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Analisi LCA applicata al sistema di gestione del RUR e della FORSU di 5 comuni della provincia di Milano

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Academic year: 2021

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(1)

POLITECNICO DI MILANO

Facoltà di Ingegneria Civile, Ambientale e Territoriale

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria per l’Ambiente e il Territorio

ANALISI LCA APPLICATA AL SISTEMA DI

GESTIONE DEL RUR E DELLA FORSU DI 5

COMUNI DELLA PROVINCIA DI MILANO

Relatore: Prof. Mario GROSSO Correlatori: Ing. Lucia RIGAMONTI

Ing. Camilla TUA

Tesi di Laurea Magistrale di: Martina VALLI Matricola: 841674

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INDICE DEI CONTENUTI

RINGRAZIAMENTI ... 1

SOMMARIO ... 2

CAPITOLO 1 ... 3

Gestione dei rifiuti urbani ... 3

1.1 Gestione integrata... 3

1.2 Produzione e gestione dei rifiuti urbani in Europa e in Italia ... 4

1.2.1 Il contesto europeo ... 4

1.2.2 Il contesto italiano ... 6

1.2.3 Il contesto dei Comuni di riferimento per lo studio ... 10

1.3 Impianti di incenerimento dei rifiuti in Italia ... 11

1.3.1 Il processo ... 12

1.3.2 Gli impianti in Italia ... 13

1.4 Produzione e gestione e della frazione organica ... 16

1.4.1 Impianti di compostaggio... 17

1.4.2 Impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico ... 20

1.4.3 Impianti di digestione anaerobica ... 22

CAPITOLO 2 ... 27

LCA: Analisi del ciclo di vita ... 27

2.1 Introduzione ... 27

2.2 Le origini dell’LCA ... 28

2.3 La struttura dell’LCA ... 29

2.3.1 Fase 1: La definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione ... 30

2.3.2 Fase 2: Analisi di inventario ... 32

(3)

2.3.4 Fase 4: L’interpretazione dei risultati ... 36

2.4 LCA e gestione integrata dei rifiuti ... 36

CAPITOLO 3 ... 38

LCA applicata allo scenario attuale di gestione del RUR e FORSU prodotti nei 5 Comuni soci del Consorzio CORE S.p.A. ... 38

3.1 Introduzione al lavoro di tesi ... 38

3.2 Definizione dell’obiettivo del lavoro di Tesi ... 39

3.3 Definizione del campo di applicazione... 39

3.3.1 Unità funzionale ... 39

3.3.2 Descrizione dello scenario attuale di gestione del RUR e della FORSU e relativi confini del sistema ... 40

3.3.3 Metodi di caratterizzazione e categorie di impatto ... 41

3.3.4 Il software e le banche dati utilizzate ... 43

3.3.5 Provenienza e qualità dei dati ... 43

3.4 Analisi di inventario ... 44

3.4.1 Incenerimento del RUR presso il termovalorizzatore di Sesto San Giovanni ... 44

3.4.1.1 Consumo di reagenti, risorsa idrica e combustibile ausiliario... 47

3.4.1.2 Emissioni in aria ambiente ... 51

3.4.1.3 Produzione evitata di energia elettrica e termica... 53

3.4.1.4 Produzione e trattamento dei residui solidi e liquidi ... 55

3.4.2 Compostaggio della frazione organica da raccolta differenziata (FORSU) ... 64

3.4.3 Digestione anaerobica della frazione organica da raccolta differenziata (FORSU) .... 69

3.4.4 Raccolta dei rifiuti e successivo trasporto agli impianti di trattamento ... 71

CAPITOLO 4 ... 74

Risultati e conclusioni ... 74

4.1 Impatti ambientali associati all’attuale sistema di gestione del RUR e della FORSU 75 4.2 Analisi dei contributi per il processo di incenerimento ... 77

(4)

4.3 Analisi dei contributi per il processo di trattamento della FORSU in impianto di

compostaggio ... 79

4.4 Analisi dei contributi per il processo di trattamento della FORSU in impianto di digestione anaerobica ... 81

4.5 Scenario migliorativo ... 83

4.5.1 Miglioramenti sul trattamento di incenerimento del RUR... 83

4.5.2 Miglioramenti sul trattamento della FORSU ... 86

4.5.3 Analisi dei miglioramenti sul sistema di gestione complessivo ... 88

(5)
(6)

1

RINGRAZIAMENTI

Ringrazio innanzitutto i miei genitori che mi hanno permesso di intraprendere questo percorso di studio, sostenendomi e incoraggiandomi, e dandomi la possibilità di raggiungere questo grande traguardo.

Ringrazio il mio relatore, il professor Mario Grosso che mi ha dato la possibilità di svolgere questo lavoro e le mie correlatrici, l’ingegner Lucia Rigamonti ed in particolare l’ingegner Camilla Tua per il supporto datomi durante lo svolgimento della tesi, in particolar per la disponibilità e la cortesia con cui mi ha seguita e supportata.

Ed infine ringrazio tutte quelle persone, amici e parenti, in particolare il mio ragazzo, che insieme mi hanno sempre sostenuta e hanno sempre creduto in me, e una mia compagna di viaggio, Ilaria Galbiati, con cui ho condiviso questo percorso di studi, trovando sempre in lei un sostegno indispensabile al raggiungimento di questo obiettivo.

(7)

2

SOMMARIO

La presente Tesi di Laurea, nata dalla collaborazione tra il gruppo di ricerca AWARE del Politecnico di Milano e il Gruppo CAP, si propone lo scopo di analizzare il sistema di gestione del rifiuto urbano (RU) prodotto da 5 Comuni della provincia di Milano.

Lo scenario di gestione attuale prevede che il Rifiuto Urbano Residuo (RUR) sia incenerito presso un impianto di termovalorizzazione situato a Sesto San Giovanni, di proprietà della società CORE S.p.A., mentre la frazione organica (FORSU) sia inviata a due impianti differenti: il primo, situato a Cologno Monzese, che effettua un processo di compostaggio, mentre il secondo, situato a Montello, che effettua un trattamento di digestione anaerobica con successiva fase di post-compostaggio. Attraverso la modellazione del sistema analizzato sul software SimaPro, effettuando dunque un’analisi con metodologia LCA (Life Cycle Assessment), è stato possibile valutare gli impatti ambientali complessivi del sistema preso in esame e, scendendo ad un livello di maggior dettaglio, sono stati poi analizzati i singoli contributi di ciascuna fase presente all’interno dei confini del sistema che hanno racchiuso al loro interno tutte le singole fasi del sistema di gestione, dal giro di raccolta del rifiuto urbano fino a quando il rifiuto esce dal sistema come emissione solida, liquida o gassosa.

I risultati ottenuti hanno messo in luce come l’attuale modalità di gestione del RU possa essere migliorata, focalizzando l’attenzione, in particolare, sul trattamento di incenerimento del RUR presso il termovalorizzatore di Sesto San Giovanni, migliorando il rendimento di energia elettrica e termica del termovalorizzatore, scegliendo di inviare le ceneri prodotte dal trattamento nelle miniere di sale in Germania ed infine modificando il destino finale degli incombusti prodotti dal trattamento delle scorie, inviandoli quindi a incenerimento. In secondo luogo l’analisi dei risultati ha messo in luce come il trattamento della FORSU presso l’impianto di digestione anaerobica comporti maggiori benefici ambientali; per questo motivo si è scelto di agire anche su questo fronte ipotizzando di mandare l’intero quantitativo di FORSU prodotto all’impianto di digestione anaerobica a Montello, eliminando il trattamento della stessa presso l’impianto di compostaggio di Cologno Monzese.

(8)

3

CAPITOLO 1

Gestione dei rifiuti urbani

1.1

Gestione integrata

L’Unione Europea, con la Direttiva quadro sui rifiuti 2008/98/CE, definisce i rifiuti come “qualsiasi

sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”

(Articolo 3 – Definizioni). Recependo tale Direttiva, il Decreto Legislativo italiano n. 205 del 3 dicembre 2010, ne fornisce la medesima definizione. Inoltre, in base all’articolo 184 del D.Lgs 152/2006, noto come Testo Unico Ambientale, i rifiuti sono classificati, secondo l’origine, in:

rifiuti urbani, ossia i rifiuti derivanti da attività domestiche, dallo spazzamento delle strade, da aree verdi (quali giardini, parchi e aree cimiteriali) e i rifiuti non pericolosi assimilabili agli urbani per qualità e quantità;

rifiuti speciali, derivanti da attività produttive o di servizio o residui dello smaltimento/recupero dei rifiuti, del trattamento delle acque e di effluenti gassosi.

Un’ ulteriore distinzione è basata sulle caratteristiche del rifiuto stesso:

rifiuti pericolosi: rifiuti che recano le caratteristiche segnalate nell’allegato I del Decreto (rifiuto esplosivo, comburente, infiammabile, irritante, tossico, mutageno…). L’elenco dei

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4 rifiuti riportato nell’allegato D del Decreto include anche i pericolosi, contrassegnati da un asterisco;

rifiuti non pericolosi.

La Direttiva europea 2008/98/CE, ha peraltro portato ad un cambiamento delle politiche riguardanti la gestione dei rifiuti nei diversi paesi dell’Unione Europea. Le strategie utilizzate si sono orientate verso un approccio integrato, volto a controllare l’intero ciclo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento, focalizzandosi innanzitutto sulla riduzione dei rifiuti alla fonte, successivamente sul riciclo dei materiali, quindi sul recupero di energia dalla rimanente frazione, e soltanto come ultima soluzione, sullo smaltimento in discarica controllata. Per questi motivi l’ordine di priorità segue la gerarchia mostrata in fig.1.1.

Figura 1.1: Gerarchia della gestione dei rifiuti in accordo con l’articolo 4 della Direttiva 2008/98/CE.

1.2

Produzione e gestione dei rifiuti urbani in Europa e in Italia

1.2.1

Il contesto europeo

Negli ultimi anni, l’affermarsi di modelli produttivi e di consumo più virtuosi ha fatto si che si registrasse all’interno dell’Unione Europea, complice anche la crisi economica internazionale, una tendenza alla diminuzione della produzione di rifiuti urbani. Considerando l’Unione Europea a 28 Stati Membri (UE 28), nel biennio 2012-2014, la produzione di rifiuti urbani è passata da circa 246 milioni di tonnellate/anno (487 kg/abitante/anno) a quasi 241 milioni di tonnellate/anno (474 kg/abitante/anno), registrando una flessione del 2% (ISPRA 2016).

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5 Per quanto concerne la gestione di tali rifiuti, nell’anno 2014, circa il 28% dei rifiuti urbani gestiti nei 28 Stati membri è stato avviato a riciclaggio, circa il 16% a compostaggio e digestione anaerobica, mentre circa il 27% e il 28% sono stati, rispettivamente, inceneriti e smaltiti in discarica (Fig. 1.2, ISPRA 2016).

Figura 1.2: Ripartizione percentuale delle principali forme di gestione dei rifiuti urbani nell’anno 2014 per il singoli Paesi dell’Unione Europea, nell’UE 28, nell’UE 15 e nei Nuovi Stati Membri (ISPRA, 2016).

La fig.1.2 mostra un’estrema variabilità di approccio alla gestione dei rifiuti urbani tra i diversi Stati membri. Con riferimento allo smaltimento in discarica, si passa da alcuni Paesi del nord Europa (Svezia, Belgio, Danimarca, Germania e Paesi Bassi), in cui il ricorso alla discarica è praticamente inesistente, a stati come Cipro, Grecia, Romania, Croazia e Malta che invece smaltisce in discarica una percentuale di rifiuti urbani compresa tra l’80,4% e l’87,6% (ISPRA 2016). Di conseguenza, nonostante il consolidamento dell’attuazione delle politiche comunitarie volte alla riduzione dei rifiuti destinati alla discarica (Fig. 1.3), la strada da compiere per raggiungere l’obiettivo “discarica zero” risulta ancora lunga.

(11)

6

Figura 1.3: Gestione dei rifiuti urbani nella UE 27 (ENEA – Federambiente, 2012).

1.2.2

Il contesto italiano

Focalizzando l’attenzione sull’Italia, nel 2015, la produzione nazionale di rifiuti urbani si è attestata intorno a 29,5 milioni di tonnellate (486,7 kg/ab), registrando una riduzione di quasi 510 mila tonnellate rispetto all’anno 2003 (-1,7%) (Fig. 1.4).

Figura 1.4: Andamento della produzione di rifiuti urbani in Italia, anni 2003 – 2015 (ISPRA 2016).

Analizzando le differenti macroaree geografiche del contesto italiano, nel 2015 il quantitativo di RU prodotto è risultato pari a 13,7 milioni di tonnellate al Nord (494 kg/ab), 6,6 milioni di tonnellate al

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7 Centro (543 kg/ab) e 9,2 milioni di tonnellate al Sud (444 kg/ab) (ISPRA 2016). In tutte le suddette aree, nell’ultimo quinquennio (anni 2011-2015), si è registrata una riduzione dei rifiuti prodotti con maggiore evidenza nel Mezzogiorno (-8%, Fig. 1.5).

Figura 1.5: Andamento della produzione totale dei rifiuti urbani per macroarea geografica italiana, anni 2011 – 2015 (ISPRA 2016).

Passando ora alla gestione dei rifiuti prodotti, seguendo le linee guida della Direttiva comunitaria 2008/98/CE che spinge verso una raccolta differenziata sempre più diffusa ed efficiente, l’Italia innanzitutto ha incrementato negli anni recenti la percentuale di rifiuti urbani raccolti separatamente. Nel 2015, in particolare, la percentuale di raccolta differenziata si è attestata al 47,5% della produzione nazionale, facendo rilevare una crescita di 7,5 punti rispetto al 2012 (Fig. 1.6). In valore assoluto, i rifiuti raccolti per via differenziata hanno superato nel 2015 le 14 milioni di tonnellate (231 kg/ab), di cui 8 milioni raccolte al Nord (290 kg/ab), quasi 2,9 milioni di tonnellate al Centro (238 kg/ab) e circa 3,1 milioni di tonnellate al Sud (149 kg/ab); tali valori, che denotano una configurazione molto eterogenea del Paese, si traducono in percentuali, calcolate rispetto alla produzione totale dei rifiuti urbani di ciascuna macroarea, pari al 58,6% per le regioni settentrionali, al 43,8% per quelle del Centro e al 33,6% per le regioni del Mezzogiorno (ISPRA 2016).

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8

Figura 1.6: Andamento della percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani in Italia e nelle diverse macroaree, anni 2012 – 2015 (ISPRA 2016).

L’esame della fig.1.7 evidenzia come la maggior parte delle frazioni merceologiche abbiano subito nel corso degli ultimi anni un incremento della raccolta differenziata nel contesto italiano, eccezione fatta per i Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE), per la frazione cellulosica e i metalli il cui andamento è risultato altalenante nell’ultimo periodo. Il rifiuto organico (somma di frazione umida e verde), in particolare, rappresenta la frazione preponderante del materiale raccolto in Italia per via differenziata (43% in peso nell’anno 2015; Fig. 1.8).

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Figura 1.8: Ripartizione percentuale della raccolta differenziata per classi merceologiche, anno 2015 (ISPRA 2016).

Figura 1.9: Ripartizione percentuale della gestione dei rifiuti urbani in Italia, anno 2015 (ISPRA 2016).

Infine, per quanto riguarda il destino dei rifiuti urbani prodotti, come si evince dalla fig.1.9, nell’anno 2015 lo smaltimento in discarica ha interessato ancora il 26% della produzione nazionale, a cui si è affiancato il recupero di materia (26%); seguono l’incenerimento (19%) e il trattamento biologico della frazione organica (18%). Nonostante nel 2015 ancora quasi un terzo di rifiuto

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10 urbano sia stato smaltito in discarica (7,8 milioni di tonnellate; Fig. 1.9), occorre sottolineare, rispetto alla rilevazione del 2014, una riduzione di circa il 16% (quasi 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti). L’analisi del dato per macroarea geografica, rivela che la riduzione maggiore è stata riferibile al Nord (-26%), mentre al Centro (-14%) e al Sud (-12%) si sono registrate variazioni più contenute, ma comunque significative. Le altre opzioni di gestione tra cui incenerimento, compostaggio e digestione anaerobica, hanno subito invece nell’ultimo anno un leggero incremento, rispetto al 2014, rispettivamente del 5% e del 7% (Fig. 1.10; ISPRA 2016).

Figura 1.10: Quantitativi di rifiuti urbani per singola modalità di gestione a livello nazionale, anni 2010 – 2015 (ISPRA 2016).

1.2.3

Il contesto dei Comuni di riferimento per lo studio

Il presente elaborato, focalizza l’attenzione sulla situazione attuale di cinque Comuni facenti parte della provincia di Milano (Cologno Monzese, Cormano, Pioltello, Segrate e Sesto San Giovanni); in questo paragrafo, vengono illustrati brevemente i dati di produzione e raccolta differenziata associati ai rifiuti urbani di suddetti Comuni (Tab. 1.1). Nell’anno 2015, la produzione complessiva di rifiuti urbani nei cinque Comuni è risultata di quasi 100 mila tonnellate. Il corrispondente valore pro-capite è risultato pari a 446 kg/ab ed è oscillato nei diversi Comuni da un minimo di 383 kg/ab di Pioltello ad un massimo di 579 kg/ab di Segrate (ARPA Lombardia 2016). Nell’ultimo quinquennio (anni 2011-2015), ad eccezione del Comune di Cormano, in tutti i contesti analizzati si è registrata una riduzione dei rifiuti prodotti fino ad un valore dell’11% (Segrate).

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11

Tabella 1.1: produzione complessiva e pro-capite dei rifiuti urbani e relativa percentuale di raccolta differenziata nell’anno 2015 per il 5 Comuni lombardi analizzati nel presente lavoro.

COMUNE ABITANTI (2015) PRODUZIONE RU (2015) VARIAZIONE DI PRODUZIONE RU RISPETTO AL 2011 (%) % RD (2015) t/anno kg/ab COLOGNO MONZESE 47.971 20.919 436 -3 57 CORMANO 20.118 8.404 418 1 67 PIOLTELLO 36.912 14.154 383 -6 53 SEGRATE 35.037 20.295 579 -11 60 SESTO SAN GIOVANNI 81.608 35.111 430 -5 39 TOTALE 221.646 98.883 446 -5 52 Per quanto riguarda invece, i rifiuti raccolti per via differenziata, il territorio complessivo dei 5 Comuni ha presentato nel 2015 un valore circa pari a 52%, leggermente inferiore a quello della provincia Milanese che si è attestato pari a 57%. Analizzando però i singoli contesti, si osserva un’estrema variabilità del dato: si passa da Cormano, comune virtuoso caratterizzato da una percentuale di raccolta differenziata pari a 67%, al territorio di Sesto San Giovanni, dove la raccolta differenziata si è attestata invece al 39%. Un valore così basso per quest’ultimo Comune, è giustificabile anche per la mancanza di una raccolta differenziata sistematica del rifiuto organico, implementata solo a partire da Novembre 2016.

1.3

Impianti di incenerimento dei rifiuti in Italia

La Direttiva europea 2000/76/CE nell’art. 3, definisce impianto di incenerimento come “qualsiasi

unità o attrezzatura tecnica fissa o mobile destinata al trattamento termico dei rifiuti con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione. In questa definizione sono inclusi l’incenerimento mediante ossidazione dei rifiuti nonché altri procedimenti di trattamento termico”.

Tale definizione include il sito e l’insieme dell’impianto di incenerimento, comprese le linee di incenerimento, i luoghi di ricezione e di stoccaggio, le installazioni di pretrattamento in loco, i sistemi di alimentazione in rifiuti, in combustibile e in aria, la caldaia, le installazioni di trattamento dei gas di scarico, le installazioni di trattamento o stoccaggio in loco dei residui e delle acque reflue, il camino, i dispositivi e i sistemi di controllo delle operazioni di incenerimento, di registrazione e di sorveglianza delle condizioni di incenerimento.

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12 Si deve, invece, alla Direttiva europea 2008/98/CE la distinzione tra l’incenerimento dei rifiuti classificabile come operazione di smaltimento e come operazione di recupero energetico; la qualifica di operazione di recupero energetico è assegnata in luogo di quella di smaltimento quando l’incenerimento dei rifiuti urbani contribuisce in modo significativo alla produzione di energia per il sistema industriale e civile. Questa distinzione è di fondamentale importanza nella collocazione degli impianti di incenerimento all’interno della gerarchia dei rifiuti definita nella medesima Direttiva.

1.3.1

Il processo

La combustione dei rifiuti che residuano dalla raccolta differenziata è un processo di degradazione termica ossidativa, volto a:

ossidare completamente il materiale organico in CO e H O; ridurre il peso (80%) e il volume (90%) dei rifiuti;

recuperare il contenuto energetico del rifiuto, utilizzando l’energia termica sviluppata nella combustione per la produzione di energia elettrica e/o termica (cogenerazione);

sterilizzare il residuo inerte (scorie).

Un impianto di termovalorizzazione è suddiviso in tre zone principali:

1) camera di combustione (o forno), dove avviene la termodistruzione dei rifiuti;

2) caldaia, in cui avviene il recupero di energia per la produzione di elettricità e/o calore; 3) linea di trattamento dei fumi che ha il compito di depurare i fumi in uscita dal forno prima

che vengano rilasciati in atmosfera attraverso il camino.

I rifiuti in arrivo all’impianto vengono stoccati all’interno della fossa di stoccaggio, costituita da un edificio completamente impermeabilizzato, mantenuto in leggera depressione e garantisce un adeguato mescolamento dei rifiuti prima che vengano alimentati alla camera di combustione. Un’apposita benna preleva i rifiuti dalla fossa e li immette nel canale di alimentazione che li indirizza nel forno; quest’ultimo può essere a griglia fissa o mobile, a tamburo rotante o a letto fluido e deve garantire la completa ossidazione del materiale combustibile, che comprende, con il progressivo innalzarsi della temperatura, la sua essiccazione (100 – 300 °C), la successiva pirolisi (400 – 700 °C) e gassificazione (700 – 1000 °C), ed infine, la combustione (800 – 1450 °C).

In uscita dalla camera di combustione i fumi entrano nella caldaia a recupero energetico, in cui avviene lo scambio di calore tra i fumi caldi in uscita dal forno e il fluido termovettore che garantisce la produzione di energia elettrica attraverso un ciclo a vapore convenzionale.

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13 Infine, i fumi in uscita dalla caldaia ad una temperatura più bassa, entrano nella parte finale dell’impianto costituita dalla linea di depurazione dei fumi, che comprende tutti i processi volti alla depurazione dei fumi dagli inquinanti presenti che si generano dal processo di combustione. La linea di trattamento si conclude con l’uscita e l’emissione del gas depurato in atmosfera attraverso un camino.

1.3.2

Gli impianti in Italia

Nel 2015, sul territorio nazionale, sono operativi 41 (ISPRA 2016) impianti di incenerimento che trattano rifiuti urbani inclusa la frazione secca (FS), il Combustibile Solido Secondario (CSS) e il bioessiccato derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani. Nel corso del 2014, infatti, sono cessati i conferimenti presso gli impianti di Venezia, Vercelli e Bolzano. Il parco impiantistico non è uniformemente distribuito sul territorio nazionale, infatti il 63% delle infrastrutture è localizzato nelle regioni settentrionali (26 impianti) e, in particolare, in Lombardia e in Emilia Romagna con, rispettivamente, 13 ed 8 impianti operativi. Nel Centro e nel Sud, gli impianti di incenerimento operativi sono rispettivamente 8 e 7 (ISPRA 2016). Risulta quindi evidente, anche nel caso degli impianti di incenerimento, una forte eterogeneità della nazione.

Figura 1.11: Andamento dell’incenerimento di rifiuti urbani per Regione (tonnellate), anni 2013 – 2015 (ISPRA 2016).

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Tabella 1.2: Numero di impianti di incenerimento che trattano rifiuti urbani, anni 2011 – 2015 (ISPRA 2016).

I rifiuti urbani, comprensivi della frazione secca e del CSS ottenuti dal loro trattamento, inceneriti, nel 2015, sono quasi 5,6 milioni di tonnellate (circa 280 mila tonnellate in più rispetto al 2014, +5%). Il 70% dei rifiuti viene incenerito al Nord, dove è localizzata la maggioranza degli impianti presenti sul territorio nazionale, l’11% al Centro e il 19% al Sud (ISPRA 2016).

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Figura 1.12: Incenerimento di rifiuti urbani in Italia (1.000 * tonnellate), anni 2003 – 2015 (ISPRA 2016).

Nel 2015 circa il 19% dei rifiuti urbani prodotti viene incenerito, evidenziando una crescita di un punto percentuale rispetto al 2014 (ISPRA 2016).

L’ulteriore analisi effettuata relativa al recupero energetico e il recupero termico, mostra che, nel 2015, tutti gli impianti sul territorio nazionale producono energia, anche se per due impianti (Melfi e Gioia Tauro) non è stato possibile reperire l’informazione; 24 impianti sono dotati di soli sistemi di recupero energetico elettrico ed hanno trattato oltre 3,4 milioni di tonnellate di rifiuti, recuperando 2,7 milioni di MWh di energia elettrica, 15 impianti, invece, sono dotati di cicli cogenerativi ed hanno incenerito quasi 2,6 milioni di tonnellate di rifiuti con un recupero di energia termica di oltre 2,7 milioni di MWh e di energia elettrica di 1,7 MWh. La fig.1.13 mostra l’andamento nel periodo 2005 – 2015, del recupero dell’energia elettrica che passa da quasi 2,6 milioni di MWh, prodotta nel 2005, ad oltre 4,3 milioni di MWh nel 2015. Il recupero di energia termica si è diffuso progressivamente a partire dagli impianti del Nord, fino ad arrivare nel 2015 ad oltre 2,7 milioni di MWh prodotti a livello nazionale (ISPRA 2016).

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Figura 1.13: Recupero energetico in impianti di incenerimento (1.000 * MWh), anni 2005 – 2015 (ISPRA 2016).

1.4

Produzione e gestione e della frazione organica

Nel 2015, circa 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani sono recuperate in impianti di compostaggio e digestione anaerobica (+7% rispetto al 2014); di questi quasi 3,4 milioni di tonnellate sono avviati ad impianti di compostaggio, 1,6 milioni di tonnellate ad impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico, mentre poco più di 220 mila tonnellate sono trattati in impianti dedicati di digestione anaerobica. Il pro capite nazionale di trattamento dei rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata (digestione anaerobica + compostaggio), nel 2015, è pari a 86 kg/abitante con valori molto diversi nelle singole aree geografiche: 127 kg/abitante al Nord, 65 kg/abitante al Centro e 42 kg/abitante al Sud. Tali dati non sono completamente confrontabili con quelli della raccolta della frazione organica a livello territoriale; infatti la scarsa dotazione impiantistica rilevata in alcune aree del Centro – Sud del Paese (202 impianti dei 309 operativi a livello nazionale sono localizzati a Settentrione) comporta la movimentazione di rilevanti quantità di rifiuti da queste aree verso gli impianti del Nord.

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Figura 1.14: Quantitativi dei rifiuti sottoposti al trattamento biologico, anni 2006 – 2015 (ISPRA 2016).

Esaminando il sistema complessivo del trattamento biologico dei rifiuti urbani, si può osservare, come, coerentemente con la progressione dei quantitativi dei rifiuti raccolti in maniera differenziata, nel corso degli anni, si assista ad un aumento costante delle quantità trattate. Il grafico in fig.1.14 analizza i quantitativi dei rifiuti complessivamente gestiti, nel periodo dal 2006 al 2015, con il dettaglio riferito alla sola frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata (umido + verde). L’analisi dei dati mostra un’evoluzione del settore sia nelle quantità complessive (+91,4% tra il 2006 ed il 2015), sia nella quota delle frazioni organiche selezionate, i cui quantitativi appaiono più che raddoppiati. Per quanto riguarda l’ultimo anno di riferimento, la quantità totale dei rifiuti recuperati attraverso processi di trattamento biologico (circa 6,6 milioni di tonnellate), indica, nel confronto con il 2014 (circa 6,2 milioni di tonnellate), una differenza di 400 mila tonnellate, corrispondente ad un aumento del 6,5%. Anche la quota dei rifiuti organici, che passa da circa 4,9 milioni di tonnellate a 5,2 milioni di tonnellate (pari al 79,2% del totale trattato), evidenzia una crescita di 338 mila tonnellate, pari al 6,9% (ISPRA 2016).

1.4.1

Impianti di compostaggio

Il compostaggio consiste nella stabilizzazione biologica in fase solida di scarti, residui e rifiuti organici fermentescibili, in condizioni aerobiche (presenza di ossigeno molecolare) tali da garantire alla matrice in trasformazione il passaggio spontaneo attraverso una fase di auto riscaldamento, dovuto alle reazioni microbiche. Il processo trasforma il substrato di partenza in un prodotto stabile, simile all’humus, chiamato compost. Nell’ambito delle biotecnologie ambientali, il compostaggio

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18 sta quindi ad indicare il processo biossidativo aerobico, esotermico (basato su reazioni che generano calore), promosso dai microrganismi (biomassa attiva) di norma associati alle matrici sottoposte al trattamento, in conseguenza del quale il substrato organico eterogeneo di partenza (biomassa substrato) subisce, in tempi ragionevolmente brevi (alcune settimane), profonde trasformazioni nelle caratteristiche fisico–chimiche e biologiche (maturazione), con perdita della putrescibilità (stabilizzazione), parallelamente ad una parziale mineralizzazione e umificazione. Durante il processo di compostaggio, i microrganismi degradano, in maniera più o meno spinta, il substrato organico di partenza, producendo anidride carbonica, acqua, calore e sostanza organica humificata, vale a dire una matrice finale metastabile, non suscettibile cioè di ulteriori repentine trasformazioni biologiche. In condizioni ottimali il compostaggio si svolge attraverso tre stadi principali:

1) Fase mesofila di latenza, che può protrarsi da poche ore ad alcuni giorni, durante la quale, la matrice iniziale viene invasa dai microrganismi, il cui metabolismo finisce per causare il progressivo riscaldamento del substrato;

2) Fase termofila (o di stabilizzazione), di durata variabile da alcuni giorni a diverse settimane, nel corso della quale si ha un’intensa attività bio-ossidativa;

3) Fase di raffreddamento (o maturazione), di durata da poche settimane ad alcuni mesi, nella quale intervengono le reazioni di humificazione.

Da un punto di vista gestionale, l’intero processo di biostabilizzazione viene però, di solito, suddiviso in due archi temporali distinti: il periodo di attiva trasformazione (active composting), comprendente le prime due fasi sopra citate, ed il periodo di finissaggio (curing), corrispondente alla fase di raffreddamento e di maturazione mesofila.

Gli impianti operativi sono 263 e risultano localizzati per il 61,6% al Nord, per il 16,3% al Centro e per il 22,1% al Sud. La fig.1.15, che analizza la composizione percentuale delle diverse matrici avviate a trattamento nel 2015, evidenzia come la frazione umida, con un quantitativo di circa 1,9 milioni di tonnellate, costituisca il 46% del totale trattato (ISPRA 2016).

(24)

19

Figura 1.15: Tipologie di rifiuti trattati in impianti di compostaggio, anno 2015 (ISPRA 2016).

L’analisi dei dati relativi al quinquennio 2011 – 2015 (Fig.1.16) evidenzia, con riferimento alla frazione umida selezionata, una riduzione, rispetto al 2014, di circa 922 mila tonnellate, pari al 32,7%. Analogo andamento si riscontra anche nelle altre frazioni.

Figura 1.16: Tipologie dei rifiuti trattati in impianti di compostaggio, anni 2011 – 2015 (ISPRA 2016).

La frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata rappresenta l’81,8% del totale dei rifiuti sottoposti a compostaggio.

(25)

20

Figura 1.17: Compostaggio della frazione organica da raccolta differenziata, per macroarea geografica, anni 2011- 2015 (ISPRA 2016).

Il grafico in fig.1.17, che riporta l’analisi dei dati relativa alle tre macro aree del Paese, nel quinquennio 2011–2015, mette in evidenza come nelle regioni del settentrione la quota dei rifiuti organici denoti, rispetto all’anno 2014, una riduzione di circa 1,2 milioni di tonnellate, pari al 38,7%. Va, tuttavia, segnalato che, in tale area risultano operativi 22 dei 26 impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico dove viene recuperata una considerevole quantità di rifiuti organici (circa 1,5 milioni di tonnellate). Considerando, quindi, le quantità complessive delle frazioni organiche selezionate sottoposte a trattamento biologico nel Nord del Paese, si assiste, in realtà, ad una riduzione più contenuta, pari al 5%. Nelle regioni del Centro le quantità dei rifiuti organici trattati risultano in progressivo incremento. Analogo andamento si riscontra anche in meridione, dove i rifiuti organici ammontano ad oltre 750 mila tonnellate e mostrano, rispetto al 2014, una crescita di oltre 100 mila tonnellate, pari al 15,5% (ISPRA 2016).

1.4.2

Impianti di trattamento integrato anaerobico/aerobico

I processi biologici dedicati al recupero di materia dei rifiuti urbani sono caratterizzati, negli ultimi anni, da un’evoluzione delle tecnologie di trattamento. Alcuni impianti di compostaggio si sono, infatti, dotati di linee di digestione anaerobica. Tali impianti sono costituiti da linee di trattamento integrate e sequenziali, che consentono, con il trattamento anaerobico, di recuperare energia rinnovabile sotto forma si biogas, controllare le emissioni osmogene e stabilizzare le biomasse prima del loro utilizzo agronomico e, con il successivo trattamento aerobico, di trasformare il

(26)

21 digestato in ammendante da utilizzare in campo agricolo. Gli impianti operativi, dotati di questa tecnologia in Italia, sono 26 e la sola quota di rifiuti organici provenienti dalla raccolta differenziata, nel 2015 (1,6 milioni di tonnellate), rappresenta circa il 31% di quella complessivamente avviata a trattamento biologico a livello nazionale (ISPRA 2016). Di questi 26 impianti, 22 sono localizzati nelle regioni del Nord, 1 al Centro e 3 al Sud, con una quantità autorizzata complessiva pari a 2 milioni di tonnellate. E’, inoltre, in corso di realizzazione un impianto in Liguria, nella provincia di Savona, mentre in Piemonte, nella provincia di Vercelli, è prevista la costruzione di una linea di digestione anaerobica in un impianto di compostaggio, già operativo.

Il grafico in fig.1.18, che analizza la composizione percentuale delle diverse matrici avviate a trattamento integrato anaerobico/aerobico, mostra come la frazione umida, con un quantitativo di 1,4 milioni di tonnellate, costituisca l’81,7% del totale trattato.

Figura 1.18: Tipologie di rifiuti avviati a trattamento integrato anaerobico/aerobico dei rifiuti, anno 2015 (ISPRA 2016).

Il grafico in fig.1.19, riporta, per il biennio 2014 – 2015, l’analisi di dettaglio del trattamento della frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata, nelle tre macro aree geografiche del Paese. Il quantitativo dei rifiuti organici sottoposti a trattamento negli impianti del Nord, passa, tra il 2014 ed il 2015, da 234 mila tonnellate a circa 1,5 milioni di tonnellate pari al 91,5% del totale complessivo. Nelle regioni del Centro, l’unico impianto operativo, indica un trattamento delle frazioni organiche selezionate pari ad oltre 34 mila tonnellate, corrispondente al 2,1% del totale nazionale. Nel Sud, dove sono 3 le unità operative, tali frazioni rappresentano il 6,3% del totale

(27)

22 complessivo ed il loro quantitativo passa tra, il 2014 ed il 2015, da circa 30 mila tonnellate a poco più di 100 mila tonnellate.

Figura 1.19: Trattamento della frazione organica da raccolta differenziata mediante trattamento integrato anaerobico/aerobico, anni 2014 – 2015 (ISPRA 2016).

1.4.3

Impianti di digestione anaerobica

La degradazione biologica della sostanza organica in condizioni di anaerobiosi (in assenza, cioè, di ossigeno molecolare, come O , o legato ad altri elementi), determina la formazione di diversi prodotti, i più abbondanti dei quali sono due gas: il metano e il biossido di carbonio. Essa coinvolge diversi gruppi microbici interagenti tra loro: i batteri idrolitici, i batteri acidificanti (acetogeni ed omoacetogeni) ed, infine, i batteri metanigeni, quelli cioè che producono metano e CO , con prevalenza del gas di interesse energetico, che rappresenta circa i 2/3 del biogas prodotto. La conversione di substrati organici complessi in metano avviene attraverso una catena trofica anaerobica; il processo biodegradativo si compone delle seguenti fasi:

1) Fase di idrolisi dei substrati complessi accompagnata da acidificazione con formazione di acidi grassi volatili, chetoni ed alcoli;

2) Fase acetogenica, in cui, a partire dagli acidi grassi, si ha la formazione di acido acetico, acido formico, biossido di carbonio ed idrogeno molecolare;

(28)

23 3) Fase metanogenica, in cui, a partire dai prodotti della fase precedente, si osserva la metanizzazione, cioè la formazione di metano a partire dall’acido acetico o attraverso la riduzione del biossido di carbonio utilizzando l’idrogeno come co-substrato. In minor misura si ha la formazione di metano a partire dall’acido formico.

Gli impianti in esercizio nel corso dell’anno 2015 sono 20, di cui 18 localizzati nelle regioni del Nord del Paese e 2 nelle regioni del Sud, con una quantità autorizzata pari ad 847 mila tonnellate. Un nuovo impianto è in corso di realizzazione in Lombardia, nella provincia di Bergamo. Nel grafico in fig.1.20 viene riportata la composizione percentuale delle frazioni avviate al processo di digestione anaerobica, mentre l’andamento dei quantitativi trattati nel biennio 2014 – 2015 è analizzato in fig.1.21. La frazione organica da raccolta differenziata, pari ad oltre 220 mila tonnellate costituisce il 30,5% del totale avviato a trattamento e denota, nel confronto con l’anno 2014, un aumento di oltre 30 mila tonnellate, corrispondente al 16%. Il quantitativo dei fanghi, che rappresenta la quota di rifiuti maggiormente significativa, è di oltre 307 mila tonnellate (pari al 42,5% del totale complessivo) e mostra, rispetto all’anno precedente, una progressione di oltre 90 mila tonnellate, pari al 41,7%. La restante parte dei rifiuti sottoposti al processo di digestione anaerobica è costituita, prevalentemente, da rifiuti provenienti dall’industria agroalimentare; il quantitativo trattato nel 2015 (oltre 195 mila tonnellate), costituisce il 27% del totale trattato e denota, rispetto al 2014, un incremento di 33 mila tonnellate, pari al 20,4% (ISPRA 2016).

(29)

24

Figura 1.21: Tipologie di rifiuti trattati in impianti di digestione anaerobica, anni 2014 – 2015 (ISPRA 2016).

Il grafico in fig.1.22 evidenzia come la digestione anaerobica rappresenti una tipologia di trattamento rilevante nella gestione delle frazioni organiche selezionate. Tra il 2014 ed il 2015, i quantitativi gestiti in tale settore evidenziano, infatti, una crescita di oltre 30 mila tonnellate, corrispondente al 16%. L’analisi di dettaglio mostra come il quantitativo dei rifiuti organici sottoposti a trattamento negli impianti del Nord, pari a circa 195 mila tonnellate (l’88,5% del totale complessivo) indichi, nel confronto con il 2014, un aumento di circa 27 mila tonnellate, pari al 15,8%. Anche nel Meridione, dove tale frazione è presente in una quota di oltre 25 mila tonnellate (pari all’11,5% del totale nazionale), si evidenzia una crescita del 17,9% (ISPRA 2016).

(30)

25

Figura 1.22: Digestione anaerobica della frazione organica da raccolta differenziata, per macroarea geografica, anni 2014 – 2015 (ISPRA 2016).

Per concludere, la localizzazione degli impianti di trattamento biologico dei rifiuti in Italia è osservabile attraverso la fig.1.23

(31)

26

Figura 1.23: Ubicazione degli impianti di trattamento biologico dei rifiuti con un quantitativo trattato maggiore di 1.000 t/a, per comune, anno 2015 (ISPRA 2016).

(32)

27

CAPITOLO 2

LCA: Analisi del ciclo di vita

2.1

Introduzione

L’analisi del ciclo di vita (Lyfe Cycle Assessment, LCA) fa parte di quella nuova strumentazione metodologica per consentire, con interventi di natura preventiva, uno sviluppo sostenibile, ossia uno sviluppo che risponda alle esigenze del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie, ed inoltre, rappresenta uno degli strumenti più utilizzati per la valutazione degli aspetti e dei potenziali impatti ambientali relativi ad un processo e ad un’attività. Il ciclo di vita di un prodotto o di una qualsiasi attività umana viene esaminato ‘dalla culla alla tomba’ attraverso la compilazione di un inventario di ingressi (materiali, energia, risorse naturali) e di uscite (emissioni in aria, acqua, suolo) del sistema, la valutazione di impatti potenziali, diretti ed indiretti, associati a tali inventari, l’analisi dei risultati delle due fasi precedenti ed infine la definizione delle possibili linee di intervento.

Il cosiddetto approccio ‘dalla culla alla tomba’ (o ‘dalla culla alla culla’, se si considera anche il rientro in circolo dei materiali a fine vita) comprende tutti i processi di trasformazione e di trasporto, l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale; si propone, così, una visione d’insieme del sistema

(33)

28 produttivo, che supera il tradizionale metodo basato sullo studio separato delle singole fasi dei processi, da considerare invece dipendenti e correlate. Grazie alla compilazione di un inventario di input e di output del sistema, si mettono in luce i potenziali impatti, il cui approfondimento può portare alla definizione e al confronto di possibili modalità di intervento.

Le applicazioni di una valutazione LCA sono diverse:

fornire uno strumento di supporto decisionale in fase di pianificazione e progettazione; confrontare più scenari per l’identificazione dell’alternativa con i minori impatti ambientali ed energetici;

ricercare le fasi più critiche nei processi industriali, per programmare le priorità degli interventi;

adottare uno strumento efficace per le strategie aziendali e di marketing, in quanto si certificano le prestazioni ambientali.

Dunque, uno studio LCA non propone una soluzione assoluta e univoca, ma identifica una serie di alternative di azione, tra le quali scegliere la migliore.

2.2

Le origini dell’LCA

La LCA, conosciuta in Italia come analisi del ciclo di vita dei processi produttivi, può essere considerata come l’evoluzione della tecnica di analisi energetica, i cui primi esempi d’applicazione risalgono alla fine degli anni ’60, quando alcune grandi industrie hanno cominciato a rivolgere un interesse particolare ai temi del risparmio delle risorse e del contenimento delle emissioni nell’ambiente (Baldo, 2000).

E’ a cominciare dai primi anni ’70 che è possibile trovare i primi esempi di analisi del ciclo di vita, utilizzate soprattutto da alcune grandi aziende statunitensi e dall’agenzia americana per la protezione dell’ambiente (US-EPA) come supporto alle decisioni. Si trattava di ricerche, svolte sotto il nome di REPA (Resource and Environmental Profile Analysis), che avevano come obiettivo la caratterizzazione del ciclo di vita di alcuni materiali impiegati in importanti produzioni industriali. Verso la fine degli anni ’80 nasce il concetto di sviluppo sostenibile e nello stesso periodo in Europa viene pubblicato il manuale di analisi energetica industriale di Boustead e Hancock (1979), una pietra miliare nella storia della metodologia LCA in quanto è il primo ad offrire una descrizione di carattere operativo del procedimento analitico che è da considerare parte fondamentale della LCA attuale.

(34)

29 Il termine LCA, viene coniato in realtà solo durante il congresso SETAC (Society of Environmental Toxicology and Chemistry), per meglio caratterizzare l’obiettivo delle analisi fino ad allora svolte sotto il nome di REPA.

L’attuale impegno del comitato ISO per la standardizzazione della metodologia trova attuazione nell’emanazione delle norme ISO della serie 14000, ed in particolare, delle ISO 14040 (2006a) e 14044 (2006b) che sostituiscono le precedenti edizioni delle norme.

Un’importante iniziativa è stata portata avanti dal JRC (Joint Research Center), che, identificando l’LCA come “il miglior quadro di valutazione per l’analisi dei potenziali impatti ambientali dei

prodotti”, ha sostituito nel 2005 la Piattaforma Europea per l’LCA. Si è così arrivati alla

pubblicazione nel 2010 del manuale International Reference Life Cycle Data System (ILCD Handbook), che comprende le linee guida generali e specifiche per l’applicazione delle suddette norme ISO.

2.3

La struttura dell’LCA

Da un punto di vista metodologico, la definizione di LCA proposta dalla SETAC e formalizzata oggi nelle norme ISO, è la seguente: “è un procedimento oggettivo di valutazione dei carichi

energetici e ambientali relativi ad un processo o un’attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia, dei materiali usati e dei rifiuti associati all’ambiente. La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale.”

La struttura moderna dell’LCA è suddivisa in quattro fasi principali

1. Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione (Goal and scope definition); 2. Analisi d’inventario (Life Cycle Inventory, LCI);

3. Valutazione degli impatti (Life Cycle Impact Assessment, LCIA); 4. Interpretazione dei risultati (Life, Cycle Interpretation).

Tali fasi non vanno considerate come blocchi separati, ma facenti parte di un processo iterativo che, con l’acquisizione di informazioni supplementari durante lo studio, rende necessaria la revisione delle ipotesi formulate (Fig.2.1).

(35)

30

Figura 2.1: fasi dell’analisi del ciclo di vita facenti parte di un processo di tipo iterativo.

2.3.1

Fase 1: La definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione

E’ la fase preliminare in cui vengono definiti le finalità dello studio, l’unità funzionale, i confini del sistema studiato, il fabbisogno di dati, le assunzioni e i limiti. E’ suddivisa in due momenti principali: il primo consiste nello stabilire tutti i riferimento dello studio (cosa studiare, per quale motivo farlo, con quale obiettivo, per chi svolgere lo studio), concentrandosi sullo scopo della ricerca. E’ importante chiedersi cosa si vuole conoscere. Da questo primo momento, si distinguono tre tipologie differenti di studio:

A) l’analisi è utilizzata come strumento di supporto decisionale, ma le conclusioni finali non comportano una modifica strutturale di altri sistemi. Gli intervalli spaziali e temporali sono molto limitati (breve/medio termine); la modellizzazione è di tipo attributional: il sistema viene descritto in maniera statica;

B) l’analisi comporta cambiamenti strutturali, interessa un’ampia scala spaziale e ha ricadute strategiche nel medio/lungo termine; la modellizzazione è di tipo consequential: descrive l’evoluzione del sistema in funzione delle decisioni analizzate;

C) l’analisi rappresenta un semplice studio di rendicontoazione e non è utilizzato come strumento di supporto alle decisioni. Alcuni studi descrivono un sistema che presenta interazioni con altri (C1), altri hanno invece come obiettivo l’analisi del sistema isolato, senza considerare alcuna interazione con l’esterno (C2). La modellizzazione è di tipo

(36)

31

Tabella 2.1: Tipologie di studi LCA (Rigamonti, 2013).

SUPPORTO ALLE DECISIONI?

SI

ENTITÀ DELLE CONSEGUENZE SUGLI ALTRI SISTEMI

Nessuna o piccola Grande

Situazione A Situazione B

NO

SI CONSIDERANO LE INTERAZIONI CON ALTRI SISTEMI?

SI NO

Situazione C1 Situazione C2

Il secondo momento riguarda invece la definizione del campo di applicazione della ricerca: si devono quindi individuare il sistema da studiare e i suoi confini, l’unità funzionale, i metodi per la risoluzione dei casi di multifunzionalità, le tipologie di effetti ambientali considerati e la metodologia di valutazione degli impatti utilizzata, le assunzioni e le limitazioni ed, infine, la qualità dei dati.

Definizione dei confini del sistema

I confini del sistema includono generalmente tutti i processi considerati e sono determinati allo scopo di delineare il campo di azione per la raccolta dati. E’ un’operazione fondamentale in quanto incide sui risultati dello studio: analisi sullo stesso sistema, ma con confini diversi conducono a risultati differenti e non confrontabili. Tradizionalmente la valutazione comprende l’intero ciclo di vita, tuttavia è spesso specifica esigenza di chi commissiona lo studio escludere già a priori determinate fasi: tipiche sono le analisi che partono dall’inizio del processo produttivo tralasciando le fasi di estrazione e lavorazione delle materie prime.

Scelta dell’unità funzionale

L’unità funzionale è definita come una “prestazione quantificata di un sistema di prodotto da

utilizzare come riferimento in uno studio LCA” e rappresenta quindi un’unità di misura di

riferimento, a cui legare i flussi in entrata e in uscita. La scelta di tale unità dipende essenzialmente dallo scopo della valutazione, in quanto assumere una certa unità funzionale significa normalizzare il sistema studiato ad una certa determinata funzione.

Allocazione

Consiste nella ripartizione degli impatti e dei consumi tra più prodotti, qualora il sistema oggetto di studio preveda dei ricircoli e riusi di materiali e/o di coprodotti, ossia la formazione come output o l’ingresso di un processo di due o più prodotti. Le norme ISO stabiliscono che prima di “risolvere” l’allocazione, secondo criteri fisici o economici, bisognerebbe cercare di evitarla o minimizzarla attraverso la suddivisione del sistema in tanti sottoprocessi, ognuno dei quali produce un singolo prodotto, o espandendo i confini del sistema. Dove l’allocazione non è evitabile, è necessario

(37)

32 esprimere la distribuzione dei flussi attraverso relazioni fisiche chiare e qualora le relazioni fisiche non siano chiare, si devono utilizzare altre relazioni, per esempio il valore economico dei co-prodotti. Effettuare l’allocazione con un metodo piuttosto che con un altro, porterà a differenze tutt’altro che trascurabili nei risultati.

Qualità dei dati

Per giustificare l’affidabilità dei risultati è importante definire la provenienza e la qualità dei dati raccolti, che possono essere di primo, secondo o terzo livello. E’ preferibile utilizzare dati di tipo primario, ossia che derivano da rilevamenti diretti e analisi specifiche condotte sul sistema in esame. Nel caso in cui tali dati non siano reperibili o lo studio sia relativo ad una struttura impiantistica non ancora realizzata si possono ricavare informazioni da database e studi di letteratura (dati secondari) o da stime e valori medi (dati terziari). Per quanto riguarda i requisiti di qualità dei dati, questi dovrebbero comprendere:

• Le fonti e la loro rappresentatività;

• I fattori relativi al tempo, alla geografia e alla tecnologia; • La precisione, la completezza e la rappresentatività dei dati; • La coerenza e la riproducibilità dei metodi usati nell’LCA; • L’incertezza dell’informazione.

2.3.2

Fase 2: Analisi di inventario

E’ la seconda fase di un’analisi LCA e ne costituisce la parte più impegnativa, procedendo alla costruzione di un modello della realtà in grado di rappresentare nella maniera più fedele possibile tutti gli scambi tra i singoli processi appartenenti alla catena produttiva (e distruttiva) analizzata. Lo scopo di questa fase è evidenziare tutti i flussi di input e di output (riferiti all’unità funzionale) connessi alle diverse fasi del ciclo di vita di un prodotto, costruendo un diagramma di flusso (Fig.2.2).

(38)

33

Figura 2.2: Schema dei principali processi che appartengono al generico sistema studiato (Baldo, 2000)

Tali flussi sono espressi in unità fisiche e riguardano sia il prelievo e la preparazione delle materie prime, la loro trasformazione in prodotti finiti, co-prodotti, sottoprodotti con l’immissione di agenti inquinanti nell’aria, nell’acqua e nel suolo, sia il prelievo delle fonti di energia, il loro uso e i rilasci associati ai diversi comparti ambientali, nelle diverse fasi del sistema esaminato.

Il risultato finale di questo procedimento è una sorta di bilancio ambientale, con una serie di voci relative al consumo delle materie prime e alle emissioni inquinanti in acqua, aria e suolo.

I risultati della LCI devono essere sempre interpretati sulla base dell’obiettivo e del campo di applicazione dello studio.

2.3.3

Fase 3: La valutazione degli impatti

Costituisce la terza fase della procedura LCA ed è orientata allo studio dell’impatto ambientale provocato dal processo o dall’attività esaminata, con lo scopo di evidenziare l’entità delle alterazioni generate a seguito dei consumi di risorse e dei rilasci nell’ambiente calcolati nell’inventario. L’obiettivo di questa fase è quello di esprimere i risultati dell’inventario in modo da collegarli ragionevolmente con i vari tipi di effetti ambientali indesiderati: ciò viene fatto generalmente attraverso un’operazione di raggruppamento e classificazione in categorie d’impatto in modo da poter valutare il contributo potenziale di ogni emissione. Il livello di dettaglio influenzerà la scelta degli impatti da valutare, mentre la metodologia da adottare dipenderà dagli obiettivi dello studio.

(39)

34 La norma ISO 14044 suddivide tale fase in più stadi distinti e successivi; i primi tre risultano obbligatori, gli ultimi opzionali:

• selezione delle categorie di impatto, degli indicatori di categoria e dei modelli di caratterizzazione; • classificazione; • caratterizzazione; • normalizzazione; • raggruppamento; • pesatura.

Selezione delle categorie d’impatto

Tale scelta deriva direttamente dagli obiettivi dello studio e dalle ipotesi fatte nel corso della fase di inventario; le categorie scelte e i relativi indicatori e modelli devono essere internazionalmente accettati, trasparenti e ambientalmente rilevanti. I modelli di caratterizzazione devono essere scientificamente e tecnicamente validi, basati quindi su un preciso meccanismo ambientale oppure riproducibili con osservazioni empiriche.

Le categorie d’impatto possono essere divise in due grandi gruppi: di input e di output. Le prime si riferiscono a degli impatti connessi con il consumo di materiali e di risorse, le seconde fanno, invece, riferimento agli impatti causati dall’emissione di sostanze nell’ambiente. Si effettua inoltre un’ulteriore distinzione tra gli impatti che interessano tutto il pianeta (scala globale) e quelli che presentano effetti su scala regionale o locale. In uno studio LCA, la significatività dei risultati è maggiore per gli effetti globali (Rigamonti e Grosso, 2012).

Una volta scelte le categorie di impatto, si deve anche scegliere l’indicatore con cui rappresentarla; ne esistono di tre tipologie: livello vicino alle emissioni, livello intermedio e livello endpoint. Il primo livello fa riferimento ad un indicatore grezzo, semplice da gestire ma poco rilevante dal punto di vista ambientale in quanto lontano dai punti finali di categoria. Il livello intermedio (midpoint approach) individua gli indicatori con moderata rilevanza ambientale. Gli indicatori di livello endpoint sono quelli con maggiore rilevanza ambientale, ma implicano grandi incertezze nella procedura di modellizzazione.

In uno studio ideale, le categorie di impatto andrebbero definite ad hoc per ogni caso. Per rendere confrontabili i risultati e per facilitare il lavoro, i software per l’LCA contengono già un elenco di metodi di caratterizzazione, che includono determinate categorie di impatto con i propri indicatori. E’ quindi opportuno scegliere il metodo più adatto in funzione dell’obiettivo della ricerca, di coloro

(40)

35 che leggeranno i risultati e del Paese in cui gli stessi verranno pubblicati (Rigamonti e Grosso, 2012).

La classificazione

In questa successiva fase, si assegnano i risultati dell’LCI alle rispettive categorie di impatto, in funzione dei potenziali effetti ambientali. Ad esempio, l’emissione di anidride carbonica fossile contribuisce al riscaldamento globale, gli ossidi di zolfo e di azoto hanno effetti sulla tossicità umana, sulla formazione fotochimica di ozono e sull’acidificazione.

La caratterizzazione

E’ l’ultima delle fasi obbligatorie: una volta assegnate le diverse emissioni alle categorie di impatto considerate, si può calcolare l’effetto totale attraverso la sommatoria dei singoli effetti potenziali, valutati tramite un fattore di conversione, tipico di ogni sostanza, con il quale esprimere i contributi dei diversi flussi a quella specifica categoria d’impatto.

Normalizzazione, raggruppamento e pesatura

Sono le ultime fasi della valutazione degli impatti indicate opzionali dalle norme ISO.

La normalizzazione permette di esprimere i diversi impatti di categoria con la stessa unità di riferimento, con lo scopo di ottenere indici sintetici con cui valutare complessivamente il sistema in esame.

Il raggruppamento consiste nel riunire le categorie di impatto in gruppi “omogenei”, tramite due diverse procedure:

• ordinare (sorting) le categorie d’impatto su una base nominale (per esempio le scale spaziali);

• classificare (ranking) le categorie di impatto in una gerarchia data seguendo criteri quali il grado di reversibilità degli impatti, le priorità politiche in relazione al tipo di impatto.

La pesatura è l’operazione che consente di confrontare i diversi effetti ambientali attraverso l’assegnazione di pesi alle categorie di impatto.

In letteratura si possono trovare diversi metodi di caratterizzazione e pesatura, che fanno riferimento a più parametri. La scelta della metodologia introduce un ulteriore elemento di soggettività e rende molto discutibile la riduzione dell’impatto globale ad un unico indice numerico (Rigamonti e Grosso, 2012).

(41)

36

2.3.4

Fase 4: L’interpretazione dei risultati

Nella parte conclusiva della valutazione del ciclo di vita vengono analizzati i risultati ottenuti nelle fasi precedenti e identificate le parti del sistema in cui possono essere apportati dei cambiamenti, al fine di ridurre l’impatto ambientale dei processi considerati. Disaggregando i dati relativi alle emissioni, in base alla fase del processo in cui tali emissioni vengono generate, è possibile individuare, inoltre, le fasi più critiche; questa operazione è molto importante ai fini di stabilire quali siano le azioni correttive da apportare per migliorare le prestazioni ambientali del sistema produttivo, o invece se sia opportuno riprogettare un’intera fase.

2.4

LCA e gestione integrata dei rifiuti

La LCA è una tecnica sviluppata originariamente per valutare gli impatti ambientali dei prodotti e dei processi produttivi. Negli ultimi dieci anni il metodo è stato però applicato non solo ai prodotti, ma anche ai servizi, compresi quelli legati alla gestione dei rifiuti.

Pur costituendo generalmente una fase di qualsiasi LCA di prodotto, la gestione dei rifiuti può quindi essere considerata come un sistema autonomo, i cui input sono costituiti dagli scarti delle attività umane e produttive e i cui output sono le emissioni finali nell’ambiente e i nuovi prodotti utili. Una grande differenza, risiede nel fatto che l’unità funzionale, nel caso di LCA applicata alla gestione dei rifiuti, è riferita all’input (ad esempio 1 tonnellata di rifiuti prodotti), mentre nell’LCA di prodotto, è tipicamente riferita all’output (ad es. 1 tonnellata di materiale prodotto).

L’obiettivo di uno studio LCA applicato alla gestione dei rifiuti è solitamente il confronto tra diverse opzioni di gestione, mentre per un prodotto generalmente vengono valutati gli effetti ambientali di un cambiamento nelle modalità di produzione (Rigamonti e Grosso, 2012).

Inoltre, nel caso dei rifiuti, i confini del sistema studiato sono compresi generalmente tra il momento in cui il materiale diventa rifiuto e quello in cui il rifiuto diventa inerte o lascia il sistema come emissione (liquida, gassosa o solida), oppure rientra nel ciclo di vita di un prodotto tramite il riciclaggio, nel caso di un prodotto, invece, viene considerato l’intero ciclo di vita, dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento finale, passando attraverso la produzione, la distribuzione e l’utilizzo. All’interno dei confini del sistema, solitamente si trascurano i processi che hanno prodotto il rifiuto, concentrandosi sulle diverse possibili alternative di evoluzione nel ciclo di vita del rifiuto stesso (approccio “zero burden”). Si ipotizza, quindi, che il rifiuto entri nel sistema privo di impatti, perché le attività produttive a monte sono comuni a tutti gli scenari confrontati (in assenza di attività di prevenzione). Nei confini del sistema, devono essere considerati tutti i processi tramite cui il rifiuto subisce delle trasformazioni: processi specifici di trattamento, processi di

(42)

37 valorizzazione di materiali recuperabili dai rifiuti (riciclo) e processi sostitutivi delle azioni connesse alla gestione dei rifiuti (produzione di energia).

Tutte le operazioni che avvengono all’interno del sistema (raccolta, trasporto, trattamento e smaltimento) sono inserite nel sistema principale (“foreground system”), descritto da dati specifici. Le emissioni associate sono denominate “impatti (o carichi) diretti” e includono le emissioni atmosferiche da veicoli o da processi di termovalorizzazione, il percolato e il biogas generato dalle discariche etc. I processi che invece forniscono energia e materiali per il sistema principale vanno inclusi nel sistema secondario (“background system”) descritto da dati medi. Tali processi di contorno non rientrano strettamente nei confini del sistema, ma non possono essere trascurati, in quanto generano comunque emissioni e portano al consumo di risorse (“impatti indiretti”). All’interno dei confini del sistema rientrano anche i processi di tipo sostitutivo, come il recupero di energia e di materia, che consentono di evitare i carichi e i costi ambientali associati alla produzione (“impatti evitati”). La distinzione tra i due macrosistemi (Fig.2.3) è fondamentale per la fase di inventario: gli impatti diretti e indiretti presentano segno positivo, quelli evitati segno negativo. Nel bilancio totale degli impatti si può quindi ottenere una valore positivo o negativo: nel primo caso si conclude che il sistema comporta dei carichi aggiuntivi sull’ambiente, nel secondo permette invece di concludere che il sistema comporta dei carichi evitati, ossia benefici ambientali.

(43)

38

CAPITOLO 3

LCA applicata allo scenario attuale di gestione

del RUR e FORSU prodotti nei 5 Comuni soci

del Consorzio CORE S.p.A.

3.1

Introduzione al lavoro di tesi

La presente Tesi si inserisce all’interno di un lavoro di ricerca nato da una collaborazione tra il gruppo AWARE (Assessment of WAste and REsources) della Sezione Ambientale del Dipartimento DICA del Politecnico di Milano e il Gruppo CAP, gestore unico del servizio idrico nella Provincia di Milano. Nel marzo del 2017 il Gruppo CAP ha indetto una gara d’appalto per la redazione del progetto di fattibilità tecnico-economica e la progettazione preliminare di una piattaforma integrata CAP-CORE a Sesto San Giovanni destinata al trattamento di:

• fanghi biologici in uscita dal depuratore del Gruppo CAP;

• FORSU (frazione organica dei rifiuti urbani) e RUR (rifiuto urbano residuo) prodotti dai 5 Comuni azionisti del Consorzio CORE S.p.A. (Cologno Monzese, Cormano, Pioltello, Segrate e Sesto San Giovanni).

In relazione a questo progetto, CAP ha richiesto al gruppo AWARE di svolgere una valutazione ambientale condotta con la metodologia LCA (Life Cycle Assessment) per analizzare e quantificare

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39 gli eventuali benefici della piattaforma integrata rispetto alla situazione di gestione attuale (anno 2016) dei 3 flussi di rifiuti (Tab. 3.1).

Tabella 3.1: descrizione dello scenario attuale e futuro relativo alla gestione dei tre flussi di rifiuto di interesse per la realizzazione della nuova piattaforma integrata CAP-CORE.

SCENARIO ATTUALE SCENARIO FUTURO FORSU

Trattamento di compostaggio o digestione anaerobica (a seconda dei Comuni) esterno al polo impiantistico

CAP-CORE di Sesto San Giovanni

FORSU

Trattamento di digestione anaerobica presso la nuova piattaforma integrata

con produzione di biometano

RUR

Trattamento presso il

termovalorizzatore CORE di Sesto San Giovanni

RUR

Trattamento meccanico a freddo per il recupero di materia presso la nuova piattaforma integrata e conferimento

del CSS prodotto al termovalorizzatore Silla 2

FANGHI

Differenti destini di trattamento: -Recupero in agricoltura (65%);

-Essiccazione e recupero in cementificio (18%);

-Smaltimento in discarica (14% ); -Co-incenerimento (3%).

FANGHI

Trattamento di valorizzazione presso la nuova piattaforma integrata, che permette di ricavare energia e/o calore e/o nutrienti

3.2

Definizione dell’obiettivo del lavoro di Tesi

In questa Tesi ci si è proposti l’obiettivo di valutare, con una prospettiva di ciclo di vita, gli impatti ambientali associati allo scenario attuale di gestione di RUR e FORSU prodotti nei 5 Comuni azionisti del Consorzio CORE. L’adozione di una prospettiva di ciclo di vita permetterà non solo di calcolare gli impatti complessivi del sistema ma anche di individuare le fasi che maggiormente contribuiscono a tali impatti e fornire, di conseguenza, delle indicazioni generali per ottimizzare il trattamento dei due flussi di rifiuto nella piattaforma integrata CAP-CORE in via di progettazione.

3.3

Definizione del campo di applicazione

3.3.1

Unità funzionale

La scelta dell’unità funzionale è richiesta nella definizione del campo di applicazione di uno studio LCA. Tale unità fornisce un riferimento attraverso cui si legano i flussi in entrata e in uscita di ogni processo e può quindi essere intesa come un indice delle prestazioni svolte dal sistema (Rigamonti e Grosso, 2012). Tipicamente, in uno studio di LCA applicata alla gestione integrata dei rifiuti, l’unità funzionale è riferita ad un determinato quantitativo di rifiuti in ingresso e, di conseguenza, nel nostro contesto è “il trattamento di 57.176 tonnellate di rifiuti in ingresso (RUR + FORSU)

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