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Il missionarismo protestante in Italia

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Il missionarismo protestante in Italia

tra Evangelo e Liberamuratoria

di Marco Novarino*

Dopo la lunga parentesi imposta dalla Restaurazione il rapporto tra mas-soneria e protestantesimo riprese su basi diverse rispetto ai rapporti set-tecenteschi e del periodo napoleonico, e l’anticlericalismo divenne l’ele-mento che rese saldo e, come si vedrà, di non scarsa rilevanza il rapporto tra questi due soggetti. La comune opposizione alla politica della Chiesa cattolica nasceva da posizioni di difesa e rientrava in quel fenomeno ri-corrente di alleanza tra minoranze nei confronti di un avversario sover-chiante. Spesso avveniva che nei piccoli e medi centri le logge o i massoni influenti, anche senza nutrire un particolare interesse per l’opera degli evangelici e tanto meno avendo l’intenzione di abbracciare una nuova fe-de, mettessero a disposizione le loro reti di relazioni per difenderli dagli attacchi del clero locale e, con altrettanta frequenza, accadeva che in bre-ve tempo chi abre-veva beneficiato di tale aiuto chiedesse di essere iniziato.

Sebbene l’anticlericalismo fosse un forte elemento unificante, vi fu-rono, pur nella diversità degli ambiti d’intervento, anche altri atteggia-menti, non solo di tipo “difensivo”, che agevolarono l’incontro. Queste componenti agivano all’interno di un comune progetto di sostenere il tentativo di laicizzazione e modernizzazione condotto dalla dirigenza li-berale. Questo venne favorito anche dal fatto che nelle Chiese protestan-ti, nella seconda metà dell’Ottocento, incominciò a diffondersi la teolo-gia liberale, aperta al positivismo e alla scienza. Anche il deismo, profes-sato da buona parte dei massoni, non era considerato come l’anticamera dell’ateismo come in seguito venne sostenuto dai teologi post-barthiani1.

Anzi, fino all’avvento del fascismo, i teologi protestanti rivolgevano mol-ta attenzione a coloro che partendo da vaghe concezioni deiste

cercava-* Università degli Studi di Torino.

1. G. Bouchard, Quale rapporto si potrà stabilire tra le Chiese evangeliche e la massoneria?,

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no una religione e una Chiesa “nuove”, non tollerando più le posizioni retrograde del cattolicesimo, incapace di offrire una risposta spirituale adeguata al mondo moderno.

La convergenza di diversi progetti culturali diede vita a quello che venne chiamato “massonevangelismo”, termine coniato dal battista e massone Giuseppe Gangale nel suo libro Revival, pubblicato nel 19292.

Per comprendere il fenomeno occorre fare una fondamentale distin-zione riguardante la massoneria3.

All’interno della massoneria italiana rinata nel 1860, si delinearono ben presto due percorsi con il difficile intento di coniugare il positivi-smo con la ricerca della trascendenza. Il primo, diffusamente seguito, idealizzava il cattolicesimo come unico modello di Chiesa e, pertanto, contrastandolo si metteva in discussione il concetto stesso di religione. All’interno di questo modo d’intendere la massoneria vi fu il tentativo di trasformarla in una sorta di “nuova religione”, con la proliferazione di ritualità che in un certo senso cercavano di colmare la mancanza del-le liturgie cattoliche abiurate. Nacquero o, meglio, assunsero vadel-lenze fi-no a quel momento scofi-nosciute nell’ambito della tradizione massonica, momenti rituali che si aggiungevano a quelli classici dell’iniziazione e dell’elevazione di grado e che scandivano i passaggi fondamentali della vita di un uomo: l’agape solstiziale, il matrimonio consacrato nella log-gia, l’adozione dell’Ulivello (una sorta di battesimo per i figli), la tenu-ta funebre, a sua voltenu-ta divisa in due fasi: una prettenu-tamente interna, svoltenu-ta nella riservatezza delle logge, e l’altra pubblica, in un certo modo “spet-tacolarizzata”, con la partecipazione dei labari massonici, delle insegne delle organizzazioni di stampo democratico e anticlericale, della banda e possibilmente con la scelta della cremazione, forma di sepoltura scomu-nicata dalla Chiesa cattolica. Se questo atteggiamento, una sorta di spec-chio “laico” delle liturgie cattoliche, rafforzava lo spirito d’appartenenza e riempiva un vuoto, contemporaneamente esso sconfinava in alcuni casi nell’aperto ateismo, ignorando quindi uno dei “landmark” massonici: la credenza nell’Ente Supremo.

2. G. Gangale, Revival. Saggio sulla storia del Protestantesimo in Italia dal Risorgimen-to ai giorni nostri, Doxa, Roma 1929 (ora ripubblicaRisorgimen-to a cura di A. Cavaglion, Sellerio,

Palermo 1991). Sulla figura di Gangale cfr. G. Rota, Giuseppe Gangale, Claudiana, Torino

2003.

3. Sulla massoneria in Italia nel secondo Ottocento e primo Novecento, cfr. F. Conti,

Storia della massoneria italiana, il Mulino, Bologna 2003; G. M. Cazzaniga (a cura di), Sto-ria d’Italia. Annali, 21. La MassoneSto-ria, Einaudi, Torino 2006.

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il missionarismo protestante in italia

L’altro modello che alcuni massoni adottarono, sicuramente minori-tario ma non per questo insignificante, fu quello di appoggiare o abbrac-ciare nuovi modelli religiosi fungendo da “promotori d’eresia” e trovan-do nelle varie Chiese protestanti, autoctone o d’importazione, un terre-no particolarmente fertile.

Pertanto ridurre il “massonevangelismo” a una semplice convergenza tattica anticlericale, come asseriscono alcuni studiosi4, denota una

pro-fonda incomprensione del paradigma liberomuratorio, sviluppatosi pa-rallelamente all’unificazione italiana. Sia i massoni (legati agli ambienti democratici e garibaldini, che dal 1864 divennero maggioritari all’inter-no del Grande Oriente d’Italia) sia i dirigenti delle confessioni protestan-ti italiane (come la Chiesa crisprotestan-tiana libera o quelle approdate in Italia, come la Chiesa battista, la Chiesa metodista wesleyana dall’Inghilterra, quella episcopale dagli Stati Uniti) pensavano che il ridimensionamento del cattolicesimo fosse un prerequisito per la piena emancipazione e li-bertà del popolo italiano. Differente fu la posizione della Chiesa valdese, la quale si trovò spesso in sintonia con quel settore della massoneria libe-ral-moderata, di origine cavouriana, che dopo un iniziale predominio nei primi anni Sessanta fu sconfitta e ridusse drasticamente la sua influenza a livello nazionale, anche se a Torino per molti anni trovò terreno fertile, rifiutando di condividere gli eccessi anticlericali e le simpatie verso la si-nistra della maggioranza.

Fatta questa premessa occorre fissare dei criteri storiografici su come poter studiare il rapporto tra massoneria e protestantesimo.

La relazione tra massoneria (fino al 1908 non è sbagliato parlare al singolare essendo il panorama liberomuratorio italiano rappresentato quasi esclusivamente dal Grande Oriente d’Italia) e Chiese protestanti non può essere analizzata attraverso il filtro di quanti, di fede protestante, entrarono nelle logge dal 1860 al 1924.

Il numero dei protestanti che chiesero di aderire alla massoneria è un dato difficile da quantificare (a parte i nomi tipici delle valli valdesi, ma anche in questo non esiste la certezza che fossero di fede evangeli-ca) perché all’atto d’adesione al Grande Oriente d’Italia veniva richiesto l’orientamento politico ma non il credo religioso. Ma anche se si fosse a conoscenza, questo dato non risulterebbe un elemento di particolare in-teresse.

4. G. Gamberini, Protestanti e massoni nel primo quindicennio del secolo, in “Rivista

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Un dato certo ed estremamente significativo è invece la presenza dei membri dei corpi pastorali delle Chiese evangeliche (identificati nel li-bro matricolare del Grande Oriente d’Italia quasi sempre come pastori o ministri evangelici) operanti nella penisola e di membri particolarmente attivi nelle comunità evangeliche di cui si trovano testimonianze nella pubblicistica dell’epoca.

A partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento fino all’avvento del fa-scismo sono centodieci i pastori iniziati nel Grande Oriente d’Italia. Questo è un numero sicuramente in difetto non avendo potuto finora consultare il libro matricolare della Gran Loggia d’Italia, la cui nascita nel 1908 è strettamente legata ad ambienti evangelici.

Trattandosi di una ricerca ancora in corso, i dati sono provvisori ma questa presenza può essere così ripartita: valdesi, episcopali e wesleyani tra il 24 e il 26% ciascuno, appartenenti alla Chiesa libera 12%, e stessa percentuale per quella battista.

Occorre sottolineare inoltre che alcuni di essi passarono da una Chie-sa all’altra e quindi bisogna analizzare attentamente il percorso pastorale e la data d’iniziazione.

Tra di essi occorre menzionare Bonaventura Mazzarella, magistrato napoletano rifugiatosi a Torino in seguito a una condanna a morte inflit-tagli per aver partecipato ai moti rivoluzionari del 18485,e l’ex camilliano

Luigi Desanctis, brillante sacerdote cattolico (nominato da Gregorio xvi “qualificatore della suprema inquisizione”) che si avvicinò alla teologia riformata per reazione alla politica autoritaria e illiberale della Chiesa cattolica6. Entrambi aderirono alla Chiesa valdese e Desanctis venne

con-sacrato pastore a Torre Pellice nel 1853. Per via di alcuni dissidi entrambi diedero le dimissioni dalla Chiesa valdese e promossero la costituzione di comunità evangeliche separate, prima a Torino e successivamente a Ge-nova. Queste esperienze, negli anni successivi, si diffusero in numerose località italiane dando vita al fenomeno delle Chiese libere7.

5. Cfr. S. Mastrogiovanni, Un riformatore religioso del Risorgimento: Bonaventura Mazzarella, Libreria Editrice Claudiana, Torre Pellice 1957.

6. Cfr. V. Vinay, Luigi Desanctis e il movimento evangelico fra gli italiani durante il Ri-sorgimento, Claudiana, Torino 1965. Sulla sua influenza sulla massoneria cfr. G. B. Furiozzi, Alle origini del massonevangelismo. Massoneria e protestantesimo in Italia tra ’700 e ’900, in

M. Novarino (a cura di), L’Italia delle minoranze. Massoneria, protestantesimo e repubblica-nesimo nell’Italia contemporanea, Età dell’Acquario, Torino 2003, pp. 59-60.

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il missionarismo protestante in italia

Un altro aspetto che emerge dall’approccio prosopografico è che la stragrande maggioranza dei pastori-massoni operava in aree difficili, e questo conferma quanto detto all’inizio parlando del rapporto di tipo difensivo. Esempio interessante su questo specifico argomento è il per-corso biografico dei pastori valdesi massoni.

L’attivismo degli evangelici americani e inglesi nel tentativo di re-alizzare il disegno utopistico di “evangelizzare” l’Italia, partendo dal presupposto che la fine del potere temporale fosse l’inizio del ridimen-sionamento del potere spirituale cattolico, costrinse i valdesi a uscire dalle valli piemontesi e cercare di diffondersi nel resto della penisola.

La Chiesa valdese formò un Comitato di evangelizzazione che ope-rò dal 1860 al 1915 e, significativamente, due dei suoi presidenti, Mat-teo Prochet ed Ernesto Giampiccoli, furono convinti massoni8 e accesi

sostenitori dell’idea che l’evangelizzazione dell’Italia poteva avvenire solo attraverso una stretta collaborazione con gli ambienti liberali, de-mocratici e anticlericali.

Prochet ebbe straordinarie doti di organizzatore e la sua presiden-za, che durò dal 1871 al 1906, fu fondamentale per la diffusione della Chiesa valdese in Italia.

Giampiccoli, invece, fu presidente del Comitato di evangelizzazio-ne dal 1913 al 1915 e moderatore della Tavola valdese fino al 1921, anno della sua morte9.

Non è un caso che la maggior parte dei pastori valdesi al contempo massoni fossero proprio coloro che operavano lontano dalle valli val-desi e da Torino, ambienti tutto sommato tranquilli, e quindi doveva-no toccare con madoveva-no l’ostilità della Chiesa cattolica e mettere in atto strategie di tipo “difensivo” adottate dai “fratelli” evangelici, metodisti e battisti.

Se fino al 1859 si può parlare di presenze “massonevangeliche”, con la nascita del Grande Oriente Italiano e la successiva unificazione na-zionale iniziò il periodo in cui il rapporto tra massoneria e protestante-simo si esplicherà in modo organico.

8. A. Comba, I valdesi e la massoneria prima e dopo l’Unità, in G. P. Romagnani (a

cura di), La Bibbia, la coccarda e il tricolore. I valdesi fra le due Emancipazioni, 1798-1848,

Claudiana, Torino 2001, pp. 499-500; Id., Valdesi e massoneria. Due minoranze a con-fronto, Claudiana, Torino 2000.

9. Cfr. G. Spini, Italia liberale e protestanti, Claudiana, Torino 2002, pp. 262-5;

Ar-chivio Tavola Valdese, Serie ix, cartella 222, e ArAr-chivio della Società di studi valdesi,

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L’unificazione italiana e la presa di Porta Pia, non solo dal punto di vista politico ma anche da quello simbolico, creò le condizioni per l’arri-vo di missionari metodisti, battisti e di altre chiese estere10 e l’irradiamento

nella penisola della Chiesa valdese e delle cosiddette Chiese libere11.

Il programma di quest’ultime comunità evangeliche era chiaro fin dal-la pubblicazione, neldal-la primavera del 1854, dei primi numeri del periodico “La Luce evangelica”, pubblicato a Torino, che si dichiarava «né anglicano, né protestante, né valdese, ma italiano, e per grazia di Dio, cristiano».

Il maggiore esponente delle comunità delle Chiese libere, che nel 1870 in buona parte si strutturarono nella Chiesa cristiana libera, fu l’ex barna-bita e massone Alessandro Gavazzi12, già cappellano nelle spedizioni gari-baldine e la presenza nel corpo pastorale di libero-muratori consistente.

Sul versante liberomuratorio è storicamente riconosciuto da tutti il ruolo della massoneria nella costruzione dello stato liberale.

La storia dell’organismo massonico, che dominò la scena in Italia fino all’avvento del fascismo, ebbe inizio a Torino con la fondazione della Log-gia “Ausonia” l’8 ottobre 185913.

L’impegno politico in senso democratico, la fede nella scienza e nel progresso, l’anticlericalismo, il rifiuto della lotta di classe e l’attenzio-ne per la questiol’attenzio-ne sociale furono gli elementi fondamentali di questa organizzazione, principi condivisi dai protestanti, come d’altronde era condiviso il principio cavouriano di “Libera Chiesa in libero Stato”. La conferma di tale convergenza è presente nelle costituzioni approvate alla Costituente di Torino del 1861 che individuano tra gli scopi principali della neonata organizzazione la tolleranza e il progresso civile nonché l’eguaglianza assoluta dei culti.

Il nuovo clima di libertà religiosa favorì il lavoro di penetrazione dei protestanti italiani che, attraverso la costruzione di nuovi templi per il cul-to, la diffusione delle Bibbie in volgare, la creazione di giornali e le

predi-10. Sulla presenza del metodismo, wesleyano ed episcopale, in Italia cfr. F. Chiarini, Storia delle Chiese metodiste in Italia 1859-1915, Claudiana, Torino 1999; F. Chiarini (a cura

di), Il metodismo italiano (1861-1991), Claudiana, Torino 1997; P. Naso (a cura di), Il meto-dismo nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma 2012. Per quanto riguarda la Chiesa

batti-sta cfr. D. Maselli, Storia dei battisti italiani (1873-1923), Claudiana, Torino 2003.

11. Sulla Chiesa cristiana libera cfr. G. Spini, L’evangelo e il berretto frigio. Storia della Chiesa Cristiana Libera in Italia 1870-1904, Claudiana, Torino 1971.

12. Cfr. la voce su Gavazzi di Gianni Musella in D. Bognandi, M. Cignoni, Scelte di fe-de e libertà. Profili di evangelici nell’Italia unita, Claudiana, Torino 2011, pp. 73-5.

13. Cfr. M. Novarino, All’Oriente di Torino. La rinascita della massoneria italiana tra conservatorismo cavouriano e rivoluzionarismo garibaldino, Firenze Libri, Firenze 2003.

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il missionarismo protestante in italia

che porta a porta, diedero vita al fenomeno dell’evangelizzazione, reso anco-ra più incisivo dal sopanco-raggiungere delle Chiese inglesi e americane.

Il rapporto tra protestantesimo e logge fu lento e graduale. Inizialmen-te il rifiuto di parInizialmen-tecipare alla vita politica da parInizialmen-te degli evangelici, che si riconoscevano nel “Risveglio”, pose non pochi ostacoli a una cooperazione. Non a caso i massoni protestanti finora citati o si erano staccati dalla Chie-sa valdese (raggiunta dalla “fiammata del Risveglio” durante la prima metà dell’Ottocento e seguace della dottrina di Alexandre Vinet, paladino della apoliticità dei protestanti14) o, pur rimanendo, avevano assunto posizioni

apertamente critiche.

Con la riunificazione di Roma e l’avvento al potere della Sinistra la si-tuazione mutò a causa di vari fattori. L’adesione massiccia della leadership evangelica, oltre ai motivi precedentemente esposti, nacque dalla necessità, da una parte, di trovare sostegno per introdurre nelle basi delle Chiese la teologia liberale e il pensiero illuminista, dall’altra, di esercitare un “ruolo politico” dato che, come ha sottolineato il pastore Paolo Ricca «le Chiese protestanti erano allora in genere allergiche al discorso politico […] ma i pa-stori massoni erano i papa-stori che si erano lasciati tentare dalla politica per far entrare nel corpo sociale i valori dell’Illuminismo, che le Chiese avrebbero potuto e dovuto far proprii diventando loro strumento di questa penetrazio-ne di valori penetrazio-nel corpo della società»15.

Questa interpretazione viene confermata seguendo i percorsi biografici dei più noti pastori massoni come, oltre ai già citati valdesi Prochet e Giam-piccoli, William Burt, Alfredo Taglialatela, Ugo Janni16, Giuseppe La

Sca-la17, Tito Signorelli, Saverio Fera, William Burgess e Teofilo Gay. In

partico-lare questi ultimi tre, oltre a essere stati ai vertici della Chiesa metodista we-sleyana, incisero profondamente nella storia della massoneria italiana dando vita alla famosa scissione del 1908.

L’arrivo di William Burt alla guida della Chiesa metodista episcopale, l’influenza sempre maggiore esercitata da Saverio Fera18 nella Chiesa

evan-14. Cfr. U. Gastaldi, I movimenti di risveglio nel mondo protestante, Claudiana, Torino

1989.

15. P. Ricca, Protestantesimo e massoneria dopo l’Unità d’Italia, in aa.vv., Protestantesi-mo e massoneria in Italia nel secolo xx, cit., p. 28.

16. Cfr. C. Milaneschi, Ugo Janni pioniere dell’ecumenismo, Claudiana, Torino 1979.

17. Su Giuseppe La Scala cfr. la biografia contenuta nelle sue memorie, Diario di guerra di un cappellano metodista durante la prima guerra mondiale, Claudiana, Torino 1996, pp. 11-55.

18. Cfr. G. Spini, Reverendo e massone. Il ruolo di Saverio Fera nella composita geografia dell’Italia evangelica, in Novarino (a cura di), L’Italia delle minoranze. Massoneria, prote-stantesimo e repubblicanesimo nell’Italia contemporanea, cit., pp. 67-91.

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gelica cristiana (seppur in profonda crisi dopo la totale, alle volte servile, adesione alla politica crispina) e l’ingresso di pastori valdesi che operava-no nelle comunità fuori dal Piemonte permettooperava-no di comprendere quanto fosse importante l’intreccio che la leadership protestante italiana cercava di tessere con la politica, prima crispina e poi giolittiana.

In questo scenario di forte impegno politico la Chiesa metodista epi-scopale svolse un ruolo trainante in quanto la maggioranza del suo corpo pastorale aveva aderito al Grande Oriente d’Italia e, a differenza delle altre confessioni, aveva reso esplicita questa liaison. Gli episcopali, attraverso il

loro giornale “La Fiaccola”, fecero conoscere all’interno dell’evangelismo italiano le origini protestanti della massoneria e le successive relazioni che si svilupparono, portando a conoscenza del pubblico italiano, ad esempio, che l’Alleanza Evangelica, fondata nel 1846 da ottocento metodisti, presbi-teriani, battisti e luterani, si riuniva all’interno di un tempio massonico, af-fermando quindi che «Il legame tra evangelismo e massoneria non [era] fe-nomeno solo italiano»19. Gli episcopali non si limitarono tuttavia a

svolge-re un’azione di persuasione nei confronti dei loro confratelli evangelici, ma si rivolsero anche verso i massoni per convincerli ad aderire alle Chiese pro-testanti, come si evince dall’accorato appello lanciato da Gay: «Framasso-ni d’Italia! Aprite gli occhi, vedete come il papismo vi ricompensa della tolleranza che dimostrate al suo riguardo ricevendo tra voi i suoi seguaci […]. Iscrivete nel vostro programma accanto le tante opere filantropiche che la onorano questa che sarà la più patriottica, la più umanitaria Riforma religiosa del nostro popolo»20. Nel caso della Chiesa metodista episcopale

l’ingresso nella massoneria rientrava nel “Grand dessein” del vescovo Burt, che voleva esportare l’esperienza americana anche in campo politico.

Gli Stati Uniti, nei decenni successivi alla fine della guerra civile, vis-sero una stagione di progresso culturale e scientifico e uno sviluppo eco-nomico spettacolare. La contemporanea crescita del protestantesimo e del metodismo in particolare indusse molti americani a credere a un’identifi-cazione tra “cristianesimo riformato” e “civiltà”. A queste conclusioni era giunta anche buona parte della massoneria nord-americana, che divenne paladina e portatrice di questa “civilizzazione”21. Tale identificazione nel

protestantesimo era molto simile a quella presente nei primi anni della

li-19. “La Fiaccola”, 1884, n. 49.

20. “La Fiaccola”, 1884, n. 7, riportato anche in Chiarini, Storia delle Chiese metodiste in Italia 1859-1915, cit., p. 100.

21. G. Spini, Il “Grand Dessein” di William Burt e l’Italia laica, in Chiarini (a cura di), Il metodismo italiano (1861-1991), cit., pp. 112-3.

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beramuratoria speculativa inglese che si evolse però non appena si radicò nel resto dell’Europa. Per questo motivo per i metodisti l’adesione al Gran-de Oriente d’Italia era un fatto naturale essendo una Gran-delle poche organizza-zioni che combatteva strenuamente e a viso aperto il cattolicesimo. E come scrisse il pastore Giovanni Gattuso, l’insegnamento di Cristo rappresenta-va «Un faro luminoso nel buio della tempesta»: e l’unità massonica «una diga formidabile che resisterà allo sfacelo immenso»22.

Secondo Burt il popolo italiano era pronto ad aderire al protestante-simo, perché si stava convincendo che liberalismo e cattolicesimo non po-tevano coesistere e che l’ascendente e il controllo esercitati dal Vaticano su larghi strati di popolazione povera e ignorante rappresentavano un perico-lo mortale per l’Italia.

La bruciante delusione per il fallimento dell’idea “millenaristica” di convertire le masse ignoranti al protestantesimo costrinse, verso la fine dell’Ottocento, una parte del mondo evangelico a cambiare strategia: la riforma religiosa italiana non doveva più partire dal basso, ma occorreva guadagnare al protestantesimo i ceti medi e la classe dirigente liberale23.

Questo cambiamento di obiettivi e l’identificazione con il pensiero ri-sorgimentale, anche nei suoi momenti pubblici, come la consacrazione del tempio metodista a Roma in occasione della celebrazione del xx settem-bre, rappresentarono una novità, tanto che Spini parla di questa esperienza come il risultato di una variante italiana masson-evangelica innestata nel metodismo episcopale tradizionale24. Questa evoluzione ha fatto pensare

che la massima espressione del rapporto evangelico-liberomuratorio fosse rappresentata dal metodismo di origine americana.

La ricerca prosopografica ancora una volta permette di correggere alcu-ne interpretazioni storiografiche formulate in passato.

Il libro matricolare del Grande Oriente d’Italia mette in evidenza una significativa presenza di massoni tra i pastori metodisti wesleyani: ciò in-troduce elementi di riflessione e sicuramente non si può più sottostimare la presenza massonica nel corpo pastorale di questa Chiesa.

Anche se finora non si sono trovate le prove di una adesione alla mas-soneria da parte di coloro che introdussero il metodismo wesleyano, in par-ticolare Henry James Piggott e Thomas W. S. Jones, non mancarono

figu-22. L’affermazione era del pastore Giovanni Gattuso, in “La Fiaccola”, 1887, n. 5. 23. Su W. Burt e il suo progetto cfr. Chiarini, Storia delle Chiese metodiste in Italia 1859-1915, cit., pp. 95-105.

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re importanti come i pastori Ernesto Filippini25 – che ricoprì l’incarico di

membro del Consiglio dell’Ordine del Grande Oriente d’Italia in rappre-sentanza del Rito Scozzese Antico ed Accettato – e Saverio Fera, William Burgess e Teofilo Gay, che ricoprirono ruoli dirigenti nel Grande Oriente d’Italia e nella scissionistica Gran Loggia d’Italia.

L’apogeo del massonevangelismo si ebbe all’inizio del Novecento quando sia la Chiesa episcopale sia quella wesleyana, di comune accordo, decisero di salvare quanto restava della Chiesa evangelica italiana con la conseguente immissione di pastori massoni all’interno dei corpi pastorali metodisti.

L’ingresso di questi evangelici, notoriamente legati agli ambienti radi-cal-massonici e garibaldini, diede un’ulteriore spinta al distacco, almeno dal punto teologico, del metodismo italiano da quello americano e inglese.

Delle altre Chiese operanti in Italia solo in quella battista si riscontra-no presenze massoniche ma in numero nettamente inferiore e senza ruoli significativi sia al suo interno sia nel Grande Oriente d’Italia.

Rimane il nodo storiografico dei rapporti con la Chiesa valdese. In que-sto caso più che di strategie bisogna parlare di personalità che sposarono un progetto e anche in questo caso la ricerca prosopografica ci viene in aiuto.

Come si è visto, per alcuni pastori valdesi l’iniziazione massonica era avvenuta quando operavano in altre chiese. Il caso più famoso fu quello di Teofilo Gay26.

Il ritorno del pastore di Pomaretto in seno ai valdesi, dopo una breve, ma intensa, esperienza tra i metodisti episcopali, potenziò il “massonevan-gelismo” nelle valli native e ruppe quel muro di indifferenza che fino a quel momento era esistito. La Chiesa valdese era consapevole che i contatti ma-turati negli Stati Uniti grazie alle sue frequentazioni massoniche potevano essere molto utili. La biografia di Gay conferma quanto affermato all’ini-zio: la doppia appartenenza non servì solo ai pastori come appoggio nelle realtà in cui operavano ma viceversa aprì le porte a contatti internaziona-li attraverso la mediazione delle massonerie anglosassoni e risultò utile in momenti di tensione e scissioni che il Grande Oriente d’Italia attraversò.

Pupillo di Mazzarella, che dopo i burrascosi trascorsi a Torino e Ge-nova era diventato deputato al Parlamento e punto di riferimento per gli

25. Cfr. la voce su Filippini di Roberta Peyrot in Bognandi, Cignoni, Scelte di fede e libertà. Profili di evangelici nell’Italia unita, cit., pp. 110-1.

26. Cfr. A. Comba, Teofilo Gay, pastore e intellettuale, in “Bollettino della Società di

Studi Valdesi”, 1993, ora anche in Chiarini (a cura di), Il metodismo italiano (1861-1991),

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evangelici non-valdesi, Gay aderì, su invito del suo maestro, a un Supremo Consiglio del Rito Scozzese Antico ed Accettato che operava a Torino ed era in competizione con quello che agiva a Roma. Neanche un anno dopo la sua iniziazione, avvenuta nel 1877, il pastore metodista aveva già raggiun-to il più alraggiun-to grado “scozzesista”. Una tale e repentina carriera, per altro non inusuale all’epoca, non era sicuramente estranea al fatto che Gay facesse parte dei metodisti episcopali e quindi fosse a stretto contatto con quei pa-stori massoni americani che ricoprivano importanti cariche all’interno del più antico e importante Rito Scozzese, quello della circoscrizione degli Sta-ti UniSta-ti del Sud. Intrattenere rapporSta-ti privilegiaSta-ti con i “fratelli” americani era fondamentale per ottenere il riconoscimento internazionale di essere l’unica e autentica massoneria “scozzesista” operante in Italia.

La riunificazione, ma soprattutto la guida di Lemmi, segnarono la fine di un decennio di crisi e l’inizio del “periodo d’oro” della liberamurato-ria italiana con positive ricadute nel campo “massonevangelico”. Il Grande Oriente aveva bisogno di adesioni prestigiose capaci di influenzare i settori sociali e culturali d’appartenenza, mentre i protestanti sentivano la neces-sità di cominciare a far “politica” e trovare sostegno per l’opera di proseli-tismo. Questa nuova congiuntura agevolò l’attività massonica all’interno delle valli, dopo che nel 1900 Gay aveva assunto la guida della comunità di Luserna San Giovanni. Il suo ritorno e la nascita della loggia “Excelsior” a Torre Pellice, capitale del protestantesimo italiano, fecero entrare in fibril-lazione il conservatorismo del Sinodo, ma ben presto la leadership valdese si rese conto che questo era un pegno che si poteva pagare visti i fruttuosi viaggi negli Stati Uniti effettuati da Gay alla ricerca di finanziamenti per la Chiesa, ottenuti anche grazie alle entrature derivategli dai suoi incarichi nel Rito Scozzese27. Ridurre il ruolo svolto da Gay e da altri pastori

mas-soni, in entrambi gli ambienti, a una mera manovra con fini politici o di mutuo aiuto sarebbe ingiusto e riduttivo, ma sicuramente la conoscenza di questi aspetti è importante per capire il complesso intreccio evangelico-massonico.

Finora è emerso l’impatto della massoneria sulle Chiese protestanti, in particolare quelle metodiste.

Ma l’influenza non fu monodirezionale. Tra i molti esempi il più signi-ficativo è quello che avvenne nel 1908 quando il Grande Oriente d’Italia subì la più grave scissione della sua storia.

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La mancata approvazione alla Camera della legge che vietava l’insegna-mento della religione nelle scuole elementari, a causa anche del voto con-trario di numerosi deputati massoni, provocò una forte indignazione nelle logge e costrinse il Gran Maestro Ettore Ferrari ad adottare atti disciplinari nei confronti di coloro che non avevano appoggiato la mozione presentata dal deputato socialista Leonida Bissolati.

Fera, che in quel momento svolgeva l’incarico di facente funzioni di Sovrano Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato, e Gay non avallarono questo atto disciplinare e, proclamandosi come i soli rappresentanti della massoneria “scozzesista” in Italia, fedele alle direttive di quella americana, si allontanarono dal Grande Oriente d’Italia.

Rilevanti in questa contesa, condotta senza esclusioni di colpi, furono le relazioni “evangeliche” tessute dai leader della scissione. Il responsabile della Chiesa metodista wesleyana, William Burgess, si adoperò presso il Supremo Consiglio di Washington, indiscussa autorità mondiale nel Rito Scozzese. Il pastore metodista accompagnò nel 1912 lo stesso Fera e l’on. Giovanni Camera, ex ministro e giolittiano di stretta osservanza, negli Sta-ti UniSta-ti, dove ottennero il riconoscimento della maggior parte dei Sovrani Commendatori dei Riti Scozzesi operanti nel mondo, riuniti a Washing-ton per il loro tradizionale incontro. Anche il Grande Oriente si rivolse a un pastore protestante per perorare la sua causa. In una ricerca effettuata nell’archivio di William Burt, Giorgio Spini ha rinvenuto alcune notizie su questa vicenda e le prove che l’anziano pastore, memore dei buoni rappor-ti intessurappor-ti con i verrappor-tici “giusrappor-tinianei”, si adoperò affinché, come avvenne, i vertici di numerosi Supremi consigli “scozzesisti” raccomandassero la ri-conciliazione fra la Gran Loggia e il Grande Oriente28.

Rimanendo nel campo dell’intervento politico, la frequentazione del-le “volte stellate” contribuì anche al progressivo distacco dei metodisti dal conservatorismo in campo politico, professato da buona parte del mon-do protestante e in particolare da quello valdese. Durante la stagione dei “blocchi popolari”, voluta e patrocinata dal Grande Oriente e in particolare dal Gran Maestro Ettore Ferrari, non era strano incontrare metodisti epi-scopali tra i repubblicani e persino tra i socialisti, malgrado la linea ateistica portata avanti dai loro dirigenti.

Non è da escludere che la politica d’apertura a sinistra della dirigenza del Grande Oriente d’Italia abbia anche influito sull’evoluzione del pen-siero evangelico che dalla condanna senza appello contro i «fumi rossi di

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il missionarismo protestante in italia

certi cervelli esaltati» e le «ubriacature anarchiche»29 arrivò ad auspicare

un dialogo con il movimento socialista30, apertura portata avanti dai

pasto-ri episcopali Pietro Taglialatela e dai suoi figli, entrambi massoni, Alfredo ed Edoardo, e da Paolo Pantaleo, rappresentante della Chiesa evangelica italiana, che scrisse alcuni interessanti articoli sul rapporto tra cristianesi-mo e lotta di classe31.

Ma più che di reciproche influenze occorre parlare di convergenze, e non solo quelle di ampio respiro, come l’anticlericalismo e la costruzione laica e moderna.

Analizzando il dibattito sugli interventi in campo sociale, non può sfuggire la straordinaria affinità del solidarismo massonico con l’essenza e la dottrina della diaconia; in alcuni casi siamo in presenza di una significa-tiva collaborazione. Se l’impegno in campo politico e l’acceso anticlerica-lismo prefigurarono la nascita di una massoneria filo-francese, razionalista e positivista, il fervore pedagogico-filantropico la riavvicinò all’area anglo-sassone e alla tradizione della liberamuratoria operativa.

Una interessante convergenza tra metodismo e valdismo da una parte e massoneria dall’altra fu la comune e appassionata opera a favore degli emi-grati che vide la nascita di numerose Chiese e logge nelle comunità italiane all’estero. Significativa fu l’esperienza del pastore massone Gaetano Conte, che diresse la missione per immigrati italiani a Boston, nella cui cappella spesso si tenevano discorsi politico-patriottici su temi come “Garibaldi al Volturno”, e fondò un’associazione operaia intitolata non a un personaggio religioso ma al padre della patria e massone George Washington.

Un altro significativo esempio fu l’intreccio con la “Società Dante Ali-ghieri”, in parte creatura del Grande Oriente d’Italia, che servì per l’aper-tura di una chiesa metodista italiana a Trieste (che divideva i locali con una loggia) da parte del pastore e massone Felice Dardi32, che ebbe numerose

disavventure finendo nel 1905 sotto processo con l’accusa di aver tenuto riunioni non autorizzate.

29. “L’Evangelista”, 1894, nn. 2 e 4.

30. Sulle relazioni tra movimento socialista e massoneria rimandiamo M. Novarino,

Tra squadra e compasso e sol dell’avvenire. Influenze massoniche sulla nascita del socialismo in Italia (1864-1892), Fondazione Università Popolare di Torino, Torino 2013, e Id., Compagni e liberi muratori. Socialismo e massoneria dalla nascita del Psi alla grande guerra,

Rubbetti-no, Soveria Mannelli (cz) 2015.

31. Cfr. Gesù e noi, in “L’Evangelista”, 1905, n. 12, e Lotta di classe e cristianesimo, in

“L’Evangelista”, 1905, n. 15.

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Ultima convergenza temporale ma non ultima per peso politico fu l’appoggio fornito sia dalla massoneria sia dalle Chiese protestanti ai mo-dernisti.

Nel 1907 Pio x emanò l’enciclica “Pascendi” contro il modernismo. La scomunica di quello che venne definito “sintesi di tutte le eresie” suscitò le simpatie dei massoni verso i modernisti che proponevano un messag-gio evangelico improntato alla tolleranza, alla libertà di coscienza, sensibi-le verso i più poveri e disagiati, per cercare di superare la frattura che si era creata tra pensiero moderno e cattolicesimo.

Questo intervento non poteva non essere accolto con particolare fa-vore soprattutto da quella componente più vicina alla tradizione inglese dove si collocavano i pastori protestanti. Questo clima di “embrace”, nato nell’ambito del massonevangelismo, favorì una nuova ondata di passaggi di ecclesiastici dalla Chiesa cattolica alle Chiese protestanti e in seguito alle logge, fenomeno presente anche nei decenni precedenti con nomi di spicco come quello del già citato Desanctis e del teologo Ugo Janni, che divenne pastore valdese e fondò nel 1900 la loggia “Giuseppe Mazzini” a Sanremo. Concludendo sorge spontanea la domanda: quale fu l’influenza che questi due mondi reciprocamente si scambiarono? Alcuni autori hanno in passato minimizzato l’impatto che il protestantesimo ebbe sulla massone-ria in età liberale. La recente storiografia sulla massonemassone-ria, anche a livello locale, ha invece evidenziato numerose situazioni in cui l’influsso evange-lico ebbe un ruolo importante. A parte la citata vicenda della scissione fe-riana del 1908, senza dubbio la presenza protestante, soprattutto dei suoi esponenti ecclesiali, consentì ai vertici massonici di respingere le accuse di essere un’istituzione atea e di mantenere buoni rapporti con la potente massoneria americana, visto che quelli con la massoneria inglese erano sem-pre stati frenati da una certa diffidenza da parte di Londra.

Più complesso e articolato fu il ruolo della massoneria nei confronti del protestantesimo. Attraverso l’adesione alla massoneria i pastori pro-testanti poterono uscire da quella segregazione in cui lo spirito del “Ri-sveglio” li aveva in un certo senso costretti, e aprirsi, come cristiani, verso la società, indipendentemente se i loro interlocutori fossero evangelici, cattolici o laici.

Aprirsi al mondo significava fare “politica” nel senso più ampio del ter-mine, frequentare uomini di fedi diverse o addirittura senza fede, di con-vinzioni politiche differenti, non disinteressandosi delle tensioni esisten-ti nella società, non considerando le lotte poliesisten-tiche ed economiche come qualcosa di estraneo o cercando rifugio e protezione nella lettura e

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nell’in-il missionarismo protestante in italia

terpretazione della Bibbia. Questa apertura passava non solo, ma anche, nelle logge massoniche e tale esperienza favorì l’affermazione del libera-lismo teologico protestante e un impegno cristiano-sociale diverso e più ampio da quello fino a quel momento praticato.

La partecipazione alla politica spinse i protestanti ad adoperarsi per la modernizzazione del paese, che doveva essere sostenuta grazie alla scienza e all’impegno intellettuale.

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