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Mario Tobino, tra animale e follia

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Academic year: 2021

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6 GENNAIO

2016 pag. 10

l’animale: la prigionia in cella, sostanzialmente, assurge a zona rivelatrice, dove “l’alienato […] è libero, sbandiera, non trala-sciandone alcun grano, la sua pazzia, la cella [è] il suo regno dove dichiara se stesso, che è il compito della persona umana”. Una follia corporea, quasi un invasamento sciamanico, che ha come termine ultimo il supera-mento della soglia ontologica, fino all’apice di un processo trasformativo: “e quando il

malato si accuccia, la pazzia co-minciandosi a dileguare, sembra una bestia umana così coperto dall’alga, dalla quale spunta il lungo di una coscia o la magra punta di un gomito e, se lo si chiama, muove il viso tra i fili di quell’erba bruna e di quelli imbrattato tira su il volto a rispondere. Quando si apre una cella di un ‘malato all’alga’ viene incontro un odore acre, che arriva fino al cervello”. L’alga, il giaciglio del malato ricavato da “un’erba, presso le coste di certi mari”, quasi sigla un’incorpora-zione tra i due versanti – umano e non umano –, poiché il matto “vi vive nudo”, alla stregua di una fiera in delirio, forse perché “la pazzia dà potenza, [è] una forza che è ben poco spiegabile con le misure comuni”: parlare, insomma, un altro, semisegreto, linguaggio. In fondo, “la pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo?”

I

n “Le libere donne di Magliano” (1953), Mario Tobino allestisce una narrazione per quadri staccati, in un susseguirsi di presenze sbiadite, baluginanti, che tutta-via originano un romanzo corale e a più voci, ruotanti attorno a un unico tema: la malattia mentale. E questo ci spinge a considerare alcuni passaggi del libro, dove il malato psichico oltrepassa e trascende la linea di demarcazione tra umano e animale. L’accostamento tra animalità e follia potrà da subito suonare lapalissiano, e baste-rebbe – a mo’ di ragguaglio – il riferimento alla “Commedia” dantesca e, in particolar modo, al canto XI dell’Inferno, a “le tre disposizion che ’l ciel non vole,// incontenenza, malizia e la matta/ bestialitade”. Ecco: nel romanzo di Tobino, potremmo proprio azzardare una tenden-za onnipervasiva della “matta bestialitade”, non fosse altro per il continuo accostamen-to tra psicosi e teriomorfia, presente da subito nelle pagine del romanzo: “di notte”, scrive Tobino, “nei cameroni dei matti [c’è] puzzo di bestia”; oppure, si pensi alla “malata […] [che] sembra un topo pallido, gli oc-chi sempre curiosi benché non ricerchino con precisione nulla”. L’animalità s’insinua nella fisiognomica delle degenti, fino ad originare un vero e proprio bestiario della follia: la Berluc-chi “ha qualcosa di marino”; la Tognazzi, invece, un “occhio vi-spo di gallina”; c’è poi la malata “soprannominata ‘la faina’ […] [che] si mantenne felina fino agli ultimi giorni […]. Persino dopo che fu spirata sembrò che le fosse rimasto stampato nel volto quel sorriso felino e fosse pronta a raggiungere gli occhi e prenderseli come fece tutte le volte”. Nel manicomio immerso nella pianura lucchese, le celle sono “croniche di ferocia”, alla stregua di un giardino zoolo-gico dove la cattività continua a produrre un “odore ferino”, un lezzo che di umano ha ben poco. Tuttavia, siamo dinanzi a una coercizione refrattaria agli intenti esibitivi che, nel caso degli zoo, spettacolarizzano

Mario Tobino,

tra animale

e follia

di diEgo salvadori [email protected] di sErgio Favilli [email protected]

S

cavez

zacollo

Pubblicità

interiore

di MassiMo cavEZZali [email protected]

Quand’ero ragazzo (che brutto incipit!!) eravamo tutti abituati ad aspettare il mitico Carosello per  goderci un po’ di sana  ilarità inserita fra trasmissioni televisive seriose e spesso  monotone: erano i tempi di Bernabei, tempi nei quali si misurava anche la scollatura delle ballerine per non turbare la pubblica decenza ed i presunti benpensanti .

Poi, finalmente, il periodo del grande Guglielmi a RAI 3, tra-smissioni innovative che hanno fatto epoca, spot pubblicitari di ottimo livello moderni e pieni di sana ironia, piena libertà di espressione che inevitabilmente influenzò in positivo anche gli altri canali, senza contare la nascita del-le prime artigianali TV private con l’indimenticabile TELEVACCA di Benigni e del Monni.

Son passati tanti anni, per certi versi Televacca c’è ancora e non solo le trasmissioni sono sempre più inguardabili ma anche i pub-blicitari  danno evidenti segnali di  scarsa fantasia che spesso si tra-duce in spot decisamente rivoltanti : da una parte  gente perennemen-te stitica che va al cesso  sempre più raramente e dall’altra gente che  siede perennemente sulla taz-za del water ingurgitando  pillole astringenti  per fermare le perdite intestinali,  cittadini evidentemen-te abituati a pulirsi il culetto con carta a vetro e quindi alla continua ricerca di delicata carta igienica super morbida,  orride dentiere traballanti in cerca del giusto ade-sivo,  piedi puzzolenti alla ricerca della polvere magica, profumi e deodoranti intimi e non destinati a persone che evidentemente hanno scordato l’uso del sapone, manca solo un bel digestivo per i bambini che si mangiano le caccole e siamo al completo!!

 Insomma, a dover  vedere la pubblicità prima di pranzo ti passa decisamente l’appetito ma resta un dubbio, un grande dubbio, una domanda alla quale stanno tentando di dare risposta medici e professori di tutto il mondo : ma alle donne non gli scappa mai  la pipì durante la notte ???

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6 GENNAIO

2016 pag. 10

l’animale: la prigionia in cella, sostanzialmente, assurge a zona rivelatrice, dove “l’alienato […] è libero, sbandiera, non trala-sciandone alcun grano, la sua pazzia, la cella [è] il suo regno dove dichiara se stesso, che è il compito della persona umana”. Una follia corporea, quasi un invasamento sciamanico, che ha come termine ultimo il supera-mento della soglia ontologica, fino all’apice di un processo trasformativo: “e quando il

malato si accuccia, la pazzia co-minciandosi a dileguare, sembra una bestia umana così coperto dall’alga, dalla quale spunta il lungo di una coscia o la magra punta di un gomito e, se lo si chiama, muove il viso tra i fili di quell’erba bruna e di quelli imbrattato tira su il volto a rispondere. Quando si apre una cella di un ‘malato all’alga’ viene incontro un odore acre, che arriva fino al cervello”. L’alga, il giaciglio del malato ricavato da “un’erba, presso le coste di certi mari”, quasi sigla un’incorpora-zione tra i due versanti – umano e non umano –, poiché il matto “vi vive nudo”, alla stregua di una fiera in delirio, forse perché “la pazzia dà potenza, [è] una forza che è ben poco spiegabile con le misure comuni”: parlare, insomma, un altro, semisegreto, linguaggio. In fondo, “la pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell’uomo?”

I

n “Le libere donne di Magliano” (1953), Mario Tobino allestisce una narrazione per quadri staccati, in un susseguirsi di presenze sbiadite, baluginanti, che tutta-via originano un romanzo corale e a più voci, ruotanti attorno a un unico tema: la malattia mentale. E questo ci spinge a considerare alcuni passaggi del libro, dove il malato psichico oltrepassa e trascende la linea di demarcazione tra umano e animale. L’accostamento tra animalità e follia potrà da subito suonare lapalissiano, e baste-rebbe – a mo’ di ragguaglio – il riferimento alla “Commedia” dantesca e, in particolar modo, al canto XI dell’Inferno, a “le tre disposizion che ’l ciel non vole,// incontenenza, malizia e la matta/ bestialitade”. Ecco: nel romanzo di Tobino, potremmo proprio azzardare una tenden-za onnipervasiva della “matta bestialitade”, non fosse altro per il continuo accostamen-to tra psicosi e teriomorfia, presente da subito nelle pagine del romanzo: “di notte”, scrive Tobino, “nei cameroni dei matti [c’è] puzzo di bestia”; oppure, si pensi alla “malata […] [che] sembra un topo pallido, gli oc-chi sempre curiosi benché non ricerchino con precisione nulla”. L’animalità s’insinua nella fisiognomica delle degenti, fino ad originare un vero e proprio bestiario della follia: la Berluc-chi “ha qualcosa di marino”; la Tognazzi, invece, un “occhio vi-spo di gallina”; c’è poi la malata “soprannominata ‘la faina’ […] [che] si mantenne felina fino agli ultimi giorni […]. Persino dopo che fu spirata sembrò che le fosse rimasto stampato nel volto quel sorriso felino e fosse pronta a raggiungere gli occhi e prenderseli come fece tutte le volte”. Nel manicomio immerso nella pianura lucchese, le celle sono “croniche di ferocia”, alla stregua di un giardino zoolo-gico dove la cattività continua a produrre un “odore ferino”, un lezzo che di umano ha ben poco. Tuttavia, siamo dinanzi a una coercizione refrattaria agli intenti esibitivi che, nel caso degli zoo, spettacolarizzano

Mario Tobino,

tra animale

e follia

di diEgo salvadori [email protected] di sErgio Favilli [email protected]

S

cavez

zacollo

Pubblicità

interiore

di MassiMo cavEZZali [email protected]

Quand’ero ragazzo (che brutto incipit!!) eravamo tutti abituati ad aspettare il mitico Carosello per  goderci un po’ di sana  ilarità inserita fra trasmissioni televisive seriose e spesso  monotone: erano i tempi di Bernabei, tempi nei quali si misurava anche la scollatura delle ballerine per non turbare la pubblica decenza ed i presunti benpensanti .

Poi, finalmente, il periodo del grande Guglielmi a RAI 3, tra-smissioni innovative che hanno fatto epoca, spot pubblicitari di ottimo livello moderni e pieni di sana ironia, piena libertà di espressione che inevitabilmente influenzò in positivo anche gli altri canali, senza contare la nascita del-le prime artigianali TV private con l’indimenticabile TELEVACCA di Benigni e del Monni.

Son passati tanti anni, per certi versi Televacca c’è ancora e non solo le trasmissioni sono sempre più inguardabili ma anche i pub-blicitari  danno evidenti segnali di  scarsa fantasia che spesso si tra-duce in spot decisamente rivoltanti : da una parte  gente perennemen-te stitica che va al cesso  sempre più raramente e dall’altra gente che  siede perennemente sulla taz-za del water ingurgitando  pillole astringenti  per fermare le perdite intestinali,  cittadini evidentemen-te abituati a pulirsi il culetto con carta a vetro e quindi alla continua ricerca di delicata carta igienica super morbida,  orride dentiere traballanti in cerca del giusto ade-sivo,  piedi puzzolenti alla ricerca della polvere magica, profumi e deodoranti intimi e non destinati a persone che evidentemente hanno scordato l’uso del sapone, manca solo un bel digestivo per i bambini che si mangiano le caccole e siamo al completo!!

 Insomma, a dover  vedere la pubblicità prima di pranzo ti passa decisamente l’appetito ma resta un dubbio, un grande dubbio, una domanda alla quale stanno tentando di dare risposta medici e professori di tutto il mondo : ma alle donne non gli scappa mai  la pipì durante la notte ???

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