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Identificazione delle specie batteriche della placca subgengivale quale fattore di rischio per patologie parodontali in donne con variazioni ormonali fisiologiche e parafisiologiche

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Academic year: 2021

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(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA

Dipartimento di Scienze Bio-Mediche – Sezione Microbiologia

DOTTORATO DI RICERCA INTERNAZIONALE IN

SCIENZE MICROBIOLOGICHE E BIOCHIMICHE

Ciclo XXVI

_________________________________________ Dott. SALVATORE PRIVITERA

IDENTIFICAZIONE DELLE SPECIE BATTERICHE

DELLA PLACCA SUBGENGIVALE QUALE FATTORE DI

RISCHIO PER PATOLOGIE PARODONTALI IN DONNE

CON VARIAZIONI ORMONALI FISIOLOGICHE E

PARAFISIOLOGICHE

_______________________

TESI DI DOTTORATO

_______________________

Coordinatore: Tutor:

Prof. Adriana Garozzo Prof. Annamaria Speciale

_____________________________________________________________ TRIENNIO 2011  2013

(2)

SOMMARIO

INTRODUZIONE Pag. 5

MENOPAUSA Pag. 7

Definizione e classificazione Pag. 7

Ormoni sessuali femminili Pag. 9

Sintomatologia Pag. 9

Approccio clinico-diagnostico Pag. 10

Valutazione dello stato ormonale Pag. 12

Terapia Ormonale Sostitutiva Pag. 13

MODIFICAZIONI DEL CAVO ORALE Pag. 17

Pubertà Pag. 17

Ciclo mestruale Pag. 18

Gravidanza Pag. 19

Menopausa Pag. 19

CONDIZIONI ORALI PATOLOGICHE ASSOCIATE ALLA MENOPAUSA

Pag. 21

Osteoporosi Pag. 21

Terapia con bifosfonati Pag. 22

Parodontopatie: parodontite Pag. 25

Definizione e classificazione Pag. 25

Parodontite cronica Pag. 25

(3)

Parodontite ulcero-necrotica Pag. 26

Diagnosi Pag. 27

Terapia Pag. 28

Parodontiti e malattie sistemiche Pag. 29

Parodontite e parto pretermine Pag. 31

Parodontite e fumo Pag. 31

Parodontopatie: gengivite propriamente detta e gengivite desquamativa

Pag. 33

Stomatopirosi Pag. 34

Xerostomia Pag. 35

AGENTI EZIOLOGICI E PATOGENESI DELLA PARODONTITE

Pag. 37

PARODONTITE, MENOPAUSA E TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA

Pag. 42

OBIETTIVI DELLA RICERCA Pag. 43

MATERIALI E METODI Pag. 44

Pazienti Pag. 44

Esame Clinico Odontoiatrico Pag. 46

Visita odontoiatrica Pag. 46

Modalità di prelievo e trasporto dei campioni Pag. 47

Esame microbiologico: analisi molecolare dei campioni Pag. 48

Ceppi batterici Pag. 48

Estrazione del DNA Pag. 48

(4)

Elettroforesi su gel d’agarosio Pag. 53

RISULTATI E DISCUSSIONE Pag. 55

CONCLUSIONI Pag. 59

BIBLIOGRAFIA Pag. 61

(5)

INTRODUZIONE

Agli inizi del 1900, l’aspettativa di vita della donna coincideva con la conclusione dell’età fertile e, comunque, per quelle poche donne che superavano la menopausa iniziava un declino biologico e della vita di relazione che di fatto le estraniava dal contesto sociale. Oggi, nel mondo industrializzato, più del 95% delle donne raggiunge l’età della menopausa, il 60% vive più di 75 anni e l’età media di vita della donna raggiunge gli 82 anni circa.

La salute e la qualità di vita della donna in menopausa e in postmenopausa rappresentano quindi un tema sempre più emergente; sia per l’alta casistica; sia perchè, in questa fase della vita, alle patologie legate all’incremento dell’età e agli effetti della deprivazione ormonale, si aggiungono una serie di fattori di derivazione sociale, relazionale, psicologica, di ruolo, ecc., che impongono spesso la necessità di riassestamento di equilibri comunque complessi, e, quasi sempre, faticosamente raggiunti.

Sono le donne infatti, ad avere una peggior percezione della propria salute. Il divario, sia fisico che psicologico rispetto agli uomini, aumenta con l’età, anche per l’effetto diretto della maggiore prevalenza di malattie croniche, soprattutto fra le donne anziane.

I cambiamenti che avvengono durante la vita di una donna devono promuovere un’attenzione speciale nella cura della salute. In particolare, la salute orale delle donne, correlata alla menopausa, è un campo di pratica medica e di indagine scientifica in rapida espansione. Si tratta di un settore di grande importanza sociale e di impatto nazionale e globale in paesi sviluppati e in quelli in via di sviluppo. Bisogna infatti considerare che la salute parodontale è collegata allo stato di salute generale di una persona.

Così come le cure a cui una donna ricorre dalla pubertà alla menopausa sono diverse, anche quelle legate al mantenimento della salute orale possono variare.

(6)

Le fluttuazioni ormonali durante questi periodi possono avere ripercussioni sui tessuti parodontali (osso alveolare, legamento parodontale, cemento e gengiva) che fungono da supporto ai denti. Questi cambiamenti possono aumentare la suscettibilità alla malattia parodontale e possono richiedere particolari attenzioni nella salute orale.

L’esame della letteratura scientifica evidenzia come gli ormoni sessuali femminili, riuscendo ad agire come modulatori della risposta dell’ospite, determinano una maggiore suscettibilità alle infezioni: in particolare, a livello parodontale, estrogeni e progesterone producono una maggiore tendenza alla vasodilatazione e quindi all’edema, un’aumentata produzione di prostaglandine, una ridotta cheratinizzazione delle cellule epiteliali con conseguente riduzione della funzionalità delle cellule neutrofile, determinando una flogosi. Il contemporaneo accumulo di placca nel solco gengivale, in queste condizioni, produrrà un aumento dei segni clinici dell’infiammazione.

Pertanto, i diversi aspetti legati al climaterio e alla menopausa occupano nella pratica odontoiatrica quotidiana una crescente importanza, poiché, a causa dell’allungamento della vita media, è notevolmente aumentato il numero di donne in menopausa, che, attualmente, per un cambio di cultura e mentalità influenzato in maniera significativa dai media, richiedono un miglior livello di qualità di vita e un controllo più accurato dei propri denti.

È necessario quindi che l’odontoiatra moderno acquisisca capacità diagnostiche, terapeutiche e relazionali decisamente di qualità superiore e che, attraverso un adeguato training, orienti la donna a sottoporsi ad appropriata diagnosi e terapia delle patologie che possono interessare i tessuti, molli e duri, orali e periorali.

(7)

MENOPAUSA

Definizione e classificazione

La menopausa viene definita come la cessazione del ciclo mestruale per esaurimento della funzione follicolare ovarica. Essa può essere spontanea o indotta da chirurgia, chemioterapia e/o radioterapia pelvica. Per praticità il ciclo di vita e di invecchiamento continuo della donna viene suddiviso in periodi:

 Climaterio: fase della vita della donna che precede e segue per un periodo variabile la transizione dalla fase riproduttiva a quella non riproduttiva.  Transizione menopausale: periodo caratterizzato da modificazioni del

ciclo (lunghezza) e dell’assetto endocrino (aumento dei livelli di FSH, ormone follicolo-stimolante); termina con la cessazione delle mestruazioni.

 Perimenopausa: periodo intorno alla menopausa, da 2-10 anni prima, fino a 12 mesi dopo la cessazione del ciclo.

 Menopausa: cessazione del ciclo mestruale da almeno 12 mesi consecutivi, indipendentemente da altre cause.

 Postmenopausa: periodo che intercorre tra la menopausa e l'inizio della senilità, che inizia in media verso i 65 anni d'età.

Il passaggio dalla fase riproduttiva della vita di una donna allo stato di transizione menopausale e alla postmenopausa comporta molte modificazioni, sia fisiche che psichiche.

Risulta difficile scindere i cambiamenti indotti dalla menopausa da quelli dovuti all’invecchiamento. Modificazioni connesse al metabolismo ormonale in relazione all’invecchiamento, alcune condizioni, come l’obesità, il diabete, i disordini tiroidei e l’ipertensione, si sviluppano più frequentemente nella mezza età.

(8)

Lo stato di transizione menopausale si caratterizza per un’alterata secrezione ormonale, che si manifesta con irregolarità del ciclo mestruale fino alla completa cessazione delle mestruazioni.

Oltre che un normale evento della vita della donna, la menopausa può anche essere la conseguenza di un intervento chirurgico di asportazione delle ovaie (menopausa chirurgica) o di un’irradiazione delle stesse (menopausa attinica) o ancora di un trattamento medico, ormonale o chemioterapico, come quelli che vengono frequentemente effettuati per la cura dei tumori mammari e che comportano la distruzione dei follicoli ovarici (menopausa chimica).

Un particolare caso di menopausa chirurgica è rappresentato dall’asportazione dell’utero con conservazione delle ovaie. In questo caso, la donna non ha più mestruazioni e non può più procreare, ma la produzione di ormoni ovarici prosegue normalmente fino all’età della menopausa naturale. (1)

L’età media della menopausa spontanea si aggira intorno ai 51 anni ed è in gran parte predeterminata geneticamente, anche se fattori etnici, familiari ed ambientali possono in qualche modo condizionarne la comparsa. (2)

Studi statistici affermano che nel 2020 la durata media della vita della donna sarà intorno agli 85 anni, ed è necessario, quindi, che questi anni in più siano vissuti con una qualità di vita del tutto soddisfacente. L’integrazione di un adeguato stile di vita, di un ambiente sociale non emarginante e di opportuni supporti medici, da definirsi caso per caso, in base alle caratteristiche di ciascuno, potranno permettere la conquista di questo risultato. (3, 4)

(9)

Ormoni sessuali femminili

Gli ormoni sono molecole di regolazione secrete da ghiandole endocrine in risposta a stimoli specifici ed esercitano la loro azione su organi bersaglio di cui regolano le attività enzimatiche, partecipando in tal modo a processi fondamentali come: la riproduzione, lo sviluppo di organi e tessuti, la produzione di energia, la sua utilizzazione o il suo mantenimento sotto forma di riserve.

I principali ormoni sessuali della donna, che si distinguono a seconda della struttura chimica, sono: l’Estradiolo (E2); l’Estriolo (E3); l’Estrone (E1).

Nella donna fertile l’E2 si trova in circolo in equilibrio con l’E1. In menopausa, per il venir meno della funzione ovarica e nei casi di aumentata sintesi periferica, ad es. nelle donne obese, l’E1 diventa l’estrogeno predominante e il rapporto E2/E1 si riduce fino ad invertirsi. L’E3 è l’estrogeno meno attivo, anche se, nella donna in gravidanza diventa invece l’estrogeno più importante, perché prodotto direttamente dall’unità feto-placentare. La fonte di produzione del Progesterone, invece, è il corpo luteo, ed è per questo che lo steroide viene secreto solo nella fase luteinica del ciclo mestruale. (5)

Sintomatologia

Nella maggior parte delle donne, la ridotta produzione di estrogeni è accompagnata da reazioni vasomotorie (vampate di calore, sudorazioni), insonnia, sbalzi d’umore, cambiamenti nella composizione delle mucose (secchezza vaginale, infezioni della vescica urinaria), modificazioni corporee (riduzione della massa muscolare, aumento del grasso corporeo con accumulo prevalentemente nell’addome).

I notevoli cambiamenti che avvengono durante la menopausa in vari distretti corporei, come quelli adiposo, osseo e vascolare, spesso si associano a un

(10)

aumento del rischio di insorgenza di patologie. (6, 7) Con il passare degli anni, si osserva una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari, la possibile comparsa di osteoporosi, un indebolimento delle capacità cognitive, ridotta elasticità e secchezza della pelle. È bene ricordare che non tutte le donne presentano i sintomi descritti e che molti di questi disturbi compaiono in maniera sfumata e sono ben tollerati. Molto può dipendere dall’approccio psicologico con cui si affronta questo evento della vita. Il significato negativo che la donna stessa generalmente attribuisce alla menopausa spesso si accompagna ad una ridotta stima di sé stessa, ad un’insoddisfazione della vita attuale, all’ansia per il futuro. (8, 9, 10)

Il rischio di depressione è anche aumentato da diversi fattori che non sono legati alla menopausa di per sé, ma piuttosto all’occorrenza di eventi stressanti che si manifestano con maggior frequenza in questa età della vita, come, ad esempio, la perdita di persone care, l’invecchiamento dei genitori, l’abbandono della casa da parte dei figli, l’abbandono dell’attività lavorativa per un meno gratificante lavoro domestico. Questi importanti aspetti psicologici che ricorrono in maniera più o meno sfumata nella maggior parte delle donne giunte alla menopausa spontanea acquistano una valenza ancora maggiore nelle donne in cui la menopausa è stata indotta precocemente, soprattutto se come conseguenza di una malattia tumorale. (11, 12)

Approccio clinico-diagnostico

La diagnosi di menopausa è posta in presenza di un’amenorrea irreversibile da almeno 12 mesi. È una diagnosi clinica e retrospettiva che non richiede alcun esame complementare (salvo in caso di isterectomia). La realizzazione di un test al progesterone permette, in assenza di emorragia di privazione all’interruzione, di oggettivare l’ipoestrogenismo.

(11)

Per valutare lo stato di salute della donna in questo periodo è importante: • identificare i fattori di rischio, in particolare quelli specifici della menopausa e ad essa correlati;

• fare diagnosi precoce di malattia;

• individuare le terapie necessarie e stabilire un piano di prevenzione. Nell’osservazione delle donne in perimenopausa è necessaria la raccolta dettagliata della storia medica, psicologica e sociale, inclusa la storia familiare. Queste informazioni anamnestiche, da una parte possono condizionare l’espressione clinica della peri-menopausa e dall’altra possono indirizzare nell’approccio preventivo ed eventualmente terapeutico.

L'anamnesi ereditaria e familiare è di grandissima importanza per certe malattie che hanno un carattere strettamente ereditario, nel senso che colpiscono più membri della stessa famiglia. Essa è utile per la prevenzione di patologie oncologiche, in particolare per il tumore mammario, ovarico e del colon; per patologie cardiovascolari e di osteoporosi; per patologie di natura endocrina (tiroidea o autoimmune), neurologica (Alzheimer), ed eventuale storia di depressione.

L’anamnesi personale rappresenta l’insieme delle notizie riguardanti la presenza di malattie quali i dismetabolismi e la malattia cardiovascolare, la patologia gastrointestinale e da malassorbimento, le epatopatie, l’insufficienza renale, le malattie neurologiche, la cefalea e le pregresse condizioni di ipoestrogenismo e di patologia autoimmune.

Inoltre non bisogna trascurare la presenza di situazioni di stress, affaticamento, la difficoltà nel dormire, i problemi di vista o relativi al cavo orale e ai denti, il diradamento o la perdita di capelli, le modificazioni del peso corporeo, la riduzione di altezza, la facilità alle cadute, le pregresse fratture e la storia di osteoporosi.

(12)

L’anamnesi ginecologica consente di valutare il ciclo mestruale, la data dell’ultima mestruazione, l’eventuale presenza di sanguinamenti uterini anomali, di fibromi e precedenti interventi chirurgici ginecologici, notizie su problemi urinari o vaginali. La data dell’ultimo Pap-test e della mammografia, l’uso corrente o pregresso di contraccettivi sono da tenere in considerazione assieme al numero di gravidanze, di parti pretermine e aborti, e alle eventuali complicazioni il parto o nel post-partum.

L’anamnesi fisiologica comprende informazioni sulle principali funzioni fisiologiche dalla nascita al momento della visita (percezione del proprio stato di salute, informazioni sull’alimentazione, esercizio fisico, stato di stress, consumo di caffè, alcool, fumo e droghe). (13, 14)

Valutazione dello stato ormonale

Allo stato attuale, nessun test per la valutazione della funzione ovarica da solo, predice e diagnostica lo stato di menopausa. Di solito la storia clinica, e le caratteristiche dei cicli mestruali insieme alla sintomatologia sono sufficienti a confermare la menopausa. Si rendono necessari pertanto:

1. Valutazione della tiroide: può essere condotta in quelle donne che presentano irregolarità del ciclo e/o vampate di calore in perimenopausa;

2. Valutazione dell’assetto ormonale:

2a. FSH: questo valore, estremamente fluttuante in perimenopausa, si può elevare ai range menopausali, ma può tornare a valori bassi anche in pochi giorni, settimane o mesi;

2b. Estradiolo: i suoi livelli sono irregolari in perimenopausa e la sua ampia variabilità può essere in parte responsabile della sintomatologia;

(13)

2c. Estrone: in caso di scarsa risposta alla terapia, la misurazione dell’estrone sierico può essere utile. Livelli inferiori a 150 pg/ml dopo 4h dalla somministrazione di estrogeno orale suggeriscono un anomalo metabolismo degli estrogeni;

2d. LH (ormone luteinizzante) e Progesterone: in peri-menopausa e menopausa hanno limitato valore diagnostico se usati come singoli test. LH si eleva più tardivamente rispetto allo FSH;

2e. Androgeni: la misura del testosterone può essere utile quando è riferita una riduzione della libido e del desiderio sessuale, escluse altre cause. Deve essere valutata la sua biodisponibilità, quindi il testosterone totale e la quota libera (free testosterone);

2f. il DHEAS (Deidroepiandrosterone) è indicatore della produzione surrenalica di androgeni e la sua determinazione può essere utile in caso si pensi ad una insufficiente produzione di androgeni surrenalici. (15, 16)

Terapia Ormonale Sostitutiva

Gran parte dei sintomi che la donna riferisce in menopausa derivano dalla carenza di estrogeni. Malgrado siano conosciuti prevalentemente come ormoni sessuali, queste sostanze, in realtà, agiscono su una moltitudine di sistemi e tessuti influenzando la fisiologia femminile quasi in ogni distretto. La Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS) ha rappresentato finora la terapia di elezione per la prevenzione ed il trattamento delle problematiche menopausali, attraverso il tentativo di mimare, mediante la somministrazione di estrogeni naturali (estradiolo, estrone ed estriolo) o sintetici (etinilestradiolo e mestranolo), associati o meno ad altri ormoni, i cosiddetti progestinici (medrossiprogesterone), la produzione ormonale ovarica dell'età fertile, al fine

(14)

di annullare o quantomeno attutire, le possibili conseguenze indesiderate legate alla carenza ormonale postmenopausale. La loro prescrizione ha lo scopo di migliorare la qualità della vita nella donna con sintomatologia legata allo stato di menopausa. (17, 18)

In Italia, solo l’8% circa delle donne di età compresa tra i 50 e i 55 anni fa uso di terapie ormonali sostitutive e la metà di queste sospende la terapia prima di un anno. (19)

Nel nord Europa la percentuale delle utilizzatrici delle terapie ormonali varia tra il 25 e il 35%. La scarsa fiducia data a queste terapie è causata dalla paura del rischio di tumori, specie di quello della mammella o di effetti collaterali come le perdite irregolari di sangue o l'aumento di peso. (20, 21)

Questi trattamenti devono essere, oltre che personalizzati, anche concordati, dopo una esauriente informazione e attenta valutazione dei benefici, dei possibili effetti collaterali e degli eventuali rischi. (22)

I due ormoni femminili (estrogeni e progestinici) possono essere utilizzati in modo ciclico, cioè tre settimane di trattamento e una di pausa, oppure in modo continuo. La via di somministrazione può essere orale, transdermica e vaginale.

Altre terapie ormonali possono permettere di personalizzare ulteriormente il trattamento, utilizzandole in alternativa oppure in sequenza, la cosiddetta “terapia a staffetta”. (16, 23, 24)

Tra i farmaci impiegati nel trattamento della menopausa vi sono quindi il tibolone, i SERMs (“selective estrogen receptor modulators”, modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni), i fitoestrogeni.

Il tibolone è un farmaco di sintesi per uso orale che possiede deboli attività estrogeniche, progestiniche e androgeniche. Ha effetti sui sintomi vasomotori, sulla distrofia dei genitali, sull’umore e sul desiderio sessuale. È stata dimostrata anche l’efficacia nel prevenire la perdita ossea, ma essendo un

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farmaco di relativa recente introduzione (1992), mancano dati certi sulla sua efficacia nei tempi lunghi sulla riduzione dell’incidenza delle fratture. (25)

I SERMs sono un gruppo di farmaci - il più studiato e utilizzato è il raloxifene - che agiscono sugli “organi bersaglio” degli estrogeni in modo selettivo. Sull’endometrio (la mucosa interna dell’utero) e sulla mammella si comportano come anti-estrogeni, riducendo pertanto il rischio di tumori a carico di questi organi. Sul tessuto osseo e su alcuni parametri relativi al rischio cardiovascolare hanno un’azione simile a quella degli estrogeni. Non avendo alcun effetto sui sintomi vasomotori e distrofici urogenitali, sono indicati principalmente per la prevenzione e il trattamento dell’osteoporosi. (26)

I fitoestrogeni sono composti vegetali che vengono trasformati in estrogeni nell'intestino e sono ampiamente propagandati negli Stati Uniti come sostituti naturali degli estrogeni nella terapia della post-menopausa. In natura i fitoestrogeni sono presenti in circa 300 piante, sotto forma di precursori, i quali vengono successivamente metabolizzati nell'organismo nei corrispondenti principi attivi. I componenti attualmente noti dei fitoestrogeni sono i comestoni, gli isoflavoni, i lignami, i lattoni dell'acido resorcilico. Sono presenti in moltissimi vegetali, quali i legumi, le radici, la frutta, la verdura, ed hanno un’azione simile anche se più blanda dell'estradiolo prodotto dall'ovaio, ma non per questo sono meno efficaci. Tali sostanze migliorano i sintomi vasomotori, soprattutto se di intensità lieve/media. Pare abbiano anche un’azione preventiva nell’osteoporosi, sebbene i risultati degli studi finora condotti non abbiano ancora chiarito sufficientemente quanto siano efficaci e sicuri. (27)

In definitiva, è stato provato che la TOS apporta benefici causando la riduzione/scomparsa dei sintomi climaterici e di alcuni disturbi psicologici, sessuali e legati alla distrofia urogenitale; tutto ciò contribuisce al miglioramento della qualità della vita. (28) Rimangono degli interrogativi riguardo alla reale possibilità di prevenzione della malattia di Alzheimer. Anche se i dati epidemiologici e clinici finora disponibili indicano che la terapia ormonale può

(16)

essere in grado di ridurre alcuni meccanismi favorenti l’instaurarsi e lo sviluppo della demenza senile. (29) Per quanto riguarda le malattie cardiocircolatorie, recenti studi, anche contrastanti tra di loro, hanno ridimensionato l’effetto preventivo delle terapie ormonali. (30, 31, 32) Due ricerche appena pubblicate sostengono che le donne sottoposte a TOS hanno un rischio maggiore del 30% di sviluppare un tumore al cervello. È la sconcertante conclusione del Danish Cancer Research Centre, secondo il quale, più a lungo si segue la terapia e più probabilità si hanno di ammalarsi: il rischio aumenta del 70% se la TOS viene seguita per 10 anni o più. Al termine delle analisi condotte su circa un migliaio di casi di meningioma diagnosticato in donne fra i 55 e gli 84 anni fra il 2000 e il 2009, i ricercatori danesi sostengono che l’uso della TOS a lungo termine, in particolare in associazione estro-progestinica, può aumentare il rischio del più comune fra i tumori cerebrali. (33, 34)

(17)

MODIFICAZIONI DEL CAVO ORALE

Le variazioni ormonali nella donna possono essere attribuite a cause fisiologiche, quali la pubertà, le mestruazioni, la gravidanza e la stessa menopausa.

Gli ormoni sessuali femminili modulano la maturazione dei caratteri sessuali primari e secondari nella donna, ma interagiscono anche con organi bersaglio diversi, fra cui la cavità orale. La ragione di tale relazione è dovuta alla presenza di recettori per estrogeni e progesterone nella gengiva umana. La stimolazione del parodonto può determinare fisiologicamente manifestazioni quali: dolori diffusi, alterata modulazione dei quattro gusti principali (dolce, salato, amaro e acido), bocca secca, perdita degli elementi dentari e riassorbimento dell’osso alveolare.

L'esame della letteratura scientifica evidenzia come questi ormoni riescano ad agire come modulatori della risposta dell'ospite, determinando una maggiore suscettibilità alle infezioni durante le fasi più importanti della vita della donna. (35, 36, 37, 38)

Pubertà

Durante la pubertà, l’impennata dei valori ormonali, che rimane relativamente costante per tutta la vita riproduttiva delle donne, può determinare ipertrofia e ipersensibilità gengivale, nonché infiammazioni del cavo orale, mentre, come dimostrato in diversi studi, l’impiego protratto di contraccettivi orali favorisce le gengiviti. (39, 40, 41, 42)

Clinicamente la gengiva appare arrossata e infiammata lungo il colletto di uno o più denti, con rigonfiamento edematoso delle papille interdentali, aree in cui il cibo, la placca e il tartaro sono depositati, e con sanguinamento in seguito

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a qualsiasi minimo insulto (masticazione o spazzolamento dei denti). Il dolore è di solito assente. (39, 43)

Alterazioni del microbiota orale sono state riportate durante la pubertà e possono essere attribuite a variazioni del microambiente, in particolare nella risposta del tessuto gengivale alla concentrazione di ormoni sessuali e nella capacità di alcune specie batteriche (Lactobacillus spp., Streptococcus spp.,

Capnocytophaga spp., Eikenella spp., Prevotella spp., Actinomyces spp., Peptostreptococcus spp.) di sfruttare la maggiore concentrazione di ormoni

presenti. (42)

Ciclo mestruale

L’aumento di progesterone durante il ciclo mestruale può determinare modificazioni rilevanti nel cavo orale. La manifestazione più frequente ed elementare che si può osservare durante questo periodo è costituita dalla gengivite ricorrente (gengivite dismenorroica), che è caratterizzata da arrossamento e edema della gengiva marginale e da emorragie spontanee. Queste forme regrediscono in breve tempo accentuando le comuni pratiche di igiene orale. Altre modificazioni orali includono infezioni da herpes ricorrenti, ulcere aftose e parotiti. (39, 42, 44)

In alcuni studi sono state esaminate le alterazioni del microbiota orale durante il ciclo mestruale, ma, a causa della scarsa casistica, tali studi non hanno dato risultati statisticamente significativi. (45, 46)

(19)

Gravidanza

La gravidanza provoca numerose variazioni a livello del cavo orale, legate principalmente all’aumento di estrogeni e progesterone che nell’ultimo trimestre raggiungono livelli anche 30 volte superiori a quelli di un normale ciclo mestruale. Il cavo orale rappresenta un bersaglio per questi ormoni, per la presenza di specifici recettori a livello gengivale.

Durante la gengivite gravidica le gengive si presentano gonfie, congestionate, doloranti e sanguinano al minimo trauma. Il sanguinamento e il dolore possono indurre a spazzolare sempre di meno i denti con un conseguente peggioramento della situazione a causa della ritenzione di placca. (47, 48)

Oltre ai visibili cambiamenti del corpo femminile, gli ormoni sessuali possono cambiare le modalità di risposta delle gengive e dei tessuti molli della bocca verso gli attacchi batterici, in particolare di quelli anaerobi dove la

Prevotella intermedia, tra i principali responsabili della parodontite, occupa un

ruolo rilevante. (42, 48, 49, 50)

Menopausa

Questo periodo, caratterizzato da cambiamenti fisiologici importanti nel corpo della donna, è legato principalmente alla ridotta produzione di estrogeni. Alcuni cambiamenti significativi, come già accennato, riguardano proprio il cavo orale, col presentarsi di manifestazioni quali dolori diffusi, infiammazione delle gengive, sensazione di bruciore, alterata modulazione dei quattro gusti principali e bocca secca. La gengiva rappresenta quindi un tessuto bersaglio per l’azione degli ormoni steroidei. (5, 16, 39, 42)

Questi fenomeni sono dovuti, oltre che alle alterazioni ormonali, a carenze di calcio e vitaminiche, e anche alla possibile interferenza di farmaci. (36)

(20)

Pertanto problematiche quali osteoporosi, parodontopatie, stomatopirosi e xerostomia vanno monitorate, prevenute ed eventualmente curate con protocolli specifici dal clinico.

Gli studi condotti finora riportano che nelle tasche parodontali delle donne in menopausa la popolazione microbica è prevalentemente costituita, in percentuale variabile, da Porphyromonas gingivalis, Prevotella intermedia,

(21)

CONDIZIONI ORALI PATOLOGICHE ASSOCIATE ALLA MENOPAUSA La cessazione del flusso mestruale determina una netta riduzione dei livelli ormonali; in particolare il calo degli estrogeni sembra essere associato ad alcune condizioni orali patologiche che sono rappresentate da:

 osteoporosi;

 parodontopatie (parodontiti, gengiviti, gengivite desquamativa);  stomatopirosi. (8, 9, 10, 36)

Osteoporosi

L’osteoporosi è una malattia caratterizzata da un basso contenuto di calcio nelle ossa, con conseguente fragilità dello scheletro e predisposizione alle fratture.

La relazione fra menopausa e osteoporosi è nota da tempo. Gli estrogeni intervengono infatti nella regolazione della quantità di calcio presente nell’osso; venendo meno il loro controllo, il calcio nell’osso si riduce, lasciando una struttura porosa e fragile. Anche se i meccanismi di azione non sono del tutto chiari, si pensa che gli estrogeni promuovano la morte cellulare programmata degli osteoclasti e quindi riducano il loro periodo di attività. Il trattamento con estrogeni o con altri agenti serve a prevenire la perdita ossea attraverso il blocco della produzione di citochine in osteoblasti e a promuovere l’apoptosi degli osteoclasti. Oltre alla carenza di estrogeni esistono altri fattori di rischio accertati in grado di causare o aggravare l’osteoporosi, quali l’inattività fisica, l’alimentazione povera di calcio, la magrezza costituzionale, il fumo di sigaretta, l’elevato consumo di alcol, trattamenti prolungati con farmaci cortisonici e la predisposizione genetica. I denti sono radicati in strutture ossee, per cui il loro deterioramento, inevitabile nelle persone anziane, porta con sé l’indebolimento del loro ancoraggio, rendendo più facili le infiltrazioni nelle strutture del

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parodonto, che diventano quindi più suscettibili all’attacco batterico, responsabile dei danni gengivali. (51, 52)

Un terzo delle donne di età superiore a 60 anni è affetto da osteoporosi postmenopausa. L’alterazione dell’equilibrio tra calcio e fosfato a causa di un carente assorbimento di calcio con la dieta e l’aumento dell’escrezione di calcio dovuto a un abbassamento dei livelli degli estrogeni possono spiegare alcuni cambiamenti a livello osseo osservati nelle donne in età postmenopausale. Tali cambiamenti coinvolgono di solito più la mandibola che l'osso mascellare e interessano anche l’ossificazione cartilaginea del condilo mandibolare, rappresentando una controindicazione all’implantologia in questa tipologia di pazienti. (51, 52, 53)

Terapia con bifosfonati

La terapia con i bisfosfonati è stata introdotta negli anni ‘60 per la cura di varie patologie ossee, quali, appunto l’osteoporosi, il morbo di Paget, l’osteogenesi imperfetta, il mieloma multiplo e le metastasi osteolitiche. L’utilizzo di questi farmaci è andato sempre più aumentando, tanto che, ad oggi, figurano tra i 20 farmaci più prescritti al mondo. Il loro meccanismo d’azione prevede l’inibizione del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti, contrastando pertanto la perdita della massa ossea. Essi non vengono metabolizzati, quindi permangono nell’osso a concentrazioni elevate, anche per molto tempo. I bifosfonati sono farmaci in grado di modificare positivamente la storia naturale della malattia ossea determinando una riduzione degli eventi scheletrici e sono pertanto da considerarsi irrinunciabili nella gestione di un paziente con metastasi ossee. I più comuni bifosfonati utilizzati in terapia sono: l’alendronato, il risedronato, l’ibandronato, il pamidronato e lo zoledronato, composti dotati di elevata potenza e selettività. (54, 55)

Generalmente i bifosfonati sono ben tollerati e raramente sono in grado di causare effetti collaterali rilevanti. Recenti segnalazioni hanno tuttavia descritto

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l’osteonecrosi avascolare della mascella quale effetto avverso potenzialmente grave associato alla somministrazione cronica di tali farmaci. Sebbene l’osteonecrosi sia stata finora riportata soprattutto nei pazienti sottoposti alla somministrazione endovenosa di pamidronato e/o zoledronato, un numero sempre crescente di casi è riportato tra i pazienti che assumono bifosfonati per via orale (alendronato o risedronato) per la cura dell’osteoporosi o del morbo di Paget. (56)

I primi casi segnalati di osteonecrosi dei mascellari (ONJ, “osteonecrosis of the jaw”) associati alla terapia con i bisfosfonati risalgono agli anni 2003-2004. (57) I dati epidemiologici di cui disponiamo ci dicono che, ad oggi, sono stati riportati in letteratura circa 1.000 casi di ONJ di questo tipo. Per semplicità la malattia sarà definita come osteonecrosi della mandibola associata a bisfosfonati (ONJ-BP). (54, 55, 56)

La precisa sequenza patogenetica che associa l’utilizzo di bisfosfonati e l’insorgenza di ONJ-BP non è nota. Si è ipotizzato inizialmente un meccanismo ischemico/ipossico basato su un potenziale effetto antiangiogenetico dei bisfosfonati, ma in realtà il quadro anatomopatologico tende ad escludere questa possibilità. Il meccanismo patogenetico più accreditato è legato ad un preferenziale accumulo di farmaco a livello delle ossa mascellari o mandibolari dovuto all’elevato turnover che le caratterizza. È quindi possibile che una volta raggiunte concentrazioni significative di farmaco a livello di tali sedi, venga inibita l’attività osteoclastica deputata al mantenimento dell’integrità del tessuto osseo e soprattutto deputata ad innescare i processi riparativi in corso di patologia parodontale, estrazioni o interventi invasivi a livello dell’osso alveolare. (54, 58, 59)

Pertanto, la compromessa riparazione esporrebbe alla contaminazione batterica. Una interessante possibilità è che il processo inizi come una mucosite legata proprio alla elevata concentrazione di bisfosfonato nell’interfaccia osso alveolare/mucosa gengivale, con successiva ulcerazione della gengiva ed

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esposizione del tessuto osseo sottostante, che sarebbe quindi esposto alla contaminazione con la flora batterica del cavo orale. (60, 61, 62)

Emerge inoltre che, tra i fattori di rischio maggiormente associati alla ONJ-BP, vi sono sicuramente gli interventi di chirurgia orale odontoiatrica (avulsioni dentarie, parodontologia, implantologia), ma anche condizioni di parodontite e scarsa igiene orale. (63, 64, 65)

Ciò si combina generalmente con una soggettiva suscettibilità alle infezioni, come nei pazienti immunocompromessi, nei neoplastici sottoposti a chemioterapia, o nei pazienti in trattamento cortisonico ad alte dosi e nei diabetici. (66, 67, 68, 69)

Certo è, che il fenomeno è in aumento ed è sempre più necessario per medici e odontoiatri avere a disposizione indicazioni precise su come rapportarsi a questa grave patologia, non semplice da diagnosticare tempestivamente e dai contorni ancora piuttosto incerti, prognosi compresa.

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Parodontopatie: parodontite

Definizione e classificazione

La parodontite, una delle patologie più comuni del genere umano, è dovuta principalmente a una risposta infettivo-infiammatoria delle strutture anatomiche di sostegno del dente (osso alveolare, cemento, legamento parodontale e gengiva) in risposta all’accumulo di placca batterica, e rappresenta la principale causa di edentulismo nella popolazione.

È ormai noto che solo una sottopopolazione dei batteri che costituiscono la placca è di fatto implicata nell’eziopatogenesi delle parodontopatie, ma il discorso inerente gli agenti eziologici della parodontite merita di essere approfondito, e ciò verrà fatto in seguito.

La classificazione delle malattie parodontali ha suscitato numerosi dibattiti nei decenni scorsi, quando le informazioni sulla eziopatogenesi erano decisamente più scarse. La tendenza più recente è stata quella di classificarle in base all'età, ma si è rivelata piuttosto imprecisa e inutile. Dal 1999 è accettata la classificazione dell'American Academy of Periodontology, che prevede una parodontite cronica, più frequente negli adulti, e una parodontite aggressiva, più frequente nella pubertà. Un gruppo a parte è rappresentato dalle rare forme ulcero-necrotiche. La parodontite è definita localizzata se riguarda meno del 30% della bocca, viceversa è considerata generalizzata. (70)

Parodontite cronica

I segni clinici di parodontite cronica sono infiammazione gengivale, sanguinamento al sondaggio, perdita di attacco con formazione di tasca gengivale e riduzione dell'osso alveolare. Si manifesta come gengivite già nell'adolescenza, lentamente progressiva, che durante periodi di riduzione delle difese immunitarie presenta aggravamento acuto con associata perdita d'attacco. Nel corso della vita gli effetti patologici si accumulano, fino ad arrivare all'età

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adulta, dove si palesano gli effetti distruttivi della malattia. L'entità di tale distruzione è funzione dei livelli di placca, fumo, stress, diabete, efficienza del sistema immunitario. Il rischio di contrarre parodontite cronica è compreso tra 3 e 7 nei tabagisti; la risposta terapeutica in tali individui ha una prognosi più sfavorevole, e l'attenuazione dell'infiammazione indotta dal fumo tende a celare la reale gravità della patologia. (71, 72)

Parodontite aggressiva

La parodontite aggressiva comprende rare forme di parodontiti caratterizzate da una progressione rapida. In età puberale si presenta generalmente come localizzata, mentre quella generalizzata è ancor più grave e colpisce principalmente i giovani adulti, ma anche pazienti più anziani. L'età non è comunque un buon discriminante per differenziare la forma cronica da quella aggressiva, in quanto condizioni igieniche particolarmente inadeguate possono causare la forma cronica anche nei bambini. Sia la forma localizzata sia la generalizzata richiedono una predisposizione genetica, ma, mentre la localizzata risulta insorgere per un'infezione da Aggregatibacter

actinomycetmcomitans, in quella generalizzata è più importante il ruolo di Porphyromonas gingivalis e di Tannerella forsythia. Anche nella forma

aggressiva il fumo è un fattore di rischio, specialmente delle forme generalizzate. Infine, va detto che questa forma di parodontite colpisce in maniera caratteristica soprattutto i primi molari e gli incisivi. (72, 73, 74)

Parodontite ulcero-necrotica

La parodontite ulcero-necrotica, che si verifica soprattutto nei giovani (20-25 anni) dei Paesi in via di sviluppo, è una patologia distruttiva del parodonto caratterizzata da papille e margini gengivali ulcerati e necrotici, ricoperti da un materiale pseudomembranoso giallognolo. Le lesioni

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necrotizzanti si sviluppano rapidamente e dolorosamente, con facilità di sanguinamento, talvolta spontaneo. La necrosi gengivale, a carico delle papille interdentali, sprofonda nell'osso alveolare coinvolgendolo. Associati alla patologia possono manifestarsi tumefazione linfonodale, febbre, malessere generale. L'igiene orale è tipicamente molto scarsa, anche perché lo spazzolamento dentale risulta provocare un forte dolore. Il decorso è generalmente acuto, e dopo l'attenuarsi della sintomatologia possono presentarsi ricorrenti episodi di riacutizzazione. Non è stata individuata alcuna specie batterica in grado di provocare di per sé la patologia, e, inoltre, la patologia non è trasmissibile con i consueti mezzi di contatto. Piuttosto, si propende per ritenere che l'effetto dei prodotti metabolici dei batteri della placca risulti esacerbato in concomitanza con malattie sistemiche (HIV, leucemia, morbillo, varicella, tubercolosi), malnutrizione, fumo, stress, depressione, scarsa igiene orale. (76, 77)

Diagnosi

La corretta diagnosi delle parodontiti è perciò fondamentale per l’impostazione di un corretto piano di trattamento e per migliorare la qualità di vita dei pazienti. La diagnosi consente, infatti, di determinare la natura, la sede, l’estensione e il grado della malattia attraverso la valutazione di segni, sintomi ed esami strumentali e di laboratorio.

La prima fase consiste nell’ispezione clinica con lo screening, volto ad individuare i pazienti che presentano la malattia. Il PSR (“Periodontal Screening and Recording”) è un sistema rapido, sensibile, specifico, poco costoso e semplice, si esegue con una semplice sonda parodontale ed uno specchietto. Se il paziente risulta positivo allo screening, si procede alla fase successiva, che consiste nella valutazione parodontale vera e propria e con il sondaggio parodontale completo di tutti gli elementi dentali, che consente di stimare, attraverso la misurazione degli indici parodontali, la perdita dell’attacco

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parodontale, e di verificare l’eventuale presenza di sanguinamento e di tartaro sottogengivale, ovvero dei segni patognomonici dell’infiammazione.

La valutazione si completa tramite una accurata indagine radiografica in quanto fornisce importanti informazioni, non solo sull'altezza e sulla quantità di osso residuo, ma anche sulla morfologia.

Il sondaggio parodontale deve essere quindi sempre associato ad una valutazione quantitativa e qualitativa della perdita di osso orizzontale e verticale, ottenibile tramite la divisione delle arcate dentarie in sestanti e l'esecuzione di rx endorali. Lo status radiografico sarà quindi ripetuto in fase di rivalutazione di una terapia causale, in fase di mantenimento e nella fase pre-chirurgica. (78, 79, 80)

Terapia

La terapia per la malattia parodontale si suddivide essenzialmente in una fase causale (non chirugica) e in una eventuale fase chirurgica. La prima fase è volta ad eliminare le cause della malattia tramite un’igiene orale professionale (ablazione tartaro), in primis sopragengivale (scaling) e successivamente sottogengivale (root planing). Tali procedure si attuano tramite strumenti manuali (curettes) o vibranti (ultrasuoni) e consentono la rimozione definitiva di cemento e/o dentina ricoperti da tartaro o contaminanti batterici, rendendo la superficie radicolare liscia.

Nel caso di un danno a livello del parodonto profondo che risulta irreversibile (perdita ossea radiografica evidente) si può programmare e concordare col paziente una terapia chirurgica, che sarà diversa a seconda del tipo di difetto osseo presente. Sarà quindi possibile eseguire una chirurgia rigenerativa (seconda fase) per colmare la mancanza di osso attraverso l’inserimento di materiali autologhi o alloplastici di solito stabilizzati da una membrana.

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Nel caso invece di una perdita ossea prevalentemente orizzontale e diffusa si procederà con una chirurgia di tipo osteo-resettiva, volta ad eliminare le tasche parodontali ancora fonti di possibili infezioni, modificando il profilo dell’osso circostante gli elementi dentali, con uno spostamento apicale della gengiva che consentirà al paziente di mantenere nel futuro un’ottima igiene orale e di salvare gli elementi dentali altrimenti irrimediabilmente compromessi. (72, 75, 78)

Parodontiti e malattie sistemiche

Diversi sono gli studi clinici e sperimentali pubblicati che hanno messo in evidenza una stretta correlazione tra le patodontiti ed alcune malattie sistemiche, in particolare malattie cardiovascolari, diabete e patologie polmonari; anche per alcune complicanze ostetriche, coma la nascita di bambini pretermine sottopeso, sono state dimostrate possibili correlazioni con la presenza di parodontite.

Questi studi ipotizzano che le malattie parodontali possono avere effetti sistemici diretti attraverso la disseminazione per via ematica di batteri patogeni, o effetti sistemici indiretti, attraverso il ruolo negativo esercitato dalla infiammazione sistemica.

È importante sottolineare che sia le parodontiti che le malattie sistemiche correlate rappresentano fenomeni patologici la cui eziopatogenesi è multifattoriale, condividendo numerosi fattori di rischio legati agli stili di vita (ad esempio il fumo) oppure legati al patrimonio genetico (maggiore suscettibilità a contrarre o sviluppare una determinata malattia).

Numerosi studi scientifici hanno esaminato il rapporto tra il diabete e la malattia parodontale, evidenziando come la parodontite sia la sesta complicanza legata al diabete dopo la neuropatia, la nefropatia, la retinopatia e le malattie micro e macrovascolari. Il termine diabete mellito descrive un gruppo di malattie caratterizzate da livelli elevati di glucosio nel sangue e anomalie del

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metabolismo di carboidrati, grassi e proteine. La concentrazione del glucosio risulta aumentata in tutti i fluidi fisiologici, compresa l’urina e la saliva. La disponibilità di zucchero nel fluido presente nelle tasche parodontali, anche in presenza di un perfetto regime di igiene orale e professionale, facilita notevolmente la moltiplicazione batterica negli intervalli tra un pasto e il successivo. È stato dimostrato che la relazione tra le due patologie è di natura bi-direzionale, in quanto la parodontite non trattata porta ad una maggiore difficoltà del controllo metabolico nel paziente diabetico. Da un lato, quindi, il diabete peggiora la parodontite, dall’altro, quest’ultima rende più instabile il diabete. (81, 82)

È stato dimostrato che i batteri parodonto-patogeni sono direttamente coinvolti nello sviluppo delle malattie cardiovascolari. Il perché è facilmente intuibile, se si pensa che le forme avanzate di parodontite, con presenza di suppurazione, danno sempre batteriemia. L’ingresso dei microrganismi in circolo, consente loro di spostarsi facilmente, colonizzando altre strutture anatomiche, anche molto distanti dalla bocca. Numerosi studi effettuati su tessuti sclerotizzati, rimossi chirurgicamente ed analizzati con le più moderne tecniche biomolecolari, hanno evidenziato la presenza dei medesimi batteri delle tasche gengivali. I batteri, veicolati dal sangue, sfruttano l’abilità che hanno di penetrare nei tessuti parodontali per attraversare l’intima delle arterie e riprodurre la stessa infiammazione della parodontite nelle pareti delle stesse.

Inoltre, i pazienti affetti da parodontite aggressiva hanno parametri molto alti di proteina C reattiva e IL-6 (Interleuchina 6) nel plasma, che incrementano il rischio di problemi cardiovascolari e deregolazione del glucosio in soggetti anche giovani.

Vari studi hanno riportato che le persone affette da malattie cardiache hanno da 1,5 a 4 volte più probabilità di contrarre malattia parodontale, e che, i malati parodontali, hanno da 1,5 a 2,5 volte più probabilità di sviluppare complicanze aterosclerotiche e cardiovascolari. (83, 84)

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Parodontite e parto pretermine

Recenti studi hanno evidenziato una correlazione tra la presenza di parodontopatia in gravidanza e parti prematuri (prima della 37° settimana) con basso peso del neonato (meno di 2,5 kg). Benché non sia ancora del tutto chiaro il meccanismo che associa le due condizioni, poiché è noto che una delle cause di parti prematuri è la presenza di infezioni, si suppone che i batteri implicati nella parodontite possano raggiungere per via ematica l’utero, oppure che l’infezione parodontale possa portare ad un incremento dei livelli ematici di citochine pro-infiammatorie tale da provocare modificazioni a livello intrauterino. (47, 85, 86, 87)

Risulta quindi evidente che mantenere buone condizioni orali è importante sia per la salute della mamma che per quella del nascituro.

Parodontite e fumo

Oltre agli studi sulle cause infettive, molto interessanti si sono rivelate le ricerche sulla correlazione tra il fumo e la parodontite, in particolare quelle correlate ai polimorfismi dei livelli genetici di Interleuchina 1 (IL-1), proteina deputata alla regolazione della risposta antiinfiammatoria dell’organismo. (88, 89)

In letteratura è riportato che il fumo costituisce un fattore di rischio sia di parodontite cronica e aggressiva, che di parodontite refrattaria alla terapia. Esso aumenta il rischio da 2,5 a 7,3 volte e la risposta alle terapie è minore nei fumatori, dato che, oltre a promuovere la crescita dei patogeni, incide sulla risposta dell’ospite e, in particolare, sulla regolazione proteolitica. Dopo aver controllato altre variabili, quali le differenti abitudini d’igiene orale, l’età, il sesso e le condizioni socio-economiche del paziente, i fumatori mostrano tasche ancora più profonde, maggiore perdita ossea, maggiore mobilità dentale e maggiore perdita di elementi dentari rispetto ai non fumatori.

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Uno studio condotto per ben 10 anni, ha determinato che le condizioni parodontali del fumatore sono almeno quindici anni più avanzate dello stato parodontale dei non fumatori della stessa età anagrafica. Anche in individui al di sotto dei 40 anni di età, i fumatori mostrano parodontite e perdita di denti con incidenza doppia rispetto ai non fumatori. (90)

Per quanto riguarda la risposta dell’ospite all’insulto chirurgico o batterico, esistono forti evidenze di come l’effetto vasocostrittore della nicotina ostacoli la rivascolarizzazione dell’osso e dei tessuti molli, evento che può avere un notevole impatto negativo sulla guarigione delle ferite, specialmente dopo chirurgia resettiva, rigenerativa, muco-gengivale e implantare. È stato dimostrato come la nicotina assorbita fumando una sigaretta possa produrre un effetto di vasocostrizione periferica rilevabile (flusso sanguigno ridotto del 40%) della durata di 30-50 minuti. Pertanto, i fumatori pack-per-day sviluppano un’ipossia tissutale per un considerevole numero di ore ogni giorno. (91, 92)

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Parodontopatie: gengivite propriamente detta e gengivite desquamativa Per gengivite si intende l’infiammazione dei tessuti gengivali, caratterizzata da sanguinamento, gonfiore, arrossamento e calore, conseguenti all’accumulo di placca.

Diversi studi hanno dimostrato l’importanza dei livelli degli ormoni sessuali femminili, che possono favorire e soprattutto esacerbare certe forme di gengivite durante la pubertà, il ciclo mestruale, la gravidanza e la menopausa.

La gengivite desquamativa non è una singola e ben inquadrata malattia, ma un quadro clinico caratterizzato da eritema, erosione, bolle e desquamazione della gengiva libera e di quella aderente. È caratterizzata da tessuto gengivale rosso scuro, dolente e facilmente sanguinante. La desquamazione può essere preceduta dalla formazione di vescicole. Questa condizione spesso si verifica durante la menopausa e può, in questo caso, rivelarsi efficace per la sua cura la somministrazione sequenziale di estrogeni e progestinici. Una lesione gengivale simile può essere dovuta a pemfigo volgare, pemfigoide bolloso, pemfigoide mucoso benigno o lichen planus atrofico e risponde alla terapia con corticosteroidi. (36, 39, 44)

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Stomatopirosi

La stomatopirosi o sindrome della bocca urente (dall’inglese “burning mouth syndrome”) è una malattia tipica del sesso femminile, in particolare nel periodo della menopausa. La caratteristica principale delle pazienti che ne sono affette è il bruciore orale diffuso, in assenza di altre lesioni alle mucose. È spesso accompagnata da altri sintomi orali, quali xerostomia e disgeusia.

Il bruciore colpisce la lingua (soprattutto il dorso e la punta), il palato, le labbra, le superfici mucose in rapporto con protesi mobili e, più raramente, il pavimento della bocca. Nella maggior parte dei casi, il bruciore è generalizzato a tutta la mucosa orale.

Per definizione, la stomatopirosi rimane una condizione clinica in cui non è possibile identificare con certezza le cause e quindi l’eziologia rimane idiopatica fino alla realizzazione di ulteriori studi in materia. Le tre teorie eziologiche principali per questa patologia sono: alterazioni ormonali, neuropatie periferiche e disordini psicosomatici. Nella pratica clinica si distinguono quindi casi di bruciore orale in cui è possibile risalire a fattori causali ben conosciuti e identificabili e casi in cui il bruciore orale non è riconducibile ad alcun fattore noto.

Ad oggi, la stomatopirosi è considerata una condizione patologica che coinvolge un meccanismo neuropatico e si osserva di frequente in associazione a disordini di origine psicosomatica. Questi pazienti hanno una personalità ansiosa, introversa, tendente alla depressione, all’ipocondria e allo stress. Questi disturbi della personalità si riscontrano nelle pazienti in menopausa e vengono aggravati dalla percezione della perdita della propria identità femminile. Pertanto, è stato a lungo studiato il legame con il deficit estrogenico.

In alcune pazienti è stata osservata un’associazione tra variazioni degli ormoni estrogeni, alterata funzione delle ghiandole salivari con modificazioni qualitative e quantitative della saliva e presenza di bruciore orale.

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Tra le cause della stomatopirosi secondaria figurano fattori locali, come malattie immunitarie, infezioni, xerostomia, lingua a carta geografica e molte altre.

Non esiste un trattamento specifico e risolutivo della stomatopirosi. Molti farmaci sono stati impiegati, ma spesso in maniera del tutto empirica e con risultati variabili. Gli antistaminici e gli anestetici locali possono essere di aiuto a calmare almeno temporaneamente il bruciore. Utile è talvolta la somministrazione di farmaci a scopo di placebo. Nelle forme su base psicosomatica, l’approccio alla paziente, prima ancora che farmacologico, deve essere di tipo psicologico. (93, 94)

Xerostomia

La xerostomia è una condizione patologica che comporta una scarsa e alterata secrezione salivare, ed è diffusa particolarmente tra le persone anziane, prevalentemente donne, delle quali il 70% in menopausa.

Le cause più importanti di xerostomia permanente sono le seguenti:  irradiazione della testa e del collo per la cura di neoplasie;

 rimozione chirurgica delle ghiandole salivari;

 sindrome di Sjogren (malattia autoimmune che determina la distruzione delle ghiandole salivari e lacrimali);

 xerostomia indotta da farmaci.

Alla xerostomia si possono associare la carie del colletto dentale e le infezioni micotiche, i problemi a portare la protesi degli elementi dentari mancanti e la difficoltà ad alimentarsi. Inoltre la diminuzione della saliva comporta la presenza di una spessa placca batterica e un accumulo di detriti che possono portare a un aumento delle infezioni parodontali.

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La xerostomia viene trattata con pilocarpina, che agisce aumentando la produzione di saliva, o migliorata dall’applicazione topica di sostituti della saliva (lisozima, lattoferrina e lattoperossidasi). Inoltre, negli ultimi anni, è stata trattata con buoni risultati mediante elettrostimolazione del nervo linguale. (95, 96, 97)

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AGENTI EZIOLOGICI E PATOGENESI DELLA PARODONTITE Come detto in precedenza, la parodontite è una patologia infettiva causata dai batteri che costituiscono la placca. Tuttavia, delle oltre 400 specie batteriche che la compongono, solo una sottopopolazione è implicata nell’eziopatogenesi delle parodontopatie e può causare, in soggetti con predisposizione genetica (familiarità) o fattori di rischio, l'insorgere della malattia. Numerosi studi indicano, infatti, che la distribuzione e la prevalenza dei patogeni parodontali variano nelle diverse zone geografiche, nonché tra etnie.

I microrganismi orali responsabili del processo patogenetico, pur appartenendo a specie diverse, hanno la caratteristica comune di essere prevalentemente anaerobi, adatti a sopravvivere all’ambiente ipossico delle tasche dentali, e di presentare diversi determinanti di patogenicità (enzimi proteolitici, leucotossine). (98, 99)

Un tentativo di classificazione dei patogeni parodontali basato sul criterio di associazione con la malattia parodontale è stato pubblicato da Socransky che propose un’analisi delle variazioni quantitative di 40 specie batteriche, valutandole in campioni di pazienti sani e affetti da parodontite di vario grado, mediante l’utilizzo dell’ibridizzazione in situ del DNA del campione con sonde oligonucleotidiche radioattive. I dati ottenuti hanno permesso la suddivisione delle varie specie batteriche in cinque raggruppamenti (“complex”), in base all’associazione con la gravità clinica della malattia parodontale. (100)

Successivamente altri autori hanno valutato la classificazione proposta da Socransky tramite studi orizzontali e longitudinali su pazienti provenienti da differenti regioni geografiche e con abitudini di vita molto differenti, utilizzando sistemi di rilevamento più sensibili e in grado di rilevare variazioni clonali nell’ambito della stessa specie. (101, 102)

Le specie batteriche che si ritiene siano maggiormente implicate nella parodontite, tutte anaerobie e gram-negative, sono le seguenti: Aggregatibacter

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Fusobacterium nucleatum, Porphyromonas gingivalis, Prevotella intermedia, Prevotella melaninogenica, Tannerella forsythensis e Treponema denticola.

Vari studi epidemiologici confermano l’associazione tra questi batteri e la malattia parodontale, in quanto tali specie sono riscontrate più frequentemente, e ad elevati livelli, in soggetti con parodontiti che non in soggetti sani o in soggetti con gengiviti. (74, 103, 104, 105)

Aggregatibacter actinomycetemcomitans è un batterio di forma

bastoncellare, Gram-negativo, anaerobio facoltativo, immobile; è stato dimostrato che questa specie ha un ruolo fondamentale nell’insorgenza della parodontite aggressiva. Peraltro, è possibile ritrovare questo microrganismo sia in soggetti sani che in siti tissutali sani di soggetti malati, sebbene con una frequenza di isolamento e con una carica molto più bassa rispetto ai siti tissutali malati. Tra i ceppi di A. actinomycetemcomitans sono state riscontrate anche variazioni fenotipiche, che possono giustificare differenze nella patogenesi. Ad oggi, sono stati identificati cinque distinti sierotipi di A. actinomycetemcomitans (sierotipi da a fino ad e); tra essi il sierotipo b è quello più frequentemente associato ai siti malati. La colonizzazione da parte di ceppi produttori di elevate quantità di leucotossina è stata correlata, inoltre, all’insorgenza della parodontite sia cronica che aggressiva.

Porphyromonas gingivalis è un bastoncello Gram-negativo, anaerobio,

immobile. Tra le specie batteriche sospettate di essere patogene per il parodonto, esso è quello che più frequentemente è associato alla parodontite cronica. Il ritrovamento di P. gingivalis è indice di rischio elevato di progressione della malattia e trattamenti terapeutici efficaci della parodontite cronica correlano con livelli di carica batterica più bassi. Questa specie può essere isolata anche nei siti sani (circa il 25% dei casi) anche se nei siti malati può essere isolata in maggiore frequenza ed in carica più elevata rispetto ai siti sani o ai siti con una recente insorgenza della malattia. La risposta dell’ospite verso P. gingivalis si manifesta con un consistente aumento del titolo anticorpale in soggetti con parodontite

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cronica. E’ stato osservato un certo grado di variabilità tra i vari ceppi di P.

gingivalis sulla base delle analisi di particolari sequenze di DNA cromosomico e

alcuni di questi ceppi sono molto più frequentemente associati con la malattia nell’uomo. P. gingivalis possiede numerose proprietà che possono contribuire alla sua virulenza, come la sintesi di proteasi, che sono in grado di degradare sia molecole effettrici della risposta immunitaria, sia molte molecole tissutali dell’ospite, fondamentali per il supporto parodontale del dente.

Le spirochete del cavo orale sono batteri Gram-negativi, anaerobi, spiraliformi e dotate di un elevato grado di mobilità. Le spirochete sono state associate con le parodontiti, ma è stato storicamente molto difficile studiarle a causa della incapacità di coltivare molti di questi microrganismi e di caratterizzarli a livello di specie nei campioni clinici. Studi effettuati su spirochete del cavo orale, utilizzando metodi molecolari, indicano che circa 3/4 delle specie di spirochete orali, appartenenti al gene Treponema, ad oggi non sono state ancora coltivate. Osservazioni microscopiche di biopsie gengivali indicano che microrganismi spiraliformi sono associati a parodontiti ed a siti tissutali che evidenziano un recente riassorbimento osseo; è stato descritto, inoltre, che spirochete possono essere ritrovate nei tessuti di pazienti con parodontite aggressiva e cronica avanzate. Il numero di tali microrganismi è correlato con la gravità della parodontite cronica o aggressiva e la carica batterica diminuisce con il trattamento terapeutico. Analogamente ad altre specie patogene per il parodonto, spirochete sono state ritrovate in basso numero in siti parodontali sani. Le due specie che sono state associate a parodontiti sono

Treponema denticola e Treponema lecithinolyticum.

Un'altra specie batterica presente nel cavo orale che è stata associata alle malattie parodontali è Tannerella forsythia. Essa è stata ritrovata in carica più elevata in siti tissutali malati rispetto a siti sani e un decremento nel numero di tali batteri si correla con una evoluzione benigna della malattia. E’ stato

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osservato che la presenza di T. forsythia è predittiva di un futuro danno dei tessuti del parodonto.

I batteri parodontopatogeni possiedono o producono numerosi fattori che favoriscono il danneggiamento dei tessuti del parodonto (endotossina, esoenzimi e prodotti a basso peso molecolare del metabolismo batterico). La produzione di esotossine non è frequente, tuttavia, come detto, è stata descritta una leucotossina prodotta da A. actinomycetemcomitans che può certamente favorire la distruzione dei leucociti presenti nel fluido crevicolare facilitando la colonizzazione batterica. P. gingivalis e alcuni ceppi di A.

actinomycetemcomitans producono grandi quantità di collagenasi che,

probabilmente, riveste un ruolo essenziale nella distruzione della componente connettivale del parodonto. Altri esoenzimi prodotti dai batteri parodontopatogeni (gelatinasi, aminopeptidasi, fosfolipasi A, fosfatasi alcaline e acide, cheratinasi, neuraminidasi, ecc.) sono anch'essi sicuramente coinvolti nella patogenesi delle lesioni. Alcuni batteri presenti nelle lesioni sottogengivali, inoltre, possono indurre un'attivazione policlonale dei linfociti B, causare una disregolazione nella produzione di citochine infiammatorie, ed è possibile che alcuni componenti batterici abbiano i caratteri di superantigeni. Le lesioni causate dai prodotti del metabolismo batterico, sono, a loro volta, complicate dall'innesco di una intensa reazione immune umorale e cellulo-mediata, con una forte stimolazione alla produzione di linfociti T citotossici.

Benchè le specie batteriche associate a parodontiti siano prevalentemente Gram-negative, anche alcune specie Gram-positive come Peptostreptococcus

micros, Streptococcus intermedius ed Eubacterium nodatum sembrano coinvolte

in tali malattie. Studi recenti hanno dimostrato anche un’associazione tra virus erpetici (Epstein-Barr di tipo 1 e Citomegalovirus dell’uomo) e parodontiti croniche e la presenza di questi virus nei siti sub gengivali è spesso associata ad elevati livelli di putative specie batteriche patogene come P. gingivalis, T.

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denticola e T. forsythia. Il potenziale ruolo di tali virus nella patogenesi della

malattia parodontale rimane, tuttavia, ancora poco chiaro.

In linea di massima, le lesioni infiammatorie del parodonto hanno la tendenza, in assenza di adeguati interventi terapeutici nella fase iniziale e nei soggetti con fattori predisponenti (cattiva igiene orale, tabagismo, diabete, stato di stress, allergia, osteoporosi, deficit nell’attività dei polimorfonucleati, ecc.), a cronicizzare. Questi fattori, tuttavia, rimangono concause di un processo patogenetico che vede nell’acquisizione di specifici agenti eziologici batterici il fattore determinante di un’infezione, che può portare alla comparsa di estesi fatti distruttivi dei tessuti di supporto del dente e delle relative strutture di ancoraggio, con la conseguente perdita di porzioni di dentatura più o meno estese. (37, 78)

Diversi metodi sono stati usati per individuare singolarmente i patogeni responsabili della malattia parodontale e la loro coesistenza nella malattia parodontale in relazione allo stato della malattia. Il metodo colturale rappresenta sicuramente il “gold standard” per caratterizzare la popolazione microbica ed è anche l’unico sistema per valutare la sensibilità in vitro agli antimicrobici. Nonostante ciò, la difficoltà riscontrata nell’utilizzo dell’indagine colturale per l'identificazione di alcune specie batteriche particolarmente difficili da coltivare opportunamente, ha reso necessaria l’introduzione di nuovi approcci metodologici più sensibili e specifici, quali test immunologici, e metodi molecolari come la reazione a catena della polimerasi (“Polymerase Chain Reaction”, PCR). (98, 99, 106)

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PARODONTITE, MENOPAUSA E TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA

Le donne in stato di menopausa sono certamente suscettibili alla malattia parodontale e gli ormoni sessuali giocano un ruolo significativo nel predisporre la cavità orale all'instaurarsi di tale patologia. (30, 35, 36, 38, 39). Gli studi condotti finora riguardanti lo stato di salute orale delle donne in menopausa riportano, anche se con pareri discordanti, che l’utilizzo della TOS, oltre ad intervenire sul trattamento dei sintomi vasomotori (vampate di calore), per la secchezza vaginale e l’atrofia e per la prevenzione dell’osteoporosi e delle fratture ad essa correlate e quindi migliorare la qualità della vita, è associato a una riduzione della sintomatologia orale (dolori diffusi, infiammazione gengivale, burning mouth sindrome, disgeusia, etc.) riferita dalle pazienti all’anamnesi durante la visita odontoiatrica. (107, 108)

Altri studi affermano, invece, che la somministrazione della TOS in menopausa contribuisca soltanto a un miglioramento della mobilità dentale, in particolare nelle pazienti affetti da mobilità dentale di I e II grado, ritardando in tal modo la perdita dei elementi dentari. Purtroppo a causa dell’assenza di dati completi, ulteriori studi occorrono per poter affermare questo con certezza. (109, 110)

Gli studi riguardanti gli effetti del microbiota orale sulle donne in menopausa sono scarsi (35, 111, 112) Tuttavia, il ruolo degli ormoni sessuali femminili, come già accennato, è stato considerato a lungo influente sui tessuti parodontali e sulla progressione della malattia parodontale.

Figura

Tabella  A.  Primer   e  condizioni   impiegati   nella  PCR  per  rilevare  la  presenza   dei  batteri  oggetto dello studio.
Tabella 1 - Descrizione della popolazione in studio e condizioni di salute orale al baseline e al follow up a due anni
Tabella 2 – Riepilogo generale dei dati clinici rilevati (durante l’anamnesi) al baseline e al  follow up a 2 anni nelle pazienti in TOS (TOS +) e non in terapia (TOS -), ed in totale.
Tabella 4 - Batteri parodontali rilevati al baseline e al follow up a 2 anni nelle pazienti in TOS  (TOS +) e non in terapia (TOS -), ed in totale.
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