachia, miastenia gravis, psoriasi, tiroidite di Hashimoto, malattia di Kawasaki.
1.5.4 Associazione con neoplasie
Tra i pazienti con MII, quelli con DM presentano il rischio più alto di associazione con una neoplasia maligna39,40. Nei pazienti adulti con DM, la frequenza di cancro varia
tra il 9 e il 32% durante i 3-5 anni successivi alla diagnosi della miopatia41,42. In
particolare, la possibilità di neoplasia associata alla DM aumenta in presenza di determinate caratteristiche cliniche, tra cui età avanzata, sesso maschile43 e positività per
gli autoanticorpi anti-TIF1γ44.
La diagnosi di neoplasia può essere antecedente, contemporanea o successiva alla diagnosi di MII. Dai dati presenti in letteratura si evince che il rischio di cancro è massimo nell’anno precedente e in quello successivo alla diagnosi di miosite39.
Una recente metanalisi ha indagato l’associazione delle varie forme di cancro con le diverse tipologie di MII42. La DM si associa con neoplasie del polmone, dell’ovaio, della
mammella, del colon-retto, della cervice uterina, vescicali, nasofaringee, esofagee, pancreatiche e renali. In corso di PM è riportato invece un maggior rischio di cancro del polmone, del rene, della mammella, della vescica, dell’endometrio, della cervice, della tiroide, così come di linfoma, mieloma e tumori cerebrali.
15 Studi effettuati in continenti diversi rivelano che popolazioni differenti potrebbero essere a rischio di differenti neoplasie miosite-associate. Il cancro ovarico è la più frequente neoplasia associata alle MII in Europa e Nord America, mentre non è così comune nei Paesi asiatici, dove sono maggiormente rappresentati i tumori nasofaringei e polmonari45.
La sopravvivenza dei pazienti con neoplasia associata a MII è ridotta rispetto ai pazienti con la sola MII e, nella gran parte dei casi, la mortalità è da ricondurre alla neoplasia stessa46-49. Il concetto che la MII sia una manifestazione paraneoplastica è
supportato da studi che dimostrano miglioramento della miosite in seguito al trattamento della neoplasia e peggioramento in caso di recidiva del tumore50-53.
1.6 Diagnosi
Il sospetto clinico di MII si pone di fronte a una sintomatologia caratterizzata da insorgenza acuta o subacuta di debolezza muscolare e affaticabilità, generalmente simmetriche, soprattutto a carico della muscolatura dei cingoli e prossimale degli arti. Esami ematochimici e strumentali, che dimostrino infiammazione della muscolatura scheletrica e degenerazione/rigenerazione delle fibre muscolari, contribuiscono ad avvalorare l’ipotesi diagnostica.
1.6.1 Esami di laboratorio
Enzimi muscolari. La metodica più semplice per dimostrare il coinvolgimento della
muscolatura scheletrica è il dosaggio dei livelli sierici degli enzimi muscolari23,
principalmente creatin-fosfochinasi (CPK), ma anche lattato-deidrogenasi (LDH), aspartato-aminotransferasi (AST), alanina-aminotransferasi (ALT) e aldolasi, che risultano generalmente elevati. Un incremento degli enzimi muscolari non è tuttavia specifico per miosite, così come non può essere esclusa una MII di fronte a normali valori di tali enzimi.
I livelli sierici di CPK, l’enzima più specifico per il danno muscolare, aumentano in caso di necrosi e sono elevati nei pazienti con malattia attiva. L’incremento può essere anche molto marcato, fino a oltre 50 volte rispetto ai valori normali, soprattutto in caso
16 di IMNM1. Nonostante siano solitamente correlati con l’attività di malattia e quindi
trovino indicazione all’impiego nel follow-up dei pazienti, i valori di CPK possono risultare normali o solo modestamente aumentati in caso di DM attiva, MCI attiva o miosite overlap1.
Gli altri enzimi sono meno specifici di danno muscolare, ma risultano utili per il follow-up dei pazienti con patologia avanzata, nei quali la marcata atrofia muscolare si riflette in livelli di CPK nei limiti della norma.
Indici di flogosi. L’aumento degli indici di flogosi (VES, PCR, fibrinogeno) è un dato
aspecifico, compatibile con la diagnosi di MII.
Autoanticorpi. Con la scoperta di specificità autoanticorpali sempre più numerose e
lo sviluppo di tecniche sempre più sensibili per la loro individuazione, la sierologia ha assunto un ruolo di rilievo nell’inquadramento diagnostico delle MII. La ricerca della positività per determinati autoanticorpi si è rivelata un valido strumento per identificare specifici sottotipi di MII, con diverso fenotipo clinico e diverse implicazioni prognostiche e terapeutiche.
La presenza di autoanticorpi si ritrova in più del 60% dei pazienti con MII24,35,54. Tali
autoanticorpi sono classificati in anticorpi associati (MAA) e anticorpi miosite-specifici (MSA).
La positività per MAA si può riscontrare anche in altre patologie sistemiche autoimmuni, quali LES, sindrome di Sjögren e sclerosi sistemica. Tra gli MAA distinguiamo anticorpi SSA/Ro, Ro52, Ro60, La, PM/Scl75, anti-PM/Scl100, anti-Ku, anti-U1RNP, anti-cN1A23. Recentemente, l’anticorpo anti-cN1A è
stato identificato in pazienti con MCI e solo raramente in quelli con altri sottotipi di MII55,56. Sebbene questi autoanticorpi non siano specifici per miosite, la loro presenza
può essere utile per distinguere una miopatia infiammatoria da una miopatia non-autoimmune.
Gli MSA sono invece presenti quasi esclusivamente nelle MII o in particolari subset di malattia38. Il 20-25% dei pazienti con PM o DM mostra una positività per gli anticorpi
anti-Jo1, i più comuni tra gli MSA23. Gli anti-Jo1 sono diretti contro l’istidil-tRNA
sintetasi e si associano a manifestazioni specifiche di malattia, che caratterizzano la sindrome da anticorpi sintetasi. Esistono altre sette tipologie di anticorpi anti-sintetasi: anti-PL7, anti-PL12, anti-EJ, anti-OJ, anti-KS, anti-Zo, anti-YRS. Il bersaglio
17 di questi autoanticorpi è costituito da antigeni espressi in modo ubiquitario nel citoplasma delle cellule nucleate, con alcune variazioni di espressione tra differenti organi, da cui deriva, ad esempio, l’associazione tra coinvolgimento muscolare e polmonare nella sindrome da anticorpi anti-sintetasi57.
Uno degli MSA scoperti più di recente è diretto contro una proteina muscolo-specifica, four-and-a-half LIM domain 1 (FHL1). Gli anticorpi anti-FHL1 sono presenti nel 25% circa dei pazienti con PM, DM o MCI e si associano a un fenotipo clinico specifico, caratterizzato da atrofia muscolare severa e disfagia, in assenza di coinvolgimento polmonare o articolare58.
Gli altri MSA ad oggi identificati sono: anti-Mi2, anti-SRP, anti-TIF1γ, anti-NXP2, anti-MDA5, anti-SAE, anti-HMGCR23. Relativamente alla DM, gli autoanticorpi
anti-Mi2 si associano con le tipiche lesioni cutanee, gli anti-MDA5 con la CADM o con la presenza di interstiziopatia polmonare8,35,54, gli anti-TIF1γ e gli anti-NXP2 con la DM
dell’adulto associata a neoplasia59. Gli autoanticorpi anti-SRP e anti-HMGCR si
associano con maggiore frequenza alla IMNM54,60.
1.6.2 Esami strumentali
Elettromiografia (EMG). È una metodica d’indagine minimamente invasiva, che può
rivelarsi utile per escludere disordini neurologici e per determinare lo stato di attività di una miopatia, sebbene non esistano pattern EMG specifici per miosite.
I rilievi elettromiografici compatibili con una MII comprendono1: PUM (potenziali
di unità motoria) miopatici, polifasici, di bassa ampiezza e di breve durata all’attivazione volontaria; attività spontanea aumentata, con potenziali di fibrillazione, scariche ripetitive complesse e onde positive appuntite. L’EMG non consente tuttavia la diagnosi differenziale tra miopatie infiammatorie e miopatie tossiche o distrofiche.
Risonanza magnetica. La RM del muscolo scheletrico identifica le aree infiammate
e/o danneggiate mediante il rilievo di edema, sostituzione adiposa, fibrosi o atrofia61.
Sebbene l’edema della muscolatura scheletrica alla RM non sia specifico per miosite, viene rilevato più frequentemente nelle miositi rispetto alle miopatie non infiammatorie. La RM si è rivelata utile per valutare l’estensione dell’impegno muscolare da parte della
18 miopatia, per quantificare l’attività di malattia62 e per guidare la selezione del muscolo
con il maggior grado di infiammazione su cui effettuare la biopsia63.
Biopsia muscolare. Riveste un ruolo centrale nell’iter diagnostico delle MII,
finalizzato a confermare l’infiammazione della muscolatura scheletrica e a escludere miopatie di altra natura, anche se non sempre mostra un quadro tipico o specifico. È fondamentale nella diagnosi differenziale tra i vari subset di MII, soprattutto di fronte a un paziente che non presenti il tipico rash della DM23. Una biopsia muscolare negativa
non consente tuttavia di escludere una MII, potendo non mostrare alterazioni nel 10-20% dei casi12.
Il muscolo su cui eseguire la biopsia deve essere scelto in modo appropriato, in un tempo successivo all’esecuzione di una RM muscolare che individui la zona con il maggior grado di infiammazione.
L’esame istologico rivela caratteristiche specifiche per ogni fenotipo clinico di MII. Un’atrofia perifascicolare, spesso con infiltrati infiammatori perivascolari e interfascicolari, è diagnostica di dermatomiosite1,15,64.
Nella polimiosite e nella miosite da corpi inclusi l’infiltrato infiammatorio, costituito principalmente da linfociti T CD8+, è perivascolare e tipicamente concentrato in foci multipli all’interno dell’endomisio; l’individuazione del complesso MHC-CD8 è un utile ausilio per confermare la diagnosi ed escludere miopatie infiammatorie non immunomediate1,15.
Fig. 1 Dermatomiosite: infiammazione
perivascolare e perimisiale, necrosi perifascicolare. [Fonte: UpToDate]
19 La MCI presenta in aggiunta reperti miopatici cronici, con incremento della quota di tessuto connettivo e della variabilità del diametro fibrale, vacuoli autofagici e depositi di sostanza amiloide intorno ai vacuoli stessi1,27,65. In più del 30% dei pazienti con MCI, i
vacuoli e i depositi di amiloide non sono evidenti alla biopsia muscolare, che mostra esclusivamente l’infiltrato infiammatorio e conduce a una diagnosi errata di PM66.
Nella IMNM sono evidenti fibre muscolari necrotiche, invase o circondate da macrofagi1.
Valutazione dell’impegno sistemico di malattia. In seguito alla diagnosi di MII, è
raccomandata l’esecuzione di ulteriori indagini volte a indagare l’impegno extramuscolare di malattia23.
Il gold standard per lo studio del coinvolgimento polmonare è una TC del torace ad alta risoluzione (HRCT) che può mostrare come reperto indicativo di interstiziopatia la presenza di aree a nido d’ape (honeycomb) o di aree a vetro smerigliato (ground glass). In caso di interstiziopatia polmonare, le prove di funzionalità respiratoria rivelano un
Fig. 2 Polimiosite: intenso infiltrato
infiammatorio mononucleato interstiziale. [Fonte: UpToDate]
Fig. 3 Miosite da corpi inclusi: cellule
infiammatorie circondano e invadono una fibra muscolare non-necrotica. [Fonte: UpToDate]
20 quadro spirometrico caratterizzato da sindrome restrittiva e una ridotta capacità di diffusione alveolare, che tuttavia si riscontra soltanto nella metà dei pazienti67.
La presenza di disfagia viene indagata mediante l’esecuzione di una radiografia dell’esofago, che può mostrare ipotono/ipocinesi del viscere, oppure di una scintigrafia del transito oro-faringo-esofageo, che può evidenziare, in caso di impegno della muscolatura esofagea da parte della miosite, tempi di transito rallentati e ritenzione del bolo a livello orofaringeo e/o esofageo.
L’esclusione di un coinvolgimento cardiaco passa attraverso l’esecuzione di un ECG e di un esame ecocardiografico68.
Infine, è raccomandato uno screening paraneoplastico soprattutto nei pazienti con DM, in particolare in coloro che presentano positività per gli autoanticorpi anti-TIF1γ e/o scarsa risposta alla terapia immunosoppressiva convenzionale23. Poiché non esiste una
tipologia di cancro maggiormente associata alla DM, è necessario eseguire uno screening generale basato sull’età e sul sesso dei singoli pazienti, con una sorveglianza particolarmente accurata nei soggetti più anziani.
1.7 Criteri diagnostici
Negli ultimi 45 anni si sono susseguiti molteplici tentativi di stabilire criteri classificativi e diagnostici per le MII, che tuttavia, data la rarità e l’eterogeneità delle stesse, presentano sempre diverse limitazioni.
Medsger et al. furono tra i primi a proporre criteri per classificare le miositi, prendendo in considerazione la presenza di debolezza muscolare, l’evidenza di infiammazione alla biopsia muscolare, anomalie elettromiografiche compatibili con danno miopatico, elevati livelli ematici degli enzimi muscolari e la risposta clinica ai corticosteroidi69. DeVere e Bradley proposero una classificazione simile, basata su criteri
clinici, laboratoristici, elettromiografici e bioptici70.
Bohan e Peter, nel 1975, stabilirono i criteri diagnostici maggiormente utilizzati nel corso delle ultime quattro decadi20,21 (Tab. 1). Rispetto ai tentativi precedenti,
introducevano delle novità: esclusione preliminare di ogni altra forma di miopatia; differenziazione del grado di certezza della diagnosi di PM/DM (possibile, probabile, definita), sulla base del numero dei criteri presenti; inclusione del rash caratteristico tra i
21 criteri diagnostici di DM; descrizione maggiormente dettagliata di tutti gli altri criteri individuati in precedenza; definizione di 5 subset di MII, introducendo le forme di miosite giovanile, overlap e associata a neoplasia.
Tab. 1 Criteri di Bohan e Peter per la diagnosi di PM/DM
Criteri di Bohan e Peter per la diagnosi di PM/DM
1. Ipostenia simmetrica, di solito progressiva, della muscolatura dei cingoli e prossimale degli arti
2. Evidenza di miosite alla biopsia muscolare
3. Elevazione dei livelli sierici degli enzimi muscolari (CPK, LDH, aldolasi, transaminasi)
4. Triade miopatica all’EMG (potenziali di unità motoria polifasici, di bassa ampiezza e di breve durata; potenziali di fibrillazione, anche a riposo; scariche bizzarre ripetute ad alta frequenza)
5. Rash caratteristico della DM
Una PM risulta definita in presenza dei primi 4 criteri, probabile in presenza di 3 dei primi quattro criteri e possibile in presenza di 2 dei primi quattro criteri. La DM è definita, probabile o possibile in presenza di rash più, rispettivamente, 3, 2 o 1 degli altri quattro criteri.
Anche i criteri di Bohan e Peter, tuttavia, presentavano limitazioni legate a difficoltà interpretative, oltre a non prevedere l’esistenza della MCI come entità specifica.
Dalakas ha poi proposto una modifica dei suddetti criteri, aggiungendo quelli identificativi di MCI e definendo i reperti bioptici che consentono la diagnosi differenziale tra le diverse entità6.
Nel 1995, Tanimoto et al. proposero nove caratteristiche come criteri diagnostici di PM/DM71: rash eliotropo, segno di Gottron o eritema lineare degli estensori; debolezza
prossimale degli arti e del tronco; aumento dei livelli di CPK o aldolasi; dolore muscolare spontaneo o alla palpazione; triade miopatica all’EMG; positività per gli autoanticorpi anti-Jo1; artrite non erosiva o artralgie; segni di infiammazione sistemica (febbre, aumento degli indici di flogosi); evidenza di miosite alla biopsia muscolare.
Sempre nel 1995, Griggs et al. definirono quelli che sono ancora oggi i criteri diagnostici maggiormente utilizzati per la MCI72 (Tab. 2).
22 Tab. 2 Criteri di Griggs per la diagnosi di MCI
Criteri di Griggs per la diagnosi di MCI
A. Caratteristiche cliniche 1. Durata > 6 mesi
2. Età d’esordio > 30 anni
3. Debolezza della muscolatura prossimale e distale degli arti, con almeno una peculiarità tra:
i. debolezza dei flessori delle dita
ii. debolezza dei flessori del polso maggiore rispetto agli estensori iii. debolezza dei quadricipiti di grado MRC ≤ 4
B. Caratteristiche di laboratorio 1. CPK < 12 x valori normali 2. Biopsia muscolare che mostri:
i. miopatia infiammatoria (con parziale invasione delle fibre muscolari da parte dell’infiltrato infiammatorio)
ii. vacuoli bordati
iii. un’ulteriore caratteristica tra
a. depositi intracellulari di amiloide
b. tubulofilamenti di 15-18 nm, visibili alla microscopia elettronica
Una diagnosi di MCI definita è possibile solo di fronte a una biopsia muscolare positiva per tutti e tre i criteri anatomopatologici, indipendentemente dalla clinica. In presenza di caratteristiche cliniche compatibili, con invasione parziale ma in assenza di vacuoli bordati e amiloide o tubulofilamenti, la diagnosi di MCI deve essere considerata soltanto possibile.
Targoff et al. utilizzarono un approccio diverso, valutando prima se un paziente rispondesse ai criteri definiti per le MII e solo successivamente la sottoclassificazione in PM/DM/MCI73. Ai cinque criteri di Bohan e Peter, ne aggiunsero un sesto che prendeva
in considerazione la positività per uno qualunque degli MSA.
Nel 2003, Dalakas e Hohlfeld aggiornarono i criteri di Bohan e Peter con maggiori dettagli basati sulle indagini anatomopatologiche e immunoistochimiche4. Definirono
inoltre i criteri diagnostici per la DM amiopatica.
Nel 2005, Oddis et al. suggerirono un’ulteriore modifica dei criteri di Bohan e Peter, definendo la presenza di rash eliotropo o di papule di Gottron come requisito per la diagnosi di DM e una biopsia muscolare indicativa di PM come criterio necessario per la diagnosi della stessa74.
Le critiche mosse ai vari criteri proposti negli anni, basati il più delle volte sull’impressione clinica e non adeguatamente testati riguardo alle relative sensibilità e
23 specificità, hanno reso evidente la necessità di definire nuovi criteri classificativi e diagnostici per le MII. L’International Myositis Classification Criteria Project (IMCCP), avviato nel 2004 da un gruppo di esperti dell’International Myositis Assessment and Clinical Studies Group (IMACS), si propone di raggiungere questo obiettivo23. I nuovi
criteri classificativi sono stati parzialmente validati con buoni risultati e sono attualmente in fase di revisione da parte dell’American College of Rheumatology (ACR) e dell’European League Against Rheumatism (EULAR).
1.8 Criteri di attività di malattia
Data l’estrema eterogeneità clinica e laboratoristica delle MII, ad oggi non sono ancora stati identificati criteri universalmente accettati per valutare l’attività di malattia. Uno dei primi metodi proposti è il monitoraggio dei livelli sierici degli enzimi muscolari75, che tuttavia presenta diversi limiti intrinseci.
Le CPK correlano spesso con l’attività della MII, ma non nella totalità dei casi. Pur essendo l’enzima più specifico per il danno muscolare, i valori di CPK possono risultare normali o solo modestamente aumentati anche in corso di malattia attiva4. Inoltre, in caso
di marcata atrofia muscolare, le CPK rientrano nel range di normalità o possono addirittura essere ridotte. Le CPK possono poi risultare alterate per cause indipendenti dalla MII, tra cui i traumi muscolari (anche iatrogeni, da EMG e/o biopsia muscolare) e la terapia farmacologica con statine. Esistono anche dei casi in cui l’aumento cronico delle CPK non si associa ad alcuna patologia (iperCPKemia idiopatica) o in cui si ha un falso aumento delle CPK, dovuto alla presenza di isoforme enzimatiche di peso specifico maggiore (macroCPKemia).
Gli altri enzimi muscolari (LDH, aldolasi, transaminasi) hanno una specificità troppo bassa per poter essere utilizzati come indicatori dell’attività di malattia76, così come gli
indici di flogosi (VES, PCR), che aumentano a fronte di qualsiasi patologia infiammatoria.
I markers di attivazione sierologica, comprendenti fattore di Von Willebrand, neopterina, IL-2 solubile, recettori del TNF, linfociti B e cellule CD4+, presentano una buona correlazione con l’attività di malattia, ma non sono utilizzabili routinariamente a causa dei costi elevati e della scarsa disponibilità77.
24 Nel corso degli ultimi venti anni, l’International Myositis Assessment and Clinical Studies Group (IMACS) ha definito una serie di misure fondamentali per valutare l’attività di malattia della miosite78.
Attività globale (medico e paziente). Si tratta di una valutazione globale dell’attività di malattia eseguita sia dal medico che dal paziente e riportata su una scala graduata come la VAS (Visual Analog Scale). Il punteggio della VAS spazia da un minimo di 0, che indica inattività di malattia, a un massimo di 10, che rappresenta una miosite massimamente attiva79.
Il medico deve giudicare l’attività di malattia valutando tutte le informazioni in suo possesso al momento della visita, tra cui l’aspetto del paziente, la sua storia clinica, l’esame obiettivo, i risultati degli esami ematochimici e la terapia domiciliare. Anche il paziente dà un giudizio sull’attività di malattia, basandosi sulla sua percezione di infiammazione attiva a livello muscolare, cutaneo, articolare, gastrointestinale, polmonare e cardiaco.
Il limite di questa valutazione, in cui entra in gioco l’esperienza di chi la esegue, è rappresentato dalla sua soggettività. Tuttavia, i dati a disposizione dimostrano che l’attività globale medico/paziente è una valida misura complessiva dell’attività di malattia ed è considerata parte integrante della valutazione del paziente con MII80.
Manual Muscle Test (MMT). È una misurazione della forza muscolare che viene effettuata tramite un esame obiettivo standardizzato, eseguito da un operatore esperto. Il paziente deve compiere movimenti in senso anti-gravitario e mantenere determinate posizioni contro resistenza75.
Esistono varie alternative che differiscono nel numero dei gruppi muscolari da esaminare, tuttavia la più adatta all’utilizzo nella pratica clinica è il Manual Muscle Test 8 (MMT8)81, una versione ridotta della forma originale75,78, in
cui 8 gruppi muscolari assiali, prossimali e distali vengono valutati unilateralmente, con l’assegnazione a ciascuno di un punteggio da 0 a 10 che sommato poi agli altri determina il punteggio finale dell’MMT8 (range 0-80). Una forza muscolare normale corrisponde a valori di MMT8 prossimi al punteggio massimo.
25 I limiti dell’MMT includono l’operatore-dipendenza, la difficoltà di alcuni pazienti ad assumere le posizioni richieste e l’impossibilità di discriminare tra attività di malattia e danno muscolare, perdendo in sensibilità e specificità nella valutazione di pazienti con MII di lungo corso con accumulo di danno e atrofia muscolare progressiva80.
Health Assessment Questionnaire (HAQ). È un questionario che valuta la funzionalità fisica nello svolgimento delle attività della vita quotidiana82.
Le domande, cui il paziente risponde con un punteggio da 0 a 3 in relazione alla difficoltà riscontrata nell’eseguire le varie attività (0 = nessuna difficoltà; 3 = impossibilità all’esecuzione), sono suddivise in otto domini. Il punteggio finale viene attribuito assegnando a ogni dominio il valore della relativa domanda con punteggio più alto, quindi facendo la media dei valori dei vari domini. Per punteggi di HAQ più elevati (range 0-3), il paziente incontra maggiori difficoltà nelle attività della vita di tutti i giorni.
L’HAQ nasce per la valutazione dei pazienti con artrite reumatoide e i dati a sostegno del suo utilizzo nelle MII sono limitati80, sebbene possa rivelarsi
utile per l’inquadramento del paziente.
Myositis Disease Activity Assessment Tool (MDAAT). È uno strumento che quantifica l’attività di malattia integrando la valutazione dell’impegno extramuscolare con quella dell’impegno muscolare. È costituito da due diversi sistemi valutativi, MYOACT e MITAX, dei quali il primo utilizza una scala VAS per ogni possibile organo coinvolto dalla MII, mentre il secondo valuta specifiche manifestazioni di malattia relative a impegno costituzionale, cutaneo, scheletrico, gastrointestinale, polmonare, cardiaco e muscolare83.
1.9 Terapia
Il trattamento delle miositi rappresenta una sfida per il clinico, dal momento che non esistono linee guida terapeutiche standardizzate: le MII sono infatti malattie rare, caratterizzate da eterogeneità clinica e fenotipica, e soltanto pochi trials clinici controllati e randomizzati sono stati portati a termine84-87 (Tab. 3). Di conseguenza, la scelta della
26 terapia iniziale e la successiva gestione del paziente con i vari farmaci oggi disponibili sono solitamente empiriche.
La terapia farmacologica delle MII si avvale dell’utilizzo di glucocorticoidi e di molti farmaci immunosoppressori o immunomodulanti tradizionali, tra cui metotrexato (MTX), azatioprina (AZA), micofenolato mofetile (MMF), ciclofosfamide (CFX), ciclosporina (CYA), tacrolimus e immunoglobuline endovena (IgEV). Negli ultimi anni, il largo impiego di farmaci biologici nel trattamento dell’artrite reumatoide ha portato a estenderne l’utilizzo anche ad altre malattie autoimmuni, tra cui le MII88.
Tab. 3 Principali farmaci e relativo livello di evidenza nel trattamento delle MII88,89
Farmaco Utilizzo Livello di evidenza
Glucocorticoidi Terapia iniziale di prima linea, con o
senza IS associato Aneddotico; no RCT
Metotrexato Terapia immunosoppressiva di prima
linea Studi retrospettivi non controllati, studi di coorte
Azatioprina Terapia immunosoppressiva di prima
linea
1 trial controllato, studi di coorte retrospettivi non controllati
Micofenolato mofetile
MII refrattarie; manifestazioni cutanee refrattarie; ILD
Studi di coorte retrospettivi non controllati; case series
Ciclosporina Terapia immunosoppressiva di seconda
linea; ILD miosite-associata Studi retrospettivi non controllati; case series
Tacrolimus Terapia immunosoppressiva di seconda
linea; ILD miosite-associata
Studi retrospettivi, alcuni controllati; case series
Ciclofosfamide Forme refrattarie severe, con ILD Case series
Immunoglobuline endovena
Terapia di seconda linea: MII refrattarie; disfagia; manifestazioni cutanee
refrattarie
1 trial placebo-controllato in doppio cieco; case series
Rituximab MII refrattarie; ILD 1 trial controllato in doppio cieco; studi non
controllati; case series
1.9.1 Glucocorticoidi
Sebbene non siano stati condotti trials clinici controllati sull’efficacia dei glucocorticoidi per il trattamento delle MII dell’adulto, la comunità scientifica è concorde
27 nell’affermare che il loro utilizzo è sia efficace che necessario nella gestione iniziale del paziente con malattia attiva.
La terapia di attacco in presenza di importante riduzione della forza muscolare, con o senza manifestazioni extramuscolari di malattia, prevede la somministrazione di prednisone per os, a un dosaggo iniziale di 1 mg/kg/die, solitamente senza superare gli 80 mg/die88. La dose iniziale può essere ridotta in caso di miosite lieve o in presenza di
alcune controindicazioni all’utilizzo dei corticosteroidi (es. diabete mellito).
Lo schema terapeutico può variare in base alle singole situazioni, ma in generale si tende a proseguire con il dosaggio iniziale per 4-8 settimane, monitorando i livelli sierici di CPK, la forza muscolare e le altre eventuali manifestazioni di malattia. Dopo 1-2 mesi di terapia corticosteroidea orale ad alte dosi, si procede con il decalage dello steroide, riducendo il dosaggio del 20-25% ogni mese, fino al raggiungimento di una dose di 5-10 mg da mantenere per un anno.
I pazienti con manifestazioni severe di malattia, come astenia muscolare marcata, lesioni ulcerative in corso di DM, disfagia importante o interstiziopatia polmonare rapidamente progressiva, possono beneficiare della terapia con boli di metilprednisolone, somministrati per via endovenosa a un dosaggio di 1 g/die per 3 giorni consecutivi, seguiti dalla terapia steroidea orale descritta in precedenza. Questi pazienti dovrebbero iniziare una terapia concomitante con immunosoppressori a scopo steroido-risparmiatore, utile tuttavia anche nei casi di PM/DM dell’adulto di nuova diagnosi.
Almeno il 50% dei pazienti con MII non ottiene una risposta completa alla terapia con solo cortisone o presenta una riacutizzazione di malattia al decalage dello steroide90.
In caso di fallimento della terapia con glucocorticoidi è sempre necessario rivalutare la diagnosi, prendendo in considerazione altri fattori come lo sviluppo di una miopatia da steroidi o la presenza di una neoplasia associata alla miosite.
L’introduzione in terapia di farmaci immunosoppressori è indicata in caso di malattia severa e refrattaria con manifestazioni extramuscolari, ripetute riacutizzazioni in seguito ai tentativi di decalage dello steroide, necessità di ridurre il dosaggio e la durata della terapia corticosteroidea per limitarne gli effetti collaterali. La tendenza è comunque quella di utilizzare precocemente un immunosoppressore a scopo steroido-risparmiatore.
28
1.9.2 Farmaci immunosoppressori
L’introduzione precoce in terapia di farmaci immunosoppressori consente di ridurre considerevolmente il dosaggio e la durata della terapia steroidea e si rende necessaria in caso di severi effetti collaterali degli stessi corticosteroidi e nei pazienti che presentino controindicazioni al loro utilizzo89. Oltre all’impiego come farmaci
steroido-risparmiatori, gli immunosoppressori sono indicati in caso di ripetute riacutizzazioni di malattia al decalage dello steroide e in caso di mancata risposta alla monoterapia steroidea.
L’efficacia dei farmaci immunosoppressori, tuttavia, non è generalmente supportata da risultati ottenuti in trials clinici controllati e randomizzati e i dati circa il loro utilizzo spesso derivano da studi open label e casistiche retrospettive. In particolare, i dati sull’impiego in monoterapia sono scarsi e contrastanti91. Pertanto, alcuni autori ritengono
che, nei casi di fallimento della terapia steroidea nell’indurre remissione di malattia e nei casi di MII rapidamente progressiva, si debba ricorrere anche ad altre terapie (es. IgEV o farmaci biotecnologici)92.
Dopo 2-3 mesi di trattamento, una MII non responsiva alle terapie tradizionali (glucocorticoidi e immunosoppressori) è meritevole di rivalutazione della diagnosi, inclusa l’eventuale ripetizione di una biopsia muscolare.
1.9.2.1 Farmaci immunosoppressori: metotrexato e azatioprina
Il farmaco immunosoppressore di prima scelta nel trattamento delle MII dell’adulto è solitamente uno tra metotrexato e azatioprina.
Il metotrexato può essere somministrato per os, intramuscolo o sottocute, in dosaggi variabili fino a 25 mg/settimana. Sebbene non esistano trials clinici controllati che ne stabiliscano l’efficacia nella PM/DM, i risultati di molti studi retrospettivi e open-label sono a sostegno del suo utilizzo nella pratica clinica93.
In passato, a causa della potenziale tossicità polmonare del metotrexato, la positività per autoanticorpi anti-Jo1 ne rappresentava una controindicazione, per l’alto rischio di sviluppare interstiziopatia (ILD). Poiché tuttavia il metotrexato è abbastanza efficace sulle manifestazioni muscolari e articolari nei pazienti positivi ad anti-Jo1 e/o altri
29 antisintetasi, oggi si tende a utilizzarlo, a patto che la manifestazione principale da trattare non sia proprio l’ILD miosite-associata88.
Tra gli effetti collaterali più comuni devono essere ricordati tossicità epatica, soppressione midollare e aumentato rischio di infezioni89. Durante la terapia con
metotrexato, è pertanto necessario monitorare periodicamente alcuni parametri ematochimici, tra cui emocromo, transaminasi, albumina e creatinina.
L’azatioprina ha mostrato un’efficacia analoga al metotrexato in studi comparativi90.
Studi retrospettivi ne hanno dimostrato l’efficacia per il trattamento dell’interstiziopatia polmonare in corso di miosite94,95. Lo schema terapeutico prevede un dosaggio orale
iniziale di 50 mg/die, con incremento di 25-50 mg ogni 1-2 settimane, fino a una dose massima di 2-2,5 mg/kg/die88.
Prima di introdurre in terapia l’azatioprina, è indicato eseguire uno screening per il deficit di tiopurina S-metiltransferasi (TPMT), l’enzima responsabile del suo metabolismo. I disturbi gastrointestinali rappresentano i più comuni effetti collaterali riferiti dai pazienti durante il trattamento con azatioprina, ai quali raramente possono aggiungersi soppressione midollare (specialmente nei pazienti con deficit di TPMT), tossicità epatica, pancreatite e aumentato rischio di infezioni89. Ai fini di riconoscere
precocemente eventuali tossicità, è necessario procedere periodicamente a un monitoraggio della terapia con esami ematochimici di routine.
In caso di fallimento terapeutico dei singoli farmaci, deve essere valutata la possibilità di associare metotrexato e azatioprina96.
1.9.2.2 Farmaci immunosoppressori: micofenolato mofetile (MMF)
Il MMF è un profarmaco dell’acido micofenolico, che inibisce la sintesi della guanosina, determinando da ultimo l’arresto della proliferazione dei linfociti T e B. I dati presenti in letteratura supportano l’efficacia del MMF, in monoterapia o in combinazione, sia nella PM che nella DM97-100, anche nel trattamento delle manifestazioni cutanee
refrattarie ad altre terapie101,102 e dell’interstiziopatia polmonare miosite-associata103-105.
Dai risultati di uno studio clinico condotto in aperto su 7 pazienti con miosite severa, l’associazione di MMF e IgEV ha portato alla completa remissione106.
30 Il MMF viene somministrato per os a una dose iniziale di 250-500 mg x 2/die, fino a raggiungere il dosaggio terapeutico di 2000-3000 mg/die88. I principali effetti collaterali
sono costituiti da soppressione midollare, intolleranza gastrointestinale e aumentato rischio di infezioni89.
1.9.2.3 Farmaci immunosoppressori: ciclosporina e tacrolimus
L’effetto immunosoppressore di questi due farmaci si esplica impedendo in ultima analisi l’attivazione dei linfociti T, con un meccanismo d’azione basato sull’inibizione della calcineurina e conseguentemente della trascrizione genica di alcune citochine (es. IL-2)88. Poiché le cellule T sono implicate nella patogenesi sia della miosite che
dell’interstiziopatia polmonare, l’utilizzo di ciclosporina o tacrolimus può essere particolarmente vantaggioso nei pazienti con MII, trovando un razionale terapeutico nel trattamento dell’ILD107-109.
La terapia con ciclosporina prevede un dosaggio di 3 mg/kg/die in due somministrazioni, con effetti collaterali quali nefrotossicità, neurotossicità, alterazioni del metabolismo glucidico, iperkaliemia, cefalea, tremore, ipertensione, sintomi gastrointestinali e aumentato rischio di infezioni89.
Il tacrolimus ha una potenza immunosoppressiva maggiore rispetto alla ciclosporina89 e, sebbene la tossicità ne limiti l’uso, può essere impiegato anche come
farmaco steroido-risparmiatore di prima linea110.
1.9.2.4 Farmaci immunosoppressori: ciclofosfamide
È un agente alchilante, il cui utilizzo è gravato da importanti effetti collaterali (soppressione midollare, epatotossicità) e dalla, seppur rara, relazione con lo sviluppo tardivo di neoplasie (tumore della vescica)88,89. Per questo, viene solitamente impiegato
nel trattamento delle manifestazioni severe di malattia, come un’interstiziopatia polmonare rapidamente progressiva111 o una vasculite sistemica. Un recente studio ha
dimostrato l’efficacia della combinazione di ciclofosfamide e rituximab in pazienti con positività per autoanticorpi antisintetasi e severa ILD112.
31
1.9.3 Immunoglobuline endovena (IgEV)
Le IgEV nascono come terapia sostitutiva per il trattamento delle immunodeficienze, tuttavia nel tempo sono stati dimostrati diversi altri effetti positivi delle immunoglobuline, a partire da quello anti-infiammatorio e immunomodulatorio91. Dal loro primo utilizzo
nel trattamento della PM, riportato da Roifman et al. nel 1987113, l’efficacia della terapia
con IgEV nelle miositi è stata confermata da molti studi, essendo tra l’altro uno dei pochi trattamenti supportati da studi clinici controllati e randomizzati. In uno di questi, Dalakas et al. hanno dimostrato che i pazienti trattati con IgEV andavano incontro a un miglioramento significativo per quanto concerne gli score relativi alla forza muscolare e la sintomatologia neuromuscolare86. I risultati di alcuni studi retrospettivi sono a sostegno
dell’efficacia delle IgEV nel trattamento della maggior parte dei pazienti con MII caratterizzata da impegno polmonare e/o esofageo114,115.
Come terapia immunomodulante, le IgEV agiscono sul sistema immunitario a vari livelli. È stato dimostrato che nelle MII sono in grado di diminuire l’attività del complemento e la deposizione del MAC sui capillari e sulle fibre muscolari, l’espressione di molecole di adesione e la produzione di citochine pro-infiammatorie, sopprimendo inoltre l’attivazione dei linfociti T e impedendone la migrazione all’interno del tessuto muscolare116. Il trial clinico condotto da Dalakas86 ha dimostrato che, in seguito al
trattamento della DM con IgEV, al miglioramento del deficit di forza corrispondono a livello bioptico un aumento del diametro delle fibre muscolari, un aumento nel numero e una diminuzione nel diametro dei capillari, la risoluzione dei depositi endoteliali di complemento e una riduzione nell’espressione di ICAM-1 e degli antigeni MHC-I.
La terapia immunomodulante con IgEV è raramente impiegata come prima linea di trattamento nei pazienti con MII, ma può trovare indicazione in alcune situazioni specifiche, come in caso di controindicazioni all’utilizzo di corticosteroidi117. Le IgEV
rappresentano una valida opzione terapeutica soprattutto nel trattamento delle forme refrattarie di malattia, in corso di riacutizzazione e in caso di PM/DM severa o rapidamente progressiva91.
Studi clinici hanno dimostrato che le IgEV, associate alla terapia corticosteroidea, possono migliorare significativamente la forza muscolare, il rash cutaneo e diminuire i livelli sierici di CPK. La risposta alla terapia con IgEV è rapida e consente una graduale riduzione della dose quotidiana di corticosteroide necessaria al controllo della malattia,
32 evitando così gli effetti collaterali a lungo termine di una terapia steroidea ad alte dosi protratta91.
Tra i possibili farmaci utilizzabili a scopo steroido-risparmiatore, a fronte degli effetti collaterali degli immunosoppressori tradizionali e dell’aumentato rischio di infezioni associato all’utilizzo del rituximab, la scelta migliore sembra ricadere sulle IgEV92.
Lo schema terapeutico standard prevede l’infusione di 2 g/kg/mese di IgEV, suddivisi in più dosi da somministrare in 2-5 giorni consecutivi91. La durata iniziale del trattamento
è di 3-6 mesi. La somministrazione in un breve periodo di tempo consente di ottenere concentrazioni ematiche del farmaco più elevate e di aumentarne l’efficacia. Infusioni ripetute a intervalli regolari aiutano a mantenere stabili i livelli ematici di IgEV, ma il costo relativamente elevato di questa terapia ne limita l’utilizzo a lungo termine.
La terapia con IgEV è solitamente ben tollerata e l’insorgenza di gravi effetti collaterali è rara. Alcuni studi riportano una prevalenza di effetti avversi che va dallo 0,5 al 7,3%91. Tra questi, solitamente lievi e transitori, troviamo cefalea, febbre, brividi,
vertigini, nausea, vomito, diarrea, ipertensione e rash cutaneo, che possono essere risolti riducendo la velocità di infusione e/o somministrando farmaci sintomatici. Raramente, si possono manifestare eventi tromboembolici a causa dell’aumentata viscosità del sangue e del sovraccarico di volume. Per evitare eventi avversi gravi di questo tipo, le IgEV dovrebbero essere somministrate in concentrazione non superiore al 5% e a una velocità di infusione di 4 ml/kg/h115,118,119. In generale, le IgEV sono quindi un farmaco sicuro,
che non presenta controindicazioni all’utilizzo in gravidanza120,121 e nei pazienti anziani.
1.9.4 Farmaci biotecnologici
Rituximab. È un anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CD20 espresso sulla
superficie dei linfociti B, pertanto la terapia con rituximab determina la deplezione delle cellule B. Da diversi anni è utilizzato nel trattamento delle miositi con buoni risultati, anche se la maggior parte degli studi effettuati è limitata a piccole coorti di pazienti 122-124. Il rituximab viene somministrato per via endovenosa in due dosi di 1 g ciascuna, con
un intervallo di 2 settimane tra la prima e la seconda infusione88. Ad oggi non esiste un
parere unanime della comunità scientifica relativamente al timing di eventuali ripetizioni del trattamento con anti-CD20. I principali effetti avversi del rituximab includono