• Non ci sono risultati.

metodo TIKlet: monitoraggio terapeutico di imatinib in pazienti affetti da leucemia mieloide cronica

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "metodo TIKlet: monitoraggio terapeutico di imatinib in pazienti affetti da leucemia mieloide cronica"

Copied!
63
0
0

Testo completo

(1)

1

INDICE

Capitolo 1. Leucemia mieloide cronica

... 4

1.1 Epidemiologia ... 4

1.2 Eziopatogenesi ... 5

1.3 Clinica ... 8

1.4. Diagnosi ... 12

1.5 Prognosi ... 14

Capitolo 2. Terapia farmacologica

... 15

2.1 Imatinib ... 21

2.2 Nilotinib ... 23

2.3 Dasatinib ... 26

2.4 Nuovi TKIs ... 27

Capitolo 3. Studio TIKlet

... 29

3.1 Arruolamento dei pazienti ... 30

3.2 Procedura dello studio ... 31

3.3 Monitoraggio terapeutico ... 32

3.4 Misurazioni ... 33

3.5 Raccolta dati ... 34

Capitolo 4. Materiali e metodi

... 36

4.1. Reagenti, plastiche e attrezzature da laboratorio ... 37

4.2 Preparazione dei campioni standard e dei controlli di qualità ... 38

4.3. Metodo cromatografico ... 39

4.3.1 Estrazione dei campioni... 39

4.3.2. Strumentazione cromatografica ed analisi ... 41

4.3.3. Analisi dei cromatogrammi ... 42

4.4 Pazienti ... 43

4.5 Analisi statistica ... 44

Capitolo 5. Risultati

... 45

5.1 Preparazione dei campioni e metodo cromatografico ... 45

5.2. Applicazione del metodo cromatografico ... 49

(2)

2

Capitolo 7. Conclusioni

... 57

(3)

3

(4)

4

Capitolo 1. Leucemia mieloide cronica

La leucemia mieloide cronica (LMC) è una sindrome mieloproliferativa cronica, causata dalla trasformazione neoplastica e dalla successiva espansione clonale di una cellula staminale emopoietica pluripotente, che porta ad una marcata iperplasia mieloide a livello del midollo osseo e all’accumulo di cellule mieloidi mature e precursori mieloidi nel sangue periferico.

1.1 Epidemiologia

La LMC è la forma più frequente tra le sindromi mieloproliferative croniche (MDP), rappresentata dal 15-20% negli adulti, ed ha un’incidenza di 1-2 casi su 100.000 abitanti all’anno, configurandosi come malattia rara, in accordo con la definizione europea (prevalenza inferiore a 1/2.000).

È più frequente nel sesso maschile rispetto a quello femminile con un rapporto

maschi:femmine di 3:2 e l’età mediana alla presentazione è di 60 anni, riflettendo l’età media della popolazione generale, anche se qualunque classe di età può essere interessata, compresa l’infanzia.

La quasi totalità dei casi di LMC è acquisita, come dimostrato dal fatto che figli di madri affette o gemelli omozigoti di soggetti affetti sono sani, non mostrando alterazioni sul piano clinico, citogenetico e molecolare. L’incidenza dei casi familiari è eccezionale (Faderl et al., 1999).

(5)

5

1.2 Eziopatogenesi

Il meccanismo responsabile della trasformazione neoplastica della cellula staminale

emopoietica (CSE) non è noto, anche se numerosi studi hanno dimostrato che l’esposizione a radiazioni ionizzanti aumenta il rischio di sviluppare leucemie mieloidi ed in particolare la LMC rispetto alla popolazione generale (Moloney, 1987).

Studi epidemiologici hanno evidenziato come negli anni ’30, prima dell’introduzione delle misure di protezione, l’incidenza della LMC fosse ben 9 volte maggiore nei medici

radiologi rispetto ai controlli e come, nei sopravvissuti all’esplosione delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, l’incidenza delle leucemie mieloidi, sia acute che croniche, fosse aumentata in modo significativo. In particolare, la LMC ha rappresentato il 40% delle leucemie sviluppatesi nei sopravvissuti di Hiroshima e il 12% in quelli di Nagasaki. (Ichimaru et al., 1978).

Non esistono, invece, dati per quanto riguarda una possibile associazione con sostanze chimiche quali benzene o agenti alchilanti che, però, aumentano significativamente il rischio di sviluppare sindromi mielodisplastiche (SMD) e leucemie mieloidi acute (LMA) (Michels et al., 1985).

Sono stati segnalati, infine, casi di LMC secondari al trattamento antineoplastico sia chemioterapico (soprattutto con inibitori della DNA topoisomerasi di tipo II) che

radioterapico, in particolare in pazienti con morbo di Hodgkin, alcuni dei quali sviluppano, poi, LMC secondaria (Verhoef et al., 1990).

La LMC è stata, fin dagli anni ’60, la MPD più studiata dal punto di vista patogenetico sia a livello citogenetico che a livello molecolare.

(6)

6 Nel 1960, a Philadelphia, Peter Nowell e David Hungerford identificarono nel cariotipo di pazienti affetti da LMC la presenza di un cromosoma 22 di dimensioni minori del normale che denominarono cromosoma Philadelphia (Ph) dal nome della città in cui fu scoperto. Per la prima volta era stata scoperta una alterazione citogenetica legata ad una neoplasia specifica (Nowell et al., 1960).

Figura 1. Cariotipo di un paziente affetto da LMC. Si può osservare la presenza di un cromosoma

22 di dimensioni minori del normale e di un cromosoma 9 di dimensioni maggiori.

Nel 1973, a Chicago, Janet Rowley scoprì che questa alterazione citogenetica è dovuta ad una traslocazione reciproca (tra cromosomi non omologhi) bilanciata (senza perdita o aggiunta di materiale genetico) (Rowley et al., 1973).

(7)

7

Figura 2. Illustrazione del cromosoma Philadelphia. Le rotture cromosomiche a livello dei geni

ABL e BCR sui cromosomi normali determina la formazione del cromosoma 9 derivativo e del cromosoma di Philadelphia (cromosoma 22 derivativo). Sul cromosoma Ph si forma il gene ibrido di fusione BCR/ABL.

Nel 1984/85, 25 anni dopo la scoperta del cromosoma Philadelphia, fu identificato da Goffren e Shtivelman il corrispettivo molecolare di questa alterazione citogenetica, rappresentato dal gene ibrido di fusione BCR/ABL1, che si origina in seguito alla traslocazione t(9;22)(q34;q11) con conseguente giustapposizione del protoncogene Abelson murine leukemia viral oncogene homolog 1 (ABL1) presente sul cromosoma 9 con il gene Breakpoint Cluster Region (BCR) presente sul cromosoma 22 (Shtivelman et al., 1985). Il gene di fusione viene quindi trascritto in un RNA messaggero (mRNA) e poi tradotto in una proteina di 210 kDa, caratterizzata dall’attività tirosin chinasica (TK) costitutiva di Abl1.

Il cromosoma Philadelphia, quindi, è la caratteristica citogenetica tipica della LMC ed è presente nel 95% dei pazienti. Il restante 5% dei pazienti è Philadelphia negativo, ma Bcr/Abl1 positivo e questo è dovuto a traslocazioni sub-citogenetiche di Abl1 sul cromosoma 22. Il cromosoma Philadephia è presente anche nel 5% dei bambini e nel

(8)

15-8 30% degli adulti affetti da leucemia linfoblastica acuta (LLA) e nel 2% dei pazienti con leucemia mieloide acuta (LMA) (Faderl et al., 1999).

L’acquisizione di questa anomalia citogenetica rappresenta il primum movens nella genesi della LMC e questo è dimostrato da numerosi modelli sia in vitro che in vivo (murini), nei quali si è visto come l’espressione dell’oncogene di fusione BCR/ABL1 sia necessaria e sufficiente per la trasformazione maligna e la conseguente riproduzione di una malattia LMC-simile nei modelli animali.

Esistono numerose evidenze a sostegno dell’ipotesi che questa alterazione possa avvenire in una singola CSE pluripotente, la quale acquisisce un vantaggio proliferativo, portando così all’espansione del compartimento mieloide. La presenza del cromosoma Philadelphia, infatti, è stata identificata non solo nelle cellule della filiera granulocitaria, ma anche di quella eritroide, megacariocitaria e anche nella linea linfoide sia B che T, indicando che la LMC è una malattia delle CSE pluripotenti (Sawyers, 1999).

1.3 Clinica

L’insorgenza della LMC è solitamente insidiosa e circa il 30% dei pazienti affetti è

asintomatico all’esordio (Sawyers, 1999), per cui la diagnosi è occasionale e viene posta in seguito all’insorgenza di sintomi aspecifici o in occasione di un esame

emocromocitometrico effettuato di routine, il quale evidenzia una leucocitosi neutrofila di vario grado che può essere associata a trombocitosi e anemia. Nei pazienti sintomatici, le manifestazioni cliniche all’esordio sono dovute all’espansione clonale mieloide e alla conseguente splenomegalia, che costituisce un segno molto frequente e precoce e che è responsabile di una sensazione di tensione addominale, di peso a livello dell’ipocondrio

(9)

9 sinistro, di ripienezza postprandiale associata ad anoressia, fino a dolore violento

all’ipocondrio sinistro conseguente ad infarti splenici. Nel 18% dei casi è stata descritta rottura patologica della milza, secondaria all’infiltrazione leucemica (Giagounidis et al., 1996). Molto spesso sono presenti anche dolori ossei di tipo gravativo, dovuti

all’espansione della filiera ematopoietica mieloide a livello midollare.

A causa del fatto che le manifestazioni cliniche all’esordio sono aspecifiche, nella maggior parte dei casi la diagnosi non è precoce, ma viene posta dopo alcune settimane o mesi dall’esordio della sintomatologia clinica.

L’espansione della linea granulocitopoietica, sostenuta da un vantaggio proliferativo sulle altre filiere ematopoietiche, ha come diretta conseguenza anemia e piastrinopenia.

L’elevata leucocitosi può causare segni di leucostasi, dovuti all’aumento della viscosità ematica. Questo elemento, associato alla trombocitosi, frequentemente presente nelle fasi iniziali della patologia, può causare occlusione dei vasi retinici con conseguenti disturbi visivi come scotomi e fosfeni, dei vasi che irrorano l’orecchio interno, causando disturbi uditivi quali acufeni e disturbi vestibolari quali vertigini, dei vasi dei corpi cavernosi del pene con conseguente priapismo, dei vasi venosi degli arti inferiori, o ancora della vena porta con quadri di addome acuto. L’interessamento dei vasi cerebrali può causare alterazioni ideative o sintomi di focolaio, variabili a seconda del territorio cerebrale

interessato. Nelle fasi avanzate della patologia si può avere infiltrazione di vari organi, con manifestazioni specifiche in base all’organo interessato. Questa infiltrazione di sedi

extramidollari da parte delle cellule leucemiche rappresenta di fatto un tumore solido definito inizialmente cloroma, termine che deriva dal greco “chloros” e che significa “verde”, in quanto, nella maggior parte dei casi, questi tumori appaiono di questo colore in conseguenza dell’espressione dell’enzima mieloperossidasi. Poiché in circa il 30% dei casi,

(10)

10 però, la colorazione non è verde, bensì grigia, bianca o marrone, si preferisce oggi riferirsi a questi tumori con il termine di sarcoma granulocitico piuttosto che cloroma (Paydas, 2006).

La LMC evolve tipicamente in tre diversi stadi clinici, la cui definizione è basata sui criteri di Sokal: fase cronica (FC), fase accelerata (FA) e crisi blastica (CB), (Sokal et al., 1984). Ciascuno di questi tre stadi clinici presenta un quadro morfologico caratteristico,

rappresentato dall’accumulo di progenitori mieloidi immaturi e cellule mature nel sangue periferico, a livello midollare e nei siti extramidollari (fegato e milza in prima istanza). All’esordio, durante la fase preclinica, i pazienti sono asintomatici e presentano solo una modesta leucocitosi.

La successiva FC (Figura A) è caratterizzata da leucocitosi di grado elevato e

splenomegalia e i pazienti presentano in genere sintomi aspecifici, quali astenia, pallore e senso di tensione addominale. In assenza di terapia, la FC ha una durata mediana di 3-4 anni, dopo i quali evolve inevitabilmente verso la fasi avanzate della patologia (Perrotti et al., 2010).

La FA (Figura B) ha una durata mediana di 4-6 mesi e, proprio per la sua brevità, può passare inosservata, facendo sembrare che la FC evolva direttamente nella CB. La FA è caratterizzata da un aumento importante dei precursori mieloidi immaturi sia midollari che circolanti e da un grado variabile di fibrosi midollare, conseguente alla stimolazione dei fibroblasti da parte del PDGF prodotto dai megacariociti. Sul piano clinico si ha un peggioramento delle condizioni del paziente e la patologia diventa refrattaria alle terapie citostatiche standard.

In circa il 70% dei casi la FA evolve nella CB (Figura C), caratterizzata dall’arresto della maturazione e della differenziazione della linea ematopoietica mieloide, con conseguente

(11)

11 aumento dei blasti midollari e periferici. La CB è, quindi, caratterizzata da una rapida espansione dei blasti, in modo analogo a quello che avviene nelle leucemie mieloidi acute e ha una durata mediana di circa 3 mesi, dopo i quali porta il paziente ad exitus nel 90% dei casi (Perrotti et al., 2010).

Figura 3. Quadro morfologico delle tre fasi cliniche della LMC allo striscio di sangue periferico.

A) Fase cronica, caratterizzata dalla presenza di elementi mieloidi in tutte le fasi di maturazione. B) Fase accelerata, che dimostra una marcata leucocitosi con un aumentato numero di blasti rispetto alla fase cronica. C) Crisi blastica, caratterizzata dalla presenza di blasti organizzati in cluster nel sangue periferico.

L’infiltrazione midollare da parte dei blasti è responsabile della riduzione del

compartimento eritroide e megacariocitario, con conseguente anemia e piastrinopenia associate al corrispettivo corteo sintomatologico. In questo stadio, inoltre, diventa

A B

(12)

12 significativa l’infiltrazione blastica degli organi extramidollari diversi da milza e fegato (linfonodi, ossa e cute) e la mielofibrosi diventa di grado notevole.

1.4. Diagnosi

L’esame emocromocitometrico è fondamentale per la diagnosi di LMC, in quanto è spesso l’esame che viene effettuato di routine e che, presentandosi alterato, consente di arrivare alla diagnosi, in quanto pone il sospetto di una MPD, aprendo la strada all’effettuazione di esami più specifici e mirati. L’emocromo mostra leucocitosi, che può raggiungere anche valori molto elevati (>300·10⁹/l), con possibili segni di leucostasi, che rendono necessario un trattamento leucoaferetico in regime di urgenza. I valori dei globuli rossi e delle

piastrine, invece, dipendono dalla fase della patologia. Nelle fasi iniziali può essere presente una lieve eritrocitosi, ma nelle fasi avanzate è sempre presente anemia normocitica normocromica, anche se di lieve entità. In modo analogo, all’esordio è frequentemente presente piastrinosi, con valori intorno a 500.000/μl, che in circa il 30% dei casi può raggiungere valori di circa 106/μl, mentre nelle fasi avanzate si ha

piastrinopenia (Ahmed et al., 2009). Questa riduzione del numero degli eritrociti e delle piastrine nelle fasi avanzate della patologia è dovuta all’infiltrazione midollare da parte del clone leucemico.

La formula leucocitaria evidenzia un aumento dei granulocitineutrofili, ma anche dei basofili e degli eosinofili e dimostra la presenza di precursori mieloidi immaturi. L’esame morfologico al microscopio ottico dello striscio di sangue periferico colorato con metodi panottici come la colorazione di May-Grünwald-Giemsa, rivela la presenza di cellule mieloidi immature con prevalenza di quelle in fasi più avanzate della maturazione

(13)

13 (mielocita, metamielocita, neutrofilo a banda) nelle fasi iniziali della patologia, piuttosto che quelle in fasi più precoci della maturazione (mieloblasto, promielocita) che si

riscontrano nel sangue periferico, invece, nelle fasi avanzate di malattia.

L’aumentato turnover cellulare è responsabile dell’aumento dei livelli circolanti di acido urico, di lattico deidrogenasi (LDH), di istamina, e di vitamina B12, i cui valori sono proporzionali al numero di leucociti circolanti. In particolare, l’aumento della vitamina B12 e delle sue proteine leganti (transcobalamina II, che rappresenta la proteina di trasporto fisiologica, ma anche transcobalamina I, che è una forma di riserva) è dovuto all’aumento del turnover dei granulociti in toto, mentre l’aumento dell’istaminemia dipende più specificamente dall’aumento dei basofili.

Il mieloaspirato (MA) mostra una marcata ipercellularità con iperplasia della filiera granulocitaria, a causa della proliferazione del clone leucemico. Nelle fasi iniziali della patologia, inoltre, è spesso presente una iperplasia della linea megacariocitaria, mentre molto raramente si riscontra una lieve iperplasia della linea eritroide (Thiele et al., 1993). La biopsia osteo-midollare (BOM) consente anche lo studio dell’architettura midollare e mostra l’iperplasia della linea granulocitaria con conseguente scomparsa quasi totale della componente adiposa e riduzione della linea eritroide con spostamento del rapporto mielo-eritroide. La trama reticolare è normale o solo lievemente aumentata nelle fasi iniziali della patologia, mentre aumenta, insieme alla trama fibrosa, nelle fasi avanzate, configurando un quadro simile a quello della mielofibrosi idiopatica.

(14)

14

1.5 Prognosi

Il tempo che intercorre tra l’insorgenza della malattia a livello biologico e il momento in cui inizia la fase clinica e quindi il momento in cui può essere posta la diagnosi, è molto variabile tra i diversi pazienti (range da 2 a 10 anni). Anche la sopravvivenza varia molto tra i diversi pazienti, con un range tra 2 e 10 anni e un valore mediano di 4 anni.

Mediante una scala di valutazione, chiamata Sokal Score, viene dato un valore di rischio per ogni paziente, tenendo presenti quattro parametri:

età, dimensioni della milza, numero delle piastrine e percentuale di blasti circolanti nel sangue periferico. I pazienti con rischio relativo basso hanno una sopravvivenza mediana di 65 mesi, il gruppo a prognosi intermedia ha una sopravvivenza mediana di 53 mesi, e quello a prognosi peggiore di 35 mesi. In particolare, la differenza tra il gruppo a basso e ad alto rischio è particolarmente significativa e i pazienti a basso rischio hanno una

sopravvivenza mediana una volta e mezzo più lunga di quelli a rischio elevato (Sokal et al., 1984).

La prognosi della LMC è stata profondamente cambiata dall’introduzione, nel 2001, del primo farmaco appartenente alla classe degli inibitori delle tirosin chinasi (TKIs):

l’imatinib mesilato. Da una sopravvivenza mediana di 4 anni in assenza di terapia, siamo passati ad una sopravvivenza mediana di 10 anni.

(15)

15

Capitolo 2. Terapia farmacologica

La leucemia mieloide cronica, sin dagli anni ’50, è stata trattata con farmaci antiblastici, tra i quali, l’idrossiurea e busulfano, che però non riescono a contrastare il peggioramento del quadro clinico di tale malattia.

Successivamente, l’introduzione dell’interferone α (IFN-α) nella terapia della LMC ha portato un discreto successo, in quanto blocca la proliferazione delle cellule leucemiche secondo un meccanismo non ancora noto.

L’evoluzione nella terapia farmacologica della leucemia mieloide cronica è stata nel 1996, quando Brian Druker riuscì ad identificare un composto definito STI-571 (Signal

Transduction inhibithor 571), in grado di inibire l’attività tirosin-chinasica (TK) della proteina di fusione BCR-Abl1, causando l’apoptosi delle cellule leucemiche Philadelphia-positive, con il vantaggio di non causare l’apoptosi nelle cellule sane. (Druker et al., 1996). Poiché l’enzima Bcr-Abl1 è necessario e sufficiente per l’iniziazione e la propagazione della LMC, l’inibizione dell’attività TK di Abl1 rappresenta un target ideale. Questo composto rappresenta il capostipite della famiglia degli inibitori delle tirosin chinasi (TKIs), farmaci a bersaglio molecolare specifico che esplicano la loro azione legando in modo competitivo il sito di legame dell’ATP, impedendo la fosforilazione delle proteine effettrici e quindi la cascata di reazioni che portano al processo di leucemogenesi.

(16)

16

Figura 4. Meccanismo di azione dei TKIs. Il legame competitivo al sito di legame

dell’ATP della proteina di fusione Bcr-Abl1 impedisce la fosforilazione delle proteine effettrici, bloccando, quindi, le vie di trasduzione del segnale che sono responsabili della perpetuazione del clone leucemico.

L’STI-571, poi denominato imatinib mesilato (IM) e commercializzato dalla Novartis come Glivec a partire dal 2001, è in grado di indurre, rispetto ai farmaci antiblastici e all’IFN-α, la risposta ematologica e la risposta citogenetica più precocemente. In una percentuale maggiore di pazienti (circa il 90%) anche la risposta molecolare, che non si raggiunge con nessuno dei presidi terapeutici classici.

L’imatinib, quindi, rappresenta il farmaco di prima scelta nel trattamento della LMC, sia nella fase cronica che nelle altre fasi della malattia. Gli effetti collaterali si esplicano a carico dell’apparato gastrointestinale con nausea e diarrea, a livello epatico con aumento delle transaminasi, a livello cutaneo con eruzioni eritematose e frequente è la ritenzione di liquidi che si manifesta con aumento ponderale, edemi declivi e tipicamente edemi

(17)

17 sospensione del farmaco. Tuttavia, circa il 20% dei pazienti presenta tossicità di grado importante e circa il 10% dei pazienti non risponde a imatinib. Ne consegue che circa il 30% dei pazienti richiede una terapia alternativa a imatinib (Bixby e Talpaz, 2009). È necessario, pertanto, in questi casi, passare ad un TKI di seconda generazione, come nilotinib o dasatinib. Entrambi questi farmaci hanno dimostrato una maggiore potenza nell’inibire la tirosin chinasi Bcr-Abl1 (10-50 volte maggiore di imatinib per nilotibin e 325 volte per dasatinib) e entrambi sono attivi nei confronti di mutazioni di Abl1 resistenti a imatinib, con una diversa specificità per le diverse mutazioni per ciascuno dei due farmaci.

L’approvazione dell’utilizzo di questi TKIs di seconda generazione in prima linea di trattamento è il risultato di due studi di fase III che hanno paragonato l’imatinib in prima linea con il nilotinib in prima linea (studio ENESTnd) o con il dasatinib in prima linea (studio DASISION). Entrambi gli studi hanno dimostrato la superiorità di nilotinib e dasatinib in termini di raggiungimento della risposta citogenetica e molecolare in un maggior numero di pazienti e con tempi inferiori a quelli osservati in corso di trattamento con imatinib. Ciascuno di questi due farmaci presenta un profilo di tossicità tipico. Entrambi hanno tossicità ematologica causando leucopenia, piastrinopenia e anemia di grado variabile. Il nilotinib causa tossicità pancreatica, con aumento dell’amilasi e della lipasi pancreatiche, mentre il dasatinib causa più tipicamente versamenti pleurici e pericardici. Ne consegue la necessità di considerare, soprattutto nei pazienti anziani, le comorbidità per guidare la scelta del farmaco.

La risposta citogenetica ai TIKs è definita dalla riduzione della percentuale di cellule Philadelphia-positive. Questo tipo di risposta può essere valutato mediante test di citogenetica convenzionale, determinando il cariotipo su cellule mitotiche arrestate in

(18)

18 metafase su campioni di midollo osseo, oppure mediante Fluorescence In Situ

Hybridization (FISH), valutando la presenza del gene di fusione BCR/ABL1 nei nuclei interfasici.

Circa il 10% dei pazienti non risponde all’imatinib e la maggior parte di questi pazienti non raggiungono la risposta citogenetica completa a 12 mesi dall’inizio della terapia, esponendo i pazienti ad un maggior rischio di progressione verso le fasi avanzate della malattia.

Le cause responsabili della mancata risposta ai TKIs sono numerose e molte di esse sono state indagate a fondo in numerosi studi clinici.

La compliance gioca un ruolo di primaria importanza in oncologia da quando sono stati introdotti i farmaci a bersaglio molecolare i quali vengono somministrati per lo più per via orale. Il problema della scarsa compliance è importante soprattutto per le patologie che richiedono terapie croniche, come nel caso della LMC. La compliance, infatti, risulta pari al 100% a 4 mesi dall’inizio della terapia, per poi ridursi drasticamente fino ad arrivare, in alcuni casi, al 20% dopo il primo anno di terapia (Tsang et al., 2006).

Le cause di questa scarsa compliance sono numerose e vanno dalla semplice dimenticanza, soprattutto negli anziani, alla inadeguata gestione delle tossicità che porta i pazienti a sospendere o a ridurre i dosaggi autonomamente, ma anche a motivi psicologici che hanno frequentemente un ruolo prevalente. I pazienti, infatti, hanno spesso la convinzione che dopo aver raggiunto una risposta non sia più necessario continuare la terapia, soprattutto se sono in buona salute e, inoltre, la via di somministrazione per os piuttosto che per via endovenosa come per i chemioterapici classici, fa sì che il paziente abbia una scarsa percezione dell’importanza della terapia. Spesso questi aspetti psicologici possono essere

(19)

19 controllati grazie ad un approfondito colloquio medico-paziente che abbia lo scopo di far sorgere nel paziente la consapevolezza dell’importanza della terapia.

Un altro fattore che influenza la risposta ai TKIs è l’assorbimento a livello intestinale, che può essere influenzato dall’assunzione contemporanea di altri farmaci, da patologie della mucosa intestinale o ancora da particolari polimorfismi dei trasportatori transmembranari presenti a livello degli enterociti che nedeterminino una modificazione dell’espressione o dell’attività. In particolare, sono da considerare i trasportatori presenti a livello dei microvilli sulla membrana apicale che sono responsabili dell’ingresso del farmaco negli enterociti, come il trasportatore ABCB1 e i trasportatori presenti a livello della membrana baso-laterale, che, invece, sono responsabili della fuoriuscita del farmaco dagli enterociti e il suo successivo passaggio nel circolo linfatico (Eechoute et al., 2010).

Anche il metabolismo epatico gioca un ruolo fondamentale, in quanto a livello degli epatociti vengono prodotti sia metaboliti attivi, come nel caso dell’imatinib, che metaboliti inattivi. Il metabolismo epatico dei farmaci può essere alterato nel caso in cui siano

presenti alterazioni sottostanti della funzione epatica, che quindi devono essere sempre considerate insieme alle altre comorbidità nella scelta del farmaco. A livello epatico si possono avere interazioni farmacologiche con farmaci induttori o inibitori del metabolismo epatico assunti contemporaneamente ai TKIs. In particolar modo, i farmaci induttori, come la fenitoina, la carbamazepina e l’iperico, determinano una riduzione dei livelli plasmatici dei TKIs.

I farmaci inibitori del metabolismo epatico, come il ketoconazolo o il ritonavir, invece, determinano un aumento dei livelli plasmatici del farmaco con maggiore predisposizione a sviluppare tossicità.

(20)

20 La quota di farmaco attiva è quella libera, cioè quella non legata alle proteine plasmatiche, per cui la concentrazione delle proteine plasmatiche di legame influenza la frazione libera del farmaco e quindi la risposta e le tossicità. La proteina plasmatica alla quale i TKIs si legano in misura maggiore è rappresentata dall’albumina, ma anche l’α1-glicoproteina acida gioca un ruolo importante nel legame dell’imatinib (Widmer et al., 2006). In aggiunta a tutti questi fattori determinanti la non risposta ai TKIs, che agiscono indipendentemente dall’elemento patogenetico della LMC, ne esistono altri direttamente dipendenti dal gene di fusione BCR/ABL1.

Si può avere, infatti, un’amplificazione del gene di fusione che nella maggior parte dei casi risulta essere una duplicazione o ancora mutazioni a carico del gene di fusione Bcr/Abl1. La frequenza mutazionale aumenta progressivamente con la progressione verso le fasi avanzate della malattia, come conseguenza dell’instabilità genetica tipica delle cellule leucemiche. Le mutazioni a carico del gene di fusione BCR/ABL1 sono mutazioni puntiformi che determinano la sostituzione di un singolo residuo aminoacidico,

determinando un ingombro sterico e riducendo, in ultima analisi, l’affinità di legame dei TKIs per il sito di legame oppure impedendone l’accesso. Lo studio mutazionale del dominio tirosin chinasico di Abl1 è sempre più usato nella pratica clinica in quei pazienti in cui si ottiene un fallimento terapeutico con imatinib, al fine di scegliere a quale dei TKIs di seconda generazione passare in seconda linea di trattamento. Per le diverse mutazioni identificate, infatti, è stata determinata la sensibilità ai vari TKIs, in modo da orientare la scelta terapeutica.

(21)

21

2.1 Imatinib

Imatinib rappresenta un farmaco d’impiego elettivo per il trattamento di LMC, sebbene sia ormai noto che la percentuale di pazienti che sviluppano resistenza o tossicità gravi sia rilevante (attorno al 30%). Nonostante questo, le informazioni note su imatinib sono utili per comprendere la farmacologia dei TKI impiegati nella terapia della LMC.

Figura 5. Struttura chimica di imatinib.

È noto che la cinetica di imatinib è significativamente influenzata da numerosi fattori fisiologici e patologici, tra cui l’età del paziente, il peso corporeo, le concentrazioni

plasmatiche di albumina e α1-glicoproteina acida, la funzionalità epatica e renale (Petain et al, 2008; Menon-Andersen et al, 2009; Yin et al, 2009; Yoo et al, 2010).

Inoltre, fattori farmacogenetici come i polimorfismi dei trasportatori appartenenti alla superfamiglia ABC (ABCG2) e delle isoforme citocromiali (CYP3A5) sono

(22)

22 È importante sapere che concentrazioni plasmatiche minime (Cmin) superiori a 1000 ng/ml sono risultate associate ad una maggiore probabilità di risposta a imatinib (Picard et al, 2007; Ishikawa et al, 2010; Takahashi et al, 2010).

Inoltre, è stato dimostrato che elevate esposizioni a imatinib in pazienti affetti da CML e GIST sono associate a più frequenti e gravi reazioni avverse (Widmer et al, 2008).

Pertanto, il monitoraggio terapeutico di imatinib e del suo metabolita norimatinib potrebbe rappresentare una strategia necessaria all’ottimizzazione della dose del farmaco ed il raggiungimento di migliori risultati terapeutici, risparmiando al paziente gravi tossicità che potrebbero indurre alla sospensione di un trattamento potenzialmente benefico.

D’altra parte, la scarsa aderenza ad un trattamento con imatinib riduce significativamente l’efficacia del farmaco (Marin et al, 2010).

Altre cause di resistenza al farmaco sono rappresentate da mutazioni/duplicazioni di BCR-ABL e attivazione di vie di trasduzione del segnale proliferativo alternative a quella regolata da BCR-ABL (Bixby e Talpaz, 2009), anche se l’alterazione della cinetica cellulare di imatinib, intesa come ridotta penetrazione intracellulare da parte dei

trasportatori cationici transmembranari (hOCT1) ed aumentato trasporto extracellulare ad opera di trasportatori ABC, siano da considerare ulteriori meccanismi putativi di scarsa efficacia della terapia.

Come già sottolineato sopra, nel caso di resistenza o scarsa tollerabilità a imatinib è possibile somministrare al paziente altri farmaci quali nilotinib e dasatinib (Stein e Smith, 2010).

(23)

23

2.2 Nilotinib

Da un punto di vista farmacocinetico, nilotinib (figura 6) raggiunge le massime

concentrazioni plasmatiche 3 ore dopo la somministrazione per os, mostrando una cinetica lineare fino al dosaggio di 400 mg b.i.d. (Hazarika et al, 2008), dato che per dosi maggiori (fino a 600 mg b.i.d. e oltre) non è stato osservato un proporzionale incremento

dell’esposizione al farmaco.

Figura 6. Struttura chimica di nilotinib.

Nilotinib è legato per il 98% alle proteine plasmatiche, pertanto è probabile che

modificazioni della concentrazione delle proteine plasmatiche possa influenzare la cinetica del farmaco. Al contrario, l’influenza sulla cinetica di nilotinib di fattori quali età del paziente, peso corporeo e origine etnica è stata esclusa. A seguito della somministrazione di dosi pari a 400 mg b.i.d., la concentrazione minima plasmatica del farmaco è pari a 1,7 μM (corrispondenti a circa 900 ng/mL) (Deininger, 2008).

È interessante sottolineare che il metabolismo di nilotinib porta alla formazione di un metabolita inattivo ad opera dell’isoforma CYP3A4 (van Erp et al, 2009). Tale

(24)

(≅32-24 64%), la quale in parte non è stata ancora spiegata. Infatti, per quanto riguarda la

biotrasformazione, è stato recentemente dimostrato che la contemporanea

somministrazione di farmaci in grado di inibire o indurre il metabolismo epatico (es., ketoconazolo, rifampicina) causa una significativa alterazione del profilo plasmatico del farmaco (Tanaka et al, 2010). Un aspetto particolare è rappresentato anche dalla presenza di insufficienza epatica di grado moderato-grave, caso in cui un’alterazione della cinetica di nilotinib può essere ipotizzata. In realtà, un recente studio clinico mostra che in tali casi (Child-Pugh score>7) l’aggiustamento del dosaggio non è ritenuto necessario nonostante la clearance di nilotinib sia ridotta e l’emivita del farmaco aumentata, tanto che al più è suggerito un “attento monitoraggio clinico” (Yin et al, 2009). Un terzo ed ultimo aspetto è rappresentato dalla presenza di varianti genetiche (la maggior parte delle quali dovute a polimorfismi a singolo nucleotide, SNP) che codificano per isoforme a variabile attività enzimatica ed esse e che dovrebbero devono essere considerate un’altra causa di variabilità interpaziente nel rapporto tra dose e concentrazione e quindi di efficacia e tollerabilità. Nilotinib è substrato di trasportatori della superfamiglia ABC (Hazarika et al, 2008), sebbene uno studio in vitro riporti risultati contrastanti (Davies et al, 2009). In particolare, è stato dimostrato che l’attività di ABCB1 e di ABCG2 può influenzare la cinetica del farmaco (Hegedus et al, 2009), e questi dati rafforzano ulteriormente l’ipotesi che la variabilità farmacocinetica del TKI possa dipendere dalla variabile espressione di tali proteine. A tal riguardo, è necessario sottolineare che:

1) I membri della superfamiglia ABC sono ampiamente distribuiti in molti tessuti, tra cui la mucosa intestinale e gli organi emuntori (rene e fegato); sono descritti numerosi polimorfismi associati ad una diversa attività del trasportatore. Pertanto, la variabile espressione a livello intestinale, epatico e renale può essere associata ad un

(25)

25 assorbimento ridotto/aumentato, così come potrebbe avvenire per il fenomeno

dell’escrezione biliare/renale.

2) L’interesse per i trasportatori transmembranari è ulteriormente sostenuto sia dalla possibilità che altri farmaci modulanti l’attività di tali proteine possano influire sulla cinetica di nilotinib, quali ad esempio verapamil, ciclosporina e le statine, per citarne solo alcuni.

Un’altra proteina trasportatrice di particolare interesse è hOCT1, dato che, come già descritto sopra, essa regola l’ingresso nelle cellule bersaglio di TKI quali imatinib. Studiando la distribuzione tissutale del trasportatore è stato osservato che esso è presente anche sulla superficie apicale degli epatociti e su quella basale degli enterociti (Shugarts e Benet, 2009), favorendo il passaggio di substrati dal lume vascolare al citoplasma dei due tipi cellulari. Pertanto, la presenza di hOCT1 può influenzare sia l’assorbimento del farmaco che la sua secrezione biliare, sebbene non vi siano al momento evidenze che nilotinib sia substrato del trasportatore (Davies et al 2009).

La presenza di trasportatori transmembranari è essenziale anche per l’escrezione di nilotinib dalle cellule bersaglio (Brendel et al, 2007), potendo risultare in una ridotta sensibilità o in una franca resistenza al trattamento farmacologico. Come già anticipato sopra, al contrario di imatinib, ad oggi non è stato dimostrato il ruolo del trasportatore hOCT1 nell’ingresso di nilotinib nel citoplasma (Davies et al, 2009).

Infine, a differenza di quanto avvenuto per imatinib, per il quale è noto che la massima efficacia si ottiene quando le concentrazioni minime plasmatiche sono superiori a 1100 ng/ml, nel caso di nilotinib un limite inferiore di concentrazioni plasmatiche efficaci non è stato ancora individuato.

(26)

26

2.3 Dasatinib

Dasatinib (figura 7) rappresenta un’alternativa terapeutica per i pazienti affetti da CML resistente o per coloro che patiscono gravi tossicità a seguito della somministrazione di imatinib.

Figura 7. Struttura chimica di dasatinib.

L’efficacia di dasatinib è stata dimostrata anche per livelli di dose inferiori a quelle standard alla a condizione che il trattamento non sia interrotto (Visani et al, 2010). Analogamente a imatinib e nilotinib, dasatinib sottosta al metabolismo epatico con formazione di metaboliti inattivi (Kamath et al, 2008), e l’isoforma CYP3A4 è quella maggiormente coinvolta nella biotrasformazione del farmaco. Probabilmente, la bassa biodisponibilità osservata nei modelli animali è legata ad un incompleto assorbimento piuttosto che ad un elevato metabolismo di primo passaggio. La ridotta biodisponibilità non sembra causata dalla presenza del trasportatore ABCB1, ma uno studio in vitro ha dimostrato che l’iperespressione di ABCG2 può influenzare la cinetica di dasatinib (Hugedus et al, 2009). Per quanto concerne la distribuzione del farmaco, il legame

farmaco-proteico è elevato, essendo superiore al 90%, mentre la distribuzione del farmaco nella componente ematica corpuscolata è pari al 55% nell’uomo. Il volume di distribuzione

(27)

27 allo stato stazionario e la clearance sistemica sono stati stimati in 4,2 l/kg e 1,29 l/h/kg (Kamath et al, 2008).

È interessante sottolineare che anche per dasatinib è stato dimostrato che il 50% dell’inibizione della fosforilazione di SRC (un bersaglio di dasatinib) nelle cellule mononucleate del sangue periferico si ha per concentrazioni pari a 14,4 ng/ml (Luo et al, 2006).

2.4 Nuovi TKIs

La ricerca scientifica ha permesso l’individuazione di nuove molecole appartenenti alla classe degli inibitori della tirosin-chinasi, con l’obiettivo di ridurre gli effetti tossici derivanti dalle molecole precedentemente descritte, o per ovviare al problema di non-risposta al farmaco.

Tra questi nuovi farmaci troviamo: Bosutinib, Bafetinib e Ponatinib.

Il bosutinib è stato approvato dalla FDA nel Settembre del 2012, commercializzato da Pfizer con il nome Bosulif®. In seguito ad uno studio clinico multicentrico, è stato dimostrato che la maggior parte dei pazienti affetti da LMC, che non rispondevano alla terapia con imatinib, hanno avuto un aumento della risposta citogenetica (MCyr), riuscendo a manternerla all’incirca per 18 settimane.

Il bafetinib attualmente si trova in fase di valutazione in trial clinico di fase II da Giugno 2011. Oltre al trattamento della LMC, ha dimostrato particolare interesse terapeutico anche nel carcinoma prostatico.

(28)

28 Il ponatinib è stato approvato dalla FDA nel Dicembre 2012, sviluppato da

AriadPharmaceuticals. Questo è attivo anche nei confronti della mutazione T315l, che risulta resistente a tutti gli altri TKIs sviluppati fino ad ora.

Molti altri farmaci che trovano applicazione nella terapia della leucemia mieloide cronica (Ph+), sono in fase di valutazione preclinica.

(29)

29

Capitolo 3. Studio TIKlet

Lo studio TIKlet (farmaci Inibitori delle Tirosin Kinasi: studio farmacocinetico e

farmacogenetico in pazienti affetti dal Leucemia mieloide cronica. Confronto con Efficacia e Tollerabilità) è iniziato nel Gennaio del 2011 ed è condotto dalla Divisione di Ematologia in collaborazione con la Divisione di Farmacologia dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana.

Il presente studio è definito come non randomizzato, in aperto, non controllato, di tipo prospettico, non interventistico.

Gli obiettivi principali dello studio sono:

• Valutazione delle caratteristiche farmacocinetiche di imatinib (del metabolita norimatinib), nilotinib e dasatinib in una popolazione di pazienti affetti da LMC ed inseriti nei protocolli di monitoraggio terapeutico dei TKI.

• Valutazione dei possibili fattori farmacogenetici che influenzano la cinetica di imatinib, nilotinib e dasatinib.

Gli obiettivi secondari dello studio sono i seguenti:

• Identificazione dei possibili marcatori predittivi di efficacia e tollerabilità al farmaco; • Elaborazione di strategie farmacologiche per la personalizzazione del trattamento; • Valutare la possibile relazione tra espressione/polimorfismi di geni codificanti per

proteine appartenenti a PRC e risposta a farmaci inibitori di BCR/Abl. Questo obiettivo è perseguito solo presso il centro di Pisa;

• Valutare la compliance del paziente allo schema terapeutico. Questo obiettivo è perseguito solo presso il centro di Pisa.

(30)

30 Gli endpoints, dunque, sono i seguenti:

 Misurazione delle concentrazioni plasmatiche di imatinib/norimatinib, nilotinib e dasatinib nel plasma dei pazienti (almeno due settimane dopo l’inizio della somministrazione, nonché nei seguenti mesi di follow up dei pazienti);

 Esecuzione di analisi farmacogenetiche di polimorfismi di geni coinvolti nella cinetica e nell’effetto dei farmaci, a livello sistemico e cellulare;

 Analisi farmacocinetica di popolazione per l’identificazione di possibili fattori influenzanti la cinetica dei TKI;

 Raccolta dell’efficacia terapeutica dei TKI (risposte citogenetica e molecolare) e delle tossicità indotte dal trattamento;

 Elaborazione di modelli cinetico-dinamici e di algoritmi decisionali per l’ottimizzazione del trattamento farmacologico;

 Somministrazione di questionario per valutare l’aderenza del paziente al trattamento farmacologico.

3.1 Arruolamento dei pazienti

Pazienti affetti da LMC sono inclusi in accordo ai seguenti criteri di inclusione: a) pazienti di entrambi i sessi, b) di età compresa tra 18 e 80 anni, c) affetti da LMC, d) in trattamento con imatinib, nilotinib o dasatinib, e) inclusi nel follow-up presso le Divisioni/Unità

Operative di Ematologia afferenti al progetto e f) in grado di fornire un consenso informato alla partecipazione alla sperimentazione. I pazienti sono esclusi dalla partecipazione allo studio se: a) di età inferiore a 18 anni o superiore a 80 o b) incapaci a fornire il consenso informato. L’impossibilità a seguire le visite di follow up non è considerato criterio di

(31)

31 esclusione dallo studio, bensì di uscita. In tal caso, i dati raccolti sono impiegati

ugualmente nelle analisi statistiche e farmacocinetiche sulla base di un criterio “intention-to-treat”.

3.2 Procedura dello studio

Lo studio procede secondo varie fasi, riportate nella tabella sottostante:

Evento Attività Funzione

1 Visita di controllo Presentazione del protocollo Arruolamento Espressione del consenso informato

Registrazione del consenso all’arruolamento

Attribuzione codice alfanumerico

Identificazione del paziente e protezione della privacy Raccolta dati clinici

(efficacia e tollerabilità)

Registrazione dati su CRF

Prelievo ematico

Raccolta ematica per l’esecuzione del monitoraggio terapeutico e aliquota per analisi

farmacogenetica 2 Analisi di

laboratorio

Esecuzione del monitoraggio

terapeutico dei farmaci

Misurazione delle concentrazioni plasmatiche dei farmaci

Invio dei risultati alla UO Ematologia

Registrazione dei risultati sulla CRF

Esecuzione delle analisi

farmacogenetiche

Genotipizzazione del paziente in merito ai geni coinvolti nella cinetica sistemica e cellulare dei farmaci 3 Ogni successiva visita di controllo

Raccolta dati clinici (efficacia e

tollerabilità), esecuzione del prelievo

Registrazione (aggiornamento) dati su CRF, raccolta ematica per l’esecuzione del monitoraggio terapeutico 4 Ogni successiva analisi di laboratorio Esecuzione delle analisi di monitoraggio e di farmacogenetica

Registrazione dei risultati sulla CRF

(32)

32 5 Analisi statistiche e matematiche Esecuzione delle analisi statistiche e modellistica ad interim e finali

Valutazione dei possibili fattori di variabilità della cinetica dei farmaci 6 Report e pubblicazioni Preparazione di report e manoscritti Preparazione di relazioni

scientifiche e disseminazione delle conoscenze acquisite

Tabella 1. Schema di procedura dello studio.

3.3 Monitoraggio terapeutico

Il protocollo di monitoraggio terapeutico, già attivato per i pazienti arruolati, consiste nella esecuzione di un prelievo ematico di circa 4 ml da una vena periferica, ed il sangue è raccolto in provette sterili Vacutainer® (Becton e Dickinson) contenenti l’anticoagulante litio-eparina. Il tempo di prelievo e quello di somministrazione della terapia sono

accuratamente registrati sulla richiesta di dosaggio del farmaco. Il campione è inviato alla U.O. Farmacologia di Pisa per le analisi mediante cromatografia liquida ad elevate

prestazioni (HPLC). Questa tecnica permette di ottenere dei valori di concentrazione del farmaco nel plasma dei pazienti, in modo tale da poterne calcolare la quantità e,

successivamente, utilizzando dei metodi statistici per valutare la concentrazione

plasmatica media del farmaco, con l’obiettivo di confermare se la terapia somministrata sia tollerata o meno da quel paziente.

Poiché il monitoraggio terapeutico di imatinib, norimatinib e dasatinib non riveste i caratteri dell’urgenza/emergenza, il campione può essere centrifugato ed il plasma risultante può essere congelato a -20 °C fino al suo trasferimento dalla Divisione/U.O. Ematologia per le analisi di laboratorio. In entrambi i casi, il risultato della determinazione

(33)

33 delle concentrazioni è inviato alla Divisione/U.O. Ematologia, ed il referto è inserito nella cartella clinica del paziente.

Il protocollo del presente studio prevede che dopo l’esecuzione del prelievo, un’aliquota del farmaco sarà messa in una provetta eppendorf sterile e congelata a -80 °C fino al momento in cui saranno eseguite le indagini farmacogenetiche. Tale aliquota è prelevata solo in occasione della visita di arruolamento. La restante parte di sangue intero segue le fasi sopra descritte per l’effettuazione delle determinazioni delle concentrazioni

plasmatiche ai fini del monitoraggio terapeutico. Ogni provetta contenente sangue del paziente ed impiegata per l’esecuzione del monitoraggio terapeutico o per le analisi farmacogenetiche è identificata: a) con il codice attribuito al paziente al momento dell’arruolamento e b) dalla data di effettuazione del prelievo, ed entrambe queste informazioni sono riportate anche sulla richiesta di dosaggio, in accordo ai criteri di protezione della privacy del soggetto.

3.4 Misurazioni

Le misurazioni delle concentrazioni plasmatiche di imatinib, nilotinib e dasatinib vengono effettuate con un kit idoneo (Chromsystems, Monaco, Germania) su strumenti per HPLC di tipo Waters Breeze e Alliance. Poiché il kit commerciale non è più in produzione si è manifestata la necessità di sviluppare un metodo di misurazione delle concentrazioni plasmatiche dei farmaci inibitori di BCR/ABL. Il presente elaborato di tesi è indirizzato alla validazione di un metodo di dosaggio HPLC-UV per imatinib, come è descritto nei capitoli successivi.

(34)

34

3.5 Raccolta dati

I dati fisiopatologici e clinici dei pazienti che sono considerati rilevanti ai fini del presente studio, assieme a quelli di efficacia/resistenza al trattamento (risposta citogenetica e molecolare) sono registrati in appositi moduli facenti parte integrante della CRF. In particolare, il monitoraggio dell’efficacia della terapia è eseguito secondo le

(35)

35

(36)

36

Capitolo 4. Materiali e metodi

La misurazione della concentrazione plasmatica di imatinib e nilotinib viene condotta mediante cromatografia liquida ad alte prestazioni (HPLC, High-Performance Liquid Chromatography) presso il Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

dell’Università di Pisa.

(37)

37 L’HPLC è una tecnica di cromatografia liquida che permette di separare due o più

composti presenti in un solvente sfruttando l'equilibrio di affinità tra una fase stazionaria, posta all'interno della colonna cromatografica e una fase mobile, che fluisce attraverso essa. Il tipo di eluizione utilizzata è definita isocratica, in quanto la composizione dell’eluente non varia durante l’analisi, a differenza di ciò che avviene nel caso di un’eluizione a gradiente, in cui, invece, la composizione dell’eluente varia durante l’analisi.

4.1. Reagenti, plastiche e attrezzature da laboratorio

I reagenti impiegati nel presente studio sono stati ottenuti da Sigma Aldrich (Milano) ed erano di grado analitico. I campioni standard di plasma liofilizzato contenenti 3 differenti concentrazioni note di imatinib, nilotinib e dasatinib sono stati ottenuti da Chromsystems (Monaco, Germania) e sono stati ricostituiti in acqua per preparazioni iniettabili

immediatamente prima del loro impiego. L’aliquota eccedente il fabbisogno quotidiano è stata congelata a -20 °C fino al momento del successivo impiego. Tolnaftato polvere pura è stato ottenuto da Sigma Aldrich (Milano) e ricostituito in acqua per analisi cromatografiche alla concentrazione di 5 mg/L. Aliquote di 200 μl della soluzione di tolnaftato sono state congelate e mantenute a -20 °C fino al momento del loro impiego.

Per quanto riguarda il materiale plastico impiegato (provette eppendorf, tubi da 5 e 8 mL, punte per pipette Gilson®, tubi da autocampionatore) è costituito da polipropilene non sterile.

Durante l’elaborazione del metodo cromatografico sono state impiegate le normali

attrezzatture da banco presenti nel laboratorio, ovvero bilancia analitica, misuratore di pH, centrifughe per eppendorf e per tubi, pipette Gilson® a volume variabile.(figura 9).

(38)

38

Figura 9. Pipetta Gilson®

4.2 Preparazione dei campioni standard e dei controlli di qualità

Ogni giorno d’analisi sono state preparate scale di calibrazione standard e controlli di qualità ricostituendo i campioni standard di origine commerciale. I campioni per la calibrazione avevano concentrazioni comprese negli intervalli 0,487-2,399, 0,480-1,428 e 0,079-0,315 mg/L per imatinib, nilotinib e dasatinib, rispettivamente. Il campione standard “bianco”, ovvero senza la presenza dei farmaci è stato anch’esso ottenuto da

Chromsystems e ricostituito in maniera identica a quella dei campioni standard.

I campioni standard sono stati altresì impiegati come controlli di qualità durante le sedute analitiche. In particolare, i 3 livelli dei calibratori sono stati distribuiti in maniera casuale nei caroselli dei campioni ignoti per ogni giorno di analisi.

(39)

39

4.3. Metodo cromatografico

4.3.1 Estrazione dei campioni

L’analisi delle concentrazioni di imatinib nei campioni standard e nei campioni ignoti necessita di una elevata specificità date le relativamente basse concentrazioni di farmaco. Pertanto, sono state seguite due diverse procedure di preparazione dei campioni in fase liquida.

Nella prima procedura, al campione di plasma con un volume pari a 200 μL sono stati aggiunti dapprima 5 μL della soluzione di standard interno (ovvero la soluzione di tolnaftato alla concentrazione di 1 mg/L), quindi un uguale volume di acetonitrile per far precipitare le proteine plasmatiche. A questo, è seguita una fase di scuotimento su vortex (figura 10) per 20 secondi e di centrifugazione (5 minuti a 4.000 giri/min). Il sovranatante è stato quindi iniettato nel sistema cromatografico.

Figura 10. Centrifuga Eppendorf (sinistra) e agitatore Vortex (destra).

Il secondo metodo di preparazione ha previsto l’aggiunta di un’ulteriore estrazione in fase liquida mediante dietil-etere. In particolare, il sovranatante limpido ottenuto dopo aggiunta

(40)

40 di acetonitrile, agitazione e centrifugazione è stato addizionato di 3 mL di dietiletere. Il tubo di polipropilene è stato agitato su ruota per 15 minuti, quindi centrifugato. La fase organica superiore è stata trasferita in un altro tubo da 5 mL e il contenuto è stato

evaporato alla temperatura di +50 °C in un bagnetto termostatato sotto flusso d’aria. Il tubo è stato raffreddato in frigorifero alla temperatura di +4 °C, e tenuto in ghiaccio durante le successive fasi al fine di ridurre i fenomeni di evaporazione. Il residuo secco è stato quindi risospeso in metanolo (200 μL), agitato su vortex per 10 secondi ed il campione è stato trasferito in un tubo da autocampionatore che era stato impostato per mantenere i campioni ricostituiti alla temperatura di +4 °C per tutta la durata della sessione analitica.

Il volume di campione iniettato nel circuito idraulico dello strumento è stato di 50 µl (figura 11).

(41)

41

4.3.2. Strumentazione cromatografica ed analisi

Lo strumento impiegato è stato un HPLC Waters Breeze 2695 (Waters, Milford, CT) costituito da autocampionatore, in grado di provvedere all’aspirazione dell’adeguato volume di campione ad alla successiva iniezione nel sistema cromatografico, di una pompa binaria reciprocante e degassatore in linea. In particolare, i dispositivi per degassare i solventi e le soluzioni eluenti hanno la funzione di eliminare eventuali particelle indisciolte e bolle, mediante un sistema sottovuoto a bassa pressione, prevenendo il loro passaggio nel sistema idraulico dell’HPLC. Inoltre, lo strumento era equipaggiato con un rivelatore UV a doppia lunghezza d’onda Waters 2476, e la lunghezza d’onda è stata impostata a 265 nm. La fase mobile consisteva di fosfato di ammonio (NH4H2PO4) e acetonitrile (ACN) (70:30,

vol/vol), mentre il flusso era impostato a 1,5 ml/min, generando una pressione nel sistema di ~ 3200 psi. Il sistema HPLC era equipaggiato con una colonna cromatografica

Phenomenex IB-SIL 5 μm, C18 250 x 4,6 mm (figura 12).

Figura 12. Colonna cromatografica (250 x 4,6 mm, C18 5µm) per HPLC.

Tutte le funzioni idrauliche e dell’autocampionatore sono state controllate mediante il software Empower (Waters).

(42)

42

4.3.3. Analisi dei cromatogrammi

Per ciascun campione iniettato è stato registrato il cromatogramma, e sono stati identificati i picchi di imatinib e tolnaftato. Per ciascun picco è stata registrata l’area (in

μVolt/secondo) e l’altezza (espressa in μvolt), nonché il tempo di ritenzione (in minuti). Ai fini della validazione del metodo sono stati determinati i seguenti parametri:

 Noise (rumore di fondo), espresso in microvolt e definito come l’ampiezza media delle oscillazioni della linea di base del tracciato durante un periodo di 1 minuto;

 LOD, limite di determinazione (limit of detection), definito come la concentrazione plasmatica che genera un picco nel cromatogramma la cui altezza è almeno 3 volte l’ampiezza del rumore di fondo;

 LOQ, limite di quantificazione (limit of quantitation), ovvero la minima concentrazione plasmatica fino alla quale si conserva la linearità del metodo di dosaggio;

 Linearità;

 Recupero (recovery), ovvero la quantità di farmaco (o di standard interno)

effettivamente presente nel campione ricostituito espressa in percentuale rispetto a quella prima della preparazione. In questo caso è stata impiegata una soluzione di imatinib ottenuta sciogliendo una quantità nota di polvere pura in dimetilsulfossido e confrontando l’area dei picchi ottenuti dal cromatogramma per iniezione diretta e dopo estrazione;

 Analisi di correlazione lineare (pendenza e valore di r2) tra le aree dei picchi di

interesse e la concentrazione nominale di imatinib nei campioni standard di calibrazione;

(43)

43  Precisione e accuratezza

Ai fini della validazione del presente metodo cromatografico è stato considerato un valore di LOQ di 0,487 mg/L, in considerazione che alcuni studi clinici hanno mostrato che la concentrazione minima (Cmin) plasmatica efficace è pari a circa 1 mg/L. Pertanto,

l’intervallo di concentrazioni dei calibratori di origine commerciale è sufficiente per coprire un’ampia variazione dei valori di Cmin. Infine, i valori di precisione nell’intero

range di concentrazioni dei campioni di calibrazione standard dovevano essere inferiore al 20%, mentre quelli di accuratezza dovevano essere compresi tra 80% e 120%. Infine il valore di r2 doveva essere uguale o superiore a 0,99.

4.4 Pazienti

Dopo la validazione secondo i criteri prestabiliti, il presente studio ha previsto

l’applicazione del metodo cromatografico per la determinazione delle concentrazioni di imatinib nel plasma di pazienti arruolati nel protocollo TIKlet ed il successivo confronto con i risultati ottenuti impiegando un kit commerciale prodotto da Chromsystems. L’obiettivo di questa parte del presente studio era quello di valutare la possibilità di applicare il metodo ad un monitoraggio terapeutico quotidiano e di valutare la variabilità delle concentrazioni plasmatiche di imatinib. I campioni erano prelevati a pazienti affetti da leucemia mieloide cronica in trattamento con imatinib alla dose standard di 400 mg/die presso l’U.O. Ematologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. In particolare, i campioni sono stati prelevati in maniera random nell’intervallo di tempo compreso tra due somministrazioni consecutive. Il sangue è stato raccolto in provette Vacutainer contenenti anticoagulante litio eparina, e mantenute a 4 °C fino al momento dell’invio presso la

(44)

44 Divisione di Farmacologia e Chemioterapia dell’Università di Pisa. I campioni ematici sono stati centrifugati ed il plasma è stato preparato come descritto sopra.

4.5 Analisi statistica

I risultati sono espressi come media ± deviazione standard. Tutte le prove e gli esperimenti sono stati eseguiti almeno in triplicato. I programmi software Prism versione 4.0

(GraphPad Software, San Diego, CA) e Excel (Microsoft, Cupertino, CA) sono stati impiegati per le analisi sopra elencate. Il livello di significatività è stato posto a p=0,05.

(45)

45

Capitolo 5. Risultati

5.1 Preparazione dei campioni e metodo cromatografico

La preparazione dei campioni mediante estrazione liquido-liquido si è rilevata sufficiente all’esecuzione delle successive analisi cromatografiche. In particolare, la sola fase di deproteinizzazione mediante aggiunta di acetonitrile ed iniezione diretta era caratterizzata da una linea di base non stabile, una elevata ampiezza del rumore di fondo ed una ridotta sensibilità. Queste caratteristiche erano probabilmente da imputare alla quantità di sostanze che erano estratte insieme al farmaco ed iniettate nel sistema cromatografico. A fronte di questo risultato, la successiva applicazione di un’ulteriore fase di estrazione liquido-liquido con dietiletere ha mostrato la soluzione dei problemi osservarti, con aumento della

sensibilità fino ad un limite necessario allo svolgimento delle analisi (vedi sotto). Pertanto, a differenza del kit commerciale Chromsystems che prevede una fase preparativa in fase solida, il presente metodo dimostra di essere idoneo al monitoraggio terapeutico di imatinib. In media è possibile preparare circa 20 campioni in circa 35 minuti.

Per quanto riguarda il metodo HPLC esso si è dimostrato preciso e affidabile, specifico e sensibile. La fase mobile scelta è composta da acetonitrile 60%, acqua 39,8% e acido solforico 0,2% (vol:vol). Il pH è stato aggiustato a pH=4 con acido fosforico. Dopo una breve revisione della letteratura è stata scelta una colonna Alltech Grace C18, 250x4,6 mm,

5 μm.

L’analisi del cromatogramma ha mostrato che il rumore di fondo era pari a 30 µvolt, per cui era stimabile un valore di LOD inferiore a 0,04 mg/L (sulla base delle curve standard ottenute; vedi sotto). Infine, la deriva della linea di base era pari a 35 µvolt/min.

(46)

46 Imatinib e tolnaftato possedevano tempi di ritenzione pari a 4,1±0,06 min e 17,4±0,20 min e per questo ogni corsa cromatografica aveva la durata di 15 min (Figura 13). Nei

cromatogrammi corrispondenti a plasma bianco non era stata osservata la presenza di possibili picchi interferenti in corrispondenza dei tempi di ritenzione dei due analiti di interesse (Figura 14).

(47)

47

Figura 14. Cromatogramma di plasma bianco. Si nota l’assenza di picchi interferenti in

corrispondenza dei tempi di ritenzione di imatinib (4 min) e tolnaftato (17,5 min).

Il valore di LOQ è stato pari a 0,487 mg/L, che rappresentava il campione standard di calibrazione a minor concentrazione del farmaco. Le curve di calibrazione sono risultate essere lineari nel range di concentrazione dal LOQ fino a 2,399 mg/L, ed il coefficiente di correlazione medio è stato pari a 0,9992±0,0008.

La precisione nell’intero range di concentrazioni dei campioni standard è stata sempre inferiore al 20% (Tabella 2), sebbene i valori abbiano subito un progressivo aumento al diminuire della concentrazione di farmaco presente nel campione. Infatti, il valore di precisione è passato da 5,0 per i campioni standard a concentrazione di 2,399 µg/ml a 12,7 per quelli a concentrazione più bassa. L’accuratezza era compresa nel range prestabilito pari all’80-120% per tutti i campioni analizzati.

(48)

48

Tabella 2. Precisione e accuratezza nei campioni standard di calibrazione Concentrazione di imatinib (mg/L)

Nominale Misurata Precisione Accuratezza 2,399 2,497±0,125 5,0 104,1

1,408 1,380±0,026 1,9 98,0

0,487 0,480±0,061 12,7 98,6

In modo analogo sono stati calcolati i valori di precisione e accuratezza nei campioni plasmatici per il controllo di qualità (Tabella 3). Poiché questi campioni sono ricostituiti indipendentemente da quelli standard di calibrazione, i valori di precisione e accuratezza dei controlli di qualità possono essere estesi ai campioni a concentrazione ignote dei pazienti, e per questo molto importanti. I risultati dell’analisi hanno dimostrato che il metodo assicurava un’elevata accuratezza, mentre i valori di precisione diminuivano alle basse concentrazioni, come era stato notato nei campioni standard di calibrazione.

Tabella 3. Precisione e accuratezza nei campioni per il controllo di qualità. Per ciascun livello di

concentrazione sono stati impiegati 3 differenti campioni

Concentrazione di imatinib (mg/L)

Nominale Misurata Precisione Accuratezza 2,399 2,450±0,087 3,6 102,1

1,408 1,397±0,015 1,1 99,2

0,487 0,477±0,068 14,3 97,9

(49)

49

5.2. Applicazione del metodo cromatografico

Le concentrazioni plasmatiche di imatinib sono state determinate in 20 campioni di 20 pazienti, 11 maschi e 9 femmine (Tabella 4) affetti da leucemia mieloide cronica in

trattamento con il farmaco alla dose di 400 mg/die. Due pazienti assumevano imatinib alla dose giornaliera di 300 mg.

Tabella 4. Caratteristiche dei 20 pazienti.

Età

Creatinina

sierica Peso AGPA BMI (anni) (mg/dL) (kg) (mg/dL) (kg/m2) Maschi 62,37±12,34 1,12±0,28 91,91±25,06 99,55±13,09 29,14±7,19 (n=11) 61,73 1,07 90,00 96,00 26,12 p* 0,352 0,005 0,027 0,936 0,206 Femmine 56,27±15,43 0,814±0,043 69,67±15,48 100,3±26,26 25,63±4,69 (n=9) 61,71 0,8 64 94 23,56 Note e abbreviazioni: AGPA, α-1 glicoproteina acida; BMI, indice di massa corporea; *, test t di Student con correzione di Welch per campioni con varianza diversa.

I prelievi sono stati effettuati in maniera random nell’intervallo tra due dosi consecutive dopo il raggiungimento dello stato stazionario teorico, ovvero in 5 giorni dall’inizio del trattamento. In pratica, tutti i prelievi sono stati ottenuti da pazienti in trattamento con il farmaco da molti mesi, e quindi tutti in risposta molecolare. In questo caso, si definisce risposta molecolare (o MR3) il raggiungimento di concentrazioni di trascritto BCR/ABL1 tali per cui il rapporto tra lo stesso e il trascritto di ABL1 siano uguali o inferiori allo 0,1% (che corrisponde ad una riduzione di 3 logaritmi su base 10 del rapporto). In questi 20 pazienti è importante monitorare l’assunzione le concentrazioni del farmaco, perché l’interruzione protratta della terapia è una causa dimostrata di fallimento terapeutico.

(50)

50 Pertanto, l’applicazione del monitoraggio terapeutico dovrebbe migliorare la compliance e l’aderenza del paziente al trattamento.

I valori di concentrazione misurati sono stati ulteriormente analizzati mediante un modello farmacocinetico di popolazione già descritto (Di Paolo et al, 2014), ed è stato calcolato il valore di concentrazione predetto per ciascun paziente al tempo di prelievo originale. I risultati hanno mostrato una buona correlazione (p<0,001) tra i valori osservati e quelli predetti (Figura 15) con valori di correlazione di r2=0,875 e parametri della retta di regressione lineare y=1,045x+0,01.

Figura 15: Correlazione tra concentrazioni plasmatiche di imatinib misurate (DV) e predette con il

modello farmacocinetico (iPRED). Il grafico mostra la retta di regressione (y=1,045x+0,01) e l’intervallo di confidenza al 95%.

Inoltre, la Figura 16 mostra la distribuzione dei valori di concentrazione plasmatica di imatinib realmente misurata e predetta nel periodo di tempo intercorrente tra due somministrazioni consecutive.

(51)

51

Figura 16: Distribuzione delle concentrazioni plasmatiche di imatinib misurate (cerchi neri) e

predette (quadrati bianchi)

L’applicazione del metodo cromatografico a questo gruppo di pazienti in trattamento con imatinib perché affetti da leucemia mieloide cronica mostra la grande variabilità di concentrazioni plasmatiche del farmaco. Ciò è in accordo con la letteratura pubblicata e sostiene l’utilità del monitoraggio terapeutico al fine di mantenere elevata l’aderenza dei pazienti allo schema terapeutico.

L’analisi dei valori predetti di Cmin nei 20 pazienti mostra che il valore medio±DS è di 1,16±0,55 mg/L con un valore mediano di 1,08 mg/L. Più in particolare, dalla figura 17 si nota che 8 dei 20 pazienti mostrano avere dei valori di Cmin inferiori alla soglia di 1 mg/L

suggerendo che per essi il beneficio terapeutico legato alla somministrazione di imatinib sia ridotto.

(52)

52

Figura 17. Distribuzione dei valori predetti di Cmin calcolati nei 20 pazienti. È possibile osservare

che 8 di essi (40%) mostrano valori al di sotto della soglia ipotetica di beneficio terapeutico fissata in 1 mg/L (linea rossa).

Poiché tutti i pazienti sono in risposta molecolare è ipotizzabile che l’effetto terapeutico sia dovuto anche alla elevata aderenza al trattamento, come suggeriscono alcune precedenti pubblicazioni (Marin JCO 2010).

(53)

53

Capitolo 6. Discussione

Il monitoraggio terapeutico dei farmaci (TDM, therapeutic drug minitoring) è un processo effettuato nei pazienti in regime ospedaliero e ambulatoriale, il quale consente la

valutazione della concentrazione di un farmaco all’interno di liquidi biologici, mediante varie metodiche strumentali, con l’obiettivo di ottimizzare al meglio una terapia

farmacologica di elevato interesse, in termini di efficacia e tollerabilità. Tale

ottimizzazione deve essere perseguita nel minor tempo possibile, e comunque prima che si manifestino gli effetti tossici o un fallimento terapeutico. Per tutti questi motivi, il

monitoraggio terapeutico rientra a pieno titolo nelle strategie necessarie per raggiungere una maggiore appropriatezza nell’uso dei farmaci. I protocolli di TDM trovano particolare e idonea applicazione quando esiste a) una significativa relazione tra concentrazioni plasmatiche ed effetto terapeutico (range terapeutico) e/o tossicità, b) un ristretto range terapeutico, c) o un basso indice terapeutico e d) un’ampia variabilità nella cinetica dei farmaci. Tutte queste condizioni, seppur in varia misura, caratterizzano imatinib e per questo un protocollo di TDM appare utile.

La somministrazione di farmaci per via orale, ed in particolare di inibitori delle attività tirosinchinasiche di numerosi enzimi e recettori transmembranari ha rivoluzionato il concetto di chemioterapia antineoplastica negli ultimi 15 anni. Già con l’introduzione di imatinib quale primo esempio di questa rivoluzione, il mondo medico ha visto cambiare non solo il modo con cui i farmaci erano somministrati ma anche le modalità di

somministrazione ed il tipo di risposta osservabile. Infatti, imatinib è stato il primo farmaco somministrato per via orale nel trattamento di una forma leucemia e che fosse stato ideato partendo dalle caratteristiche chimiche e biologiche della proteina bersaglio,

(54)

54 ovvero della proteina di fusione BCR/ABL1. La sua somministrazione cronica poi era facilitata dalla via orale, permettendo ai pazienti di condurre una vita pressoché normale, stante anche l’ottima tollerabilità al trattamento. Per il medico oncologo o ematologo, imatinib stabilizzava lo stadio di malattia nella fase cronica, e pertanto era importante che l’esposizione al farmaco del blasto leucemico fosse costante. Nonostante i miglioramenti apportati dall’introduzione di imatinib nella terapia, ancor oggi alcuni aspetti della farmacologia di questo agente antineoplastico rimangono non perfettamente definiti. Per questo motivo, è ancora vivo l’interesse per la farmacocinetica di imatinib e, di

conseguenza, per le sue caratteristiche farmacodinamiche. A tal fine, un metodo cromatografico che sia in grado di misurare le concentrazioni plasmatiche del farmaco risulta un valido e importante strumento di indagine.

La somministrazione per via orale in caso di un trattamento cronico, come accade per imatinib, facilita la compliance del paziente allo schema posologico, ma introduce

un’ampia variabilità nei livelli plasmatici a causa del processo di assorbimento. Inoltre, per imatinib è stato suggerito che il massimo beneficio sia raggiunto quando le concentrazioni plasmatiche minime sono superiori a 1 mg/L, sebbene altri studi clinici abbiano ipotizzato che l’aderenza rappresenti un fattore importante di risposta al trattamento, anche in

presenza di concentrazioni plasmatiche sub-terapeutiche. Possibili fattori responsabili della variabilità nelle concentrazioni plasmatiche sono stati individuati nelle concentrazioni sieriche di albumina, α1-glicoproteina acida, e nell’assetto genotipico del paziente in riferimento ai geni codificanti trasportatori transmembranari quali hOCT1 e ABCB1 associati al variabile ingresso ed uscita di imatinib dai blasti leucemici. Tali trasportatori sono anche coinvolti nell’assorbimento ed escrezione del farmaco. Nonostante tali conoscenze, non esiste un protocollo che abbia considerato tali variabili nello schema

Riferimenti

Documenti correlati

In adult and paediatric patients, the effectiveness of imatinib is based on overall haematological and cytogenetic response rates and progression-free survival in CML,

Percentuale di pazienti che ricevono un re-intervento entro 120 giorni da intervento chirurgico conservativo per tumore maligno alla mammella (con identificazione del

Percentuale di pazienti che hanno eseguito nei 60 giorni precedenti l'intervento chirurgico uno tra i seguenti accertamenti: PET o scintigrafia ossea, sono

Successivamente, nella fase di mantenimento, possono essere considerati protocolli che si basano sulla riduzione della dose degli inibitori della calcineurina o sulla loro

In casi selezionati l’esposizione di un paziente al farmaco può essere quantificata con campionamenti multipli, attraverso limited sampling strategies [4] (per esempio

Alla domanda “Come giudica complessivamente la gravità delle reazioni avverse che ha manifestato?”, nel 100% dei casi per i pazienti che hanno assunto dasatinib e nilotinib si

Fin dal 1998, quando il trilostano fece la sua prima com- parsa in ambito veterinario, il test di stimolazione con ACTH (ACTHst) è stato il metodo di monitoraggio mag-

Nella prima parte delle linee guida 1 è stato descritto l’ap- proccio diagnostico ed è stata presentata la classificazione del cane affetto da leishmaniosi, nonché la gestione del