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preparazione di cromofori organici come sonde fluorescenti per lo studio di polimerizzazione del poliuretano

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in Chimica Industriale

Curriculum: Materiali

Classe: LM 71 (scienze e tecnologie chimiche)

Preparazione di cromofori organici come sonde fluorescenti

per lo studio della polimerizzazione del poliuretano

RELATORE

Prof. Andrea Pucci

CONTRORELATORE

Prof.ssa Celia Duce

CANDIDATO

Eugenio Schiavo

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(3)

3

INDICE

INTRODUZIONE ... 7

1.1 Principi di fluorescenza ... 7

1.2 Rotori molecolari fluorescenti FMRs ... 12

1.3 Effetto AIE in fluorofori organici ... 17

1.4 Solvatocromismo ... 23

1.5 Proprietà dei Poliuretani ... 26

1.6 Meccanismi di sintesi del poliuretano ... 33

SCOPO DELLA TESI ... 39

RISULTATI E DISCUSSIONE ... 40

3.1 Sintesi di 2-etilesil-2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato ECIFA ... 40

3.2 Sintesi di 7-dietilammino-3-ciano-cumarina DACC ... 44

3.3 Sintesi di 5(4(dietilammino) 2idrossibenzilidene) 1,3dietil2tiossodiidropirimidine4,6(1H,5H) -dione (SAl-BARB) ... 46

3.4 Diffrazione raggi X su cristallo singolo (XRD) di SAL-BARB: ... 48

3.5 diffrazione raggi x da polveri ... 50

3.6 Caratterizzazioni ottiche ... 51

Proprietà ottiche di DACC in soluzione... 51

Proprietà ottiche: SAL-BARB in soluzione ... 59

Proprietà ottiche di SAL- BARB allo stato solido ... 64

3.7 Sintesi del poliuretano: caratterizzazione dei polimeri ... 65

3.8 Sintesi del poliuretano: misure di viscosità ... 69

3.8 Sintesi del poliuretano: misure di fluorescenza ... 72

CONCLUSIONI ... 81 PARTE SPERIMENTALE ... 82 5.1. Solventi e reagenti ... 82 5.2 Strumenti e metodi ... 84 5.2.1 Viscosimetria ... 84 5.2.2 Spettroscopia di fluorescenza ... 84 5.2.3 Spettroscopia UV-vis... 84 5.2.4 Spettroscopia NMR ... 85 5.2.5 Spettroscopia FT-IR ... 85 5.2.6 Fotodiodo ... 85

5.2.7 Rese quantiche di fluorescenza ... 85

5.2.8 Cromatografia a permeazione di gel (GPC) ... 85

(4)

4

5.2.10 Gas cromatografia + spettrometro di massa (GC-MS) ... 86

5.2.11 Diffrazione raggi x su cristallo singolo (XRD) ... 86

5.2.12 Diffrazione raggi x da polvere (XRD) ... 86

5.3 Sintesi di 5-(dietilammino)-2-formilfenilacetato DASA prot ... 87

5.4 Sintesi di 2- etilesil-2-cianoacetato EECA ... 90

5.5 Sintesi di 2-etilesil-2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato ECIFA ... 94

5.6 Sintesi di 7- dietilammino-3-cianocumarina DACC ... 98

5.7 Sintesi di: 5-(4-(dietilammino)-2-idrossibenzilidene)-1,3-dietil-2-tiossodiidropirimidine-4,6(1H,5H)-dione SAL-BARB ... 105

5.8 Sintesi dei poliuretani ... 112

(5)

5

Abstract

Questo lavoro di tesi si incentra sullo studio di nuovi materiali intelligenti, capaci di dare una risposta immediata, apprezzabile mediante la misura di specifiche proprietà, quando soggetti ad uno stimolo di varia natura come ad esempio stimolo chimico, meccanico, luminoso, o

calore1. Recentemente materiali di questo tipo sono stati preparati con lo scopo di fungere da

detector per i composti organici volatili o per solventi organici nocivi, diventa quindi fondamentale che questi materiali abbiano una sensibilità elevata e un buon grado di affidabilità nel dare una risposta efficace a tali composti. Con l’introduzione di fluorofori organici all’interno di matrici polimeriche si ottengono materiali innovativi che allo stesso tempo mantengono le proprietà dei polimeri inalterate come ad esempio quelle

termomeccaniche unite alle proprietà ottiche del fluoroforo2-3. Un efficace metodo di

rilevazione è la spettroscopia di fluorescenza essendo una tecnica analitica caratterizzata da

un’eccellente sensibiltà, velocità nella risposta ed elevato rapporto segnale rumore4. Questo

elaborato si inserisce in questo scenario prendendo in esame delle sonde organiche fluorescenti per lo studio e la determinazione del grado di polimerizzazione del poliuretano. Il fenomeno fisico alla base delle sonde studiate è la fluorescenza e in particolare la sua variazione in funzione dell’ambiente circostante. Recentemente, precisamente nel 2001, è

stato coniato da un gruppo di ricerca dell’istituto HKUST a Shenzhen (Cina)5, il termine AIE

ossia aggregation induced emission, studiando le proprietà ottiche di alcuni cromofori organici allo stato solido. Questo fenomeno ha suscitato grande interesse per questo tipo di composti organici dato che hanno un comportamento allo stato solido opposto rispetto a quello mostrato dai tradizionali coloranti organici che tendono a presentare quenching della

fluorescenza allo stato solido (ACQ)6. Con la scoperta di questo tipo di cromofori si è

riscontrata la possibilità di ottenere dispositivi optoelettronici con applicazioni altamente tecnologiche, ad esempio diodi organici a emissioni di luce che operano allo stato solido, o

fotodiodi7. L’effetto AIE è spiegato con la restrizione dovuta a formazione di aggregati dei moti

rotazionali (RIR) o vibrazionali (RIV) intramolecolari che si hanno per molecole la quale

struttura chimica è costituita da una o più unità capace di ruotare 7-8-9. Fluorofori AIE che

presentano gruppi funzionali elettron- donatore ed elettron -accettore vengono spesso

denominati rotori molecolari fluorescenti (FMR)8. FMR sono cromofori in grado di modificare

(6)

6

viscosi i FMR dissipano l’energia assorbita attraverso meccanismi di diseccitazione non radiativa tornando nello stato fondamentale senza emissione di luce. Di contro in mezzi altamente viscosi i meccanismi di rilassamento non radiativi, come ad esempio rotazioni attorno ad un legame singolo sono maggiormente impediti, in queste condizioni si osserva quindi un aumento dell’emissione. Per queste caratteristiche sistemi AIE e FMRs sono utilizzati come sonde per determinare la viscosità o una variazione di viscosità nei fluidi, con una sensibilità comparabile a quella dei viscosimetri meccanici. Offrono inoltre vantaggi come l’utilizzo di modeste quantità di campione e tempi di misurazione brevi e vengono spesso

utilizzati nei biofluidi che hanno comportamento non Newtoniano10. In questo elaborato viene

riportata la preparazione di 3 cromofori organici ed uno studio delle loro proprietà ottiche. Il primo cromoforo sintetizzato è 2-etilesil-2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato (ECIFA), il secondo 7-dietilammino-3-cianocumarina (DACC), mentre il terzo 5-(4- (dietilammino)-2-idrossibenzilidene)-1,3-dietil-2-tiossodiidropirimidine4,6(1H,5H)-dione(SAL-BARB). DACC e SALB-BARB sono stati ottenuti in buona resa pertanto è stato possibile investigare le loro proprietà ottiche in soluzione e allo stato solido. Nel caso di ECIFA si è ottenuta una resa molto bassa, pertanto si è deciso di non proseguire gli studi su tale cromoforo. DACC si è dimostrato essere un rotore molecolare fluorescente con proprietà solvatocromiche ed è stato applicato per lo studio del processo di polimerizzazione del poliuretano. SAL-BARB invece, ha mostrato comportamento (AEE) (aggregation enhanced emission), tuttavia l’emissione in soluzione e la resa quantica allo stato solido sono risultate piuttosto basse, tanto da non poterlo applicare per lo studio della cinetica del poliuretano. Studi presenti in letteratura hanno riportato l’utilizzo, di cromofori con struttura simile a

SAL-BARB, in celle solari a pigmenti organici (DSSC)24. Studi sul suo utilizzo in applicazioni di questo

(7)

7

Capitolo 1

INTRODUZIONE

1.1 Principi di fluorescenza

A temperatura ambiente la maggior parte delle molecole si trova nel livello vibrazionale più basso dello stato elettronico fondamentale. L’assorbimento di un fotone sufficientemente energetico porta un elettrone ad un livello vibrazionale dello stato elettronico eccitato ad energia maggiore. L’emissione di luce che si ha quando l’elettrone rilassa dallo stato elettronico eccitato allo stato fondamentale è chiamato “luminiscenza”. I fenomeni di luminescenza si dividono in due categorie, la fluorescenza e la fosforescenza. La prima è un meccanismo di rilassamento radiativo da uno stato eccitato di singoletto allo stato elettronico fondamentale. In questo caso nella transizione da uno stato all’altro non si verifica un cambio della molteplicità di spin. Dato che i due elettroni conservano la stessa molteplicità di spin, l’elettrone nello stato elettronico eccitato tende a decadere allo stato elettronico fondamentale emettendo un fotone ad energia minore rispetto al fotone assorbito. Questa emissione in genere molto rapida avviene in circa 10 ns dopo l’eccitazione. Il tempio medio impiegato dall’elettrone a decadere allo stato fondamentale è chiamato tempo di vita del fluoroforo ()m . La fosforescenza è anch’esso un rilassamento di tipo radiativo e si verifica quando un elettrone nello stato eccitato di tripletto ritorna nello stato elettronico fondamentale. Questa transizione, proibita secondo le regole di selezione quantomeccaniche, può verificarsi grazie ad un cambio della molteplicità di spin, l’emissione risulta più lenta con ms1s. La fluorescenza si verifica solitamente per composti organici aromatici o altamente coniugati come mostrato in figura 1.1.1

(8)

8 Tetracene O O Cumarina HO O O COOH Fluoresceina N O N COOH Cl Rodamina B

Figura 1.1.1: struttura chimica di alcuni fluorofori organici

Una rappresentazione schematica di tutti i processi che avvengono o competono con la fluorescenza è fornita dal diagramma di Perrin-Jablonski mostrato in figura 1.1.2. Dal diagramma è possibile osservare i fenomeni di assorbimento di fotoni, fluorescenza, fosforescenza, conversione intersistema, conversione interna e transizioni tripletto-tripletto.

(9)

9

Figura1.1.2: Diagramma Perrin-Jablonski95

Dove S0 S1 S2 sono i primi tre stati di singoletto. Con S0 si indica lo stato elettronico fondamentale

mentre S1 S2…sono gli stati elettronici eccitati, mentre con T1 T2… si indicano gli stati elettronici di

tripletto. Sono mostrati inoltre per ogni stato elettronico i sottolivelli vibrazionali. La differenza di energia tra i livelli vibrazionali è apprezzabile nello spettro di emissione e consiste nella differenza tra i massimi di intensità. L’assorbimento del fotone è visibile nel diagramma come linea verticale che parte dallo stato elettronico fondamentale e arriva allo stato elettronico eccitato. Questo

principio, noto come principio di Franck-Condon20, è un processo istantaneo che avviene in circa 10

-15 secondi. A temperatura ambiente lo stato elettronico maggiormente popolato è lo stato

elettronico fondamentale. A questa temperatura infatti, le molecole non hanno energia sufficiente

per superare il gap di energia che si ha tra lo stato S0 e lo stato S1. In seguito all’assorbimento del

fotone possono verificarsi vari fenomeni. Solitamente si ha una transizione dallo stato S0 ai livelli

vibrazionali ad energia maggiore dello stato eccitato S1 o S2. Le molecole possono rilassare per vie

non radiative, a livelli vibrazionali ad energia più bassa dello stesso stato elettronico eccitato, o rilassare a livelli vibrazionali più bassi di un altro stato elettronico ma con stessa molteplicità di spin.

(10)

10

efficiente rispetto alle transizioni tra stati eccitati, data la loro notevole differenza di energia. Dal

diagramma è inoltre osservabile la transizione che si ha tra lo stato S1 allo stato di tripletto T1,

posizionato ad energia minore. Questo processo di inversione di spin noto come conversione intersistema, è una transizione proibita dalle regole di selezione, ma diviene possibile dato che i

livelli S1 e T1 non sono totalmente degeneri. Questo processo è abbastanza veloce, circa 10-10-10-8 s,

tanto da poter competere con altri processi di diseccitazione. Da questo stato di tripletto, può innescarsi un altro meccanismo di rilassamento radiativo chiamato fosforescenza, che come si

osserva dal diagramma, avviene a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla fluorescenza15. Questa

differenza in termini di lunghezza d’onda è dovuta alla minore energia dello stato di tripletto T1

rispetto allo stato di singoletto S1. La fosforescenza inoltre, è un processo più lento in termini di

tempo di vita medio dato che richiede un intervallo di tempo compreso tra 10-6s e 1s. Un altro

meccanismo di diseccitazione radiativa che può avvenire è la fluorescenza. Si tratta di un processo

spontaneo con emissione di un fotone ed è associato dalla transizione S1→S0. Dal diagramma in

figura 1.1.2 è interessante notare che la fluorescenza decade a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla lunghezza d’onda d’eccitazione. Il fotone emesso infatti, ha energia inferiore rispetto a quello assorbito, dato che parte dell’energia assorbita viene dissipata per mezzo di rilassamento vibrazionale. La differenza in termini di lunghezza d’onda tra il massimo di emissione e il massimo di assorbanza è detto spostamento (shift) di Stokes ed è peculiare per ogni fluoroforo. Un’altra importante proprietà per i cromofori è il tempo di vita dello stato eccitato , che corrisponde al tempo in cui la molecola rimane nello stato eccitato senza che venga emesso un fotone. Questo ha delle ripercussioni sull’intensità di emissione che si osserva nello spettro, difatti maggiore è il tempo di vita dello stato eccitato e minore sarà l’intensità di emissione registrata. Di conseguenza la molecola ha più tempo per dissipare l’energia attraverso processi non radiativi. Un modo per quantificare la fluorescenza, è la resa quantica (Questa è definita come il rapporto tra il numero

di fotoni emessi durante la transizione S1.2,..→S0 (emissione) e quelli assorbiti durante la transizione

So→S1,2,..(assorbimento). Matematicamente è espressa come il rapporto tra la costante di velocità

del decadimento radiativo e quella data da tutti i processi coinvolti sia radiativi che non radiativi. L’equazione della resa quantica di fluorescenza è riportata in figura 1.1.3.

(11)

11

(1.1.3)

 kr costante cinetica per i processi radiativi

 knr costnte cinetica per i processi non radiativi

Dall’equazione 1.1.3 si osserva che la resa quantica è direttamente proporzionale alla costante di velocità per processi radiativi e inversamente proporzionale alla costante di velocità per i processi non radiativi. Di conseguenza tutti i fattori esterni che influiscono sul tempo di vita dello stato eccitato quali pH, concentrazione del fluoroforo, polarità e viscosità del mezzo, interazione con altre molecole in soluzione o molecole di solvente, favoriscono i processi non radiativi causando una perdita in termini di resa quantica. Il tempo di vita  dello stato eccitato è espresso matematicamente dall’equazione 1.1.4 di seguito riportata;

(1.1.4)

L’interazione del fluoroforo con altre molecole causa uno smorzamento della fluorescenza (quenching) questo può essere sia statico che dinamico-collisionale.Il quenching statico si ha quando il “quencher” forma un complesso con il fluoroforo nel suo stato fondamentale variando così le proprietà chimico-fisiche e rendendolo non fotoemissiva. Il quenching collisionale si ha quando il fluoroforo in soluzione interagisce con il quencher, si ha quindi rilassamento allo stato fondamentale senza emissione di fotoni. Non essendoci quindi una vera reazione fotochimica entrambe le specie chimiche non presentano cambiamenti permanenti nella loro struttura, questo effetto è descritto

dalla relazione di Stern-Volmer93 descritta in figura 1.1.5. Un altro esempio di quenching collisionale

è quello dovuta all’interazione tra solvente e il fluoroforo. Molti fluorofori nello stato eccitato presentano un elevato momento di dipolo, che può essere stabilizzato tramite interazioni specifiche del solvente ad esempio legami a idrogeno, interazioni dipolo-dipolo o di natura elettrostatica. Questo si traduce con un abbassamento di resa quantica di fluorescenza.

(12)

12

∅[ ]

= 1 + 𝑘 [𝑄]

(1.1.5)

 resa quantica del fluoroforo in assenza del quencher

 [𝑄]resa quantica del fluoroforo in presenza del quencher

 Ksv = costante di Stern-Volmer influenzata dall’intorno chimico del quencher

1.2 Rotori molecolari fluorescenti FMRs

La fluorescenza di molti fluorofori dipende dalla struttura e la flessibilità della loro struttura chimica. Questi fluorofori la cui fluorescenza dipende strettamente dalla struttura chimica e flessibilità dei legami sono noti con il nome di rotori molecolari fluorescenti (FMRs). Solitamente FMRs allo stato

eccitato assumono una conformazione ruotata17. Nella loro struttura chimica sono presenti gruppi

funzionali con proprietà elettron- donatore ed elettron-attrattore che comunicano per mezzo di uno

spaziatore coniugato elettron ricco17. In seguito alla foto-eccitazione si ha trasferimento di carica

intramolecolare (ICT) con conseguente formazione di un dipolo, dovuto al passaggio di elettroni dal gruppo funzionale donatore a quello accettore. Durante il trasferimento di carica può avvenire una rotazione intramolecolare, attorno ai legami che costituiscono lo spaziatore coniugato, causata dalle forze elettrostatiche che si originano in seguito all’ICT. Questa conformazione ruotata viene

chiamato stato (TICT) cioè trasferimento di carica intramolecolare nello stato ruotato18. Lo stato ICT

(13)

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Figura 1.2.1: rappresentazione dello stato ICT e TICT per il dimetilamminobenzonitrile DMABN92

Come si osserva dalla figura questo tipo di fluorofori hanno una conformazione ruotata nello stato eccitato al contrario dello stato fondamentale che risulta planare. Una conformazione ruotata nello stato fondamentale infatti risulterebbe essere tanto energetica da tornare spontaneamente alla conformazione planare ad energia minore. L’energia dello stato TICT, come riportato in figura 1.2.2,

risulta essere minore dell’energia dello stato eccitato22 pertanto per avere una transizione dallo

stato eccitato allo stato TICT si deve superare un gap di energia. La barriera energetica tra lo stato eccitato e lo stato TICT è fortemente influenzata dall’ambiente chimico. Sono fondamentali fattori come polarità o viscosità che possono stabilizzare o destabilizzare lo stato TICT. La polarità può in

alcuni rotori avere un effetto disattivante dato che è in grado di stabilizzare lo stato TICT19. Questo

tipo di fluorofori quando disciolti in solventi manifestano 2 picchi di emissione: il primo attribuibile all’emissione data dal decadimento dallo stato eccitato (LE) allo stato fondamentale mentre il secondo associato al decadimento dallo stato TICT allo stato fondamentale. Questa transizione avviene a lunghezze d’onda maggiori data la minore energia dello stato TICT rispetto allo stato LE. Lo stato TICT è inoltre accompagnato da un aumento del momento di dipolo causato dal trasferimento di carica in seguito dalla foto-eccitazione. Di conseguenza, solventi polari possono riorientare i propri dipoli attorno a quelli delle molecole del rotore. Questo fenomeno è noto come rilassamento del solvente e provoca un abbassamento dell’energia dello stato eccitato e un

conseguente red shift dell’emissione20-21. In figura 1.2.2 viene riportato il diagramma di Jablonski

(14)

14

Figura 1.2.2: Diagramma di Perrin-Jablonski per lo stato eccitato LE e lo stato TICT60

Il rilassamento dallo stato TICT può avvenire attraverso processi radiativi o non radiativi come mostrato in figura 1.2.2. Questo dipende soprattutto dalla struttura chimica della molecola e dal

gap di energia che c’è tra lo stato fondamentale S0 e lo stato elettronico eccitato S1. Nel caso di

DMABN, ad esempio, il gap di energia tra lo stato S1 e S0 nello stato ruotato è abbastanza grande da

permettere un’emissione radiativa quando la molecola rilassa allo stato elettronico fondamentale nella conformazione ruotata. Molecole di questo tipo mostrano quindi una seconda banda di emissione spostata a lunghezze d’onda maggiori rispetto alla banda di emissione principale (red

shift). Al contrario molecole che presentano un gap di energia molto piccolo tra lo stato S0 e S1 nella

conformazione ruotata tendono a dissipare l’energia assorbita attraverso vie non radiative. La DCVJ

infatti, ha un gap di energia tra S1 e S0 nello stato TICT, circa tre volte inferiore al gap energetico tra

lo stato elettronico eccitato LE e quello fondamentale planare. Di conseguenza, fluorofori di questo

tipo presentano una sola banda di emissione61. Una caratteristica degna di nota di questo tipo di

fluorofori è la correlazione tra l’attivazione o disattivazione dello stato TICT in funzione della viscosità del solvente al quale sono esposti. Questo ha una ripercussione sul comportamento ottico delle molecole stesse. Per molecole che rilassano per vie radiative dallo stato TICT, un aumento della

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15

microviscosità locale, che limita le rotazioni intramolecolari, si traduce con uno spostamento della

banda di emissione a lunghezze d’onda minori (blueshift)62. Per molecole che rilassano dallo stato

TICT per vie non radiative un aumento della viscosità del mezzo porta ad un aumento della resa

quantica di fluorescenza63. Ad esempio, rotori molecolari fluorescenti quali la DCVJ, mostrata in

figura 1.2.4, presentano una singola banda di emissione di fluorescenza. In seguito all’assorbimento di un fotone si origina un trasferimento di carica intramolecolare dovuto al passaggio di elettroni dal gruppo amminico elettron-donatore ai gruppi nitrile elettron-accettore. Il successivo rilassamento può avvenire tramite emissione di fluorescenza o tramite diseccitazione non radiativa dallo stato TICT. Le principali vie non radiative sono costituite da rotazioni intramolecolari attorno al doppio legame vinilico o attorno al legame singolo legato all’anello benzenico figura 1.24. Quando queste rotazioni intramolecolari sono impedite a causa di una riduzione del volume libero (dovuto ad un’ambiente altamente viscoso) si ha un incremento dell’emissione di fluorescenza. In mezzi poco viscosi invece, un maggiore volume libero favorisce le rotazioni intramolecolari, di

conseguenza la molecola rilassa attraverso vie non radiative17-64. Molto importante inoltre è la

struttura chimica dei legami coinvolti nella rotazione. Difatti una rotazione attorno al legame singolo C-C è troppo lenta da causare un quenching della fluorescenza, mentre l’isomerizzazione cis-trans

del doppio legame C=C risulta la maggiore causa dello smorzamento dei processi radiativi65-66-67. La

relazione matematica tra resa quantica di fluorescenza e viscosità è data dall’equazione di

Förster-Hofmann riportata in figura 1.2.317

log ∅ = 𝐶 + 𝑥 log 𝜂 (1.2.3)

dove C è una costante dipendente dalla temperatura mentre x è una costante che dipende dal

solvente e dal fluoroforo. La relazione è stata ricavata analiticamente68-69-70 e verificata

sperimentalmente69-71. I dati di viscosità e di intensità di emissione sotto forma di scala logaritmica

sono stati graficati con regressione lineare ottenendo una retta con pendenza x. In figura 1.2.4 sono riportati le strutture chimiche di alcuni rotori molecolari che hanno come gruppo elettron- accettore dei gruppi funzionali come i nitrili o carbonile. I più comuni sono dimetilamminobenzonitrile (DMABN), derivati della julolidina come dicianoviniljulolidina (DCVJ) o 7-dietilammino-3-ciano cumarina(DACC).

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16

Figura 1.2.4: struttura chimica di alcuni rotori molecolari fluorescenti in rosso il gruppo elettron donatore e in blu il gruppo elettron accettore.

L’importanza di questi composti sta nella loro potenziale applicazione come sensori di microviscosità. Nei sistemi biologici, un’alterazione della viscosità del plasma è stata riscontrata in alcune patologie ad esempio (diabete, ipertensione, infarti ed infezioni) per questo un controllo mirato della viscosità del plasma può risultare un facile ed efficace metodo per la prevenzione di

queste patologie72. Un’altra importante applicazione dei FMRs è nell’identificazione di composti

organici volatili VOCs. La loro identificazione è molto importante dato che sono continuamente rilasciati nell’atmosfera da vari settori quali ad esempio il settore agricolo, industriale, o da mezzi di

trasporto ed alcuni di loro hanno sono nocivi per la salute umana73-74. I VOCs in genere sono

caratterizzati da un’elevata tensione di vapore e un basso punto di ebollizione quindi tendono a diffondere rapidamente nell’ambiente. Data la loro natura nociva sia per la salute che per l’ambiente, la ricerca si è incentrata sulla messa a punto di nuovi materiali fluorescenti come detector di questi composti volatili. I VOCs non presentano fenomeni di fotoluminescenza pertanto è necessario un metodo indiretto per le misure di fluorescenza. Molti sistemi si basano sull’utilizzo di fluorofori che cambiano le proprietà di emissione quando esposti all’analita in fase vapore. Teoricamente ogni variazione di fluorescenza in termini di intensità, (aumentata o smorzata) lunghezza d’onda o tempo di vita, costituisce un valido metodo per l’analisi dei VOCs. Un metodo emergente per l’analisi specifica di queste specie chimiche è costituito dall’inserimento di fluorofori

in matrici polimeriche.12-13-75In particolare sistemi polimero-fluoroforo sottoforma di film sottili

sono stati ampiamente investigati per la realizzazione di dispositivi optoelettronici, capaci di

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17

di questi sistemi polimero-fluoroforo è dovuta alla capacità dei VOCs di penetrare la matrice polimerica e di interagire con il fluoroforo che fornisce una risposta ottica. Quando vapori vengono a contatto con il film polimerico si origina un rilassamento della struttura macromolecolare del polimero con conseguente aumento del volume libero. Questo genera un abbassamento della

viscosità che causa il quenching di fluorescenza del materiale11-14.

1.3 Effetto AIE in fluorofori organici

Generalmente l’aggregazione di fluorofori organici, dovuti ad interazioni intramolecolari di tipo  porta ad un quenching della fluorescenza. Questo fenomeno è noto come quenching causato dall’aggregazione (ACQ). Questo smorzamento dell’emissione rende difficoltoso l’utilizzo di questi

fluorofori organici come sensori ottici o dispositivi ad emissione di luce23-24. Un esempio di

fluoroforo che segue questo andamento è la fluoresceina figura 1.3.1. Si tratta di un colorante insolubile nei comuni solventi organici ma solubile in acqua. Quando è disperso in solventi organici come ad esempio acetone non è emissivo, al contrario quando è disciolto in acqua è altamente emissivo. La struttura policiclica aromatica consente di formare aggregati di tipo quando si trova disperso in un cattivo solvente con conseguente spegnimento della fluorescenza. Di contro alcuni fluorofori sono molto emissivi quando formano aggregati. Questo effetto è noto come emissione indotta dall’aggregazione (AIE). L’ effetto AIE è stato spiegato per la prima volta dal

gruppo di ricerca Ben Zhong Tang25 studiando il comportamento di alcuni silani i quali risultavano essere

poco emissivi in soluzione ma altamente emissivi quando erano in forma aggregata. Il capostipite di questi composti è stato esafenilsilano (HPS) avente una struttura ad elica non planare. Questa particolare struttura impedisce lo stacking di tipo  ma non la formazione di aggregati. In soluzione i gruppi fenili sono liberi di ruotare ne consegue una bassa emissione dovuto all’energia dissipata durante queste rotazioni intramolecolari. Al contrario quando posto in solventi nei quali risulta

insolubile è in grado di formare clusterdovuti alla forma non planare elicoidale25. Nella forma

aggregata infatti si ha restrizione dei moti intramolecolari (RIM). L’effetto AIE dunque può essere spiegato con la restrizione di questi moti che possono essere moti rotazionali (RIR) o vibrazionali (RIV), ed è stato dimostrato valutando l’emissione che HPS in solventi molto viscosi a bassa

temperatura e ad elevate pressioni26-27. L’effetto AIE e ACQ di HPS e fluoresceina è riportato nella

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Figura 1.3.1: (a) struttura e fluorescenza per fluoresceina in soluzione acetone/acqua e (b)

struttura e fluorescenza per esafenilsilano in soluzione acqua /tetraidrofurano7

Teoricamente ogni specie chimica in grado di compiere rotazioni molecolari può presentare un potenziale effetto AIE, tuttavia anche la geometria della molecola stessa ha delle ripercussioni su questo effetto. In figura 1.3.2 viene mostrata la correlazione tra la geometria planare, la flessibilità conformazionale, i moti intramolecolari e l’emissione di luce di un generico cromoforo con due

subunità A e B separate da uno spaziatore libero di ruotare. Il parametro r rappresentato in figura

1.3.2 a) mostra la flessibilità strutturale o la rigidità della molecola, mentre r è un parametro che

descrive l’angolo diedro tra le subunità A e B. Per tradizionali fluorofori che presentano ACQ, le unità

A e B sono orientate parallelamente, ne risulta che r è circa uguale a zero. Molecole che presentano

questo tipo di orientazione sono caratterizzate da una massima coniugazione elettronica e una

minima energia potenziale7. Il legame C-C infatti manifesta carattere di pseudo doppio legame

dovuta all’estesa delocalizzazione della nube elettronica  presente nel cromoforo. Ne risulta una struttura irrigidita che oppone maggiore resistenza alle rotazioni intramolecolari rendendo il cromoforo emissivo in soluzione. Contrariamente a molecole che manifestano ACQ, le unità A’e B’

in cromofori AIE sono orientati fuori dal piano, quindi r>0. La sovrapposizione della nube

elettronica tra le unità A’ e B’ risulta meno efficiente causando una minore coniugazione

elettronica7. Ne risulta in molecole così strutturate una scarsa emissione in soluzione. Questo

modello esplicativo non spiega tuttavia tutti i sistemi AIE, come ad esempio accade per

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19

ha unità libere di ruotare a causa dell’elevato ingombro sterico, ma la sua luminescenza in soluzione risulta smorzata. Questo suggerisce che altri moti (vibrazionali) siano responsabili del quenching in

soluzione. Mentre tutte le molecole sono in grado di vibrare (bending, twisting, scissoring ecc)80 non

tutte sono AIE attive. Analogamente a quanto detto in precedenza per i moti rotazionali, l’effetto AIE dipende fortemente dalla flessibilità conformazionale e dall’ampiezza vibrazionale figura 1.3.3 b). Il cromoforo è rappresentato dalle unità C e D comunicanti tramite una giunzione

sufficientemente coniugata. In questo caso v e v rappresentano rispettivamente l’angolo diedro

tra le unità C e D e l’ampiezza della vibrazione intramolecolare. Quando le unità C e D sono

co-planari allora v è circa uguale a 180°, in queste condizioni si avrà una massima coniugazione

elettronica, che irrigidisce la struttura molecolare e ostacola le vibrazioni intramolecolari, rendendo

il cromoforo emissivo in soluzione. Questo è ancora in grado di oscillare a piccole ampiezze (v) ma

non sono in grado di causare un blocco del decadimento radiativo. Dopo l’aggregazione la planarità di C e D rende possibile la formazione di strutture compatte cheeventualmente può portare al quenching della luminescenza Al contrario se le unità C’ e D’ sono disposte fuori dal piano allora

v <180° la sovrapposizione della nuvola elettronica risulta meno efficiente abbassando la

coniugazione elettronica. In queste condizioni si ha restrizione dei moti vibrazionali intramolecolari che rendono gli aggregati altamente emissivi, conseguenza diretta dell’effetto AIE.

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20

Figura 1.3.3: Schema raffigurativo della correlazione tra conformazione planare, flessibilità

strutturale, moti intramolecolari, efficienza di luminescenza7

Con la scoperta e la comprensione dell’effetto AIE sono state sintetizzati un numero sempre maggiore di fluorofori organici per la progettazione di diodi ad emissione di luce o per sensori

biologici. Tra i più noti troviamo il tetrafeniletilene (TPE)7. Questo è costituito da quattro fenili che

in soluzione sono liberi di ruotare attorno all’etilene centrale. Queste rotazioni intramolecolari costituiscono la principale via di rilassamento non radiativo. Tuttavia, nel TPE gli anelli benzenici sono leggermente distorti, ne consegue una struttura non totalmente planare che scongiura ACQ ma non la formazione di aggregati. Nella forma aggregata si ha restrizione dei moti intramolecolari, dovuti ad impedimenti fisici, di conseguenza si ha un aumento della fluorescenza. Un altro processo

per la quale si può avere un quenching della fluorescenza è l’isomerizzazione cis-trans (EZI)7-81-82.

Questo cambio di configurazione, analogamente a quanto accade per i RIM, è favorito in soluzione. Nella forma aggregata al contrario i meccanismi EZI risultano meno probabili, in queste condizioni la molecola tende quindi a rilassare per via radiativa. In figura 1.3.3 viene riportata la struttura chimica del TPE e di un secondo fluoroforo 10,10′,11,11′-tetraidro-5,5′-bidibenzo-annulenilidene

(THBA)7 che presenta un comportamento analogo a quello mostrato dal TPE. Il THBA è emissivo

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Figura 1.3.3: Struttura del TPE e di 10,10′,11,11′-tetraidro-5,5′-bidibenzo-annulenilidene (THBA) e

della forma aggregata7

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22 Figura 1.3.4: principali applicazioni di alcuni sistemi AIE9

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23

1.4 Solvatocromismo

Il cambio di colore che si osserva in alcuni fluorofori quando disciolti in solventi a differente polarità è noto come solvatocromismo. Questo fenomeno è stato spiegato per la prima volta da Hanz

Schlater29. Dipendendo dall’indice di polarità del solvente, il solvatocromismo può essere positivo o

negativo. In solventi a maggiore polarità, per solvatocromismo positivo, si intende la capacità di un cromoforo di spostare i massimi di intensità di emissione o assorbimento a lunghezze d’onda maggiori (red shift) o batocromismo. Con solvatocromismo negativo al contrario, si intende lo

spastamento dei massimi di emissione o assorbimento lunghezze d’onda minori (blue shift)30 o

ipsocromismo. Il red shift e il blu shift si originano a causa del diverso potere solvatante che il solvente ha per questo tipo di molecole nello stato fondamentale e nello stato eccitato. Solventi a maggiore indice di polarità stabilizzano meglio lo stato eccitato, più polare, provocando un effetto batocromico, viceversa si verifica per solventi con indice di polarità più basso. Come per i rotori molecolari, le molecole che manifestano solvatocromismo in genere hanno nella loro struttura chimica gruppi elettron-donatore ed elettron-accettore messi in comunicazione tramite uno spaziatore coniugato. Questo tipo di struttura chimica viene comunemente chiamata struttura

“push-pull”31. Nello stato eccitato così come avviene per i rotori molecolari, si ha ICT dal gruppo

donatore a quello accettore generando un dipolo. Le molecole di solventi polari si dispongono attorno alle molecole nello stato eccitato formando una “gabbia” che abbassa l’energia dello stato

eccitato generando l’effetto batocromico32. In solventi altamente polari può verificarsi, oltre ad un

red shift, anche un quenching della fluorescenza, dovuto al drastico abbassamento energetico dello

stato eccitato. Inoltre, solventi molto viscosi possono ostacolare la riorganizzazione del solvente20,

dunque in questi casi il red shift risulta minimo. In figura 1.4.1 viene riportata una rappresentazione schematica della disposizione del solvente attorno al cromoforo nello stato eccitato.

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Figura 1.4.1: rappresentazione della gabbia di solvente attorno al cromoforo solvatocromico , a

sinistra solventi non polari, a destra solventi polari90.

In figura 1.4.2 viene riportato la struttura chimica di un cromoforo 3-[2-(4-nitrofenil)

etenil]-1-(2-etilesil)-2-metilindolo (NPEMI-E) con proprietà solvatocromiche 34.

Figura 1.4.2: Proprietà solvatocromiche di NPEMI-E; a) struttura chimica di NPEMI-E b) fluorescenza; da sinistra a destra eptano,toluene, dietil etere,THF cloroformio,e metanolo c)

variazione di colore di NPEMI-E nei medesimi solventi riportati in b)34.

Un andamento opposto a quello mostrato in figura 1.4.2 delle proprietà solvatocromiche si possono riscontrare in alcuni cromofori, ad esempio cromoforo di Richards (2,5- difenil-4-(

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25

piridinio)-fenolato mostrato in figura 1.4.3. Questo cromoforo mostra un evidente effetto

ipsocromico con marcato blu shift dell’assorbanza quando disciolto in solventi con elevata polarità30.

Si tratta di una specie chimica zwitterionica quindi l’effetto ipsocromico manifestato è associato all’elevato momento di dipolo che questo cromoforo presenta nello stato fondamentale. Questo andamento è inoltre giustificato da alcune caratteristiche derivate dalla sua particolare struttura, come un elevata polarizzabilità del sistema ed unelevato momento di dipolo permanente. Possiede inoltre le proprietà di base di Lewis dovute all’ossigeno del gruppo fenolato elettron- ricco

capace di formare legami a idrogeno con solventi polari protici35.

Figura 1.4.3: a) struttura chimica cromoforo di Richard b) effetto ipsocromico valutati in

assorbanza normalizzata in soluzione di solventi a differente polarità91.

Per le loro caratteristiche, questi cromofori sono ampiamente utilizzati per la rilevazione della polarità del mezzo. La sensibilità di questi cromofori alla polarità viene utilizzata per lo sviluppo di nuovi chemiosensori o biosensori. In campo biologico ad esempio, vengono utilizzati per monitorare

le proprietà fisiche delle biomembrane33. Altri cromofori invece, come ad esempio derivati del

cromoforo di Richard, dispersi in matrici polimeriche a base di polietilenossido sono utilizzati come

sensori di umidità88. Quando posto a contatto con l’acqua contenuta nell’aria si nota un cambio di

colore da marrone scuro a giallo dovuto all’effetto ipsocromico tipico di questi cromofori88. Un altro

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solvatocromiche di derivati della dimetilamminostirilpiridina, mostrata di seguito, dispersa in

matrici polimeriche quali polistirene o polimetilmetacrilato, sono state sfruttate da Schmel79 et al

per applicazioni come sensori per una vasta gamma di solventi organici.

Figura 1.4.4: struttura chimica di dimetilamminopiridina derivato79

1.5 Proprietà dei Poliuretani

I poliuretani (PU) sono polimeri di sintesi, caratterizzati dalla presenza del gruppo uretanico [−𝑂 − (𝐶 = 𝑂) − 𝑁𝐻 −] preparati per la prima volta nel 1930 da O.Bayer facendo reagire un isocianato (N=C=O) con glicole, secondo lo schema 1.5.1

Figura 1.5.1: schema di sintesi generale dei (PU)

Si usano generalmente polioli, polimeri con 2 o più gruppi ossidrile, poliesteri o polieteri ramificati o lineari che vengono scelti in base all’applicazione e alle caratteristiche desiderate per il PU finale. La frazione in peso di questi componenti varia in base alle applicazioni alla quale sono destinati, circa il 90% in peso per sigillanti flessibili, 70% in peso per schiume flessibili, e 30% in peso per

schiume rigide per isolamento36-37-38. Questi componenti mostrati in figura 1.5.2, in genere con un

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27

temperatura di transizione vetrosa Tg del PU. Il peso molecolare dei polioli utilizzati e il rapporto stechiometrico tra i reagenti, influiscono sulla struttura del polimero finale. La formazione di punti di reticolazione ad esempio determina le proprietà elastomeriche influenzando le proprietà meccaniche e gli utilizzi futuri del PU. Gli isocianati generalmente utilizzati per la produzione di PU, mostrati in figura 1.5.3, possono essere alifatici ad esempio (dicloesildiisocianato o

esametilendiisocianato) o aromatici (4,4-metilendifenildiisocianato (MDI) o

6,6-toluendifenildiisocianato). I maggiori campi di applicazione sono nel settore automobilistico e nell’edilizia come mostrato in figura 1.5.4, ma trovano impiego anche come vernici, sigillanti e adesivi, gomme elastomeriche e altri utilizzi nel campo dell’elettronica e nel settore degli

imballaggi39.

Figura 1.5.2: struttura dell’unità ripetente dei più comuni polioli utilizzati nella sintesi del PU

OCN HC2 NCO OCN

H2 C NCO 6 OCN HC2 NCO CH3 NCO OCN Dicicloesildiisocianato esametilendiisocianato 4,4-metilendifenildiisocianato 6,6-toluendiisocianato 1) 2)

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Figura 1.5.3: struttura chimica di alcuni isocianati utilizzati nella sintesi del PU. 1) isocianati alifatici e 2) isocianati aromatici.

Figura 1.5.4: percentuale di utilizzo di alcuni materiali sintetici nel 2015 (14,4 Milioni euro)38

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Dalla figura 1.5.4 si nota come il poliuretano abbia un elevato mercato e interesse dal punto di vista economico preceduto solo da resine di poliestere. Un limite nella loro applicazione, molto comune nei polimeri, è dovuto al progressivo ingiallimento dopo prolungata esposizione alla luce. Questo fenomeno degradativo è dovuto all’assorbimento di raggi UV da parte di particolari specie chimiche

quali idroperossidi, che si originano durante i primi step di fotodegradazione40. Per evitare questi

fenomeni degradativi, o quanto meno ridurli, vengono impiegati agenti foto-stabilizzanti quali assorbitori UV, filtri e quenchers. Molto impiegati nei PU come stabilizzanti UV sono le “hindered

amine light stabilizer” o HALS40. Le HALS in genere sono costituite da derivati della piperidina ed

hanno effetto di soppressori degli idroperossidi, cioè catturano le specie radicaliche attraverso cicli rigenerativi. Il meccanismo di disattivazione degli idroperossidi è riportato in figura 1.5.6. Oltre a stabilizzanti UV vengono inoltre aggiunti svariati tipi di additivi che migliorano le caratteristiche del prodotto finito ad esempio, tensioattivi che migliorano la miscelazione con componenti altrimenti

incompatibili, CO2 per l’ottenimento del PU espanso, ritardanti di fiamma, coloranti, agenti

rinforzanti e reticolanti, antiossidanti 41.

Figura 1.5.6: meccanismo di azione delle HALS come soppressori di idroperossidi

La reazione tra polioli e isocianato permette di produrre un’ampia gamma di polimeri, le cui proprietà possono variare dal flessibile al rigido e dal solido alla schiuma combinando i diversi reagenti di partenza. Mentre il numero di isocianati è limitato, l’estesa variabilità delle proprietà del PU è ottenuta selezionando in maniera appropriata i polioli e gli additivi. Il tipo, la posizione e la

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struttura sia dell’isocianato sia del poliolo determinano il processo di formazione del PU, come anche le sue proprietà e applicazione finale. Scegliendo accuratamente gli ingredienti, le proprietà meccaniche quali il modulo elastico, la resistenza a trazione o l’elongazione a rottura possono essere

modulati a seconda delle esigenze attraverso variazioni a livello molecolare o strutturale46.

- Schiume poliuretaniche46-94

Nella produzione di schiume poliuretaniche (poliuretani espansi) sono coinvolti due meccanismi: il primo è la reazione dell’isocianato che, presente in eccesso, reagisce con i gruppi ossidrilici del poliolo permettendo l’allungamento della catena del medesimo e la terminazione della stessa tramite gruppi isocianici. Il secondo meccanismo produce il gas rigonfiante e dà origine alla struttura della schiuma espansa. Attualmente si impiegano prodotti quali idrofluorocarburi (HFC), utilizzati da soli o in combinazione con l’acqua. L’agente rigonfiante viene aggiunto generalmente nella miscela poliolica. L’utilizzo di questi agenti è interessante, oltre che dal punto di vista strutturale, anche per alcune applicazioni delle schiume prodotte. In particolare, il gas intrappolato nella struttura cellulare chiusa di alcune schiume può conferire ad esse ottime qualità coibentanti, con un coefficiente di conduzione termica estremamente basso. Esistono numerosi tipi di schiume classificabili come: schiume flessibili, semirigide, rigide, integrali.

Schiume flessibili46-94: Nella reazione tra trioli ad elevato peso molecolare ed acqua con isocianati

vengono formate reti elastiche a maglia larga le quali caratterizzano il poliuretano flessibile. La reticolazione avviene sia per via chimica, tramite la reazione dei trioli con isocianati polifunzionali, sia fisica, per separazione di fase in segmenti amorfi a base di urea e segmenti flessibili a base poliolo. Schiume caratterizzate da ponti eterei sono le più indicate per la fabbricazione di imbottiture per cuscini, materassi, schienali per auto, in quanto questa struttura conferisce loro morbidezza.

Schiume semirigide46-94: il maggior grado di reticolazione distingue le schiume semirigide da quelle

flessibili. Per la produzione di tali schiume si utilizzano in genere, polioli come polieteri con un peso molecolare compreso tra 3000 e 6000 Dalton, glicoli come estensori di catena e catalizzatori di vario tipo. Le schiume semirigide, a causa della loro capacità ammortizzante, sono largamente impiegate nelle imbottiture delle parti interne degli autoveicoli: rivestimenti protettivi per i cruscotti, pannelli per le portiere ecc., spesso realizzati con schiume semirigide rivestite esternamente con ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene) o PVC (polivinil-cloruro).

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Schiume rigide46-94: La reazione tra un poliolo a basso peso molecolare almeno trifunzionale e un

isocianato polifunzionale porta alla formazione di una struttura polimerica reticolata, a maglia stretta, tipica delle schiume poliuretaniche rigide. La densità elevata della rete viene solitamente incrementata utilizzando isocianato in eccesso, il che risulta in un’ulteriore reticolazione attraverso la formazione di allofanati, gruppi biureto o isocianurati. Rispetto alle schiume semirigide, si ottengono migliori caratteristiche di rigidità impiegando PMDI (MDI polimerico) con polioli polieteri ramificati; in alternativa, si possono impiegare anche polioli poliesteri con nuclei aromatici. Le proprietà coibentanti derivano dalla struttura a celle chiuse e dal tipo di agente rigonfiante utilizzato che può conferire alla schiuma conduttività termica anche molto bassa. Le principali applicazioni riguardano l'isolamento termico: produzione di contenitori coibentati come contenitori frigo o cisterne per trasporti e nell'industria delle costruzioni, ma si utilizzano schiume rigide anche in campo automobilistico, navale ed aeronautico.

Schiume integrali46-94: le schiume integrali sono caratterizzate da una parte interna a struttura

cellulare e da una superficie esterna non cellulare. Il principio della loro sintesi sta nell'impiego, come agente rigonfiante, di idrocarburi alogenati, nonché nell'uso di stampi con pareti metalliche fredde al contatto con le quali avviene la condensazione del rigonfiante alla pressione di esercizio. Questo fa sì che si formi un rivestimento esterno solido, mentre all'interno la miscela di reazione resta calda e polimerizza formando la schiuma. Vengono impiegati polioli oligomeri dal peso molecolare tra 3000 e 6500 Dalton. Questi prodotti hanno numerose applicazioni; dall'industria dei particolari per automobili, agli arredamenti per ufficio e all'industria delle calzature.

- Elastomeri poliuretanici46-94

Gli elastomeri sono caratterizzati dal fatto che a temperatura ambiente, a seguito dell’applicazione di uno sforzo, il materiale riassume il suo stato originale una volta che lo sforzo viene rimosso. Gli elastomeri in poliuretano presentano buona resistenza all’abrasione ed elevata elongazione. La chimica della sintesi di elastomeri poliuretanici prevede la reazione tra un di-isocianato, un poliolo ed un estensore di catena, che generalmente è un glicole a basso peso molecolare, un triolo o una diammina. Si ottengono quindi copolimeri a blocchi caratterizzati dal fatto di contenere, nella catena molecolare, segmenti rigidi alternati a segmenti flessibili. Tra i segmenti rigidi delle diverse catene si instaurano interazioni per formare una struttura secondaria basata su legami idrogeno. Il gran numero di legami idrogeno presenti tra i segmenti rigidi conferisce loro una certa coesione e li mantiene ordinati. L'applicazione di uno sforzo in senso longitudinale fa sì che i segmenti flessibili si ordinino in parallelo, mentre le catene rimangono impedite nello scorrimento dall'ancoraggio alle

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zone rigide. I segmenti rigidi sono responsabili della resistenza alla tensione, mentre i segmenti flessibili determinano l'espansione elastica e la temperatura di transizione vetrosa.

- Elastomeri termoplastici (TPU)46-94

Con questo termine si indicano quegli elastomeri poliuretanici caratterizzati dalla proprietà di divenire plastici se sottoposti a riscaldamento. Questa proprietà è determinata dalla struttura del TPU che consiste essenzialmente di macromolecole lineari. Per raggiungere questa struttura, MDI difunzionale viene fatto reagire con poliesteri derivanti dall’acido adipico, glicol e butandioli. Le proprietà dell’elastomero dipendono dalla separazione di fase durante la reazione di poliaddizione. Sono formate una fase flessibile, essenzialmente il poliolo, e una fase rigida prodotta dall’MDI e il butandiolo. I segmenti rigidi del TPU determinano le proprietà meccaniche, in particolare la durezza. La reticolazione si ottiene inserendo nella formulazione un leggero eccesso di isocianato e questo fa sì che si formino reticolazioni con legami tipo allofanato o biureto. Per riscaldamento a temperature di 90-120°C si ha una rottura reversibile dei legami di reticolazione, con formazione di un polimero lineare che, sottoposto a raffreddamento dopo la lavorazione, reticola nuovamente per reazione dei gruppi isocianici liberi con i gruppi uretanici e ureici.

- Gomma poliuretanica46-94

Questo prodotto viene sintetizzato inserendo nella formulazione agenti vulcanizzanti come zolfo e perossidi; ulteriori additivi vengono aggiunti per migliorare la reticolazione, la resistenza all'invecchiamento o come riempitivi. La gomma poliuretanica viene utilizzata per produrre parti soggette ad elevati stress meccanici ad alta temperatura ed al contatto con lubrificanti e solventi.

- Adesivi poliuretanici46-94

Gli adesivi poliuretanici presentano interessanti caratteristiche quali la notevole capacità di adesione a substrati polari (ad es. metalli, materie plastiche, legno, cuoio, ceramica, fibre tessili) e la resistenza meccanica del legame di coesione abbinata ad una buona flessibilità.

Il fenomeno dell'adesione al substrato è la conseguenza di un insieme di interazioni chimiche e fisiche tra le parti che comprendono la formazione di veri e propri legami tra l'adesivo e i substrati che presentano atomi di idrogeno attivi. Tra questi è possibile citare gli ossidrili della cellulosa, le superfici metalliche contenenti ossidi idratati, gruppi ammidici di proteine e poliammidi. Le

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interazioni fisiche, invece, sono costituite principalmente da legami idrogeno tra i gruppi NH dell'uretano e gruppi presenti sul substrato come atomi di cloro in polimeri alogenati.

Fibre poliuretaniche46-94

Vengono sintetizzate tramite processi in due stadi a partire da polioli, sia polieteri che poliesteri, di-isocianati ed estensori di catena. Tutti i metodi di fabbricazione di queste fibre partono da prepolimeri liquidi viscosi di vario tipo, contenenti una percentuale dal 2 al 4% di gruppi isocianici liberi. Il passaggio successivo è costituito dall'estensione della catena tramite reazione con una diammina che porta all’ottenimento di un polimero in soluzione. Il soluto viene coagulato ed il solvente evaporato, dopo di che si procede alla lavorazione della fibra. Le proprietà di queste fibre variano a seconda delle materie prime impiegate, dei loro rapporti molari e della tecnica di produzione e di lavorazione.

1.6 Meccanismi di sintesi del poliuretano

Come precedentemente riportato in figura 1.5.2, per la sintesi del poliuretano vengono usati isocianati che possono essere alifatici (come ad esempio dicicloesildiisocianato o esametilendiisocianato HDI) o aromatici (metilendifenildiisocianato MDI o toluendiisocianato). Generalmente isocianati aromatici sono più reattivi di quelli alifatici, sono in grado infatti di delocalizzare la carica negativa, che si origina in seguito all’attacco nucleofilo dell’ossidrile sul carbonio elettrofilo dell’isocianato, sull’anello aromatico tramite forme di risonanza. Di conseguenza sostituenti elettron-attrattori incrementano la reattività dell’isocianato mentre sostituenti elettron-donatori la riducono.

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34 R N C O R N C O N C O R R N C O N C O R

Figura 1.6.1: forme di risonanza dell’isocianato

In alcuni processi, possono essere impiegati catalizzatori per favorire il processo di polimerizzazione del poliuretano, comunemente usati sono composti organometallici o ammine terziarie alifatiche o

cicloalifatiche37-38. Sono stati ipotizzati due meccanismi: il primo prevede l’attivazione del gruppo

isocianato da parte dell’ammina e successiva reazione con il gruppo ossidrile, il secondo consiste nell’attivazione del poliolo da parte dell’ammina, portando alla formazione di un complesso che reagisce con l’isocianato. Il meccanismo catalitico del catalizzatore è riportato in figura 1.6.2

Figura 1.6.2: effetto del catalizzatore sulla sintesi del PU indicato con 1) attivazione dell’isocianato da parte dell’ammina e 2) attivazione del poliolo da parte del catalizzatore

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Il meccanismo di reazione non è ancora stato ben definito dato che ci sono molti fattori che possono influire sull’andamento della reazione ad esempio struttura dei reagenti, il tipo di

catalizzatore, effetto del solvente e viscosità del mezzo43-44. Il gruppo isocianato è molto reattivo e

ha uno spiccato carattere elettrofilo reagisce velocemente con l’ossidrile del poliolo 42 secondo lo

schema mostrato in figura 1.6.3. R N C O H O R' OH n N C O -O H R' HO R N C O O R' H OH R R NH C O O R'

Figura 1.6.3: meccanismo di formazione del gruppo uretano

Il poliuretano si ottiene mediante un processo di poliaddizione, che procede a stadi, si tratta di una

reazione veloce ed esotermica45. Spesso il processo ha inizio con la sintesi di un prepolimero,

utilizzando un eccesso stechiometrico di uno dei due reagenti, in modo da ottenere un polimero precursore con gruppi terminali uguali al reagente in eccesso. La catena è poi estesa aggiungendo il componente in difetto ottenendo così un prodotto finale ad elevato peso molecolare. Data l’elevata reattività del gruppo isocianato possono avvenire molte reazioni indesiderate durante la sintesi come ad esempio la formazione di ammine, uree, biureti, allofanati ecc che possono portare a

reticolazione del prodotto non sempre desiderate47-48. Le principali reazioni che possono avvenire

sono riportate in fugura 1.6.4. La reazione tra isocianato e acqua porta sviluppa CO2 che viene

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della corrispettiva ammina. L’ammina che si genera, può ulteriormente reagire con l’isocianato a dare urea, anche questa è una reazione esotermica e molto veloce. Talvolta le ammine possono

essere usate come estensori di catena o come agenti di reticolazione41.Le uree formate possono

ulteriormente reagire a dare biureti o essere usate per aumentare la densità di reticolazione del polimero. Possono inoltre formarsi degli oligomeri dell’isocianato ad esempio dimeri o trimeri noti come uretidinedione e isocianurato rispettivamente. La formazione del dimero è debolmente esotermica e avviene perlopiù tra isocianati aromatici, di solito costituisce un intermedio che porta alla formazione del trimero. La reazione che porta alla formazione del trimero è molto esotermica e può avvenire sia tra isocianati alifatici che tra isocianati aromatici. Questa specie è molto utilizzata per la formazione di poliuretani espansi rigidi che vengono spesso impiegati come materiali termoisolanti. Infine, si può avere reazione tra i gruppi isocianato e gruppi uretanici non reagiti che

porta a formazione di allofanati49.Questi sono specie chimiche che si formano a causa di reazione

secondarie. Vengono sfruttati come precedentemente riportato, per ottenere polimeri reticolati, che portano alla formazione di materiali termoplastici con proprietà elastomeriche.

+ H2 O + Urea R'NC O 2 R'N CO + + +

Figura 1.6.4: Schema delle principali reazioni secondarie che possono avvenire durante polimerizzazione del PU

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Allo scopo di trovare un meccanismo di reazione generale per la sintesi del poliuretano da poter applicare a tutte le condizioni di reazione, sono stati condotti studi analitici per valutare e la cinetica coinvolta. La reazione pertanto, è stata seguita tramite diverse tecniche analitiche quali

spettroscopia FT-IR, 1H NMR, 13C NMR, viscosimetria e calorimetria a scansione differenziale50-51. Da

studi condotti su diversi substrati con soventi a diversa polarità in assenza e presenza di catalizzatori, si è concluso che la cinetica di reazione del poliuretano soddisfa un’equazione del second’ordine del tipo;

−𝑑[𝑅 𝑁𝐶𝑂]

𝑑𝑡 = 𝑘 [𝑁𝐶𝑂][𝑅 𝑂𝐻] (1.6)

Dove;

 [𝑅 𝑁𝐶𝑂] corrisponde alla concentrazione del gruppo isocianato al tempo t  [𝑅 𝑂𝐻] corrispondealla concentrazione del gruppo ossidrile al tempo t  𝑡 è il tempo di reazione

 𝑘 è la costante cinetica

Si possono inoltre avere deviazioni da una cinetica del second’ordine dovuti agli effetti autocatalitici del gruppo ossidrile e uretano o all’effetto del solvente. Gli effetti auto-catalitici dell’uretano e dell’ossidrile sono riportati in figura 1.6.5

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I meccanismi auto catalitici si verificano maggiormente in solventi polari, e per valutare come il solvente influisca sulla costante di velocità, la cinetica è stata studiata in solventi a differente polarità ed è stato infine possibile ricavare una relazione tra la costante cinetica e la costante

dielettrica del solvente. Questa relazione nota come equazione di kirkwood42 è riportata di seguito

eq. 1.7. Inoltre, man mano che la reazione prosegue si ha un locale aumento della viscosità che ostacola la diffusione dei reagenti verso i siti reattivi, causando un decremento della velocità di reazione fino a quando si raggiunge un valore di viscosità tale da impedire completamente l’accesso ai siti reattivi.

𝑙𝑛𝑘 = 𝑙𝑛𝑘 − 𝐴 ∗ 𝜀 − 1

2𝜀 + 1 (1.7)

 k= costante cinetica della reazione in esame

 k0= costante di velocità della reazione del solvente con 𝜀 = 1

 A = costante che dipende dalla temperatura e dal momento di dipolo del solvente  𝜀 = costante dielettrica del solvente

Recentemente in letteratura sono stati condotti studi per seguire la polimerizzazione del poliuretano attraverso metodi non convenzionali ad esempio spettroscopia infrarossa o di

fluorescenza 52-53. Per monitorare l’andamento della reazione attraverso misure di fluorescenza

sono state inserite, all’ interno del reattore, sonde fluorescenti con proprietà di rotore molecolare o AIE. Si è pertanto deciso di proseguire questi studi preparando cromofori con proprietà di rotore molecolare fluorescente e AIE e di applicarli per lo studio della cinetica di polimerizzazione tra PEG

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Capitolo 2

SCOPO DELLA TESI

Lo scopo di questo elaborato è la messa appunto di un metodo spettroscopico in grado di monitorare l’andamento della polimerizzazione del poliuretano, attraverso la correlazione, tra l’intensità di emissione di due coloranti fluorescenti alla viscosità del sistema, e quindi al suo grado di polimerizzazione. Il poliuretano in questione sarà ottenuto mediante reazione tra 4,4-metilendifenildiisocianato (MDI) e polietilenglicole (PEG) a differente peso molecolare. Le analisi di fluorescenza verranno eseguite inserendo nell’ambiente di reazione due sonde fluorescenti: la prima sonda, 7-dietilammino-3-cianocumarina (DACC) è stata sintetizzata come riportato nella parte sperimentale, e le sue proprietà ottiche investigate nella seguente parte di risultati e discussione. La seconda sonda (Mitocondrian yellow) è un fluoroforo commerciale con proprietà AIE. Entrambe le sonde saranno impiegate per verificare la capacità di identificare le variazioni di viscosità interne al sistema e di tradurle mediante una risposta ottica quantificabile in termini di emissione di fluorescenza. Le misure di fluorescenza in funzione del tempo, saranno quindi correlate alle misure di viscosità realizzate in situ tramite un apposito viscosimetro meccanico. Sarà inoltre verificata la possibilità di monitorare la variazione di intensità di fluorescenza mediante l’ausilio di un fotodiodo commerciale collegato direttamente al reattore di polimerizzazione. Questa innovazione permette di realizzare misure in continuo con strumenti semplici che possono essere sfruttati anche per il controllo di processo in un impianto industriale. Lo scopo infatti è quello di monitorare il grado di polimerizzazione del poliuretano senza effettuare campionamenti dal sistema

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Capitolo 3

RISULTATI E DISCUSSIONE

Di seguito vengono riportati gli schemi di sintesi dei cromofori preparati in questo elaborato, ovvero: 5-(dietilammino)-2-formilfenilacetato DASA-prot, 2- etilesil-2-cianoacetato EECA, 2-etilesil-2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato ECIFA, 7-dietilammino-3-ciano-cumarina DACC , 5-(4-(dietilammino)-2-idrossibenzilidene)-1,3-dietil-2-tiossodiidropirimidine 4,6(1H,5H)-dione (SAl-BARB). Per i fluorofori DACC e SAL-BARB verranno studiate le proprietà ottiche sia in soluzione che allo stato solido. Nell’ultima parte verrà discussa la possibilità di utilizzare le sonde fluorescenti preparate per seguire la cinetica di polimerizzazione del poliuretano, confrontando i dati di viscosità ottenuti durante la polimerizzazione in assenza delle sonde, con quelli di fluorescenza in presenza delle sonde.

3.1 Sintesi di

2-etilesil-2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato ECIFA

Figura 3.1.1: schema di sintesi di ECIFA

Nel primo step di sintesi si ha reazione di esterificazione come riportata in letteratura54 tra 4

dietilammino-salicilaldeide DASA e anidride acetica AA, a dare il prodotto 5-(dietilammino)-2-formilfenilacetato DASA-prot. È stata eseguita questa reazione, al fine di introdurre un gruppo protettore sull‘ossidrile in posizione orto al gruppo aldeidico, così da poter evitare che l’acidità del

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protone dell’ossidrile influisca sulle rese dei successivi step di sintesi. La reazione è stata eseguita in acetonitrile alla temperatura di riflusso di tale solvente (circa 80° C ) per 24 ore, utilizzando come base carbonato di Cesio. Il meccanismo di reazione coinvolto è riportato nella figura 3.1.2 di seguito riportata. Il prodotto desiderato purificato mediante colonna cromatografica (95/5 diclorometano-etilacetato) è stato ottenuto con una resa del 36% in accordo con le rese riportate dai dati in

letteratura54

Figura 3.1.2: meccanismo di reazione tra DASA e AA a dare DASA-prot

Nel secondo step di sintesi si ha reazione di esterificazione tra acido cianoacetico (AC) e 2-etilesan-1-olo (EE) a dare il prodotto 2- etilesil-2-cianoacetato (EECA), in presenza di N,N’-dicicloesilcarbodimmide (DCC) come agente di coupling (esterificazione di Steglich). La reazione è stata eseguita in diclorometano anidro, precedentemente distillato, per evitare che l’acqua contenuta nel solvente possa promuovere l’idrolisi dell’estere desiderato. Con l’avanzare della reazione si osserva la formazione di un precipitato bianco in quantità equimolari con il prodotto. Difatti dopo l’attacco nucleofilo di EE sul carbonile AC attivato, si ha la conversione della DCC in dicicloesilurea DCU, come riportata nella figura 3.1.3 sottostante. La DCU viene successivamente

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rimossa tramite una serie di filtrazioni. Il prodotto desiderato EECA è stato ottenuto in resa del 84% dopo purificazione cromatografica utilizzando diclorometano come eluente.

Figura 3.1.3: meccanismo di reazione dell’esterificazione di Steglich

Nell’ultimo step di sintesi viene riportato il coupling, tra i 2 prodotti ottenuti come precedentemente descritto, a dare il prodotto 2-ciano-3-(4-(dietilammino)-2-idrossifenilacrilato ECIFA. La reazione

catalizzata da piperidina segue il meccanismo di condensazione di knoevenagel55 riportato in figura

3.1.4. Si ha quindi addizione nucleofila da parte del cianoestere attivato dalla piperidina sul carbonile dell’aldeide, seguito da successiva disidratazione a dare il prodotto desiderato. Questo è stato ottenuto dopo purificazione cromatografica con una resa molto bassa pari al 9%. La bassa resa di reazione è dovuta alla formazione di sottoprodotti, quali cumarina derivati, come riportato in

letteratura55. Le analisi 1H NMR e GC-MS, riportate nel paragrafo 5.5, hanno evidenziato il

compimento della reazione difatti non è presente il segnale dell’idrogeno relativo all’aldeide (singoletto 1H) posizionato a circa 9.7 ppm. Si osserva invece la presenza del segnale a 8.4 ppm (singoletto 1H), dovuto all’ idrogeno presente nel doppio legame coniugato all’anello aromatico, originatosi in seguito all’avvenuta reazione di condensazione. Si osserva inoltre la scomparsa del

gruppo protettore, non è presente nello spettro 1H NMR il segnale posizionato a 2.4 ppm (singoletto,

3H), associato all’ acetile del gruppo protettore dell’ossidrile. La GC-MS ha ulteriormente confermato questa ipotesi evidenziando la presenza quantitativa dello ione molecolare con massa

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373 g/mol PM di ECIFA. Dall’ analisi ATR è inoltre visibile lo stretching del legame O-H 3450 cm-1

caratterizzato da un’ampia banda. A causa della bassa resa non è stato possibile studiare le proprietà ottiche di ECIFA per questo la reazione è stata ripetuta sulla DASA non protetta nelle medesime condizioni.

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3.2 Sintesi di 7-dietilammino-3-ciano-cumarina DACC

O O CN HO O CN + 1) DCC, 2) DCM anidro, 3) 24 h ; r.t OH + CHO N OH 1) THF anidro 2) Piperidina 3) 24 h ; r.t O N CN O DACC AC EE EECA DASA

Schema 3.2.1: schema di sintesi di DACC

Nel primo step di sintesi si ha l’esterificazione di Steglich riportata in figura 3.1.3, nel successivo step

si ha condensazione di Knoevenagel, come riportato in letteratura56, tra i precursori DASA ed EECA

che porta alla formazione del rotore molecolare fluorescente desiderato DACC. Si tratta di una reazione di condensazione pertanto è stato necessario distillare il solvente (THF), ed eseguire 3 cicli di vuoto e azoto all’interno del pallone di reazione. Come catalizzatore basico è stata utilizzata piperidina per favorire l’attacco nucleofilo del carboanione sul carbonile dell’aldeide. La reazione procede in due stadi, nel primo si ha attacco nucleofilo del cianoestere attivato da piperidina, seguito da successiva disidratazione con formazione del doppio legame C=C coniugato all’anello aromatico. Nel secondo stadio si ha reazione di transesterificazione intramolecolare con conseguente ciclizzazione e chiusura d’anello che porta alla formazione del prodotto DACC. Per recuperare il prodotto è stata necessaria una cristallizzazione in diclorometano/ etere dietilico 1:10 v/v, che porta alla progressiva formazione di un solido color giallo ottenendo con una resa del 23%. Il meccanismo di reazione è riportato in figura 3.2.2

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Figura 3.2.2: meccanismo di reazione condensazione di Knoevenagel e transesterificazione intramolecolare tra EECA e DASA

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