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Maria natare, montes transire: l’amore nei modelli epistolari latini del XII secolo

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Academic year: 2021

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Maria natare,

montes transire

L’amore nei modelli epistolari latini

del xii secolo

This paper focuses on the phenomenology of love in twelfth-century letter con-struction of a lexicon of love, and the initial development of the distinction be-tween love letters and letters of friendship and of family ties. The love letters af-fect several areas: real love, physically more and more explicit, marriage, and lit-erary (or courtly) love, akin to romance themes. On the other hand, the models convey the ecclesiastical law on sexual norms, showing the daily needs, the aspi-rations, and the conventions of a changing society, in all its rich complexity.

Il xii è un secolo ricchissimo di testi letterari dedicati all’amore; in ambito epistolare è il secolo di Abelardo e Eloisa, gli innamorati che con il loro carteggio hanno ispirato più di una pagina agli autori ro-mantici del secolo xix, contribuendo alla ricezione moderna di quel-lo che Stendhal definì l’amore-passione. L’analisi proposta in questo contributo è dedicata a testi forse meno famosi, ma non meno im-portanti per comprendere la concezione dell’amore di questo perio-do: le lettere modello a carattere amoroso composte nel corso del xii secolo.

Alcuni di questi materiali avevano attratto l’attenzione di E. Ruhe che, nel 1975, pubblicò De amasio ad amasiam in cui intraprese un

va-sto esame delle lettere d’amore medievali, redatte tanto in latino che nelle lingue romanze, includendo anche qualche escerto a carattere sentimentale proveniente dalle artes dictandi. Questo testo, benché

ancora di innegabile valore scientifico, sconta ormai una bibliogra-fia non aggiornata e manca delle edizioni pubblicate negli ultimi anni, fatto che altera l’analisi complessiva del fenomeno; in altri con-tributi più recenti l’attenzione degli studiosi si è invece concentrata

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o su singoli testi, o su aspetti particolari della sfera sentimentale, sen-za proporre una disamina generale dei modelli di lettera d’amore.1

I modelli epistolari di ambito ufficiale e politico, specialmente quelli prodotti dalle grandi cancellerie nel secolo xiii, sono da vari anni oggetto di studio filologico e storico e la loro importanza sul pia-no storiografico viene confermata anche in numerosi e recenti con-tributi, tra cui, per citarne solo alcuni, quelli di Enrico Artifoni (“I podestà professionali;” “Una politica del dittare”), Paolo Cammaro-sano, Benoît Grévin (Rhétorique du pouvoir; “La retorica del diritto“),

Ronald Witt (The Two Latin Cultures; “The Ars of Letter-Writing”),

Florian Hartmann (che si sofferma in particolare sul xii secolo: “De-cet ergo cives;” Ars dictaminis). Lo studio delle lettere modello a

ca-rattere privato offre la possibilità di ottenere in maniera diretta e non mediata numerose informazioni sulla vita quotidiana, sui rapporti interpersonali e sulla gestione degli affetti. Sappiamo infatti che i det-tatori non inventavano le lettere esemplificative, ma le redigevano a partire da epistole reali (M. Hartmann, Das Briefbuch 1.102–03).

Come hanno giustamente sottolineato Martha Carlin e David Crouch, intitolando una recente edizione di sillogi epistolari del xiii secolo Lost Letters of Medieval Life, questi materiali, proprio perché

tràditi all’interno di raccolte usate come modelli, ci conserverebbe-ro le lettere quotidiane – ormai smarrite – che venivano scambiate nel medioevo: se gli originali sono andati perduti, queste copie rap-presentano una possibilità importante per il mondo scientifico sot-to il profilo linguistico, sociologico e ssot-torico. L’ambisot-to privasot-to ritrat-to dai modelli episritrat-tolari spazia dalle relazioni tra geniritrat-tori e figli a quelle tra amici fino a quelle tra coniugi o innamorati, prospettando materiali ricchi di dettagli e sfumature difficilmente reperibili altro-ve. Il contenuto sentimentale delle epistole modello ha indotto qual-che studioso (in particolare Schaller) a ritenere questi testi meri eser-cizi inventati dai dettatori, ma ormai l’atteggiamento predominante è quello di accogliere, pur con le dovute cautele, simili materiali all’interno delle fonti documentarie2 guadagnando all’indagine sto-rico-antropologica informazioni preziose sulla vita quotidiana e sul-le relazioni interpersonali. Il tasso di veridicità implicito nell’opera dei dettatori offre la possibilità non comune di indagare i rapporti amorosi nella vita privata e quotidiana, osservando da vicino la loro gestione ma anche la concezione dell’amore sottesa alla composizio-ne epistolare. D’altra parte l’epistola è un gecomposizio-nere letterario ben defi-nito, con regole e strutture retoriche che non possono essere eluse e che riflette il patrimonio culturale della società che la produce.

1. Si veda la sezione iv dedicata a

Women and Love Letters in Høgel and

Bartoli.

2. Una sintesi del problema con proposta metodologica per il trattamento dei testi dittaminali come fonti storiche in Stella, “Recuperare una fonte storica.”

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L’epistolografia d’amore merita uno studio complessivo e aggior-nato con i dati delle nuove edizioni, un’accurata interpretazione del fenomeno che ne consideri gli aspetti linguistici e sociologici e muo-va da quanto, in sede teorica, è stato prodotto dagli stessi dettatori su questo argomento.

Questo contributo si propone quindi di esplorare, sul piano lin-guistico e tematico, la fenomenologia dell’amore così come emerge dalla corrispondenza sentimentale nel xii secolo attraverso i model-li di lettera, in particolare dimostrando la progressiva selezione di un lessico sempre più connotato come amore-passione, l’analisi dei vari aspetti dell’amore reale, con la duplice tendenza verso la letterarizza-zione e verso una maggiore esplicitaletterarizza-zione della sfera fisica, gli aspet-ti sociali e normaaspet-tivi entraaspet-ti nella produzione epistolografica, che sa riflettere in modo estremamente fedele anche la realtà quotidiana.

Partendo dal forte legame che sussiste nei primi modelli di lette-ra tlette-ra amicizia e amore, con succesiva diversificazione dei due ambi-ti affetambi-tivi, si mostra la creazione di un lessico che, prima condiviso con gli affetti in genere (affetto filiale, affetto agnatizio, affetto frater-no, amicizia), diventa sempre più legato all’amore propriamente in-teso. Un altro dato che emerge con evidenza nel corso del xii secolo e che l’epistolografia condivide con altre esperienze letterarie, sia la-tine che volgari, è la progressiva letterarizzazione dell’amore, sia sot-to il profilo linguistico che concettuale, secondo un percorso che conduce alla rarefazione del corpo nell’epistolografia cortese.

Convi-ve con questo atteggiamento una tendenza, di segno opposto, ad in-crementare la fisicità delle allusioni, grazie all’estensione del linguag-gio e della casistica amorosa esplorata, dal corteggiamento all’abban-dono, dalla lettera alla fanciulla fino a quella inviata alla donna esper-ta.

Si propone inoltre l’analisi di vari aspetti dell’amore reale rappre-sentati in questi modelli, da cui emerge una particolare attenzione alla dimensione sociale dei sentimenti. Peculiare dell’epistolografia amorosa fin dalle prime testimonianze, così fortemente calate nel tes-suto sociale e nella realtà quotidiana, è la centralità che il ruolo co-niugale riveste, analogamente alla diffusione dei precetti religiosi in ambito di matrimonio e celibato promossi dalla Riforma, aspetti che dimostrano una volta di più l’adesione al reale dei materiali analizza-ti, ma anche il dibatitto che accompagnò questi contenuti durante un secolo in cui l’amore rappresenta un tema centrale in molti aspet-ti della vita (easpet-tica, cultura, società).

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Gli argomenti enunciati, che corrispondono ai paragrafi in cui il contributo è stato suddiviso, illustrano aspetti che investono sia l’am-bito letterario sia quello storico-sociologico, evidenziando la pecu-liarità dei materiali dittaminali, in cui trovano spazio le norme, i de-sideri e aspettative espresse dalla società. Un dato importante per l’a-nalisi della fenomenologia dell’amore è inoltre la presenza costante di interlocutori maschili e femminili, elemento che rappresenta un’occasione fondamentale anche per i gender studies. Come

accen-nato, ma lo vedremo meglio nelle conclusioni, non c’è un solo tipo di amore raccontato nei nostri modelli: c’è quello più sensuale delle lettere tra innamorati e quello pragmatico e socialmente riconosciu-to delle lettere tra coniugi; ci sono episriconosciu-tole di contenuriconosciu-to misogino, altre che danno spazio in maniera più equa al mondo femminile, al-tre ancora in cui le donne esibiscono una libertà sentimentale sor-prendente, in un caledoscopio di situazioni varie, alcune delle quali al margine tra realtà e finzione letteraria.

Prolegomena: i testi discussi nel contributo

Per rendere più agevole la comprensione di quanto affrontato nelle pagine seguenti, si elencano le opere di epistolografia da cui proven-gono le citazioni analizzate, dopo averle brevemente contestualizza-te. Molti di questi testi sono composti da una parte teorica e da una parte esemplificativa. Nella sezione teorica vengono dispensate no-zioni di grammatica, vengono analizzate le partes epistolae (salutatio, exordium o captatio benivolentiae, narratio, petitio e conclusio)

desun-te dalla scansione ciceroniana dell’orazione e talvolta vengono ag-giunte anche informazioni retoriche sui colores o sulla struttura

del-la frase. La parte esemplificativa è costituita da lettere-modello, che potevano essere intercalate alla materia teorica oppure, più spesso, essere raccolte tutte insieme in calce al testo. I dettatori esemplava-no questi modelli, copiando o rielaborando, su lettere reali, da qui la loro rilevanza anche come fonti storiche. Talvolta testi teorici e sil-logi di modelli venivano copiati separatamente, dando vita ad una circolazione indipendente delle due parti del testo originario. Altre volte ancora si potevano associare al testo teorico raccolte più lun-ghe o più brevi di modelli, relativi ad argomenti selezionati sulla base dei fruitori del testo (ambiente clericale o laico, scuola o cancellerie, ecc.). Questi modelli di lettera sono fondamentali anche per datare gli stessi manuali e collocarli geograficamente nello spazio, sulla base

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di riferimenti a luoghi o personaggi storici noti. I dettatori, infatti, quasi mai nel xii secolo dispensano notizie autobiografiche. L’ars di­ ctandi nasce con il Breviarium di Alberico di Montecassino intorno al

1080; la disciplina registra poi un notevole impulso in Bologna, con i Praecepta dictaminis di Adalberto Samaritano, composti da un

trat-tato teorico e da alcune lettere esemplificative; sono stati scritti in-torno agli anni ’30 del xii secolo e sono un testo importantissimo nella storia del dictamen perché, secondo gli studiosi, il loro autore

avrebbe impresso all’epistolografia una connotazione più agevole mi-rata a velocizzare l’apprendimento, in linea con le esigenze del nuo-vo assetto politico comunale che si andava sviluppando nell’Italia centro-settentrionale. Prodotte nello stesso milieu culturale e

politi-co, sempre intorno al 1130, sono le Rationes dictandi di Ugo

Bologne-se, un testo strutturato come il precedente con una parte teorica e al-cuni modelli esemplificativi. Una datazione analoga è assegnata all’Aurea Gemma del Francigena, un maestro di cui non sappiamo

nulla tranne il nome, ma la cui opera ebbe un’influenza notevole. Nel prologo del testo dice di averlo composto a Pavia. Sempre in Italia centro-settentrionale (diocesi di Cremona) sono state composte le lettere della Lombardische Briefsammlung, una raccolta anonima

da-tata tra 1132 e il 1137. Intorno agli anni ’50 del xii secolo, nelle zone to-sco-emiliane (Bologna, Faenza, Imola, il Casentino, Arezzo, Pisa), sono attivi Maestro Bernardo e il suo allievo, Maestro Guido. Nel contributo si trattano citazioni dalle Introductiones prosaici dictami­ nis di Maestro Bernardo (un trattato completo di silloge), dai Modi dictaminum di Maestro Guido, un trattato in cui gli esempi sono

in-tercalati alle nozioni teoriche, e da due sillogi attribuite a Maestro Guido, le Mirae commoditatis epistolae e le Epistolae a Guidone com­ posite. Proveniente sempre dal medesimo ambiente toscano

(Firen-ze, Prato, Casentino) e coeva alle opere di Bernardo e Guido è anche l’anonima raccolta epistolare conservata in un manoscritto barberi-niano della Biblioteca Vaticana. Da collegarsi probabilmente alla scuola di Guido e Bernardo è la Silloge Veronese, una raccolta

anoni-ma conservata nel codice della Capitolare di Verona che ci restitui-sce anche molto materiale dei due maestri. Di datazione incerta, ma probabilmente da collocarsi intorno alla metà del xii, è l’anonimo carteggio denominato Epistolae duorum amantium, al centro di un

di-battito ancora in corso tra studiosi che lo attribuiscono ad Abelardo e Eloisa e studiosi che, con argomentazioni anche molto diverse, non accettano questa assegnazione. Sono pochi gli elementi che permet-tono di contestualizzare geograficamente il testo, che sembra

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com-posto in area francese (nel presente contributo si discutono alcuni

loci similes rintracciati in opere dittaminali che potrebbero indicare

l’uso di materiali epistolografici nella redazione del testo). Passando alla seconda metà del secolo xii vengono citati testi di Bernard de Meung, un noto dettatore attivo in area francese intorno al 1180 e au-tore dei Flores dictaminum, un testo teorico tradito a volte con la

sil-loge epistolare, di cui abbiamo due redazioni (maior e minor compi­ latio). Alcuni dei suoi modelli d’amore sono noti per la casistica di

situazioni rappresentate, a volte giudicate al limite del credibile, ma che nel presente contributo si cerca di contestualizzare nell’ambito dell’ideologia riformista in tema di matrimonio e celibato dei chie-rici. Di area francese è anche il De amore di Andrea Cappellano, un

testo importantissimo nella codificazione teorica sentimentale del medioevo, dietro il cui esempio Boncompagno da Signa, noto detta-tore a lungo magister nello Studium di Bologna, compose la sua Rota Veneris (ante 1215). Attivo nella seconda metà del secolo xii fu

Pao-lo di Camaldoli, autore del Registrum legato alla cogregazione

reli-giosa camaldolese la cui formazione sui generis sembra dovuta,

alme-no in parte, all’ambiente casentinese del 1100. Con la raccolta di Te-gernsee, di cui si citano qui le lettere d’amore, scritte in latino con in-serti in mediotedesco, l’asse geografico si sposta verso la Baviera. La raccolta si colloca intorno agli anni ’80 del secolo xii.

1 Il dominio della filía

1.1 Introduzione. In questo paragrafo si mostrano le prime

testimo-nianze sentimentali reperite nelle artes dictandi. Alcuni esempi non

riguardano propriamente l’amore ma l’amicizia, un sentimento cen-trale nell’affettività medievale, che permette a molti autori di espri-mere con accenti di forte partecipazione il proprio attaccamento a qualcuno. Il lessico dell’amore è ancora condiviso con il lessico de-gli affetti: de-gli esempi scelti (ante 1150) mostrano un linguaggio

anco-ra non connotato in modo esclusivo per l’amore-passione. Per que-sto motivo sono stati selezionati modelli di lettera che mostrano le situazioni tipiche della retorica epistolare a carattere sentimentale in senso lato, cioè lettere scambiate tra innamorati, tra amici, tra coniu-gi (retorica della lontananza) e tra cognati (quasi una situazione cor-tese ante litteram).

Vengono anche indagate alcune abitudini sentimentali come il

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attestazio-ni epistolografiche del munusculum, cioè di un piccolo dono

promes-so o inviato insieme alla lettera: questa galanteria è inizialmente te-stimoniata in alcune epistole tra cognati come distinzione sociale, ma in fretta verrà connotata in senso amoroso, come segno esclusi-vo di affetto e appartenenza reciproca.

1.2 Eros e filía. Gli albori della disciplina dittaminale coincidono

cronologicamente con i primi modelli di lettera d’amore che ci sono stati conservati. Si crede che anche prima del xii secolo fosse diffu-sa l’abitudine, testimoniata da numerosi epistolari d’autore, della cor-rispondenza privata sentimentale, ma certo è solo con l’avvento dell’epistolografia che le lettere comuni vengono inserite nelle rac-colte o nei manuali, sottratte così all’oblio che inevitabilmente le avrebbe disperse. Come anticipato, i modelli epistolari sono testi ibridi, dalla duplice natura letteraria e documentaria: il magister,

quando inseriva una lettera esemplificativa in una silloge, si atteneva a concezioni sentimentali e formule socialmente diffuse. L’orizzon-te culturale condiviso dagli autori a cavallo tra xi e xii secolo – rela-tivamente a tematiche amorose e amicali – ha i suoi poli in Ovidio e Cicerone, in particolare nelle Heroides, nell’Ars amatoria e nel Lelius,3

uno dei dialoghi più citati nelle summe dictaminis di questo periodo:

A. precordiali amico – vel: unico necessario – G. quicquid et ipse sibi. [...] Est enim, ut ait Tullius, verus amicus tamquam alter idem. Unde qui intuetur amicum, tamquam se ipsum contemplatur; vere namque fides amicitie e duobus quasi unum efficit animum. (Lombardische Briefsammlung, ep. 45)

(Ad A., carissimo amico – oppure: all’unico importante –, G. augura qualunque cosa [desideri], anche sé stesso. [...] Infatti, come dice Tullio, il vero amico è un altro sé stesso. Per cui chi guarda un amico, è come se guardasse a fondo sé stesso; infatti la fedeltà della vera amicizia fa sì che due intendimenti diventino uno.)

Quando è necessario trasmettere un senso di affetto profondo, nelle lettere modello si ricorre spesso all’elogio che Cicerone fece dell’a-micizia, un sentimento tanto forte che si manifesta con la stessa in-tensità dell’amore. Ziolkowski, in un contributo dedicato alla poesia d’amore, aveva sottolineato la tendenza medievale alla contamina-zione semantica di eros e filía, fenomeno esemplificato

egregiamen-te da un modello epistolare conegregiamen-tenuto nei Praecepta di Adalberto

Sa-maritano (71), inviato da un chierico di Lucca ad un amico lontano:

3. Il testo è molto frequentato non solo in ambito dittaminale, basti

pensare al De amicitia di Marbodo di

Rennes. Si veda la “Silloge Veronese” (2 e 6): “ut ait Tullius doctor eloquentissimus: est omnis usus amicitie voluntatum, studiorum et sententiarum summa consentio;” “Age itaque fili, ipsa vita canonum bonorum te inmitor exibe, lascivio-rum collegia fuge, bonolascivio-rum societates appete ut Tullius;” Hugo Bononiensis 59: “Ut Tullius in amicicia de Scipione; [...] nam iuxta Tullium sic tue quandoque amicicie recordacione fruor, ut bene me uixisse propter tuam familiaritatem credam.” L’argomento è stato molto studiato; in relazione al tema epistolare si vedano Jackson; Mews,

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Ac per hoc, licet corporali presentia montium, vallium [...] paludum sinistra sequestratione seiunctus, indissolubili tamen vobis ardore coniunctus vos dies et noctes amoris ulnis indesinenter amplector, vobis adhereo, vobis anhelo, fecunditate vestra gaudeo. [...] litterarum officio visito; [...] Hac ergo vos visito, vos imploro, vehementer exoro [...] Sed ne miretur magistralis pietas, si mihi non adest polita locutio [...]. Misimus quoque cum his, que credimus vobis grata munuscula [...]. Expeto et a vobis quedam vestri amoris signa, non tam necessaria quam mutue dilectionis represen-taria.

(Proprio per questo, sebbene lontano fisicamente – perché separato da avversi monti e valli e paludi – tuttavia attaccato a te con affetto indissolubile giorno e notte ti abbraccio senza sosta con le braccia dell’amore, mi stringo vicino a te, deside-ro la tua presenza, sono lieto della tua pdeside-rosperità, ti vengo a trovare con le mie lettere. Per questo ti vengo a trovare, ti imploro, ti chiedo di cuore [...]. Ma la tua grande generosità non si stupisca se non ho uno stile raffinato [...] ti ho comun-que mandato, insieme a comun-queste righe, qualche piccolo dono che spero gradirai. Chiedo anche a te un segno del tuo amore, non tanto perché necessario, quanto perché simboli-co del reciprosimboli-co affetto.)

Il passo mostra come siano già presenti alcuni elementi che caratte-rizzeranno la retorica d’amore: una lingua che, in crescendo, diven-terà sempre più fisica (amoris ulnis “braccia dell’amore,”4vobis coniun­ ctus “a te attaccato”), passando dall’amor “amore” all’ardor

“deside-rio” all’amplector “abbraccio” all’adhereo “mi stringo vicino.”

Espres-sioni di simile intensità non sono inedite nella retorica epistolare, quando i due interlocutori vogliono sottolineare la propria affinità,5 ma qui il fenomeno esula dall’ambito autoriale e assume una dimen-sione socialmente più vasta. Il linguaggio dei sentimenti, benché in-tenso ed efficace, è però ancora condiviso con tutti gli ambiti affetti-vi: devotio, sustentamen, solamen, presidium, affectum (“devozione,

so-stegno, ristoro, difesa, affetto”) sono termini utilizzati nelle lettere ai figli, ai genitori, agli amici, al coniuge, alla persona amata. La lingua dei sentimenti è varia ma non esclusiva e la concezione dell’amore trasmessa dai modelli epistolari appare in questa fase genericamen-te legata alla sfera degli affetti intimi. Questo è dovuto in pargenericamen-te anche

4. Cfr. Hugo Bononiensis 91: “ualde confidere atque sinceritatis brachiis infra sinum mentis fauendo conplecti.”

5. Si pensi alla nota epistola di Alcuino al vescovo Arnone: “Satis suavi commemoratione vestram recolo, sanctissime Pater, dilectio-nem, et familiaritatem, optans, ut quandoque eveniat mihi tempus amabile, quo collum charitatis vestrae desideriorum meorum digitulis amplecter. O si mihi translatio Habacuc esset subito concessa, quam citatis manibus ruerem in amplexus paternitatis vestrae, et quam compressis labiis non solum oculos, aures et os, sed etiam manuum vel pedum singulos digitorum articulos non semel, sed

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al genere epistolare, che prevede la lontananza degli interlocutori; non a caso motivo ricorrente delle epistole tra amici è proprio quel-lo che sostiene, sulla base della grande affinità intellettuale (si osser-vino i riferimenti alla mens “mente”), la vicinanza degli

interlocuto-ri a dispetto della distanza fisica che li separa,6 come mostra la fortu-na di un topos di Ambrogio (ep. 1.47) ripreso da Adalberto

Samarita-no e usato poi da molti dettatori: “Locorum longa intervalla Samarita-non se-parat, quos individua mentis caritas copulat; [...] longa terrarum in-tercapedo non omnino sequestrat, quos corpore divisos nectit” (“Luoghi molto distanti non separano chi è unito dalla particolare affinità della mente; la grande distanza fisica non allontana affatto co-loro divisi nel corpo ma uniti (nell’animo):” Adalbertus Samaritanus 18).7

Proprio per la predominante componente amicale, i dettatori di questo primo periodo, per esprimere l’affetto, si rivolgono con mag-giore frequenza a Cicerone; da Ovidio traggono i personaggi inna-morati per antonomasia (la coppia Paride-Elena, come sopra, torna con assidua insistenza), più tardi i rimedi per il sentimento non ri-cambiato e le angustie dovute alla separazione dall’oggetto dei pro-pri desideri.

1.2 Il munus tra signum amoris e connotazione sociale. Nella

lette-ra di Adalberto Samaritano che abbiamo citato in apertulette-ra del palette-ra- para-grafo il mittente allude ad un dono (grata munuscula “un gradito

pen-sierino,” amoris signa “un segno d’amore”), abituale tra amici (si

ve-dano le epistole della raccolta “Mirae commoditatis” attribuita a Ma-estro Guido 9: “munuscula de suburbano mittimus horto,” “ti ho mandato qualche dono dall’orticello che ho fuori città;” e 14: “mu-nuscula quedam intimi amoris nostri signa,” “un qualche pensierino segno del mio profondo amore”) ma che ben presto diverrà un topos

delle lettere sentimentali.

In questo periodo l’abitudine del dono è attestata anche in alcu-ne epistole tra cognati, situazioalcu-ne epistolare interessante sotto il pro-filo sentimentale, ma proposta in un numero esiguo di modelli (nel-le Rationes di Hugo Bononiensis e nelle Epistolae a Guidone compo­ site). La relazione affettiva, come si vede nell’esempio di seguito, è

gestita in maniera gentile ma misurata, la cognata è paragonata ad una soror karissima (“carissima sorella”) che il mittente vuole amare, onorare et servire (“amare, onorare, servire”); il dono a cui si accenna

nella conclusio rappresenta una consuetudine sociale, un segno di

di-stinzione imposto dai mores delle rispettive famiglie più che un

pe-gno d’amore o un oggetto che colmi la distanza fisica tra due

inna-6. Su questo topos e sulle sue matrici

ciceroniane e bibliche cfr. Krautter.

7. Si legge anche in Bernardus Magister 98v: “si tanta locorum quan-ta amicorum adesse viciniquan-tas;” in “Silloge Veronese,” rispettivamente epp. 4, 17 e 30: “locorum longa spatia illos non separat quos individua mentis karitas copulat, ac per hoc licet a te sim corpore separatus intimo tamen cordis ardore tibi sum copulatus; die noctuque te videre desidero, tua salute sum anxius, prosperitate gaudeo, vel, quod absit, infortunio tamquam proprio doleo;” in Henricus Francigena 90: “licet nostra terrarum spatia nostra sequestrent corpora [...]; licet et terrarum longa intervalla, amice carissime, nostra corpora non mentes

sequestrare videantur;” e nell’Aurea

Gemma Willhelmi (in “Aurea Gemma

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morati: “deprecor ut tue habitudinis statum, quem quidem ut meum exopto, mihi mittas cum aliquo munusculo, tue dilectionis indicium”

(“ti prego, secondo il tuo costume, che mi auguro simile al mio, di mandarmi un segno del tuo affetto insieme ad un piccolo dono:” “Sil-loge Veronese” 27) o “aliquid tui amoris signum, anulum vel friseum, mandare non hesites” (“non esitare ad inviarmi un segno del tuo amore, un anello o un drappo di tessuto frigio:” Maestro Guido, “Epi-stolae” 5).

Nella categoria epistolare agnatizia, il caso più interessante ai fini di questa ricerca è quello della risposta della donna che leggiamo in una silloge di Maestro Guido (1159 ca.), di pochi anni più tarda ri-spetto al testo di Adalberto. La missiva del cognato, fatta eccezione per la salutatio, che accenna qualche lode formale alla bellezza della

destinataria, si mantiene su un piano di neutra cordialità: “Imildae cognate dulcissime oculis et facie omnique pulchritudine splendide, G. seipsum totum et plures quam possit mandare salutes” (“A Imil-da, dolcissima cognata, fulgida bellezza degli occhi, del volto e di tut-to l’aspettut-to, G. manda tuttut-to sé stesso e tutti i saluti possibili:” Mae-stro Guido, “Epistolae” 5); la responsiva invece sfrutta locuzioni più

borderline, come dimostra l’uso di termini che ben presto saranno

molto connotati in senso amoroso come servire (si pensi al servitium amoris): “nihil facere cupivi quam tuam personam videre, ac ei

mul-tum servire; [...] te maxime deprecor quatinus quam citius potes do-mum, ut te videre valeam, redire non differas” (“nulla desidero fare più che vederti e servirti, in ogni cosa; ti prego tanto di tornare a casa prima che puoi, dove potrò rivederti:” Maestro Guido, “Epistolae” 6).

Espressioni simili erano state usate solo pochi anni prima da Ber-nardo (1140–53 ca.), maestro di Guido, per esemplificare una delle prime salutationes ad amicam della storia dell’ars dictandi. Questa

so-vrapposizione tra i due registri, quello cioè della lettera alla cognata e quello della lettera all’innamorata, dimostra che il lessico amoroso

non è ancora percepito come esclusivo dei rapporti sentimentali pro-priamente intesi:

Nobili domine vel amice karissime, indissolubili dilectionis sibi dulcedine coniuncte vel inextricabili sibi amore copulate B. seipsum totum et quidquid habere videtur, quod Paris Elene, quod Thisbe Piramus, omnium delectabilium statum incomparabilem summe dulcedinis unionem, intimam

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dilectionem vel amorem, intimi amoris copulam. (Bernardus Magister 81r)8

(Alla nobile signora, o all’amica carissima, unita a me dall’dissolubile dolcezza dell’affetto, o legata a me da un amore in-dissolubile, B. manda tutto sé stesso e quello che ha, l’amore di Paride per Elena, quello di Piramo per Tisbe, tutte le cose più gradite, l’impareggiabile unione di una grande dolcezza, l’intimo affetto [o l’intimo amore], l’unione di un intimo amore.)

1.3 L’amore coniugale. Le epistole tra marito e moglie sono tra i primi

modelli di lettera sentimentale confluiti nei manuali. Poiché la lette-ra si scrive solo se uno dei due interlocutori è altrove, una delle situa-zioni più frequenti nelle lettere coniugali della prima metà del seco-lo è quella in cui il marito si trova seco-lontano per motivi di lavoro (soli-tamente commercio) o di prigionia e la moglie, rimasta sola a casa, si lamenta della sua assenza. I modelli epistolari sono ricchi di spun-ti per descrivere i problemi affetspun-tivi di un ménage quospun-tidiano: né l’a-more ovidiano né l’affetto ciceroniano offrono esempi di al’a-more co-niugale come quello di cui a volte i dettatori devono trattare. In que-sti casi, si crede, emerge il dato non letterario, quello più giornaliero e banale, ma non meno interessante. La medietà stilistica delle solu-zioni adottate, le incombenze materiali enunciate nelle lettere sem-brano ritrarre il fenomeno nella sua più reale ed effettiva espressio-ne, come in questo modello epistolare inviato dal marito alla moglie: “te, uxor karissima, deprecor ut nostre domus negotia diligenter per-tractes et tuis filis providere ac vindemias recolligere taliter studies ut quod de te absente credo, te presente cognoscere valeam” (“mo-glie carissima ti prego affinché tu segua con attenzione le incomben-ze della nostra casa, tu provveda ai figli e alla vendemmia e ti impe-gni affinché ciò che io credo di te lontana corrisponda effettivamen-te a quello che vedrò una volta tornato da effettivamen-te:” Modi dictaminum

7.16).9

Analogamente alle lettere tra cognati, anche in questo caso l’ap-proccio, più che di natura sentimentale, è di tipo sociale: la donna che appare abbandonata dal marito per la lunga assenza del coniuge non ha più un ruolo definito nella famiglia, è mal tollerata, insieme ai figli, dai parenti del marito che sono chiamati ad occuparsi del suo sostentamento, come nella lettera della Lombardische Briefsammlung,

datata circa al 1130, che si legge di seguito:

8. Di seguito la salutatio ad amicum:

“B. suo domino et amico carissimo vel dulcissimo totius probitatis viro sui cordis anime vel animi vel pectoris dimidio N. sue dilectionis flagrantiam sue voluntatis affectum, sui amoris dimidium sui amoris dulcedinem et plenitudinem sue voluntatis complexionem seipsam totam et quidquid esse videtur de se quidquid ei placet;” l’edizione critica

delle Introductiones di Bernardus

Magister è in preparazione a cura di

chi scrive. Sulle salutationes si veda

anche Ruhe 299.

9. La lettera potrebbe essere copiata da una missiva, risalente al sec. xi, contenuta nell’archivio dei conti Guidi. Per la discussione sul testo cfr. anche Stella, “Chi scrive le mie

(12)

C. dulcissimo viro vite sue desiderio A. sua uxor fidelissima, quam sine eo non potest habere, salutem. Dici nec opinari potest, dulcissime coniunx, vita mihi carior, tota spes vite mee, post Deum amor et desiderium meum, sustentamen, solamen, auxilium et iuvamen laborum et dolorum meorum levamen; [...] ergo, marite karissime, quam primum potes, me de hac mesticia releva, tanta calamitate libera, veni, redi, ne morare, me miseram consolare [...] memor esto nostro-rum filionostro-rum, quos te diligere super omnia profitebaris, et, si sum tibi vilis, quod tamen non reor, communes respice natos, qui mollibus annis enutriendi et in patrias artes erudiendi fuerant. (Lombardische Briefsammlung 48)

(A C., dolcissimo marito, desiderio della sua vita, A. sua fedelissima moglie invia la salute che senza di lui non può avere. Non si può esprimere a parole né concepire [che tu sei], dolcissimo marito, a me più caro della vita, unica speranza della vita mia, dopo Dio mio amore e desiderio, sostegno, rifugio, aiuto e rimedio dei mali, conforto dei miei dolori; [...] perciò marito carissimo, prima possibile solleva-mi da questa tristezza, liberasolleva-mi da una così grande sventura, vieni, torna a consolarmi, non tardare; [...] ricordati dei nostri figli, che avevi promesso di amare più di ogni altra cosa e, se a me non tieni, cosa che non credo possibile, guarda almeno i nostri fanciulli, che ancora in tenera età lasciasti da nutrire e da educare secondo i costumi paterni.)

Un caso simile, anche questo completo della responsiva, si legge sempre nelle Introductiones di Bernardo, in cui il marito è

prigionie-ro ad Ascalona (lo apprendiamo dalla risposta). Si osservi la già rile-vata centralità dell’esperienza coniugale nei modelli epistolari d’a-more, un dato importante sul piano sociologico, che depone ulterior-mente a favore del portato documentario di questi materiali:

Dulcissimum et karissimum virorum R., domum redire nolente, M. cum suis filiis propris viribus destituta duritiam cordi relinquere [...]. Mendicare erubesco, fodere non valeo, et unde mihi et tuis filiis possim alimenta parare me non habere cognoscis. Enquiro profecto ut mihi presidium conferant consanguineitatis tibi linea copulati, sed quod dicam proprio derelicta marito? [...] Nam malo viva ad te

(13)

veniendo deficere quam tam turpiter et tanto corporis opbrobrio vitam finire. (Bernardus Magister 120v–121r) (A R., il più dolce e caro tra gli uomini che non vuole tornare a casa, M. con i suoi figli, ormai senza più forze, chiede di mettere da parte la durezza del suo cuore. [...] Ho vergogna di mendicare, non so questuare e tu sai bene che non ho chi può procurare il cibo a me e ai tuoi figli. Potrei certo chiedere un aiuto ai tuoi parenti, ma cosa posso dire, abbandonata dal mio stesso marito? Preferisco a questo punto morire cercan-do di raggiungerti, piuttosto che morire qui in mocercan-do così vergognoso e con grande disdoro del mio corpo.)

1.4 Conclusioni. In apertura del paragrafo ci siamo soffermati sulle

ca-tegorie di interlocutori coinvolti in questi primi esempi analizzati: amici, cognati, innamorati e coniugi. Nelle citazioni proposte si os-serva l’uso di un lessico degli affetti che non è ancora esclusivo per l’amore, ma che contiene ugualmente accenti di fisicità (rappresen-tata quasi sempre come distanza). Il legame più approfondito psico-logicamente in questa prima fase del dictamen è quello dell’amicizia,

negli altri casi non si trova ancora rappresentato un affetto che esista solo per sé stesso, emancipato dalla necessità contingente, sia essa sociale o economica. L’erotismo è impiegato con misura, principal-mente per trasmettere la mancanza e non l’appagamento, il deside-rio suscitato dalla lontananza e non dalla frequentazione. Le lettere coniugali, tra le prime categorie ad essere rappresentate nei modelli epistolari sentimentali, colpiscono per la loro pragmaticità e l’assen-za di qualsiasi forma di erotismo: l’amore è in questo caso condivi-sione di impegni anche pratici, il matrimonio rappresenta una collo-cazione nella società, specialmente per la donna, che nelle lettere si lamenta dell’assenza del marito che la priva dell’affetto ma anche del suo ruolo riconosciuto di moglie, con serie ricadute in ambito eco-nomico. Il tema della dimensione sociale dell’amore emerge con continuità in questi primi modelli, come dimostrano anche le lette-re tra cognati sullo scambio di doni: queste sfumatulette-re psicologiche ci mostrano quanto le lettere siano radicate nella realtà quotidiana.

2 La teorizzazione della lettera d’amore

2.1 Introduzione. Il paragrafo è dedicato all’evoluzione dell’amore nei

(14)

rile-vante è la teorizzazione della lettera d’amore discussa nei manuali, che implicitamente significa diffusione secolare dell’ars dictandi, con

conseguente diversificazione delle situazioni sentimentali. Si osser-va come cambia la lode della donna in questa fase, che tende alla co-difica di espressioni formulari ma contribuisce a elaborare il lessico della passione. Accanto a modelli più standardizzati troviamo alcu-ne lettere che, pur legate a precetti dittaminali, trattano il contenuto sentimentale in modo personale.

2.2 La composizione della lettera d’amore nei manuali. Quando un

dettatore affronta in sede teorica un argomento è perché questo cor-risponde ad una esigenza collettiva; in tal senso va interpretata l’e-mersione teorica dell’epistolografia amorosa, di qualche anno più tarda rispetto ai primi modelli di lettera sentimentale, discussi nel pa-ragrafo precedente, che si leggono in testi datati tra gli anni ’30 e i pri-mi anni ’50 del xii secolo.10 Il fenomeno si intensifica nel decennio ’50–’60: l’accresciuta presenza di lettere d’amore nelle sillogi ratifica una abitudine che probabilmente andava sempre più diffondendosi. I modelli epistolari di questi anni, inoltre, mostrano segni di evolu-zione anche tematica, perché incontriamo le prime lettere di corteg-giamento amoroso, scambiate tra innamorati e non tra coniugi. L’u-scita dalla prevalente dimensione coniugale, che continua comun-que ad essere rappresentata, incrementa la componente ovidiana, rende il linguaggio più vario e audace e impone nuove formule per l’exordium e la petitio, due parti molto delicate della lettera. Gli

stral-ci riprodotti di seguito, provenienti da lettere della raccolta barberi-niana edita da Helene Wieruszoski, permettono di percepire un cam-biamento nella sensibilità comune, mostrando la ricerca di uno spa-zio semantico per i rapporti epistolari tra uomini e donne:

M. virginali flosculo, G. eius utinam amicus, quidquid facendum censuerat, cum peticionis effectu [...] Iuxta illud Ovidii: fit mihi longa dies, noctes vigilantur amore [...] non modicum terremur et mirando conturbamur, quod nedum meis labella vestra coniungatis, verum etiam eloquia nostra dedignemini audire. Vobis ita prostrati facie supplicamus quatinus vestris eloquiis nos primo dignemini beare ac vestre virginitatis dulcedinem in aliquo saltem prelibare. (Silloge barberiniana 14)

(A M. virginale bocciolo G., magari suo amico, invia qualun-que cosa lo ritenga degno di fare, [sperando] nel [buon] esito

10. Esistono alcune salutationes sentimentali in un testo conservato nel ms. Wien, Österreichische Nationalbibliothek, 2507, 122r–123v:

Pulcrae posiciones magistri Heremanni.

Il codice è molto sciupato e rende ardua la lettura ma, secondo

Turcan-Verkerk, “La Ratio in

dictamina” 933–34, si potrebbe

assegnare alla prima metà del xii secolo; si veda anche Bartoli, “Da Maestro Guido” 125.

(15)

della richiesta. [...] In proposito il verso di Ovidio: lungo il giorno, le notti veglio per amore; [...] sono molto impaurito e – cosa che mi stupisce – scosso per il fatto che tu non solo non hai ancora avvicinato le tue labbra alle mie, ma nemme-no ti degni di ascoltare le mie parole. Per questo col viso prostrato ti supplico affinché per prima cosa tu mi onori di bearmi con le tue parole, e poi tu mi faccia in qualche modo almeno assaggiare la dolcezza del tuo candore.)

V. sermocinalis facetie gemula decorato, M. quod poterat salva virginitate rapi [...]. Sed quoniam vestri pectoris ardores erga nos contulere ac ita iure fore nequaquam dubitamus, idcirco vobis latenter verba, quam cicius, faciemus vestreque voluntati, si forte volueris, satisfacere modicum differemus. (Silloge barberiniana 15)

(A V., decorato con la gemma di una suadente retorica, M. invia ciò che può essere preso, tranne la verginità. [...] Ma poiché mi hai donato gli ardori del tuo petto e così con ragione non dubito che continuerai, con qualche parolina di nascosto ti accontenterò quanto prima, se invece vorrai soddisfare [in pieno i tuoi desideri], aspetteremo un altro po’ di tempo.)

I brevi accenni passionali, le richieste di incontri clandestini e di con-tatti fisici indicano che il desiderio comincia ad essere manifestato, per questo è necessario attenersi a formule e norme codificate: i tem-pi sono maturi perché i dettatori si occutem-pino del problema anche in sede teorica, e non solo esemplificativa. Sarà Maestro Guido, attivo tra la fine degli ’50 e i primi anni ’60 il primo dettatore a dedicare un capitolo (il quarto modo) del suo trattato (Modi dictaminum) alla

re-dazione delle lettere d’amore, analizzando le due varianti diffuse fino a questo momento, quella coniugale e quella di corteggiamento tra innamorati, come chiarisce sintetizzando così l’argomento: “de uxo-re ad virum et viri ad uxouxo-rem, amice ad amicum et amici ad amicam consequenter videamus” (“adesso vediamo le lettere della moglie al marito e del marito alla moglie, dell’amica all’amico e dell’amico all’amica:” Modi dictaminum 145). Le indicazioni contenute nel testo

guidino sono abbastanza semplici, ma bastano per evidenziare una progressiva definizione della sfera fisica.11 Il vocabolario dell’amore comincia a distinguersi, e insieme alle formule affettive che già co-nosciamo (mee vite solacium, pectoris gaudium, tutela et refugium,

“sol-11. “Mandare se ipsum totum vel quicquid habere videtur quod Paris Elene, quod Tisbe Piramus, omnium dilectabilium statum in corporabilem dulcedinis unionem, intimam dilectionem vel amorem, tot salutes quot estas fert flores vel quot mare fert pisces vel quot habent dialectica

lites et similia his sic.” Una salutatio di

questo tipo verrà definita tra qualche

anno rusticam et ridiculosam da

Boncompagno da Signa 34. Si veda

anche la M66 delle Epistolae duorum

amantium: “Gaudia tot retine quot

habent guttas maris unde / Quotque virent herbe quot pisces sunt maris

(16)

lievo della mia vita, gioia del mio petto, salvezza e rifugio”) i nuovi tratti connotativi saranno affidati all’adunaton, all’iperbole (“ex odo-re tui amoris montes transiodo-re, maria nataodo-re et ipsum mortis articu-lum subire non recusarem,” “per il desiderio del tuo amore non rifiu-terei di espormi alla morte né di uccidere qualcuno; non rifiurifiu-terei di varcare i monti e nuotare per tutti mari:” Modi dictaminum 7.16) e al topos dell’impossibilità di esprimersi a parole (“si Tulliana facundia

mihi adeesset [...] id exprimere nulla ratione valerem,” “anche se avessi l’eloquenza di Cicerone, non potrei esprimere in nessun modo ciò che provo:” ibidem): si esce dalla sfera del sentimento generico

pagando un tributo al formulare e all’insincerità. Questo non signi-fica che le situazioni ritratte non siano reali, implica soltanto un pro-gressivo irrigidirsi delle espressioni usate per descriverle. Si veda la rubrica e il testo della lettera 48 contenuta in una silloge di Maestro Guido datata alla fine degli anni ’50:

Diligentis alicuius ad eam quam habere cupit

Dulcissime amanti amantis amator sui pectoris gaudium seipsum totum et plures quam possit mandare salutes. [...] Ex ardore tui amoris [...] nec mortem subire nec alicui potenter vim inferre, neque montes transire neque maria natare ullo modo recusarem. Es nimirum dominarum inclita inter alias splendida, iliis et cuncto corporis statu pre ceteris formosa, omni venustate curialiter docta, capillis et oculis et dulci eloquio decenter conspicua; [...] si amplius vivere velis per latorem presentium aliquid tui amoris signum dirigere et qualiter valeam ad te nocte venire mihi sine mora significare procures. (Maestro Guido, “Epistolae” 48)

(Lettera di un innamorato ad una donna che desidera avere

L’innamorato alla sua dolcissima amata [invia] la gioia del suo petto, tutto sé stesso e tutti i saluti che si possono manda-re. [...] Per il desiderio del tuo amore non rifiuterei di espor-mi alla morte né di uccidere qualcuno, né di varcare i monti o nuotare per tutti mari. Emergi infatti tra le altre donne, sei la più bella di tutte, per i fianchi e per tutta la tua figura sei la più aggraziata, edotta nei modi cortesi, gli occhi, i capelli e la dolcezza del tuo eloquio sono proprio come si conveniene; [...] se vuoi che io sopravviva mandami per il latore di questa lettera un segno del tuo amore e indicami senza indugio in quale modo potrò venire da te di notte.)

(17)

2.3 Lodi della donna e dell’uomo. La lode fisica è del tutto

spersonaliz-zata, si esalta la bellezza del corpo, l’eleganza dei modi, il contegno, cominciando a tracciare un percorso che già in nuce è quello corte-se. Il signum amoris è ormai consuetudine galante – non più indotto

dallo status sociale come nelle lettere tra cognati, ma meno

sponta-neo che in quelle tra amici – così come la richiesta dell’appuntamen-to.12 Stesso tono anima l’iperbolica responsiva, in cui la fanciulla dice di avere rifiutato partiti socialmente più elevati (il miles è di solito

in-serito nel medius situs o nell’infimus situs, se mercenario) e fissa

luo-go e ora dell’incontro, di cui accenna interessanti anticipazioni: Iuvenum pulcherrimo et pre ceteris conspicuo eius dilectio-nis languida sui amoris amplexum et de se quod cupit habere. Mi militum pulcherrime, sincerum mei cordis amorem tibi aliquatenus ut peropto nocte vel die ostendere valerem, illud esset cordis mei gaudium, ingens solacium et immensum refugium totius meae vitae cum pro tui amore [...] duces quoque, marchiones, comites et nobilissimos proceres in amicos penitus recusem. [...] Prudentiam tuam admodum deprecor [...] in nocte diei Iovis ante domum mei patris transire peroptans, hostium posterioris camerae tibi caute propulses. Nam vigilans te sine mora, nudis brachiis, sub variis pellibus suscipiam; et que tibi erunt dulcia, dummodo

mihi fidem velis conservare, tuae dilectioni per omnia studebo exhibere. (Maestro Guido, “Epistolae” 284–85) (Al più bello tra i giovani e tra gli altri il più notevole, [lei] senza forze per il suo affetto, invia l’abbraccio del suo amore e di sé stessa ciò che lui desidera avere. Mio soldato bellissimo, almeno un po’, come mi auguro notte e giorno, potrò mo-strarti l’amore sincero del mio cuore, e che questo è la gioia del mio petto, il grande sollievo e l’immenso rifugio di tutta la mia vita, dal momento che per l’amore che ti porto rifiuterei come amici perfino duchi, marchesi, conti e altri uomini di nobile stirpe. Per questo prego che, prudente, decidendo di passare giovedì notte davanti alla casa di mio padre, tu bussi cautamente alla porta della camera di dietro. Io infatti, aspettandoti sveglia in trepida attesa, ti accoglierò a braccia nude sotto coperte di pelli e cercherò in ogni modo di darti

12. Nelle raccolte esistono varie lettere tra amici in cui si fissa un appuntamento per conoscersi di persona: si vedano Adalbertus Samaritanus 1 e 2; “Silloge Veronese” 11 e 27; Maestro Guido, “Epistole a Guidone composite” 32–33 e 37–38; cfr. anche Haskins.

(18)

tutte le cose per te più dolci, finché ti vorrai mantenere a me fedele.)

Ad una scrittura più scaltra e disinvolta nell’affrontare tematiche sen-suali fa riscontro un sentimento amoroso meno contingente e più stereotipato: tra le caratteristiche socialmente riconosciute come at-traenti in un uomo si fa strada la facondia (“sermocinalis facetie ge-mula decorato,” “decorato con la gemma di una suadente retorica” dell’ep. 15 della Silloge barberiniana) che rende abili alla seduzione e

la prudentia, il riserbo che permette di gestire al meglio le situazioni

galanti, che in ambito cortese saranno rigorosamente esclusive del-la dimensione extra-coniugale. Come è naturale, del-la lode deldel-la bellez-za fisica conduce ad una maggiore concretezbellez-za dei desideri: gli inter-locutori parlano di abbracci, fissano appuntamenti, si promettono soddisfazione delle reciproche fantasie.

2.4 Le Epistolae duorum amantium: analogie lessicali con i testi dittaminali. Qualcosa di ancora più esplicito, sia sul piano

situazio-nale, che emotivo e linguistico, si legge in un epistolario – probabil-mente reale o esemplato su un carteggio reale – che è divenuto mol-to celebre perché al centro di una dibattuta questione attributiva, le

Epistolae duorum amantium [= EdA], composto da 113 brani, di cui

alcuni poetici. Gli interlocutori sono anonimi, distinti solo dall’ini-ziale M (Mulier “Donna”) e V (Vir “Uomo”). Non ci addentreremo

nel problema dell’attribuzione,13 per quanto affascinante, limitando le osservazioni alle affinità che si rilevano con altri modelli di lettera d’amore che si trovano nelle altre raccolte e con l’evoluzione della epistolografia amorosa nel corso del xii secolo, rinviando per una sintesi aggiornata del dibattito al recentissimo volume di Barbara Newman, Making Love in the Twelfth Century, che ho potuto

visiona-re soltanto in maniera desultoria quando l’articolo era già in bozze. Anche la studiosa americana osserva un “intellectual or stylistic en-vironment” con altre collezioni epistolari del xii secolo – incluso quelle composte in zone lontane –, distinguendo però in modo net-to le “authentic love letters” (tra cui le Epistolae duorum amantium e

quelle di Tegernsee) dai “fictives models” dittaminali in cui la rela-zione erotico-sentmentale sarebbe gestita in maniera del tutto diver-sa (xiii, 11, 14 e passim e il paragrafo “How can we tell if the letters

were real love letters or rhetorical models?” in cui si sofferma sui le-gami tra le due categorie).

Quello che viene proposto di seguito è l’analisi di una serie di analogie lessicali e di locuzioni formulari impiegate nei testi dittami-nali che si incontrano anche nel noto carteggio. Il fatto che loci simi­

13. La bibliografia è molto vasta; si veda almeno Mews; Ziolkowski, “Lost and Not Yet Found;” Moos; Jaeger, “Epistolae duorum aman-tium;” e il recente vol. della Newman.

(19)

les si rilevino con testi di ars dictandi prodotti in area italiana non

in-ficia la collocazione francese della silloge (si veda ora la sintesi in Newman 47–48, par. “Where were the letters written?”), dal momen-to che studi recenti14 dimostrano precoci contatti tra dettatori di area italiana e francese anche prima della metà del xii secolo. Per quanto molto studiato, il testo non possiede una datazione accolta in modo unanime;15 analogie stilistiche rilevate con alcuni testi letterari invi-tano a collocare l’epistolario intorno alla metà del secolo xii. Pur pre-scindendo dalla suggestione di trovarsi davanti il carteggio dell’amo-re felice di Abelardo e Eloisa, il testo appadell’amo-re al lettodell’amo-re esemplarmen-te sentimentale, poiché le Epistolae duorum amantium, rispetto agli

esempi fin qui analizzati, possiedono uno sviluppo narrativo, raccon-tano una vicenda d’amore verosimile e articolata, amplificando il senso di spontaneità del contenuto, una caratteristica imprescindi-bile – secondo la sensibilità moderna – del rapporto amoroso (si veda ancora Newman 101–02: secondo la studiosa il carteggio appar-tiene al “rare middle ground” tra la corrispondenza privata e i model-li retorici).

Ma qui non si tratta della natura del sentimento provato, bensì dei modi elaborati per comunicarlo. E in questo senso, le Epistolae duorum amantium sono un testo perfettamente coerente col

conte-sto conte-storico e letterario a cui appartengono, come mostrano il debito contratto dai suoi autori verso le opere di Cicerone e Ovidio (Mews),16 le affinità con importanti testi poetici classici, cristiani e dei secoli xi e xii, che confermano la loro buona formazione e con-tatti col mondo accademico (Stella, “Analisi informatiche” 568) e, in-fine, i numerosi punti di tangenza con l’ars dictandi, il cui ingresso in

area francese (nella 89 la donna è definita “Gemma totius Gallie,” “Gemma di tutta la Gallia”) è stato recentemente anticipato intorno agli anni 1140 rendendo plausibile, intorno alla metà del secolo, una sua precoce diffusione anche nelle strutture formative.

I punti di tangenza tra Epistolae duorum amantium e dictamen17

sono stati solo parzialmente discussi (si veda il già citato volume di Newman) in passato sopratutto da studiosi che hanno giudicato l’e-pistolario un semplice esercizio fittizio elaborato da un dettatore (Moos); al contrario, valorizzerei proprio il tasso di veridicità che la vicinanza con l’ars dictandi comporta, dal momento che epistole con

locuzioni simili a queste sono state inserite dai dettatori nelle raccol-te di modelli.

Le analogie illustrate di seguito, forse, ridimensionano parzial-mente il livello di innovazione tematico e formale di questo

carteg-14. Turcan-Verkerk, “L’introductions.” Si ricordino anche i soggiorni italiani di Pietro di Blois e la presenza nella penisola dell’anonimo dettatore francese, attivo intorno al 1140, a cui dobbiamo la cosiddetta “Aurea Gemma Gallica;” si veda anche

Maestro Guido, Trattati e raccolte

56–62.

15. I sostenitori dell’attribuzione ad Abelardo e Eloisa come Piron o Jaeger, “Epistolae duorum aman-tium” collocano il testo ante 1116 per coerenza con le vicende biografiche di Abelardo e Eloisa; analisi condotte sulla lingua e lo stile consigliano però di posticipare la data almeno intorno alla metà del xii: cfr. Stella, “Epistole duorum amantium” e “Analisi informatiche.”

16. Si veda anche l’epistola EdA 75: “Si

ipse Tullius de se tale aliquid iactasset, vere copiosa eius facundia in solvendo deficeret, quia nichil tanta promissione dignum afferet. Si ad metrum totas Ovidius vires suas intenderet, in hoc incepto planissime

deficeret.” L’uso costante del De

Amicitia e di Ovidio

nell’episto-lografia amorosa del secolo xii indeboliscono leggermente i paralleli

tra le Epistolae duorum amantium e

Abelardo di cui tratta anche Piron. 17. Queste le allusioni esplicite all’atto del dictare reperite nel testo: 33

dictandi fervor; 69 dictaminis dulcedine; 75 litteris dictare; 75 in ipso doloris cursu dictavi et utinam non dictassem; 113 dictat amor que scribere cogor. Il termine è usato fin

dall’an-tichità, ma il suo impiego in un carteggio potrebbe essere sintomo di aggiornamento da parte degli autori. Un certo sfoggio culturale è stato rilevato anche da Fumagalli Beonio

Brocchieri, passim. Più interessante è

osservare alcune analogie con testi dittaminali: la similitudine biblica

della EdA 9 (Sicut lassus..., cfr. Ps.

41.2) è molto diffusa nelle artes

dictandi (si vedano i loci similes in

Maestro Guido, “Epistolae” 27; Id., “Modi dictaminum” 7.23; e

(20)

gio, ma la sua contestualizzazione storica ci permette confronti e con-siderazioni interessanti su quanto andiamo discutendo. Le analogie più significative si rilevano nelle salutationes:18 nella EdA 55

“Viven-tium carissimo, et super vitam diligendo” (“Al più caro degli esseri viventi che va amato più della vita stessa”) è molto simile alla saluta-tio delle Introductiones di Bernardus Magister 80r “Viventium

caris-simo, vel domine, vel matri dulcissime” (“Al più caro degli esseri vi-venti, o alla signora, o alla madre dolcissima”), la salutatio della EdA

21 “dilecto suo speciali: et ex ipsius experimento rei: esse quod est” (“Al suo amato che è speciale per esperienza della cosa stessa: l’esse-re che è”) è molto vicina a Mestro Guido, “Mirae commoditatis” 8 “esse quod est, fuit, eritque” (“l’essere che è che fu e che sarà”), in-sieme ad altre locuzioni che si leggono in epistole della stessa raccol-ta di Guido, rispettivamente la “Mirae commodiraccol-tatis” 25 “Guilelmus id quod est” (“Guglielmo per quello che è”), la “Mirae commodita-tis” 26 “G. id quod est” (“G. per quello che è”), la “Mirae commodi-tatis” 30 “id ipsum quod est, licet nihil esse noscatur” (“ciò che è, seb-bene sia nulla”).19 Le famiglie lessicali a cui gli autori delle EdA

ricor-rono più frequentemente nelle salutationes per descrivere il loro

sta-to sentimentale sono quelle della dilectio, della fidelitas del sustenta­ men, dell’amor, del presidium, della benivolentia: tutti ambiti

seman-tici che l’amore condivide con l’affetto coniugale (cfr. la lettera della moglie al marito lontano: “post Deum amor et desiderium meum, sustentamen, solamen, auxilium et iuvamen laborum et dolorum meorum levamen,” “dopo Dio mio amore e desiderio, sostegno, rifu-gio, aiuto e rimedio dei mali, conforto dei miei dolori:” Lombardi­ sche Briefsammlung 48), con quello filiale (cfr. Maestro Guido,

“Epi-stolae” 41, dove il padre definisce il figlio “gaudium, spem, solacium, refugiumque meum,” “gioia, speranza, sollievo, mio rifugio”), con l’a-micizia (cfr. escerti di lettere tra amici e studenti come “dulcissimo domino et patri carissimo,” “al dolcissimo signore e padre carissimo:” Bernardus Magister 111; “dulcissimo domino et amico,” “al dolcissi-mo signore e amico:” Maestro Guido, “Mirae comdolcissi-moditatis” 29; “N. amicorum dulcissimo C. se, sua, secum. Ut favus mellis est dulcis gu-stantibus [...] sic meus animus tua dulcia verba [...] in corde tenere desiderat,” “A N. il più caro degli amici C. tutta sé stessa, le sue cose, l’essere con lui. Come il favo di miele è dolce per chi lo assaggia, così il mio animo desidera tenere nel cuore le tue dolci parole:” “Silloge Veronese” 15) e con quel misto di devozione e deferenza che caratte-rizza il rapporto col proprio superiore, sia religioso che laico (Jaeger,

Ennobling Love; cfr. le salutationes come “Carissimo patri et domino

18. Analogie si rilevano anche con le

salutationes bibliche della EdA 27:

“Oculos suo: Bezelielis spiritum, trium crinium fortitudinem, patris pacis formam, Idide profunditatem;”

e della EdA 86: “Inepotabili fonti

dulcedinis, pars anime eius indivi-dua: post sollicitudinem Marthe et fecunditatem Lie, possidere optimam partem Marie” (cfr. Bognini; Hugo Bononiensis; Maestro Guido, “Epistolae” 47). Diffusa ma non meno indicativa la locuzione della

EdA 112: “Magistro suo nobilissimo

atque doctissimo.” Si veda in proposito il recentissimo contributo di Turcan-Verkerk (“Troyes MB 1452”) che promette, in prossime pubblicazioni, importanti novità sulla collocazione geografica delle

EdA e valorizza il rapporto del

carteggio con i testi dittaminali. 19. Sulla questione si veda anche Turcan-Verkerk, “Histore de l’ars dictandi” 41–42. Una locuzione simile a quelle analizzate si legge

anche in una salutatio di Bernard de

Meung edita in Ruhe (doc. 9): “se quidquid est.” Le traduzioni dei passi

citati delle EdA sono di Claudio

Fiocchi (dall’ed. Lettere di due

(21)

[...] intime fidelitatis et subiectionis constantiam,” “Al carissimo pa-dre e signore [...] la costanza di un’intima fedeltà e subordinazione:” Maestro Guido, “Epistolae” 43; Hugo Bononiensis 65; e “Aurea Gem-ma Gruppe” AGO 83), proprio come il servitium dell’epistola EdA 36

(“Reverende domine sue, humilis servus eius: devotum servitium,” “Alla sua reverenda signora il suo umile servo invia un devoto servi-zio”), che rimane ambiguo tra il servitium amoris e il famulamen.20

Da un certo punto in poi comincia il tema della malattia d’amo-re (EdA 31 omni egritudine unico remedio “al suo solo rimedio di ogni

malattia,” EdA 32 convalescis “che tu ti ristabilisca;” EdA 48 unica sa­ lus “mia unica salvezza;” EdA 60 vinculo aegri amoris “con il legame

di un amore malato”), di ascendenza ovidiana e destinato a una gros-sa fortuna nella successiva letteratura amorogros-sa, ma che già si trova nelle sillogi di Maestro Guido (“pro desiderio cepi languescere,” “per il desiderio cominciai a languire:” Modi Dictaminum 7.26; “si me

am-plius vivere velis,” “se vuoi che sopravviva:” Maestro Guido, “Episto-lae” 49). Molto interessanti sono le allusioni all’amore fisico, alcune abbastanza esplicite: nella EdA 26 “dilecte sue nondum cognite, sed

adhuc interius cogoscende,” “alla sua amata, ancora sconosciuta, e da conoscere ancora più in profondità;” nella EdA 70 “expectato

desi-derio,” “a colei che è tanto desiderata;” nella EdA 81 “dilectissimo

meo, et ut verum fatear in amore peritissimo,” “al mio amantissimo e, a dire la verità, espertissimo in amore;” nella EdA 93 la citazione

ovidiana “quos amor simul et pudor in diversa rapiunt,” “noi che sia-mo al contempo trascinati in direzioni contrarie dall’asia-more e dal pu-dore” (Met. 1.618–19; Her. 15.121); nella EdA 98 “Tyroni21 et amantium dulcissimo: [...] frigidum neque tepidum fieri in dulcifero nostri amoris ardore,” “ad un principiante e al più dolce degli amanti: [...] possa tu non diventare né freddo né tiepido nel dolce ardore del no-stro amore,” in cui l’antonomastico paragone col soldato (miles amo­ ris?, “soldato d’amore?”) ricorda il mi militum pulcherrime della ep.

49 di Maestro Guido precedentemente analizzata.

2.5 La donna nei modelli epistolari: misoginia e emancipazione.

Questa libertà che si rileva nella gestione della materia amorosa, tan-to nelle lettere maschili che in quelle femminili, esemplifica bene due delle tendenze dell’epistolografia d’amore enunciate nelle premesse: quella che, nei suoi tratti più formulari, si sta evolvendo in senso meno reale e più letterario e quella che procede verso una dimensio-ne più esplicita del linguaggio e dei temi trattati. Molta letteratura,

anche di intrattenimento, è viceversa legata a stereotipi misogini e spesso le donne vengono descritte infedeli e fedifraghe: si pensi alla

20. Non si trovano nei testi epistolo-grafici di questo periodo altre

occorrenze della locuzione servus

eius; il servitium è invece prescritto in

molte circostanze dai dettatori: cfr. Maestro Guido, “Modi dictaminum” 4.1, tanto nelle lettere tra familiari (“Mater vero dulcissima semper dici debet et eis mitti oportet fidele servitium, filialem reverentiam, subiectionem et consimilia”) che ai superiori, sia laici che ecclesiastici, come in Bernardus Magister 78r–v, Hugo Bononiensis 64–65; “Aurea gemma Oxoniensis” 91–93 (“fidelissi-me servitutis et devotionis aug(“fidelissi-men- augmen-tum et similia”).

21. Isidorus Hispalensis, Etymologia­

rum sive Originum libri xx 9.3.36:

“Tirones dicuntur fortes pueri, qui ad militiam delegantur atque armis

gerendis habiles existunt” (PL

(22)

Disciplina Clericalis o alla Dissuasio Valerii. Anche nel De amore si

tro-vano molti accenni alla astuzia femminile (“cave Gualtieri, ne inanis te decipiat mulierum forma, quia tanta solet esse mulieris astutia,” “stai attento Gualtieri, che non ti inganni l’inutile bellezza delle don-ne, poiché di solito è tanta quanta è la loro astuzia:” Andreas Capel-lanus 410–11): questo implicitamente contraddice la libertà sessuale esibita dalle donne negli scambi epistolari che abbiamo analizzato, probabilmente più fittizia e formulare che reale.

Su un piano diverso va considerato il sostrato reale della vicenda amorosa, un elemento che non accomuna tutti i modelli epistolari ma che a volte, come accade nelle Epistolae duorum amantium o

nel-lo scambio di lettere della raccolta di Tegernsee, rende complesso di-stinguere la materia personale da quella più convenzionale.

2.6 Le lettere di Tegernsee, tra epistolografia e soggettività poetica. Le

lettere esemplificative mostrano elementi di formularità, perciò quando l’amore viene descritto fuori dagli schemi, in toni sinceri e personali, la lettera non corrisponde più alla classificazione di sem-plice modello epistolare. Come l’analisi delle Epistolae duorum aman­ tium, anche le lettere di Tegernsee dimostrano che l’emersione di

tratti personali non elude del tutto i modelli dittaminali ma, parten-do da un sostrato linguistico e tematico condiviso, innesta su quello la propria originalità. Della particolare natura di alcune lettere senti-mentali della raccolta di Tegernsee avverte anche Peter Dronke quando, in un contributo recente,22 colloca queste epistole (in parti-colare la 6 e la 7) in uno spazio a sé, situato tra la corrispondenza pri-vata – dispersa – e i modelli di lettera delle artes dictandi. Il noto

stu-dioso non nega che queste epistole abbiano una forte impronta let-teraria (rima, ritmo, citazioni da fonti bibliche e classiche), ma certo non le ritiene modelli fittizi, perché sostanziate di motivi intimi e pri-vati e, soprattutto, poco standardizzate. Queste epistole mostrano una costruzione competente e accurata sul piano retorico, per cui non stupisce ritrovare qui i topoi dell’amicizia ciceroniana e della ina-deguatezza della penna rispetto alla grandezza del sentimento, le espressioni bibliche o letterarie ormai entrate nel lessico dittamina-le: dulciora super mel, flos floris, ut Phebi radius, fides, familiaritas, suo sua sibi se, ecc. (“più dolci del miele, fiore dei fiori, come i raggi del

sole, fede, familiarità, al suo amore le sue cose e sé stesso”). Quando il testo si addentra nella vicenda personale, invece, si leggono espres-sioni di grande allusività fisica (“Tuum expectem reditum, que nocte et die non cesso dolere, velut qui caret manu et pede [...] dum recor-do que dedisti ocula et quam iocundis verbis refrigerasti

pectuscu-22. Dronke, “Women’s Love Letters.” Il contributo è dedicato all’analisi dettagliata di due gruppi di epistole: le epistole 1–3 di cui nell’Appendice si legge l’edizione con traduzione inglese curata dallo studioso, e le sette lettere già edite dalla studioso

nel 1968 (Dronke, Medieval Latin

2.478–82). I due gruppi di lettere sono ora consultabili anche nella edizione di Plechl in un’appendice

all’edizione dei MGH: Tegernseer

Briefsammlung 357–66 e 353–56. La

datazione delle epistole è nella secon-da metà del xii secolo.

(23)

la,” “aspetterei il tuo ritorno, poiché notte e giorno non smetto di sof-frire, come colui al quale manca una mano o un piede; [...] quando mi tornano in mente i baci che mi hai dato e quanto hai alleviato il mio piccolo petto con dolci parole:” Tegernseer Briefsammlung 356),

in cui il lessico è più innovativo e, procedendo per brevi escursioni linguistiche, palesa l’urgenza del sentimento reale permettendoci l’accesso, come lettori, ad una zona di solito poco esplorabile tra la lettera-modello e la corrispondenza privata delle persone colte nel xii secolo (“Are the two letters authentic? [...] They show a remar-kable degree of poetic individuality:” Dronke, “Women’s Love Let-ters” 226).

2.7 Conclusioni. La teorizzazione della lettera d’amore nei

manua-li di ars dictandi conferma la diffusione della redazione di epistole

sentimentali, una pratica che durerà fino alla metà del secolo scorso. Affrontando l’argomento in sede teorica i dettatori devono codificar-ne gli aspetti linguistici, così la lettera tra coniugi viecodificar-ne distinta da quella tra innamorati, in cui la lingua è più esplicita nel descrivere emozioni amorose e desideri. Il corteggiamento è affidato all’aduna-ton e all’iperbole, colores che amplificano il tasso di formularità

del-la comunicazione. Insieme a questi modelli più convenzionali ven-gono però composti carteggi come le Epistolae duorum amantium e,

sopratutto, le lettere Tegernsee, in cui si osserva l’emersione di tratti più connotati in senso personale.

3 L’amore canonico

3.1 Introduzione. Questo paragrafo è dedicato all’analisi delle

temati-che normative in ambito coniugale rintracciabili nei modelli episto-lari. I testi discussi di seguito mostrano, nella loro partecipazione a questo dibatitto, una forte adesione alla realtà quotidiana e rappre-sentano esemplarmente il riflesso dell’etica socialmente condivisa.23 3.2 Precetti coniugali e retorica epistolare. Ciascuna società elabora

sistemi normativi che includono anche la sfera sentimentale; anche nel medioevo l’amore a livello istituzionale è regolamentato da nor-me e divieti, è tutelato sia sul piano civile che etico. Proprio nell’età della Riforma il problema assume maggiore pregnanza, e ciò si riflet-te nei modelli di letriflet-tera sentimentali. Molti dei modelli epistolari analizzati sono redatti da chierici (l’insegnamento è ancora loro ap-pannaggio prevalente), per cui si osserva una certa insistenza su al-cuni punti chiave, che si riflettono sulla concezione sociale

dell’amo-23. Si vedano anche gli Atti delle

Settimane di studi del CISAM Il

matrimonio e Comportamenti e immaginario.

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