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Ruolo dei fibroblasti nella patogenesi della malattia correlata a IgG-4

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

Corso di Laurea Magistrale in Biologia Applicata alla Biomedicina

Curriculum Fisiopatologico

RUOLO DEI FIBROBLASTI NELLA PATOGENESI DELLA MALATTIA

CORRELATA A IgG-4

Candidata: Relatori:

Teresa Costanzo Prof.ssa Paola Migliorini

Prof. Aldo Paolicchi

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2 1. ABSTRACT………. Pag. 4 2. INTRODUZIONE……….Pag.6 LA MALATTIA DA IgG4 EPIDEMIOLOGIA

EZIOPATOGENESI FATTORI GENETICI ANTICORPI IgG4

IgG4: RUOLO IN ALCUNE PATOLOGIE IgG4: RUOLO NELLA IgG4-RD

CELLULE T CELLULE B MACROFAGI CLINICA

SEGNI E SINTOMI SISTEMICI

SEGNI E SINTOMI ORGANO-SPECIFICI INTERESSAMENTO D’ORGANO ESAMI EMATOCHIMICI IgG4 IgG4/IGG TOTALI GAMMAGLOBULINE IgE AUTOANTICORPI

SISTEMA DEL COMPLEMENTO PLASMABLASTI

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3 ANATOMIA PATOLOGICA ANGIOGENESI FATTORI PRO-ANGIOGENICI FATTORI PRO-ANGIOGENICI FIBROSI

ANGIOGENESI E FIBROSI NELLA IgG4-RD

3. SCOPO DELLA TESI ……….pag. 25

4. MATERIALI E METODI………pag. 26

5. RISULTATI ………...pag.39

6. CONCLUSIONI ………pag.48

7. BIBLIOGRAFIA ………..pag. 51

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1. ABSTRACT

La IgG-4 related disease (IgG4-RD) è una sindrome ad eziologia in gran parte sconosciuta costituita da un insieme di disordini che condividono specifiche caratteristiche patologiche, sierologiche e cliniche. Tali caratteristiche includono la tumefazione “tumor-like” degli organi interessati, un infiltrato linfocitario ricco di plasmacellule IgG4-positive, l’incremento di IgG4 sieriche (con un alterato rapporto IgG4/IgG totali) e un grado variabile di fibrosi tissutale.

Il ruolo delle IgG4 nella patogenesi della malattia è ancora poco chiaro: sono una sottoclasse unica nella struttura e funzione, per la possibilità di “scambio” tra Fab, che crea anticorpi bispecifici ma funzionalmente monovalenti, che non possono attivare la via del complemento e legare in modo stabile i recettori per Fc di tipo attivatorio.

Lo scopo di questo lavoro di tesi è di valutare interazione fra anticorpi sierici e fibroblasti, nell’ipotesi che anticorpi sierici possano influenzare la produzione da parte dei fibroblasti tissutali di citochine e chemochine importanti nella patogenesi della malattia.

Sono stati selezionati pazienti con IgG4-RD nel cui siero sono presenti titoli elevati di IgG4.

Frazioni di IgG totali sono state isolate dal siero di 10 pazienti mediante precipitazione del siero con solfato di ammonio e successiva cromatografia di affinità su Proteina A (che permette di purificare IgG1, IgG2 e IgG4 dal resto delle proteine precipitate dall’ ammonio solfato).

Colture di fibroblasti di cute sono state ottenute mediante trattamento con tripsina e collagenasi di frammenti di tessuto cutaneo prelevati durante biopsie o altri interventi chirurgici. Tutti gli

esperimenti sono stati effettuati al 3°-5° passaggio delle cellule in coltura. Le IgG sono state

incubate a tempi e concentrazioni differenti su fibroblasti. Si è poi proceduto a valutare il pattern di citochine e chemochine prodotte nel supernatante di coltura.

In esperimenti preliminari è stato utilizzato un multiarray specifico per fattori angiogenetici umani ed è stato osservato un notevole aumento di produzione di IL-8 ed un aumento minore di GM-CSF, Angiogenina a seguito dell’ incubazione dei fibroblasti con le IgG di pazienti. Ulteriori conferme di

questo risultato iniziale sono state ottenute mediante ELISA a sandwich che ha dimostrato come le IgG di pazienti con IgG4-RD inducano produzione di IL-8 da parte dei fibroblasti.

In parallelo sono stati effettuati esperimenti di Immunofluorescenza e di immunoblot, per valutare il legame delle IgG ai fibroblasti.

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I risultati indicano che le IgG di alcuni pazienti legano i fibroblasti fissati con metanolo/acetone. Inoltre, riconoscono due antigeni di peso molecolare 30 KDa e 67 KDa presenti nel lisato di fibroblasti

Gli esperimenti da noi effettuati suggeriscono quindi che le IgG presenti nel siero di pazienti con IgG4-RD legano i fibroblasti e ne inducono la produzione di IL-8.

Analizzando separatamente IgG1/IgG2 e IgG4, abbiamo potuto verificare che queste capacità di legame possono essere esclusive delle IgG4 oppure condivise da anticorpi appartenenti a più sottoclassi.

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2 INTRODUZIONE

LA MALATTIA DA IgG4

La malattia da IgG4 (IgG4-RD) è una condizione fibroinfiammatoria ad eziologia sconosciuta che può colpire fondamentalmente ogni organo. I più colpiti sono le ghiandole salivari maggiori, i tessuti orbitari e periorbitari, il retroperitoneo, il pancreas, i linfonodi. La principale caratteristica clinica è la formazione di tumefazioni, mentre quelle istologiche sono un infiltrato infiammatorio ricco di plasmacellule IgG4+, fibrosi storiforme e flebite obliterante, che si riscontrano in modo simile in tutti gli organi colpiti. Il riscontro di livelli elevati di IgG4 nel siero dei pazienti affetti è frequente, ma non costante [1].

Questa malattia, scoperta nel 1995 a seguito di studi sulla pancreatite autoimmune, è stata riconosciuta come condizione sistemica solo nel 2003, quando sono state osservate lesioni extrapancreatiche in soggetti affetti, appunto, da pancreatite autoimmune. Molte condizioni mediche interpretate a lungo come confinate a un singolo organo fanno invece parte, attualmente, dello spettro della IgG4-RD [2].

Per quanto riguarda la patogenesi della malattia, rimangono diversi aspetti da approfondire. Sicuramente, dal momento in cui la condizione è stata riconosciuta, il ruolo delle IgG4 è stato ridimensionato: nonostante sia plausibile che le IgG4 giochino un ruolo importante nel procurare il danno tissutale, è ormai ritenuto improbabile che siano l’elemento alla base della patogenesi. Recenti studi mostrano come i linfociti B e i plasmablasti, i linfociti T e le interazioni tra queste popolazioni cellulari, siano, invece, centrali nello stimolare i processi infiammatorio e fibrotico [1].

EPIDEMIOLOGIA

Ci sono pochi studi sull’incidenza e la prevalenza globali della IgG4-RD e quelli esistenti sono stati condotti prevalentemente in Giappone e si concentrano sulla pancreatite autoimmune (AIP), la patologia dalla cui analisi è poi derivata la definizione di IgG4-RD data da Kamisawa nel 1995. La prevalenza stimata di AIP è di 0,8 casi ogni 100.000 persone in Giappone. In uno studio della Mayo Clinic, analizzando 245 pancreas provenienti da pazienti sottoposti a resezioni per patologie benigne, la pancreatite autoimmune è stata trovata nell’11% dei casi. Si può, quindi, pensare che le difficoltà nella diagnosi e la mancanza di familiarità con la IgG4-RD portino ad una sottostima della sua prevalenza.

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Nonostante i pochi studi epidemiologici riguardo alla IgG4-RD, alcune caratteristiche sono evidenti. La maggioranza dei pazienti affetti è rappresentata da maschi (62%-83%) con un’età medio-avanzata (>50 anni). Studi condotti in Giappone suggeriscono un rapporto tra i due sessi di 2,8:1 a favore dei maschi, con addirittura il 90% di prevalenza nel sesso maschile per le IgG4-RD che coinvolgono reni e retroperitoneo. Questo contrasta con i dati riguardanti le altre malattie autoimmuni con interessamenti d’organo simili, come ad esempio la sindrome di Sjogren o la cirrosi biliare primitiva, dove le donne sono nettamente più colpite [2]. Uno studio del 2016 ha analizzato i dati riguardanti 6 coorti (450 pazienti in totale) provenienti da Giappone, USA, Cina, Spagna, Italia e Francia, che conferma la prevalenza nel sesso maschile e l’età media d’esordio nella sesta decade, con un range molto ampio (12-86 anni). [3]

La popolazione asiatica, in particolare giapponese, risulta essere la più colpita. Seguono Europa e Nord America (Fig.1) [4].

Figura 1 Distribuzione dei casi diagnosticati di IgG4-RD nel mondo

EZIOPATOGENESI

FATTORI GENETICI

Non è nota una chiara associazione genetica, né sono stati riportati casi familiari di malattia. Tra i diversi fattori genetici di suscettibilità per la IgG4-RD, ne sono stati individuati alcuni che

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sembrano essere più importanti. In un piccolo studio su pazienti giapponesi affetti da AIP di tipo 1 (pancreatite IgG4-relata), è stato individuato un possibile link con HLA (DRB1*0405 e DQB1*0401), ma anche con un polimorfismo di NF-κB, con il gene del FcRL3, espresso dai linfociti B, con KCNA-3, gene che codifica per un canale del potassio voltaggio-dipendente e, infine, con CTLA-4, espresso dai linfociti T di memoria e dai linfociti T regolatori.

Sono state individuate anomalie nell’immunità innata dei pazienti affetti da IgG4-RD: l’attivazione di NOD-2 e i ligandi dei TLR espressi su monociti e basofili aumentano la risposta IgG4 tramite BAFF e IL-13, nonostante l’agente patogeno scatenante rimanga sconosciuto [5].

L’osservazione di tutte queste associazioni non definisce però il ruolo preciso di un gene nella patogenesi della malattia, quanto piuttosto rende conto di un pannello di possibili fattori che aumentano la possibilità di insorgenza della patologia.

ANTICORPI

La maggior parte dei pazienti affetti da IgG4-RD presenta ipergammaglobulinemia, con livelli di IgG totali aumentati e livelli di IgG4 che possono risultare anche molto elevati. In numerosi casi, tali pazienti possono presentare autoanticorpi. In particolare è stato osservato che esiste un’ampia omologia tra l’anidrasi carbonica umana II (CA-II) e l’anidrasi carbonica di H. pylori. I segmenti omologhi contengono il motivo legante HLA DRB1*0405 (uno degli alleli HLA che si associano alla AIP di tipo I). Una elevata omologia di sequenza si osserva anche tra la proteina legante il plasminogeno di H. pylori e la componente n-recognin 2 dell’ubiquitina-proteina ligasi E3 (gene UBR2), espressa dalle cellule acinari pancreatiche. La maggior parte dei pazienti con pancreatite IgG4-relata presenta anticorpi contro entrambe le proteine di H. pylori; a causa del mimetismo molecolare, in soggetti predisposti, questi anticorpi si comportano come autoanticorpi [2]. Altri autoantigeni riconosciuti sono la lattoferrina (LF) e l’inibitore secretorio della tripsina (PSTI), distribuiti in pancreas, vie biliari, ghiandole salivari e in molti altri organi. In modelli murini, si sviluppano pancreatiti, colangiti, nefriti interstiziali o sialoadeniti simili a quelle della IgG4-RD, tramite immunizzazione con CA-II e LF [5].

Analisi ultrastrutturali hanno dimostrato depositi granulari elettrondensi a livello della membrana basale dei tubuli renali e dei dotti pancreatici in pazienti con IgG4-RD. Questi depositi sono costituiti principalmente da IgG4 e C3, ma sono presenti anche IgG1, IgG2 e IgG3 [2].

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IgG4

Le IgG4 sono anticorpi unici sia nella struttura che nella funzione. Rappresentando meno del 5% delle IgG nelle persone sane, sono la sottoclasse di IgG meno abbondante. La sua concentrazione normale oscilla tra 0,01 e 1,4 mg/ml, un range amplissimo considerando che il limite inferiore è oltre 100 volte minore rispetto al superiore; nel singolo individuo, comunque, tale concentrazione tende ad essere stabile nel tempo. Nonostante esista oltre il 95% di omologia tra i domini della regione costante delle IgG4 e quelli delle altre IgG, le differenze di sequenza aminoacidica nel secondo dominio della regione costante riducono la capacità delle IgG4 di legare sia il C1q, sia i FcγRs. Quindi, le IgG4 non sono in grado di attivare la via classica del complemento [2]. Inoltre, l’incapacità di legare FcγR e C1q rende le IgG4 incapaci di attivare i fagociti e di innescare meccanismi di citotossicità anticorpo-dipendente e di danno mediato dal complemento.

Le IgG4, secondo quello che viene definito “modello temporale”, sono probabilmente prodotte alla fine della risposta immune, nel caso in cui l’antigene persista e non sia stato eliminato prima.

Le IgG4 sono anche prodotte tipicamente nella risposta agli allergeni alimentari e ambientali; prima di ottenere titoli significativi di IgG4, è necessaria un’esposizione di lunga durata. La risoluzione delle allergie infantili è accompagnata da una cambio nel profilo anticorpale anti-allergeni dalle IgE alle IgG4. La produzione di IgG4 è stimolata anche dai trattamenti desensibilizzanti attuati in diverse malattie allergiche. In questi contesti, le IgG4 svolgono un ruolo protettivo dagli allergeni bloccando e sequestrando gli allergeni e prevenendo, così, il contatto con le IgE localizzate sulla superficie dei mastociti [6].

Una caratteristica unica delle IgG4 è la reazione di scambio di metà anticorpo, detta anche Fab-arm exchange. Le IgG4 formano facilmente legami disolfuro nella loro regione cerniera, ma questi legami sono instabili [2]. La differenza di un singolo amminoacido nella regione cerniera (una serina al posto della prolina presente nelle IgG1), causa difficoltà nella formazione dei ponti disolfuro [6]. Per questo, in vitro, circa il 50% delle IgG4 presenta forze non covalenti a tenere unite le sue catene pesanti. In vivo, questa percentuale può variare in base a fattori locali, come il pH, ad esempio [2]. Come risultato di questa instabilità, questi anticorpi possono andare incontro al Fab-arm exchange, dove metà di una IgG4, costituita da una catena pesante e da una leggera legate covalentemente, si associa con un’altra metà, avente specificità diversa (Fig. 2, a). Si formano, così anticorpi potenzialmente bispecifici che, però, sono funzionalmente monovalenti. Questi anticorpi non sono in grado di formare immunocomplessi, proprio perché non possono formare cross-link con gli antigeni.

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Tutte queste caratteristiche esclusive delle IgG4, rendono ragione della diffusa visione di questi anticorpi come antiinfiammatori [2].

IgG4: RUOLO IN ALCUNE PATOLOGIE

Nonostante le IgG4 siano tradizionalmente viste come anticorpi antiinfiammatori, queste Ig giocano un ruolo centrale in alcune patologie immunomediate: il pemfigo volgare e il pemfigo foliaceo sono caratterizzati dalla presenza di autoanticorpi contro la desmogleina, principalmente costituiti da IgG4.

IgG4: RUOLO NELLA IgG4-RD

La riduzione dei livelli circolanti di C3 e C4 è osservata comunemente nella IgG4-RD, nonostante le IgG4 non attivino direttamente il complemento. In più, si ritrovano depositi di C3 e IgG4 lungo la membrana basale sia nella AIP, sia nella TIN IgG4-relate. L’ipocomplementemia è particolarmente comune, tra il 50% e il 70% tra i pazienti con TIN IgG4-relata. Questo reperto è frequente nelle malattie con deposito di immunocomplessi e potrebbe, quindi, supportare l’idea che le IgG4 abbiano un ruolo in questo senso: ciò appare in contraddizione con l’incapacità di fissare il complemento. La fissazione del complemento potrebbe avvenire grazie ad altre sottoclassi, come le IgG1, elevate nella IgG4-RD; oppure grazie all’attivazione delle vie alternativa e lectinica del complemento, da parte degli immuno-complessi formati da IgG4. Ѐ possibile, perciò, che le IgG4 abbiano un limitato potere proinfiammatorio e che gli immunocomplessi da esse formati riducano la risposta infiammatoria e la risposta dei linfociti B.

La natura degli immunocomplessi che si formano in vivo nella IgG4-RD rimane sconosciuta. Si ipotizzano due meccanismi. A causa del Fab-arm exchange tra anticorpi con specificità per antigeni diversi, possono risultare anticorpi funzionalmente monovalenti, con la conseguente formazione di immunocomplessi piccoli che non precipitano. Nel caso in cui le due braccia dell’anticorpo formatosi con il Fab-arm exchange fossero, invece, specifiche per due diversi epitopi dello stesso antigene, potrebbero formarsi immunocomplessi di grandi dimensioni. Questi immunocomplessi vengono difficilmente rimossi a causa della mancanza di legame da parte del complemento, spiegando così i depositi di IgG4 ritrovati in alcuni casi di IgG4-RD (Fig.2, b) [6].

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Figura 2 a. Caratteristiche delle sottoclassi di IgG e Fab-arm exchange; b. Formazione di immunocomplessi dopo Fab-arm exchange. [6]

CELLULE T

Le cellule T sono la popolazione più abbondante nei tessuti colpiti. La visione classica della IgG4-RD è quella in cui la risposta T cellulare nei tessuti affetti sia polarizzata nella direzione dei Th2: l’espressione degli mRNA delle citochine caratteristiche come IL-4, IL-5, IL-10 e IL-13 risulta più elevata rispetto alle altre condizioni autoimmuni. Questo dato potrebbe spiegare gli elevati livelli di IgE ed eosinofili presenti in circa il 40% dei pazienti con IgG4-RD e l’importante produzione di IgG4, dato che le citochine di tipo Th2 causano lo shift isotipico verso IgE e IgG4[2]. Tuttavia, nuove evidenze dimostrano come l'aumento di Th2 nella IgG4-RD non sia presente nei soggetti non atopici. [7]

Un’altra caratteristica peculiare è l’attivazione delle cellule T regolatorie (Treg). Questo contrasta con le altre malattie autoimmuni, dove queste cellule sono ridotte. L’attivazione delle Treg è dimostrata sia dai livelli di mRNA codificante FOXP3 nei tessuti, sia dagli infiltrati di queste cellule CD4+CD25+. Le Treg producono IL-10 (come i Th2), ma anche TGF-β, che risulta

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iperespresso in questa patologia. TGF-β svolge un ruolo chiave nella formazione di tessuto fibrotico Anche l' iperproduzionedi IL-13, che attiva i fibroblasti e aumenta la deposizione di matrice, può essere causa di fibrosi [6] (Fig.3).

Figura 3 Cellule, citochine e implicazioni clinico-patologiche in IgG4-RD [2]

Studi recenti suggeriscono che le cellule T giochino un ruolo fondamentale nella patogenesi della IgG4-RD con meccanismi differenti dall'espansione di Th2 o Treg.

Sono state individuate delle cellule T CD4+ citotossiche (CTL) in alte concentrazioni sia nel sangue periferico che nelle lesioni, dove rappresentano la popolazione cellulare CD4+ dominante: questo fa pensare che abbiano un ruolo centrale. Queste cellule producono interleuchine come TGF-β1, IL-1β e IFN-γ [7], ma anche il granzima B e la perforina, solitamente associate alle cellule T CD8+ [1]. La concentrazione sierica dei CTL CD4+ SLAMF7+ cala drasticamente in seguito a terapie che riducono le cellule B (Rituximab), nonostante CTL CD4+ non esprimano CD20 sulla loro superficie [7]. L’ipotesi più plausibile è che queste cellule sopravvivano grazie alla continua presentazione dell’antigene operata dalle cellule B. L’interazione tra cellule B e T sembra, quindi, un punto chiave dove interferire con la terapia. Con plasmablasti e cellule B, CTL CD4+ sono probabilmente i principali responsabili del danno d’organo e della fibrosi: l’IFN-γ prodotto da

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queste cellule può contribuire ad attivare i macrofagi, promuovendo la fibrosi. Infatti, i macrofagi e i fibroblasti stimolati, producono una densa fibrosi con pattern storiforme [1].

CELLULE B

Sia le cellule B che i plasmablasti hanno funzioni fondamentali nella patogenesi della IgG4-RD, la più importante delle quali sembra essere la presentazione dell’antigene alle cellule T. I plasmablasti si ritrovano, infatti, in alte concentrazioni nel sangue, a prescindere da quelle di IgG4. I plasmablasti circolanti mostrano un’intensa ipermutazione somatica, che testimonia l’interazione con le cellule T nei centri germinativi dei linfonodi [1].

Come già descritto, la riduzione del numero di cellule B provoca la riduzione del numero di cellule T e, quindi, inibisce molti dei processi patologici alla base della IgG4-RD (Fig. 4).

MACROFAGI

La presenza di macrofagi attivati è stata dimostrata nelle biopsie di ghiandole salivari di soggetti affetti da malattia di Mikulicz, una forma di malattia da IgG4 localizzata esclusivamente nelle ghiandole salivari e lacrimali. suggerendo un ruolo diretto di queste cellule nella fibrogenesi nella malattia a IgG4. E' noto che i macrofagi sono coinvolti in angiogenesi, immunomodulazione, guarigione delle ferite e fibrosi, dato che producono PDGF e TGF-β. Inoltre, è stato dimostrato che i macrofagi di pazienti con IgG4-RD stimolano i linfociti B a produrre IgG4, se stimolati via TLRs e recettori NOD-like. La produzione di IgG4 dipende dalla secrezione di BAFF da parte di monociti attivati[8].

Figura 4 Interazioni tra le cellule coinvolte nella patogenesi della IgG4-RD [6]

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CLINICA

I pazienti affetti da IgG-RD, solitamente, hanno una storia clinica non rilevante. L’unica caratteristica che si riscontra frequentemente, fino al 40% dei soggetti, è una lunga storia di manifestazioni allergiche: atopia, riniti, sinusiti, asma ed eczema [2].

Tipicamente, il paziente con IgG4-RD giunge all’attenzione del medico per l’interessamento di un singolo organo e i sintomi ad esso correlati. Solo una minoranza dei pazienti ha perdita di peso, febbre, manifestazioni di infiammazione sistemica e innalzamento dei reattanti di fase acuta.

Possono esserci miglioramenti spontanei, ma più frequentemente la malattia progredisce in modo lento e indolente [6].

I segni e i sintomi alla presentazione sono molto variabili e possono essere distinti in sistemici e organo-specifici.

SEGNI E SINTOMI SISTEMICI

La maggior parte delle IgG4-RD esordiscono in modo subacuto. Alcuni pazienti hanno un calo ponderale anche importante, ma piuttosto lento, che porta il soggetto a rendersi conto della situazione solo dopo settimane o mesi. Le principali manifestazioni sistemiche sono astenia (26%), perdita di peso (21%) e febbre (8%), poco frequenti e aspecifiche.

SEGNI E SINTOMI ORGANO-SPECIFICI

La caratteristica tipica della malattia è la presenza di tumefazioni, che vengono spesso scambiate per neoplasie. In circa il 40% dei soggetti affetti, è coinvolto un singolo organo al momento della prima valutazione. I sintomi organo-specifici riscontrati sono stati: dolore addominale (40%), sindrome sicca (15%), sintomi respiratori (13%), prurito (13%) e diarrea (7%). Altre manifestazioni, che indagate più a fondo hanno portato direttamente alla diagnosi, sono state: ingrossamento delle ghiandole salivari (42%), linfoadenopatie (42%), ingrossamento delle ghiandole lacrimali (26%), ittero (23%), epatomegalia (6%) e splenomegalia (4%). La maggioranza delle masse che si formano ha un atteggiamento indolente, ma in alcuni casi è stata riportata distruzione locale dei tessuti, inclusa l’erosione ossea.

La malattia multiorgano è, a volte, più semplice da riconoscere perché il paziente appare più debilitato, ma spesso il quadro multiorgano è l’evoluzione di coinvolgimenti metacroni, aggiuntisi uno alla volta nel corso di mesi o anche anni [9].

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INTERESSAMENTO D’ORGANO

Gli organi più frequentemente coinvolti nella IgG4-RD sono le ghiandole salivari, in particolare le sottomandibolari, e il pancreas. Seguono ghiandole lacrimali, linfonodi, vie biliari e colecisti, retroperitoneo, tiroide, reni, polmoni, occhio e tessuti perioculari, aorta, fegato. Molti altri organi possono essere colpiti, ma con frequenza molto inferiore: ipofisi, meningi, prostata, mammella, cute, pericardio, valvola aortica [10], vie aeree superiori, orecchio, pericardio, pleura, mediastino, regione paraspinale, nervi periferici (Fig.5) [6].

Figura 5 Frequenza dell’interessamento d’organo nella IgG4-RD [4]

ESAMI EMATOCHIMICI:

Il quadro laboratoristico generale risulta normale in questi pazienti. Ciò che si può rilevare è l’alterazione degli indicatori di funzionalità d’organo, come, ad esempio, l’elevazione della creatinina sierica o la comparsa di proteinuria in caso di interessamento renale o l’alterazione degli

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indicatori di colestasi o di funzionalità epatica, che suggeriscono di indagare le vie biliari e il pancreas.

IgG4

Il limite superiore dei valori normali di IgG4 sieriche è 135 mg/dL. Concentrazioni superiori sono un utile indizio ma non sono né necessarie né sufficienti per la diagnosi di IgG4-RD. Infatti, la maggior parte dei pazienti con IgG4-RD può avere concentrazioni di IgG4 policlonali anche di molto superiori ai valori normali, ma esiste una minoranza significativa che va dal 20% al 40% di pazienti con livelli sierici normali di IgG4, nonostante la presenza negli organi coinvolti del tipico aspetto istologico della IgG4-RD.

Inoltre, anche in soggetti sani o in persone affette da altre malattie si possono ritrovare livelli di IgG4 elevati, anche di 2-3 volte maggiori rispetto ai valori normali [11].

Possiamo, quindi, affermare il riscontro di livelli elevati di IgG4 sierici ha una bassa specificità (60%) e una basso valore predittivo per la diagnosi di IgG4-RD (34%): affidarsi solo ai livelli di IgG4 porterebbe a sottodiagnosticare la IgG-RD [8].

Spesso, livelli maggiori di IgG4 sono correlati a un numero maggiore di organi interessati dalla malattia; diversamente, non esiste correlazione tra attività di malattia o risposta al trattamento e livelli di IgG4 [11]. In più, livelli elevati di IgG4 sembrano identificare un gruppo più “infiammatorio” di IgG4-RD caratterizzato da un più esteso interessamento d’organo, alti livelli degli indici di flogosi, ipocomplementemia e –forse– maggior resistenza al trattamento rispetto alle IgG4-RD con livelli normali di IgG4. In uno studio su pazienti con AIP, si riporta una maggior frequenza di alcuni sintomi, un maggior numero di lesioni extrapancreatiche e una dimensione maggiore delle lesioni pancreatiche nei pazienti con livelli di IgG4 più elevati [9].

IgG4/IGG TOTALI

Il rapporto IgG4/IgG è inferiore al 5% nei soggetti normali, mentre il valore medio nei pazienti con IgG-RD è risultato essere 40% (range 25%-86%) [11].

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GAMMAGLOBULINE

Livelli di IgG sieriche totali superiori a 1800 mg/dL (ipergammaglobulinemia) sono riportati nel 61% dei pazienti. La maggior parte degli studi riporta livelli medi di IgG compresi tra 1800 e 3600 mg/dL. Uno studio recente riporta la presenza di una banda monoclonale nel siero dei pazienti affetti da IgG4-RD causata dalla migrazione relativamente ristretta di IgG4 policlonali, che possono formare un caratteristico “ponte” che unisce le frazioni β e γ nell’elettroforesi delle proteine sieriche (β-γ bridging) (Fig.12).

Figura 11 Tracciato elettroforetico delle proteine sieriche in IgG4-RD [11]

IgE

Risultano elevate nel 58%. Le citochine prodotte dai linfociti Th2, molto presenti nei processi immunologici correlati alla IgG4-RD, stimolano infatti la proliferazione degli eosinofili e la produzione delle IgE [2].

AUTOANTICORPI

Sebbene alcuni pazienti con IgG4-RD possano presentare anticorpi che reagiscono anche contro proteine self (p.e. anticorpi diretti contro le proteine di H. pylori, che per mimetismo molecolare riconoscono anche le corrispondenti proteine autologhe), non sono rilevabili autoanticorpi specifici che possano essere utili in fase di diagnosi. Infatti, la prevalenza di anticorpi anti-nucleo è di quasi il 30%, mentre un fattore reumatoide è stato trovato nel 20% dei sieri, solitamente entrambi a basso titolo.

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SISTEMA DEL COMPLEMENTO

L’ipocomplementemia è molto comune tra i pazienti con malattia renale IgG4-relata [9]. Circa la metà dei pazienti con malattia renale IgG4-relata sono ipocomplementemici [6]. Il meccanismo per questa associazione non è chiaro, dato che, teoricamente, le IgG4 non legano il complemento. Probabilmente, gli immunocomplessi formati da altre sottoclassi che legano il complemento, come IgG1 e IgG3, possono rendere conto di questo dato.

PLASMABLASTI

Uno studio recente indica che i pazienti con IgG4-RD hanno un importante aumento di plasmablasti circolanti CD19+ CD20- CD38+ CD27+. I plasmablasti possono essere identificati con la citometria di flusso sul sangue periferico dei pazienti. La concentrazione dei plasmablasti IgG4+ è aumentata anche nei pazienti con IgG4-RD con livelli di IgG4 normali. In più, il numero dei plasmablasti sembra diminuire drasticamente in terapia e aumentare di nuovo durante le riprese di malattia; questo sembra proporre il numero di plasmablasti come marker per la diagnosi e la valutazione di attività di malattia e di risposta al trattamento [9].

VALUTAZIONE QUANTITATIVA DI IgG4 E PLASMACELLULE IgG4+

La quantificazione delle IgG4 tissutali è fondamentale per la diagnosi di IgG4-RD, soprattutto nei casi in cui i livelli sierici di IgG4 sono normali. Inoltre, è semplice da effettuare, facilmente riproducibile e fornisce una conferma per la diagnosi.

Il numero di plasmacellule IgG4+ ha un range molto ampio e varia in base all’organo a causa del grado di fibrosi al momento della diagnosi (Fig. 15). Nella pancreatite IgG4-relata, il ritrovamento di un numero di plasmacellule IgG4+ >30 per HPF è considerato essere specifico. Il cut-off proposto come parte dei requisiti fondamentali per la diagnosi è >10 per HPF.

Il rapporto tra le plasmacellule IgG4+ e quelle IgG+ è più affidabile rispetto alla conta delle plasmacellule IgG4+ per stabilire la diagnosi. Infatti, esistono lesioni non IgG4-relate associate ad un alto numero di plasmacellule IgG4+ per HPF solo perché l’infiltrato è ricco di plasmacellule: la conta delle plasmacellule IgG4+, da sola, non aiuta a distinguere queste situazioni dalla IgG4-RD. Alcuni ricercatori hanno proposto un rapporto tra plasmacellule IgG4+/IgG+ >40% come cut-off ragionevole per ogni organo. Questo rapporto è stato inoltre adottato come criterio diagnostico

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istologico per la IgG4-RD. Questo rapporto deve essere supportato da altre evidenze perché, da solo, non può essere sufficiente: questo si applica in particolare ai casi in cui il numero di plasmacellule per HPF è basso. Per quanto riguarda l’aorta, il valore richiesto per la diagnosi di aortite IgG4-relata è >50%.

La maggior parte dei laboratori usa un anticorpo monoclonale anti-IgG4 umana, preparata per legare la porzione Fc dell’IgG4. In alcuni casi, vengono usati anche anticorpi policlonali. Il tipo di anticorpo usato non ha un impatto significativo sulla conta delle plasmacellule IgG4+, ma l’anticorpo monoclonale colora in maniera più chiara le plasmacellule, per cui è preferibile.

Altre patologie che mostrano un aumento del numero di plasmacellule IgG4+ tissutali sono linfomi, neoplasie solide e malattie infiammatorie.

Devono essere esclusi i linfomi a cellule B di basso grado, soprattutto in quei casi di possibile IgG4-RD con infiltrato linfoplasmacitoide molto florido e cellule con caratteristiche atipiche. La diagnosi differenziale è possibile grazie alla positività del CD20 o alla restrizione per una catena leggera presenti nei linfomi; inoltre, nella maggior parte dei casi, lo popolazione prevalente della IgG4-RD è quella dei linfociti T, diversamente dai linfomi a cellule B.

Malattie infiammatorie che possono associarsi all’aumento di plasmacellule IgG4+ sono, ad esempio, vasculiti ANCA-associate, artrite reumatoide, colangite sclerosante primitiva, rinosinusiti, malattie infiammatorie croniche intestinali, gastrite autoimmune ed altre ancora. Nessuna di queste condizioni, però, mostra le altre caratteristiche istologiche tipiche della IgG4-RD.

I tessuti neoplastici possono essere infiltrati in misura variabile da plasmacellule IgG4+, distribuite solitamente in maniera focale e non accompagnate dalle altre caratteristiche istologiche delle IgG4-RD. Inoltre, plasmacellule IgG4+ possono essere ritrovate in linfonodi che drenano neoplasie o nel tessuto peritumorale. Per questo, una biopsia effettuata nel tessuto periferico di una neoplasia, può essere interpretata erroneamente come IgG4-RD. Per evitare questo errore, è necessario ricercare con attenzione le altre caratteristiche istologiche della IgG4-RD, oppure ottenere un altro campione.

ANATOMIA PATOLOGICA

Le caratteristiche morfologiche sono la base fondamentale per la diagnosi della IgG4-RD. La correlazione con la clinica e con l’imaging devono essere scrupolosi e sono spesso necessari per arrivare alla diagnosi definitiva. Comunque, la diagnosi di IgG4-RD non può essere stabilita con certezza in assenza della colorazione immunoistochimica per le IgG4: necessita, quindi, sia delle

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appropriate caratteristiche istologiche, sia di un aumentato numero di plasmacellule o del rapporto IgG4/IgG totali nel tessuto.

I tre principali aspetti istologici sono: - Denso infiltrato linfoplasmacitoide

- Fibrosi, organizzata almeno localmente in pattern storiforme - Flebite obliterante

In aggiunta:

- Flebite senza obliterazione del lume - Aumentato numero di eosinofili

Questi ultimi due, presi da soli, non sono specifici né sensibili per la diagnosi di IgG4-RD.

Nella maggior parte dei casi, una diagnosi istologica affidabile richiede almeno due delle tre caratteristiche principali, frequentemente rappresentati dalla fibrosi storiforme e dall’infiltrato linfoplasmacitoide. Esistono delle eccezioni alla regola in alcuni organi, come le ghiandole lacrimali, i polmoni, le ghiandole salivari minori e i linfonodi, dove la fibrosi storiforme o la flebite obliterante possono essere scarsamente rappresentati o assenti

Figura 12 Sialoadenite IgG4-RD:

ghiandola salivare infiltrata da linfociti e plasmacellule.[17] Figura 13 Malattia orbitaria IgG4-RD: fibrosi storiforme [15]

Figura 14 Pancreatite IgG4-RD: la vena ( ) è completamente obliterata da cellule infiammatorie. L'arteria adiacente è pervia. La colorazione con elastina rende evidente la parete dei vasi.[17]

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ANGIOGENESI

Con il termine angiogenesi si intende il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni da vasi pre-esistenti, strettamente controllato da un delicato equilibrio tra fattori pro-angiogenici ed angiostatici. L’angiogenesi è fondamentale sia in processi fisiologici, quali lo sviluppo fetale, la cicatrizzazione delle ferite ed il ciclo riproduttivo, sia in condizioni patologiche come infiammazione cronica, il rimodellamento tissutale, la fibrosi ed i processi tumorali/metastatici. L’angiogenesi è il risultato di una serie di eventi che si succedono in una sequenza ben programmata. Il primo step è caratterizzato dalla liberazione di mediatori pro-angiogenici (fattori di crescita e metalloproteinasi) da parte di cellule del sistema immunitario (linfociti, monociti e neutrofili) e di cellule strutturali (cellule epiteliali e fibroblasti). Questi fattori promuovono la degradazione della membrana basale endoteliale e lo scollamento dalla parete vascolare di cellule connettivali dette periciti. Tale processo favorisce la successiva migrazione e proliferazione delle cellule endoteliali ed è regolato da fattori di crescita quali il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF) ed il Fibroblast Growth Factor-2 (FGF-2). Nell’area perivascolare si viene, quindi, a creare il “primary sprout” o germoglio primario, dal quale si formerà un nuovo capillare ad ansa. Il nuovo vaso necessita di una successiva stabilizzazione, con formazione di una nuova parete da parte dei periciti che si assemblano intorno alle cellule endoteliali a formare una guaina. Una volta che la parate vasale è formata, i fattori angiostatici endogeni vengono rilasciati per controbilanciare i fattori angiogenici ed interrompere il processo di vascolarizzazione. Mentre nei processi fisiologici i fattori angiogenici ed angiostatici sono in equilibrio tra loro, in corso di eventi patologici i fattori angiogenici sembrano prevalere su quelli angiostatici con conseguente formazione di una eccessiva vascolarizzazione [12].

Durante la formazione dei nuovi vasi è possibile riscontrare l’attivazione delle cellule endoteliali, con liberazione delle forme solubili di molecole di adesione espresse fisiologicamente a livello dell’endotelio.

Tra le principali molecole di adesione espresse sulle cellule endoteliali, vengono identificate l’ICAM-1 e la VCAM-1.

Tali molecole sono proteine di membrana che permettono ai linfociti di migrare nei tessuti e negli organi linfatici secondari (homing) attraverso la barriera endoteliale e di raggiungere la zona di infiammazione (diapedesi). Le forme solubile dell’ ICAM-1 (sICAM-1) e della VCAM-1 (sVCAM-1) sono il risultato del clivaggio proteolitico di tali molecole di adesione da parte di enzimi proteolitici, per esempio le metalloproteasi della matrice (MMPs).

Le forme solubili sICAM-1 e sVCAM-1 sono attualmente considerate biomarcatori di disfunzione endoteliale e livelli elevati di tali molecole sono, quindi, indicativi di uno stato di infiammazione

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vascolare e possono essere considerati come indice di aumentato rischio cardiovascolare, oltre che di uno stato di infiammazione generalizzata.

FATTORI PRO-ANGIOGENICI

I fattori che regolano l’angiogenesi vengono in parte rilasciati dalle cellule infiammatorie che infiltrano il tessuto flogistico ed in parte dalle cellule stromali. Tra questi mediatori, ricordiamo i fattori di crescita, le citochine, le chemochine, i componenti della matrice extracellulare (ECM), gli enzimi proteolitici e le molecole di adesione [20]. I fattori di crescita, una volta rilasciati, si legano alla ECM, ai proteoglicani e alle membrane cellulari, dove rimangono legati in forma inattiva. Dopo azione proteolitica da parte di alcune MMPs, questi fattori di crescita vengono liberati e vanno ad attivare le cellule endoteliali e altre cellule tissutali, come le cellule epiteliali e i fibroblasti. A loro volta, tali cellule liberano fattori pro-infiammatori, pro-angiogenici e pro-fibrotici amplificando e cronicizzando i processi di infiammazione e fibrosi.

FIBROSI

Con il termine fibrosi si intende l’aumento di tessuto connettivo fibroso, ricco di fibre collagene e povero di cellule e vasi. Si verifica per un aumento primitivo delle cellule del tessuto connettivo (fibroblasti, adipociti, cellule endoteliali, cellule muscolari lisce ed istiociti) e delle molecole della matrice extracellulare (collagene, glicoproteine, proteoglicani, elastina) oppure per la risposta di riparazione tissutale attivata a seguito di un danno prolungato o cronico. Queste due situazioni possono coesistere e potenziarsi a vicenda. Le cellule del tessuto connettivo propriamente detto sono i fibroblasti, che producono ECM, sostanza che rappresenta l’asse portante e nutritivo degli altri tessuti. L’1% di queste cellule è costituito da una popolazione staminale in grado di proliferare e differenziarsi in fibrociti maturi (specializzati nella produzione di ECM) o in altre cellule di derivazione connettivale. I segnali proliferativi sono innescati da vari fattori di crescita, tra cui il TGF-β, i FGF, il PDGF (fattore di crescita derivato dalle piastrine) e l’EGF (fattore di crescita dell’epidermide). Tutti questi segnali regolano l’inibizione della proliferazione, la produzione di collagene e altre molecole, la produzione di proteasi (collagenasi, MMPs, serin- e cisteinproteasi, ialuronidasi, plasmina) e dei relativi inibitori tissutali (TIMPs e PAI).

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ANGIOGENESI E FIBROSI NELLA IgG4-RD

La fibrosi è un dei tre aspetti istopatologici diagnostici della IgG4-RD. In corso di tale patologia la fibrosi presenta un tipico pattern storiforme con miofibroblasti e fibroblasti che si irraggiano verso la periferia (aspetto “a ruota di carro”).

Il TGF-β risulta essere fondamentale nella genesi della fibrosi della IgG4-RD insieme ad altri fattori pro-fibrotici quali la periostina. Nel tessuto delle ghiandole salivari di pazienti con sialoadenite IgG4-RD sia il TGF-β che la periostina risultano aumentati. Tali fattori sono distribuiti non solo nella capsula interlobare come accade nella sialoadenite cronica, ma anche attorno alle cellule acinari danneggiate e alle cellule duttali. La periostina sembra contribuire alla formazione del tessuto fibrotico e la sua deposizione a livello del tessuto ghiandolare sembra essere secondaria all’aumento del TGF-β [15] prodotto sopratutto dalle cellule T citotossiche (CTL CD4+ SLAMF7+) [7].

I processi che regolano la fibrosi e l’angiogenesi sono spesso strettamente correlati, anche perché la formazione di nuovi vasi a partire dai vasi preesistenti è una tappa fondamentale durante la fibrosi. A conferma di tale relazione, è stato dimostrato che fattori pro-fibrogenici, quali per esempio il TGF-β, regolano la formazione di nuovi vasi attraverso la produzione di VEGF e FGF-2 da parte di cellule strutturali. L’aumento di TGF-β e periostina nel tessuto ghiandolare dei pazienti con IgG4-RD può quindi essere responsabile della produzione di VEGF [15].

Non sono stati riportati in letteratura studi sul potenziale ruolo di fattori angiostatici nella IgG4-RD. L’endostatina, principale fattore di inibizione endogeno del VEGF, non è stato valutato in corso di IgG4-RD né a livello tissutale né in circolo.

Nella figura sottostante vengono riportate le potenziali componenti del sistema immunitario coinvolte nel processo di fibrosi IgG4-relata [16].

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3. SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questo lavoro è stato quello di definire in maniera più approfondita il ruolo dei fibroblasti nella patogenesi della malattia IgG4-relata. In particolare abbiamo valutato il rapporto che intercorre tra gli anticorpi sierici presenti in pazienti con IgG4-RD e la loro capacità di far produrre ai fibroblasti citochine e chemochine che risultano essere importanti per la patogenesi di tale malattia.

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4. MATERIALI E METODI:

Precipitazione in solfato d’ammonio

La purificazione delle IgG a partire dal plasma dei pazienti con IgG4-RD è stata effettuata mediante diversi passaggi.

La prima fase prevede l’uso della tecnica della precipitazione in solfato d’ammonio (SA). È uno dei metodi più utilizzati per rimuovere proteine da una soluzione. Le proteine in soluzione formano legami a idrogeno con l’acqua attraverso l’esposizione dei loro gruppi polari e ionici. Quando si aggiungono alte concentrazioni di ioni piccoli e fortemente carichi come quelli di ammonio o di solfato, tali ioni competono con le proteine per il legame con l’acqua. Ciò rimuove le molecola d’acqua dalle proteine e diminuisce la loro solubilità, determinando la loro precipitazione.

I fattori che influenzano la concentrazione alla quale una particolare proteina precipita sono il numero e la posizione dei gruppi polari, il peso molecolare della proteina, il pH della soluzione e la temperatura alla quale si effettua la precipitazione.

La concentrazione a cui gli anticorpi precipitano varia da specie a specie: nel caso delle immunoglobuline umane, la concentrazione di solfato di ammonio pari al 50% è la condizione migliore.

In breve il protocollo è stato il seguente: il plasma dei soggetti con IgG4-RD o di soggetti di controllo è stato centrifugato per 30’ a 3000 rpm RT per eliminare aggregati eventualmente presenti. Al plasma così ottenuto è stato aggiunto un pari volume di SA saturo [solfato di ammonio (NH4)2SO4, 4.2 M] ed il tutto è stato incubato per tutta la notte in camera fredda a +4°C.

Al termine dell’incubazione il campione è stato centrifugato a 3000 rpm per 30’, il surnatante contenente le proteine plasmatiche non precipitate è stato eliminato, ed il pellet di proteine precipitato dalla concentrazione di SA del 50% è stato risospeso e dializzato verso PBS con cambio di tampone ogni 5-6 ore (circa 6-8 lt totali).

Il campione dializzato è stato recuperato e la concentrazione proteica è stata determinata mediante spettrometro di massa con lettura ad una lunghezza d’onda di 280 nm.

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Purificazione IgA mediante resine di Proteina A-Agarosio

Dalla frazione arricchita in immunoglobuline ottenuta mediante precipitazione con ammonio solfato, abbiamo eseguito la purificazione degli anticorpi di classe IgG mediante cromatografia di affinità su colonna di proteina A.

La Proteina A è una proteina di 42 KDa, espressa sulla superficie cellulare dello Staphylococcus aureus. La Proteina A lega, tramite un meccanismo non immune e in maniera specifica, la regione Fc delle IgG policlonali e monoclonali. Essa lega con elevata affinità le sottoclassi IgG1, IgG2 e IgG4 umane; non lega le IgG3. In questo agisce in modo leggermente differente dalla proteina G, che invece è espressa dagli Streptococchi di gruppo C e G, che invece lega tutte le sottoclassi di IgG. La figura seguente mostra le differenze di affinità delle due proteine per le diverse immunoglobuline umane e di altri animali.

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La soluzione di anticorpi ottenuta precedentemente con precipitazione in solfato di ammonio contiene anticorpi di varie classi. Facendo passare tale soluzione attraverso una colonna di Proteina A - Agarosio si selezionano le IgG dalla soluzione originaria.

In breve, la colonna di Proteina A – Agarosio è stata equilibrata in PBS pH 7.4, che rappresenta anche il tampone in cui avviene il legame degli anticorpi alla resina. Il campione di partenza è stato fatto fluire attraverso la colonna per 4-5 volte, dopo di che è stato recuperato quello che viene definito “flow through” che rappresenta ciò che non si è legato alla colonna. A questo punto la proteina A è stata lavata con PBS fino a che la A280 non sia risultata pari a 0.010. Una volta verificata la pulizia della colonna, l’eluizione delle IgG è effettuata con Glicina 0,1 M pH 2.8. Gli eluati contenenti le IgG sono stati tamponati immediatamente a pH 7.5 mediante aggiunta di Tris 1M (1/10 del volume dell’eluato).

La concentrazione delle IgG ottenute con l’eluizione è stata determinata mediante lettura spettrofotometrica con A280 nm. E’ noto che 1000 g di IgG corrisponde ad una assorbanza A280

nm pari a 1.4; la determinazione della concentrazione di IgG negli eluati è stata ottenuta mediante la seguente relazione:

1000 g : 1.4 = (A280 campione IgG) : (Conc. Campione IgG)

Quindi:

Conc. Campione IgG = (A280 campione x 1.4) : 1000

Le IgG totali così ottenute sono state usate per gli esperimenti oppure sottoposte a successivi trattamenti per selezionare al loro interno le IgG4.

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Cromatografia di affinità su colonna di IgG4

La purificazione delle IgG4 dal resto delle sottoclassi di IgG ottenute mediante proteina A è stata effettuata mediante cromatografia di affinità utilizzando una colonna IgG4 CaptureSelect™ prodotta da ThermoFisher Scientific.

Il protocollo utilizzato ed in particolare i tamponi di coniugazione, lavaggio ed eluizione, sono gli stessi della cromatografia di affinità su proteina A.

Le frazioni ottenute saranno rappresentate dagli eluati contenenti IgG4 e da un flow through della colonna deprivato di IgG4 e contenente solo IgG1 e IgG2.

VALUTAZIONE MEDIANTE TEST ELISA DELLE FREAZIONI OTTENUTE CON LA CROMATOGRAFIA DI AFFINITA’

Valutazione degli anticorpi purificati

Abbiamo valutato l’effettiva specificità delle frazioni di sottoclassi di IgG ottenute dai pazienti con IgG4 RD e dai soggetti di controllo, eseguendo un test ELISA, il cui coating è stato effettuato utilizzando le frazioni stesse.

In breve, le frazioni di sottoclassi di IgG sono state diluite in tampone carbonato pH 9,6 ad una concentrazione di 20 g/ml, dispensate in pozzetti di piastra da 96 pozzetti ed incubate per tutta la

notte a +4°C. Dopo un lavaggio con PBS, le piastre sono state saturate con una soluzione di PBS BSA 3% per un’ora a RT.

Quindi, gli anticorpi biotinilati specifici per le diverse sottoclassi di IgG (Mouse-anti-human IgG1, anti-human IgG2, anti-human IgG3, anti-human IgG4) sono stati diluiti 1/1000 in PBS BSA 1% Tween-20 0,05% ed incubati nelle piastre per 2 ore. Dopo 3 lavaggi, di cui uno effettuato con PBS Tween-20 1% (lavaggio questo molto “energico”, che quindi toglie via le interazioni a bassa affinità) e due con PBS, è stato aggiunta la neutravidina coniugata con la fosfatasi alcalina diluita

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nello stesso tampone degli anticorpi anti-sottoclassi di IgG. L’incubazione è stata fatta a temperatura ambiente per 30 minuti. Quindi sono stati eseguiti nuovamente i lavaggi, come in precedenza, ed è stato effettuato lo sviluppo colorimetrico tramite l’aggiunta del substrato della fosfatasi alcalina (paranitrofenilfosfato – PNPP) e del cofattore MgCl2 diluiti entrambi in tampone carbonato pH 9.6. La valutazione del contenuto di IgG totali è stata fatta incubando le piastre coatate come sopra con un mix di anticorpi anti human IgG  light chain + anti human IgG  light

chain direttamente coniugati con la fosfatasi alcalina, diluiti 1/10000 in PBS, BSA 1% Tween 0.05%.

Protocollo per le colture di fibroblasti

I fibroblasti sono stati ottenuti a partire da frammenti di epidermide sana, prelevati durante mastectomie effettuate presso l’Unità di Senologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, diretta dalla Dott.ssa Roncella.

Il campione di cute arriva dalla sala operatoria in contenitori sterili, in soluzione fisiologica. E’ stato lavato 3 volte con Washing Medium (RPMI-1640 con fluconazolo 1:100, ciprofloxacina 1:100, penicillina/streptomicina 1:100) e trasferito in una piastra di Petri, dove è stato frammentato con l’uso di bisturi e pinze sterili.

I frammenti ottenuti (delle dimensioni di pochi mm di larghezza) sono stati trasferiti in una provetta sterile da 50 ml e lavati con Washing Medium.

Al termine del lavaggio, il tessuto frammentato è stato incubato 1 ora a 37°C in una soluzione di PBS, Tripsina 0,05%, EDTA 0,02%; in questo modo il tessuto inizia a sfaldarsi sotto l’azione proteolitica della tripsina. Trascorso il tempo di incubazione è stato effettuato un lavaggio con il Complete Medium (DMEM, siero fetale bovino 10%, Piruvato di sodio 1:100, L-Glutammina

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1:100, aminoacidi non essenziali 1:100, fluconazolo 1:100, ciprofloxacina 1:100, penicillina/streptomicina 1:100) per bloccare ed eliminare la tripsina in eccesso.

Il tessuto è stato poi sottoposto a digestione con Collagenasi I 0,1% diluita in Washing medium ad una temperatura di 37°C e per un tempo compreso tra 6 ore e una notte.

Dopo di ciò il tessuto ormai sfaldato è stato lavato due volte e trasferito in fiasca per colture cellulari, in Complete Medium. Dopo 48-96 ore le cellule rimaste in sospensione sono state lavate via eliminando il surnatante e a quelle adese al fondo della fiasca è stato rinnovato il terreno.

Alternativamente, il tessuto frammentato è stato posto in piastre da 6 pozzetti dopo aver effettuato incisioni a griglia nei pozzetti con un ago sterile, in modo che i frammenti si trovassero in coincidenza degli incroci della griglia. Ogni frammento è stato bagnato con una goccia di siero fetale bovino (FCS) per un’ora e poi alla piastra è stato aggiunto Complete Medium, avendo cura di non staccare i frammenti dalla griglia. In questo modo dai frammenti le cellule si staccano piano piano ed interagiscono con la matrice formata nel frattempo e con la plastica della piastra. Al momento in cui i fibroblasti dal frammento si attaccano alla plastica i frammenti sono stati tolti e le cellule sono state fatte crescere nelle modalità consuete.

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I fibroblasti a confluenza hanno una densità di circa 3000 cellule/cm2 e il loro tempo di duplicazione è di circa 14 giorni. Il mezzo di coltura va cambiato 2 volte a settimana.

Per espandere i fibroblasti si aspira il medium e si lava la piastra 1 volta con PBS; si aggiunge 0,5 ml di Tripsina 0,05% EDTA 0,002% e si incuba 7-10 minuti a 37°C. Quindi si controlla che le cellule si siano staccate completamente, si aggiungono 10 ml di Complete Medium, si centrifugano le cellule per eliminare la tripsina in eccesso e si trasferiscono le cellule nelle piastre figlie risospendendole in medium fresco.

Per i nostri esperimenti abbiamo utilizzato cellule al 4°-5° passaggio.

Stimolazione dei fibroblasti di derma con gli anticorpi

Le IgG ottenute mediante cromatografia di affinità sono state utilizzati per stimolare i fibroblasti in coltura. Come anticorpi di controllo sono state utilizzate preparazioni di IgG totali ottenute dal plasma di soggetti sani mediante lo stesso procedimento

In breve, i fibroblasti al 3°- 5° passaggio, ad un livello di confluenza del 80-90% sono stati deprivati del terreno di coltura, lavati con PBS sterile ed incubati per 24 ore in DMEM, 1% FCS, in una procedura definita di “starvation” che serve a ridurre il metabolismo delle cellule, a sincronizzarle tutte in una stessa fase del ciclo cellulare, permettendo quindi la rilevazione ottimale degli effetti dovuti agli stimoli utilizzati.

Il giorno successivo gli anticorpi diluiti ad una concentrazione finale di 25 μg/ml in DMEM 1% FCS sono stati incubati con le cellule per 24 ore. Al termine del periodo d’incubazione i surnatanti sono stati recuperati e congelati immediatamente in aliquote a -80°C.

Screening del contenuto in fattori dell’angiogenesi nei surnatanti degli HDF stimolati

Una prima analisi dell’espressione di diversi fattori angiogenetici prodotti nei surnatanti delle colture cellulari stimolate con le diverse preparazioni di IgG è stata ottenuta utilizzando il kit Human Angiogenesis Array™ Panel prodotto da R&D.

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Tale sistema si basa sul concetto di “sandwich”: gli anticorpi di cattura vengono fatti aderire durante la fase di produzione del kit su membrane di nitrocellulosa, secondo uno schema pre-definito.

Le membrane di nitrocellulosa così ottenute sono state attivate e saturate in tamponi forniti nel kit. I surnatanti delle colture cellulari sono stati quindi diluiti con un tampone di diluizione del kit e miscelati con una soluzione fornita nel kit, contenente tutti gli anticorpi corrispondenti a quelli di cattura, nella forma biotinilata. Quindi il mix di campione/anticorpi di rivelazione è stato incubato con i foglietti di nitrocellulosa. Durante questo periodo di incubazione ogni complesso citochina-anticorpo presente viene legato dal suo citochina-anticorpo di cattura specifico immobilizzato sulla membrana. Dopo un lavaggio effettuato per rimuovere il materiale legatosi in modo aspecifico è stata aggiunta Streptavidina coniugata all’enzima perossidasi e il complesso formatosi è stato messo in evidenza in chemiluminescenza aggiungendo il substrato specifico per la perossidasi. Il segnale emesso da ciascuna coppia di spot è proporzionale alla quantità di proteina legata.

L’immagine risultante è stata acquisita con il sistema per l’analisi di immagini Biorad Versadoc 1000. Nella figura seguente sono evidenziati i fattori potenzialmente rilevabili con tale Sistema.

Test ELISA per quantificazione di citochine e chemochine specifiche

La determinazione quantitativa dei fattori angiogenetici e delle citochine nei surnatanti di coltura dei fibroblasti stimolati è stata effettuata mediante test ELISA sandwich, utilizzando kit specifici prodotti da R & D Systems.

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Tali kit prevedono un coating con un anticorpo monoclonale anti-citochina, la saturazione della piastra in PBS BSA 1%, l’incubazione dei campioni nei quali vogliamo dosare il fattore specifico e l’incubazione finale con un anticorpo policlonale anti-citochina coniugato con biotina. L’aggiunta di Streptavidin HRP al sistema permette la rivelazione con il substrato della perossidasi e la lettura in spettrofotometria ad una lunghezza d’onda di 450 nm.

La determinazione quantitativa è stata resa possibile dalla presenza nei kit delle corrispondenti citochine ricombinanti con le quali viene ogni volta costruita una curva di calibrazione a sette punti.

Immunofluorescenza su HDF: legame delle IgG da IgG RD ad HDF

Al fine di valutare la capacità degli anticorpi purificati dai pazienti di legare i fibroblasti abbiamo effettuato alcuni esperimenti di immunofluorescenza (IFI)

I fibroblasti a semiconfluenza sono stati staccati dalle fiasche di coltura e piastrati su vetrini per IFI, ad una concentrazione di 5000 HDF/spot

Tali vetrini hanno una membrana di teflon che definisce 4 spot e che permette ai liquidi utilizzati nel test di non diffondere al di fuori dell’area circoscritta.

La figura seguente mostra lo schema del vetrino.

I vetrini con gli HDF adesi sono stati quindi lavati con Tris buffered saline (TBS) per 3 volte per 5’, per eliminare i residui di terreno di coltura delle cellule.

A questo punto, le cellule sono state fissate utilizzando :

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Il Metanolo e l’Acetone sono in grado entrambi e contemporaneamente di fissare e permeabilizzare le cellule, permettendo l’analisi di componenti extra- ed intra-cellulari.

Dopo la fissazione/permeabilizzazione i vetrini sono stati saturati con PBS, normal goat serum (NGS) 5% ed incubati con gli anticorpi test.

Il legame delle IgG umane alle cellule è stato poi messo in evidenza con un Goat anti-human IgG marcato con fluoresceina isotiocianato (FITC).

Dopo l’incubazione con l’anticorpo secondario, gli spot di cellule sono stati trattati con un mounting medium contenente DAPI, per la rilevazione dei nuclei delle cellule (ProLong Diamond anti-fading mountant – ThermoFisher Scientific).

L’analisi è stata fatta utilizzando un microscopio a fluorescenza (EVOS Cell Imaging System – ThermoFisher Scientific).

Differenziamento a miofibroblasti - Immunofluorescenza su HDF - : espressione dell’alfa-smooth muscle actin (alfa-SMA)

Per verificare se gli anticorpi purificati dai pazienti siano in grado di indurre differenziamento a miofibroblasti, abbiamo effettuato esperimenti di IFI per valutare l’espressione di alfa-SMA, una proteina del citoscheletro la cui espressione aumenta in modo caratteristico nei miofibroblasti. In breve, i fibroblasti in coltura in piastra da 6 pozzetti sono stati sottoposti a starvation per 24 ore in DMEM, FCS 1% e incubati con gli anticorpi purificati per 5 giorni in DMEM FCS 1%.

Al termine del periodo di incubazione le cellule sono state staccate e fatte aderire su vetrini per IFI. Le cellule sono state quindi fissate e permeabilizzate (l’alfa-SMA è un antigene intracellulare) con Metanolo:Acetone, quindi saturate con PBS, NGS 5%.

La presenza di alfa-SMA è stata valutata con un anticorpo monoclonale di topo e con un anticorpo secondario anti-mouse IgG FITC.

I vetrini sono stati montati utilizzando lo stesso anti-fading medium degli altri esperimenti di IFI e analizzati con il sistema EVOS Cell Imaging system.

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LISATO TOTALE DI FIBROBLASTI

I fibroblasti di derma al 4°-5° passaggio e al 80-90% di confluenza sono stati privati del loro terreno di coltura e lavati due volte con D-PBS sterile.

Al fine di marcare le proteine espresse sulla superficie cellulare, i fibroblasti sono stati incubati per 30 minuti a RT con PBS + EZ-Link Sulfo-LC-Biotin 2 mM (Thermofisher Scientific), una forma modificata di biotina che presenta un braccio spaziatore, che permette una marcatura ottimale in condizioni “native”, senza alterazioni di conformazione della proteina.

La biotina si lega infatti ai gruppi amminici primari (catene laterali di lisina e gruppi amino terminali dei polipeptidi) e non penetra la membrana grazie alla carica negativa del gruppo sodio-sulfonato

Dopo la marcatura le cellule sono state lavate e lisate in bagno di ghiaccio con RIPA Buffer (Tris-HCl 50 mM pH 8, NaCl 150 mM, NP-40 1%, Sodio desossicolato 0.5%, SDS 0.1% + inibitori delle proteasi), e sonicate sempre in bagno di ghiaccio.

Il lisato è stato centrifugato per 10 minuti a 3000rpm per eliminare detriti non solubilizzati. Il surnatante ottenuto è stato congelato immediatamente. Parte di esso è stato conservato per la valutazione del contenuto di proteine mediante il BCA assay.

Determinazione della concentrazione proteica

La concentrazione proteica del lisato di HDF è stata determinata con metodo BCA (acido bicinconinico); tale metodo si basa sulla riduzione da parte delle proteine presenti in soluzione degli ioni Cu++ a ioni Cu+ , che in ambiente alcalino formano poi un complesso con il BCA, sviluppando colorazione violacea quantificabile a 562 nm. Il tasso di colorazione è

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proporzionale alla concentrazione proteica. È stata costruita una curva standard con diluizioni scalari di albumina bovina, sono state fatte tre diverse diluizioni del campione, è stato aggiunto il reattivo (1 ml per 50 µl di campione) ed è stato incubato il tutto a 37°C per 30 min. I campioni sono stati, quindi, letti allo spettrofotometro a 562 nm; confrontando l'assorbanza dei campioni con quella della curva standard è stata ottenuta la concentrazione proteica dei campioni.

Poiché il lisato è risultato troppo diluito per poter essere caricato direttamente sul gel di acrilamide, è stata effettuata una precipitazione con acido tricloroacetico (TCA) del campione. Al lisato di HDF è stato aggiunto TCA 1005 in modo da avere una concentrazione finale di TCA pari al 25%. La precipitazione è stata effettuata mantenendo il campione in ghiaccio e aggiungendo TCA freddo goccia a goccia. Il campione è stato poi incubato a 4° per tutta la notte.

Al termine del periodo di incubazione il campione è stato centrifugato a 15000rpm, per 15 minuti a 4°C ed il pellet di proteine precipitate è stato lavato due volte con acetone freddo e ricentrifugato alle stesse condizioni per eliminare il TCA in eccesso. Una volta evaporato completamente l’acetone le proteine sono state risospese in Laemmli sample buffer e mantenute a 90° per 5 minuti.

SDS-PAGE

I campioni prima di venire sottoposti ad elettroforesi sono stati risospesi in Laemmli sample buffer. Questa soluzione contiene SDS (sodio dodecilsolfato). L'SDS, detergente fortemente anionico, si lega con una molecola ogni due residui aminoacidici, conferendo alla proteina una carica netta negativa. In questo modo le proteine tendono ad avere lo stesso rapporto carica-massa e la stessa forma: infatti si dissociano in subunità acquisendo una conformazione a bastoncino, in cui il diametro è costante mentre la lunghezza varia in rapporto al peso molecolare, per cui la separazione elettroforetica avverrà sulla base della loro massa. Il peso molecolare può essere determinato comparando la mobilità elettroforetica di una data proteina con la mobilità di proteine note usate come markers: il logaritmo del peso molecolare è linearmente correlato con la mobilità relativa. La densità delle maglie del gel varia a seconda delle concentrazioni di acrilamide e del rapporto tra il monomero ed il suo dimero che al momento della polimerizzazione forma dei legami trasversali. Per separare le nostre proteine abbiamo usato dei gel di acrilamide al 10%, prodotti da Bio-Rad (Tris-Glycine Gel). In ogni

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corsa elettroforetica sono stati inseriti i campioni ed un lane è stato caricato con una miscela di proteine a peso molecolare noto, gli All Blue molecular Weights prestained (Bio-Rad), che essendo precolorati in blu permettono di mappare anche il corretto funzionamento della corsa elettroforetica e del trasferimento successivo su poly-vinyl di.fluoride (PVDF) durante il Western Blotting.

Immunoblotting

Il metodo usato per trasferire le proteine dal gel al foglietto di PVDF è chiamato "Western blotting". Il foglio di PVDF, precedentemente reso idrofilico in metanolo, è stato posto a contatto con il gel in un tampone di trasferimento (blotting buffer: Tris 0,05 M, glicina 0,04 M, metanolo 20%) ed è stata effettuata una seconda elettroforesi perpendicolare al gel (50 mA costanti per 90 minuti).

Al termine del trasferimento il PVDF è stato lavato con acqua e tagliato in strip ognuna corrispondente ad un lane di lisato di HDF.

La residua capacità di assorbimento del PVDF è stata saturata con TBS, BSA 5% Tween-20 0.05% per 60 minuti a RT in agitazione. Lo stesso tampone è stata usato per diluire gli anticorpi purificati dai soggettivi controllo (NH) e dai pazienti (IgG4-RD) ed l’anticorpo secondario anti-human IgG marcato con perossidasi. Il PVDF è stato incubato con gli anticorpi primari per una notte a 4°C, lavato tre volte con TBS, Tween 0.1% e incubato l’anticorpo secondario per 2 ore. L’avvenuta reazione antigene-anticorpo primario-anticorpo secondario è stata valutata in chemiluminescenza utilizzando l’analizzatore di immagine Versadoc 1000 BioRad.

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5. RISULTATI

PRODUZIONE DI FATTORI ANGIOGENICI DA PARTE DEI FIBROBLASTI

STIMOLATI CON IgG DA PAZIENTI CON IgG4-RD.

Una prima valutazione dell’effetto della stimolazione delle IgG da pazienti con IgG4-RD sui fibroblasti da derma (HDF), è stata effettuata facendo un pool di IgG da pazienti diversi ed

utilizzando come controllo negativo un pool di IgG da soggetti sani, purificato utilizzando gli stessi protocolli e come controllo positivo il lipopolisaccaride (LPS – 100 ng/ml).

Il contenuto di diversi fattori angiogenetici dei vari surnatanti è stato valutato mediante un sistema multiarray commerciale, il Human Angiogenesis Array Kit prodotto da R&D System.

Come si osserva dalla figura sottostante, i diversi trattamenti inducono la produzione di numerosi fattori, rappresentati dagli spot chiaro/scuri. In particolare però, il pool di IgG da pazienti con IgG4-RD induce la produzione da parte dei HDF di IL-8, GM-CSF e in misura ridotta di Angiogenina e PF4.

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La chemochina prodotta maggiormente è IL-8: su quella abbiamo indirizzato la nostra analisi successiva. Inoltre, le IgG che erano state utilizzate per creare il pool sono state analizzate singolarmente.

Gli HDF sono stati stimolati per 24 ore con le singole preparazioni di IgG da pazienti con IgG4-RD e dai soggetti di controllo (NH). IL-8 è stata valutata nei surnatanti mediante test ELISA sandwich. Come si osserva dal grafico seguente, tre preparazioni su cinque (IgG4-RD 3, 4, 5) inducono una produzione di IL-8 decisamente maggiore dei soggetti di controllo.

Negli stessi surnatanti sono stati dosati anche ulteriori fattori angiogenetici: il GM-CSF e l’Angiogenina-1 (che risultavano di interesse dai dati ottenuti con il Proteome Profile) e l’endostatina e il TGF-beta, di cui è stato suggerito un ruolo nella patogenesi della malattia.

Come si osserva dai grafici seguenti, non si rileva induzione di produzione di fattori specifici da parte delle IgG purificate dai pazienti con IgG4-RD, rispetto ai soggetti di controllo.

0 100 200 300 400 500 600 IL -8 ( p g/ m l)

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LEGAME DEGLI ANTICORPI AI FIBROBLASTI

Per definire se le IgG da pazienti esercitino la funzione di stimolo alla produzione di fattori angiogenetici mediante il legame diretto ai fibroblasti, abbiamo effettuato alcuni esperimenti di immunofluorescenza.

Una volta messi a punto i diversi parametri dell’esperimento (quantità di cellule, tipo di agente saturante, diluizione degli anticorpi primari e secondario, quantità di mounting medium etc..) abbiamo proceduto con la fissazione/permeabilizzazione utilizzando :

 Metanolo/acetone (E/A) 1:1, tempo 20’, temperatura -20°C

Infatti, in questo caso, le cellule vengono contemporaneamente fissate e permeabilizzate sia dall’acetone che dal metanolo.

Dopo la fissazione i HDF sono stati saturati con PBS, Normal Goat serum e incubati con i diversi anticorpi (NH e IgG4-RD)

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